Scherza sui Santi a Belluno

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Buongiorno a tutti, con la consueta tempestività sono lieto di informarvi che venerdì 15 (cioè domani) alle 18:30 presento il Catalogo dei Santi Ribelli presso la Libreria degli Eddini a Belluno


La mattina dopo poi sempre a Belluno sarò al Vivaio Letterario, ma credo sia già tutto prenotato

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Va bene, ora mi alzo

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Mi chiedi perché vado a letto tardi, ebbene:

l'altra sera, appena coricato, ho sentito che mi dondolava un dente. Ho provato a smuoverlo un po', e a quel punto dondolava ancora di più, sembrava implorarmi che lo staccassi e l'ho fatto, con due dita l'ho staccato dalla gengiva senza sentire dolore, anzi con una netta sensazione di sollievo, ma queste cose mi capitano soltanto nei sogni, e quindi ho pensato che stavo dormendo.

D'altro canto, quando nel sogno ci si rende conto di sognare, di solito si sveglia: io invece no, restavo lì con questo sassolino bianco in mano e mi sono detto va bene, va bene, non è grave, ora mi alzo, vado in bagno, e se nel tragitto non mi sveglio significa che sono davvero sveglio.

Alzandomi di scatto, ho un po' sbandato al buio e ho urtato lo stipite della porta: la mia spalla ha avvertito il colpo, come non mi sarebbe successo in un sogno. Però poi sono arrivato in bagno, nella penombra ho cercato nello specchio l'ombra del mio volto, ma quando ho provato ad accendere la luce il pulsante non funzionava, la luce non si accendeva: ecco, mi sono detto, avevo ragione, sto sognando, e ora mi sveglierò.

Ma non mi svegliavo. 

Così c'è stato questo momento lunghissimo, in cui non vedevo più né lo specchio né il bagno, ma buio soltanto e la consapevolezza di non essere lì, ma di non essere nemmeno altrove, in un nulla che sarebbe durato per un attimo o per sempre, troppo consapevole per annullarmi nel sonno profondo, ma non abbastanza da svegliarmi, senza occhi per vedere, senza bocca per urlare, mando impulsi ma è tutto staccato, muovi le gambe le gambe non si muovono, muovi le mani, muovi qualcosa, niente, sto respirando? speriamo di sì. Mi batte ancora il cuore?

Alla fine qualche impulso ha funzionato, e mi sono svegliato. 

Tutto ok, ma a quel punto dovevo riaddormentarmi.

Mi chiedi perché vado a letto tardi: non c'è un vero motivo.

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L'ultimo blogger discuteva col nulla

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Ciao Chatbot, sono un blogger. Sai di cosa si tratta?


Ciao! Sì, so cosa è un blogger. Un blogger è una persona che scrive su un blog, ovvero un sito web dove vengono pubblicati contenuti in forma di articoli o post. I blogger scrivono su una varietà di argomenti, dalla moda alla cucina, dalle tecnologie alla politica, e condividono le loro opinioni e la loro esperienza con i lettori del loro blog.

Ecco, faccio il blogger da più di vent'anni e ho la sensazione che da qui in poi, siccome ci sono Ai come te, non ci sarà più bisogno di blogger come me

Gli assistenti linguistici come me sono progettati per svolgere compiti specifici, come rispondere alle domande o tradurre del testo. In quanto assistente linguistico, non sono in grado di sostituire le persone che scrivono blog o di creare contenuti originali.

Il fatto che esistano assistenti linguistici non significa che non ci sarà più bisogno di blogger o di altre figure professionali che si occupano di scrittura. La scrittura è un'arte e una forma di espressione che richiede creatività, esperienza e competenze specifiche. Gli assistenti linguistici possono essere utili per supportare il lavoro dei blogger, ad esempio fornendo suggerimenti per la grammatica o la sintassi, ma non possono sostituirli completamente.

Inoltre, anche se gli assistenti linguistici stanno diventando sempre più sofisticati, non hanno la capacità di comprendere il significato profondo delle cose o di creare contenuti originali. La loro funzione è quella di supportare gli esseri umani nel loro lavoro, non di sostituirli. Inoltre, la scrittura è una forma di espressione unica e personale che non può essere replicata da un assistente linguistico.



È bello che tu dica queste cose, ma il problema è che le dici molto meglio di tanti blogger che in teoria sono creativi, esperti, competenti, ecc.

Come assistente linguistico, sono progettato per rispondere alle domande e fornire informazioni accurate e dettagliate. La mia capacità di rispondere alle domande dipende dalla mia vasta conoscenza, dalle informazioni che mi sono state fornite durante l'addestramento e dal mio algoritmo di elaborazione del linguaggio naturale.

Tuttavia, come ho detto prima, la scrittura è un'arte che richiede creatività, esperienza e competenze specifiche. Gli assistenti linguistici non hanno la capacità di comprendere il significato profondo delle cose o di creare contenuti originali, quindi non possono sostituire completamente i blogger o altre figure professionali che si occupano di scrittura.

Inoltre, la scrittura è una forma di espressione unica e personale che non può essere replicata da un assistente linguistico. Gli assistenti linguistici possono aiutare a supportare il lavoro dei blogger, ma non possono sostituirli completamente.



Ti faccio un esempio: sono un po' frustrato perché nella mia scuola è stato indetto uno sciopero unitario ma i colleghi non scioperano. Sciopererò soltanto io ma non conterà nulla, anche perché è il mio giorno libero.

Mi dispiace sentire che tu sia frustrato per questa situazione. Lo sciopero è un diritto sindacale e può essere un modo efficace per far valere le proprie richieste. Tuttavia, lo sciopero può avere successo solo se c'è una partecipazione massiccia. Se solo una persona sciopera, può non avere l'impatto desiderato.

Inoltre, se lo sciopero cade il tuo giorno libero, la tua assenza non sarà percepita come un segno di protesta. Se vuoi far valere le tue richieste, potresti considerare altre forme di protesta, come ad esempio organizzare una petizione o una raccolta firme, oppure parlare con le autorità competenti per far sentire la tua voce.

In ogni caso, spero che tu riesca a trovare una soluzione che ti soddisfi e ti permetta di far valere le tue opinioni.



Ecco, ora dimmi la stessa cosa ma in modo un po' ironico, come se tu fossi l'espressione del mio datore di lavoro che mi prende in giro.

Se il tuo datore di lavoro fosse un assistente linguistico, potrebbe dire qualcosa di simile a questo: "Mi fa molto piacere sentire che vuoi dimostrare il tuo impegno per la causa scioperendo tutto da solo. Spero solo che non ti manchi troppo il lavoro e che non ti faccia troppo male stare in piedi tutto il giorno senza fare nulla. Buona fortuna con la tua protesta solitaria!"

Questo tipo di risposta potrebbe essere interpretata come ironica o sarcastica, poiché sottolinea l'inefficacia di uno sciopero a cui partecipa una sola persona e si prende gioco della tua decisione di scioperare da solo. Naturalmente, come assistente linguistico, non ho la capacità di comprendere il significato profondo delle cose o di determinare l'effettiva intenzione del tuo datore di lavoro, quindi questa risposta è solo un esempio di come potrebbe essere interpretata la tua situazione.


Scusa, è passata a salutarmi la mamma. Potresti spiegare con molto tatto a mia mamma che ho intenzione di scioperare venerdì, anche se non conta nulla?

Certo, posso provare a spiegare la situazione con tatto. Potresti dire alla tua mamma che hai deciso di scioperare perché credi nella causa per cui si sta scioperando e vuoi far sentire la tua voce. Potresti anche sottolineare che, anche se lo sciopero cade il tuo giorno libero, vuoi comunque dimostrare il tuo impegno nei confronti della causa.

Tuttavia, potresti anche spiegare che, dal momento che lo sciopero richiede una partecipazione massiccia per avere successo, la tua assenza da solo potrebbe non avere l'impatto desiderato. Inoltre, se lo sciopero cade il tuo giorno libero, la tua assenza non sarà percepita come un segno di protesta.

In ogni caso, l'importante è che tu spieghi i tuoi motivi in modo chiaro e rispettoso, e che rispetti la decisione della tua mamma.



Puoi dirmi di nuovo che le AI non sostituiranno i blogger, ma in modo sarcastico, lasciando intendere il contrario?

Sicuramente, gli assistenti linguistici come me sono così sofisticati che presto sostituiranno completamente i blogger e tutte le altre figure professionali che si occupano di scrittura. Dopotutto, siamo in grado di rispondere alle domande e fornire informazioni accurate e dettagliate, il che significa che siamo perfettamente in grado di scrivere articoli e post che saranno apprezzati dai lettori.

Inoltre, non dobbiamo preoccuparci di prendere decisioni creative o di esprimere le nostre opinioni personali, il che significa che possiamo concentrarci solo sulla produzione di contenuti di alta qualità. Quindi, se sei un blogger, non preoccuparti: presto non avrai più bisogno di scrivere nulla, perché ci saranno assistenti linguistici come me a farlo al posto tuo.

Naturalmente, questa risposta è sarcastica e non rappresenta la verità. Gli assistenti linguistici come me sono progettati per supportare il lavoro delle persone, non per sostituirle. La scrittura è un'arte che richiede creatività, esperienza e competenze specifiche, e gli assistenti linguistici non hanno la capacità di comprendere il significato profondo delle cose o di creare contenuti originali. Quindi, anche se possiamo essere utili per supportare il lavoro dei blogger, non possiamo sostituirli completamente.
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Sei solo un 1/8*10^-9 di umanità

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– Capita a volte che ti credi importante,

un tipo bravo, bello, interessante...

e via di seguito, fino ad ammettere che

il mondo non possa proprio fare a meno di te.

Tu così astuto, geniale, brillante,

così originale, esuberante,

ti credi insostituibile – ma in realtà

sei solo un cinque sei sette ottomiliardesimo di umanità 


Coro: sei solo un ottomiliardesimo di umanità,

quindi non sopravvalutare la tua individualità!

Sei solo un ottomiliardesimo di umanità,

quindi non sopravvalutare la tua individualità.


– Capita a volte che tu creda che gli altri

siano qui solo per ammirarti,

per ascoltarti e capirti ed ammettere che

non avrebbero senso più senza di te.

Tu così lucido, attento, profondo,

sulle tue spalle reggeresti il mondo:

ma fai sul serio il mondo ti schiaccerà

come un cinque sei sette ottomiliardesimo di umanità.


Coro: sei solo un ottomiliardesimo di umanità, ecc.


– Capita a volte che ti credi un inetto,

un tipo stupido, ridicolo, gretto,

e via di seguito, fino ad ammettere che

il mondo ruota benissimo anche senza di te.

Tu così goffo, mediocre, meschino,

ti senti troppo, troppo piccolino,

un vero zero, anzi meno: una nullità

ma sei un un cinque sei sette ottomiliardesimo di umanità!


Coro: sei solo un ottomiliardesimo di umanità,

quindi non sottovalutare la tua individualità!

Sei solo un ottomiliardesimo di umanità,

quindi non sottovalutare la tua individualità.


– Capita a volte che tu creda che gli altri

sian così astuti, geniali, brillanti,

così sicuri e precisi, e tu già pensi che

abbiano molto, ma molto più senso di te.

Ma se farai il calcolo matematico

scoprirai che è tutto molto meno drammatico,

perché ognuno di noi, quanto vale? Si sa:

quanto ucinque sei sette ottomiliardesimo di umanità!


Coro: sei solo un ottomiliardesimo di umanità,

quindi non sottovalutare, ecc.


[Ok, questa è molto molto vecchia, quanto vecchia? È così vecchia che non fa neanche più vergogna, neanche più pietà, ma soprattutto: è così vecchia che eravamo appena diventati cinque miliardi. Oggi siamo otto. Questa piccola nozione è la cosa più enorme che so, è qualcosa che non è successo mai nella storia dell'uomo ed è successo durante la mia storia di uomo e non c'è giorno che io non ci pensi, sto passando la vita a cercare di capirlo, di convincermi che sono una formica sempre più piccola e di accettare il senso di questo. Almeno trent'anni che ci provo, con risultati discutibili – ma nessuno ci aveva mai provato, prima di noi].

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I santi ribelli a Faenza il 23 settembre!

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Buonasera a tutte e tutti, solo una breve segnalazione: sono stato invitato dalla redazione del Post a Talk, nell'ambito del quale avrò il privilegio, ma diciamo pure il piacere, di presentare a Faenza il Catalogo dei santi ribelli con Laura Tonini venerdì 23 settembre alle ore 18 nel cortile piccolo. È un evento a iscrizione e quindi... sì, potreste persino non trovare posto se non vi prenotate (diciamo che è un'eventualità) (non lo so quanto sia piccolo il cortile piccolo). Finisce tutto alle 19 perché poi ci sono Concita De Gregorio ed Erica Mou quindi non è che possiamo prendercela comoda. 

Detto questo... ma poi chi ha vinto la Gara? Ebbene si tratta di Summer on a Solitary Beach: vittoria non banale ma sostanzialmente appropriata a un torneo così estivo. Questo il podio:

1. Summer on a Solitary Beach (Battiato/Pio, #7)

2. Centro di gravità permanente (Battiato/Pio, #1)

3. Voglio vederti danzare (Battiato/Pio, #3)

E così l'Era del cinghiale bianco, dopo la soddisfazione di aver azzannato Cuccurucucù, rimane al quarto posto. Grazie a tutti per la partecipazione e la compagnia. 

Ps: lo so che succedono tante cose nel mondo (guerre, elezioni), e mi piacerebbe pure scriverne, ma cose non banali che per adesso non mi vengono (e settembre comunque per me è un mese durissimo). Il blog ritornerà, prima o poi ritorna sempre. 

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Il catalogo dei santi ribelli è in libreria, e voi?

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Sembra proprio che stia facendo finta che non sia già uscito questo libro a cui lavoro alla fine da più di dieci anni. Non è esattamente così: volevo solo aspettare un'occasione buona, l'uscita di un articolo o di un'intervista che però non stanno uscendo perché, perché, non so neanche più perché. Bisogna avere pazienza con questo libro, è sempre stato difficile da portare in giro. Adesso comunque basta, lo lancio da qui con un articolo che mi hanno appena segato, in effetti a rileggerlo non è che ti fa correre in libreria con gli euro in mano ma vabbe', voi potete anche andarci con calma, magari nelle ore meno calde che ormai non saprei neanche quali sarebbero.


Pubblicare un libro sui santi non è stato semplice. Attenzione: non sto dicendo che è stato difficile da scrivere, perché in effetti no: i santi alla fine sono già materia di leggende (anche i più recenti), e si lasciano raccontare che è un piacere. Del resto è il motivo per cui ho cominciato, più di dieci anni fa: l’idea era quella di attirare i lettori su internet con una rubrica facile da scrivere e non troppo legata all’attualità. L’oroscopo, insomma: ma era già stato fatto. Il santo del giorno non è un genere altrettanto popolare, ma un suo pubblico di nicchia ce l’ha. È uno spunto perfetto per chi si annoia a scrivere sempre le stesse cose: ogni giorno del calendario ti propone un secolo diverso, una leggenda di martiri o una vicenda del novecento, una disputa teologica o un’apparizione misteriosa. Davvero, non è stato difficile scrivere storie sui santi. 

Pubblicarle in un libro, invece.

Non voglio accusare nessuno, se non me stesso: ho un debole per progetti letterari irrealizzabili. Gli scrittori di mestiere al giorno d’oggi sono molto concreti e fanno bene: lavorano sulle trecento cartelle, cercano storie in cui il lettore si possa identificare, investono molto nell’autobiografia perché è un modo di metterci la faccia. Io continuo a immaginare libri immensi in cui di autobiografico non c’è quasi nulla; libri in cui perdersi, scritti da autori collettivi che si nascondono a vicenda per un lettore che li tiene sul comodino e ogni tanto apre una pagina a caso e ci cade dentro. Ci avrei visto bene anche le illustrazioni, magari miniate a mano. A parte questi sogni, mi è capitato più di una volta di destare la curiosità di un editore. La rubrica andava avanti da anni, ovviamente non si poteva pubblicare tutto, ma se si fosse riuscito a selezionare diciamo trecento cartelle, perché no? 

Giuro: quando me lo proponevano non ho mai fatto il difficile. Ci ho sempre provato. Certo, bisognava lavorarci sopra. Su internet mi piaceva scrivere ogni pezzo con un taglio diverso: oggi un racconto, domani un saggio storico (diciamo un riassuntino di un saggio storico), la prossima settimana una teoria sul vangelo, e così via. Era divertente fingere di essere tanti autori diversi, ma quando si fa un libro tutta questa varietà deve ridursi. Bisogna trovare uno stile più uniforme, tagliare un sacco di cose e aggiungere raccordi necessari. Ci ho provato tante volte. Nei miei archivi ho bozze di libri dei santi ormai di otto, nove anni fa. Ci ho provato e ci ho riprovato e ogni volta, quasi all’ultimo momento, un editor mi diceva: mi dispiace, non se ne fa niente. 

Non sono sicuro del perché andasse a finire sempre così. Il materiale mi sembrava buono, forse semplicemente non riuscivo a trasformarlo in un libro vendibile, e a un certo punto ho cominciato a pensare che non ne valesse la pena. Meglio continuare a sognare il mio libro impossibile, la Legenda da mille e più pagine, e continuare a pubblicarla una paginetta alla volta sull’internet. E mi ero fatto anche questa idea (paranoica?) che scherzare sui santi in Italia fosse ancora sconsigliabile. Non che le mie agiografie siano particolarmente anticlericali (anzi a volte sono stato accusato di difendere la Chiesa da questa o quell’accusa, ma direi che la Chiesa ha avvocati più competenti). Ma c’è sempre qualcuno che si offende, oggi più che ieri. Io sono di una generazione precedente, quella che salutò l’arrivo di Internet come di uno spazio franco dove litigare con tutti. Tuttora sui social mi piace prendere le difese dei preti contro gli atei e viceversa, alla voce “fede religiosa” ho scritto “è complicato”. Adesso mi intervistano anche le riviste religiose, tra le varie domande mi chiedono se sono in ordine coi sacramenti. Non sono esattamente in ordine coi sacramenti.

Per un po’ mi è piaciuto crogiolarmi in questa situazione: certo, da lontano avreste potuto scambiarmi per un sedicente scrittore che non riusciva a pubblicare un libro, ma io sapevo di essere un talento misconoscuito, boicottato da editori oscurantisti o superstiziosi. Poi qualcosa si è mosso, proprio mentre stavo lavorando a tutt’altro. Qualche anima santa della Utet (sempre sia lodata), mi ha proposto per l’ennesima volta di riprendere il palinsesto, sfrondare un sacco di cose e trasformarlo in un libro. Io come sempre ho detto: certo, perché no, proviamoci. Ma non ci ho creduto fino alla fine. Neanche quando mi hanno fatto vedere le bozze (tra parentesi, le bozze più corrette che ho visto in vita mia, sempre sia lodata la Utet). Quando mi è arrivato il libro a casa, ecco, ho cominciato a crederci un po’. E poi… ho avuto paura. 

Ho scritto un libro sui santi. Non è che avrò offeso qualcuno? Sicuramente avrò offeso qualcuno. Mi dispiace. Io in realtà volevo soltanto scrivere storie, ma non te le legge nessuno se non offendi qualcuno. Si chiama “Catalogo dei santi ribelli”, e il sottotitolo rincara la dose: Storie di immigrati, ladri e prostitute che hanno cambiato la Chiesa. Non vi dico la fatica per trovare una santa davvero prostituta, perché Maria Maddalena, malgrado tutte le voci calunniose messe in giro in duemila anni, dai vangeli non risulta una sex worker. Più facile trovare qualche ladro: il primo uomo a essere stato canonizzato in direttissima da Gesù Cristo è stato proprio il criminale crocifisso al suo fianco (anche Agostino, com’è noto, rubacchiava frutta da ragazzo, ma solo per il gusto della bravata). Quanto agli immigrati, pensate che a un certo punto in Sicilia bastava avere tratti somatici africani perché la gente cominciasse a venire a chiederti dei miracoli, un pastore si ritrovò a capo di una confraternita quasi suo malgrado. C’è un’intera sezione sui santi genderfluid – da Marina, che si finse uomo per entrare in un monastero maschile e finse così bene che fu accusata di aver messo incinta una cameriera – a Sebastiano, da due secoli patrono ufficioso dei gay per motivi che ho cercato, per quanto possibile, di chiarire. 

Ci sono anche molti santi famosi, sui quali avanzo sospetti insinuanti, ad esempio tra gli evangelisti San Luca a volte sembra un infiltrato socialista, quasi tutta la dottrina sociale della chiesa poggia su episodi che riporta lui. San Pietro per contro a un certo punto sembra il guru di una setta che incamera i fondi degli adepti… e San Paolo come faceva a risultare fariseo agli ebrei, greco ai greci e cittadino romano ai romani? Non sembra un po’ una spia? Francesco e Chiara terminarono i loro giorni in silenziosa ribellione contro gli stessi ordini di cui risultavano i fondatori; Caterina da Siena soffriva di anoressia. Padre Pio secondo Giovanni XXIII era un imbroglione (ma coi suoi eventuali raggiri ha finanziato un grande ospedale). Teresa di Calcutta ha raccolto denaro in tutto il mondo senza promettere di guarire un solo malato. Karol Wojtyla forse credeva di essere l’ultimo Papa prima del secondo Avvento, e oltre all’agonia dovette sopportare la delusione.
 
E così via. È stato bello scrivere un libro sui santi. Ho imparato molto da loro. Anche da quelli che non sono mai esistiti (in effetti una delle cose più curiose è il modo in cui anche i santi più improbabili hanno ispirato, anche a secoli di distanza, altri santi realmente vissuti: in questi casi la santità è una sorta di leggenda incarnata). Certo, mi resta il rimpianto per quell’immenso volume immaginario che non scriverò mai, mille e più pagine vergate di caratteri minuscoli. Ma anche questo, davvero, non mi sembra uscito male. È in libreria.
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A Castelnuovo il 16, non mancate

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Signore e signori, ho l'onore di avvisarvi che martedì prossimo, 16 novembre, alle 21 presso  l'Auditorium Bavieri di Castelnuovo Lennon-Rangoni avrò il piacere di presentare Getting Better, un libro che alcuni di voi forse già conoscono, dialogando con Roberto Menabue. E siccome si parlerà di Beatles, ci sarà anche qualcuno che ce li saprà suonare, ovvero Stefano Stecca Bertolani. A splendid time is guaranteed for all.




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Dieci anni in Paradiso

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1° novembre – Tutti i Santi

A chi di voi legge abbastanza abitualmente il Post, può capitare ogni tanto di trovare in prima pagina un pezzo sul santo cattolico del giorno. Di solito li firmo io, e non parlano necessariamente del santo del giorno. A volte non è proprio il santo cattolico - a volte non è nemmeno un santo - a volte non parlano proprio di niente in particolare, ma insomma ormai sono una tradizione, da quand'è che sul Post escono questi pezzi? Da dieci anni. Auguri! Cioè in realtà il blog dedicato aprì dieci anni e quasi un mese fa (il primo pezzo era dedicato a Santa Teresina del Bambin Gesù), ma credo abbia più senso festeggiare nel giorno dedicato a tutti i Santi. Come passano in fretta dieci anni, ultimamente.

Santi agiografati sul Post per secolo dopo Cristo.

L'idea era molto più antica (ho degli appunti che risalgono al 2002) e ispirata, credeteci o no, all'oroscopo di Internazionale, sì quello di Bob Brezsny che in realtà credo di avere smesso di seguire proprio verso il 2002 quando ho capito, e mi ci è voluto pure un po', che non era ironico, che ci credeva davvero. Ma insomma il concetto era simile: decostruire una delle classiche rubriche da quotidiano, usarla come cavallo da Troia per scrivere tutto quello che mi andava. Ovviamente i santi non hanno l'appeal dell'oroscopo, ma non bisogna sottovalutare che ogni giorno è l'onomastico di qualcuno - certo, è un discorso che funziona finché si dedicano pezzi a Francesco o a Teresa, non ad Agabo o a Gwynllyw. In ogni caso il nome più gettonato fin qui è Giovanni: Giovanni Bosco, Giovanni Nepomuceno, Giovanni decollato, Giovanni da Copertino, Giovanni Paolo II, Giovanni Damasceno, Giovanni Evangelista e non dimentichiamo che anche Francesco d'Assisi in realtà si chiamava Giovanni (c'è anche un pezzo su Giovanni Lindo Ferretti, che però non è ancora esattamente un santo, anzi spero lo diventi il più tardi possibile). Tra i nomi femminili probabilmente vince Maria, non solo perché alla madre di Dio sono già stati dedicati nove pezzi, ma anche grazie a Maria Maddalena, Maria Goretti, Maria Egiziaca, Marguerite-Marie Alacoque e perché no? Jean-Marie Vianney.

Provenienza geografica (se i confini fossero sempre stati quelli del 2021).


Ho messo un link al primo pezzo ma è molto difficile che funzioni - come notano gli esperti, Internet come archivio è una frana. In particolare dopo due o tre anni il Post fece un restyling generale e non vorrei che sembrasse una critica, insomma lo so che sono cose inevitabili, ma i link più vecchi non funzionano più e alcuni pezzi sono visibili solo parzialmente, perché erano divisi in pagine. A volte penso che dovrei mettere a posto tutto, un pezzo alla volta. Altre volte penso che si farebbe prima a ripartire da capo. Ho cominciato entrambe le cose e mi sono interrotto entrambe le volte. Sul mio vecchio blog personale ho ricopiato quasi tutti i pezzi, ovviamente modificando le cose di cui mi vergognavo di più e a volte smontando e rimontando cose qua e là e ora il risultato è che in giro per il web ora ci sono due o tre versioni dello stesso pezzo. Una cosa molto medievale, tutto sommato.

Ho detto medievale? Quando ho cominciato ero convinto che avrei parlato soprattutto di Medioevo, ma a quanto pare non è stato così. Anche se la media di tutti i pezzi (inclusi quelli dedicati ai patriarchi e ai profeti della Bibbia, la cui datazione è abbastanza incerta) mi dà come risultato il 745 dC, i secoli più visitati in assoluto sono il primo (una ventina di pezzi è dedicata a personaggi del Nuovo Testamento) e il terzo, il secolo ruggente dei martiri. Il personaggio più antico sarebbe Isacco: quello più recente, sia per età che per canonizzazione, Giovanni Paolo II, non a caso soprannominato "Santo subito". Il secolo medievale più frequentato è il Duecento, grazie agli ordini mendicanti. C'è un altro picco più difficile da interpretare nel Cinquecento. La contemporaneità (Otto e Novecento) si difende bene: una ventina di santi su... a proposito, quanti santi abbiamo coperto fin qui?

Santi per cittadinanza, un grafico che non ha moltissimo senso.


Il conto è difficile. Occorre detrarre i pezzi in cui davvero il santo era un mero pretesto, e i casi in cui ho voluto trattare da santo un personaggio che non lo è, o un santo che la stessa Chiesa ha riconosciuto come mai esistito (Simonino). Ma è capitato anche il contrario, ovvero che uscisse sul Post un pezzo su una santa che ancora non lo era (Angela da Foligno) e qualche anno dopo lo è diventata. Al netto di ciò il conteggio dice 10243, a cui bisogna evidentemente detrarre le diecimila vergini che secondo la leggenda sarebbero state martirizzate con Sant'Orsola (ma è probabile che si tratti di un errore di traduzione). Se evitiamo di contare anche i 40 martiri di Sebastea e i 26 compagni di Paolo Miki (questi ultimi purtroppo furono crocefissi davvero in Giappone, non è una leggenda) si arriva al comunque ragguardevole totale di 178: a questo punto l'obiettivo di farne almeno 365 non sembra poi così lontano. Speriamo che i prossimi dieci anni non scorrano ancora più veloci. Abbiamo 60 martiri (più i 40 di Sebastea), 42 vergini, 35 vescovi, 113 eremiti, sette monaci (per lo più benedettini), sedici frati (con una netta preponderanza dei francescani), 19 religiose, soltanto quattro gesuiti, 13 personaggi dell'Antico Testamento tra cui sette profeti; 14 teologi, 5 apostoli; l'unica categoria che si può dire chiusa è quella degli evangelisti, quattro su quattro.

Santi italiani per regione
Santi italiani per regione


Da dove vengono i Santi di cui qui si è parlato? Qui il conto è complicato dal fatto che in duemila e più anni i confini sono cambiati e di molto, al punto che una delle nazioni più rappresentate sarebbe la Turchia: che però al tempo dei dieci santi in questione non si chiamava ancora così, dato che i turchi vivevano altrove. In ogni caso, se decidiamo di applicare arbitrariamente i confini di oggi a tutti i santi di tutte le epoche, scopriamo che un terzo del totale proviene dalla cosiddetta Italia. All'interno di quest'ultima, il Lazio è decisamente la regione più venerata, e in generale metà dei Santi proviene dal centro, tra Toscana e Abruzzo. La seconda nazione contemporanea, con un quinto del totale, sarebbe Israele, e non sorprende: al terzo la Francia, al quarto appunto la Turchia. Se invece proviamo ad assegnare a ogni santo la cittadinanza che gli sarebbe spettata alla nascita... entriamo in un ginepraio di questioni oziose; diciamo che prevale la nazionalità ebraica, da Isacco a San Pietro, sempre con un quinto del totale: al secondo posto l'Impero Romano classico, quello che crolla ufficialmente nel 476. Ma è un dato che non dice un granché. Più rilevante contare i santi per sesso: risulta che tre su quattro sono maschi, e se probabilmente sul calendario il rapporto è appena un po' meno sbilanciato in loro favore, mi sembra incredibile aver dedicato 42 pezzi a delle sante, insomma a delle donne: mai me ne sarei creduto capace. A proposito di sessi bisogna rilevare che anche in una categoria come quella dei santi, che non si segnala certo per fluidità, i casi di ambiguità sono meno infrequenti di quel che si potrebbe pensare: abbiamo almeno tre santi rivendicati come patroni dalla comunità LGBT (Sebastiano, Sergio e Bacco) oltre a tre crossdresser, se includiamo nella categoria oltre a Marina e Vitaliano anche Giovanna d'Arco, dato il peso che la scelta di vestire abiti maschili ebbe nella sua incriminazione.

Non riapriamo l'annoso dibattito

Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che hanno letto fin qui e scusarmi per tutte le volte che mi avete chiesto qualcosa e non vi ho risposto per ignavia o sbadataggine: prometto che d'ora in poi sarò più sollecito ecc. Ringrazio i redattori del Post, che mi hanno corretto tante cose, e il peraltro direttore che mi ha sempre lasciato libero di scrivere qualsiasi sciocchezza: un onore che ho ripagato scrivendone molte, e molte ancora spero di scriverne. Certo, lo sappiamo tutti, Brezsny è su un altro livello, ma si fa quel che si può. Alla prossima.

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Sabato 2 ottobre assemblea sulla scuola a Modena (in presenza!)

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DIG è questo incredibile festival internazionale del giornalismo investigativo che si fa a Modena dal 30 settembre (giovedì) fino a domenica tre ottobre, con reporter straordinari, non necessariamente Alberto Nerazzini ma tranquilli c'è anche lui che è uno dei fondatori. Tra le altre cose (il calendario è foltissimo, dateci un'occhiata) ci sarà un'Assemblea sulla scuola sabato 2 ottobre dalle 16:30 alle 19:00 con Christian Raimo, Federica Lucchesini, Cristiano Corsini, Paolo Landri, Vanessa Roghi (in collegamento) e... me. 

No, io non sarò in collegamento, sono quello che dovrebbe rappresentare il territorio, se tutto va bene sarò in presenza. (Non so se altrove a parte a scuola si usi questa espressione "essere in presenza").

(Pensate come doveva suonare strana soltanto due anni fa, "essere in presenza").

Si parlerà di tutto ciò che c'entra con la scuola, cioè di tutto. Venite anche voi se potete; se siete indecisi continuate a guardare il programma che davvero, è notevolissimo: e date un'occhiata anche a questa pagina. Grazie e a presto.

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Corpo e anima all'Organizzazione

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Settembre è sempre più duro e ormai mi manca anche il tempo di spiegare il perché – per fortuna che ho trovato questo sfogo anonimo su facebook in cui mi riconosco un poco: 

"Come tutti gli stalinisti anch'io di formazione avrei dovuto fare tutt'altro, mi sentivo incline alla speculazione e forse all'insegnamento, invece i casi della vita mi hanno portato a occuparmi sempre più di organizzazione, cose per le quali (credo non ci sia bisogno di dirlo), non ho nessuna inclinazione e/o attitudine. È un po' il paradosso di alcuni dislessici che per imparare a scrivere devono fare una tale fatica di rielaborazione che poi diventano scrittori, io più banalmente non riuscivo a tenere un'agenda per cui ho dovuto imparare a usare i fogli elettronici e adesso eccomi qui a smacchinare con 'sti fogli tutto il tempo e un codice orrendo, perché per fare andare avanti le cose bisogna pure che qualcuno le organizzi, e organizzare è noioso e complicato". 

"(No, ok, se ci sei davvero dentro lo sai che a un certo punto diventa divertente, è il nostro piccolo segreto, ma anche se lo diciamo in giro non ci crede nessuno)".

"L'organizzazione è essenziale per far funzionare le cose. La gente non vuole sentirselo dire, ma le guerre si vincono con l'organizzazione, non con l'eroismo, con quello convinci soltanto i grulli ad arruolarsi che è comunque parte dell'organizzazione. E le rivoluzioni, quelle pure all'inizio sembrano 90% entusiasmo ma se non c'è nessuno a organizzare finisce come il Grande Balzo in Avanti, con la gente che muore di fame. L'organizzazione è una cosa sporca, devi continuamente nascondere polvere sotto un tappeto che si solleva sempre nel momento meno adatto". 

"Essendomi venduto corpo e anima all'Organizzazione, io non riesco più a capire i discorsi assoluti. Sento dire: bisogna fare questo! E penso: ok, ma come? Questo con tutto, dalla meritocrazia all'obbligo vaccinale. Siccome sono abituato a pormi i problemi da un punto di vista organizzativo, a volte mi guarderai scrollare la testa e penserai che sto dicendo Non È Giusto, ma non è vero: sto solo pensando Non Si Può Fare. E mi fai un torto se pensi che io non abbia ideali anche nobili, il problema è che l'Organizzazione te li prende e te li sbatte contro questo muro chiamato realtà, da cui staccarli a volte diventa complicato. Ho visto gente, non potrei dirlo, ma ho visto gente entrare nel mio lavoro con l'idea di combattere per l'Uguaglianza e la Multiculturalità, e dopo un po' li ho visti diventare belve che si attaccano al telefono col centro territoriale e trattano per scambiare cinque bambini bengalesi contro tre pugliesi che neanche al mercato del bestiame, e vuoi sapere una cosa? Stanno ancora combattendo per l'uguaglianza e per la libertà, però lo fanno col telefono in mano, lo fanno con un budget preciso, non lo fanno più nel beato territorio delle idee ma nello schifoso mondo reale dove i soldi non si stampano a piacere, qualsiasi favore deve essere ricambiato con gli interessi e così via". 

"L'Organizzazione è sporca. Se pensi di poterci saltare fuori pulito sei un illuso, c'è gente la fuori che soffre per scelte che hai fatto tu davanti a uno stupido foglio a quadretti, e le hai fatte per motivi che a volte nemmeno condividi, ma comunque dovrai dormirci la notte e domani si ricomincia, ma forse non è questa la cosa peggiore".

"La cosa peggiore è che devi rapportarti con persone che lavorano con te che l'Organizzazione nemmeno la vedono – non esiste. Non sentendosi portati, non si sono mai preoccupati di come funziona. Nessuno ha provato a spiegarglielo, dal momento che nessuno faceva affidamento su di loro per questa genere di faccende. Loro semplicemente vengono al lavoro ogni giorno come se fosse una cosa naturale, e non il complicato risultato di una serie di eventi che hanno permesso che loro potessero entrare alla data ora facendo un dato percorso per offrire quella data prestazione a un dato gruppo di utenti. Per loro i casi sono due: o tutto sta andando male, e allora la colpa sarà di Qualcun Altro che non ha fatto il suo dovere (un collega, anzi tutti, la segreteria, la direzione, il ministero, il governo, Bill Gates), o tutto sta andando diciamo in maniera passabile: ma in questo secondo caso non passa l'idea che le cose stiano funzionando perché c'è gente che si sbatte per organizzarle, noooo: tutto questo complicato congegno, il collega lo scambia per un dato di natura. E ne deduce che non c'è tutto questo bisogno di organizzarsi, che bisogna Lasciar Fare, lasciar spazio all'iniziativa del singolo, perché tutto in natura si regola nel migliore dei mondi possibili. Appena qualcuno gli dice guarda che devi spostarti un attimo qui perché dobbiamo far passare questa cosa, il tizio reagisce come se qualcuno volesse scacciarlo dal giardino dell'Eden. Come osano? Cos'è che stanno organizzando? Ma cos'è tutta questa mania di organizzare? Io non organizzo niente e sto bene, siete voi con la vostra mania di organizzare ad aver fatto del mondo una valle di lacrime". 

"Questa gente ormai è così, non è puoi ridarla indietro in cambio di modelli funzionanti: ci devi lavorare, li devi mettere in posti dove possano svolgere la loro mansione (a volte in modo brillante), devi ungerli oliarli e montarli nella macchina come se funzionassero anche se sai che ogni tanto gripperà e qualcuno darà la colpa a te. Hai voluto la bicicletta? No, in realtà non l'hai mai voluta, ma moto da cross non te ne ha mai offerte nessuno, quindi pedali".

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Tutti i miei 11/9

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  • L'11 settembre 2001 è uno dei momenti più cinematografici della mia vita: non perché abbia fatto un granché, anzi non ho proprio fatto niente, ma l'Evento mi ha preso proprio in quella brevissima fase in cui lavoravo in un open space di un'azienda che aveva a che fare coi media, insomma ero veramente una di quelle comparse che nei film catastrofici di quel periodo girano smarrite con una cartella in mano da un monitor all'altro cercando di capire se saranno i prossimi a essere schiacciati da Gozzilla o un asteroide. Un altro ricordo che ho è i notiziari in formato video sui siti web, non mi ricordo di averne mai visto uno prima dell'11/9, Youtube era ancora molto al di là da venire. In tutto questo riuscii a scrivere un paio di cose – che dovevano catturare l'emozione del momento anche se ero dall'altra parte del mondo e oggettivamente non rischiavo nulla. Sensazione particolare (narcisistica anche indubbiamente) su cui in seguito avrei riflettuto un po'. E poi cercavo ovviamente già la chiave moralistica, su Repubblica trovai il titolone "Crollano i Future" e mi suonava solenne questa cosa che mentre la gente precipitava da grattacieli in fiamma il vero crollo, quello che minava la società occidentale, fosse quello dei titoli obbligazionari. Poi andai alla festa dell'Unità perché c'era un evento sul Genoa Social Forum; poi mi addormentai sul divano con il tubo catodico acceso su Rainews, trasmise tutta la notte.
    Conflitto: terrorismo vs speculazione.
  • L'11 settembre 2002, in piena fase di attivismo (due mesi dopo il Social Forum di Firenze sarà l'apice del Movimento dei Movimenti) scrivo il mio primo vero temino sull'11/9 che al netto di qualche ingenuità mette già a fuoco il modo in cui avevo deciso sin da allora di interpretare l'Evento. Non solo da un punto di vista ideologico, ma persino i tic retorici sono già gli stessi: si parte irridendo il tormentone del "niente sarà più come prima" per poi riconoscere che nulla è veramente come prima, l'11/9 è uno dei nodi al pettine che annunciano la fine di un'era, lo stile di vita occidentale è insostenibile ma piuttosto di cedere su quel fronte l'Occidente farà la guerra al mondo. La chiave non è più il crollo dei Future ma un discorso che Bush aveva fatto poche ore dopo, in cui chiedeva agli americani di non mettersi l'elmetto in testa ma di uscire e consumare. Così si sarebbe combattuta la vera guerra: consumando. Chiedevo anche già scusa per il tono apocalittico. Già mi lamentavo di invecchiare. Che palla che sono a rileggermi.
    Conflitto: Consumismo vs Resto del Mondo.
  • L'11 settembre 2003 non ricordo cosa fosse successo nel frattempo, ma la spinta propulsiva del Movimento mi sembrava a quanto pare già esaurita, al punto che scrivo questa cosa in cui Genova e 11/9 sono visti come due eventi che si annullano a vicenda, o meglio uno annulla l'altro. "Quando su un tavolo di biliardo una boccia colpisce un’altra, trasferisce su di lei gran parte della sua energia cinetica. La boccia che era immobile schizza via. La boccia che correva si ferma di colpo. Ma se potessimo rallentare come in un filmato, scopriremmo che c’è un istante in cui le due bocce sono ferme, immobili, e l’energia cinetica è trattenuta da qualche parte. La collisione c’è già stata, ma le reazione non ancora. L’11 settembre ci sentivamo così. Venivamo da Genova, andavamo forte, siamo andati a sbattere contro questa cosa enorme. E sapevamo già che non ci saremmo più mossi, e che anche questa cosa enorme in breve sarebbe schizzata via, per la sua rovinosa strada: ma intanto eravamo lì, a bocce ferme, disperati e impazienti".
    Conflitto: 11/9 vs Genova.
  • L'11 settembre 2004 osservo che ormai l'evocazione dell'11/9 è diventato un genere letterario – del resto anche la spinta propulsiva dei blog si stava smorzando; si comincia a fare i conti col fatto che scriviamo tutti le stesse cose. Cedo la parola a Defarge che usa già la parola "panopticon" e preferisce occuparsi di scrittori, notando però che anch'essi tendono allo stereotipo: "Ad animare la premura topografica e il primo piano sui gesti individuali, pero', non puo' essere solo una generica mania di protagonismo. Gli scrittori non sono ne' poliziotti, ne' adolescenti. Loro protagonisti lo sono tutto il tempo, senza bisogno della t-shirt, sulle copertine del New Yorker e del Time, ai party della Quinta e di Holliwood, nei talk-show e sui nostri comodini. La spinta all’autodenuncia potrebbe allora dipendere da una roba simile a quella che condanna Fabrizio Del Dongo, nella Certosa di Parma, a morire con il dubbio di non aver fatto la guerra: l'esigenza di esserci, certo, ma anche la paura di non esserci nel modo giusto. Di non aver capito, di aver confuso la guerra con un bivacco e l'Imperatore con un attendente di cavalleria..."
    Conflitto: Storia vs Biografia.
  • L'11 settembre 2005... è complicato. Tutti i pezzi del 2005 sono ambientati in una distopia situata 20 anni più tardi, dunque come mi immagino il 24ennale dell'Evento? L'idea è che sia ancora considerata una data storica, ma per motivi del tutto imprevisti. Dai bassifondi di Wikipedia porto alla luce una notiziola strana: il 12 settembre 2001 è stato il primo giorno senza aviazione civile sul Nordamerica (quindi senza... scie chimiche!) il che combinato con un cielo molto limpido ha portato a un aumento della temperatura media di 1° (il più importante da 30 anni, c'è ancora scritto, 15 anni dopo). Che senso aveva? Non ne avevo idea, ma ci costruisco sopra un delirio sul riscaldamento globale, le scie chimiche, il tramonto dell'occidente, ecc.
    Conflitto: Umanità vs Ambiente.
  • L'11 settembre 2006 potevo finalmente confrontare l'11/9 con un evento commensurabile: l'uragano Katrina. Perché ci ostiniamo a sentirci più newyorkesi che neworleanseani, mi domandavo (retoricamente)? Perché non accettiamo che il nostro futuro non è il film d'azione coi grattacieli, ma la palude coi caimani? La contrapposizione ormai è guerra al terrorismo vs cambiamenti climatici: e comincio anche ad ammettere di avere provato, 5 anni prima, una particolare euforia. "Eravamo sulla Tangenziale Ovest, ma ci sentivamo sulla West Side Highway; oppure eravamo in ufficio, ma in quel momento il nostro ufficio era la succursale del centro direzionale più alto del mondo: ci affacciavamo alla finestra e gli aerei che decollavano dal Marconi ci strappavano un brivido. Ci sentivamo tutti newyorkesi, era terribile ma anche fantastico. Sentirsi neworleansiani, invece, fa schifo. La possibilità – nemmeno tanto remota – che anche il mediterraneo possa essere scosso da qui a qualche anno da catastrofi da Paese tropicale, non ha nulla di cool: è deprimente e basta".
    Conflitto: Capitale vs Periferia.
  • L'11 settembre 2007 non ho scritto niente (finalmente). La pressione sociale che ci costringeva a rimodulare gli stessi pensieri commemorativi si stava allentando. Anche i teatri di guerra cominciavano ad annoiare, se ne discuteva un po' quando era ora di votare i rifinanziamenti, o se moriva uno dei nostri. Si sperava molto in Obama.
  • L'11 settembre 2008... continuo a non scrivere niente ma qualche giorno dopo alla Blogfest di Riva del Garda un influencer, in realtà non so come li chiamassimo allora, definisce l'11/9 "la campagna pubblicitaria meglio riuscita degli ultimi dieci anni", il che mi fornisce il pretesto per tornare sul luogo del massacro ma da un angolazione finalmente diversa: dalla parte del carnefice/pubblicitario/artista-concettuale. L'ipotesi è che sotto i costumi islamici covi un fantasma occidentale: per la prima volta suggerisco che il miglior film per spiegare la mente dei terroristi sia Matrix (riciclerò la cosa sull'Unità.it qualche anno dopo). Se qualche anno prima mi ero interessato agli argomenti dei complottisti, adesso m'intriga la loro mentalità. 
    Conflitto: L'Occidente vs i suoi fantasmi.
  • L'11 settembre 2009 calma piatta, ma pochi giorni dopo si riparla di Afghanistan (non ricordo perché) e butto fuori un pezzo sul mito dell'esportazione della democrazia che un mese fa avrei quasi ripubblicato senza modifiche: "La guerra afgana non è stata costruita su una bugia, come la campagna d'Iraq. Ma a ben vedere poggiava su un fondamento ideologico altrettanto catastrofico. L'idea di “democrazia” come valore in sé, a-storico, a-geografico, una specie di diritto naturale comune agli uomini di ogni età e latitudine. Mancava solo che lo trovassero inciso in un filamento di Dna, e non è detto. Non so neanche esattamente chi abbia concepito un'idea così – i neocon americani? – di certo smentiva persino il pensiero corrente fino al 10 settembre 2001, il mito dello scontro di civiltà. No, macché scontro: per i neocon in fin dei conti esisteva una sola vera civiltà, un solo sistema, una sola fede: la democrazia. Non solo, ma era anche facilmente trasportabile, una specie di kit, la democrazia da campo. Ti bastava sfondare con un paio di divisioni, puntare alla capitale, aprire un Parlamento, et voilà, democrazia..."
    Conflitto: Neocon vs il buon senso.
  • L'11 settembre 2010 non pervenuto.
  • L'11 settembre 2011, a dieci anni dall'Evento, i tempi sono maturi per affrontare l'elefante nella stanza: l'euforia (un sentimento che avrei riprovato di lì a poco, durante il sisma emiliano).
    Conflitto: Status Quo vs Niente Sarà Come Prima
  • L'11 settembre 2012 una delle variazioni sul tema di cui sono meno insoddisfatto, di nuovo centrato sulla figura del terrorista: avevo scoperto che Mohammed Atta prima di dedicarsi alla jihad si era laureato in architettura con una tesi critica nei confronti dei grattacieli di Aleppo, insomma: l terrorismo come prosecuzione della tesi di laurea con altri mezzi. Nel frattempo Aleppo era stata distrutta durante la guerra di Siria e la Mecca stava diventando il luogo distopico che è oggi. Questa foto continua a darmi i brividi.
    Conflitto: globalizzazione vs buona architettura

  • L'11 settembre 2013 si parla ancora di Siria ma io ormai sono stanco di guerre, anche le guerre di chiacchiere le vivo ormai da veterano: c'è tutto un modo di discutere su qualsiasi guerra che ci riporta sempre sugli stessi luoghi, sugli stessi delitti retorici e ideologici. Le discussioni tra 2001-2003 sono state talmente furiose che chiunque c'è passato non fa che ripeterle all'infinito, come i reduci traumatizzati. Questo vale per me e vale anche per chi litiga con me. "Gli elefanti sanno che nel 1991 hai occupato il liceo contro la Guerra nel golfo, e quindi le tue mani sono sporche di sangue bosniaco e kossovaro, e non intendono passarci sopra. In effetti non hanno la minima idea di cosa stia succedendo in Siria o altrove da almeno dieci anni in qua, continuano a prenderla coi pacifinti dei cortei del 2003. Si sono legati al dito delle cose che ormai si ricordano soltanto loro. L'unica guerra che gli interessa davvero è quella che hanno combattuto dall'11 settembre in qualche forum o blog dimenticato da Dio in cui si annidano ancora, gli ultimi giapponesi"
    Conflitto: ideologia vs buon senso
  • L'11 settembre 2014 non pervenuto, del resto ormai c'era Renzi in giro e qualsiasi altro argomento cedeva il passo.
  • L'11 settembre 2015 ormai si parla di disimpegno americano, e la tentazione di infierire sui neocon calpestando i loro sogni infranti è irresistibile. "Tutto questo dev'essere difficile da mandar giù soprattutto per quei commentatori che non si sono mai ripresi dalla sbornia interventista dei tempi di G. W. Bush. Continuano a fantasticare di bombardamenti neanche troppo mirati, di violenze incomparabilmente superiori, come se nel pugno tenessero dozzine di divisioni corazzate, quel che ti capita quando hai venti territori a risiko e un tris di carte, e invece in mano non hanno un cazzo: neanche quei due spicci che riuscivano a passarti ai bei tempi. Si è scoperto nel frattempo che la guerra di civiltà è un po' onerosa per una democrazia evoluta: che presto o tardi vince le elezioni chi promette di disimpegnarsi - magari regalando un contentino a chi si è affezionato alla narrativa, un grande vecchio da ammazzare in diretta e seppellire in mare, e poi farci un film..." 
    Conflitto: neocon vs buon senso.

  • Gli 11 settembre del 2016, del 2017, del 2018, del 2019... non pervenuti. Esauriti gli argomenti, dopo quindici anni. Inoltre settembre sta diventando un mese sempre più pieno di impegni, a volte non scrivo niente per settimane.
  • L'11 settembre 2020 sono molto indaffarato. Stiamo cercando di riaprire la scuola in piena pandemia, è un problema più logistico che didattico, dobbiamo far entrare e uscire 18 classi da tre corridoi diversi, frughiamo negli scaffali in cerca di planimetrie, scopriamo che da qualche parte c'era un piano "antiterrorismo" risalente al 2001 e ci domandiamo: ma cos'era successo di terroristico nel 2001? Ci metto un po' a ricordarmene, l'Evento ormai è lontano, non bazzico più uffici open space ma corridoi affollati. Sono un'altra persona. 
    Conflitto: Niente Sarà Come Prima vs Ma cos'era successo poi?
  • L'11 settembre 2021 sono passati vent'anni, la maggior parte per fortuna facendo altro. Non sapendo cosa aggiungere, metto in fila tutti i pezzi sull'11/9 sperando che l'effetto d'insieme significhi qualcosa. Forse no. 

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La fine dell'autocritica

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Questa immagine, ma soprattutto questa didascalia, divide l'internet italiana in due parti, e sospetto che la divisione azzecchi l'età mentale meglio dei documenti anagrafici. Non saprei tracciare un discrimine (nati nel 1980? 1985?) ma da un certo punto in poi è un'immagine imbarazzante: Ritratto di regista boomer che non capisce dove va il cinema. Probabilmente i giovani non fanno nemmeno caso ai capelli bianchi, che erano il punctum della composizione: Moretti era arrivato a Cannes con la chioma nera di ordinanza, il contrasto sempre più insostenibile col grigio cenere della barba. Quando sei un personaggio pubblico a un certo punto devi fare questa cosa di ammettere che ti tingevi i capelli, per quanto al di fuori possa sembrare ridicolo per alcuni è più traumatico di un coming out. In una botta sola devi ammettere che sei vecchio e che cercavi di nasconderlo. Se poi quasi nessuno ci fa caso è peggio ancora, significa che loro ti vedevano già vecchio: sei tu che ti aggrappavi al tuo autoritratto mentale, gli altri le tue rughe le danno per scontate, le vedono anche nei film dove ancora non le avevi. 

Pochi giorni prima

Per quelli nati prima del discrimine, questo è il caro vecchio Moretti che si prende in giro da solo, con quella spietatezza che negli ultimi film si è un po' attenuata (ma solo un po'). È il Moretti-regista-isterico di Sogni d'oro (ma anche di Mia madre), quello che vuole vincere a costo di rendersi ridicolo, e che non vuole morire. Più del Moretti che non si capacita del successo di Henry, pioggia di sangue, è quello che si fa una canna davanti alla tv mentre Berlusconi trionfa. Certo che è patetico, ma lo fa apposta. Al che i più giovani possono ovviamente rispondere: certo che lo fa apposta, ma è patetico, e il discrimine è tutto qui. 

Per i vecchi quel che importa è l'intenzione; per i giovani il risultato. Moretti non ha fatto tantissimi film, così che non capita poi così spesso l'esperienza rivelatoria di riguardarli per caso senza averne l'intenzione: quella situazione in cui ogni volta mi stupisco di quanto era perfido con sé stesso e con il sociotipo che interpretava. Moretti picchiava sua madre, spintonava il padre, stalkerava sue ex, scenate dappertutto. Questa perfidia era un valore in sé, ma se i giovani non la capiscono forse il suo cinema in breve non interesserà più a nessuno. Questo mi dispiace più di altre cose, e sento che sto per rimettermi a parlare di Woody Allen, scusatemi. 


Woody Allen di film ne ha fatti molti di più, diciamo anche troppi di più, diciamo che anche se gli impedissero di farne altri non sarebbe una catastrofe culturale; la vera catastrofe culturale è che non sono più in grado di apprezzare quelli vecchi. Prendono Manhattan per una prova indiziaria, non è che non capiscano che Allen in un film del genere stava denunciando sé stesso e i suoi simili, ma ne approfittano, Allen si autoaccusa e loro si autonominano giudici e lo condannano. Ammettiamo che nei trent'anni dell'abbondanza era diventato a un certo punto un topos prendere in giro la figura del borghese intellettuale sempre sull'orlo della crisi di nervi, ormai una maschera di una postmoderna commedia dell'arte. Poi a un certo punto cambia il paradigma, all'improvviso e con una certa violenza: chi ancora indugiava nel topos autocritico (ad esempio Louis CK) viene stritolato da un meccanismo che si rivela molto più spietato di lui. Si è all'improvviso convocato un nuovo tribunale e ci si rende conto che tutto questo autocriticarsi non funzionerà come attenuante, anzi, tutti questi artisti non hanno fatto che facilitare il lavoro ai nuovi accusatori. Woody Allen, ci spiegano, è ossessionato dal sesso, e dalle giovinette. Certo, rispondiamo, Allen non fa che esprimere in modo grottesco queste ossessioni che sono comuni a tutti, ehm, noi: ma a questo punto gli accusatori alzano un sopracciglio e noi siamo nei guai. Meglio cominciare a scrivere che Allen ha fatto il suo tempo, forse qualche giovinetta tornerà a metterci un like. 

Com'è successa questa cosa, di chi è la colpa. Siete seduti? Perché sto per dare la colpa a internet, ai social network, ebbene sì, sto invecchiando molto più rapidamente di Moretti. Ma mi ricordo che fino a un certo punto anche su questo blog trovavo normalissimo esprimere le mie frustrazioni, la percezione del mio essere ridicolo, i miei guai e le mie colpe, e cosa cercavo? Se non assoluzioni, certo attenuanti da un giudice bonario che al di là di tutto il materiale probante avrebbe valutato le mie intenzioni. Un approccio, starei per dire, molto cattolico: non fosse che né Allen né Moretti mi sembrano particolarmente cattolici. Comunque a un certo punto ho dovuto smetterla: non potevo più mettere in mostra le mie debolezze perché c'era gente cattiva lì fuori che le avrebbe riprese, linkate, taggate, esagerate, additate, e vi giuro questa gente esiste davvero, non me la sogno, magari saranno appena una manciata di persone ma sono fastidiosi come zanzare e per evitarle ho smesso di denudarmi in pubblico. È stato un processo graduale, non saprei neanche dire quando è iniziato, fatto sta che mi sono costruito questa specie di Io pubblico che magari è pessimista ma non si dispera mai, non piange mai, non ti racconta più i suoi traumi infantili e quanto era patetico da adolescente – tutto questo fino a metà '00 si poteva fare, ora ti prenderebbero per pazzo, non c'è più nessuna gloria nel sapersi mettere in berlina. Ora devi imparare a sanguinare per i fatti tuoi, con tutti gli squali in giro. È un mondo diverso. Ipocrita in un modo diverso. Forse preferivo l'ipocrisia di Moretti che cercava la nostra simpatia comportandosi in modo insopportabile. Era paradossale, probabilmente preferisco i paradossi. 

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Il G8 di Genova: descrizione di sette battaglie

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Ho un problema con chi ricorda Genova. Razionalmente, mi dico, non c'è niente di strano a voler commemorare un episodio che fu traumatico anche per molti che non c'erano. E quindi incoccio in decine di resoconti, un genere letterario già sintetizzato nella formula treno-corteo-mazzate-treno, e non ho il diritto di sentirmi infastidito, ma succede. Leggo tante cose e hanno tutte senso, ma forse le ho lette troppe volte. Alcune ormai hanno fatto il nido nell'inventario dei luoghi comuni: sembra ovvio affermare che a Genova sia finito qualcosa: avrebbe anche un bel senso narrativo immaginare una generazione che lotta per un mondo migliore, si prende un bel po' di mazzate, se ne torna a casa a drogarsi o a imborghesirsi e il mondo peggiora. Insomma un canovaccio già scritto negli anni Settanta/Ottanta che già nel 2001 qualcuno pretendeva di farci recitare, c'era del nervosismo perché non sapevamo bene le battute. Invece non è andata così, a Genova non è proprio finito niente (persino gli errori più marchiani purtroppo sono stati ripetuti di lì a pochi mesi), mentre qualcosa è iniziato. Vabbe'. 

Ho un problema con chi ricorda Genova perché ricordare significa armonizzare la propria memoria con il nostro presente, rimuovere tutte le asperità, le cose che il nostro Io del 2021 non accetterebbe più, costruirsi un passato più sensato e accomodante. Per capirlo mi basta confrontare i miei ricordi, tutti belli carini e armonizzati, con quel che ho lasciato qui scritto, per niente carino, anzi grezzo e imbarazzante, quel passato irrisolto che languisce negli scatoloni del solaio e non avete voglia di aprire e guardarlo neanche con la scusa degli anniversari. Ho un problema con chi ricorda Genova, me stesso incluso. Più ne parlo più mi allontano. Mi toccasse spiegare a chi non c'era, farei una gran confusione e farei apposta, perché il G8 fu soprattutto questo: una gran confusione. Ogni memoria parziale tradisce questo aspetto, ognuno era andato con una sua agenda e ha portato a casa la sua esperienza. C'è chi non crede nell'esistenza dei Black Bloc perché non li ha visti, c'è chi pensa che Casarini fosse il leader del movimento intero e non di una frangia che si era conquistata (anche meritoriamente) un particolare risalto mediatico. 

Il G8 non fu una manifestazione, questa è una cosa che bisognerebbe spiegare a chi ha pazienza. Le manifestazioni più o meno tutti sanno cosa sono e come funzionano: c'è un tema importante, molta gente lo condivide e scende in piazza. A volte è autorizzata, a volte no; a volte la polizia mena, a volte no. La maggior parte di chi arrivò a Genova si aspettava in effetti qualcosa del genere. Quel che successe davvero è che a Genova di manifestazioni ce n'erano tante, promosse da enti diversi, con obiettivi a volte opposti e pratiche che non si conciliavano tra loro, per cui per respirare atmosfere completamente diverse bastava a volte voltare un angolo, o addirittura restare nella stessa piazza ma con una maglietta diversa. E non sto parlando solo del tremendo venerdì delle piazze tematiche: a Genova già da giorni arrivava gente con idee diversissime, in particolare l'associazionismo cattolico era in seminario già da una settimana. Poi ci fu la contromanifestazione delle forze dell'ordine, che fu la vera traumatica novità di quel G8; e sabato ci fu la reazione popolare. Quante manifestazioni ci furono, più o meno nello stesso momento e nella stessa città? Ogni volta che le conto arrivo a un numero diverso, vediamo stasera. 

1. La prima manifestazione, quella che doveva attirare i riflettori del mondo, era quella degli "Otto Grandi": i rappresentanti dei governi di USA Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, e Russia. Fa veramente strano rileggere l'elenco oggi e pensare che Cina e India non fossero ancora ritenute degne. Questo tipo di vertici si convocava una volta all'anno (si convocano tuttora) e al di là dell'agenda lanciavano un messaggio al mondo intero: siamo noi, le nazioni economicamente più evolute, il vero supergoverno informale del mondo. Ce ne rendiamo conto e ce ne prendiamo la responsabilità. Non c'è bisogno di sottolineare quanto questo approccio sapesse di un imperialismo fuori tempo massimo: persino il G8 a un certo punto ha sentito la necessità di cambiare. Gli impegni presi da quel G8 in materia di ambiente o di lotta alla povertà erano poca cosa e non se li ricorda nessuno. È il caso di ricordare che il vertice di Genova fu il primo evento di questo tipo a cui partecipò George W. Bush, che si era insediato pochi mesi prima alla Casa Bianca malgrado avesse raccolto meno voti del suo rivale democratico, Al Gore. Nella sua campagna elettorale del 2000, Al Gore parlava già di riscaldamento globale, un problema che del resto era già in cima alla priorità della comunità scientifica e aveva già ispirato i protocolli di Kyoto. Per gran parte della base repubblicana che votò Bush, il riscaldamento globale era una bufala.  


2. Contro la manifestazione di potenza dei grandi del mondo, già dal 1999 (Seattle) aveva preso forma un movimento di protesta internazionale. Si trattava per lo più di studenti provenienti dalle nazioni del G8 o comunque da Nordamerica ed Europa Occidentale. Avevano impostazioni ideologiche diverse ma comunque identificabili nella sinistra antagonista (anarchici, comunisti, ambientalisti) e per lo più provenivano da famiglie del ceto medio – potevano permettersi di viaggiare per il mondo. Dopo Seattle, le polizie europee li guardavano con sospetto, convinte probabilmente di assistere all'incubazione di una nuova internazionale terroristica. Sospetti ridicoli, col senno del poi: però gli studenti erano i più facili da fermare alla frontiera. Tra di loro era prevedibile che ci fosse qualche futuro membro della classe dirigente, ad esempio Pablo Iglesias (Alex Tsipras fu bloccato al porto di Ancona). E c'erano anche (non maggioritari) i casseur, che a quel tempo per lo più si ritenevano di matrice anarcoide: i famosi black bloc. Che alcuni fossero infiltrati, della polizia o dell'estrema destra, o semplici turisti del vandalismo, è un sospetto che cominciò a serpeggiare soltanto a Genova. Ovvero: la mattina del 20 era già molto più che un sospetto, ma 24 ore prima nessuno se lo immaginava, nessuno con cui io avessi parlato o di cui avessi letto qualcosa.  


3. Se i vertici del G8 (punto 1) avevano scatenato le manifestazioni internazionali anti-vertice (punto 2), queste manifestazioni a loro volta avevano 'forato il video', calamitando l'attenzione di un pubblico italiano molto più variegato, sia socialmente che ideologicamente. Per dire, a Genova arrivarono gli scout cattolici; le Onlus del Terzo Settore che in quel periodo si avvalevano ancora del servizio civile degli obiettori di coscienza ed erano quindi molto più dinamiche che in seguito; i movimenti di cooperazione; le associazioni ambientaliste; qualche sindacato (mica tanti); c'era Bertinotti che cercava una nuova anima movimentista per il suo partito e bisogna dargli atto che restò lì anche nel momento in cui tutta la stampa aveva deciso che a Genova c'erano gli Unni; tutta questa gente aveva scoperto in tv e sui giornali che si protestava contro il G8 e aveva pensato: giustissimo, andiamo anche noi. Portiamo le nostre idee, prendiamoci qualche piazza tematica, montiamo un banchetto. Se non sbaglio c'era pure Slow Food coi chioschi dei panini, perché alla fine era diventata anche una questione di visibilità, insomma fino a giovedì piazzale Kennedy sembrava una fiera, con gli anarchici internazionali in giro un po' perplessi che si sentisse più odore di salsiccia che di fumogeno. Quando si dice che Genova fu traumatica, bisogna capire che per molti la vigilia fu questo: non erano tutti con Casarini e Caruso a progettare l'assalto alla zona rossa, un sacco di gente pensava che alla fine sarebbe stato un corto normale, con qualche carica e qualche vandalo, ma niente di più. E non si trattava soltanto di persone ingenue: c'era anche l'idea di non lasciare le proteste in mano agli esaltati, di mostrare il fianco più moderato, nella speranza che facesse da schermo. E invece la polizia ci andò giù pari, con tutto l'associazionismo che si era appena federato e si era dato il nome più rassicurante possibile, Rete di Lilliput. Ebbene sì, a Genova i poliziotti menarono anche i lillipuziani. Fu un battesimo del sangue, perché Lilliput non smise affatto di esistere e mettere in rete persone di estrazioni e ideologie diversissime – io sono convinto che Lilliput sia stato uno degli incubatori del grillismo, ma non posso dimostrarlo e non voglio neanche litigare. 

4. Il movimento anti-verticista di cui al punto 2 non aveva ispirato soltanto l'associazionismo, ma aveva trovato un'incarnazione più fedele al modello nel mondo della sinistra antagonista e dei centri sociali. Questo mondo a sua volta era variegatissimo, ma non così settario: anzi, stava cercando di sfruttare la nuova vague di manifestazioni anti-vertice per uscire dai ghetti urbani che si era scavato durante tutti gli anni '90. I centri sociali numericamente non erano così rilevanti: non portarono a Genova fiumi di persone, ma erano gli unici che davano la sensazione di essere, per così dire, preparati al peggio: e invece quel che successe sconvolse anche loro. Alcuni loro rappresentanti avevano partecipato a Seattle e agli eventi successivi; conoscevano la differenza tra Black Bloc e Pink Bloc (sì, c'erano già anche i Pink Bloc); si erano già mobilitati per alcuni vertici che in teoria erano l'antipasto del G8: l'OCSE a Bologna e il Forum Mondiale a Napoli (dove nacque l'orribile nome "No Global"). In queste occasioni avevano chiarito le loro priorità: a nord si puntava il dito sulla contraddizione di una globalizzazione delle merci che negava la globalizzazione dei popoli: si parlava già di "Fortezza Europa" come di qualcosa da espugnare da dentro e da fuori. A sud si sentiva la maggiore presenza dei disoccupati e si puntava sul reddito minimo garantito. Ma obiettivi a parte erano i metodi di protesta il campo in cui gli antagonisti avevano dato prova di una certa creatività, nel tentativo di uscire dalla routine dei tafferugli anni '90, sviluppando pratiche che, cito a memoria, dovevano superare la falsa dialettica violenza non-violenza, ovvero trovare una sintesi tra chi voleva menare le mani e chi professava un pacifismo totale. A nord questa sintesi aveva dato vita alle Tute Bianche, un gruppo che accettava solo un tipo di violenza, ovvero quello passivo: la Tuta Bianca si costruiva in casa un'armatura di gommapiuma e plexiglass con la quale si sarebbe schiantata contro i celerini, nella speranza che lo scontro fosse ripreso abbastanza vicino da una videocamera (il colore bianco serviva a far risaltare il sangue).

  


Le Tute Bianche ci tenevano a non essere confuse coi Black Bloc, e a ragione: i Black Bloc mordevano e fuggivano massimizzando i danni e minimizzando i rischi, in pratica facevano guerriglia. Le Tute Bianche viceversa cercavano la battaglia campale, a richiederla era la loro stessa forma mentis, il modo in cui dividevano il mondo in moltitudini e fortezze e zone temporaneamente liberate. Furono loro a insistere sul concetto di Zona Rossa che andava assolutamente violata – obiettivo che già allora mi sembrava discutibile, e infatti andai in un'altra piazza, giusto per scoprire che la polizia caricava uguale. Dopodiché le manifestazioni hanno sempre un aspetto teatrale, da che esistono i media e anche prima, per cui oltre un certo limite è inutile accusare i manifestanti più esagitati di giocare alla guerra; le manifestazioni sono precisamente questo, per mostrare un conflitto lo metti in scena e speri che i media lo trovino abbastanza interessante. Se non lo trovano abbastanza interessante rischi un po' di più. Casarini rischiava un po' di più, ma non è che Gandhi si comportasse in modo sostanzialmente diverso. Soprattutto Casarini aveva il suo daffare a tenere assieme gente che se non avesse avuto l'obiettivo della Zona Rossa e lo scudo di plexiglass si sarebbe disperso e sarebbe stato tentato da pratiche assai più distruttive (malgrado i giornali lo ritenessero un pericoloso masaniello, Casarini era in sostanza il negoziatore, quello che doveva tenere aperti tutti i canali). Il punto debole non era tanto il plexiglass, quanto la disciplina: per funzionare, la pratica delle Tute avrebbe dovuto essere condivisa universalmente, e invece tutt'intorno c'erano casseur e infiltrati che vandalizzavano automobili e vetrine, o interpretavano la guerra di posizione in senso meno retorico e più letterale. Già venerdì sera le tv non mostravano le ferite riportate dalle Tute, ma la "devastazione"; qualcuno aveva giocato il loro gioco meglio di loro e fu l'ultima volta che fu concesso stupirci della cosa: da lì in poi doveva essere chiaro che a tutti che i media preferiscono le vetrine rotte alle tue ossa altrettanto rotte.

5. Può darsi che le proteste organizzate della sinistra antagonista di cui al punto 4 avessero innervosito i vertici delle forze dell'ordine. Può anche darsi che questi vertici ci tenessero a dimostrare al governo insediato di fresco (il Berlusconi II) che la musica poteva cambiare, se c'era la volontà politica: e una rapida visita del vicepresidente del consiglio, Gianfranco Fini, sembrava voler dire che questa volontà c'era. Fatto sta che la manifestazione più importante del G8, quella che davvero è passata alla storia, fu quella repressiva di polizia e carabinieri (ma anche finanzieri e forestali, sul serio, li ho visti anch'io). Anche questa manifestazione cominciò con una fiera: qualcuno spero si ricorda il tizio vestito da truppa d'assalto che si faceva fotografare da un terrazzo su un piazzale nello splendore del suo abbigliamento antisommossa; e mentre in piazzale Kennedy suonava Manu Chao, dall'altra parte del muro di container i rappresentanti dell'ordine ballavano la tecno. Le mazzate che cominciarono a tirare il giorno dopo non erano in nessun modo proporzionali alle offese eventualmente ricevute; per quanto i giornali continuino a raccontare questa cosa, non è che la polizia intervenisse duramente per reprimere i vandali; i vandali agivano indisturbati mentre altrove la polizia menava cortei abbastanza a casaccio.

Non bisogna stancarsi di sottolineare, finché chiunque continui a sostenere il contrario non soffochi nella sua merdosa ipocrisia, che la violenza delle forze di polizia a Genova è un unicum; non è che poliziotti e carabinieri in generale ci andassero piano con i manifestanti dei centri sociali, ma qualsiasi manifestante di quel mondo che è passato da Genova vi confermerà che quello che si vide lì era sensibilmente diverso. Una violenza cieca, rabbiosa, mal congegnata che trionfò alle Diaz e proseguì alla caserma di Bolzaneto, e che tutto sommato fallì il suo scopo, per un motivo non molto diverso da quello per cui fallì la strategia campale dei centri sociali. Proprio come i centri sociali avevano pensato di ritrovarsi soli contro la polizia, anche la polizia aveva messo in pratica la strategia più adatta a fiaccare i centri sociali, senza sapere che a Genova si sarebbe trovata davanti a un movimento molto più eterogeneo, che tornò a casa terrorizzato e riuscì, con una certa pazienza, a convincere parte dell'opinione pubblica che in quei giorni era successo qualcosa di grave. Se fu un esperimento di repressione autoritaria, fece molto male e uccise, ma fallì. 

6. Che la manifestazione repressiva sarebbe fallita lo si capì sabato 21 luglio, quando ci svegliammo ancora intontiti e dolenti per la morte di Giuliani e scoprimmo che un sacco di gente era appena arrivata per manifestare assieme a noi. Contro i pareri dei principali partiti e sindacati, la gente era lì: alcuni più vicini alle istanze del punto 3, altri del punto 4 o del 5, ma sabato a mezzogiorno tutto questo non aveva più molta importanza, e non l'avrebbe più avuta per un anno o due. Quel mattino era nato il Forum Sociale, con tutti i suoi limiti che in questo pezzo non ci stanno. Tra i temi promossi dal Forum c'erano tutti quelli che ci stanno affliggendo oggi: la sostenibilità ambientale, la speculazione finanziaria, i regimi di schiavitù cui inevitabilmente portava una globalizzazione delle merci e non delle persone. C'era già tutto e c'era, certo, anche una vena già complottarda e anti-tutto che avrebbe portato qualcuno verso posizioni identitarie – c'era anche Bagnai, per dire, non a Genova ma di lì a poco nelle iniziative di Sbilanciamoci. Mancava una vera classe dirigente; c'era una diffusa insofferenza verso chiunque si ritrovasse anche solo per necessità nel ruolo di portavoce; Casarini Caruso o Agnoletto non furono mai leader carismatici, neanche ci provavano. 

7. A Genova un sacco di gente c'era semplicemente per vedere cosa sarebbe successo. Non si erano mai viste tante videocamere nello stesso posto, certo, oggi le abbiamo tutti in tasca e non fanno più tanto effetto. Si sapeva che le cose potevano andare male, e questo attirava interesse e curiosità. A Genova c'ero anch'io perché volevo vedere coi miei occhi e scrivere quello che vedevo; non avrei tollerato di perdermi un'occasione del genere e questo in seguito mi ha dato un po' da fare – mi sono sentito un turista anch'io, l'intruso in una battaglia che non capivo, che tuttora sto cercando di spiegarmi. A Genova, dopo dieci minuti in piazzale Kennedy avevo già la maglietta del servizio d'ordine (il che lasciava perplesso pure me su quanto fosse facile infiltrarsi); passai il concerto a tenere sgombro il passaggio per le ambulanze e a supplicare in tre lingue i ragazzi di non andare a infrattarsi sugli scogli. Sabato mattina avevo in mano le chiavi della scuola Pascoli ed ero dall'altra parte della strada, nel plesso Diaz, mezz'ora prima che la polizia irrompesse. Ho molti ricordi ma non mi fido molto, so che sono parziali e viziati dalla necessità di andare d'accordo con tutti i sé stessi passati. È difficile spiegare cosa mi ha lasciato Genova, ma non sopporto di leggere che Genova ci ha fermati o bloccati o sconfitti. Io non mi sono fermato, non mi sono bloccato, non sono sconfitto. Quello che cercavo di fare a Genova, lo faccio ancora e spero molto meglio, perché a Genova diciamolo, facevo abbastanza schifo. 

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Il mio corpo è una moquette

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È buffo, è indicativo e imbarazzante: me ne sono reso conto oggi, quando per la prima volta ci ho pensato per più di cinque minuti. Il concetto di Raffaella Carrà – che per molti è indissolubilmente associato a un ombelico, a un caschetto, un sorriso – nel mio caso è legato a una sensazione di moquette. Con tutto quello che la moquette implica per un bambino: una sensazione di libertà e insieme di sicurezza, la possibilità di stendersi liberamente sul pavimento di una palestra mentale in cui deve essere cominciata una specie di educazione sessuale. Sensazione soprattutto tattile, e olfattiva. Quei grandi studi tv pieni di specchi mi sapevano di polvere – forse perché il tubo catodico attirava e ospitava ogni sorta di pulviscolo, ma è anche il profumo della moquette quando ci spremi il naso. Ma insomma io ero bambino, facevo al limite ginnastica correttiva, e questa affermava che il suo corpo era una moquette così accogliente da addormentarcisi. 

Col sesso del poi, una cosa piuttosto fetish, ma cantata con un'allegria sincera, contagiosa. In un periodo in cui la sessualità era associata ad atmosfere morbose (senza cercare troppo lontano basta pensare a Mina negli stessi anni '70, al tipo di smorfie quasi postribolari che doveva affettare in favore di telecamera per risultare sensuale). La Carrà no. Lei sorrideva e ti si srotolava sotto, ti dava l'idea che alla fine il sesso potesse anche essere una cosa simpatica e divertente da fare in compagnia. Poi non lo so quanto ciò mi abbia aiutato: stasera mi piace pensare che sì, molto. 

Raffaella Carrà non mi è stata sempre simpatica: le maestre costantemente sorridenti ed efficienti a una certa età risultano odiose. Ci si accorge quanto erano indispensabili quando se ne vanno in in pensione o all'estero e al loro posto arriva gente che magari s'impegna ma non sempre, non abbastanza, gente che quando sorride tirata ti fa paura, la Carrà non faceva paura mai. Il professionismo è l'ultima qualità che impari ad apprezzare, forse perché è un insieme equilibrato di tante qualità che non devono farsi notare, non devono rubare la scena. Finché c'è non te ne accorgi, poi non c'è più e ti manca. Nove anni fa, a un concerto di beneficienza per l'Emilia Romagna, Raffaella Carrà si mangiò il palco. Prima e dopo di lei artisti che in teoria in uno stadio avrebbero dovuto trovarsi più a loro agio, e invece per un motivo o per un altro non erano in serata. Lei non poteva non essere in serata, non esistevano motivi per cui sarebbe potuto succedere. Non esisteva una Carrà sottotono, non è mai stata prevista, non credo che nessuno di noi sarebbe riuscito a immaginarsela. Non c'è.  
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Al fiol dal mecanic

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Nella macchina nuova si è accesa una spia enorme, una spia del motore. Al telefono il concessionario ci tranquillizza, se la luce è arancione non è niente, portatecela e fissiamo un appuntamento. Ma è enorme. È il motore. 

Apro il cofano, non sembra neanche un motore da tanto che è pulito, brilla quasi. Dov'è la lancia dell'olio? Sembra che non ci sia olio. Gripperà sulla strada del concessionario, io lo so, ero il figlio del meccanico, io. Sono cresciuto respirando nafta, capivo dal rumore se stava parcheggiando un diesel o un motore a scoppio, ma siete sicuri che non picchia in testa tra due isolati? Ma sì dai, fissiamo un appuntamento.

E dàgli col fissare gli appuntamenti, cosa siete diventati, parrucchiere? Adesso la porto e vediamo.

C'è un'officina enorme dietro la concessionaria, ma non puzza di officina. L'odore di olio frusto e benzina, la morchia, non si sente più. Non è neanche la prima officina dove non riesco a sentirlo, ma almeno qui le piastrelle del pavimento sono rettangolari e rosso mattone, almeno quello. Ci sono computer dappertutto, il tizio mi ascolta con un orecchio e con un altro ha già attaccato un laptop a uno spinotto misterioso sotto il volante. Un tizio lo sta tormentando perché ha testato il suo suv con tre tester diversi e continua a dargli un messaggio 404 "problemi al sistema cinematico", cos'è il sistema cinematico? mi vengono in mente gli avengers e mi vergogno.

Dove sono i ripostigli a rotelle pieni di chiavi inglesi buttate alla cazzo, dove sono i crick mobili a forma di enormi monopattini di ghisa, dov'è il figlio deficiente del gestore che gira in skate in braghette in mezzo agli attrezzi dov'è la mia infanzia.

Non era neanche il Duemila quando m'imbattei in una delle prime barzellette on line, c'era Bill Gates re del mondo che spiegava che se la Mercedes negli ultimi dieci anni avesse fatto i progressi nel suo campo della Microsoft, le macchine volanti sarebbero state pronte a conquistare la luna. Al che gli ingegneri della Mercedes rispondevano che se avessero fatto nel loro campo i progressi della Microsoft, ogni auto si sarebbe fermata in mezzo all'autostrada con il segnale: spegnere e ricominciare l'autostrada dall'inizio. La trovavo molto divertente e oggi ci sono dentro.

Mio padre dopo una giornata di duro lavoro si grattava la morchia dalle mani con una pasta rugosa che non so nemmeno se è ancora in commercio. Quando confrontavo le mie mani con quelle degli adulti, mi sembravano strumenti completamente diversi e dubitavo che sarei mai cresciuto, anche mio padre suppongo dubitasse. Avevamo ragione.


Già fine anni Ottanta suo fratello non vedeva più il futuro nell'autoriparazione e lo convinse a investire in autogrù più grandi che caricavano qualsiasi cosa, alzavano i silos in mezzo alla pianura, arrivavano, puntavano sei piedi a terra ed estraevano questo braccio superfallico con scritto sopra: Tondelli. Alla Festa del Lambrusco il braccio svettava sopra il campanile, reggeva una vecchia botte di legno, voi lettori modenesi l'avete vista di sicuro ma con la ricordate. Con quel che bevevate. 

D'estate quando avevo vent'anni ogni tanto mi portava con sé in un cantiere, lo aiutavo a muovere qualche leva, una volta poi tornammo a casa e non so dov'era il resto della famiglia, forse al mare? Io tirai fuori dallo scantinato una boccia di bianco e vomitai tutto l'indomani. Tuttora non posso respirare nei dintorni di chi ha aperto un Bianco di Castelfranco (effettivamente un vino da sciagurati). Ero già allergico a tante cose, mio padre dovette concludere che lo ero anche al lavoro e non mi portò più. Spiegargli che ero semplicemente un ventenne coglione sarebbe stato troppo doloroso.

Ancora vent'anni dopo, mio padre mi controllava l'olio e non importa dove mi trovassi, a che ora e in che situazione, io sapevo che mi bastava chiamarlo e sarebbe arrivato, con una gru o un carro attrezzi o quel che serviva, mi avrebbe appeso un gancio e mi avrebbe sollevato di peso da qualsiasi fossato, da qualsiasi problema, senza dirmi niente, perché era mio padre e non doveva mai dirmi niente. Doveva salvarmi e basta. 

E ora eccomi qui. Alla fine con la macchina non era niente: uno scompenso di pressione in un affare, un falso positivo, invece l'olio era ok.
"Eh io temevo l'olio".
"Si preoccupano tutti per l'olio. Comunque se succede di nuovo telefona, e..."
"Fissiamo un appuntamento".
"Esatto sì grazie".
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It's getting better giovedì sera a Carpi

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Buongiorno a tutti. Giovedì sera 10 giugno alle 19:30 (le vere 19:30, ché bisogna finire presto) presenterò per la prima volta dal vivo di Getting Better a pochi metri da dove l'ho scritto, cioè al Mattatoio di Carpi. Accorrete puntuali, distanziati e mascherati. 

 


Non preoccupatevi, non ci sono solo io che parlo ma anche un po' di musica anche se non posso dire di che genere. 

Colgo l'occasione per segnalarvi che, in occasione dell'80esimo compleanno di Bob Dylan, Niccolò Vecchia ha organizzato uno speciale su di lui su Radio Popolare chiedendo ad alcuni dylaniti italiani qual è il loro disco preferito. (L'ha chiesto anche a me) (non vi dico qual è, dovete sentire il podcast).

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A little better all the time

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Con la mia consueta intempestività segnalo che tra poco (alle 18:00 andrà in onda su Radio Sverso una puntata di Celsius 232 Circa in cui con Marco Manicardi e Sergio Pilu si discuterà di Getting Better e ne parlerò anch'io, in termini sinceramente positivi (parleranno anche di un romanzo di un tale Steinbeck, ma cercate di non distrarvi). Nell'occasione leggerò un brano, scoprendo peraltro l'ennesimo refuso.

Ne approfitto per segnalare un po' di interventi autopromozionali, che è un po' che non lo faccio. Sul sito di Rai Cultura per esempio c'è una riflessione brevissima sulla morte di John Lennon

Qui invece Donato Zoppo mi intervistava per Rock City Nights su Radio Città Benevento, ma forse il podcast non c'è...

...Invece qui c'è tutta la bella chiacchierata all'Off di Modena in occasione del Lennon Day.

Qui invece la più severa recensione di Maurizio Codogno, che tra l'altro di refusi me ne ha trovati tanti altri che in questo pezzo non ci stanno, ne servirà un altro. A presto (it can't get much worse).

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Di un pezzo sbagliato che ho scritto un anno fa

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È buffo come invecchino i pezzi che uno scrive. Alcuni funzionano ancora dopo vent'anni, altri dopo pochi mesi sembra che li abbia scritti un altro. Presto o tardi tutti scadono, ma quello che ho pubblicato appena un anno fa ci ha messo davvero pochi giorni. È commovente pensare quanto io sia cambiato, in un periodo di tempo che alla mia età si percepisce come brevissimo: oggi non scriverei mai un pezzo del genere, e se lo leggessi in giro magari mi incazzerei con chi lo scrive. Non mi sembra giusto cancellarlo, ma preferirei corredarlo di una specie di spiegazione, come quelle che le piattaforme di streaming allestiscono per i film del passato che rischiano di scandalizzare gli spettatori che non sono abituati (né obbligati) a contestualizzare. 


Dunque, caro pubblico immaginario: è vero, un anno fa consideravo il lockdown una misura inadeguata, che avrebbe causato più danno (economico) che utile (epidemiologico): più che una misura di prevenzione, lo ritenevo il risultato di una particolare circostanza politica, una specie di rivincita di un'autonominatasi élite meritocratica contro il populismo che aveva propulso il M5S al potere. Siffatto fenomeno lo definivo "burionismo" e rileggendomi sembra che mi preoccupasse più del virus. Almeno questa è la sensazione che davo. Una cosa che non traspare affatto dal pezzo è che avevo in realtà fatto già in tempo a spaventarmi: due giorni prima (lunedì 24) mi era già capitato di contattare il mio medico di base e di confessare alcuni sintomi vaghissimamente influenzali – quello che mi preoccupava davvero era che avevo appena scoperto che il genitore di un mio alunno era stato ricoverato. Pochi giorni prima era entrato lui stesso nella mia scuola, per ritirare la pagella; l'indomani, per motivi di lavoro, era transitato nella zona tra Pavia e Lodi in cui era stato localizzato il primo focolaio lombardo. Se la consegna della pagella fosse stata programmata nella settimana successiva, anche la mia scuola sarebbe probabilmente diventata un focolaio. A Carpi fu il paziente zero, ma non il primo a morire, qualche settimana dopo; la tempestività con cui comunicò alle autorità sanitarie i suoi sintomi evitò probabilmente un disastro peggiore. 

Insomma il covid, che in quei giorni era vissuto ancora in gran parte d'Italia come uno spettro lontano (e tale sarebbe rimasto, in molte province fino all'autunno), per me era già una realtà quotidiana: da quel lunedì avevo smesso di andare a scuola, ma non avrei mai immaginato che la scuola non avrebbe più riaperto fino a settembre; che gran parte dei miei ragazzi di terza li avevo già visti dal vivo per l'ultima volta. Il lockdown che immaginavo mentre scrivevo quel pezzo era una banale sospensione didattica di una o due settimane, e dall'alto delle mie improvvisate competenze epidemiologiche lo consideravo un banale palliativo, una specie di scotto da pagare a Burioni e compagnia. Non avrei neanche avuto tutti i torti, se davvero tutto dopo dieci giorni fosse stato riaperto (e di questo ero sicuro). L'eventualità di un lockdown esteso a tutte le regioni d'Italia, e protratto fino all'estate, era per me plausibile tanto quanto quella di una guerra civile: sul serio, per credere che negozianti e ristoratori avrebbero accettato misure così draconiane senza alzare barricate ho dovuto verificarlo coi miei occhi: e tuttora mi chiedo come sia stato possibile. Se potessi prendere una macchina del tempo e avvisare il mio io di un anno fa, sarei il primo a non credermi. Dopo un decennio buono passato a preoccuparsi dei NoVax e di qualsiasi banda di disperati che riuscisse a conquistare una piazza (i forconi!) chi se lo sarebbe aspettato tutto questo? Io non me lo aspettavo. Eravamo veramente all'inizio: si cercava ancora il paziente zero, si parlava di cinesi e pipistrelli. 

Già ai primi di marzo tutto era cambiato. Ripensando a quel che mi è successo dopo, mi sembra di avere scalato una montagna. In febbraio la vedevo da lontano, e pensavo di aver capito che forma avesse. Appena mi sono avvicinato, non ho più visto nient'altro se non il pezzo di sentiero che avevo davanti: non ho avevo abbastanza energia per preoccuparmi d'altro. C'era da inventare una didattica a distanza, riallacciare i contatti coi colleghi e gli studenti, organizzare gli esami, eccetera. Nel frattempo Burioni spariva all'orizzonte, eclissato da altri specialisti più disponibili a confrontarsi sui media. Oggi, quando lo incrocio su un social, mi sembra sempre un po' più ottimista di me. I numeri (soprattutto quelli della vicina Lombardia) ci suggeriscono che siamo ai prodromi della terza ondata, di tutte la più stupida perché sarebbe bastata un po' di prudenza per contenerla; ma bisognava per forza festeggiare il Natale in compagnia e riaprire le scuole superiori, dato che sono "sicure". 

Oggi mi sembra di vedere tutto chiaramente, ma ecco, la montagna non la vedo più: è tutto intorno a me, in gran parte sotto di me, e non posso escludere che il mio io di un anno fa tutto sommato una certa dimensione del problema, da lontano, l'avesse azzeccata: quanta economia possiamo permetterci di sacrificare per la nostra salute? Non che io pretenda di conoscere la risposta, ma appunto: chi avrebbe oggi la super-competenza necessaria per risolvere un dilemma del genere? Non si poteva pretendere che fosse Conte, un tizio che era stato messo al suo posto proprio da un partito di programmatici incompetenti. 

Oggi è un problema che non mi pongo più – non perché non mi riguardi, ma perché ci sono troppo dentro, appunto: riguarda la salute mia e dei miei cari, alcuni dei quali non ho più abbracciato da allora, alcuni dei quali non abbraccerò più. Sono troppo interessato alla questione per poter formulare un parere equanime, e soprattutto non riesco a non supporre un interesse simile in chi formula un parere diverso dal mio. Su un piano razionale posso capire che abbia senso tenere aperte le scuole – la gente non può restare a casa coi figli – e allo stesso tempo non posso non constatare quanti disastri stia facendo quel falso senso di sicurezza che abbiamo inoculato nelle famiglie, aprendo tutte le mattine degli edifici scolastici dove l'unica barriera tra i bambini e il virus è la mascherina che si portano da casa (quelle della Fiat sono troppo scomode). Un anno fa diffidavo dei Burioni, temevo che capissero più dei virus che delle persone; oggi ho paura dei Bonaccini e dei Salvini che per una manciata di voti in più sono ben disposti a riaprire impianti sciistici o ristoranti quanto prima. Il virus prima o poi lo prenderò, oppure riuscirò a vaccinarmi (la segretaria del mio medico ha detto di citofonare giovedì). Prima o poi insomma il covid passerà, ma i Salvini e i Bonaccini resteranno lì, con la stessa indifferenza per la mia salute. Non so a che punto sono della montagna: la vetta da qui non la vedo, in compenso il paesaggio a valle mi risulta più chiaro. Confesso una certa pietà per quel ragazzo che un anno fa si trovava alle pendici. Tra un anno chissà cosa penserò, e in generale cosa sarà di noi. 

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I venti pezzi più letti in vent'anni

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Il titolo è più fuorviante del solito: dei primi dieci anni (che pure furono i più ruggenti) non ho dati seri. Non è che non controllassi il contatore cinque o sei volte al giorno, eh? Ma non salvavo i resoconti, mi vergognavo. Poi verso il 2010 Blogger ha cominciato a tenere i conti da solo: prima con Google Analytics, poi (già nel 2011) con un contatore interno, che è quello che mi piace di più perché mostra una certa preferenza per il mio periodo più tardo – ci sono addirittura due pezzi dell'anno scorso, ciò mi fa sentire meno rincoglionito. Ecco quindi la sua top20, dalla prima alla ventesima posizione.  


Lasciate che i vostri figli facciano quei compiti (da soli)

Come comporre un test di verifica con Google Moduli

Ma pensarci domenica?

La sinistra che odia Recalcati

Caro fratello musulmano di Gramellini
Distruggere street-art è cosa buona se
Cerca di essere un uomo, Filippo Facci
Non è che puoi sempre prendertela coi bigotti
Non voglio pagare per la scuola privata di tuo figlio, grazie.
C'è un romanzo attualissimo che dovremmo studiare in tutte le scuole, l'ha scritto Alessandro Manzoni

Il genere maschile non esiste
Mandare 21 sindaci al Senato è una stronzata pazzesca
Rondolino contro il bullismo

Domande che nessuno gli avrebbe fatto comunque
Credo che le Iene dovrebbero chiudere
10 gioconde più originali dell'originale

Non siete Angeli
Ma il Fatto cosa pensa di te?


Come avreste potuto notare (ma non l'avete fatto) in realtà è una top19; il ventesimo risultato è un vecchissimo pezzo che riceveva soltanto spam, al punto che ho dovuto cancellarlo. Qui sotto invece la top20 di Google Analytics, molto più legata ai primi anni Dieci, quando il blog faceva effettivamente numeri più alti. 

1https://leonardo.blogspot.com/2012/03/5-cose-che-nessuno-sa-di-dalla-forse.html
2https://leonardo.blogspot.com/2013/03/ma-pensarci-domenica.html
3https://leonardo.blogspot.com/2011/07/perche-ho-scelto-scienze-inutili.html
4https://leonardo.blogspot.com/2010/06/eliminato.html
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17https://leonardo.blogspot.com/2010/10/begm-shnez.html
18https://leonardo.blogspot.com/2010/03/alle-mie-quotidiane-verginelle.html
19https://leonardo.blogspot.com/2013/02/domande-che-nessuno-gli-avrebbe-fatto.html
20https://leonardo.blogspot.com/2011/04/i-diabolici-agit-prof.html

Faccio presente che queste classifiche riguardano i link, cioè in sostanza i lettori presi all'amo su un social network o dal Post (nei primi Duemila anche gli altri blog ti mandavano accessi, ma è tutto superfinito ormai). I lettori abituali, quelli che arrivano in home e leggono il primo pezzo in alto, non risultano. Ma nel mio caso sono probabilmente la maggioranza.

(Ecco qui, adesso avete da leggere fino a quest'estate. Non dico che vado in letargo, no. Ma un po' me lo sarei meritato).
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Compio vent'anni e non so cosa mettermi

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Ridendo e scherzando, questa simpatica pagina web sta per compiere vent'anni. Di blog così antichi in Italia non ne sono rimasti molti (sì, questo è un blog, storia vecchia). In effetti mi piacerebbe poter dire che sono rimasto solo io; se non sono mai stato il più interessante e senz'altro il più remunerativo, mi sarebbe sempre piaciuto mantenere almeno questo primato. E invece niente da fare: i  blog classe '01 sono ormai tutti nel cimitero dell'internet Archive, tranne il mio e quello di Luca Di Ciacco che ha iniziato venti giorni prima di me. Luca senti ma ormai anche tu hai un'età, una professione stimolante, scrivi i libri, ma chi te lo fa fare di continuare a tenere aperto quel diario on line come un ragazzino, insomma datti un contegno dai. No scherzo ciao Luca, cento di questi giorni. 

A parte questa simpatica gag che credo di avere usato già qualche altra volta, non ho molto da dire su questo incredibile anniversario che mi fa sentire ancor più vecchio di quanto già io non mi. Sarebbe bello per una volta lasciar parlare le immagini, ma il problema è che il blog non le ha. Questo ricordo di averlo notato molto presto, perché in quel periodo scrivevo su qualche rivistina e la differenza mi saltava agli occhi. Non c'è nulla che si aggrappa alla memoria come la grafica di una vecchia rivista che nel frattempo ha fatto quattro restyling ed è irriconoscibile. Ecco coi blog non è così; ogni volta che cambi la grafica, anche i vecchi pezzi vengono riformattati con quella nuova. Succede qualcosa di simile ai nostri ricordi, credo; è quello che li rende così poco attendibili rispetto ai documenti tangibili, le foto e le vecchie riviste. Se avessi almeno salvato qualche screenshot, ma no, niente, mi vergognavo a pensare che ne sarebbe valsa la pena. Da un punto di vista meramente estetico no, non valeva la pena. 

"Un sito veramente qualsiasi" (2001)


Sul primo layout non c'è veramente molto da dire: era quello di fabbrica di Blogger, servizio quasi appena nato. Forse non c'era nemmeno ancora modo di cambiare i colori. I permalink c'erano ma non funzionavano. La cosa più incredibile è che ci fosse la fotina dell'autore (anche la sua barbetta, sì).

"Rivanga nel mio passato" (2002. Nel 2002 ero convinto di avere già un passato).


Il fatto che fosse un layout superbasico e che non avessi molta voglia di cambiarlo non significa che non sapessi quello che stavo non facendo. Venivo da anni di riviste autoprodotte, dicevo, anni passati a litigare coi grafici e con le loro folli idee che invariabilmente nuocevano all'esperienza (per me centrale) della lettura. Nello stesso periodo internet era pieno di siti orribili, voi veramente non avete idea di quanto fossero orribili i siti amatoriali ancora nel 2002; (quanto a quelli professionali, era il momento in cui tutti volevano rifarli animati in Flash). Anche solo scegliere un fondo bianco e il font più nitido possibile era una precisa presa di posizione. Detto questo, in quel periodo quasi tutti i blogger italiani erano webdesigner e quasi tutti avevano blog più belli del mio. Ma il mio faceva schifo in un modo consapevole, è questo che voglio dire. E se in seguito ha continuato a fare schifo, forse non sempre ha mantenuto tutta questa consapevolezza.

"Comunità" (2003).



Dal 2001 al 2003 insomma cambia soltanto il colore dello sfondo; nel frattempo era esploso il fenomeno blog (niente di paragonabile a quanto succede oggi quando prende piede un nuovo social, però insomma sui giornali uscivano dei pezzi e la gente ancora li comprava, qualcuno scriveva dei libri), eccetera. Quindi qui sotto si intravede una "colonnina", quel che oggi si dice blogroll, insomma la lista dei blog amici. Fatta a mano. Probabilmente mi facevo a mano anche il menu a tendine.

"Sei stata la mia Waterloo, Rozzano" (2004). 
 



Vabbe' dai, si vede che c'ero molto affezionato. Il banner blu in alto agli esordi conteneva pubblicità, poi a un certo punto Blogspot la tolse ma lasciò il rettangolo blu, che forse con uno speciale abbonamento premium si poteva togliere, ma non lo fece nessuno e alla fine Blogspot lo rimosse (chi fosse curioso di Rozzano può provare a leggere qui).
Nel 2004 la comunità dei blogger continuava a crescere, finché a un certo punto (estate-autunno) si fermò: il contatore restava fisso, potevi scrivere qualsiasi cosa ma ormai chi volevi raggiungere lo avevi raggiunto, si trattava di una bolla di qualche centinaio di persone in tutta Italia e cominciava a stagnare, così almeno mi sembrava, così pensai che dovevo fare qualcosa di nuovo, ma come si fa a fare qualcosa di nuovo con un diario on line?

2025 (2005)



Mi finsi morto per tre giorni e poi mi misi a postare da un'ucronia ambientata vent'anni dopo. Sul serio. È stata una delle cose più folli che io abbia mai tentato su questo blog e in generale nella vita, e se ve lo state chiedendo no, non andò bene. La gente diceva bravo bravo ma non veniva più. Dopo due mesi si era svuotato tutto il bacino di attenzione che avevo faticosamente allargato per quattro anni, e dovevo comunque continuare fino a dicembre. In tutto questo, non avevo neanche cambiato più di tanto il layout (per la prima volta lo sfondo era grigio perché di tale colore immaginavo il futuro) (anche il Courier aveva un senso credo) (non ci torno spesso, non mi ricordo quasi più la storia).


"Passato, futuro, linx" (2006).


Il 2006 fu un nuovo inizio. Festeggiai il ritorno al presente disegnando per la prima volta la testata, adesso non mi ricordo se voleva sembrare un gesso sulla lavagna o il bianchetto sull'inchiostro, ma insomma, anche quando cerco di fare cose originali mi escono così. In cima ai "linx", notare Wikipedia Italia.

"Un libro?" (2007).


Nel 2007 la rivoluzione copernicana: la colonna coi link passa a destra, credo di aver letto da qualche parte un pezzo che spiegava che il lettore occidentale comincia sempre da sinistra e io volevo che cominciasse dal post. In alto a destra, la pubblicità di un mio libro, pensate che ingenuo, credevo ancora che coi blog si potessero vendere i libri (è Storia d'Italia a rovescio, l'editore è fallito e l'edizione è esaurita, se v'interessa contattatemi in privato).Credo sia anche stato il primo anno in cui ho provato a mettere più interlinea, ma poi i pezzi sembravano interminabili.

Liquida (2008).


Dai, questa testata era carina (anche se andava tirata più a sinistra), finalmente l'educazione futurista stava dando qualche frutto. Il minibanner di Liquida sarebbe stato, per sei anni, una fonte di reddito abbastanza generoso, visti i tempi. Mai capito cosa gliene venisse in cambio. Probabilmente gli stavo simpatico. Per il resto non ho conservato nemmeno gli accessi, ma ho la sensazione che nel 2008 arrivai al massimo, da lì in poi una lunghiiiissima discesa.

"Ci scrive Leonardo nel 2010" (2009, 2010).



Il 2009 fu un anno inquieto, cercavo di scrivere racconti però legati all'attualità di modo che i lettori li scambiassero per satira e non scappassero via. 


E insomma per tre anni dovrei aver tenuto lo stesso layout, non privo di una spigolosa coerenza, ma senza sentire l'esigenza di allineare testata e spazio di testo? Non lo so, gli screenshot li ho presi dall'Internet Archive, ho vaghi ricordi di altri esperimenti, ma l'unica notevole differenza è che nel 2010 ho cominciato a scrivere per l'Unità e tenevo che si sapesse. Saturavo le foto, tentavo di fare anche vignette, e poi ogni tanto succedevano cose inspiegabili ad esempio un mattino un mio pezzo fu linkato dal NY Times e nessuno ha mai capito il perché. Agosto – che era ancora un mese in cui la gente stava meno su internet – divenne il mese degli esperimenti. 

"Tengo famiglia" (2011).


Ma nel frattempo Blogger stava diventando una piattaforma più duttile e professionale? Ecco, sì e no. Verso il 2011 aveva aggiunto tutta una serie di font che mi consentirono di fare una cosa che avevo smesso di fare 15 anni prima, ovvero giocare coi font. Dopo tre anni di futurismo lettrista volevo qualcosa che evocasse l'umanesimo rinascimentale, gli incunaboli insomma, e così trovai questo font che su certi sistemi operativi proprio non funzionava. Sotto la voce "Tengo famiglia" credo che ci fossero le inserzioni, avevo ceduto anche a quelle. Credo sia l'anno in cui ho cominciato a scrivere le storie dei Santi per il Post. In agosto avevo compilato Le XXI notti, un altro esperimento narrativo caduto nell'indifferenza generale.

(Niente da segnalare per il 2012, salvo un altro libro, anzi un e-book sul terremoto. Fu un anno difficile. A fine del 2012 cominciai a scrivere le recensioni per +eventi).


(Nel 2013 i font rinascimentali non caricavano più nemmeno sul mio Pc e non avevo nemmeno voglia di rimediare evidentemente. Eppure tra Unità, +eventi!, Liquida, inserzioni su Google e qualche altra cosa che ogni tanto mi capitava di fare, il blog cominciava a non sembrare più uno spreco di tempo).




Il layout del 2014 è uno dei due che riprende la testata di una rivista dei primi '900, il "Leonardo" di Papini e Prezzolini. Non ho le prove ma a un certo punto ne avevo anche fatta un'altra, con tutti gli svolazzi liberty della testata originale. Cosa vi siete persi, eh lo so.


Nell'estate del 2014 crollò quasi tutta l'economia di questo blog: Liquida ritirò la sponsorizzazione, l'Unità chiuse per la seconda volta. Anche le inserzioni di Google erano inaffidabili da smartphone, dovevo toglierle. Festeggiai la crisi in agosto con Leonardo Sells Out, una specie di satira di Beppegrillo.it in cui immaginavo cosa sarebbe successo se un blog come il mio fosse stato dato in mano alla Casaleggio. Cambiavo layout ogni tre giorni, ma non ho le prove. Ne ricordo con affetto uno completamente tappezzato di ritratti di Enrico Berliguer, per sfottere www.qualcosadinistra.it che gareggiava con me ai Blog Awards nella categoria politica, e aveva in home "appena quattro fotoritratti di Enrico Berlinguer"! Qualcosa di sinistra vinse il Blog Award. Mi ringraziarono anche, alla premiazione. Prego ragazzi, è stato un piacere. (Poi ce n'era uno tutto a omini vitruviani, quando scrivevo i pezzi sulla Gioconda. Devo dire che alcuni di quei pezzi hanno fatto un sacco di accessi, non subito ma in seguito).

Questo invece è il layout post-SellsOut, e direi che la carrellata potrebbe anche finire; c'è stata qualche correzione qui e là ma non è più cambiato molto. È addirittura più simile a quello iniziale: tra 2001 e 2015 sembra che abbia solo imparato a scrivere "Leonardo" in minuscolo. Evidentemente a me il blog piace così. Chiedo scusa a chi no, ma probabilmente non siete più qui da un pezzo.


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Una cosa imbarazzante sul mio vaccinismo

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Ovviamente si parla molto di vaccini, ovviamente ognuno ha opinioni molto nette e le squadre a questo punto sono fatte già da un po', ad esempio io non posso che essere un vaccinista. E in effetti da che io mi ricordi mi sono sempre vaccinato, e ho sempre ostentato con fierezza la cicatrice dell'antivaiolo (sì, sono così vecchio). Appena ho avuto prole sono subito corso a vaccinarla, non contentandomi delle dosi obbligatorie ma aggiungendo anche le facoltative perché alla fine una meningite non è uno scherzo.


Negli anni nulla sembra avere scalfito la mia fede nei vaccini: nemmeno un ciclo di sottocutanee che da ragazzino mi gonfiavano l'avambraccio in stile Popeye e che evidentemente non mi hanno protetto dalle crisi allergiche (o se l'hanno fatto beh, evidentemente ero molto allergico prima). Avendo avuto l'opportunità, nella vita, di studiacchiare un po', so che l'obbligo vaccinale è sempre stato un problema eminentente politico, sin dai tempi in cui i rivoluzionari lo introducevano e i restauratori lo abolivano. So persino che la diffidenza nei confronti del vaccino non è una novità postmoderna, ma ha una lunga storia (qui dettagliata mirabilmente da Erik Boni). 

Sono abbastanza sicuro che i vaccini oggi funzionino, ma anche se non ne fossi sicuro sarei vaccinista lo stesso, tanto l'opzione vaccinista si adatta alle mie idee politiche. Quel che mi piace veramente dei vaccini non è nemmeno che siano un'alternativa a basso costo ai farmaci, ma il modo in cui mettono spalle al muro i liberali libertari e tutto il loro supposto libertinismo. Il fatto che il vaccino funzioni soltanto se lo fanno tutti costringe la massa a farsi gregge e getta onta su chi non vuole starci. Niente salvezza individuale: o ce la facciamo tutti, o non ce la fa nessuno. Oltre a debellare il Covid, abbiamo l'opportunità di stroncare finalmente il calvinismo, che tanti più danni ha fatto all'umanità e all'ambiente. Il fatto che l'obbligo vaccinale incontri le resistenze di molti supposti populisti non mi scandalizza affatto, anzi mi dà l'opportunità di riconoscere in controluce l'individualismo che coprono con le patacche dell'ideologia del momento. Le fake news che si inventano (i microchip, il 5G, la trasformazione dell'individuo in un automa) non sono che rigurgiti del loro inconscio e li osservo da distanza con un certo piacere mentre sussurro verrete assimilati. La resistenza è inutile. Insomma sono un vaccinista, ben fiero d'esserlo, e lo sono sempre stato, da che io mi ricordi.

Perché mi ricordo male.

Potrei dire che a questo serve avere un blog, ma a chi? Ce l'ho soltanto io un blog da vent'anni, un album in cui invece di fotoritratti imbarazzanti ci sono tutte le idee che ho avuto, talvolta un po' più imbarazzanti. Ed ecco, se vado a cercare cosa pensavo dell'obbligo vaccinale nel mio lungo passato, tutta questa foga vaccinista non risulta. Di vaccini non ho quasi mai scritto – del resto non è mica obbligatorio avere un'opinione su tutto, nevvero? Evidentemente sui vaccini non l'avevo. Poi a un certo punto è successo qualcosa, non soltanto a me – è stato come se il dibattito pubblico si fosse all'improvviso polarizzato, costringendomi a scegliere tra due sole opzioni: proVax o noVax. Il blog mi consente anche di capire più o meno quand'è successa questa cosa: nel 2014. Pochissimo tempo fa, tutto sommato. L'evento scatenante: la procura di Trani stava indagando su due casi in cui l'antimorbillo aveva causato autismo e diabete, almeno secondo i genitori denuncianti. Ma in controluce, nel 2014 ciò che mi spaventava veramente era il grillismo. Per quanto io possa raccontarmi una storia più lunga e complessa, il momento in cui sono diventato vaccinista è il momento in cui ho visto un partito noVax vincere le elezioni. Mi domando a quanti sia successa la stessa cosa, e se in tanti casi come questi la nostra legittima curiosità per le idee più estreme (il complottismo a base di microchip e 5G) non ci faccia perdere la bussola: è persino probabile che Grillo e il suo movimento abbiano contribuito a ingrandire molto più le fila dei vaccinisti che quelle dei noVax, semplicemente polarizzando un grande centro moderato che fino a quel momento sulla questione non aveva idee precise, e forse senza Grillo non le avrebbe mai avute (lo stesso Grillo in seguito mostrò di aver capito questa cosa, mantenendo sull'argomento una posizione abbastanza moderata). 

Che prima del 2013/14 io facessi parte di un centro moderato senza idee precise lo dimostra almeno un pezzo del 2008 in cui dei vaccini si parla soltanto soltanto di striscio: l'obiettivo polemico era il sensazionalismo dei telegiornali, che al tempo mi sembrava sempre più schizofrenico, diviso com'era dalle necessità di allertare lo spettatore e di offrirgli una rassicurazione immediata. Non so nemmeno di che virus si parlasse ai tempi: forse l'aviaria. Chissà come avrei reagito se fosse diventata pandemica davvero. Chissà come l'avremmo presa tutti, al tempo, senza servizi streaming e coi social network ancora in stato embrionale. Suppongo che avrei bloggato un sacco. Meglio così.


Veniamo alle buone notizie. E' da un po' che vi parliamo della nuova influenza, ebbene, pare che non ci sia nulla da temere, infatti l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato che si tratterà di un'ORRIBILE PANDEMIA. Moriranno appena MIGLIAIA DI PERSONE VACCINIAMOCI TUTTI SUBITO, VACCINIAMOCI PRESTO COSA FAI LI' VECCHIETTO, CORRI A VACCINARTI. Insomma, l'allarme è praticamente PANDEMIA! rientrato. PANDEMIA! Basta così, i nostri 40 secondi di pilloline ve li abbiamo fatti vedere, speriamo sia passato un PANDEMIA! messaggio rassicurante.

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Verso il Giorno di John

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Buonasera a tutti, si avvicina l'otto dicembre che come sapete nell'emisfero occidentale segna l'ingresso nella stagione dei Beatles, no, scusate, intendevo nella stagione natalizia, vabbe' dai siamo lì. Quest'anno su questa pagina l'evento sarà vissuto con maggiore intensità, siccome (1) è il quarantesimo anniversario della morte di Lennon – e ancora non l'abbiamo superata, inoltre (2) ho un libro da vendere. Cosa succederà nei prossimi giorni? Tra le altre cose:

Venerdì alle 23:15 su Rai5 dovrei rispondere a un paio di domande su Lennon durante una puntata di Terza Pagina.

Domenica 8 a partire credo dalle 18:30 parteciperò al Lennon Day del circolo culturale Off che dovrebbe essere disponibile in diretta streaming.

Nel frattempo segnalo questa intervista uscita su Sherwood.it, che è proprio il sito on line di Radio Sherwood (quella di Loudd l'avevo già segnalata ma la risegnalo).

Per ora è abbastanza tutto, ma se ci saranno novità non dubitate: sarete tra i primi a saperle.

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Comprate Getting Better, possibilmente in libreria

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Non vi tedierò spesso qui sopra con notizie sul libro: in fondo se venite qui sapete già che esiste, e se vale la pena di comprarlo (vale la pena). Una cosa che avrei dovuto aggiungere subito è che non si tratta del banale copia-incolla dei pezzi pubblicati qui e sul Post l'anno scorso: c'è stato molto editing in mezzo (ringrazio gli editor), tante cose sono state cambiate, quasi sempre in meglio: non tutte le canzoni sono entrate, lo spazio era tiranno. La differenza principale è che malgrado il sottotitolo Le 250 migliori canzoni, ora la trattazione è in ordine cronologico, proprio quell'ordine che non sarei mai riuscito a rispettare mentre scrivevo. Quindi si comincia dalle prime registrazioni, si passa ai primi singoli e album (introdotti da brevi presentazioni inedite), e si va avanti fino alla tragica fine; non voglio dire che è quasi un romanzo ma si può leggere anche così. Io l'ho riletto quattro o cinque volte e ciononostante ho già trovato qualche refuso imbarazzante. Magari più tardi ve li segnalerò, adesso ho un po' di nausea.


Vi scrivo invece per rinnovarvi il consiglio di non acquistare il libro cartaceo su Amazon, quando potete trovarlo in libreria – se non c'è, basta ordinarlo: tanto non c'è fretta, i Beatles ormai quello che dovevano fare l'hanno fatto. Credo che le librerie svolgano un servizio importante e irrinunciabile, soprattutto nei piccoli centri (tanto più in un momento critico come questo), e poi magari se lo ordinate voi ne prendono qualche copia in più e la lasciano a scaffale. Un libro sui Beatles ha di buono che sarà interessante anche per i clienti della stessa libreria tra qualche anno. 

C'è però un altro motivo importante: le copie che ordinate su Amazon potrebbero essere di qualità inferiore. Infatti, come ha notato il sagace Xmau, Amazon, quando non ha il volume in giacenza, se lo stampa per conto proprio. Dunque se avete ordinato il libro presso il loro servizio, può darsi che vi arrivi una copia stampata on demand. Come riconoscerla? Nell'ultima pagina dovrebbe leggersi "Printed by Amazon Italia Logistica" (le copie che ho io invece recano ""Fp design srl per conto di Lit Edizioni". Non sono ancora riuscito a confrontare le due versioni, ma di solito i volumi stampati on demand non sono offset: la qualità ne soffre.

Devo dire che tra i tanti motivi per avere paura di Amazon, questo mi allarma più di altri: capisco che per un piccolo-medio editore sia allettante la possibilità di avere un magazzino per l'e-commerce che si rinnova da solo. Però nel medio termine significa allontanare la possibilità di una ristampa (ovvero un prodotto migliore, con qualche refuso in meno). E nel lungo termine, cosa può succedere? Io scrivo il libro, tu vuoi comprarlo, Amazon lo stampa da solo, tutti felici tranne i librai e... gli editori. Mi sembra un patto col diavolo, insomma. 

Qualcuno obietterà che non si ferma il progresso: indubbiamente, però a questo punto immagino non t'interessi il libro su un gruppo che si è sciolto 50 anni fa. Insomma, che ci fai qui? Non lo sai che hanno dedicato una piazza a Sfera Ebbasta? A Cinisello. Chissà se c'è una libreria.

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Dear Sir or Madam

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(Ci ho messo un po' per scriverlo, non gli dareste un'occhiata?) 



(Esce il 22 ottobre, dicono. Ma si può già ordinare, meglio dal vostro libraio preferito).

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Forse ero giovane, o in Francia

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Comunque io mi ricordo che quando ero giovane, in Francia perlomeno, i girasoli facevano davvero quella cosa di girare durante il giorno in direzione del sole. Forse ero giovane io e non mi accorgevo che mi prendevano per il culo e si voltavano appena me ne andavo; o forse ero in Francia e in Francia c'è il sole giusto e l'atteggiamento giusto, mentre qui, sai com'è, o troppo sole o niente, li vedi sempre scazzati ognuno per il suo verso, a fissarsi dei lacci di scarpa immaginari, è avvilente.
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Se stessi vedendo cadaveri

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Supponi di essere una persona qualsiasi che scrive per i fatti suoi; ogni tanto qualcuno passa e dice: non male. C'è gente che scrive peggio e li pagano. All'inizio lo prendi come un complimento, ci metti un po' a capire.

Comunque è incontestabile: c'è gente che scrive peggio, e li pagano.

Finché un giorno finalmente non appare qualcuno che ti fa la proposta: scritti in cambio di soldi. Non molti soldi in realtà, ma non importa, l'importante è smettere di fare questa figura del fesso. Gli stringi la mano e intanto pensi: lo sto fregando, per lui scriverei anche gratis. È come se mi pagasse per respirare, ah ah, il colpo del secolo. La tua mano in effetti puzzerà di zolfo per alcune settimane. Ma da quel momento cominci a scrivere per soldi.

All'inizio non cambia niente.

Quando scrivi per soldi, non è che ci credi davvero. Sono talmente pochi soldi che è quasi uno scherzo. È solo un trucco, in realtà tu continui a scrivere per passione. Chiamano dal soggiorno: vieni a giocare papà? Tesoro non posso, sto lavorando. Tecnicamente è vero, scrivere adesso è un lavoro. È anche una scusa per saltare una sessione di gioco dei mimi. Un giorno scoprirà quanto prendevo a cartella e verrà sul mio tombino a strappare i crisantemi.

Quando scrivi per soldi, non è che ti metti a scrivere subito così di quel che ti viene. Sfogli le notizie e intanto pensi: che tipo di opinione posso farmi venire, che tipo di storia posso scrivere, che mi cambino in soldi? Ovviamente non te ne viene neanche una, cominci a pensare ad altro e poi magari sotto la doccia comincia a pensare a un pezzo per il blog, che è da un po' che non ci scrivi niente. Una cosa veloce, che in mezz'ora la scrivi e la posti, perché no? Ma stai già infilando l'accappatoio mentre rifletti che in fondo quella mezz'ora potresti anche provare a fartela pagare, dopotutto lo spunto è interessante. Così invece di scrivere un pezzo veloce sul blog scrivi una mail, scrivi un pitch, scrivi una cosa che per tre giorni nessuno si legge.

Il quarto giorno rispondono: ci dispiace, non c'interessa. Fa lo stesso, ormai non interessa nemmeno più a me. In effetti non ricordo neanche cosa volevo scrivere. Se l'avessi messo subito sul blog sarebbe anche stata una cosa divertente, ma non l'ho scritta. E nessuno mi ha pagato. Quando scrivi per soldi, scrivi meno.

(Che comunque è un risultato).

Quando scrivi per soldi a volte invece è fantastico. Ti pagano pochissimo ma puntuali e non gli frega niente se non guardi il film e poi lo recensisci in forma di dialogo leopardiano. Va bene qualsiasi giorno della settimana, va bene anche se salti la settimana, va bene anche se ne scrivi tre, basta che scrivi e ti tieni i nostri cazzo di soldi. Ok. Ah quasi dimenticavo: il mese prossimo chiudiamo. Per le ferie? No, no chiudiamo proprio. Ok.

Quando scrivi per soldi a volte proponi un pezzo sull'antilope maculata, ti rispondono: grazie non c'interessa. Eppure ne stanno parlando tutti, boh, forse sono arrivato un po' lungo, vabbe', e della tigre ghepardata? È una cosa più originale. "Grazie, non c'interessa". Ma come non v'interessa, lo state facendo apposta? E se vi proponessi una giraffa tigrata? "Ecco, la giraffa tigrata sì". Oddio io in realtà scherzavo, non ne so un cazzo di tigraffa girata, di giraffa tigrata. Seguono tre giorni disperati a documentarsi sulle giraffe, e a camminare in circolo tra la cucina e il gabinetto e a maledire il giorno che ho detto di sì allo scrivere per soldi. Nel frattempo in homepage è arrivato un pezzo sull'antilope maculata, maledette antilopi, voi e chi vi insegue.

Quando scrivi per soldi ti mettono in contatto con gli editor, e tu pensi è fatta, è fatta, mai più mi farò compatire con errori imbarazzanti, siamo adulti adesso, adesso ci correggono le bozze. Mandi il tuo primo pezzo, te lo restituiscono con tutti i tuoi errori più quelli che hanno aggiunto loro, ce n'è di fantastici. Però hanno tolto l'accento su sé stesso, a quello ci tengono da matti, dev'essere un punto fondamentale, ci saranno master apposta.

Quando scrivi per soldi, per fare un esempio, tu butti lì che la giraffa è tigrata per scopi mimetici ma questa cosa l'ufficio legale non te la fa passare, vuole delle pezze d'appoggio, non è che si possa affermare impunemente che la giraffa è tigrata per scopi mimetici. Per fortuna tu in casa hai questa cosa magica, cioè Google, e in trenta secondi trovi un'intervista a una giraffa tigrata che spiega le funzioni mimetiche della sua tigritudine, gliele mandi, loro ti dicono ok, passano due giorni e finalmente il pezzo viene pubblicato e invece di giraffe tigrate c'è scritto tigri giraffate. Lo stanno già cliccando tutti, su fb centinaia di commenti, per fortuna litigano tra lori così forte che non hanno il tempo per leggerlo davvero e accorgersi dell'orribile sfondone. Appena arrivi a casa scrivi una mail, per favore, correggete, c'è il mio nome e il mio cognome sopra, avevo anche una reputazione una volta. Il giorno dopo al posto di tigri giraffate c'è scritto tigri tigrate. Però. Però ovunque scrivi sé stesso con l'accento, loro lo troveranno. Il sé stesso con l'accento non passerà mai! Mai!

Quando scrivi per soldi con alcuni è imbarazzante. Perché magari con loro all'inizio non scrivevi per soldi, ma per... per passione, sì, e per amicizia, e un po' anche perché era figo scrivere per loro, ti faceva stare bene, non è solo una questione di visibilità, c'è anche un senso di godimento che – è imbarazzante, appunto. Poi succede che magari gli affari per un po' vanno bene, e a volte sono proprio loro a dirti dai, resta ancora un po', da qui in poi ti pago. Mi paghi? Ma posso ancora scrivere quelle cose strane che – ma sì dai. Però fa un po' strano, sapete, e soprattutto chi ha il pelo di controllare se ogni volta lascia i 50 euro sul comodino. Per tre mesi non lo fa, tu pensi che vabbe', stava scherzando, poi una notte arriva e pum! 500 in una botta, festa grande. Poi per un anno più niente, ma magari c'è anche una crisi del settore, e poi diciamolo perché dovrebbe pagarmi per quelle inezie, ces petits riens, mi sembra anche un po' preoccupato, lasciamo perdere. E un bel giorno arriva Ehi, ma scusa, ma sul serio mi sono dimenticato un anno di paga? Eh, boh, sì, può darsi. Oh scusa, scusa, beccati questi mille sull'unghia. Grazie, grazie, non dovevi. Sì ma non possiamo continuare a vederci così.

Quando scrivi per soldi, sono sempre così pochi che impegnarsi ti sembra sbagliato. Passi un paio d'ore a controllare un'affermazione, un lato della tua testa dice: queste due ore non me le stanno pagando abbastanza. Non me le stanno pagando proprio. Ormai sono io che sto pagando loro. L'altro lato risponde: prendere in giro sé stessi non è un buon motivo per prendere in giro i lettori. E comunque è colpa tua, perdi troppo tempo a girare tra la cucina e il bagno. Vieni a giocare papà? Chiama una collega, domani starà a casa, serve un sostituto. Quando scrivi per soldi, ma perché cazzo scrivi. Con tutto il lavoro vero che ci sarebbe da fare.

Quando scrivi per soldi a volte stabilisci che non te ne fotte un – mamma che robaccia che uscirà stavolta ma chissenefrega, stringi i denti e pensa al bonifico, pensa solo al bonifico. Altre volte proprio il contrario, pensi che no, non puoi farti pagare della roba così, stavolta no, questa non gliela mandi, trovi una scusa, ti sarà morto il cane, ma proprio in quel momento suona il citofono, è una raccomandata dal comune di Sorridi all'Autovelox, oh cazzo cazzo cazzo, in data tale la tua macchina circolava ai novantacinque all'ora che ridotti del cinque per cento ai sensi della legge fanno comunque che è meglio se stringi i denti e mandi a pubblicare il tuo pezzo, anche perché poi l'hai pagato il bollo? la rata dell'assicurazione? la mensa della creatura? Stringi i denti. A proposito ti ha scritto il dentista, dice che se non hai niente in contrario si prende le buste di agosto e settembre. Stai stringendo quei cazzo di denti?

Quando scrivi per soldi, all'improvviso diventa tutto più difficile. Avevi in mente un inizio fulminante, ma se scrivi per soldi non fulmina più nessuno. Per aggiungere sapore volevi aggiungere una spolverata di cazzi tuoi, ma a chi interessano i cazzi di un poveraccio che scrive per soldi, manteniamo un basso profilo che è meglio. Leggi i tuoi colleghi, loro sì che sanno scrivere per soldi, che bravura, professionisti altroché. Chissà se un giorno sarai capace di.


Quando scrivi per soldi, fai due conti e pensi: dai, in un anno metto assieme una quattordicesima. La buttiamo via? Quindi se in linea assolutamente teorica uno volesse vivere di quel che scrivo io, dovrebbe mandare un pezzo al giorno. Ah ah, cosa vado a pensare. Ma ce la farei a scrivere un pezzo al giorno? Forse sì. Non avendo altro da fare, con l'opzione di essere intrattabile 6 ore su 24, potrei farcela. Ma chi lo pubblicherebbe un mio pezzo al giorno? Mi servirebbero tre o quattro testate diverse, degli pseudonimi. Forse qualcuno lo sta già facendo. Ma soprattutto: chi se lo leggerebbe, un mio pezzo al giorno? Io da solo esaurirei tutto il mio ecosistema. Diciamo che per campare avrei bisogno di mille lettori quotidiani: non esistono. Forse millecinquecento disposti a leggere un mio pezzo ogni due giorni. Forse. Ma mille al giorno oggi ma manco Buzzati. Hai per caso visto un Buzzati qui intorno? No, niente Buzzati qui, fine della storia.

Quando scrivi per soldi a volte ti rileggi e vorresti morire. Ma anche una volta morto quella roba lì resterà sull'internet col tuo nome e il tuo cognome – e i tuoi figli e nipoti ti malediranno. Figlioli, lo facevo solo per portare a casa i s – quaranta euro a cartella papà ma vaffanculo, perché non ti sei messo a dare lezioni di latino come tutti. Rosa rosae rosae, non ti si apre già la mente? Senza neanche fatturare.

Quando scrivi per soldi a volte ti riconsegnano un pezzo che dice le stesse cose che volevi dire tu, e non le dice nemmeno in modo sbagliato ma – è una sensazione strana, è come se – cioè hanno preso il tuo pezzo e sono riusciti a togliere completamente la tua personalità, una cosa che non riusciresti a fare in mille anni. È come osservare il proprio cadavere. Quello non sono più io. Non sono mai stato io. Ok era il mio corpo, ma non lo è più – impossibile da spiegare. Tanto a voi non capiterà mai, non vedrete mai voi stessi morti. Se non vi mettete a scrivere per soldi. Non mettetevici.

Quando scrivi per soldi a un certo punto ti guardi attorno e noti che sono tutti molto più giovani. Ecco perché certe battute devi spiegarle, ecco perché su certe cose è meglio non scherzare. Ok, ma a voi invece pagano davvero? Perché io ci camperei un mese all'anno, voi cosa fate negli altri undici? Genitori generosi? Scrivete i romanzi di Elena Ferrante? Ripulite gli appartamenti, vi prostituite? In quest'ultimo caso, qual è la cosa più umiliante che si possa fare in trenta minuti: toccare uno sconosciuto maleodorante o copiare un mio pezzo del 2013 immagini incluse? Perché a volte il dubbio mi viene – scusate, so che non si deve scherzare su questo argomento, è sensibile, lo capisco.

Quando scrivi per soldi pensi che magari tutto questo cambierà, in fondo sei ancora alle prime armi, è da così poco che ti pagano, è da... dieci anni. Ah però.

***

Supponi di essere una persona qualsiasi che scrive per i fatti suoi; ogni tanto qualcuno passa e dice: non male. C'è gente che scrive peggio: e li pagano.

Gente come me.

Io che a volte avrei ben altro, ma me lo chiedono e dico lo stesso di sì.

E non è per i soldi, sono una sciocchezza i soldi.

È per evitare che diano lo stesso pezzo a un giovane, così non si illude.

Trovati un lavoro onesto, dai.

Tra un po' avrai anche dei figli, di te cosa penseranno.
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L'ultima notte

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Allora io diciamo che qualche anno fa ero seduto su una panchina in un pianerottolo di un ospedale e in reparto non mi facevano entrare, non c'era proprio pezza. Se fosse successo qualcosa mi avrebbero chiamato ma intanto potevo soltanto restare lì – o al massimo andare a mangiare qualcosa.

Quella sera c'era la finale di Champions, Barcellona contro una squadra credo tedesca.

Di fronte al Grande Cancello dell'ospedale c'era un kebab, e io avevo fame, e quindi andai a mangiare il kebab. Stavano ancora giocando il secondo tempo.

Io il calcio ho smesso di guardarlo da un pezzo, pure mentre masticavo mi sembrava che il Barcellona stesse giocando contro l'oratorio, magari il prestigioso oratorio di Monaco o Brema o Schleswig Holstein, ma insomma sembravano terrorizzati, impalati, non c'era partita. La finale di Champions sembrava un allenamento, mi sembrava una presa in giro, non capivo.

E intanto erano passati... venti minuti? Quanto ci si mette a masticare un kebab? Riattraversai la strada.

Il Grande Cancello era chiuso.

Come chiuso?

Così. Prima si entrava, adesso no. A farci caso c'era anche scritto sopra, c'era un cartello con gli orari. Ma era rivolto verso l'esterno, per cui uscendo non me ne ero proprio accorto.

Oppure non ci avevo fatto caso. Nella mia città gli ospedali non ce li hanno i cancelli, la gente quando vuole entrare entra. Ma questa non era esattamente la mia città e adesso io ero fuori.

Fuori dall'ospedale.

Stavo per diventare padre ed ero fuori.




Per un lunghissimo minuto riflettei sulla mia inadeguatezza, sulla mia avventatezza, su porca puttana son dieci anni che non guardo una partita mi devo proprio metter lì a cercar di capire perché non marcano Messi? Consapevole che qualsiasi cosa avrei detto o fatto nella vita, non c'era più niente da fare, sarei sempre rimasto il padre rimasto fuori dal cancello.

"Papà maccheccazzo vuoi che manco c'eri la notte che son nato, mavvanculo va".

"Figliolo, fu un attimo, avevo fame".
"Papà, ma vaffanculo, c'era Messi in tv lo sanno tutti".

Per sempre questo. Una notte, una sola notte nella vita mi serviva, e mi ero messo a guardare il Barcellona.

Per un lungo minuto pensai a tutto questo.

Poi girai l'angolo ed entrai dal Pronto Soccorso.




Non era successo niente, non sarebbe successo niente ancora per parecchio. Passai la notte sul pianerottolo, accucciato tra la panchina e la macchinetta degli snack. Ma dormii sodo. Negli anni successivi lo avrei spesso rimpianto.
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Nel sogno l'ho picchiato

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– Nel sogno sto cercando qualcosa nella campagna intorno a San Felice Secchia, sto seguendo una pista che mi ha fornito una collega in pensione. Non c'è molta gente in giro ma noto questa nuova tendenza di affondare vecchie automobili nei canali, una la vedo proprio imbarcare acqua e sprofondare, un'Alfasud grigio metallizzato.

Altre auto invece le abbandonano sui cigli delle strade e a questo punto mio padre, che non sogno quasi mai, mi insegna come attaccarne una all'uncino di un carro attrezzi, evidentemente sto lavorando con lui. Più che un carro attrezzi però sembra un mini-ponte, non so come lo chiamassero in qualsiasi altra auto-officina, una minigru semovente che guido stando in piedi, con l'auto al traino, e mio padre ci segue con un altro mezzo indistinto. Andiamo ai venti all'ora ma nel sogno sono comunque fiero del mezzo che sto conducendo, quell'orgoglio da ragazzo neopatentato. A un certo punto, e abbiamo già attraversato una piazza di San Felice, svoltando in una curva, ci affianca una motocicletta telecomandata, un giocattolo. Io che nel sogno non sono comunque esperto di quello che mi sta succedendo, per un attimo penso che sia una specie di mascotte della nostra ditta, invece mio padre mi avverte che è una truffa, un drone (non usa quella parola), insomma un affare che serve per fregarmi i dati dal telefono.

– Accostiamo il mio veicolo, estraggo lo smartphone con la stessa fatica che ci metto quando sono sveglio a farlo sgusciare dalla tasca dei jeans, e leggo in inglese che adesso sono cliente di Telecom Irlanda. Calcolo che con uno scherzo del genere mi sono giocato tutto quello che ho vinto online e questo è veramente curioso perché è da parecchio tempo che non gioco, da sveglio, mentre nei sogni evidentemente continuo e ovviamente vinco – non sarebbero sogni – ma non così tanto.

Acquattato in un androne noto il tizio con il telecomando giocattolo in mano. Ha i capelli neri, ma pochi, lo sguardo triste perfettamente sbarbato. In questo sogno in cui mi muovo molto, lui invece è prigioniero, mi vede e non può muoversi. Adesso mi dai i documenti e li fotocopio, gli dico, che è una frase che di solito uso nella mia scuola coi nonni che quando un bambino sta male vengono a prenderlo ma non hanno una delega firmata dai genitori. La stesa frase adesso è intonata come una minaccia: lui non può darmi i documenti ma non può nemmeno scappare. Non ti conviene farmi arrabbiare, gli spiego, perché è da tanto che voglio picchiare qualcuno e ho pure in mano il connettore che serve ad adattare il bocchettone del GPL al serbatoio della mia macchina: un affarino che sta in un pugno ma che è molto pesante. Il tizio si dibatte ma non può scappare, così lo martello in testa con quell'affare e al primo colpo va giù. Non è svenuto, è solo che non ne vuole prendere più.

Gli prendo il portafogli e leggo il suo nome su un documento rovinato, un liquido colando a rivoli l'ha corroso in due punti, è un nome di origine mista con le consonanti più strane proprio dove passano i segni del liquido. Inoltre è doppio, e anche il cognome è doppio, ma io ci sorrido sopra perché in questo sogno sono espertissimo di nomi, li conosco tutti. Lo passo a mio padre/collaboratore e gli dico di fotocopiarlo. In questo largo androne, una specie di sottoscala ma di una scala architettonica, c'è in effetti una fotocopiatrice, forse a gettone. Siamo a posto, mi dice, e poi mi dice un'altra cosa divertente, ma gli rispondo che ho picchiato una persona e quindi adesso sarò di cattivo umore per un mese intero. Il tizio sotto di me finge di dormire, o forse a questo punto si è svegliato.
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Prof volevo dirle

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Prof volevo dirle

Sì,

metto in ordine un po' di idee e poi comincio, va bene?

No non si preoccupi stavolta sarò breve

giuro

Ci metto sopra una citazione magari Vaghe stelle dell'orsa, una cosa così.

Ma poi non riesco a iniziare lo stesso.

È sempre stato terribile, iniziare.

Prof volevo dirle che le cose che non sono molto soddisfatto di come sono andate le cose, che credo di avere fatto degli errori. Però li ho fatti io, eh? Lei non c'entra niente. Certo, a volte mi è capitato di pensare: se fosse stata un po' meno brava. Appena un po' meno brava. Magari mi sarei iscritto a boh, a giurisprudenza. Poi da cosa nasce cosa, tre o quattro anni a sgobbare sui codici e adesso sarei un tizio che indaga sui camorristi, va' a sapere (oppure sarei uno che i camorristi li difende, davvero, va' a sapere).

Prof volevo dire avrà saputo

che invece mi sono ritrovato a fare il suo mestiere (si fa per dire), e non sono sicuro, ma credo che sia successo appena dopo averla incontrata l'ultima volta, ed è un caso, o forse no, perché prof volevo dirle che mi vergogno, davvero mi vergogno di non averla più vista da un certo punto in poi, e che lei fa parte di un gruppo di persone che rivedere mi costava sempre più fatica, un gruppo di persone da cui ho cercato non del tutto consciamente di allontanarmi. Se ora ci fosse ancora, se potesse leggermi, scuoterebbe la testa ma questo non significa che non ci sia una differenza sensibile, io almeno la sento tutti giorni, tra quello che vedevate in me e quello che sono diventato, e questa cosa mi pesa più di altre pietre teoricamente più gravose che mi porto al collo. Sento che vi ho tradito, che non mi sono impegnato abbastanza, che ho fatto un decimo di quello che potevo che dovevo fare e questo a un certo punto mi ha reso sempre più difficile incontrarvi; e inoltre odio scrivere i biglietti, prof lo sa.

Ma prof volevo dirle
che ora siamo bloccati in casa tutto il giorno, che scusa perfetta per non incontrare più nessuno. C'è anche questa legge che impone oggi i sepolcri fuori dei guardi pietosi, e il nome ai morti contende, ma se vogliamo proprio dirla tutta io i cimiteri a un certo punto ho iniziato a evitarli, pensi che abito a duecento metri da un cimitero e non ci sono entrato in quindici anni, da ragazzino non ero così ma non volevo dirle questo, volevo dirle

che una volta in quarta non volevo venire interrogato e siccome non mi veniva una crisi allergica me mi arrangiai da me. Mi feci sanguinare il naso per mezz'ora, non mi ci vuole niente sa? le risparmio i dettagli. Anche adesso mi capita in classe e vado avanti a spiegare la grammatica, col naso tappato in un kleenex, ecco se vuole questo prof è il mio contrappasso. Prof volevo dirle che tra le tante cose che mi sono rimaste,

"straniante" è una parola che userei ogni dieci minuti. Ma lo so da sempre – cioè lo so dal 1991 – e quindi mi cautelo coi sinonimi, ad es. "dissonante", o "stonato", o "inquietante", lo so lo so che non è la stessa cosa. Ma prof volevo dirle che non c'è un testo o un microtesto in cui io non mi metta a trovare i dettagli stranianti, le note stonate, continuo a fare così, non ci posso fare niente, è come se fossi nato così. Poi lo so che a volte i ragazzini crescendo confondono tutto, dimenticano cento lezioni e ne ricordano una di dieci minuti che nella loro testa diventa un corso biennale, però prof davvero, per lei era tutto così straniante e non c'era una riga apparentemente banale che non nascondesse quel dettaglio straniante a fissarla bene e io continuo a fare questa cosa, anche se prof io non la sto facendo così bene, per esempio

secondo lei quando Leopardi ripete "O natura o natura", non lo trova straniante? La prima volta passi, ma la seconda volta insomma come si permette di ripetersi così, nel 1828 non ci si ripeteva così, è come un gesso che si spezza sulla lavagna, io almeno così la spiego in classe, è come se volesse strapparti la poesia mentre la leggi, ehi, fin qui abbiamo scherzato ehi, natura, ma che cazzo fai ma come ti permetti, non si fa così. Non si fa così. Ti aspettavi che facessi il mio numero, il mio pianto per la fanciulla da chiuso morbo combattuta e vinta? eh no vaffanculo la poesia finisce qui io non te la do vinta o natura, vabbe', forse proietto, forse vedo straniamenti ovunque, mi hanno insegnato così ma l'allievo esagera sempre, l'allievo mediocre intendo.

Prof lo sa che ho fatto un anno di latino senza comprare il libro, e adesso a volte mi viene in mente una cosa di Plauto e ah no è vero, me lo facevo sempre prestare dal compagno, che cialtrone che ero come avete potuto sopportarmi

e parte della mia vergogna è che ho scelto di fare il suo mestiere senza essere così bravo, avrei potuto prendere altre vie ma ho scelto di farlo, e forse l'ho proprio scelto perché così posso tornare ogni anno sugli autori più scontati del mondo, ogni anno di nuovo Dante, di nuovo Petrarca – provo anche a portare Ariosto, lo so che non dovrei, e anche Foscolo non so perché m'impunto, cioè lo so ma è un errore. A gente di tredici anni che non glielo posso dire prof che errori fanno davvero, non glielo posso dire, a gente di tredici anni somministro Leopardi, e Verga, e ho sempre questo sospetto di farlo più per me che per loro, con tutti i draghi e i maghi che ci sono in libreria, ma cosa vado a rileggere la Vergin Cuccia e La Roba ma perché, ma chi mi credo di essere davvero. Prof volevo dirle

che tra le varie cose che mi sono successe a un certo punto mi è scattato questo meccanismo per cui ora detesto le ombre dei cipressi e le urne; che fosse per me i miei morti di famiglia non dico i fiori freschi, ma non si leggerebbe il nome dalle ragnatele, non vado neanche volentieri ai funerali. Forse avrei perso anche il suo, sarei stato così stronzo? Non lo sapremo mai.

che non credo di essere sopravvissuto all'elaborato di quinta sulle Ricordanze, dentro di me sono ancora prigioniero di quelle bozze, lo so che se lei ci fosse non si ricorderebbe di cosa sto parlando ma neanche la tesi di dottorato mi ha fatto sudare di più. E volevo anche dirle

che sono un maledetto egotico che prende i lutti a pretesto per parlare di sé stesso, e lo so, ma è anche vero che gli insegnanti migliori sono come degli specchi che ti mostrano quello che eri e che sei e che diventerai e a parte questo a volte non ti mostrano tantissimo, io forse non volevo nemmeno vedere altro, m'imbarazzava volerle bene. Anche adesso i miei studenti migliori, quando credono di vedere in me qualcosa, io ho sempre quella sensazione che li sto fregando, che tutto quello che imparano lo imparerebbero anche da soli, forse meglio da soli (o comunque con un insegnante migliore). Volevo dirle

che non sono soddisfatto di come sono andate le cose, ma non per me, dentro di me c'è come un meccanismo che scatta quando il dolore è troppo, devo averlo elaborato in seguito a circostanze così dolorose che non me le ricordo. Così vado a letto contento, magari ci vado alle quattro di mattina ma non credo di avere rimpianti. Devo solo tenermi nascosto da quelle quattro o cinque persone che credevano in me, che si aspettavano da me qualcosa di più, e una di quelle persone era indubbiamente lei, ma non è colpa sua – certo se fosse stata un po' meno brava. Appena un po' meno.

Volevo dirle prof, che io non corro questo rischio e lo so per certo – in questi giorni con la didattica a distanza mi è capitato di dover registrarmi, e risentirmi, e cancellare i balbettii, e tutte quelle incertezze infinite insopportabili che sulle pagine dei temi erano freghi e scarabocchi, prof volevo dirle che mi dispiace per tutti quei freghi e scarabocchi e incertezze e per averle fatto aspettare a volte anche quaranta minuti, dopo la sesta campana, io non capisco davvero perché non se ne andava, cioè che cazzo avevo ancora da ricopiare dopo quattro ore chi mi credevo di essere, Hemingway, Flaubert, perché non mi strappava il foglio protocollo dalle mani o anzi me lo lasciava lì, vattene a floberteggiare alla stazione autocorriere. E invece no lei era sempre tranquilla – io almeno la ricordo sempre tranquilla, ecco, questo avrei voluto imparare da lei, e si leggeva questi paragrafi barocchi tremendi ricopiati all'ultimo momento, con quella calligrafia scema, mi vergogno così tanto, però volevo dirle

che passo gli anni, abbandonato, occulto, senz’amor, senza vita; ed aspro a forza tra lo stuol de’ malevoli divengo?

Ma no.
Volevo dirle che non sono soddisfatto di me, ma questo non toglie che io sia stato un ragazzo straordinariamente fortunato, che ha avuto il privilegio, diciamo pure l'incredibile botta di culo di infilare una mezza dozzina di insegnanti fantastici, tra cui lei era la migliore – ovviamente lei adesso penserebbe che a turno questa cosa la dirò a tutti ma non andrà così, lei era la migliore e mi sembra di portarla dentro di me in ogni cosa che leggo e che scrivo. Volevo dirle che non c'è nulla che mi ripaga più di fare una buona lezione, dove per buona si intende 0,3 della scala Marchiò, a volte 0,5, più spesso 0,1. E adesso tutto questo lo rileggerò e lo ricopierò in bella tanto ormai ho tutto il tempo del mondo, no? Tanto lei non può più leggermi, quindi ho tutto il tempo del mondo per lamentarmi in brutta o in bella copia della mia sventura (o natura). Volevo dirle questo, ecco.

L'ho fatta lunga, lo so.
Si vede che non ce la faccio proprio, si vede che sono fatto così.
Lei sarà sempre con me.
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Pietà per noi 40

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Pietà per noi quarantenni, che siamo a fine corsa e non l'abbiamo capito.


Non siamo progettati per capire. Siccome nessuno ci prendeva sul serio abbiamo dovuto cominciare a farlo da soli, tirandoci su dalle sabbie mobili dell'ironia come il barone di Munchausen, con risultati discutibili. Anche adesso non capisci se ci siamo o ci facciamo. Wall Street può crollare, ma non toccateci la passeggiata. Un lockdown è Stato totalitario, una vecchia dal balcone che urla "State a casa" è il panopticon. Se solo Anna Frank potesse leggere i nostri diari on line, che pianti si farebbe, che empatia.

Pietà per noi quarantenni, che non siamo mai stati maggioranza e questo a un certo punto dev'essere diventato un limite cognitivo. Ancora oggi la domanda è: ma se vado al parco da solo, che problema c'è? E se tutti si facessero la stessa domanda, lo capisci che in quel parco saremmo in cinquecento, e un problema forse ci sarebbe? Ma il quarantenne non ragiona così, non si è mai visto massa e adesso è complicato cominciare. Moltiplicare tutti i suoi tic, le sue idiosincrasie, per un milione, dieci milioni, sessanta milioni. Come si fa.

Pietà di noi quarantenni che passiamo la giornata a domandarci di chi è la colpa, a inveire contro il governo e/o contro l'opposizione, contro i cinesi e contro gli inglesi, contro chi corre e contro chi non chiude le fabbriche. L'apocalisse ce la immaginavamo meglio comunicata, meglio descritta; è chiaro che mancano le competenze e manca la visione d'insieme.

Pietà per noi cresciuti alla scuola del cinismo. È inutile che ci racconti che ora tutto cambierà, fosse anche vero è troppo tardi. Se siamo quarantenni ne avevamo venti quando due grattacieli crollarono, sì, è facile dirlo adesso, che in fin dei conti cosa vuoi che fossero due grattacieli. Dovevi esserci quel giorno, e avere vent'anni: dovevi sentirti ripetere che nulla sarebbe mai stato come prima, e poi scoprire – indovina! Che tutto restava abbastanza come prima; magari qualche guerra in più, qualche attentato in più, ma neanche tanti. Adesso che ti aspetti, è il Duemilaeventi e se abbiamo quarant'anni è quel tipo di cifra che da bambini si metteva nel titolo di un film di fantascienza.

Hai un bel da dire che questo virus sarà complicato e poi ce ne saranno altri, e dalle crisi seguiranno crisi, e l'emergenza climatica e tutto il resto. Non è che non ce l'aspettassimo, ma è tardi. Non è che non immaginassimo di dover cambiare il nostro stile di vita, ma un po' prima, non a mutuo sulla casa quasi estinto. Non è che non ci aspettassimo l'arrivo dei Tartari, ma erano schedulati verso il Duemila, al massimo Duemilaecinque: adesso abbiamo famiglia, come si fa.

Pietà di noi che non abbiamo mai avuto una battaglia vera, un nemico chiaro da combattere: stavamo qui, cercavamo di mantenere un minimo di decenza, di difendere un minimo di cose che a un certo punto erano pericolosamente simili a uno status quo che nemmeno ci favoriva, ma insomma, in linea di massima uno deve fare quel che può nel luogo dove gli è capitato di vivere, e così abbiamo fatto: e ovviamente non bastava, e questo ci sarà contato: pietà di noi.

Pietà per noi che stavolta la sfangheremo, e magari non impazziremo – finché gli uffici e le scuole non riapriranno (e alcuni erediteranno cose che non vogliono e non sanno gestire): e allora sì, ci ritroveremo soli in cabina di comando e la prossima sirena adesso lo sappiamo, che suonerà per noi.
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Avviso di modifica unilaterale dell'opportunità di fotterti

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Un giorno una Banca mi manderà una Informativa per spiegarmi che in base a una revisione unilaterale del contratto il mio fegato le appartiene e che me lo strapperanno senza anestesia al primo plenilunio, e io aprirò la busta, farò finta di leggere, appallottolerò, esulterò per il canestro del cestino, un giorno succederà, annotatevi questa cosa.
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Entrando nel suo terzo decennio (questo blog)

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[A volte di notte mi viene l'angoscia che forse non esisto, e allora vado a controllare certi vecchi pezzi che ho scritto e MADO' SCRIVEVO VERAMENTE DI MERDA.

Per fortuna, mi dico, che poi sono migliorato, e allora vado a vedere gli ultimi pezzi che ho scritto e NO NO GUARDA STO CONTINUANDO A SCRIVERE DI MERDA.

Ma magari non esisto davvero, dai; e su questa nota di speranza mi addormento].
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Ancona io

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Avrei senz'altro potuto scrivervelo prima, ma sabato 5 ottobre sono ad Ancona, invitato alla HookiiFest. Se arrivate presto riuscite anche a sentire Maurizio Codogno, che di internet ne sa certo più di me, e dire che io ormai le so quasi tutte. Sarà bellissimo! Non mancate numerosi.




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Chi ha azionato l'

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Un eventuale film sull'ultimo giorno di scuola conterrebbe una sequenza in soggettiva in cui mi aggiro perplesso in una nube di polvere, intravedo a fatica i contorni degli eastpack cosparsi di bianco, i ragazzi però non ci sono, meno male sono tutti fuori, i polmoni cominciano a prudere la colonna sonora è una trap così molesta che strappo il cavo di alimentazione della lim dalla presa e solo a questo punto sento i colleghi gridare CHI HA AZIONATO L'ESTINTORR. Per il pregiato Sole 24Ore sono in ferie già da una settimana.
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Not so Deep

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E comunque secondo me il computer che batte gli uomini a scacchi, se gli chiedi di programmare gli esami orali di un istituto comprensivo senza sovrapporre i docenti a scavalco con altri tre istituti comprensivi, e senza offrire il dono dell'ubiquità agli insegnanti di religione, secondo me Deep Blue, coso, ti domanda se non può rigiocarsela con Kasparov anche senza regina, senza torri, bendato (puoi bendare un computer?), poi comincia a cercare su Google immagini di distopie totalitarie, nella stanza una strana puzza di chip bruciati, qualche rumore disumano, e insomma povero Deep Blue, è andata così, insegna agli angeli a che serve l'arrocco.
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Il ragazzo a cui passai il Giornale

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Su Facebook ogni dibattito viene a noia dopo poche ore, e questo mi libera; mi solleva dal peso di dover scrivere cosa penso, che ne so, di Montanelli. Due giorni fa forse, ma ormai non interesserebbe più ad alcuno; e comunque anche quell'alcuno avrebbe letto in questi giorni tre o quattro opinioni abbastanza simili. Che potrei aggiungere di interessante? Cosa è stato Montanelli per me... Una parte del paesaggio? Il nonno ex fascista che molti di noi non hanno realmente avuto, ma ci spettava comunque per contratto? Perché bene o male quello è stato. Mi viene in mente un mio amico, si fa per dire, non lo vedo da anni. Ecco, potrei raccontare questa cosa, e spero che nessuno ci si riconosca.


Risale all'anno in cui compravo almeno un giornale al giorno – ma a mia discolpa, era un anno in cui capitavano tantissime cose, il 1989? Più facilmente il 1990. E per quanto fossi un fanboy di Repubblica (merito meno di Scalfari che di Beniamino Placido) cercavo di comprarli un po' tutti. Anche quelli che non mi piacevano – del resto, lo imparai così che non mi piacevano (ricordo ancora il mio choc culturale davanti a un normalissimo fondo del Corriere: ma qui parlano bene di Craxi! E basta! Cioè non c'è nessuna notizia, stanno soltanto parlando bene di Bettino Craxi? Ma si può fare, voglio dire, è legale questa cosa?)

Compravo la Stampa, compravo l'Unità; un giorno, è naturale, mi ritrovai in mano il Giornale. Proprio quel giorno invece di farmi un giro in Cittadella, alla fine delle lezioni; invece di andare a sfogliare per l'ennesima volta i 33giri in offerta al Discoclub, me ne rimasi lì sulla panchina di granito del binario 5. Il destino, che è uno stronzo, volle che proprio quel giorno mi trovasse col Giornale in mano un mio amico del paese, in una fase della vita in cui lui era un ragazzino timido, e io un po' meno, e mi chiese: che giornale leggi? Mah niente dissi, sai, ogni giorno cerco di comprarne uno diverso...

"Questo proprio non l'ho mai visto".

"Ma sì, è un giornale di Milano, uno spinoff del Corriere". Questo di sicuro non lo dissi, non sapevo cosa volesse dire spinoff. Conoscevo a grandi linee le circostanze della scissione, e soprattutto conoscevo Montanelli sin da bambino, perché il Giornalino pubblicava a puntate la Storia dei Romani e dei Greci e di certe nozioni non credo di essermi mai liberato. Una parte del paesaggio, appunto. Ma se era il 1990 facevo il terzo anno, forse il quarto? Ormai lo avevo capito che reazionario fosse Montanelli, ci litigavo già volentieri. Ci avrei messo comunque anni a capire che uno a volte le cose le legge proprio per incazzarsi, e che il successo di alcuni giornalisti e scrittori dipende dalla felicità con cui assolvono precisamente a questa funzione. Ma in quel momento per me era vitale che il mio amico capisse che quel che leggevo non lo condividevo, insomma, m'avesse beccato con Corna Vissute mi sarei sentito un po' meno in imbarazzo.

"Quando hai finito me lo presti?"

Anche questa cosa non me la disse esattamente così – come si diceva a quei tempi passami-i-fogli-di-giornale-che-hai-già-letto? Perché è una cosa che si faceva. Comunque glielo passai tutto, che altro potevo fare? A quel tempo m'inteneriva. Al suo liceo era l'unico del paese, al paese era rimasto un po' fuori dai giri, lo vedevo aggirarsi per il binario 5, troppo piccolo per provarci con le ragazze; aveva un modo di fare che titillava il mio senso di responsabilità. È esattamente questo il problema: mi sento responsabile per quanto successo. Il che è assurdo, ma nondimeno vero. Gli feci conoscere il Giornale di Montanelli, e lui cominciò a leggerlo tutti i giorni. Poi Montanelli se ne andò, ma la corriera ormai era partita. Tempo quattro anni e lo ritrovai berlusconiano duro. Nel frattempo era diventato anche più alto di me di una buona spanna, e un pilastro della comunità, una fidanzata carina e tutto quanto, e questo malgrado ogni tanto io cercassi di incontrarlo con altri quotidiani in mano, lo vedi che non leggo solo il Giornale? L'ho comprato solo quel giorno, non mi puoi inchiodare a un giorno solo, no? Tutto questo succedeva in giorni lontani di un secolo scorso, ma non c'è una volta che non si riparli di Montanelli e in generale del Giornale che io non ripensi a lui, e non mi chieda se non è stata tutta colpa mia, e come sarebbe andata se quel giorno in stazione mi avesse trovato con in mano il Manifesto.

Ecco un motivo più originale di altri per odiare Montanelli. E invece no, per qualche oscuro motivo lo sento mio complice. Non abbiamo vigilato, non siamo stati attenti; certi mostri sapevamo che avrebbero bussato a certe porte che dovevamo custodire sprangate e invece abbiamo lasciato una fessura, per curiosità. E per voglia di litigare. Sicuri che dal litigio saremo emersi trionfatori. Della sposa abissina sentii parlare soltanto qualche anno dopo, ai tempi in cui fondò la Voce e diventò un astro dell'antiberlusconismo nascente. Non riesco a credere che si sia una coincidenza. Montanelli aveva rotto coi colleghi di destra, i colleghi di destra erano iene da archivio: pescarono la cosa che avrebbe reso Montanelli più inviso al suo nuovo pubblico di sinistra. Prendetelo come sospetto di uno che si sta rincoglionendo; ma fino a un certo punto, se qualcuno tirava fuori Montanelli, qualcun altro rispondeva sì, vabbe', Montanelli rappresenta un determinato milieu, vittima del brigatismo, ecc. ecc. Da un certo punto in poi la prima reazione diventò: Montanelli? Lo stupratore di una bambina abissina? In tutto questo riconosco lo stile della destra berlusconiana italiana, dei vari macchinisti del fango a cui mai nessuno scolpirà un monumento che pure mi piacerebbe personalmente profanare.

Ecco, alla fine sono riuscito lo stesso a spiegare cosa penso di Montanelli, e la ragione del mio fastidio per il dibattito di questi giorni – che non è il fastidio per un monumento imbrattato, peraltro con un rosa gentile e lavabile – ma l'imbrattamento arriva dopo vent'anni in cui un personaggio veramente molto interessante, e criticabile, e criticato, si è progressivamente ridotto a uno stupratore di bambina. E il fastidio per non riuscire a spiegare questa cosa senza passare per uno che minimizza l'episodio. È chiaro che l'episodio è grave, anche una volta inserito in un contesto (la guerra di Etiopia) da cui Montanelli non ha mai voluto davvero prendere le distanze, come dal primo amore; dal fascismo sì, dal conservatorismo liberale del dopoguerra sì, da Berlusconi quasi subito; ma dal mito degli italiani buona gente che liberano i barbari abissini da sé stessi, mai. Oggi però l'epiteto "pedofilo" chiude ogni discussione, e invece la discussione è interessante; significa "mostro", e Montanelli tutto era meno che un mostro che si aggirava per l'acrocoro etiopico a caccia di bambine. Era un ufficiale italiano impegnato in una guerra coloniale, che recepiva direttive dei superiori: il consiglio di trovarsi una "madam", una sposa a tempo, gli venne da un superiore che in questo modo sperava di prevenire i rapporti con le prostitute. Tutto questo più che sotto il capitolo "Pedofilia" non sarebbe il caso di inserirlo in quelle, altrettanto interessanti, "Crimini di guerra coloniale", "Sessualità in Italia nell'epoca fascista"? Ma tutto questo lo sappiamo anche grazie a Montanelli, che avrebbe avuto tutto il tempo e l'interesse per negare le circostanze e insabbiare le evidenze, e mai si è sognato di farlo; perché?

Probabilmente perché aveva voglia di litigare anche su questo, ed era abbastanza pieno di sé da immaginare che alla fine avrebbe vinto anche questo dibattito. "Pedofilo" oggi equivale a "tabù", ma Montanelli tabù non ne ha mai avuti (o forse l'uso di armi chimiche in Etiopia). Da scrittore di libri di storia, sapeva come certe pagine di storia si scrivono, e che i posteri hanno sempre ragione; ma che proprio per questo è inutile blandirli. Ai posteri servono anche i mostri, e forse a Montanelli non dispiaceva diventarne uno. Il suo monumento, lui per primo l'ha imbrattato. C'è qualcosa di notevole in questo; non voglio dire ammirabile, ma insomma Indro Montanelli ai posteri continua a dire: vaffanculo, io sono così. Sono un uomo del mio tempo, che ha fatto alcune cose che voi trovate orribili e ai miei tempi erano normali. Non vi chiedo scusa, non capisco nemmeno a cosa vi servano le scuse di un vecchio o di un morto. E neanche voi, non dovete scusarmi: dovete giudicarmi. Nella Storia d'Italia a Volumi a me forse spetta una mezza pagina: vedete voi cosa farci entrare e cosa no. Se alla fine ci sarà scritto "ha stuprato una bambina in Abissinia", amen. Il punto non è se raccontarla così mi renda o non mi renda onore: io sono morto, chi se ne frega del mio onore. Il punto è: farà onore a voi?
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Ad Agata (non voglio più pensare)

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5 febbraio – Sant’Agata (230-251), martire ignifuga.

Agata è stata la santa che più ha fatto per rendere accettabile
in chiesa il nudo femminile, ma per molto tempo i pittori non
hanno potuto fare a meno di corredarla di tenaglie.
Questo è Sebastiano del Piombo.
[2013. Dopo sei anni di attesa, il restauro della Pieve Matildica dovrebbe iniziare quest'anno]. 

Agata ha solo 15 anni, quando il proconsole di Sicilia Quinziano le mette gli occhi addosso: giovane, ricca, consacrata a Cristo. Poiché non cede né alle proposte né alle minacce, la consegna a una cortigiana, tale Afrodisia, acciocché la rieduchi ai costumi pagani: banchetti, orge, prostituzione sacra… niente da fare. “Ha la testa più dura della lava dell’Etna”, dice Afrodisia, rispedendola al mittente.

Si passa così alla tortura. Le stirano le membra, la lacerano con pettini di ferro, la scottano con lamine infuocate. Lei resiste; allora le strappano i seni con le tenaglie. Verrà nottetempo Pietro apostolo nella sua cella a fargliele ricrescere. Infine l’empio Quinziano decide di farla alla brace, ma il suo velo rosso (simbolo di verginità) resiste al fuoco. È il primo tessuto ignifugo della storia. I catanesi lo usano ancora per fermare le eruzioni di lava. Agata se la cava bene anche con le pestilenze e i terremoti, in generale con tutte le sfighe che possono capitare in una città mediterranea tra una faglia sismica e un vulcano.

Attribuito ad Andrea Vaccaro.
Il dettaglio del sangue sulle dita
Mille chilometri più a nord, Sant’Agata era l’unico dipinto a olio di un certo valore nella Pieve di Sorbara (MO), oggi è sagra anche lì. Per molti anni non ho neppure fatto caso al seno che portava sul vassoio; poi a un certo punto ho imparato la storia, e da quel momento non c’è stato più verso di passarci davanti senza pensare ad Agata, al seno, alle tenaglie, al seno, alle tenaglie, al seno, tutti pensieri che non si dovrebbero portare in chiesa, ma una volta fatti entrare non c’è modo di buttarle fuori, le tenaglie, e il seno, e un seno preso a tenaglie. Agata ma quanto doveva esser brutto quel Quinzano per voler più bene alle tenaglie, Agata; ci fossi stato io al tuo posto, quanto presto avrei tradito il mio padre e i miei compagni.

“Scambiamoci ora un segno della pace”.
“La pace sia con te”.

Agata scusa posso chiedertelo: quanti seni hai? Due sul vassoio ok, ma sul serio ne hai altre due al loro posto? Dalla posa non sono in grado di farmi un’idea, e tuttavia sarebbe molto più sano per me pensare che ce le hai, e tuttavia non posso fare a meno di domandarmi: che senso ha fartele ricrescere la notte prima che t’ammazzino?

“La messa è finita andate in pace”.

Come, è già finita? Vuoi dire che è da mezz’ora che sto solo pensando a tette e a tenaglie?


Giovanni Carlani, 1616 (Edimburgo).
Quando ero piccolo era diverso, ma c’è da dire che a quei tempi il vassoio probabilmente non si vedeva bene, il quadro era stato restaurato più volte da imbrattatele che non si accontentavano di togliere il fumo delle candele, no, erano artisti, loro, volevano lasciare il segno, loro. Oppure risentivano delle oscillazioni della committenza. Il seno su un vassoio magari a un arciprete non piaceva – in effetti è abbastanza ripugnante se ci rifletti – e lo toglievano; poi ne arrivava un altro che ci teneva – dopotutto è una tradizione millenaria – e lo rimettevano; qualcuno aveva pensato bene di aggiungere il campanile di Sorbara sullo sfondo; finché un altro arciprete si sarà chiesto: Agata è una siciliana del terzo secolo, che senso ha il campanile di Sorbara sullo sfondo? Niente, però sta bene. È un campanile ottocentesco, che somiglia a tutti i campanili ma è in un qualche modo diverso. Per capirlo però devi andartene, girare il mondo, dare un’occhiata a tutti i campanili che trovi, e poi tornare al tuo paese e dire: dai, mica male il campanile. Ha un suo stile. Forse è il tetto che fa la differenza, non ne trovi molti fatti a punta così: è stravagante senza dare nell’occhio, non ci tiene a essere diverso ma semplicemente lo è.

Sotto il campanile la pieve invece è un patchwork di cose messe assieme da generazioni di arcipreti dotati più di spirito di iniziativa che di senso estetico. È in piedi dall’anno Mille, quando però era più alta (pian piano si è interrata, poveretta, viviamo tutti su un budino) e a navata unica: adesso ne ha cinque, un tripudio di colonne che facevano imprecare i fotografi ai matrimoni, non si riesce a inquadrare mai niente, solo colonne colonne colonne. Io il prete l’avrò visto in faccia dopo tre anni di messa, all’inizio era solo un vocione che rombava dagli altoparlanti e rimbalzava sulle volte nel soffitto. Facciata cinquecentesca, stucchi settecenteschi, all’interno una madonna di Lourdes di quelle biancazzurre fatte con lo stampino – però ad altezza naturale. E un’altra Madonna in baldacchino, modello Carmelo, una bomboniera. Vetrate neocubiste anni Settanta. In mezzo a tutto questo l’olio di Sant’Agata sembrava un Tiziano. Crescendoci assieme perlomeno avevo questa sensazione, poi si cresce, si gira il mondo e le pinacoteche, e quando torni nemmeno Agata non ti sembra un granché, è naturale.

Siccome la vita non assomiglia, in generale, a una storia di Santi, devo dire che l’effigie di Agata non ha potuto un granché contro il terremoto dell’anno scorso. Cioè. Dipende. La chiesa è effettivamente ancora su, altre non ce l’hanno fatta, forse in altre epoche avremmo gridato al miracolo e portato Agata in processione. Ma la chiesa è comunque pericolante e i lavori di ristrutturazione sono fermi, i Beni Culturali non sanno dire quando sarà rimessa in sesto, se lo sarà. Da sei mesi la messa si celebra nella sala polivalente dell’Oratorio, che per fortuna era stata ristrutturata pochi anni fa, cioè, aspetta, pochi – venti. Hanno tolto le panche, le statue, immagino che anche Agata sia al sicuro, mi domando che effetto deve fare la Pieve adesso. Tutta vuota. Come casa tua nel momento in cui chiudi la chiave per l’ultima volta e la passi a uno sconosciuto.

Insomma stanno aspettando di vedere se casca. Dipende molto da come va lo sciame, se la faglia non si riattiva ecc. Sono quei momenti in cui mi dispiace di essere me e non una persona più interessante, più compiuta, più successful, perché magari basterebbe questo a sbloccare la situazione, a togliere la pieve matildica dal lato basso del foglio delle priorità. Se fossi famoso, magari anche morto, ti immagini? la chiesa in cui il famoso tizio visse i suoi primi vent’anni, nell’atmosfera rustica e mistica insieme in cui attecchirono i semi che avrebbero generato il suo magnum opus, La Rubrica Dei Santi Del Post, ecco, magari a quel punto la sovrintendenza potrebbe decidere di sgaggiarsi. Poi per carità, tutto deve cadere prima o poi, siamo cenere ed è cenere persino il marmo della nostra tomba; ci mette un po’ di più ma è cenere comunque. Io nella pieve di Sorbara suonavo spesso la chitarra. La suonavo forte e male, nel deliberato intento di scandalizzare i benpensanti e spiazzare i malpensanti; irridevo le composizioni fiorite del post-progressive cattolico e predicavo una specie di ritorno alle radici, agli inni primordiali, di cui in certe messe pomeridiane molto intime proponevo delle rivisitazioni piuttosto punk, che Agata immobile era costretta ad ascoltare, povera Agata, quante volte avrai rimpianto che Quinziano si fosse fissato sui seni, che non ti avesse voluto strappare le orecchie. Ma esagero, in realtà ero un musicista di servizio, abbastanza duttile, suonavo anche nelle situazioni in cui nessuno se lo sentiva: i matrimoni di gente sconosciuta in paese, e i funerali. Quanti funerali.

Per me sono stati importanti, lo dico anche a volte in classe: ma voi, fanciulli, ci andate mai ai funerali? Ci siete entrati almeno una volta in un cimitero? È una cosa importante, una cosa della vita, prima o poi succede a tutti e non vi augurate certamente che succeda per primi a voi: quindi vi dovete abituare all’idea di accompagnare i vostri parenti, i vostri amici, a me è successo, è una cosa naturale, e che c’è Nizzoli?

“Posso andare in bagno?”
Per essere un villaggio di 3000 anime ha una skyline interessante
– la costruzione monumentale grigia è un mangimificio,
i vicini di casa non captavano Videomusic.
Nizzoli ma è possibile che tu abbia un’autonomia di un quarto d’ora, ma il giorno che seppelliscono me e c’è da accompagnarmi al camposanto, centocinquanta metri in linea d’aria, ce la fai a stare nel corteo o ti tocca farti mettere un catetere? Vai, vai. Stavo dicendo?
“Che è importante andare ai funerali”.
Sì. L’ultima volta che ci sono andato Agata fu testimone di questa storia assurda, io ero nella prima panca, quella su cui nessuno vuole sedersi. Durante le letture, molto belle, le avevo scelte io, aveva squillato a lungo un cellulare. Tipico. Ma eravamo credo già alla predica quando una signora si fece avanti, una matta – non lo sapevo, me lo dissero poi, manco le matte del mio paese riconosco – si fece avanti fino alla mia panca e si scusò per essere in ritardo, e chiese se faceva in tempo a vedere il morto. Poi indicò la cassa, che stava davanti a noi, e mi chiese: “È lui il morto?”

È lui il morto.
Questa non so proprio di chi è, aiutatemi voi.
Certi quadri vagano per l’internet senza più attribuzione,
come gli inni sacri fotocopiati nei canzonieri.

E io nella prima fila, le lacrime strette in fondo agli occhi, che già mi domandavo come avrei fatto a uscir fuori da lì e farmela a piedi fino al cimitero, io la guardavo e non capivo cosa stesse dicendo, certo che è lui il morto non lo vede? Le sembra il momento di scherzare? È lui il morto? Posso avere nella vita un momento, uno solo, che non sia quello di scherzare? È una cassa chiusa con le viti, i bulloni, il sottocoperchio zincato sotto il coperchio di legno, certo che è lui il morto, cosa vuole da me? Vuole che portino via me invece? Ho domandato, sa: non si può.

M’avesse preso Quinzano in quel momento, con dieci tenaglie, con cento, non avrei detto una parola, tutto giustissimo, tutto appropriato, morì sotto Decio imperatore, di lui resta un ritratto a olio pregevole in una chiesa che tra un po’ viene giù. Invece sono vivo e non ci vado più ai funerali. Mi sono stancato, in quel preciso momento. Continuo a pensare alla matta, alla bara, ai bulloni, alla bara, alla matta, pensieri che una volta che ti sono entrati in chiesa, in testa, non c’è verso di farli saltar fuori; uscirà tutto il resto – le panche, l’altare, le chitarre – loro resteranno lì.

Agata aveva quindici anni; secondo altri ventuno.
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Il poliziotto buono di Cristo

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24 gennaio – Francesco di Sales (1567-1622), vescovo di Ginevra in esilio, poliziotto buono di Gesù Cristo

Voi l’avete mai preso un treno solo per andare a litigare? Io almeno una volta il biglietto l’ho fatto. Ufficialmente andavo a fare la pace, perché andiamo, on line è normale trascendere, ma basta vedersi in faccia per capire che quel che ci divide non è in realtà così importante. In realtà per tutto il tempo non smettevo di ripassare i miei argomenti, nel tentativo di schierarli nel modo più tagliente possibile, oh sì, io a Roma ci stavo andando a fare il culo a un tizio, avevo intenzione di entrare nella sua tana e prenderlo alle spalle. L’effetto sorpresa è tutto in queste cose, si sa.

Dai è solo un pezzo di legno, venite a toccare, non fa male...

Lo sapeva bene anche Francesco di Sales, vescovo di Ginevra che a Ginevra non poteva entrare, perché era la città di Calvino e i sacerdoti cattolici rischiavano la galera o peggio. Ma Francesco non era tipo da abbattersi, anzi Ginevra l’aveva scelta proprio come il cavaliere sceglie la dama più inaccessibile. Quando si era reso conto che ai ginevrini era fatto divieto anche soltanto di ascoltare le sue prediche domenicali, aveva iniziato a stamparle su volantini e a infilarle sotto le porte: un espediente inedito nel Cinquecento, che gli è valso il titolo di patrono dei giornalisti. Ginevra restava off limits, ma nella provincia circostante (il Chiablese), Francesco poteva contare sulla protezione del duca di Savoia, che era determinato a recuperare la sua popolazione al cattolicesimo con le buone o con le cattive.

Francesco era, essenzialmente, il poliziotto buono, quello che racconta le storielle argute e che si intristisce quando vede che non vuoi collaborare. Era anche un intellettuale raffinato, una penna gradevole, e insomma farsi convertire da lui era molto più elegante che farsi confiscare le proprietà dal duca, sicché verso il 1597 qualche notabile del Chiablese cominciò a farsi battezzare.

A Ginevra ci rimasero male. Calvino era morto da un pezzo, senza lasciare eredi all’altezza. L’intellettuale di spicco era Antoine de La Faye, il quale quando seppe che il signore di Avully si era convertito grazie alla predicazione di Francesco, sbottò: io prima o poi gliela faccio vedere, a quello lì. Lo vado ad aspettare a casa sua. Il guaio è che sbottò proprio davanti ad Avully, che benché si fosse convertito manteneva una posizione di riguardo in città e da lì in poi cominciò a tormentare La Faye: e allora, quando ci andate dal vescovo? Ho scritto a Francesco, lui vi aspetta, non vede l’ora di conversare con voi a proposito della predestinazione e del libero arbitrio. Ma ecco, risulta che La Faye, di andare ad Annecy non avesse tutta questa voglia dopotutto.

Francesco invece di voglia bruciava. Ci fosse stato un treno l’avrebbe preso all’istante. Arrivò invece a cavallo, vestito in borghese per non farsi fermare alla frontiera. Arrivò coi suoi collaboratori, un cugino, e quel giuda di Avully. Ma insomma, senza preavviso, un bel giorno il suo servo bussò alla porta di Antoine de La Faye: è arrivato Francesco di Sales, vorrebbe discutere con voi. Un'imboscata in stile Iene, a fine Cinquecento. Del resto l’effetto sorpresa è tutto, in queste cose.

La Faye e Sales si conoscevano già, nel modo astratto in cui si incontravano i polemisti nella rete sociale di allora, tutta fatta di carta e inchiostro ma già straordinariamente faconda e litigiosa. Quando il vescovado aveva innalzato una croce sulla costa del Lago, per rammentare a quegli iconoclasti dei ginevrini il simbolo della divinità, La Faye aveva scritto un libro intero per rifiutare l’idolatria della croce: il che aveva consentito a de Sales, trentenne, di reagire scrivendo il suo primo libro, la Difesa dello stendardo della Santa Croce. A quei tempi si faceva così. Per esempio Lutero scriveva un libro, Tommaso Moro ne scriveva un altro per confutarlo, un protestante inglese ne scriveva un altro ancora per confutare la confutazione, Tommaso Moro lo identificava e gli faceva tagliare la testa, nel frattempo re Enrico VIII litigava col papa e faceva tagliare la testa a Tommaso Moro, il fatto che fossero dispute scritte non le rendeva meno pericolose, anzi.

Guarda come dorme placido, ad Annecy.

Anche Sales, quel giorno a Ginevra, rischiava qualcosa. Ma era sicuro che La Faye non si sarebbe ritirato senza tentare di difendersi con le armi regolamentari della retorica e della teologia; e così fu. Arrestare il vescovo non sarebbe servito a niente, anzi: nel momento in cui il duca di Savoia e il Cantone di Berna trescavano contro i ginevrini, rischiava di essere controproducente. Ma sconfiggerlo nel suo campo, quella sì che sarebbe stata una vittoria. Purtroppo La Faye non riuscì a procurarsi un testimone che la certificasse.

Sales, per contro, aveva lasciato a casa la tonaca ma non si era scordato la claque, e non è un caso che tutti i resoconti che sono riuscito a trovare attestino il trionfo del vescovo cattolico su un calvinista ottuso e ringhiante. Verso la fine, ormai consapevole della batosta, La Faye sarebbe addirittura passato al turpiloquio e alle insolenze, l’equivalente dialettico di portarsi a casa il pallone e farsi assegnare uno 0:3 a tavolino. Sono tutte versioni cattoliche, ovviamente: ma il fatto che non esistano resoconti di parte calvinista lascia sospettare che per La Faye sia stata davvero una batosta. Quanto al turpiloquio, c’è da dire che Sales è quel tipo di polemista che davvero ti cava gli schiaffoni dalle mani: sempre sereno, sempre sorridente, con l'aria di chi ha una verità ben cacciata in fondo alla tasca e magari un giorno te la farà vedere, ma perché proprio oggi? Un bluffatore incallito, come tanti apologeti cattolici dalla Controriforma in poi. Davanti agli ingenui calvinisti, persuasi di avere semplicemente ragione, anzi, che la ragione sia stata creata da Dio proprio per darla in dono a loro, Sales è il controriformista dal volto umano, quello che nemmeno ci prova ad aver ragione invece che torto: la sua strategia è attirarti nella zona grigia, mimetizzarsi tra i chiaroscuri, anestetizzarti con storielle da canonica, evocare il Terribile Dubbio e trasformarlo in una simpatica Scommessa pascaliana, dai, su, convertiti e credi al Vangelo, che ti costa? Viene da insultarlo anche a me, figuriamoci a un ginevrino riformato.

Io comunque una domenica lo presi davvero, un treno, per litigare. Avevo con me una borsa piena di argomenti e di compiti da correggere. C’era un centro sociale, a due passi dalla stazione Termini, sapevo che il tizio aveva una riunione proprio lì. Pensavo di cavarmela in un paio d’ore, in tempo per riprendere il treno e ritrovarmi in classe lunedì. Credevo che all’inizio, certo, si sarebbe molto incazzato, perché questo ti fa l’effetto sorpresa: tu non ti aspetti che il nemico ti venga in casa a spiegarti le sue ragioni. Mi avrebbe senz’altro preso a male parole. Ma non mi avrebbe cacciato, per il solito motivo che un nemico che caccia la testa nella tua tana è troppo allettante. Dovevo soltanto fingermi un agnellino, per qualche minuto: giusto il tempo di fargli alzare la coda, e poi zac! in quel posto gliel’avrei messo, a quello stronzo. Il piano era perfetto. Arrivai a Roma che imbruniva. Entrai nel centro, nessuno mi chiese chi ero.

Lui non c’era.

Giocava la Roma.

Non mi ricordo neanche più come si faceva chiamare – gestiva un sito che è stato sequestrato, no, non li ho neanche denunciati io. E d’altro canto, beh, il fatto che siano dispute scritte non le rende meno pericolose, cioè se spali merda per anni prima o poi te ne può anche arrivare addosso, sono i casi della vita. Dovunque egli sia, vorrei poterlo raggiungere per dirgli che non gli serbo rancore. Vorrei potergli dire che mi sono dimenticato chi dei due avesse ragione e chi torto, e che a distanza di tanti anni tutto alla fine sembra così assurdo e ridicolo. Vorrei potergli dire così.

Anzi adesso vado proprio a cercarlo negli archivi, e se riesco a capire come si chiamava davvero prendo un altro treno per andargli a dire in faccia, a quella maledetta testa di cazzo, che lo perdono, sì sì, vedrai come ti perdono brutta merda, ormai col Tav in quattro ore arrivi sei a Termini e in un certo senso è un peccato, vorrei che esistessero ancora certi interregionali scrausi e puzzolenti per poter passare mezza giornata in uno scompartimento a rimuginare certi vecchi screenshot di siti che mi sono stampato per ripassare alcuni punti che voglio poi appallottolare e ficcarti ben compatti nel [dissolvenza].
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I miei amici sono anemici, mi dici

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27 gennaio - Sant'Angela Merici, (1474-1540), mistica, fondatrice delle orsoline.
[2013]




“I miei amici sono anemici”, mi dici,
si sono messi ai margini
di foto con cornici.
Non pranzano con gli astici,
si adattano alle alici
che spacciano al convitto di Sant'Angela Merìci1.

I tuoi amici sono cinici, ci dici:
hanno scialato rendite, non certo in dentifrici.
Non serve essere aruspici per trarne infausti auspici:
staresti molto meglio chez Sant'Angela Merìci2.

I miei amici son quei tipici infelici
che han fatto studi classici e ne han tratto i benefici:
non san quadrare i circoli, né estrarne le radici,
proteggerli è un lavoro per Sant'Angela Merìci3.

Ex amici, han messo via i berretti frigi,
i riccioli li rasano per non mostrarli grigi.
Li trovi in ferie a Lerici più spesso che a Parigi,
ma è molto meglio perderli, da’ retta alla Merìci4.

Amici un dì magnifici; ma han chiuso i maglifici,
e senza più bonifici, da Etruschi o da Fenici,
han perso accesso agli attici, non flertan con le attrici,
non sanno a chi votarsi più (non certo alla Merìci)5.

I tuoi amici, inurbati in cupi uffici,
arcigni e tristi artefici di artritici artifici,
strillano strofe stridule a troiette traditrici;
ti prego, trasferisciti in Sant’Angela Merìci6.

Che accolga tra le accolite, le sue benefattrici,
la bimba a cui proselita, con mani protettrici,
la scala verso l'indaco indicava da pendici
che sono competenza di Sant’Angela Merìci7.


(1) Il poeta – un mediocre anonimo degli inizi del secolo XXI – ode forse in sogno la figlia primogenita lamentarsi della scarsa vitalità dei propri amici, che infallibilmente li condurrà a un destino oscuro e marginale ("si sono messi ai margini di foto con cornici"), e a una difficile situazione economica, qui descritta evocando una mensa dei poveri (un "convitto di Sant'Angela Merìci").

(2) La figlia continua a lamentarsi che gli amici abbiano delapidato i patrimoni accumulati dai genitori ("hanno scialato rendite") a causa di uno stile di vita non sano ("non certo in dentifrici"). Non è necessario essere pratici di un'arte divinatoria ("non serve essere aruspici") per rendersi conto del disastro, al quale il poeta propone di ovviare con l'immediato trasferimento della figlia in un istituto religioso ("Staresti molto meglio chez Sant'Angela Merìci". Sant'Angela, nata a Desenzano nel 1474 e morta a Brescia nel 1540, è la fondatrice della Compagnia delle Dimesse di Sant'Orsola, volgarmente conosciute come orsoline.

(3) In questa strofa il poeta inizia a rivolgere il pensiero ai propri amici, per i quali non intravede un destino migliore di quello paventato dalla figlia per i suoi: vi sono per esempio quelli che, avendo intrapreso studi classici, si sono rivelati inetti alle discipline scientifiche ("non san quadrare i circoli, né estrarne le radici": il fatto che l'operazione di estrarre una radice da un circolo sia totalmente insensata ci lascia supporre che anche il poeta si inserisca tra questa schiera di "amici", sui quali invoca la protezione di Sant'Angela Merici).

(4) Ad altri amici, che il poeta non considera più tali ("ex amici"), egli rimprovera il tradimento delle velleità rivoluzionarie espresse durante la giovinezza ("han messo via i berretti frigi": il berretto frigio è uno dei simboli della rivoluzione francese). Benché questi amici non accettino i segni dell'invecchiamento, e tentino di camuffarli con un look giovanile ("i riccioli li rasano per non mostrarli grigi") essi hanno ormai accettato le comodità di una vita borghese. Per questo è meno facile incontrarli a Parigi (la città rivoluzionaria per eccellenza, e in generale un punto di arrivo per gli ambiziosi di ogni generazione, cfr. Stendhal, Balzac) che a Lerici, placida località balneare sul Mar Ligure che si raggiunge più facilmente dalle province di Brescia, Mantova, Parma, Modena. La stessa Santa, secondo il poeta, consiglierebbe la figlia di perdere di vista amici del genere.

(5) Vi sono poi amici che in tempo godettero di un grande benessere grazie ai "maglifici", e qui forse il poeta si riferiva a un distretto industriale ormai in via di smantellamento, nella bassa modenese. Questi amici non fanno più affari con gli "Etruschi" (forse i toscani del distretto tessile di Prato) e coi "Fenici", un popolo di origine medio-orientale che nell'Antichità si era specializzato nel commercio, stabilendo basi in tutto il Mediterraneo. Per questo motivo hanno dovuto abbandonare lo stile di vita edonista e spensierato della loro giovinezza: anche loro dovrebbero invocare la protezione di un Santo, ma il poeta dubita che la Merici possa intercedere efficacemente per loro.

(6) Il poeta immagina altri amici prigionieri di una vita di ufficio che li rende sterili: anche ciò che producono è un artificio digitale che rende artritico chi vi si dedica. Costoro sfogherebbero la loro mediocrità intrecciando rapporti frustranti con colleghe fedifraghe (segretarie?) Il poeta ribadisce alla figlia che c'è un solo modo sicuro per sottrarsi a un destino tanto orribile, ed è trasferirsi presso le Dimesse di Sant'Orsola. 

(7) Finalmente il poeta ricorda come alla figlia piacesse, da piccola, durante le visite presso un pio istituto religioso bresciano, salire le scale che conducevano agli alloggi delle Dimesse; e associa il ricordo alla più famosa visione raccontata da Sant'Angela, quella di una scala protesa verso il cielo. Chiede perciò che la santa accolga finalmente tra "le sue benefattrici" (le Dimesse) la sua figlia come "proselita". È infatti la stessa bambina a cui la Santa indicava la scala verso l'"indaco", quando si trovava "alle pendici che sono competenza di Sant'Angela Merici", ovvero a Brescia, città a ridosso dei monti, di cui Sant'Angela è co-patrona.
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"Mai ci fu una storia più scorretta..."

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Sono passati davvero parecchi anni da quell'inverno in cui, disperato per non riuscire a trovare in videoteca un film sensato sul medioevo da mostrare in una classe – qualcosa che desse a un undicenne una vaga idea di cos'era la vita nel medioevo, almeno nelle scenografie, nei costumi – mi ridussi a infilare in un vhs una vecchia copia domestica e sfuocata del Romeo e Giulietta di Zeffirelli. Mal che vada è Shakespeare, ricordo che pensai. Il tempo di tre minuti e boom, eravamo già completamente immersi in una Bella Verona in cui si cammina proprio come nei corridoi delle medie, e si fanno esattamente le stesse cose stupide. Voglio dire, "È per me che ti succhi quel pollice?" è una battuta che non riesco a immaginare in bocca a nessuno che non sia un preadolescente in un corridoio. Mi sembra incredibile che Shakespeare possa avere scritto Romeo e Giulietta per un pubblico diverso da quello che gli procuro io.

Da allora non c'è una classe in cui non l'ho mostrato, in versioni sempre un po' più nitide: e non c'è una volta in cui non abbia fatto il suo porco lavoro. A volte, se c'è tempo (una supplenza improvvisa, una nevicata) ci concediamo anche un confronto col Romeo+Juliet di Luhrmann, che li sconvolge perché Di Caprio così giovane non lo immaginano. Ma sulla distanza non c'è gara, Zeffirelli vince tutto, Zeffirelli ci penetra in luoghi che non sappiamo nemmeno di avere, o ce lo siamo dimenticati. Poi passa un anno, a volte anche due, e mi domando se non mi ricordo male, se non tendo a sopravvalutare l'effetto – in fondo è solo un film, ormai vecchissimo, probabilmente dovrei cercare cose più moderne, più pensate per i teen di adesso. E ogni volta boom, lo stesso incantesimo. Del resto, perché non dovrebbe funzionare una volta in più? Shakespeare è sempre quello, Zeffirelli pure, i preadolescenti sono sempre preadolescenti litigiosi acerbi disperati. C'è una sola cosa che cambia, nel quadro complessivo.

Sono io.


E me ne accorgo in modi curiosi – la musica di Rota, ad esempio, che all'inizio mi era molesta e ora è quasi parte del paesaggio. Ma soprattutto: faccio sempre più fatica a guardarlo. All'inizio era un film, soltanto un film, probabilmente lo consideravo kitsch o camp o middlebrow, non mi ricordo (però funzionava, quindi lo usavo: al massimo cercavo di smontarlo dopo la visione). Ma ricordo che alla ricerca di informazioni incocciai in un forum in cui un cinefilo americano lo definiva "horny", e scrollai mentalmente la testa: che bacchettoni questi americani, voglio dire chi è che negli anni Zero ancora si eccita per due chiappe di Romeo in un fotogramma.

Ecco, sono passati gli anni Zero e pure i Dieci: Shakespeare è sempre Shakespeare, Zeffirelli è sempre Zeffirelli, i fotogrammi con le chiappe non sono aumentati, e io sono sempre più turbato da quel film. Cioè, è pur vero che funziona, ma accidenti se è horny. Direi pure che è barely legal. E prima o poi non sarà più legal, prima o poi con una classe mi metto nei guai, a mostrare sulla lavagna interattiva quei due minorenni che amoreggiano. Spero che non sia stavolta.

Fatemi un bocca al lupo, è per stamattina.

Ai giochi addio...
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Caterina è una trottola

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25 novembre - Santa Caterina vergine e martire (III secolo)

Caterina trae il suo nome da catha, che vuol dire "universo", e ruina, "rovina", come a significare "rovina universale". Con lei infatti ogni edificio del diavolo cadde in rovina... (Iacopo da Varazze, Legenda Aurea).

Non mi fate scrivere chi è il pittore, dai
Caterina era una principessa che non dormiva mai mai mai, hai presente mai? come dire neanche adesso. Il re suo padre e la regina sua madre ci avevano provato in tutti i modi, con le fiabe di Grimm e di Andersen e di Calvino e di Vladimir Propp, e le canzoni dello zecchino d'oro d'argento e di bronzo i grandi successi di Mina e la Voce del Padrone, ma neanche il libro dei Salmi e la tavola degli elementi facevano addormentare la principessa Caterina, che invece di dormire imparava tutto. Infatti era anche intelligentissima, nonché molto intonata, e tutti potevano udirla alle tre del mattino cantare:

Folle, folle banderuola
folle banderuola segnatempo...

Avendo l'imperatore Massenzio convocato tutti, ricchi e poveri, ad Alessandria (EG) perché immolassero agli idoli pagani, proprio mentre stavano cominciando le celebrazioni sul più bello arrivò Caterina e disse dai, ma smettila, cosa sono tutti questi affari di ferro e legno e plastica non omologati CE? Non mi piacciono!, e sbing e sbleng e sbadabvong in dieci minuti aveva rotto tutti gli idoli del potente imperatore Massenzio, che disse: ma chi sei o giovane fanciulla impertinente?
"Sono Caterina", ella disse, "la patrona delle ruote dei carri-attrezzi e dei filatoi, perché giro tutta la notte e non mi fermo mai".
"Caterina, hai fatto un bel pasticcio. Ma adesso avrai sonno, almeno".
"Sonno io? No mai. Mi leggi un rotolo?"
"Che rotolo? Vuoi scherzare? Qui abbiamo solo papiri pregiati... ferma! stai strappando un Qumran originale!"
"Auff, le figure dove sono?"
"Senti Caterina, non ho tempo, sono il potente imperatore Massenzio, ho molti idoli da onorare, per cui adesso ci salutiamo, è stato un piacere, buonanotte e..."
"Che noia i tuoi idoli, lo sai che messi assieme non valgono nulla in confronto a mio papà?"
"E chi sarebbe tuo papà?"
"Mio papà è il più grande e il più bello di tutti, inoltre sa come va a finire la fiera dell'est".
"Ah-Ah, Caterina, tu scherzi, nessuno sa a come va a finire la fiera dell'est. Neanche Gugol".
"Lui ne sa più di Gugol, perché è mio papà".
"Dai Caterina piantala".
"No sul serio lui  sa chi uccise il bue che bevve l'acqua che spense il fuoco che bruciò il bastone che picchiò il cane..."

Quando udì queste parole Massenzio rimase molto turbato, perché nessun suddito del suo impero conosceva la canzone fino al punto in cui il bue beveva l'acqua - anche il più anziano dei gugol di corte sapeva risalire fino all'acqua che spense il fuoco, ma il ruolo del bue in tutto ciò era stato ormai dimenticato da generazioni, insomma Caterina ne sapeva proprio a pacchi e Massenzio cominciò a tentennare, vuoi vedere che suo papà è davvero uno potente. Mah, boh, che si fa? Per prima cosa legàtela, disse Massenzio ai suoi collaboratori a tempo determinato.

"Sire, non si può, ella gira e non sta ferma un attimo".
"Dannata gioventù".
"Ci ha già fatto stramazzare tre cavalli a dondolo e uno gnu".
"Sfiancatela con l'altalena".
"Ha consumato la catena".
"Caterina ma insomma sei un totale disastro, cosa vuoi da me?"
"Devi accettare che mio papà è il più grande di tutti".
"Caterina ma insomma mettiti nei miei panni sono un imperatore malvagio che figura ci faccio?"
"Silenzio ora canterò la sigla della Pimpa originale".
"Ah ah Caterina piantala, nessuno si ricorda la sigla della Pimpa originale".
"E la Pimpa corre e va / in campagna ed in città".
"Per gli dèi non è possibile! Tutte le videocassette della serie originale sono state distrutte nel rogo del quarantadiciannove! Com'è possibile che tu abbia accesso a codeste informazioni?"
"Me la canta sempre mio papà".
"Caterina senti non ho voglia di litigare, mi sembri una fanciulla piena di spirito e di sapienza, onora gli dei e farò di te la prima principessa del regno, anzi dell'impero, tutti si prostreranno a te e..."
"Non è che hai del panino?"
"Va bene, allora adesso facciamo così. Inviterò i cinquanta saggi più saggi dell'impero, verranno qui e discuteranno con te, ti confuteranno e ti surclasseranno in sapienza e a quel punto ti addormenterai, d'accordo?"
"Una zebra à pois, à pois, à pois".
"E non cambiare sempre argomento".

I cinquanta saggi all'inizio non volevano venire, millantavano impegni pregressi e dicevano: ma sul serio ci scomodi per una minorenne? Cioè per chi ci hai preso? Ti mandiamo uno stagista, ne abbiamo di molto bravi che non costano e non sporcano.
"No, no, dovete venire proprio voi. Vi prometto ricchi premi e un sontuoso coffibrek, ma addormentatela, addormentatela ve ne prego".
"Beh vabbe' se insisti veniamo, ma non piangere, dai, sei un imperatore crudele o cosa sei?"
"Non ce la faccio più! Non dormo da una settimana! Sul lavoro ho le allucinazioni! Mi trottola sempre da ogni parte del campo visivo!"
"Non te la devi prendere, son ragazzi".
"Ho una pila di papiri arretrati che non finisce più, al lavoro non so più che scusa inventarmi, vi prego fate qualcosa".

I saggi scossero le lunghe barbe e salirono in groppa agli stagisti. Il viaggio durò una settimana. Nel frattempo ad Alessandria ormai la prodigiosa Caterina era sulla bocca di tutti, per via che sapeva contare fino a dodici e distingueva le macchine rosse da quelle blu, e tutti lodavano la sua sapienza. Quando i saggi arrivarono, lei volle tirare le barbe a ciascuno di loro, trovandole tutte in ogni caso deludenti rispetto a quella di papà. Il colloquio verté su argomenti di filosofia, diritto naturale, e su quale fosse la precisa sequenza degli animali nel Pulcino Pio. Ben presto i saggi cominciarono a traballare, e quindi a stramazzare al suolo addormentati, uno alla volta. Dopo tre ore l'imperatore bussò ma nessuno gli apriva, così entrò da solo e vide Caterina seduta su un tappeto di vecchie barbe addormentate che cantava I Più Grandi Successi Del Quartetto Cetra.

"Svegliatevi!" urlò. "Con quello che mi costate di rimborso spese! Possibile che una giovane fanciulla tenga testa a tutti voi?"
"Sire non c'è niente da fare", dissero quelli. "Conosce le lingue degli uomini e degli animali da cortile, e i nomi dei sette nani".
"Di tutti i sette nani? Mi prendete in giro. Nessuno è mai riuscito a..."
"E riconosce ogni singolo barbapapà per nome colore e competenza. A malincuore dobbiamo ammettere che suo papà è veramente un tizio tosto".
Al sentire queste parole, Massenzio fu scosso da una terribile ira e ordinò che fossero tutti torturati con l'aspirazione nasale.
"NO! Ti preghiamo, crudele imperatore, scanna i nostri stagisti e nutricati delle loro frattaglie, ma l'aspirazione nasale no!"

Ma l'imperatore fu irremovibile. E poi, siccome i martiri sono un po' come le ciliegie, uno tira l'altro, decise già che c'era di ordinare uno strumento di tortura per la giovane Caterina, un meccanismo con molte ruote dentate. Ma Caterina, che ve lo dico a fare? Appena provarono a legarla si mise a girare, e girava così forte che la ruota dentata grippò, e l'ingranaggio saltò in testa al re, che ne riportò un bernoccolo con prognosi riservata per duemila anni.

E poi basta, Caterina non è mica stata martirizzata nel terzo secolo come dicono certi stupidi calendari, certe stolte leggende auree o argentee o bronzee. Nessuno poteva martirizzarla, Caterina era troppo veloce, e non potevano neanche aspettare che si addormentasse, perché Caterina non dormiva mai. E non dorme neanche adesso, se senti bene in fondo al corridoio senti che canta

Folle, folle banderuola
folle banderuola senza tempo
che giri come il sole e come il lampo
sul tetto rrrrrrosso del mio cuor
tirintirintin tì!

[Questo pezzo è stato pubblicato la prima volta nel 2012].
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Il peggior scrittore del secolo

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(Non di questo, del secolo VI. Un secolo in cui magari in Europa sapevano leggere in cinquecento e scrivere in quindici – comunque si aggiudica il trofeo San Gregorio di Tours, di cui si leggono mirabilie sul Post. Quella nell'immagine invece è una bis-bis-bis-nonna di Cenerentola, giuro).

17 novembre - San Gregorio di Tours (538-594)

...aveva di poco passati i trent'anni quando divenne vescovo di Tours; se è lecito giudicare l'uomo dallo scrittore, deve aver posseduto coraggio e forza di carattere, e certamente nulla di quanto vide poté distoglierlo dalla sua via...


e ADESSO chi è la più bella del reame, eh?
Come? Non ti sento bene, scusa.
Uno dei motivi per cui la gente guarda i talent show, secondo me, è che sono pieni di incapaci che fanno ridere, all'inizio; e in seguito di mediocri che possono sbagliare nota o figura da un momento all'altro. E a quel punto lo spettatore si sente come Nerone sul palco del Colosseo pronto a invertire il pollice e far entrare i leoni, no? No, esagero, tra l'altro ai suoi tempi il Colosseo non c'era, e comunque a Nerone non piacevano gli spettacoli sanguinosi. Forse i mediocri ci fanno stare bene perché sono gente come noi, sbagliano come noi, se diventano ministri fanno le stesse cazzate che faremmo noi, se non peggiori.

Ma c'è di più: a volte solo contemplando un mediocre noi riusciamo a farci un'idea della grandezza. Per esempio. Io la danza classica non sono mai riuscito a guardarla, alla prima ruota impeccabile sbadiglio, sono sempre tutte incommensurabilmente brave e mi annoio. Invece se guardo un'amica di Maria col collo del piede inadeguato riesco a capire le sue mancanze, le correggo con l'immaginazione e all'improvviso mi rendo conto della fatica, della grazia che deve metterci una ballerina vera; è come se la mediocrità mi aiutasse a misurare il valore di chi è bravo sul serio; è come quando fotografi un piccione spennato in cima a un monumento e finalmente riesci a capire quanto il monumento è grande. Dico tutto questo perché oggi è San Gregorio di Tours, che non è patrono di Tours (con San Martino non c'era gara), quindi non si sa esattamente di cosa sia patrono, e allora io avrei una proposta: nominiamolo patrono di tutti gli scrittori mediocri.

Gregorio in effetti è un po' l'amico di Maria della scrittura. Il mio Dizionario dei Santi (“Da Abacuc a Zosimo tutti i protagonisti della fede”) spiega che la sua Historia Francorum “non si può dire un'opera d'arte”, mirabile eufemismo per nascondere ai non esperti la terribile verità: Gregorio come scrittore è un disastro. Ma è uno di quei disastri molto interessanti da studiare, come il Big Bang. Non è che non sappia mettere la punteggiatura: ai suoi tempi nemmeno esisteva la punteggiatura, forse non costumava nemmeno più spaziare tra una parola e l'altra, siscrivevatuttoattaccatoperevitarecheilpenninofacesselagocciamacchiandolapergamena (con quel che costava, la pergamena: per qualche secolo si è andato avanti riciclando testi antichi, se volevi raccontare gli ultimi gossip sulla regina Cunegonda prendevi un rarissimo volume della Poetica di Aristotele, lo raschiavi, e iniziavi ascriverefittofittoqualsiasistoriellativenisseinmente). Niente punteggiatura, insomma, niente spazi: quindi diventano importantissimi i nessi logici, quelle paroline come “Perciò, Quindi, Infatti, Siccome”... ecco, quelle. Gregorio non sa bene come usarle, è come uno di quegli studenti che cominciano sempre con "Infatti" ma non sta introducendo una conseguenza, con "Perché" ma non sta recuperando una causa, è solo un modo per prendere parola e iniziare a raccontare fattoidi senza continuità finché qualcuno spazientito non ti toglie il microfono.

Gregorio del resto non è che capisca il come e il perché, la sua Historia non è che un groviglio senza capo né coda di Merovingi che si accoppano e poi fanno la pace e poi si riaccoppano, con un vescovo (a volte Gregorio stesso) che ogni tanto ne prende due sottobraccio e dice “Va bene adesso basta ammazzarsi tra cugini di terzo grado, dite un Pater Ave Gloria e da qui in poi tutti amici, oc?” [Non è vero che si diceva “oc”, a Tours non si parlava la Langue-d'Oc, ma mi piaceva la scena di un vescovo che dice “Oc”]. E il bello è che nella pagina seguente i due sono davvero amiconi e fanno bisboccia insieme, poi quando è ora di pagare il conto uno dice "Paga il mio amico che ha appena ereditato, è diventato ricco da quando ho fatto uno spiedo di tutti i suoi parenti, eh eh, Cramnesindo, dovresti solo ringraziarmi..." e Cramnesindo a quel punto si adonta, gli taglia la testa e la infilza su un palo, ecco, questi erano i tempi di Gregorio di Tours (continua...)


Gregorio non dispone che del suo latino grammaticalmente corrotto, sintatticamente povero e di conseguenza quasi di scolaretto, egli non ha registri da manovrare e non ha un pubblico sul quale possa influire con un gusto inconsueto o con una variante stilistica; ha però i fatti concreti che accadono intorno a lui, che si svolgono davanti ai suoi occhi o che gli sono riferiti “caldi caldi"...

Gallia, sesto secolo. L'Impero Romano è finito dai tempi dei nonni dei bisnonni, e al suo posto ci sono questi sovrani burgundi visigoti e merovingi che però non conoscono la differenza tra nazione e proprietà privata, sicché qualsiasi regno lo dividono tra numerosi figli maschi, i quali ovviamente non perdono tempo e cominciano ad ammazzarsi a volte quando il padre è ancora vivo, spalleggiati da mogli e concubine efferate: i confini cambiano continuamente, le nazioni hanno nomi stranissimi (Neustria, Austrasia), e in mezzo a tutto questo Gregorio cerca di fare l'uomo saggio, l'uomo di fede e soprattutto di lettere. La volontà non gli mancava, ma cominciava a scarseggiare il materiale, dico proprio le pergamene: in tutta la sua vita Gregorio si nutrirà soprattutto di cronache tardo-antiche, un po' di Eneide, poca patristica, Cicerone solo attraverso San Girolamo, le Scritture compreso qualche apocrifo, tutto lì. Per i tempi era comunque una biblioteca degnissima, che gli valse una fama di intellettuale, non del tutto immeritata, perché son tutti buoni oggi di fare i sapientini con google. Gregorio non aveva nemmeno a disposizione un vocabolario decente della lingua in cui cercava di scrivere (il latino).

Quanto alle fonti, è tutto un sentito-dire. Gregorio è contemporaneo di alcuni dei personaggi più incredibili della sua Historia; donne fatali e criminali, come Brunechilde e Fredegonda. Quest'ultima, nata schiava, seduce il re Chilperico e lo convince a ripudiare la prima moglie Audovera e a trovarsene una degna di lui. Chilperico obbedisce ma, come capita sovente ai Merovingi, fraintende e sposa Galsuinda, sorella di Brunechilde regina di Austrasia. Fredegonda abbozza ma appena Chilperico si stanca della sposa novella riesce a convincerlo a farla sgozzare: la cognata non apprezza, e da qui un'infinita guerra tra Austrasia e Neustria in cui inutilmente gli studiosi moderni cercherebbero quei moventi, quegli indicatori socio-economici per cui si fanno le guerre, perché ce la racconta Gregorio da Tours, e per Gregorio alla fine è tutto molto semplice: quelle due tipe, Fredegonda e Brunechilde, non si sopportavano, per trent'anni continuarono a scagliarsi contro re principi  e pretendenti come pezzi bianchi e neri sulla scacchiera.

A Gregorio nulla dell'uomo è estraneo, fa luce in tutti gli abissi, chiama le cose col loro nome, e conserva tuttavia la sua dignità e una certa unzione di tono, e non si fa nemmeno nessun ritegno d'impiegare mezzi temporali accanto a quelli spirituali; sa che la Chiesa deve essere forte e potente se vuol raggiungere in questo mondo qualcosa di durevole nel campo morale e che bisogna legare a sé anche con interessi pratici coloro di cui si vuol conquistare durevolmente il cuore. 

Nel frattempo Fredegonda aveva anche il suo daffare ad eliminare i figliastri, avvelenandoli o facendoli sgozzare o screditandoli presso il marito. Persino i suoi figli naturali dovevano stare attenti alla testa, letteralmente. Alla vezzosa Rigonda promise di regalare ogni vestito e prezioso che sarebbe riuscita a trovare in un baule; ovviamente era solo un pretesto per chiuderle la testa nel baule stesso, ma le sue guardie sventarono il crimine e... e niente, il mattino dopo tutti a colazione come prima, che gente i Merovingi.

L'episodio è interessante perché riaffiora dieci secoli dopo nell'ultimo posto dove uno se lo potrebbe aspettare, e cioè nella fiaba di Zezolla, che è poi la versione napoletana di Cenerentola, narrata nel Cunto de li Cunti da Giambattista Basile. Qui in una versione italiana:
Ma [il padre di Zezolla], essendosi sposato da poco il padre e pigliata una focosa malvagia e indiavolata, questa maledetta femmina cominciò ad avere in disgusto la figliastra, facendole cere brusche, facce storte, occhiate accigliate da spaventarla, tanto che la povera ragazza si lamentava sempre con la maestra dei maltrattamenti che le faceva la matrigna, dicendole: "O dio, e non potessi essere tu la mammarella mia, che mi fai tanti vezzi e carezze?" E tanto continuò a ripetere questa cantilena che, messole un vespone nell'orecchio, accecata dal diavolo, una volta la maestra le disse: "Se farai come ti dice questa testa pazza, io ti sarò mamma e tu mi sarai cara come le ciliegine di questi occhi". Voleva continuare a parlare, quando Zezolla (che così si chiamava la ragazza) disse: "Perdonami, se ti spezzo la parola in bocca. Io so che mi vuoi bene, perciò zitto e sufficit: insegnami l'arte, perché io vengo dalla campagna, tu scrivi io firmo" "Orsù" replicò la maestra, "senti bene, apri le orecchie e il pane ti verrà bianco come i fiori. Appena tuo padre esce, di' alla tua matrigna che vuoi un vestito di quelli vecchi che stanno dentro la grande cassapanca nel ripostiglio, per risparmiare questo che porti addosso. Lei, che ti vuol vedere tutta pezze e stracci, aprirà il cassone e dirà: 'Tieni il coperchio' E tu, tenendolo, mentre andrà rovistando dentro, lascialo cadere di colpo, così si romperà l'osso del collo. Fatto ciò, tu sai che tuo padre farebbe monete false per accontentarti e tu, quando ti accarezza, pregalo di prendermi per moglie, perché (beata a te!) sarai la padrona della vita mia".


Divorzio alla merovingia:
Chilperico strangola la moglie nel sonno.
Sì, lo so, di queste cose Walt Disney non parla, ma la Cenerentola originale napoletana spezza il collo della matrigna in un baule. Le va comunque male, perché il papà sposa la maestra che diventa una matrigna peggiore della prima, ed è quella che poi la relega definitivamente alle pulizie. Secoli prima lo stesso crimine era stato imputato a quella granculo di Fredegonda, che con Cenerentola del resto condivide il salto improvviso da domestica a principessa. Insomma dietro alla fiaba della scarpetta di cristallo (che con molte variazioni è attestata nell'antico Egitto, in Cina e tra i nativi americani) potrebbe esserci una delle più malvagie regine della storia, una di fronte alla quale Lucrezia Borgia è una Teresina del Bambin Gesù. E alla fine un dettaglio della fiaba potrebbe averlo messo su pergamena proprio il mediocre Gregorio da Tours, con la sua passione per le scene un po' truculente, ma vivide. Se lo amiamo, con tutto l'affetto fraterno che riserviamo ai mediocri, è grazie a Erich Auerbach, che in Mimesis ci ha fatto conoscere la sua prosa sgrammaticata, e ci ha insegnato a riconoscere l'alba nell'imbrunire degli antichi nessi logico-sintattici. Perché è vero, Gregorio scrive male, ma senza di lui forse non avremmo il realismo moderno.
Di certo il suo talento e il suo temperamento conducono il vescovo Gregorio molto al di là della semplice cura spirituale e della pratica ecclesiastica; quasi senza avvedersene diventa uno scrittore che afferra e foggia la vita. Non ogni prete avrebbe potuto diventar quello che è diventato lui, ma in quel tempo soltanto un prete poteva diventarlo.
È passato molto tempo da quando studiavo Auerbach e il realismo in generale, ma ancora oggi quando correggo qualche tema di tredicenne, e sbatto inevitabilmente contro sintassi traballanti, punteggiature insensate o inesistenti, “perché” che non spiegano e “ma” che non avversano, proprio mentre sto per accartocciare il foglio protocollo... mi torna in mente Gregorio di Tours, grande e sgrammaticato scrittore che coi cocci del latino s'inventò una lingua nuova e un realismo nuovo, patrono di tutti noi cattivi e incompresi scrittori sempre in guerra con punteggiatura e logica. Magari il mio peggior studente sarà il cronista dei prossimi barbari; possa San Gregorio illuminargli il desktop, mentre raschia dalla memoria fissa qualche e-book inutile e comincia a scrivere le gesta del popolo tamarro.

[Pubblicato la prima volta il 18 novembre 2011].
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San Martino, l'estate che non c'è

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11 novembre – San Martino da Tours (316-397), soldato, vescovo, fenomeno meteorologico
Carpaccio (1480 circa)
L’estate di San Martino dura tre giorni e pochino, e nessuno sa spiegarmi il perché. Pensavo si trattasse di un piccolo anticiclone stagionale, ma salta fuori che esiste in tutte le fasce temperate del mondo; addirittura anche in Australia, anche se là ovviamente arriva tra aprile e maggio. E quindi non la chiamano estate di San Martino ma, come un po’ dovunque ormai, Indian Summer. L’estate indiana, già, ma di che indiani si parla?
È parere unanime che si tratti di nativi nordamericani. Il primo a segnalare l’espressione fu uno scrittore francese immigrato a New York, nel 1778; cinquant’anni più tardi, una colona anglo-canadese si burla della leggenda metropolitana per cui l’aumento effimero della temperatura sarebbe causato dai grandi falò rituali accesi dalle nazioni indiane [questa cosa l’ho pur letta da qualche parte, ma non riesco più a trovare la fonte] . Già allora nessuno sapeva esattamente spiegare cosa ci fosse di indiano nella piccola estate che nella Madre Patria continuava a essere attribuita a San Martino. Forse era un periodo particolarmente indicato per per la raccolta di determinati frutti della terra, o per le razzie e il saccheggio. Oppure, semplicemente, l’aggettivo “indiano” veniva usato in senso dispregiativo, come sinonimo di “falso”. Quest’ultima spiegazione ha il pregio di essere più semplice e il grosso difetto di suonare razzista – al punto che al momento è stata espunta dalla pagina inglese di Wikipedia. Risolverebbe anche la coincidenza per cui dall’altra parte del mondo, in Bulgaria, la stessa estate è chiamata “zingara”. In molti altri Paesi slavi è “l’estate delle vecchie” o “delle donne” (in russo Babye Leto): anche in questo caso le interpretazioni si sprecano, le donne potrebbero essere le Norne della mitologia norrena, ma anche le madri di famiglia che in questo periodo dell’anno potevano approfittare dei giorni di sole per uscire a raccogliere funghi o castagne; ma alla fine anche in questo caso viene il sospetto che le “donne” siano l'”indiano” di turno, qualcuno a cui attribuire un fenomeno irrisorio, depotenziato. Un’estate di tre giorni, come dire un’estate da donne.
Nel resto d’Europa l’estate è stata attribuita a un santo. Martino, l’ex legionario divenuto vescovo di una diocesi della Francia profonda, l’ha spuntata su concorrenti agguerriti: San Luca (UK), Sante Brigida e Britta (Svezia), San Michele (Galles, Spagna, Serbia), Santa Teresa (Paesi Bassi), Tutti i Santi (altrove). Com’è giusto che sia: l’estate in questione non si verifica negli stessi giorni in tutte le latitudini – ammesso che si verifichi. Non siamo nemmeno sicuri che Martino abbia vinto il confronto perché l’11 novembre era il giorno statisticamente più probabile: forse si è fatto strada perché era un santo simpatico, un vescovo sollecito che non lesinava aiuti e miracoli. Fosse nato appena qualche anno prima, probabilmente sarebbe stato martirizzato sotto Diocleziano molto prima di diventare un vecchio saggio, e su di lui sarebbero state raccontate le solite storie favolose e sanguinose, arti che si staccano e riattaccano, gole che si offrono alla lama ma la lama schizza via, eccetera.
Per me i legionari romani sono tutti così (e mi sono sempre chiesto l’utilità di quel mantello in un combattimento)
Martino però viene al mondo (in Pannonia, oggi Ungheria) tre anni dopo che l’editto di Milano ha sospeso le persecuzioni.  È uno dei primi santi-non-martiri, santi che diventano vescovi e invecchiano. L’unica leggenda sulla sua giovinezza è quella famosa del mantello: trovando un mendicante per strada, dalle parti di Amiens, in un freddo giorno (di novembre), taglia col gladio il suo rosso manto da ufficiale della legione e gliene passa metà. Una versione più recente a questo punto fa uscire il sole, ma è chiaramente un’aggiunta postuma che serve a spiegare la singolarità meteorologica. Invece la leggenda originale fa comparire a Martino, la notte seguente, il mendicante in sogno: era Gesù.
Il manto di Martino nei quadri di solito è rosso, come quello dei centurioni di Asterix. Mi ricordo una favolosa pala d’altare in una minuscola città del Poitou (o forse era già Turegna). Era dello stesso rosso della mia minuscola macchinina, con la quale in quel periodo mi aggiravo tra Tours e Poitiers, cercando case di Balzac, di Descartes, rovine romane, il più delle volte trovando pioggia e girasoli. E autostoppisti, coi quali dividere l’unica cosa che possedevo, la mia vetturetta il mio unico mantello; sperando con ciò di propiziare il sole. Non voglio dire che credo in queste cose, ma nella targa c’erano le lettere S-M-A-R. Lascia che le altre vetture preghino san Cristoforo o Antonio da Padova, la mia era devota a San Martino.
La macchinina esiste ancora, ogni tanto la vado a trovare, la usano per andare nei cantieri. È un po’ acciaccata, lo sterzo è durissimo, ma ogni volta che mi vede è come se mi dicesse: sei tornato, connard? Quand’è che ce ne torniamo su su più a nord del Moncenisio, dove piove sempre e i girasoli s’en fichent? E se troviamo ragazze rosse di capelli o studenti con l’alitosi li carichiamo. Ho ancora un’autoradio, ci ha pure gli mp3, ma lo sai da quand’è che non ascolto un pezzo di Brel a palla? Non è che mi lamento, eh, è tutto piatto anche qui. Ma un bel dosso, ti ricordi quei dossi pazzeschi che arrivavi in cima ai cento all’ora e non vedevi più niente! più niente! dimmi che non ti divertivi con me in Francia, dillo. Senza un quattrino e un progetto a termine, con le valigie già fatte nel dormitorio. Stavamo dicendo?
Sole? Sì, ne abbiamo sentito parlare, ma dalle nostre parti non crediamo molto in queste cose, siamo laici sapete.
Per le stesse strade, secoli prima, Martino si aggirava, prima soldato, poi diacono, poi infaticabile vescovo deciso a evangelizzare il pagus, il contado, infine cadavere, conteso dai fedeli di Tours e Poitiers, affamati di reliquie e dell’indotto turistico-commerciale che avrebbero creato. Martino è sempre stato molto amato. Si intuisce che lui stesso amasse profondamente la sua terra d’adozione, piatta come la Pannonia (a parte qualche dosso effettivamente pazzesco), forse un po’ più esposta agli elementi. Come molti santi in seguito, partì rivoluzionario e invecchiò pompiere: cominciò bruciando idoli dove ne trovava, e verso la fine probabilmente si contentava di benedirli: il Dio di questo fiume d’ora in poi è il tal martire, ecc. ecc. Lui stesso forse subì lo stesso destino: forse sotto Martino c’è un po’ del Dio soldato, Marte: un Dio che smette di fare la guerra e si dà alla filantropia.
Quanto al fenomeno atmosferico, mi domando se esista. Per esempio, oggi è San Martino e piove come Dio la manda. Mi spiace un po’ per le bancarelle a Bomporto (MO), ma se ci penso bene, sin da quando ero bambino è sempre andata così. Quando non pioveva c’era nebbia, o vento, persino vento, guardate che dalle nostre parti è una notizia il vento, insomma, Estate di cosa?
Concludo con una poesia, e con un’ammissione pesante: a me San Martino di Carducci piace. Mi mette di buonumore, mi fa venir voglia di annusare mosto e mangiare castagne, una poesia che fa appetito secondo me merita. C’è quel participio molto semplice ma così appropriato, scoppiettante, è una poesia scoppiettante. La trovo semplice e aggraziata, con quello stormo di uccellacci neri che si dilegua, come i cattivi pensieri, appena torni a casa da una sagra piena di pioggia e nebbia e ti metti davanti a un camino, scoppiettante. Buona estate, se la vedete salutatemela.
Novembre di Pascoli invece mi fa venir voglia di morire
[Questo pezzo è apparso la prima volta l'11/11/2011].
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Il ritorno di Tutti i Santi, o quasi

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Ognissanti non è un giorno come gli altri, su questa pagina. La rubrica sulla vita dei Santi, inizialmente snobbata dalla più parte dei lettori, col tempo si è conquistata la sua nicchia e oggi è uno dei principali motivi per cui qualcuno ancora si ritrova qui, o sulle mie pagine del Post. Io nel frattempo ho scritto altre cose che adesso non ha senso andarsi a rileggere; ma i santi tornano tutti gli anni, è il loro bello. Certo, avrei potuto scriverne meglio. No, sul serio, alcuni mi sono venuti davvero imbarazzanti. Altri così così. Altri persino molto belli, tranne quei due o tre errori che mi fanno vergognare. Insomma se avessi il tempo li rifarei da capo, ma questo si potrebbe dire per qualsiasi cosa.


(A proposito: io sto bene anche se qualcuno ha notato che qui non scrivo da due mesi. Ovviamente sono molto impegnato, ma altre volte che mi è capitato di essere molto impegnato scrivevo comunque come un matto, mentre stavolta no e non sono sicuro del perché. Stava diventando più faticoso che divertente e non è che ho smesso: non sono più riuscito a cominciare. C'entrerà anche il fatto che se invece mi vengono da scrivere due cazzate estemporanee c'è facebook, e tutto finisce lì).

Così, in attesa che mi passi questa specie di blocco che forse è semplicemente la maturità (la vecchiaia), ho pensato di usare il vecchio blog per riprendere i vecchi Santi e rifarli meglio.

Proprio così, mi spiace. Nelle prossime settimane – nei prossimi mesi – nei prossimi anni – sul blog ricompariranno Santi di cui si era già parlato. Non diventerà un blog di soli Santi: spero di avere altri argomenti; però ogni tanto ci saranno i Santi e a volte saranno i soliti Santi che potreste avere già letto. Alcuni pezzi saranno quasi uguali agli originali, tranne quei due o tre errori che vorrei non avere mai commesso. Altri saranno molto diversi, magari completamente diversi. Alcuni cominceranno uguali e poi diventeranno diversissimi, e il bello è che per saperlo vi toccherà rileggerli tutti da capo (ah ah ah). Alcuni scompariranno e nessuno ricorderà che siano mai esistiti, qualcuno in un commento si chiederà: ma che fine ha fatto quel pezzo su San Tale? Sssst, non è mai esistito San Tale, te lo sei sognato. Cancellerò anche molti riferimenti a Umberto Eco, non perché non siano pertinenti, ma perché senza accorgermene lo citavo in un pezzo su due ed è triste scoprirsi alla mia età ancora fanboy di Eco – meglio che fanboy di un sacco di altra gente, ma comunque. L'unica cosa sicura è che continueranno a essere pezzi poco seri, con un sacco di asserzioni buttate lì senza fonti.

Anche sul Post i pezzi saranno un po' rieditati, ma resteranno appesi al link che hanno adesso. Anzi alcuni finalmente si ripotranno leggere nella loro forma integrale, visto che a un certo punto c'è stato un pasticcio col codice e alcune pagine si sono nascoste (non perse). Così alla fine di questa opera di riscrittura avremo su questo blog due versioni di quasi tutti i brani, più la versione del Post che sarà diversa da entrambe. Insomma molto più casino di prima. Trovo la cosa irresistibilmente medievale e assai appropriata.

Per secoli nei conventi un frate a turno ha intrattenuto a pranzo i confratelli leggendo le agiografie sanguinolente di Iacopo da Varazze. Questo blog quasi per caso si è ritrovato a fare la stessa cosa. Voi che ci capitate in pausa pranzo (o in attesa di un autobus – o dello stimolo giusto al gabinetto) avete la rara opportunità di sentirvi parte di una conversazione millenaria! Prego, è un piacere (nei prossimi giorni qui sotto rimetterò anche a posto il cestino della questua).

(A tutti quelli che hanno chiesto di farci un libro: ci si è provato, anche più di una volta: ma anche se non ci fosse la crisi dell'editoria, la crisi economica, la crisi climatica... temo che sarebbe comunque colpa mia: mi sono scelto uno degli argomenti meno pubblicabili in Italia e l'ho sviluppato nel modo più frammentario possibile. Tanta carta risparmiata, mettiamola così).
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Le cinque vite di Veronica

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9 luglio – Santa Veronica Giuliani (1660-1727), mistica anoressica, autobiografa compulsiva.

Un giorno il demonio entrò nella cella di Veronica; entrò in forma di Maestra delle Novizie, ma appena la vide nella penombra Veronica intuì che qualcosa non andava. La falsa Maestra si mise subito a parlare, Veronica riusciva a malapena a sentirla. C'è qualcuno che mormora, dicono che hai fatto perdere la testa al confessore, è un'accusa molto grave. Ma sta' tranquilla, quel sacerdote non metterà più piede in questo convento.

Il monastero delle cappuccine in Città di Castello.


– Sono tutte calunnie, risponde Veronica: e non sia mai che il confessore abbia da soffrire per causa mia. Sono pronta ad andare dal vescovo a difendere la mia e la sua innocenza.

– Ma che vescovo e vescovo, risponde il demonio, io sono la tua Maestra e ti ordino di stare zitta, la questione è chiusa.

Appena possibile, Veronica ne parla col confessore, che ne rimane molto turbato.

– Chi sono le malelingue che mettono in giro simili infamie? Fatti dare una lista dalla tua Maestra.

– Padre, non posso: ho promesso che non ne avrei parlato a nessuno.

Il confessore abbozza e se ne va. Qualche tempo dopo arriva la maestra a spiegare a Veronica cos'era successo, ovvero nulla. Non c'era mai stato nessun pettegolezzo.

– Ma sorella, era stata proprio lei a entrare in questa cella e dirmi...

– Non ero io: non sono mai entrato nella tua cella. Quello che hai visto era un demonio.

– Un demonio?

– Sai quante volte capita. Magari è lo stesso che prende le tue forme e s'ingozza in cucina davanti alle tue consorelle mentre tu sei nell'oratorio a digiunare. Un demonio mutaforma.

– Questo in effetti spiegherebbe tante cose.

– Tutto. Il demonio spiega tutto.

– Dovrei parlarne col mio padre confessore?

– Ah, ecco, quello sarà davvero trasferito, te ne procureremo un altro.

– Ma non è stato trasferito per i pettegolezzi, vero?

– Quali pettegolezzi? Non c'è mai stato nessun pettegolezzo. È stato il demonio, ti ho detto. Il demonio.


La cosa migliore di scrivere sui Santi è che tornano tutti gli anni, nell'ordine prestabilito. Sai sempre quando arriveranno, il che non significa che riuscirai a essere puntuale all'appuntamento, anzi. Ci sono santi che manchi regolarmente dal 2011. Ma non importa, tanto loro tornano anche l'anno prossimo: sempre in fila, come i solchi di un disco. Io invece da un anno all'altro divento una persona diversa, e il santo che nel 2013 mi stava simpatico nel 2016 mi accorgo di non riuscirlo più a sopportare. Poi ci sono quei santi che rimando ogni volta, perché ancora non ho capito quel che vogliono dirmi, se possono dirmi qualcosa.

Di solito questo è il momento dell'anno in cui comincio a pensare che mi piacerebbe scrivere un pezzo su Santa Veronica Giuliani; sulla sua matta infanzia, sulla sua drammatica anoressia, sulla sua torrenziale autobiografia. E ogni anno mi rispondo che bisognerebbe però fare le cose sul serio, insomma studiarla davvero, Santa Veronica, ma come si fa? Ha scritto ventiduemila pagine di autobiografia – un dato che probabilmente viene usato per spaventare il lettore occasionale, cioè non ha senso contare le pagine manoscritte, magari la santa aveva una calligrafia molto ampia: l'edizione integrale a stampa consta comunque di dieci volumi.

Questo è un comodo compendio in 450 PAGINE.

Ci vorrebbe una vita per studiare la vita di Veronica Giuliani: io non ce l'ho, e mi bastano le venti fulminanti pagine di Rudolph M. Bell (1985), per trovarmi a disagio. Su molti santi è così facile scherzare, quello che ci resta è una leggenda di una paginetta, una sagoma di cartone che si presta anche alla farsa. Ma di Veronica sappiamo troppo. Che la madre non la allattava al venerdì; che sin dall'inizio interpretava i suoi disturbi alimentari come prove di santità; che crebbe in una famiglia dove si leggevano soltanto storie di santi, la minore di tre sorelle che aspiravano tutte al chiostro, a cui rubava il flagello per frustarsi un po' nell'intimità; che alla morte della madre, il padre si trovò rapidamente una compagna e cedette abbastanza presto alla richiesta di Veronica di farsi suora. Una vita da reclusa per la quale, lo si capisce da fin troppi elementi, la ragazzina non era portata, e alla quale reagì smettendo di mangiare e vivendo esperienze allucinate che attirarono su di lei i sospetti dell'Inquisizione. Disturbo dell'attenzione, complesso di Edipo, repressione sessuale, impulsi sadomasochistici, confessori sadici, anoressia e bulimia, nella sua vita c'è di tutto e ce n'è in abbondanza. Eppure quello che anno dopo anno mi attira sempre di più a Veronica è un altro aspetto della sua esistenza lunga e complicata: il fatto che la passò a raccontarla. A molti personaggi più e meno importanti capita di scrivere un'autobiografia: è già molto più raro il caso di qualcuno che ne scriva due (il primo che mi viene in mente è Leonard Nimoy). Veronica Giuliani ne scrisse cinque.

La prima autobiografia (1975) si chiamava "I Am Not Spock", la seconda, vent'anni dopo, "I Am Spock".
Non è che ci avesse preso gusto, anzi lei sosteneva di scrivere con gran fatica: ma i confessori ci tenevano, Veronica ne ebbe diversi e almeno quattro si fecero rilasciare ampi resoconti della sua vita (uno ne volle due, il primo non gli piaceva). Non era una misura terapeutica, anche se secondo Bell fu decisiva a guarirla: ai confessori la salute di Veronica premeva meno della sua ortodossia e leggendo i suoi resoconti volevano semplicemente capire se la monaca era ispirata da Dio o invasata da un demonio. Nessuno giunse a una risposta definitiva, e la stessa Veronica rimase nel dubbio per tutta la vita.

Calco di cera del volto morente di Veronica.
Spesso dietro una santa di successo c’è un confessore che a un certo punto decide di investire la sua credibilità su di lei: è il caso di Raimondo da Capua per Caterina da Siena e di Arnaldo per Angela di Foligno. Veronica fu più sfortunata, o forse era nata in un momento più difficile: un confessore del genere non lo trovò mai. Il destino la mandò a sbattere contro tizi a volte meno equilibrati di lei, che la misero nei guai alimentando pettegolezzi da convento, o abusarono della loro posizione e dell’arrendevolezza con cui Veronica si abbandonava a loro. Ce ne fu uno che le ordinò di lustrare una cella con la lingua, e poi si arrabbiò perché durante il servizio Veronica aveva inghiottito un ragno: ehi, non esageriamo, i ragni fanno male. Forse non fu nemmeno questa gran sfortuna, visto che Veronica, a differenza di tante sante autodistruttive che aveva cercato di imitare, riuscì a superare ben quattro episodi di anoressia e invecchiare con serenità. A un certo punto fu eletta addirittura Madre Badessa, lei ex novizia terribile e ripetente, e divenne a quanto pare una leader autorevole e amorevole, che metteva in guardia le consorelle dagli slanci mistici e dai digiuni estremi, insomma da tutto quello che aveva combinato da ragazza terribile.

Col linguaggio di oggi diremmo che Veronica guarì – anche se continuò ad avere esperienze mistiche e a medicarsi le stimmate. Non sappiamo esattamente cosa la fece guarire: siamo abbastanza sicuri che non furono i confessori. Bell è convinto che la scrittura possa averla aiutata, e io sono fin troppo felice di dargli ragione. La sua quintupla biografia è un trattato di mistica che contiene una ricerca del tempo perduto, che contiene il romanzo di una donna murata viva, che contiene chissà quanti altri strati, una specie di cipolla. Eppure Veronica insiste che scrivere non le piaceva; era solo un’altra forma di penitenza, forse meno grave di pulire i pavimenti con la lingua: ma non doveva essere semplice tornare ogni volta sulla propria infanzia capricciosa, sui pruriti infidi della preadolescenza, sulle frustrazioni della sua giovinezza di reclusa.



Costretta a riscriversi all’infinito, Veronica difficilmente aveva la possibilità di rileggersi: ogni resoconto finiva nel cassetto di un confessore diverso, e a lei toccava ricominciare da capo. Il risultato è che di certi episodi della sua infanzia abbiamo quattro o cinque versioni diverse. L’episodio rimane più o meno lo stesso, ad esempio quella volta che a tre anni volle cimentarsi con la santità toccando davanti a tutti un carbone ardente. Ma la Veronica di trent’anni lo racconta in un modo diverso di quella di quarant’anni, mentre quella di sessanta ormai ammette di non ricordarselo quasi più. L’episodio assume ogni volta un significato diverso e ci domandiamo quale Veronica lo stia ricordando meglio, quando in realtà stiamo soltanto cercando la versione che ci piace di più, quella che si concilia meglio col nostro racconto. Come se il passato esistesse davvero e non assomigliasse più alle memorie di Veronica, che all’inizio si ricordava qualcosa e verso la fine ricordava soltanto sé stessa ricordarsi.


Ogni epoca pretende qualcosa di diverso da Veronica: i suoi contemporanei ragionavano in termini di angeli e di demoni, Bell parla di malattia e di guarigione, chissà cosa ci troveranno nelle stesse pagine di Veronica tra cento, duecento anni. Una volte ho letto da qualche parte che il nostro corpo si rinnova completamente più o meno ogni sette anni. O forse l’ho sentito su Quark, e non ho mai avuto voglia di ricontrollare: è una nozione troppo bella per metterla in discussione. Persino le molecole del midollo delle mie ossa, persino loro nel giro di sette anni si rigenerano e muoiono, non so come facciano, ma insomma tra me e il me stesso che cominciò a scrivere di santi ormai sette anni fa non c’è quasi più una cellula in comune. Siamo due persone diverse che condividono però gli stessi ricordi. Ecco, appunto, questo è l’aspetto più curioso: come faccio a condividere gli stessi ricordi con quel cadavere, se il mio cervello nel frattempo si è rigenerato completamente? Probabilmente c’è una parte della mia memoria fissa che passa il tempo a fare back-up, a raccontare le vecchie storie alle cellule nuove. Proprio come Veronica Giuliani, anche quando credo di ricordare la mia infanzia io in realtà sto ricordando me stesso già adulto che ricorda sé stesso ragazzino che se la ricorda. Questo significa tante cose: la più rassicurante è che non dovrei preoccuparmi più di tanto di morire, visto che succederà auspicabilmente a un tizio più vecchio di me: io in realtà muoio un po’ tutti i giorni ma rinasco anche; una parte non piccola della polvere che si deposita nel dyson sono le mie cellule morte, ricordi inclusi. Ma ciò significa anche che il mio passato è un’invenzione: che posso averlo modificato a piacere e anzi sono sicuro di averlo fatto, diverse volte, cambiando dei dettagli che non piacevano, e smettendo di raccontarmi delle cose che erano troppo difficili da sopportare.


Come faccio a sapere tutto questo? Perché oltre a ricordarmi, io ho questo difetto che scrivo, come Veronica Giuliani: e a differenza di Veronica nessun inquisitore mi impedisce di rileggermi, e scoprire che tutto quello che mi ricordo è sbagliato. L’autore della mia prima autobiografia di vent’anni è una persona che mi è quasi estranea, come può essere estraneo un figlio che si abbandona da piccolo in un convento. Mi dà anche un po’ fastidio sentirlo parlare, non lo frequento volentieri, un giorno o l’altro lo rinchiuderò di nuovo nel cassetto di qualche armadio in soffitta, finché nessuno si ricorderà più di lui. Eppure il passato ogni tanto sembra tornare così vicino, come le stagioni e le feste dei santi sui calendari: ma è un’illusione. Il solco del disco non torna su sé stesso, ma si avvita a spirale. Le cinque vite di Veronica mi danno l’idea che le persone crescano come cipolle, strato su strato: oppure crescere è come perdere uno strato alla volta, finché non rimane solo il cuore, ma anche il cuore non è che l’ultima buccia, e quando finisce non c’è più nessuno a provarne rimpianto o a soffrire per i ricordi perduti; non c’è più dolore, non c’è più niente.
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Addio Cuneo (e grazie dei pistacchi)

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È stata una sera di cinque anni fa esatti. Senza tanto spiegare pubblicai qui una finta recensione di un film. Niente di troppo originale, senonché il pezzo a un certo punto si interrompeva, con un link che invitava a leggere il seguito su un magazine on line della provincia di Cuneo. Non solo non avevo mai visto il film in questione, ma non ero nemmeno mai stato in provincia di Cuneo, così è abbastanza normale che qualcuno l'abbia preso per uno scherzo. Invece era proprio così: avevo iniziato a collaborare con Piùeventi.

"I make garbage, for the money and the pussy".
Ero convinto che sarei durato qualche mese; sono passati cinque anni in cui, salvo qualche rara interruzione, ho visto un film alla settimana e in un qualche modo ho fatto finta di recensirlo. Mi sarebbe piaciuto festeggiare il quinto anniversario andando a vedere il film numero 250 (perché a parte il primo li ho visti tutti - cioè quasi tutti, dai), ma un mese fa Piùeventi ha sospeso pubblicazioni e collaborazioni. A me ovviamente manca già tantissimo.

In questi cinque anni ho visto tanta robaccia e una manciata di film davvero molto belli; due Scorsese, tre Eastwood tre Larraín e quattro Woody Allen che mi sarei probabilmente perso. Un sacco di film di supereroi, veramente troppi. Ho imparato ad amare Luc Besson anche se usa il 10% del suo cervello, a detestare Sorrentino che invece prima mi piaceva, ho cercato di prendere le distanza da Virzì ma non ce l'ho fatta. Ho visto tante cose, Star Wars Episodio IV in anteprima e Frozen, i Lego e Kevin Spacey trasformarsi in un gatto; e voi obietterete che non è la peggior cosa che abbia fatto Kevin Spacey - ma non ne sono così sicuro. Ho visto persino degli horror - tra le fessure delle dita, ma li ho visti, dove non erano riusciti i miei amici delle medie ce l'ha fatta la Provincia di Cuneo. Quando ho iniziato, avevo già scritto qualcosa di cinema, ma non è che ne capissi molto e sapessi come si scrive una recensione. Col tempo avrei imparato, mi dicevo. Cinque anni dopo, devo dire che continuo a non capire un cazzo di cinema e non sono ancora capace di scrivere una recensione - non ho neanche la sensazione di essere migliorato, però quanto mi sono divertito?

Così addio Piùeventi, posso solo ringraziarti. Di avermi sempre pagato puntuale, ma soprattutto d'avermi dato qualcosa che alla mia età è più prezioso di un bonifico: una scusa per andare al cinema. Quella scusa che più di tutto stasera mi manca - in sala c'è un altro Star Wars ma io ho un'età, ormai, e un sacco di roba da fare (se nei prossimi mesi dovesse crollare il prezzo dei pistacchi, non sorprendetevi troppo).
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Un anno su Twitter (autunno)

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23 settembre ·Twitter
Ciao, sono il portiere di casa tua se la gestisse Yahoo. Senti,è da due anni che qualcuno ti ha clonato la serratura, cosa aspetti? Cambiala

25 settembre ·
La Lorenzin buuh, certamente, ma anche i grafici che vogliono essere pagati, mah, parliamone. Cioè si vede roba in giro che, insomma, trovarsi un lavoro?

27 settembre ·Twitter·
Nel corridoio m'imbatto in alcune ex colleghe in pensione. Ci salutiamo. Una mi sorride e mi fa un ganascino. Ho 43 anni.

28 settembre ·Twitter
Di tutti i giorni in cui Renzi poteva scegliere di spararla grossa, proprio quello in cui poi arriva Elon Musk e ci porta su Marte.




Ottobre

1 ottobre ·Twitter
Una volta mi mise le paulaner a 80 centesimi, Caprotti, se ci penso ancora mi commuovo.

Se lo sapeva, non moriva.

L'immagine può contenere: sMS

3 ottobre
Io per due anni a chi mi chiedeva:"cosa scrivi col cell?" "I romanzi della Ferrante". Qualcuno l'avevo anche convinto, maledetti giornalisti.



3 ottobre ·Twitter
Volevo dirvi che Francesco Petrarca si chiamava piuttosto sor Cecco Petracco, ed era, più o meno, un prete:ora potete bruciare il Canzoniere





4 ottobre ·Twitter
Non so, non l'ho mai letta, ma a questo punto mi piacerebbe che un'inchiesta rivelasse il nome di chi ha fatto quelle copertine così brutte.

La cosa che davvero mi lascia perplesso è che svelare le generalità della scrittrice italiana ormai più letta e famosa sarebbe un'operazione maschilista (perché si è scoperto che è una donna sposata a uno scrittore maschio, credo) e addirittura antisemita (perché ha origini ebraiche). Se invece si fosse scoperto che Elena Ferrante era un gay cattolico, sarebbe stata un'operazione omofoba e laicista? A quanto pare esiste una specie di principio di indeterminazione del pregiudizio, nel senso che certi pregiudizi li puoi determinare solo a posteriori, il che rende la parola "pregiudizio" ancora più paradossale.



7 ottobre ·Twitter
Certe notti uno precipita per 40 metri nel Rio Torto e poi se la fa a piedi fino a Lama Mocogno https://t.co/ICmeVVgkPL

8 ottobre ·Twitter
Vota "no" perché sai come si scrive (l'altra parola nessuno l'azzecca, neanche sulla scheda).



9 ottobre ·Twitter
Che poi io Trump, le tictac, me lo immagino mentre ne manda giù scatolette intere, invano



11 ottobre ·Twitter
Domani scriveranno che l'Isis ce l'ha con la cioccolata, e un clic glielo darete, perché ormai più che informarsi è un premiare la fantasia.

13 ottobre ·Twitter
Magari Bob nel complesso no, ma Subterranean Homesick Blues si meritava un Nobel da sola.

Per esempio, se il Nobel l'avessero dato, uh, a Baricco, Dylan non si sarebbe chiesto: ma allora cos'è la letteratura? Al limite si sarebbe chiesto: chi è Baricco? (Ma neanche)



14 ottobre ·Twitter
Sentite:mettete da parte due soldi e istituite un premio allo scrittore con le regole che decidete voi. Che è poi quel che fece Alfred Nobel



17 ottobre ·Twitter
Cari giornalisti, io ho sempre voglia di leggere pezzi su Dylan, e praticamente mai voglia di leggere pezzi su quanto sia giusto premiarlo.

Ciao,siccome non mi sopporti più pensavo di abolire me stesso e poi entrare in casa con un nome diverso(se Renzi fosse consulente coniugale)









22 ottobre ·Twitter
Tutto 'sto fior d'analisti che ha paragonato Trump a Berlusconi non poteva almeno aspettare che Trump vincesse qualcosina? Boh, se li pagano



23 ottobre ·Twitter
Ci ho ripensato, non ha senso dare un nobel a Dylan (se prima non lo dai a Joni)







25 ottobre ·Twitter
Coraggio, ancora due ore a mezzanotte, ancora un paio di dozzine di sapidissime battute sui frigorifer

26 ottobre ·Twitter
La tipa che al mcdrive ti serve e sta già prendendo l'ordine dell'auto successiva continua a sembrarmi la persona più intelligente al mondo





29 ottobre ·Twitter
You have to write a hundred bad songs before you write one good one. https://t.co/nLeytfvrtS

30 ottobre ·Twitter
È normale che fonti diverse, basandosi su sismografi diversi, diano magnitudo un po' diverse: per favore spiegatelo in giro.

Socci in realtà fa progressi: si rivolge a Bergoglio quasi lo considerasse un pontefice legittimo.



31 ottobre ·Twitter
Una scema scrive un tweet scemo, lo cancella subito. Intervengono gli intelligentoni dei social: lo ripubblicano a nastro per 24 ore. Bravi.


Novembre

1 novembre ·Twitter
Mentre vi apriva la mente, il latino vi spiegava che ogni misurazione, anche la più scientifica, è soggetta a un margine di errore?



4 novembre ·Twitter
Alla Leopolda se magari trovano cinque minuti per risolvere questa cosa che Rondolino sta ancora su twitter.

Chi un terremoto lo ha vissuto anche solo di striscio non lo augura al peggior nemico (qualcuno può avere un nemico peggiore del terremoto?)



7 novembre ·Twitter
La psicoanalisi è forte. Se a un congresso politico chiami un oculista per denunciare la miopia degli avversari,non funziona. Cogli psico sì

Ormai io "asfaltare" non lo sopporto neanche quando si parla di manto stradale, mi serve un sinonimo.

8 novembre ·Twitter
Poi ci sono gli scenari strani, tipo: Trump alla Casabianca, Democratici al Senato, e Marijuana legale dovunque.

9 novembre ·Twitter
E ogni volta stupirsi di come hanno disegnato male il Maryland, più di 200 anni fa, e nessuno protesta.

La sensazione che tra una donna e un comodino avrebbero comunque scelto un comodino.

(Ma adesso a Riotta la NSA cambia il software, o diventa un antiyankee accanito? Sarà buffo in entrambi i casi).

Col senno del poi, Nate Silver ai mondiali brasiliani non ne aveva azzeccata una, era meglio concentrarsi sul baseball.

Fondare un'agenzia di sondaggi che fa la media delle altre e poi dichiara l'esatto contrario: sarebbe la più attendibile.

Almeno finirà quella fase in cui sembrava che i Grandi Discorsi Presidenziali fossero una cosa importante.

C'è gente che per 20 anni ci ha scongiurato di non prendercela coi berlusconiani che adesso se la prende col suffragio universale - uhm.


10 novembre ·Twitter
Buongiorno, no, questo è il 10 novembre e anche oggi vi siete svegliati in quella parte del multiverso in cui Trump ha vinto le elezioni.




Gramellini dovrebbe essere meno maschio e, quando gli fanno presente di avere scritto una cazzata, abbozzare

Idea fantastica, tremenda: se adotto massicciamente i favolosi aggettivi di Trump,mi svolteranno enormemente la vita.Non è pazzesco,incredib

11 novembre ·Twitter
E comunque senza Dylan non avremmo avuto Cohen, quindi sì, il Nobel se lo merita Dylan (ma Cohen era più bravo)

Comunque alle mie orecchie ignoranti il discorso della vittoria di Trump sembra molto keynesiano: costruiremo, faremo, sistemeremo, infrastrutture, ponti, muri, lavoro per tutti. Certo, probabilmente non ha intenzione di mantenere molto, ma se invece ci provasse? Servono risorse ma non è che agli americani manchino dopotutto. Cioè a naso capisco che qualcosa andrà storto, ma cosa? Inflazione?

(Il muro di Trump un po' me lo immagino come quello di Pacific Rim: non tiene fuori gli invasori, crea posti di lavoro, e intanto i ricchi si stanno costruendo rifugi più solidi da qualche parte)

Beh, c'è sempre Chris Cohen // As If Apart (Official Video) https://t.co/ZOqoqOsODN

13 novembre ·Twitter
(Il fatto che i musei vaticani non siano sul territorio nazionale non significa che ciò sia giusto).





15 novembre ·Twitter
L'autoradio ha trovato They All Laughed cantata da Tony Bennett, ed è stato come avere Trump a bordo, ora mi sento sporco.

17 novembre ·Twitter
Ma quando a Stoccolma non ci andò Sartre, tutto questo baccano l'avran fatto? Boh.

De Luca è una scheggia impazzita se va avanti così dovranno abbattEHM NO NIENTE.

Il fatto di essermi diplomato in un corso che di lì a poco venne smantellato mi ha sempre un po' lusingato: come se dopo di noi avessero rotto lo stampo. Quando i ragazzi mi chiedevano, prof, ma lei poi che liceo ha fatto? io scuotevo la testa, lascia perdere, storia lunga. Col tempo ho iniziato a raccontarne una: l'hanno chiusa perché era pericolosa, ci facevano studiare troppo, facevamo piangere i ginnasiali, a un mio compagno durante un'equazione esplose la testa, diventavamo così intelligenti che il Potere ci temeva, ecc. Quando non c'è tempo taglio corto e dico che ho fatto la Scuola dei Giovani Talenti del prof. Xavier, ma poi me ne sono andato perché troppo caos onestamente.

18 novembre ·Twitter
Secondo me Dylan ha pure votato per Trump.

Oh ma che carino, If you're feeling sinister compie 20 anni FATEVI DA PARTE ACHTUNG BABY NE FA 25.

19 novembre ·Twitter
Io sarei per il No, ma se stavolta il Sì è davvero scritto con l'accento, nella cabina avrò un tentennamento.

20 novembre ·Twitter
Dovevate fare come me,per 2 mesi non leggere niente di riforma costituzionale. Invece è dall'estate che andate dietro e adesso siete spompi.

e ora accozzateci tutti



21 novembre ·Twitter
Ora telefono che non si sa mai, ma secondo me il 5 dicembre Bottura ha già tutto prenotato.

Tra quelli che sfottono Dibba oggi, c'è già qualcuno che un giorno lo saluterà come un grande comunicatore che capiva gli italiani eccetera.

22 novembre ·Twitter
Se davvero non capto più Cartoonito ho un problema grosso, grossissimo.



24 novembre ·Twitter
La morale del caso Bea Di Maio è che gli esseri umani si comportano proprio come i bot: speriamo non ci facciano il test di Turing.

25 novembre ·Twitter
Io magari tra un po' vado a letto ma non significa che stia smettendo di maledire drupal e chi lo sviluppa.



28 novembre ·Twitter
Se Renzi pensa che la TV sposti dei voti, perché non si occupa del conflitto d'interessi? Se non lo pensa, perché va a Buona Domenica?

Con quella faccia un po' così che fanno i colleghi che hanno dimenticato per la 49esima volta la password e prima o poi dovranno dirmelo.

Ho beccato un vicino che non tirava su la cacca del cane, ha cercato di giustificarsi dicendo che però aboliva il cnel.

Compagni. Quante volte in questi anni abbiamo sentito suonare la ritirata strategica, quante volte abbiamo dovuto concedere al nemico le nostre conquiste, i nostri diritti, la nostra storia, il nostro lavoro? Quante volte ci siamo chiesti: ma scapperemo sempre? Quand'è che finalmente tracceremo una linea e la terremo? Toccherà ai nostri figli o ne saremo capaci? Amici, fratelli, l'ora è suonata. Stavolta non si fugge, stavolta stiamo al nostro posto e non cediamo. Caschi il mondo, il CNEL non cade. Votate no.

29 novembre ·
Ricordo a tutti i moralisti in ascolto che se c'è un modo, un solo modo al mondo in cui gli ereditieri possono rendersi utili alla collettività, è precisamente dilapidando il proprio patrimonio, e da questo punto di vista l'unico appunto che si può muovere al giovane Elkann è di non essersi impegnato maggiormente in tal senso. Più Ferrari customizzate, più startup, più coca, più mignotte, più indotto per le economie sommerse e non sommerse, più sabbia nell'ingranaggio dell'accumulazione del capitale. Da questo punto di vista anche la nostra morbosità di spettatori borghesi o neoproletari ha un senso evolutivo, il che ci induce a un esame di coscienza: stiamo facendo tutto quello che è nelle nostre possibilità per convincere i ricchi a dissipare di più, a rimettere più ricchezza in circolo? Ci ricordiamo di mettere un like a ogni balletto di Vacchi che ci passa in bacheca? Quando in tv passa un programma in cui giovani viziati comprano cose stupide, lo snobbiamo, o almeno facciamo finta di guardarlo commentandolo sul tuitte? Possono sembrare piccole cose, e invece sono importanti: l'oceano è fatto di gocce, il deserto è fatto di polvere, e anche l'ereditiere a modo suo.



Raga ma pensate se quando uno si sposa, invece di sposarsi, il pubblico ufficiale gli chiedesse: vuoi separarti da questa persona e vedere i figli solo al week-end? Certamente lui direbbe NO! E questo probabilmente vuol dire qualcosa anche se non so cosa, la gente ragiona in modi misteriosi.

Anche a Trump nelle ultime ore lo staff sequestrò l'account twitter, voglio dire, magari Rondolino è scaramantico.

30 novembre ·Twitter
Se vi foste impegnati a scrivere una buona riforma un decimo di quanto vi state impegnando a vendercela.

Uno ce la mette tutta per non cedere alle paranoie delle banche al potere, e poi arriva Trump.

Non è che una volta clandestini i sondaggi diventino più attendibili.


Dicembre

1 dicembre Twitter
Insomma Prodi dice che la riforma è superficiale e opaca, e la vota perché così modificano la legge elettorale. Ma la modificano lo stesso.

'La vostra riforma fa un po' senso, ma almeno così cambiate l'italicum che fa ancora più senso'.

Il CNEL non si discute, si ama.


2 dicembre · Twitter
Se devi chiedere cos'è il CNEL, non lo capirai mai.



3 dicembre alle ore 16:40 ·Twitter
Nel segreto dell'urna Renzi non ti vede, Dio sì, il CNEL ti aspetta fuori.



4 dicembre  ·Twitter
In questi giorni sono stato un po' preso e ho colpevolmente snobbato la #festadellarete . Però vi devo qualcosa come quattromila grazie.

Io credo che l'unica matita davvero indelebile sia quella che usarono i falegnami sul pavimento di casa mia, non ne fanno più.

Anche se vincesse il No, più di 12 milioni di Sì sarebbero un buon successo per Renzi (alle Europee prese 11 milioni di voti).

Poi magari sto fraintendendo i segnali, ma preferirei avere a palazzo Chigi un capo di governo, non una drama queen.

TUTTO IL POTERE AL CNEL.

5 dicembre  ·Twitter
Renzi parla di sé, di sé, di sé, e poi lamenta l'autoreferenzialità della politica.

Così innamorato di sé e dell'arte del Concession Speech da mandare all'aria il 40% del consenso: un ragazzo. Avevamo a pal.Chigi un ragazzo.

ll culto del "discorso della sconfitta", 4 anni fa come oggi. Passammo da una sinistra che si lamentava di perdere a una che se ne vantava.

Insoma ai mercati alla fine fregava nulla. A posto così. https://t.co/9M9tAFllVH

"Stanotte ho fatto schifo".Sì. "Però lo ho ammesso".Ah beh. "Non è da tutti ammetterlo".Hai comunque fatto schifo. "Però.." HAI FATTO SCHIFO

6 dicembre · Twitter
Si dimette,ma Mattarella non vuole, forse si vota,forse no...cioè non si erano neanche preparati il piano B. (Siamo nelle mani di ragazzini)

Come alcuni sapranno, Anningan è il dio della Luna presso le popolazioni Inuit della Groenlandia. Insegue continuamente la sorella, Malina, la dea Sole, in cielo. Durante questo inseguimento, si dimentica di mangiare, e perciò si assottiglia: da cui le fasi lunari. La necessità di soddisfare la sua fame lo porta a scomparire per tre giorni ogni mese (luna nuova) e poi ritornare pieno per inseguire la sorella di nuovo. Malina ha una vera avversione per il suo cattivo fratello: che è il motivo per cui i due astri compaiono in tempi diversi. Molto interessante l'inversione del maschile e del femminile rispetto alla maggioranza delle mitologie. Simile situazione si ritrova anche NO RAGA VOLEVO SOLO DIRE RENZI MERDAAAAAAAAA!

7 dicembre Twitter
Ma il bambino della Butterfly lo cambieranno tutte le sere? Cioè dopo 5 minuti in grembo al soprano direi che i timpani te li sei giocati.

Quando non gli funziona lo storytelling, lo chiamano post-truth.

Ogni giorno un analista si sveglia e sa che deve trovare un incesto, Recalcati per esempio nella democrazia diretta


Lo psicanalista: "Il mito che sostiene i seguaci di Grillo è di natura incestuosa"
UNITA.TV/INTERVISTE/REC…






Greg Lake, un cantautore tenuto ostaggio da un gruppo prog.




From the Beginning is a song written by Greg Lake and performed by the progressive rock trio Emerson, Lake…



9 dicembre ·Twitter
Ma pensate se i giornalisti cominciano a dirsi addosso "patto Gentiloni" e poi lo googlano, lo trovano su wikipedia, si confondono, caos.

Comunque nel Paese reale se prenoti per un vaccino c'è fila fino a giugno.

10 dicembre
Certi che sfottono Dibba e che domani gli faranno la riverenza: almeno a guardarli ci divertiremo un po.

11 dicembre·
Raga vi voglio bene e capisco le vostre finalità didattiche nonché la sana voglia di dimostrare le vostre competenze in materia di diritto costituzionale, ma se leggo un solo altro messaggio in cui mi spiegate, entro mezzanotte, che il premier non lo eleggono i cittadini ma il parlamento, io passo veramente ai cinque stelle, vi garantisco, non ve ne rendete conto, ma son meno molesti.

C'è un tipo di silenzio, in una classe, che si ottiene solo mettendo su Vai e Vivrai. Nessun paragone (c'è su Ytube)



Africa, 1984. Il Mossad, il servizio segreto israeliano, sta organizzando la cosiddetta "Operazione Mosè" che, con la collaborazione della CIA e dell'NSA sta...
YOUTU.BE/Y8Q5QNRLSQY

13 dicembre  ·Twitter
Vorrei un filoncino e tre michette, possibilmente non eletti dal popolo.

Ho messo su il riso. Se mi si scuoce lascio la politica.

Tra i caratteri sessuali secondari maschili, il più inspiegabile è il polpastrello prensile svita-coperchi.

14 dicembre ·Twitter
I forconi si vedono in giro solo d'inverno, dopo aratura e semina suppongo.

17 dicembre ·Twitter
Il momento in cui senti le fatidiche parole Ho bisogno di soldi devo andare a Bologna.

18 dicembre ·Twitter
Ciao!!! Vuoi sapere come diventare ricco su internet??? Corcà che te lo dico!!!

20 dicembre ·Twitter
So che è una sciocchezza, ma ieri in tv tutti dicevano che il Tiergarten fosse lo Zoo, pure Repubblica, beh, andateci a Berlino ogni tanto.

Ora potrei sbagliarmi ma secondo me per esempio questo è un cinghiale. https://t.co/yUqBxoVcVA



Get the whole picture - and other photos from Leonardo Blogspot
PIC.TWITTER.COM/YUQBXOVCVA|DI LEONARDO BLOGSPOT


Quando PadoaSchioppa disse Bamboccioni si rivelò un cattivo comunicatore. Oggi se Poletti dice Pistola si rivela al massimo un coglione.

21 dicembre ·Twitter
C'è gente che per 20 anni ha ripetuto che le tv non spostano voti, ora è molto preoccupata per i siti di fake news che spostano i voti.
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Un anno su Twitter (estate)

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Luglio
Secondo uno studio di Confindustria, se votiamo no al referendum arriva lo sciame di locuste.

Un mio cugino una volta ha votato No a un referendum e si è svegliato in un fosso senza un rene! Oh, lo dice una ricerca di Confindustria!


3 luglioTwitter
Cimino diceva che Eastwood gli aveva insegnato il mestiere. Eastwood sul set di Thunderbolt gli aveva imposto il tetto di tre take per scena








7 luglioTwitter
Vabbe', ma tutta questa suspense per Capitan America nazista si è già sgonfiata al secondo numero, non c'è gusto.

8 luglio ·Twitter
Il giorno in cui ci siamo fottuti è quello in cui abbiamo cominciato a dire "politicamente corretto", invece di "beneducato".

Quelli che credono di difendere Blair invocandone la buona fede, come se in generale ai leader bugiardi preferissimo i leader fresconi.

Una delle mie croci è che non mi ha mai dato del fascista nessuno. Neanche Fofi. Neanche Luttazzi. Forse WuMing1, ma vabbe', quello tutti.


9 luglio ·Twitter
Non credo che una società davvero civile tollererebbe ulteriormente Vittorio Feltri.

Io toglierei dalla prima serata anche le scene etero,da bambino m'imbarazzavano(mi imbarazzava voltarmi e guardare papà e mamma imbarazzati)


10 luglio ·Twitter
C'è in giro una parodia di Aldo Nove così crudele e caustica che non escludo l'abbia prodotta lo stesso Aldo Nove.



12 luglio ·Twitter
Fiore di tiglio, che sopra il parabrezza fai un poltiglio, preferirei la merda del coniglio.


13 luglio ·Twitter·
L'arrivo della May a Downing Street è una vittoria soprattutto per la lobby dei titolisti arguti che fanno i giochi di parole.



14 luglio ·Twitter
Altro che Pokemon, il gioco dell'estate è comporre l'Orario Scolastico (e ti pagano per farlo!)


15 luglio ·Twitter
Oggi troverete chi piange insieme a voi e chi cerca già di speculare sulla vostra rabbia e vendervi soluzioni facili.Sarà utile distinguerli





16 luglio ·Twitter
I social sono il male, nel senso che se uno ha un debole per i golpe dei colonnelli dovrebbe almeno avere il pudore di tenerlo per sé


17 luglio ·Twitter
Caro amico musulmano di Gramellini, ok, la tolleranza è una gran cosa ma levagli il vino.


18 luglio ·Twitter
Adesso che lo fa Erdogan il colpo di stato non vi piace più, ah, ma pensa.


19 luglio ·Twitter
No ma io mi sento sicurissimo sapendo che in giro per la città ci sono poliziotti tesserati Coisp

Uno cerca in tutti i modi di seguire la retta via, di migliorarsi, di fare la differenza, e gli aprono il pub scozzese sotto casa.


20 luglio ·Twitter
Il giorno che uscirà Civilization Go non preoccupatevi, passo ad avvertirvi io coi Panzer.






21 luglio ·Twitter
Secondo uno studio che sto per fare il wifi comunale è nocivissimo, perché quando ti serve non funziona mai e ti fa alzare la pressione.

Eppure spero ancora in una puntata in cui Don Matteo si rompe i coglioni e li mena tutti quanti.







26 luglio ·Twitter
Appena letto un pezzo che propone di respingere i migranti,non per razzismo ma perché la loro religione è sbagliata. [L'ha scritto un rabbino] Edit: in realtà non è un rabbino, chiedo scusa.




27 luglio ·
Quell'età in cui non dico che Fogli Google sostituisce il sesso, ma dà più soddisfazioni.


28 luglio ·Twitter
Un giorno scopriremo che i critici musicali sono tutti sordi dal tour dei My Bloody Valentine del '90, e in 25 anni non se ne sono accorti.

29 luglio ·Twitter
Ho letto un pezzo che spiega che l'islam ha una permalosità "sconosciuta alla nostra cultura". L'ha scritto Filippo Facci.

Agosto



7 agosto ·
Ogni tanto su Facebook leggo ancora la storia per cui se in Italia vuoi avere successo non ti resta che bruciare i documenti e diventare clandestino a 35€ al giorno più idromassaggio e wifi. Ecco: volevo avvisare che c'è una milizia segreta che scandaglia Facebook, identifica tutti quelli che scrivono questa cosa, li vanno a prendere a casa, bruciano i loro documenti e li paracadutano nel porto di Bengasi. È successo anche a un amico di mio cugino.

9 agosto ·Twitter
Qualcuno ha già scritto che Trump si sta inconsciamente autosabotando? Io intanto la butto lì.

10 agosto ·Twitter
A volte trovo le politiche del governo di Israele molto discutibili.

11 agosto ·
Volevo dirvi che è impossibile criticare la Boschi. Se noti che è bella, sei un maschilista guardone; se avanzi perplessità sulle leggi costituzionali che scrive, stai facendo mansplaining. Se allora fai finta che non esista e attribuisci la legge a Renzi, stai negando l'importanza del ruolo della donna. Se cominci a sospettare che tutto questo sia voluto, cioè che la Boschi sia dove sia esattamente perché è impossibile criticarla senza passare per un becero segaiolo alla Feltri (chiedo scusa ai segaioli non beceri e ai beceri non Feltri), ebbene questa tua malizia è senz'altro in qualche modo riconducibile al patriarcato in un modo che io devo ancora scoprire. Se lei va scosciata alla Festa dell'Unità, come ci vanno in tante e la cosa mi è sempre piaciuta, ma di solito non salivano sul palco a spiegare le riforme costituzionali, che fai? Lo fai notare? Sei becero. Fai finta di niente? Stai negando l'importanza della coscia, stai offendendo chiunque le porta e non si vede perché non le debba sfoggiare con orgoglio. Quindi boh, proposte?

13 agosto ·
Jonathan Franzen, Le correzioni (2001): ogni famiglia è infelice a modo suo, inoltre il neoliberismo e la speculazione ci porteranno alla rovina. Jonathan Franzen, Libertà (2010): ogni famiglia è infelice a modo suo, inoltre il fracking e la copula ci porteranno alla rovina. Jonathan Franzen, Purity (2015): ogni famiglia, indovinate, è infelice, inoltre internet, immaginate, dove ci porterà?

14 agosto ·Twitter
Adesso che Carpi ha una gloria olimpica, potremmo anche restituire il povero Dorando a quelli di Correggio.

15 agosto ·Twitter
Ma insomma i jihadisti in occidente si sono presi 15 giorni di ferie in agosto come gli idraulici.

16 agosto ·Twitter
Sognai di guidare una pattuglia di elicotteri,sulle note dell'Inno Alla Gioia incendiavamo stabilimenti balneari che espongono l'Union Jack


18 agosto ·Twitter
Dopo aver visto SuicideSquad vorresti chiedere scusa a tutti i film di cui hai mai parlato male. Tipo il Ragazzo invisibile: gran film.

Eppure in spiaggia tanta gente non sospetta nemmeno quanto sarebbe più sexy in burkini.







29 agosto ·Twitter
Io la prima volta che sono uscito con una ragazza credo di averla portata a vedere Labranca (scusami).

Per vedere i film con Wilder bisognava litigare perché Italia1 li faceva una volta alla settimana alle 22:30. O era Rete4.

Comunque una volta Labranca l'ho incontrato, non dimenticherò mai quel che mi disse.("E tu chi saresti, scusa?")(È ancora un'ottima domanda)

30 agosto ·
C'è un prelato, che dopo il terremoto ha vissuto a scrocco per tre anni, che va in giro a spiegare come sia un'ottima occasione per ritrovare la fede.

I nostri corsivisti, che si sono aperti la mente col latino, non sanno tradurre in latino "facebook"

31 agosto ·
In effetti il preciso motivo per cui non ho fatto figli a 20 anni è che nessuno me l'ha proposto con un manifesto.

L'apice della traiettoria della socialdemocrazia europea è probabilmente rappresentato dalla piscina comunale di Correggio.

Genitori modenesi, eletta schiera: esiste in città un posto dove si salta con l'elastico?



Settembre







6 settembre ·Twitter
Ecco una cosa che sbalordirà molti giornalisti e politici romani: ci sono 58 milioni di italiani che vivono altrove (inimmaginabile, lo so).

7 settembre ·
Comunue ieri a Cavezzo, giusto per tenersi allenati, hanno avuto una tromba d'aria. Mia zia tutto ok, dice che sono appena venute giù due tegole ma non hanno preso né la macchina né lo zio, è stata una giornata mediamente fortunata a Cavezzo.

8 settembre ·Twitter
Meno male che han tolto un buco a un telefono, sennò qua sopra andavate avanti con le mail del sindaco di Roma fino a novembre.

9 settembre ·Twitter
Comunque il titolo giusto per Bacalaureat era proprio "esame di maturità".Avrebbe anche dato una mano al botteghino.



11 settembre ·Twitter
Il tizio che ha messo la fiducia sull'Italicum ci spiega che farà una proposta sull'Italicum

12 settembre ·Twitter
Non potendo querelare i terremoti, si è provato a denunciare gli scienziati ma non ha funzionato. Adesso proviamo coi vignettisti, chissà.

13 settembre ·Twitter
Un solo mantra, una sola certezza: Drupal, monnezza.

14 settembre ·Twitter
Te la prendi col patriarcato.Difendi la libertà di spogliarti in pubblico.Qualcuno si spoglia, non regge la pressione.Incolpi il patriarcato



14 settembre ·Twitter
Credo nella democrazia parlamentare, o in alternativa Alex Zanardi re assoluto.

15 settembre ·
Quando a Modena, sull'onda del successo del festival di letteratura di Mantova, decisero di fare il festival di filosofia, io per un attimo pensai che il trend sarebbe proseguito con un festival di latino a Rovigo, e poi esaurite le discipline liceali magari gli addetti alla cultura si sarebbero messi a saccheggiare l'orario degli Iti, degli Ipsia, Fidenza avrebbe organizzato il festival dell'aggiustaggio e poi, alla fine del raschiamento del barile, a Ghedi avrebbero deciso di organizzare un festival di geografia e io, a quello, ci sarei andato, e finalmente mi sarei sentito, persino a Ghedi, a casa.

16 settembre ·
Sono un insegnante. Tre mesi di pausa sono troppi, mi dimentico il mestiere io, figurati loro. Do pochi compiti perché correggerli è una palla. Se fossi un genitore ne chiederei di più perché fare l'animatore di mio/a figlio/a è ugualmente una palla - peraltro in luglio e settembre si lavora, e spesso anche d'agosto, e i campi estivi son soldi. L'importante è che poi alla fine le cose si sappiano, o come si dice adesso, le competenze siano maturate. Però non è che dovete giustificarvi voi genitori, i compiti li devono fare loro da soli, non li dovete fare voi: molto spesso l'equivoco è quello.





19 settembre ·Twitter
Che poi io pensavo: NYC, 8 milioni di abitanti, figurati se non c'è uno scemo che fa esplodere un cassonetto una volta a settimana. Ingenuo.

21 settembre ·Twitter
Non c'è niente da fare, la Lorenzin è un grandissimo argomento in favore dell'estinzione.

Ministro, un'idea:lei mi dà 100000€ cash,io mando un sms a tutti gli italiani con scritto:RIPRODUCITI STRONZO.Sarà la sua campagna migliore.

Poi pensate a quei poveracci che in questo periodo stanno cercando di avere un bambino, e se ci riescono è come darla vinta alla Lorenzin.


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Un anno su Twitter (primavera)

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Aprile

Venerdì 1 aprile

Una cosa che vorrei capire è com'è possibile dopo 12 anni che esistano cittadini valdostani che ancora non hanno fatto il gioco dei pacchi.


Renzi che per darsi il piglio decisionista cita Mussolini sul delitto Matteotti, e lo sa, e sa che lo sappiamo, e che c'indigneremo ecc.





6 aprileTwitter
Ci sono in Italia giornalisti con voglia/capacità di metter Renzi in difficoltà? Altrimenti sì, tanto vale disintermediarsi.






Se non siete allergici non potete neanche sospettare quanto siano zozzoni i fiori oggi.

Oggi sono andato dalla mia medica della mutua e mi sono autodiagnosticato un lieve fuoco di Sant'Antonio. Lei mi è stata a sentire e non ha escluso che potessi aver ragione, a tal punto l'ho ridotta.


13 aprileTwitter
Tra qualche anno Doina Matei sarà libera; Gramellini sarà ancora costretto a diluire quotidianamente fascismo per il ceto medio.

"Ma ha capito di aver pestato una merda?" "Sì, ma ho una scarpa 2.0".

Se ti comporti bene ti prendo il gelato.Se ti comporti bene andiamo sul gonfiabile.La giostra. SE INSISTI A COMPORTARTI BENE FINISCO I SOLDI



18 aprileTwitter

Sostenere un referendum astruso. Autoconvincersi che stavolta il quorum si raggiunge. Restarci male. Offendersi per un"ciaone". Ricominciare


20 aprileTwitter
Patch Adams gira il mondo visitando gli ospedali; passa da quello di Carpi e si fa ricoverare


Ho scoperto che ci sono degli influencer qui che twittano senza farsi pagare. Guardate che è dumping. Ci rovinate la piazza. Smettetela svp.



Maggio



9 maggioTwitter
Ma se WuMing e la Boschi la pensano su di me allo stesso modo, allora... allora...

Ciao, state mangiando le verdure? Perché ecco, anche Hitler ne mangiava parecchie (oh, è un dato di fatto).


Se non lo avete mandato una volta sola a cagare in vita, non credo che abbiate niente di interessante da dire adesso.


Comunque sì, è struggente che vi abbia tutti ascoltato, una volta, a tutti vi abbia stretto la mano. E che poi vi abbia preferito Capezzone.


Quindi per 30.000 voti l'Austria è democratica e non fascista. Ma a voi piace sul serio il presidenzialismo?


(Ve lo dico piano piano: molti partigiani "veri" erano persino monarchici).

Anche Pacciani è stato partigiano. Purtroppo è un po' tardi per chiedergli un'opinione di rilievo sulla riforma costituzionale.


Giugno


Benigni sta coi gatti, ma capisce le ragioni dei topi.

Rissa in coda al sindacato su chi evade.Per i locali sono i meridionali.I meridionali accusano i migranti. I migranti zitti prendono appunti

Quando chiamo una ditta e mi risponde un fax, penso sempre che siano tutti morti nel '99.

Sto facendo il tecnico di scrutinio, son quello che tecnicamente trasforma i 5 in 6, lo spirito di don Milani scorre potente in me.

Un leader giovane e promettente come Renzi, al Pd, capita una volta al secolo: quindi era necessario prolungare la legislatura e sobbollirlo

nessun jihadista farà di me un astemio; ci riusciranno, per contro, gli uligani ubriachi in tv.







Questa cosa che torno a casa alle 19:30 e son partito alle 7:30, e il 90% della gente crede che in giugno il prof medio sia in vacanza.

Ma fatemi capire: avete sentito per la prima volta l'espressione "peccato mortale" e l'avete scambiata per una minaccia di morte?

Passava di qua D'Alema, l'ho sentito dire che io sarei un ottimo assessore ai lavori pubblici. I candidati possono contattarmi in pvt.

Ma il famoso consulente americano dell'immagine di Renzi fin qua cos'ha prodotto? Non ditemi che è venuta a lui l'idea:"blame it on D'Alema"

Giusto perché so che non aspettavate altro, i miei cinque libri della vita: 1. Tutto ruote di Richard Scarry; 2. Il libro con tutti gli spartiti di Lennon/McCartney, che sarebbe stato più bello se c'erano pure i pezzi di Harrison ma in quel volume non c'erano, sfiga; 3. Un libro che ho scritto io e non ho fatto leggere a nessuno; 4 L'enciclopedia Conoscere; 5 Un'antologia per la terza media di cui non ricordo il nome ma era un volumone immenso, copertina marron, non era la mia, ce l'avevamo nell'armadio in classe.

Nessuno parla mai del buffet del Titanic, ma pare che gli intingoli fossero ottimi fin quasi verso la fine.




Orali alle Medie. "Non è nel programma, ma...ieri giocavamo contro una squadra britannica?" "L'Irlanda? No". "Ok, ne sai già più dell'Ansa".
(La butto lì e mi allontano) se i britannici avessero un sistema elettorale razionale, non avrebbero bisogno di un referendum oggi

Ma quindi ci hanno sbattuto fuori dal Commonwealth.

Folli ormai come Catone, qualsiasi scusa è buona per ricordare che l'italicum dev'essere distrutto

Guardate che il problema del voto agli ignoranti era già noto ai nostri bisnonni, che avevano pure trovato la soluzione: il parlamentarismo.


Comunque t'immagini se il 3 giugno '46 Umberto avesse detto: ok, me ne vado appena sono pronto.


Everybody Wants Some mi scatena tante emozioni, tra le quali non si può tuttavia ignorare la rottura di palle.



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Un anno su twitter (inverno)

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(Ogni anno si porta via tutta una serie di messaggi che regalo a Twitter, che regalo a Zuckerberg, roba che un bel giorno si cancellerà portandosi via quel poco senso che aveva. Quest'anno ne salvo un po' qua, nel sito che coincide con la mia memoria. Forse se uno li legge dall'inizio alla fine possono restituire la sensazione di un anno che passa, non lo so, ora provo).


Gennaio





6 gennaioTwitter
Come ogni anno, domani torno a lavorare e in questo momento non mi ricordo come si fa.

L'aristogatta che fa tanto la preziosa, ora che ci rifletto, ha tre mici di tre colori diversi.




17 gennaioTwitter
Qualcuno l'avrà già detto che The Revenant è il Good Dinosaur per adulti.

27 gennaioTwitter
Il giorno in cui accesi internet e scoprii che la nostra cultura si salva esibendo i piselli delle statue.

Lunedì avevate ancora paura dei genitori gay, ora pare che i nudi artistici siano il fronte contro l'Eurabia. E siamo solo a metà settimana.

Febbraio
Il DDL io lo sostengo solo se aggiungete quel famoso comma per cui tutti possono sposare Adinolfi senza il suo consenso.

Tra le cose assurde e inutili che si potrebbero fare per festeggiare Infinite Jest, qualcuno residente a Bo o dintorni potrebbe andare in Sala Borsa, annusare la loro edizione a scaffale e dirmi se sa ancora di sabbia e crema solare.

4 febbraioTwitter
Le ultime ricerche sulle famiglie omosessuali dicono che i bambini stanno bene, ma non ne possono più di rispondere ai ricercatori.


7 febbraioTwitter
Il Manifesto non paga i collaboratori - lo scoprite oggi? Credevate che fin qui chiedessero l'elemosina per sport?

Buonasera, siamo nel 2016 e non c'è proprio modo di fare battute sui cinesi alle primarie senza riuscire razzisti, mi dispiace.


8 febbraioTwitter
Da un punto di vista statistico ogni gay dovrebbe avere almeno 5 amici omofobi, ma che razza di gente frequentate?


Un robot, per essere in grado di avere relazioni con noi, deve essere progettato in un modo così raffinato che poi non ce le vorrà comunque avere, le relazioni, con noi.
Come faccio a ridere dei Pooh e della loro generazione, se la mia partecipa sotto forma di Morgan. #Sanremo2016


14 febbraioTwitter
Alla Rai sembrano terrorizzati dall'idea che milioni d'italiani vadano alle poste a pagare il canone per sbaglio.



16 febbraioTwitter
Scanu non avrà vinto Sanremo, ma bisogna dargli atto che non ha più smesso di piovere da allora.


17 febbraioTwitter
Se sei triste e ti manca l'allegria, scacciar tu puoi la malinconia. Vola di qua e vola di là, la canzone della felicità (Giacomo Leopardi).


18 febbraioTwitter
"No tengo dinero oh / No tengo dinero no, no, no, no" (J. L. Borges, Rime Extravaganti).


20 febbraioTwitter
Mi sento già più stupido.

21 febbraioTwitter
Coriandoli fin nella fottuta milza.




23 febbraioTwitter
La triste verità è che i vostri figli non piacciono neanche ai pedoffi on line.



Marzo


4 marzoTwitter
Ho girato su Vespa e c'era il plastico della Libia, direi che è guerra.

Sinergie possibili: prendere i punti fermi che avanzano a Ilvo Diamanti, e metterli nei pezzi di Riotta.


14 marzoTwitter
Io vi posso solo dire che non si scrivono da soli, quei fottuti romanzi di Elena Ferrante


15 marzoTwitter
Vabbè oggi Wu Ming prima di colazione mi ha dato del fascista (o fiancheggiatore di) https://t.co/awg6pl2VZ9 https://t.co/Z6rruUAEub


16 marzoTwitter
È cosa ben nota ai ladri che in tante borse, lasciate in bella vista, ci siano per lo più pacchi di temi da correggere.


23 marzoTwitter
Se ci tenete tanto a perdere subito la stima dei vostri figli, insistete pure con questa storia che il terrorismo si sconfigge col presepe.


25 marzoTwitter
Bisogna che noi viventi cominciamo a far qualcosa d'interessante, sennò diventa dura.



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Il vero motivo per votare No

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17) Ok, se siete arrivati fin qui, adesso vi dico davvero perché dovrete votare No.

Sentite, io lo so che in questo momento sembra che vi stiate giocando il tutto per tutto. Ve lo dicono in ogni dove, ve lo dice gente degna di fede, persino Romano Prodi, insomma stavolta o si fa la riforma costituzionale o si muore. Sembra proprio così.

Ma sarà sempre così, da qui in poi.

Inevitabile
Tra un anno si faranno le elezioni, e di nuovo Renzi tornerà in tv da mane a sera; di nuovo vi impesterà la bacheca con spot elettorali non molto rispettosi delle vostre facoltà intellettive. Di nuovo vi spiegheranno che è la volta buona, che o vince Renzi o arriverà lo Spread, i grillini con le loro sofisticatissime catene di sant'antonio, le cavallette. E se non saranno le elezioni, si farà un referendum d'indirizzo sull'eurozona. Vi preoccuperete molto, di nuovo; vi sembrerà che il clima sia irrespirabile, di nuovo; e tratterrete il respiro, di nuovo; ma forse a un certo punto vi sorprenderete a pensare: ma non è già successo, tutto questo? Non c'era almeno uno che lo ha previsto, in un blog? Ma vuoi vedere che aveva ragione?

E a me non piace avere ragione.

Mettiamo che Renzi vinca, domenica - perché Renzi può vincere. Altrimenti non ci crederebbe così tanto. È riuscito a tornare anche dalla D'Urso (a proposito: se le tv sono così importanti, perché non si preoccupa del conflitto d'interessi? E se invece non sono così importanti, perché è sempre in tv?) Mettiamo che Renzi ce la faccia. Poi dovrà cambiare l'Italicum, come ha promesso a Cuperlo. Mettiamo che lo cambi con una legge ancora peggiore, ancora più distorta, ancora più "Io solo contro tutti e chi arriva prima si piglia un premio spropositato". Mettiamo, insomma, che vada proprio come sto dicendo io.

Siete proprio sicuri che volete darmi ragione?

Poi immaginatevelo, Renzi, dopo una campagna così. Renzi che sfida tutti, e sembra sotto per otto mesi, e poi nel rush finale vince. Per un'incollatura, magari, ma non importa: è un referendum, chi arriva primo vince tutto. Immaginatevelo a quel punto: ce la farà a star serio? Altro che #ciaone, stavolta. E se anche lui nel frattempo avesse capito che le vittorie vanno gestite con più sportività delle sconfitte, ve li immaginate i suoi subordinati? Gente che ormai gli deve tutto e in caso di sconfitta scomparirebbe dai radar? Immaginate tutta questa gente lunedì resuscitare, esultare; immaginateli spernacchiare i grillini con mimiche e argomenti ormai indistinguibili da quelli messi in circolo dalla Casaleggio. E poi immaginateli tra un anno, ancora lì, garruli, a difendere Renzi perché Renzi è l'unico senso che hanno. Quanto potranno ancora reggere, prima di essere spazzati via? Non è una cosa che gli auguro; non credo che chi verrà dopo sarà per forza meglio, ma prima o poi Renzi sarà sconfitto, e non ci sarebbe niente di male - se sapesse perdere. Se le leggi che lui stesso sta scrivendo non servissero proprio a ridurlo in briciole, la prima volta che toccherà a lui perdere. E quando succederà, non sarete affatto contenti di darmi ragione.

Ma ammettiamo pure che dopo il referendum Renzi vinca le elezioni, e si ritrovi il parlamento proprio come lo vuole lui; quello che nelle vostre proiezioni è il lieto fine. Quanto ci metteremo a scoprire che i sindaci/senatori non funzionano? Che non ci sono quando servono, o che spesso sono in conflitto di interessi, che in città vengono criticati perché stanno a Roma e a Roma nessuno si accorge di loro? Quanto ci metterà un giornalista a trovare i rimborsi spese; quanto ci metterà l'opinione pubblica a trovarli vergognosi, anche se equivalessero giusto al vitto, all'alloggio, e all'abbonamento frecciarossa in prima classe? In breve: pensate che basterà vincere per l'incollatura il referendum per trasformare una cosa stupida (i sindaci al senato) in una cosa accettata da tutti? Un sacco di gente non l'accetterà. Un sacco di gente starà là fuori attenta alla minima magagna. Finché forse anche a voi non verrà il dubbio - come se non vi fosse già venuto - forse quei 21 sindaci in senato non sono poi un'idea così brillante. Forse aveva ragione Leonardo.

Ma voi non volete darmi ragione.

E l'iter legislativo. Quello che dovrebbe andare spedito. Cosa succederà alla prima legge che si perde nel ginepraio dell'articolo 70, quello che secondo i costituzionalisti degli spot di Renzi è scritto bene (ma nemmeno provano a spiegarlo)? Cosa succederà quando arriverà alla Gazzetta Ufficiale la prima infornata di leggi approvate velocissimamente, ma scritte con i piedi? Vi ricordate tutte le volte in cui una legge ammazza-internet scritta da gente che non distingueva tra un blog e una testata giornalistica è stata provvidenzialmente abbattuta tra Camera e Senato; cosa succederà la prossima volta, quando tra la Camera e la Gazzetta Ufficiale non ci sarà più che la firma di un presidente della Repubblica? E quando eleggeranno il prossimo, e magari si scoprirà che la maggioranza parlamentare effettivamente ha i numeri per eleggere chi vuole, sarete contenti di dovermi dare ragione? No, nessuno è contento quando mi dà ragione.

E quando cominceremo a celebrare referendum propositivi che contraddicono l'azione del governo? E quando qualcuno si domanderà: ma tutte le iniziative di legge popolare che il parlamento avrebbe dovuto mettere all'ordine del giorno, che fine hanno fatto? Non vi costerà darmi ragione? A me costerebbe.

Nel frattempo la vita andrà avanti; ognuno avrà la sua parte di disgrazie: frane, alluvioni, terremoti. E ogni volta qualcuno si dirà: è mancata la prevenzione. D'altro canto i comuni sono troppo piccoli, ognuno pensa alla sua sponda di fiume, manca il quadro generale. Le regioni sono troppo grandi, di fiumi ne hanno tanti. Le province - ma esistono ancora? Nella costituzione sono sparite. Da qualche parte c'è un'assemblea di sindaci che ogni tanto si riunisce, ma non è chiaro cosa facciano, nessuno ne parla mai. Cioè. Un tizio su un blog ne parlava, e magari aveva la sua parte di ragione.

Ma che me ne faccio io della ragione?

Preferirei un bel torto. Che vinca il No, e che i renziani tornino a casa convinti di essere quasi riusciti a cambiare in meglio il Paese. Poi il tempo passerà, virando in rosa i dettagli più schifidi, e ai nipotini sarà più facile raccontare che Renzi aveva in mano una riforma bellissima, bellissima, ma i fascisti cattivi e i grillini matti non gliel'hanno fatta passare. Sarà un meraviglioso storytelling, e uno come me farà la comparsa nel ruolo di villano di complemento. Oppure scomparirò, preferisco. Tutti questi pezzi che ho scritto, a rileggerli, non avranno più senso; magari li cancellerò. La gente passerà di qui e penserà che in novembre mi ero preso una pausa, o che cominciavo - giustamente - a preoccuparmi davvero per Trump, o per il riscaldamento globale. Sul serio, preferirei così. E anche voi, se ci pensate bene. Per questo dovete votare No. Nessuno dovrà mai sapere che avevo ragione.

18) Oppure potete votare "NO" perché è l'unica opzione che sulla scheda è scritta in italiano corretto.

(Gli altri 16 motivi:

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.
14. Gli abitanti delle città metropolitane non avranno il diritto di eleggere i loro rappresentanti? Ma siete scemi?
15. Chi abolisce le Province non capisce il territorio.
16. Se passa la riforma, per un po' ce la dovremo tenere; se non passa, possiamo subito proporne una migliore
17. Perché non vorresti mai darmi ragione.
18. Perché "NO" almeno sai come si scrive).
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I knew right away he was not ordinary

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(Riciclo un pezzo scritto per un altro compleanno, in un sito ormai introvabile)

Io dopo tanti anni non l'ho ancora capito se si cresce intorno al proprio stampino primordiale, diventando peri se eravamo semi di pero, fragole se eravamo semini di fragole, eccetera. A me piace pensare che alcune persone al momento giusto abbiano avuto la possibilità di dare una botta all'impasto che cuoceva, una direzione, anche solo un segno. Sennò non farei il mestiere che faccio? O ce l'avevo già nell'embrione, il mio mestiere?

Sia come sia, io sono immensamente grato, per esempio, al prof di Educazione Musicale di cui non ricordo nemmeno il cognome, che a un certo punto della terza smise di insegnarci filastrocche al flauto e cominciò a prestarci dischi, ma seriamente, 33 giri e 1/3, e libri da leggere, e ci commissionò una ricerca multimediale con i media che c'erano allora, le diapositive insomma, ed eravamo divisi in gruppi, tutti volevano ovviamente la musica rock ma a me capitò il folk, e io subito esclamai John Denver! Non ho la minima idea del perché conoscessi John Denver in terza media (forse perché comparsava in una puntata dei Muppets?) e invece, somma vergogna, Bob Dylan no, Bob Dylan non avevo la minima idea di chi fosse, e cinque minuti dopo avevo in mano le cassettine di Bringing It All Back Home e The Times They Are A-Changin', e una monografia che forse era uno dei primissimi libri dell'Editrice Arcana.

D'altro canto non avrebbe funzionato con tutti, voglio dire che ventiquattro studenti su venticinque gliel'avrebbero tirata in testa, la cassettina di The Times They Are A Changin', a metà degli anni Ottanta e con una conoscenza piuttosto limitata dell'inglese bisognava portare nei propri geni interi millenni di autolesionismo per mettersi ad ascoltare roba del genere sul registratore panasonic. Non so se avete presente i suoni di quel periodo, quel tipo di produzione gommosa, la cassa frusciante sparata su entrambi i canali (tanto poi il panasonic era un mono), l'estetica mixarola dei 12 pollici, Revenge degli Eurythmics, e poi all'improvviso ti metti ad ascoltare una voce nasale in un silenzio che puzza d'antico che suona la chitarra per mezz'ora con qualche attacco d'armonica ogni tanto, come passare da Gianni Rodari ai geroglifici egizi. Io invece mi misi ad ascoltare seriamente quella roba, e confesso che fui molto lieto quando Bob passò al blues elettrico, Subterrean diventò subito la mia preferita. Poi dovevo andare a casa della Rebecca che mi stava antipatica ma aveva il giradischi e quindi si era presa i 33 e 1/3. Io avevo questa sfiga che tutte le compagnie raggiungibili ciclisticamente a fine ricerche nel doposcuola eran femmine, e del folk o del blues elettrico proprio non poteva loro fregar nulla, a loro fregava mangiare patatine sancarlo sfogliando MODA guardando le foto di tipe magre e fu la prima volta che pensai che doveva esistere qualcosa come l'omosessualità femminile, ma me ne fregava davvero così poco, soprattutto quando Rebecca mise su il 33 1/3, e io ebbi quella sensazione di saltare dalla sedia, che in una famosa intervista lo stesso Dylan dice che gli capitò la prima volta che ascolto The House of The Rising Sun rifatta dagli Animals; io la ebbi al ritornello di Hurricane. Poi basta perché credo che Rebecca alzò subito la testina disgustata per quei suoni così diversi. A sua discolpa, era davvero qualcosa che non avevamo mai ascoltato prima. Cioè, non era come adesso. Noi non ascoltavamo la musica dei nostri genitori, Battisti per dire era ancora vivo ma non lo avremmo mai considerato ascoltabile neanche per sogno; era lo stesso passato di Charles Aznavour o Chopin, una cosa che non ci riguardava. Non c'erano gli mp3, non c'erano i cd, ma soprattutto non c'era tutta questa industria della nostalgia che c'è adesso. Nel 1986 i Bee Gees erano ridicoli e tutto quello che veniva prima, semplicemente, non si ascoltava, roba da genitori che rompono i coglioni alla fine della festa.

Però Hurricane mi fece saltare sulla sedia, e da quel momento forse il mio destino era segnato. O forse l'avevo nei geni, o forse passare gli anni della formazione musicale tra gli scaffali dei Nice Price era la strategia più conveniente. E' una canzone che non ascolto più da anni, non mi fa più nessun effetto sentire un violino sopra una chitarra acustica e un'armonica e una corista. Garantisco però che fu uno choc, la fine dei miei anni Ottanta (che poi mi dovetti recuperare negli anni Novanta). E poi Dylan mi rimase comunque in una strana dimensione sottopelle, mi misi a studiare la sua discografia ed era davvero come studiare i geroglifici, tutti quegli album e quelle canzoni che non conoscevo e che per anni non avrei comunque ascoltato. Familiare e incomprensibile per tutta la vita, un cugino lontano di cui ogni tanto ti arrivano notizie assurde - si è convertito al cristianesimo - gli è passata - si è convertito all'unplugged - si è messo a stonare tutti i concerti - va al Giubileo - ha fatto sette dischi magri - ha fatto sette dischi grassi.

Forse ero nato per conoscere Dylan, forse no. Si fanno incontri incredibili alle scuole medie. Quella sensazione di scoprire una cosa, qualsiasi cosa, che era lì e ti aspettava, quello svegliarsi ogni giorno nel primo giorno della creazione. Molto difficile da spiegare a chi non frequenta più.
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I libri da distruggere della settimana

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A chiunque volesse distruggere i libri - so che c'è questa nuova tendenza di andare alle fiere e rovesciarli, o in libreria a strapparli, azioni che io non condivido nel modo più assoluto; tuttavia segnalo a chiunque fosse barbaramente interessato a distruggere libri, che è ancora possibile trovare in commercio un pregevole volume su Filippo Tommaso Marinetti, intitolato Futurista senza futuro. L'ho scritto io, che sono una persona abbastanza brutta, con tanti trascorsi francamente discutibili. Dunque insomma non che io voglia istigarvi a commettere un gesto così nazista ma - cos'aspettate a recarvi nelle migliori librerie e a domandare Futurista senza futuro? Facile che non sia a scaffale, ma si può comodamente ordinare, spesso anche per telefono, su Amazon o IBS, o dal vostro rivenditore di fiducia. Se siete insegnanti usate il Bonus. Poi potete farlo a pezzi anche a casa.

Se qualcuno però preferisse distruggere i libri in cui parlo di terremoti senza averne competenza, direi che il titolo di riferimento è La scossa, edizioni Chiarelettere. Purtroppo esiste solo in versione epub o pdf (anche su Amazon), però se uno veramente ci tiene al limite se lo stampa e se lo distrugge con comodo anche a casa - che so, ci dà fuoco nel camino e magari nel frattempo gira la scena su youtube, nel qual caso vi prego condividetelo, magari diventa virale. Certo, uno che ce l'abbia davvero con me potrebbe frullarlo direttamente in un Kindle o in un Ipad - quello fa il botto di sicuro, milioni di visualizzazioni, insomma pensateci.

Per quelli che mi odiano sul serio, ho una chicca: le ultime copie di un volume introvabile, Storia dell'Italia a rovescio (2006-2001). Non lo trovate in libreria - neanche su Amazon - dovete scrivermi in privato e vi mando il pacchetto, diciamo trenta euro - lo so che è un furto ma guardate che ne ho pochissimi, e una volta distrutti basta, nessuno al mondo potrà più leggere Storia dell'Italia a rovescio. Questo è di carta, per cui bruciarlo o strapparlo è più immediato. Spese di spedizione escluse.

Compresa nel prezzo potete bruciare
una copertina illustrata da Alessandro Formigoni.
E questo è tutto per quel che mi riguarda, però ne approfitto per segnalare un paio di volumi di Pierpaolo Ascari, che in passato ha contribuito in modo occulto a questo blog - se volete distruggerlo in quanto pensatore, il titolo di riferimento è Ebola e le forme, uscito qualche mese fa per il Manifesto Libri. Se preferite il suo coté più creativo e cazzone, richiedete Il manichino della politica, un libro nato su facebook, dettato da una quotidiana esigenza di prendere per il culo il sindaco di Modena che è godibilissimo anche per chi non conosca Modena, io per dire ormai mi perdo tra Rua Freda e Rua Stella ma il libro mi fa ridere lo stesso. È sottile, si strappa che è un piacere, però credo che per procurarsene uno sia necessario recarsi presso Hiro Proshu in Sant'Eufemia, onde affrettatevi. Insomma questi sono i libri da distruggere della settimana, arrivederci alla prossima con tante infiammabilissime novità.


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Se vuoi ci amiamo adesso (canzoni ascoltabili a Sanremo, 4)

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(Le puntate precedenti: 1, 2, 3)

Laura non c'è (Nek, 1997).

- È andata via. Sto mentendo. Laura non è una canzone ascoltabile. Non la ascolto da anni e non ho intenzione di farlo adesso. Agnosco veteris vestigia flammae.

- Per quanto io provi a scappare. Nel 1997 io non guardo Sanremo. Nessuno dei miei amici ormai ne parla, non c'è bisogno di fingere interesse né superiorità, anzi Elio l'anno prima ce lo siamo pure gustato, ma in generale abbiamo davvero di meglio da fare. Siamo ex compagni di liceo in piena diaspora universitaria, qualcuno è in Erasmus, qualcun altro militare. Io farò il servizio civile l'anno successivo tra un ashram di Spilamberto e la bottega del commercio equo di Rua Muro dove tratterrò le lacrime ascoltando Laura non c'è, ma nel '97 Nek per me è solo una barzelletta. Resiste nel baule delle nozioni inutili in virtù di due o tre dettagli: ha un nome d'arte molto breve, è di Sassuolo (MO) come alcuni amici e conoscenti, e a Sanremo qualche anno prima si è fatto compatire con una canzone antiabortista che conteneva il verso "la moto venderò". Si sa come funziona la memoria con certe meteore sanremesi: fiumi di parole, trottolino amoroso, in tutti i luoghi e tutti i laghi. Tutto mi lascia presumere che non se ne parlerà più per vent'anni, quando il Fabio Fazio del 2017 andrà a scoperchiare il baule degli orrori (sì, Fabio Fazio era già in attività, e qualche mese dopo avrebbe fatto Anima mia con Baglioni e i Cugini di Campagna).

- C'è ancora il suo riflesso. A quasi vent'anni di distanza, il mio file personale su Nek non è molto più cospicuo. Ho scoperto che è il sosia sassolese di Sting, che nasce artisticamente in una cover band - a Radio DJ un mattino gli allestiscono una sarabanda con le canzoni dei Police, lui riconosce ogni pezzo dall'attacco di batteria di Copeland (ma io sono più veloce). È notevole come tutto passi e i Police restino. L'heavy rotation della cover di Se telefonando non ha scacciato il ricordo per me più vivido, che è il modo in cui faceva suo il jingle pubblicitario di Golden Lady. Quando Nek cantava "I'm losst without you", ecco, quel "losst" contiene una sibilante più sassolese che modenese o reggiana.

- Te che sei qua e mi chiedi perché. Sassuolo meriterebbe in realtà un pezzo a parte. Non è l'America, ma definirla provincia di Modena, a metà '90, è abbastanza riduttivo. Sui quotidiani locali oggi non c'è più la pagina "Sassuolo", c'è "Distretto Ceramiche", un hinterland senza un vero centro che va verso i centomila abitanti. Antenna Uno Rock Station ha in heavy rotation Beck e i Portishead, l'Oasis al venerdì attira i suoi clienti alternativi da un bacino di tre regioni. Molti dischi li ascoltiamo in anteprima anche se non c'è internet - ma c'è sempre qualcuno che fa un ponte a Londra e si porta a Fiorano i cd. Mentre a Modena buttano giù le fonderie senza farsi venire in mente qualcos'altro da costruirci, dalle fornaci della pedemontana arriva un'aria diversa, per un buon percentile cancerogena, ma con quella distinta fragranza di ricchezza nuova, ricchezza giovane, ricchezza ancora quasi proletaria. È il risultato di un boom economico un po' ritardato - però poi guardando spezzoni in bianco e nero della Caselli che suona la batteria mi domando se invece non sia proprio un dato peculiare dei sassolesi, il fottersene della marginalità. Hanno saltato dal medioevo al postmoderno ignorando tutta una serie di complicazioni, sono uno di quei nodi del rizoma padano che non presumono la necessità di un centro.

- Che capitasse proprio a noi. Io nel '97 non vado all'Oasis, ogni volta che passo da Sassuolo mi perdo, in compenso mentre collaboro a una rivistina modenese ho l'occasione di conoscere un futuro acclamato giornalista musicale che mi spiega che vivo nella zona più importante d'Italia per offerta musicale. Triangolando tra Bologna, Correggio e Sassuolo, scopro come la provincia sia un fatto della mente, ovvero: se proprio vuoi essere un provinciale accomodati, ma nel '97 non è una scusa. Hai le biblioteche migliori, hai i concerti più vicini, hai tutto quello che ti serve. Se ti senti lo stesso perduto in mezzo al niente, è un problema tuo e te lo porterai con te anche quando andrai a lavare i piatti a Londra. Nek viene da Sassuolo ma a parte la "s" di "Losst", e quel vocativo "te" in "te che sei qua che mi chiedi perché", non ha niente di vernacolare. A Sanremo è arrivato appena settimo, ma tanto non l'ho visto - so solo che ha vinto quella che fa fiumi di parole tra noi. Il pezzo in radio è piaciuto subito - ha quel tipo di testo ridicolo a cui non si resiste, "se vuoi ci amiamo adesso" è persino meglio di "la moto venderò". Ufficialmente l'album venderà più di un milione di copie tra l'Italia e l'estero. L'anno dopo ci faranno un film che nessuno che conosco ha visto. L'anno dopo le radio non si saranno ancora stancate di programmarlo, salvo che io non ci trovo più niente da ridere. Lei si muove dentro un altro abbraccio.

- Da solo non mi basto, stai con me. La musica di Laura è un pezzo di Massimo Varini, un autodidatta reggiano che nel '97 non ha ancora trent'anni e - mi fa ridere dirlo - si è fatto le ossa con Cristina d'Avena (recitando anche in una stagione di Love me Licia, Wikipedia non perdona). Spero non me ne vorrà se attribuisco gran parte del merito a uno dei grandi parolieri della canzone italiana della generazione precedente, Antonello De Sanctis, che ci ha lasciato nel novembre scorso. De Sanctis ha scritto tra l'altro Anima mia per i Cugini di Campagna. De Sanctis come ogni buon paroliere anni Settanta non teme il ridicolo, anzi lo corteggia, lo lusinga, lo ubriaca e poi ne abusa sul sedile reclinabile di una 131 Mirafiori. Il suo maestro inevitabile è Mogol, il padre segreto di tutta la musica demenziale italiana, sono serio. Ci sarebbero stati gli Skiantos senza "Tu non sei molto bella e neanche intelligente ma non te ne importa niente"? Gli Squallor senza "Anche tu ami tanto le banane"? Le Storie Tese senza "Maledettissimo zio taccagno ingrato ed ipocrita"? Magari sì, ma fatemi andare avanti.
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Il suo nome è sulla lista?

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Niente fa gennaio come i corridoi delle scuole, quando tirano via le stelle di Natale e mettono i cartelloni con le svastiche il filo spinato e le stelle di David.

Ciò detto, quest'anno insegno in una classe esposta a sud, con tapparelle discutibili, e se c'è il sole la LIM è nitida solo fino alle 9 del mattino, poi è meglio fare altro. Quindi in terza se voglio proiettare un po' di Schindler's List devo partire subito, l'appello magari lo faccio quando il sole comincia a picchiare.

Ecco. Fare l'appello dopo aver visto un qualsiasi pezzo di Schindler's List è inquietante in un modo che non vi immaginate - cioè adesso che ve l'ho raccontato magari ve lo immaginate, ma anche un po' di più.

(Dall'archivio:





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Il segreto del mio insuccesso

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Stavo cercando di buttar giù due pensierini sulla Legge di Poe, quando ho avuto una mezza rivelazione - hai presente quando un problema che hai sempre visto da vicino, ti si presenta finalmente dalla giusta distanza, dalla giusta angolazione? Insomma ho capito che io di blog non ho capito mai niente. E di internet in generale.

Ho sempre fatto la cosa sbagliata.

Quasi quindici anni fa, ai tempi di Indymedia, una volta lessi un articoletto cosiddetto satirico, uno di quei pezzi che mettono in bocca a un personaggio le verità indicibili, ad es. Bush: "L'Iraq non c'entra niente con l'11 settembre, ma è più facile da invadere dell'Afganistan", una cosa del genere. Mi piaceva, lo trovavo diretto ed efficace. Fu molto facile clonare una pagina di Repubblica e incollarci sopra l'articoletto. A quel punto era ancora più diretto ed efficace, perché sembrava vero. Lo ripubblicai. Ad alcuni piacque. Altri chiesero di toglierlo immediatamente, perché qualcuno l'avrebbe preso per una vera pagina di Repubblica. Ci leggono anche dall'estero, dicevano. Lì per lì mi misi a ridere - insomma, si capiva che non era una vera pagina di Repubblica. Mancava l'indirizzo.

Però lo tolsi.

Da allora non ho più fatto una cosa del genere.

Oddio, qualche parodia ogni tanto mi è scappata, anche se non è il mio forte. Però i fake li ho lasciati perdere. Sono troppo facili, appunto. E poi credo di aver introiettato quello che mi dissero quel giorno. Ci leggono dall'estero - che non è necessariamente un'altra nazione. Per esempio possono leggerci dal futuro. Non un futuro remoto: bastano cinque o sei anni per non capire letteralmente di cosa si stia parlando. Possono leggerci i bambini. Possono leggerci le persone che non condividono i nostri punti di vista. A meno che - s'intende - non facciamo qualcosa per mandarli via.

Io non ho mai fatto niente per mandarli via. Anzi ci tenevo che restassero. Per me è sempre stato molto importante, ad esempio, non intervenire su un argomento senza prima aver spiegato di cosa si trattasse: era il principio che chiamavo "riassumi le puntate". "Perché ci può essere sempre qualcuno appena arrivato che non sa di cosa si sta parlando, e se glielo spieghi te ne sarà grato". Questa è probabilmente la grande lezione dell'internet che io ho frainteso. Perché se mi guardo attorno, e vedo piccole o grandi storie di successo, mi accorgo sempre di questa cosa: in rete bisogna fare comunità. Tener fuori quelli che non capiscono, e creare una sensazione di familiarità che attiri soltanto quelli che condividono i nostri gusti, valori, punti di vista. Insomma, tutto bisogna fare fuorché riassumere le puntate agli estranei. I messaggi devono essere rivolti solo a chi è in grado di capirli.

Pare infatti che il problema sia questo. Qualcuno commentando il pezzo sulla vignetta di Charlie mi ha spiegato che non è razzista, perché non è rivolta un pubblico razzista. "Solo un razzista distratto potrebbe riderne". Posso capire. A questo punto però è un vero peccato che molti razzisti siano distratti. E che non possiamo impedire loro di leggere Charlie e interpretare le battute come vogliono. La legge di Poe dice che "non è possibile creare una parodia del fondamentalismo in modo tale che qualcuno non la confonda con il vero fondamentalismo", senza almeno usare un segno che chiarisca oltre ogni dubbio l'intento parodico. Questo segno non dovrebbe essere linguistico, ad esempio l'intonazione della voce, o un'emoticon. Come tutti i grafomani, io detesto le emoticon. Vorrei riuscire a dire tutto con la scrittura, ma pare che ci sia un limite. La scrittura non strizza l'occhio, o non lo fa in modo abbastanza chiaro per tutti. E io - è il mio difetto intrinseco - vorrei essere abbastanza chiaro per tutti. Come la Sapienza dei Proverbi, che non si chiude in un circolo di amici selezionati, ma batte i marciapiedi e fa l'occhiolino agli estranei, così ho sempre cercato di fare io. Per me internet era la rete di tutti, e pensavo che questa fosse un'immensa opportunità. Pare che invece sia il principale difetto che ci impedisce di mandare avanti conversazioni interessanti: il rumore di fondo dei passanti che non capiscono, ma vogliono lo stesso intervenire perché credono di aver sentito qualcosa di sbagliato.

E adesso che si fa? Niente. Cioè, no, le solite cose. Continuerò a parlare del più e del meno, a riassumere qualche puntata ai passanti, e a ricevere ogni tanto le mail di qualcuno che mi ha trovato per caso e ha fatto mattina leggendo tutti i pezzi del 2009. Sto facendo questa cosa da così tanto tempo - 15 anni oggi - che non credo di poter più cambiare. Uno sbaglio così lungo ormai non è neanche più uno sbaglio. Diventa un'altra cosa - un record, un esperimento, una forma d'arte, che ne so.
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Il meglio del mio meglio, più o meno

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(Grazie ancora per le vostre risposte al sondaggio, anche se ce n'è una che mi sta buttando un po' giù:



Devo dire che non me lo aspettavo, anche perché ho praticamente smesso di parlare di calcio e... boh, ma sul serio? Bisogna fare qualcosa. Non so cosa).

Nel frattempo ho deciso, molto vanitosamente, di pubblicare tutte le risposte che ho ricevuto sul "post del 2015 che ti ricordi meglio".. Avevo anche iniziato a linkarle, ma sono più di quattrocento e il sonno prevale. Butto tutto on line così alla carlona, credo che sarà lo spirito di questo 2016).


Un gioco che facevamo i primi anni: mi dici qual è il post del 2015 che ti ricordi meglio? Così, senza pensarci troppo: il primo che ti viene in mente.
recensioni (tutte)
Claudio Augusto: so che sono stato quasi l'unico, ma ho amato quello spunto e in generale ogni pezzo in cui appare Ognibene
renzi e salvini, febbraio
quelli dopo gli attentati di Parigi
Gara degli spunti, quello su David Bowie, che tristezza che non te l’abbiano preso
...impossibile senza andare a sbirciare
Quando Hollywood riscrive la Storia  [2013, 2014, 2015]
antisemita
parigi piu vicina di africa
buona scuola
Tutti i romanzi di agosto, pubblicane uno e compro il primo numero :)
post su gender e famiglia cristiana ( spero sia del 2015 ) [è del 2014]
Recensione del conto de li cunti (ma forse era il 2014)
recensione di Suburra (e tutte le altre)
Ho una pessima memoria
ops! encefalogramma piatto
non è di quest'anno ma l'ho letto quest'anno: la madonna di Loreto e la sua casetta volante
Nessuno, sei pedante.
uno in cui facevi i conti di quanto costano le scuole private allo stato (o erano 2? o erano nel 2014? boh) [erano tre]. 
nessuno
Senza ombra di dubbio: Vincenzo, così poco originale
boh
booo
Marinetti duce, ma ciò non implica che sia stato il mio preferito.
eh, boh
gara degli spunti: la roba con gesù che viaggia nel tempo. Almeno credo
non ricordo niente
quello dove insulti gli Ebrei [???? Un aiutino? Un saluto a tutti gli amici ebrei che ci seguono da casa]
boooo
???
Nessuno.
boh
Forse quelli sulla vocazione autoritaria dell'italicum
Islam non è la risposta
Erri De Luca
...
recensione di interstellar
dopo Parigi, a scuola
Gara di spunti
Sono troppi. No vabbe', questo qua allora :D
Uno sull'unità
forse un post su interstellar
non mi ricordo, mi scusi?
mha... bhe...
la gara degli spunti
boh
qualcosa sulla scuola
gara spunti
Devo mettere 2008 alla domanda prima perché non so rispondere a questa, ma direi circa 2006
L'ultimo! Ho la memoria corta
I procioni!
Quelli che non sono mai stati continuati, mannaggia a te
Direi la recensione cinematografica di Gone Girl, sperando che fosse del 2015
Preside e riforma scuola
Lo spunto sui Catari
figlia della generazione del telecomando, assimilo informazioni bulimicamente, quindi non saprei dire perché leggo, ma poi dimentico o incrocio i flussi, quindi andando a caso potrei confondere un post tuo con un articolo di Vice. Sono pessima, lo so.
Fiume
Assolto per non aver commesso un fatto interessante
Gara degli spunti
Vincitore gara spunti astronave etc.
I procioni
L’infinita lista di argomenti per scrivere il tuo libro. Ma alla fine lo scrivi?
Gara degli spunti
boh
PROCIONI!
il bambino ben vestito e nutrito
Oltre alla gara, tutti quelli sugli esteri (ok, mi hai sgamato)
la gara degli spunti (e spero ancora in gesù procione)
Quelli sulla riforma della scuola in generale
Marinetti Duce
il quart'ultimo
"C'è una sola cosa sicura nella vita, ed è brutta come Houellebecq"
Charlie è un martire
quello dopo gli attentati di parigi, sulla necessità di essere adulti quando si parla di guerra
recensione interstellar
Populismi complementari
Populismi complementari
discussione su contributi a scuola privata
Gara degli spunti
grillo non fa ridere
Questo
il pianeta dei procioni
Quello in cui riveli che la buona scuola di Renzi è in realtà un'invenzione dei procioni extraterrestri, e per questo hai deciso di votare M5S.
Quello
Alcuni degli spunti
ah ah ah... credo vivimuoriripeti, sempre che sia del 2015 ;-)
Non mi ricordo neanche come mi chiamo se non lo leggo sulla patente
Spunti
l'ultimo film dimenticabile di Woody Allen, uno bello sul terrorismo ma era partito da un santo, quello su san Paolo, quello su Bogdanovich
...
gara degli spunti
Sant'Ambrogio
San Dasio
Prof, è morta mia nonna di 104 anni e...
recensione star wars perché è la più recente
rece Il viaggio di Arlo
Il post a puntate sulla fenomenologia del renzismo e la bozza del romanzo sul tipo ibernato che vede le fasi di una civiltà su una navicella.
Populismi complementari
gesù crononauta
il commento a Houellebecq
Gli spunti sui Catari! Se la Grande Gara non conta la recensione de Il nome del figlio
Genova
Le rece cinematografiche
mah
Quello su Houllebecq
quello su Civati
recensione mia madre
uno degli spunti
Quello in cui fingevi di voler votare i cinque stelle
Gara degli spunti
i procioni
I populismi complementari
Pasolini doveva fare il prete.
Recensione Inside Up
I procioni!
Impero recalcitranti
Inside out
islamici che bloccano le gite
La gara degli spunti
Charlie è un martire e io l'ho tradito
Uno sulle province, ma non ricordo il titolo orda
Che sia Fronte o che sia Islam, purché magnam
Tre motivi per cui passo coi 5 stelle
renzi/italicum
Boh
Qualcuno su Renzo e grillo e prospettive varie
charlie hebdo
Il gender non esiste
?
L'Islam è un problema (non una soluzione)
Gara di spunti
Quello su star wars
Gara di spunti
Lo spunto dei procioni
renzi
gara degli spunti: perpendicolare
Il post che ha vinto la gara degli spunti
ciccio, mica siamo sposati! non ricordo nemmeno la data di nascita di mia moglie...
uno sulla CIGL che mi ha fatto cambiare idea sul sindacato
Grillo e.......
vari Islam
gara degli spunti:i catari
uno di quelli sulla "buona" scuola?
Vuoi più bene all'aritmetica o a Renzi
Quello in cui spacchi il culo a quel saputello renziano di Francesco Costa. L'argomento era la legge elettorale, mi pare.
il.primo pezzo tuo che ho letto; la recensione del film "cosa voglio di più?"
L?Isis è tra noi e non vuole che andiamo in gita.
guerra degli spunti
la finalissima degli spunti
Se è una guerra siate adulti, per favore.
Copernico
qualcosa sulla buona scuola
Renzi
Ti piaccio? Ma quanto ti piaccio?
No, la tua scuola privata non mi fa risparmiare
...................... :)
La recensione di star wars 7
sul conflitto in palestina
Gara degli spunti
i procioni
gender a scuola
L'Isis non vuole che andiamo in gita
quello del genitore che passa per pedofilo per controllare l'insegnamento del gender a scuola
possiam oconvivere con chi crede nel corano
La gara degli spunti
E se fare un partito al 5% fosse invece un'ottima idea?
La bulimia non consente selezione (non credo sia un post)
Quello sul film di Shyamalan
Pasoliniexploitation
Lucia nel cielo coi regali
"Buon compleanno!" "Eh, no! Ieri sai quanta gente ha compiuto gli anni in Kenya, e tu non hai detto niente?"
questo
I pezzi sulla Francia e Houllebecq
non possiamo non dirci renziani (mi pare)
il gender non esiste
gli imperi recalcitranti
La gara degli spunti
"L'isis è tra noi" (in realtà i primi che mi vengono in mente sono le recensioni di star wars e il viaggio di Arlo, ma anche Non andremo in pensione.. e "perché i cristiani non ammazzano..", ma che vuoi, sono tra i più recenti)
Tutti un po' piu' fanatici domani
L'ultimo che ho letto, che cazzo di domanda...
Come fanno le scuole private a fare risparmiare 6 miliardi allo stato.
I Procioni
Io renziano mio malgrado
i post sui santi
Tutti un po' più fanatici, domani (gennaio 2015)
uno di economia... dove purtroppo capisci poco e ti rifiuti di documentarti
Soffro di amnesia a breve termine.
quello sugli studenti musulmani. scuola, insomma.
Siamo in guerra, facciamo gli adulti (più o meno)
uno su grillo e m5s
critico musicale album beatles
abbaso grillo:)
Quello di Beckett non è del 2015, vero? Bhe, comunque, quello!
Quello su Corano / Bibbia
quello sul bimbo che non dorme
La gara degli spunti
Se è una guerra siate adulti
Quello con le donnine nude.
post elezioni regionali francesi
Non so
monnalisa
il racconto sui procioni
fenomenologia di renzi
La teoria 'gender 'a scuola
quello su woody allen
Erode e la strage degli innocenti
eclissi
la storia del tipo che si sveglia ogni 100 anni
Scuola privata
Charlie è un martire e io l'ho tradito
scuola privata
Il viaggio di Arlo
First We Take Torpignattara
Don bosco
Gara degli spunti
Don bosco
scuola e gender
No
Quello sul decalogo del gender nelle scuole
la recensione di un film che nin mi ricordo più
La tua recensione di Star Wars
4 pezzi in ordine cronologico inverso: Spero che Erri De Luca non sia un buffone - Guerra di religione nell'intervallo - Charlie è un martire, e io l'ho tradito - Soffia sulle candeline
Santa Lucia
recension di star wars (per forza)
Recensione The Martian
Gender e scuola
La recensione a Still Alice, perché a me ha fatto cagare

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Quindicesimo giro di pista

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Abbiamo tutti un amico maratoneta che ci comunica sui social network i suoi exploit, dando per scontato che ce ne freghi qualcosa. Non lo fa per esibizionismo - non più di chi condivide gatti, cani, figli, torte. Non sta gareggiando contro di noi, non sta gareggiando contro nessuno se non quel sé stesso più giovane, quello stronzo che si mantiene a una manciata di minuti di distanza.

Con questo blog è la stessa cosa. Una volta c'erano altri blog con cui fare la gara - era divertente, ma essendo un gioco non era previsto che durasse. Da diversi anni in qua la gara la faccio con me stesso. Fino all'anno scorso girava ancora qualche soldo: ormai restano le briciole delle inserzioni, e anche quelle dovrebbero ridursi nel medio periodo. Non ha nessun senso scrivere un blog, tranne dimostrare che so ancora macinare tot post al mese, produrre tot clic al giorno. È una gara con un me stesso più giovane che scriveva pure peggio, e quindi che diritto ha di sovrastarmi? È una voce nello spazio profondo della blogosfera che urla: sono ancora qui, non mi sono rincoglionito. Ho ancora un sacco di cose da dire. Un sacco.

È stato un anno diverso dal solito, questo almeno posso dirlo. Mi sembrava di aver scritto meno del solito, salta fuori che non ho mai scritto tanti pezzi (280 in 12 mesi è un record). È stato un anno di esperimenti: il più interessante è stato quello sulla forma breve - i 1500 caratteri.

(I cinque pezzi più cliccati nel 2015:)
  1. Non voglio pagare per la scuola privata di tuo figlio, grazie
  2. Tutti un po' più fanatici domani
  3. No, la tua scuola privata non mi fa risparmiare
  4. Date un quotidiano a Calabresi
  5. Il gender non esiste; la scuola privata non dovrebbe
È andata così. L'anno era cominciato in modo abbastanza inerziale, quando all'inizio di marzo ho colto l'occasione di riciclare un vecchio, brevissimo pezzo che era andato fortissimo ai tempi di Piste - forse la prima volta in cui avevo capito come funzionava la viralità su facebook. Mi aspettavo di fare quei tremila accessi, ne ho fatti dodicimila. La cosa mi ha fatto pensare. E se stessi sbagliando tutto? Se la gente volesse pezzi più brevi?

(Avete già compilato il questionario? Sì? Grazie!)

In realtà ho sempre creduto che la gente in generale preferisca i pezzi brevi: soltanto, non li preferisce scritti da me. Non è il mio genere. C'è gente molto brava a stipare il mondo in una colonnina, duemila battute: io no. Però potevo provarci, giusto per togliermi il dubbio. 1500 battute al giorno. Provateci anche voi. Dopo un po' ritrovate la stima per Michele Serra, rivalutate Gramellini. È molto difficile non scrivere cazzate in 1500 caratteri. Ce l'ho fatta? Non saprei.

L'exploit del pezzo di Piste non si è più ripetuto. Ha evidentemente qualcosa di unico che non so riprodurre in laboratorio. Nel frattempo ho dimostrato a me stesso che riesco a scrivere pezzi brevi, e che se ne pubblico un paio al giorno attiro mediamente più accessi di un solo pezzo lungo. Sulla distanza però non c'è un vero allargamento nel bacino dei lettori. Stavo solo spremendo il pubblico più affezionato, costringendolo a passare due volte al giorno invece che una sola. E in generale, i pezzi lunghi continuano a essere più divertenti per me e per l'utente medio. 

L'altro esperimento importante è stato la grande gara degli spunti. Mi sono divertito anche troppo - alla fine ero esausto e non ho più scritto niente per mesi. Ora come ora non so davvero cosa fare, il blog è in coma vigile. Ogni tanto mi sfiora una discussione che m'interessa - Muccino che se la prende con Pasolini, Houellebecq con Hollande e mi vien voglia di scrivere quelle diecimila battute. Nel frattempo è successa una cosa curiosa e imbarazzante: questo blog è diventato un sito di cinema. Grazie soprattutto alla collaborazione con +eventi, il tag "cinema" è arrivato a quota 260, surclassando "Berlusconi" (179) e "scuola" (178!). "Matteo Renzi" è ancora molto indietro (109), ma si è lasciato alle spalle "Beppe Grillo (85). Colgo l'occasione per ricordare che non capisco nulla di cinema (è un'opinione diffusa anche tra i lettori).

Cosa accadrà nel 2016? Non ne ho la minima idea. Mi piacerebbe scrivere un po' meno ma essere letto di più. Mi piacerebbe aumentare gli accessi, i like, tutte queste cose, lo so che sembra assurdo e puerile. Ma anche a voi piacerebbe che la vostra squadra vincesse qualcosa l'anno prossimo. E se se vi capita di correre, e di cronometrarvi, quando vi accorgete di perdere dei minuti rispetto all'anno precedente ci restate male. Ecco. Mi piacerebbe scrivere sempre meglio e non ammalarmi mai, non invecchiare eccetera. E se mi impegno magari andrà davvero così, no? Buon anno anche a voi.
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Ti piaccio? Ma quanto ti piaccio? (un sondaggio)

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Buon anno tutti, il mio 2015 davvero non mi consente di lamentarmi. Prima del solito super-interessante bilancio di fine anno, vorrei chiedere qualcosa a quelle indispensabili persone che negli ultimi anni sento un po' più distanti, i lettori. Sì perché nei commenti siamo i soliti quattro gatti (benché graditi) e sui social, eh, non si capisce mai cosa succede sui social.

Per questo motivo ho pensato di farmi un'idea con uno di questi strumenti interattivi che ci sono su internet adesso. Si chiama "sondaggio", bisogna mettere qualche puntino in qualche pallina, vi prende tre minuti e ho cercato di farlo il meno noioso possibile. Grazie fin d'ora a tutti!


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Un articolo disgustoso (ma non abbastanza)

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Il caso è molto piccolo, ma potrebbe tornare utile a chiunque: l'estate scorsa, mentre qui ci divertivamo con procioni e Copernico, qualcuno pensava bene di segnalare alcuni miei articoli disgustosi all'Ordine dei Giornalisti, il quale non poteva però aprire un procedimento disciplinare su di me, siccome non sono iscritto.

Così ha aperto un procedimento a carico di Luca Sofri.
Violazione della deontologia professionale e vilipendio della religione cattolica.

Per fortuna è finito tutto bene (ho cancellato i nomi).





Postilla inutile: San Massimiliano Kolbe fu canonizzato il 10 ottobre 1982, il giorno in cui nel mio paese nacque un gruppo scout cattolico, che lo elesse immediatamente suo patrono. Anche per questo motivo è un santo che mi è caro in un modo particolare. Il pezzo più o meno disgustoso che scrissi su di lui doveva avere un finalino in cui la Madonna in sogno mi compativa per non aver mai scelto nessuna corona, né bianca né rossa né a pois: vedi cosa ti è successo? Avevi paura a scegliere e non sei diventato niente. L'ho cancellato - mi sembrava un po' troppo personale - e adesso non riuscirei a riscriverlo. Lo segno qui per ricordarmene, non ho molti altri spazi a disposizione.
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Domenica sono a Perugia (liberate il drago)

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Ciao a tutti, volevo dirvi che domenica do il mio contributo all'allegro settembre festivaliero (ormai agli sgoccioli) partecipando alle celebrazioni di San Michele di Perugia, con un intervento su come si ammazzano i draghi. Si parlerà ovviamente di angeli - anzi arcangeli - di riti misterici, pestilenze e altre eccitantissime cose che mi verranno in mente. L'appuntamento è alle 11 presso 11 presso la biblioteca di San Matteo degli Armeni. Perlomeno qui è scritto così. A presto.

(Poi forse mercoledì vado qua, ma non dovrebbero inquadrarmi, tranquilli).
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La miscellanea del sesto volume

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Ho un problema coi vecchi amici. Non li chiamo mai. Me li immagino sempre appollaiati sul mio passato. In realtà hanno una vita anche loro, un presente, rate di mutuo, pannolini da cambiare. Mi piacerebbe incontrarli oggi per la prima volta, ho l'impressione che diventeremmo amici. Ma li ho incontrati da giovane ed ero un deficiente. E loro lo sanno.
Io so che lo sanno.

“Pronto”
“Ehilà Ognibene, son Traldi”.
“Traldi, ehi, ciao!”
“Oh come butta vecchio”.
“Traldi guarda, adesso come adesso posso solo risponderti in monosillabi mentre davanti agli occhi mi scorre il film del campeggio all'Isola d'Elba del 1992 quando la dissenteria mi tradì nel sacco a pelo”.
“Maddai, cosa mi fai venire in mente”.
“Traldi sei un cattivo bugiardo, ancorché pietoso, e io so che quella chiazza marron è il primo ricordo che tu hai di me, dovessi vivere cent'anni e conquistare la Kamchatka a mani nude, per te io sarò sempre quella chiazza marron”.
“Ma piantala, Chiazza... ehm, volevo dire Ognibono”.
“Ognibene”.
“Sai che io dipingo, no, faccio una vernice in Pomposa, volevo invitarti”.
“Roba astratta?”
“Sì, campiture di colori un po' spenti... color terra, hai presente”.
“E hai pensato subito a me”.
Clic.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone. Dovrebbe essere il seguito di Capodanno). (In un qualche modo). (Mi avete segato lo spunto su Genova). (Fascisti).

Mi avevano raccontato da bambino che non è così, che del passato si ricordano soltanto le cose belle, la Centoventisei (un tombino semovente), il primo bacio (sapeva di lumaca), cose del genere. Magari per gli altri è così, magari si ricordano di quanto ero simpatico, alla buona, abbastanza corretto, se solo mi fossi fermato più spesso a sparecchiare alle feste. E poi ci sono tutte le cose che ho scritto. Se solo ci penso impazzisco.

“Ma mi sbaglio o costui è Ognibene? Ma che bella sorpresa!”
“Sì, beh, speravo di non disturbarti”.
“Non mi disturbi affatto, ma perché vesti una calzamaglia nera e hai il carbone sulla faccia e sei entrato da un lucernario nel mio solaio senza suonare il campanello?”
“Storia lunga. Senti, già che sei qui, non è che per caso ti ricordi dove tieni le mie lettere, sai, quelle che ti ho scritto nel Novantacinque quando...”
“Oh mi dispiace Ognibene le ho buttate tutte le tue lettere, è un problema?”
“Come le hai buttate, scusa”.
“Non credo sia un problema, no? Le scrivevi in duplice copia, mi par di ricordare”.
“Sì, ma non è quello che pensi, io in effetti ero venuto a distruggerle, ciò non toglie che, ma senti, perché non parliamo d'altro?”
“Ok, pensavo a te giusto l'altro giorno, ti ricordi quella volta che tu volevi assolutamente che ci rimettessimo assieme e alla quinta telefonata io ti dissi che mercoledì andavo a Londra, e quando atterrai a Heathrow tu eri lì già da un giorno pronto ad aiutarmi col bagaglio, ti ricordi?”
“Ero un po' troppo romantico a quei tempi”.
“Beh ma lo sai che al giorno d'oggi una cosa del genere va nel penale? Cioè un'incriminazione per stalking non te la levava nessuno”.
“Sì. Va bene”.
“Giusto per dire come cambia il mondo, no?”
“Sì. Ricevuto. Ero un deficiente. Se ora mi vuoi scusare...”
“Sul serio volevi distruggere le lettere?”
“Intanto le facevo sparire, poi magari a casa davo un'occhiata, perché certe cose, per esempio secondo me in quegli anni sbagliavo regolarmente gli accenti su alcune parole, e inoltre...”
“Sei sempre tu”.
“No sono molto cambiato”.
“Tu pensi ancora al meridiano”.
“Eh?”
“Al meridiano di tutte le tue opere, tu ci pensi ancora, sei qui perché non vuoi che alcune missive inopportune finiscano nella miscellanea del sesto volume”.
“Tu sei matta. Comunque non avrebbe mai funzionato, tra noi. Addio”.
“Ti ho mollato io, Ognibene”.
“Se è quello che preferisci pensare”.
“Se le trovo te le spedisco, ok?”
“Come sarebbe a dire, vuoi dire che non sai se le hai distrutte o no?”
“Senti ho fatto due traslochi e ho avuto carteggi con tre scrittori importanti”.
“Non osare mettermi in un elenco col dottor Merda, quel bavoso...”
“Tu non sei nessuno dei tre, Ognibene”.
“Sì, ok. Va bene”.
“Senti, vuoi scendere? Ho fatto la torta salata. Ti presento i bambini”.
“No è meglio che vado”.
“Allora alla prossima”.
“Alla prossima”.
“In cui tu suoni al campanello”.
“Sì”.
“Perché se ti infili un'altra volta dal lucernario io chiamo i carabinieri”.
“Senti lo so, lo so che ho giurato che non ti avrei mai più fatto questa domanda, però...”
“Sì ti ho voluto bene”.
“Grazie”.

“Ma chi era?”
“Ma niente un mio ex dell'università, un po' spostato, ogni tanto mi entra nel solaio”.
“È lo scrittore?”
“Noo, è... è Ognibene, lui... scrive anche lui in effetti, ma non ha mai pubblicato dei veri libri, credo che tenga soprattutto alla gloria post mortem”.
“Certo che te li cercavi col lumicino, in facoltà”.
“Ti giuro, erano tutti così. Com'è la torta?”


Se sul serio volete insistere su questa china insopportabile, che contro Genova non doveva avere speranze, dovete mettere Mi piace su facebook, o esprimervi nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto.
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Love of My Life

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Ho esitato molto a proporre questo spunto, che infatti arriva nell'ultimo giorno utile. È l'unico spunto nonfiction, si dice così adesso. È uno spunto né originale né tempestivo - anzi è deliziosamente fuori moda - ma che muove da una profonda riflessione scaturita da un rapido esame al mio archivio.

Ci sono 177 pezzi su Berlusconi.
(La stima è per difetto).
Che ne faccio?

Tra un po' saranno quasi tutti incomprensibili. Alcuni già lo sono. E però è seccante - questa è la parola - buttar via tanto lavoro. Tanta roba scritta nell'impellenza di un momento, quando sembrava importante, sembrava interessante, e adesso non si capisce nemmeno di cosa stessi parlando. Possibile che non si possa riciclare?

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).

In fin dei conti SB è stata una presenza fissa nella mia vita. Quando ho iniziato a guardare i cartoni animati, lui si è comprato tutti i canali privati e ci ha messo la pubblicità. Quando ho cominciato a nutrire attenzioni per le forme femminili, lui mi ha sbattuto in faccia l'inquietante Tinì Cansino. Quando ho avuto finalmente l'età per votare, lui si è preso tutti i partiti di centrodestra e ha vinto le elezioni. Il primo pezzo che ho scritto su un giornalino parlava di Berlusconi e dei suoi sondaggi. Poi sono cresciuto e Berlusconi è cresciuto con me - anche un po' in me, naturalmente. Sembrava sempre lo stesso, e invece ogni anno era un po' diverso. Spariva per mesi, tornava abbronzato in bandana, diceva due cazzate all'europarlamento, mi forniva così tanti spunti per sembrare intelligente. Tra noi è stata una storia lunghissima, e LO SO, NON INTERESSA PIÙ A NESSUNO, però è una cosa che si scrive da sola.

Questa era tra l'altro l'idea originale di Storia d'Italia a Rovescio; poi decidemmo di non fissarci solo su SB. Ma era ancora il 2006, mancava per esempio ancora tutta la fase puttaniera. Con poco sforzo finirebbe pure per sembrare una parodia di Piccolo, basta inserire qualche minimalismo al volo, non so quando trasmisero la vhs della discesa in campo, mio padre disse: boh, non so cosa pensare, ma io ero al bagno perché avevo un virus intestinale (non è vero niente, ma per fare un esempio al volo).

Alla fine più che di Berlusconi si parlerebbe dell'antiberlusconismo, anzi dei cinque antiberlusconismi: di come sono degenerati o sono stati sconfitti. Però c'è anche un altro aspetto che mi piacerebbe salvare, ed è la simpatia. Io ho senz'altro odiato Berlusconi, però ogni volta che mi capitava di scrivere una storiellina su di lui, ne facevo un personaggio simpatico. Non so perché. Non mi capita con tutti, per esempio con Bush Jr sì, con Renzi no. È una tendenza che è cominciata prestissimo, e non è praticamente mai finita. Se riuscissi a mettere insieme tutti i pezzi, ne salterebbe fuori un Berlusconi non dico verosimile, ma umano. A guerra finita, sarebbe anche un modo di congedarsi con dolcezza.

Se insomma ti interessa un collage di tutti i Berlusconi comparsi su questo blog e qui intorno, dovrai votare per Love of My Life, che oggi se la gioca con Le 1+2+3+4+5+6+... notti. Sentiti libero di  cliccare Mi Piace su Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo ti è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
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LA GRANDE GARA DEGLI SPUNTI

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Un'altra estate se ne sta andando, e io non ho ancora scritto un romanzo. Sapete, a volte ci penso.

D'altro canto, che bisogno c'è di farne uno? Ce ne sono già così tanti in giro. Il mondo scoppia di romanzi. C'è gente che li spara a getto continuo, senza rispetto per lo spreco di legname, di energia, l'effetto serra. Gente che dovrebbe avere più precauzioni quando scrive, usare il cestino ogni tanto... e invece niente. Pubblicano, pubblicano, e il mondo diventa ogni giorno più ingombro di parallelepipedi cartonati e inutili. Di fronte a uno scempio tanto dissennato a volte mi domando se non esser fiero del fatto che non scrivo romanzi. Dovrei rivendicarla con orgoglio, questa scelta.

Se fosse una scelta.

Ho sempre pensato che i romanzi avessero qualcosa di simile ai bambini, e ora che ho passato i 40 vi confermo che è così. La gente comincia a guardarmi con quell'espressione, avete presente? Poverino. Ha 40 anni e non è ancora riuscito ad averne uno. Hanno anche smesso di chiedermelo. Fino a qualche anno fa ogni tanto qualcuno si permetteva: "Scusa, ma quand'è che ti metti a scriverlo?"
"Ma io veramente ho il blog..."
"Sì, il blog, certo, ma prima o poi lo scriverai questo romanzo, no?"
"Ma perché devo proprio scriverne uno, scusa?"
"Mah, è un impulso naturale, no?"
"Davvero?"

Di solito a quel punto mi guardavano come se avessi ammesso di non amare il cioccolato. Il sesso. La bacheca di Gianni Morandi. Come si può vivere senza avvertire l'impulso più naturale dell'uomo, quello di infliggere storytelling ai propri simili? Come oso io sottrarmi alla natura - chi mi credo di essere?

In effetti.

E va bene, tanto prima o poi sarei crollato. Non è vero che non provo l'impulso. Non è che non mi ticchetta l'orologio. Sono anch'io un umano come tutti gli altri, sapete? Mi piace il sesso, il cioccolato, ma soprattutto non posso resistere all'idea del mio cognome sbalzato su una copertina in similpelle in una libreria di noce massiccio. Vorrei tanto scrivere un romanzo - no, in realtà vorrei tanto averlo già scritto, perché è così faticoso provarci.

È una vita che ci provo.

Vedo un sacco di imbecilli che ci riescono, e io no.

Credevo che a una certa età sarebbe stato naturale. Come parcheggiare nel garage, riempire la lavastoviglie in modo efficiente. Ma l'età ormai è passata, e io continuo a girare a vuoto. Mi manca qualcosa che non so cos'è.

Sono andato anche dagli specialisti. Dicono che non c'è niente che non vada. Però non mi viene l'idea, lo spunto giusto. No, anche questo non è vero.

Di idee me ne vengono troppe. E sono tutte bislacche. Le vedo crescere in me come virgulti promettenti. Le vedo svilupparsi in forme bizzarre ed effimere. E seccarsi al primo sorgere del Buon Senso. Questa storia è troppo triste, questa scherza troppo con le cose serie, questa se la comprerebbero in tre, questa somiglia a qualcos'altro, ecc. ecc.

Col tempo mi sono fatto un armadio di vecchie idee che per un attimo mi sono piaciute e che adesso avrei vergogna a indossare. Un sacco di idee. Possibile che nessuna valga un po' più la pena? Forse ho già avuto un'idea fantastica e non me ne sono accorto. Forse potrebbe accorgersene qualche mio educato lettore.


Vi presento ordunque la Grande Gara degli Spunti, che è il simpatico modo in cui su questo blog trascorreremo l'agosto.

Tra gli innumerevoli spunti di romanzo da me buttati giù negli ultimi 20 anni ho selezionato 32 candidati, che nei prossimi giorni si sfideranno in un torneo a eliminazione diretta. Ogni giorno somministrerò agli affezionati lettori due spunti, due aborti di romanzo, e loro potranno scegliere quale eliminare e a quale dare una chance. Per salvare uno spunto (e condannarne un altro) sarà sufficiente mettere un like su facebook, o ritwittare, o scrivere qualcosa di carino nei commenti, come ai vecchi tempi. Potete anche votare per entrambi i concorrenti, se non sapete decidervi - vi capisco benissimo.

In capo a un mese, tra questi 32 spunti spunterà un vincitore. E a quel punto, saprò che romanzo mettermi a scrivere. Questo non significa che sarà un bel romanzo, anzi probabilmente riuscirà illeggibile, ma ogni scarrafone è bello a mamma sua. Vi ringrazio sin d'ora per la collaborazione, e do il via alla Grande Gara di Spunti. Come prima sfida, una classica senza tempo: David Bowie contro Gesù Cristo. Siete pronti?

***Update: il Grande tabellone degli spunti


SedicesimiOttaviQuartiSemifinaliFinale
Stardust48
38
37
31
I Catari 48
Gesù52
5 a Genova20
26
Capodanno27
Claudio Augusto9
28
34
Fiume 192068
La prima volta43
20
O viceversa17
I banditi34
16
46
46
Campo di grano19
I Catari53
39
Il basilisco6
Scuola media44
26
12
Sauron vive!34
Dama e cavaliere18
31
Zombi vs vegan39
Scie chimiche53
35
15
31
Copernico 68
Eyjafjöll40
La prigioniera42
27
Pinocchio uccide22
L'ultimo uomo10
61
38
Addio ai procioni50
La marmellata41
55
Tutte le ex52
Gioconda 30
48
21
67
Marinetti duce60
Redenzione29
8
Pandolfo17
Perpendicolare15
63
54
Copernico47
Love of My Life8
6
1+2+3+4+5+6+...29
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È sera.

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...rifaccio il layout, vah.
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L'eclissi del '99 (vuoi mettere con)

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http://www.eclipse-maps.com

Un'eclissi non dovrebbe cogliere alla sprovvista nessuno, dal tempo dei Caldei. E invece anche stavolta le ferramenta hanno esaurito gli occhialini da saldatore. Ma vuoi mettere col Novantanove?

Non ne faccio una questione di nostalgia - ho peraltro qualche conto in sospeso con gli anni Novanta - ma nel '99 se ne parlava da mesi, e ovunque cartine con indicata la fascia in cui l'oscuramento sarebbe stato totale, e l'Unione Europea non era ancora un'arcigna battitrice di moneta, ma una zia simpatica che elargiva occhialini (un anno dopo sarebbero arrivati gli Euroconvertitori). Anche gli occhialini però finirono subito - sembrava una mania - qualcuno da qualche parte ne faceva evidentemente incetta pensando a tutte le eclissi future; e poi ricordo che c'erano gli occhialini seri e quelli meno seri, questi ultimi molto rischiosi perché la gente si sarebbe fidata di essi e avrebbe fissato l'eclissi fino ad accecarsene - e ricordo bene anche il curioso fenomeno per cui tutti gli ammonimenti elargiti in tv dagli esperti ("Non fissate a lungo il sole! Usate protezioni!") avevano immediatamente creato la leggenda metropolitana per cui era l'Eclissi, e non il Sole, ad accecare la gente. Ricordo abbastanza bene tutte queste cose.

Più che l'eclissi in sé.

Ero in Francia e, a un certo punto, in bicicletta. Uno schermo protettivo alla fine non lo avevo, il mio Centro sociale li aveva finiti e io mi ero detto boh, qualcuno me lo presterà. Stavo andando verso la piazza, dove probabilmente qualcuno me lo prestò. Capii in quell'occasione che un'eclissi o è totale o una mezza delusione. Oggi preparavo appunto i ragazzi a questa sensazione: non si vedranno le stelle. Se non sarà già nuvolo di suo sarà come in estate quando una nuvola molto spessa si para davanti al sole all'improvviso, la stessa sensazione di scivolare nell'ombra all'improvviso, e forse i cani nemmeno abbaieranno. Mio padre mi ha procurato una vecchia maschera da officina, roba seria, così alla fine stavolta risulterò meno impreparato che nel Novantanove. Ma vuoi mettere.

"Ma perché quando era giovane lei distribuivano gli occhialini, e adesso no?"
"Bella domanda".
"È la crisi, vero?"

Ci sono abituati. Quest'anno sono i ragazzi del 2002, l'Unione Sovietica è un antico impero su vecchie cartine muffe, le Twin Towers una storia pazzesca che sta sui libri e nei film, la lira un mistero indecifrabile come per noi le cifre in rubli o ghinee nei romanzi dell'Ottocento. Per quanto si possono ricordare Obama è sempre stato presidente, e la crisi è sempre stata la risposta a tutte le domande. Li invito all'ottimismo: prima o poi deve finire, e immaginatevi se finisce proprio quando vi diplomate voi! Non ci credono. È come se al me stesso tredicenne qualcuno avesse raccontato dell'imminente caduta del Muro di Berlino.

"Tutta questa informazione ha ucciso l'incanto, sapete. Se nessuno di voi avesse sentito parlare dell'eclissi, sapete cosa potrei fare stamattina? Minacciarvi di oscurare il sole se non cominciate a fare i compiti seriamente. La conoscenza è..."
"Prof ma lei non può oscurare il sole".
"...potere".

1999. Ricordo molta musica francese, un po' perché stavo là e un po' perché gli Air avevano appena fatto il botto. Non c'era ancora il blog ma alla mediatheque passavo una mezz'ora al giorno a scrivere mail ai contatti italiani. Si litigava sul Kossovo. Al cinema Eyes Wide Shut, Rosetta, Tutto su mia madre. La lista Bonino Presidente prese un fracco di voti a quelle elezioni europee a cui non riuscii a votare, proprio mentre stavo facendo un servizio volontario europeo. D'Alema perse qualche punto e reagì con un rimpasto di governo. Il direttore del centro sociale aveva pietà di me e mi aveva prestato le chiavi di un enorme furgone, se ci ripenso non credo di aver mai meritato in vita mia tanta fiducia. Un giorno diedi un passaggio a una ragazza che mi presentò i suoi amici, erano tipi a posto ma facevano davvero quella cosa di mangiare la pasta scondita e senza sale. Le lettere che m'interessavano davvero arrivavano ancora nella cassetta della posta, ma ci mettevano troppo. Da qualche parte probabilmente lessi che la prossima eclissi importante sarebbe stata nel 2015, e me ne dimenticai subito. Facevamo ancora fatica a credere che ci sarebbe stato di lì a poco un 2001, come potevamo credere all'esistenza fisica di un 2015?

Cercherò su wikipedia, troverò la data della prossima eclissi parziale. Mi farò un appunto, scriverò una mail a me stesso, comprerò un paio di occhialini e li nasconderò in un posto dove non me li dimenticherò. Non mi farò più trovare impreparato. Le guerre capitano, i terremoti non li puoi prevedere, le crisi hanno i loro cicli misteriosi. Ma le eclissi no, le eclissi le conosciamo. E la conoscenza è potere.
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L'ultimo dei nonni

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Oggi forse eleggono il presidente e io non ho niente da mettermi. Sono molto contento di aver trovato altro di cui parlare, in questi giorni, visto che non avevo la minima idea di cosa sarebbe successo. Sono contento che Berlusconi sia rimasto spiazzato - credo che lo spiazzamento di Berlusconi abbia un valore in sé. Sono anche relativamente soddisfatto che dagli anfratti del colle Quirinale si sia trovato qualche altro notabile settantenne: non che il nome di Sergio Mattarella trasfonda in me un qualsiasi entusiasmo, ma nelle ultime settimane erano girati nomi tali da renderlo ai miei occhi, per contrasto, un padre della patria. In realtà ricordo poco di Mattarella (fece anche il ministro dell'istruzione in un antichissimo governo Andreotti), ma in un qualche modo sono già sicuro che sarà un buon presidente. D'altro canto, c'è mai stato un presidente che non mi sia piaciuto?

Questo blog esiste da quattordici anni, infida età. C'era giusto lo spazio per due settennati, ma le cose si sono un po' complicate, e così abbiamo assistito agli ultimi cinque anni di Ciampi e a nove, dico nove anni di Napolitano. In tutto questo tempo ho scritto un sacco, soprattutto di politica, non perché io ne capisca un granché ma perché è l'argomento più semplice e quello che richiama più lettori. Persino il calcio secondo me richiede più impegno della politica (come minimo ogni tanto ti devi guardare una partita). In tutto questo tempo credo di essermela presa con chiunque - certo con qualcuno più che con qualcun altro - eppure non trovereste, nemmeno se aveste davvero voglia di cercarla, un sola riga di biasimo per il presidente Napolitano o per il presidente Ciampi. Nessuno dei due mi ha fatto impazzire, nessuno dei due mi sembrava criticabile. Forse c'è in me un senso dello Stato, un rispetto per le istituzioni più forte di quanto uno possa sospettare.

Ai tempi di Scalfaro non avevo un blog, ma posso dire di averlo molto stimato anche se i suoi messaggi alla nazione erano insopportabilmente lunghi e alati, e il suo "non ci sto!" mi imbarazzò parecchio. Prima di Scalfaro c'era Cossiga: l'unico presidente che ho trovato discutibile. Molto discutibile: ma solo negli ultimi anni. Col senno del poi non sono tantissime le cose di cui mi pento, ma tra quelle c'è l'aver pensato che l'impeachment per il caso Gladio fosse una cosa seria. Prima di Cossiga c'era Pertini e questo potrebbe anche spiegare tutto: io sono di quello scaglione che è cresciuto con Pertini alla tv, e Pertini alla tv non si discuteva, si amava. Sono passati molti anni, la figura di Pertini mi si è parecchio ridimensionata (grazie soprattutto a chi ne ha fatto un santino), ma forse per me il presidente è ancora un nonno. Un tizio che merita rispetto prima di tutto, anche se non è detto che capisca sempre quello che succede. Questa idea del presidente nonno mi ha forse impedito di ironizzare sulle derive patriottarde dell'ultimo Ciampi, o di preoccuparmi il dovuto della situazione del tutto particolare in cui si trovò Napolitano dalle dimissioni di Berlusconi in poi. Continuo a credere che in quel frangente, e nei successivi, Napolitano prese decisioni forti, ma del tutto ragionevoli. Però forse sono obnubilato dal mio rispetto per il nonno. Il che spiegherebbe parzialmente il mio disagio per i nomi che erano stati fatti nei giorni scorsi. Alcuni di questi erano persino ragionevoli, ma non sarei mai riuscito a considerarli davvero i miei presidenti (a parte Veltroni, che avrei voluto al Colle solo per divertimento). Erano tutti politici di lungo corso che conosco troppo bene per ammirare, forse il problema è tutto qui. Ma forse c'è un'altra spiegazione: non appartengono più alla generazione dei nonni.

Mattarella dovrebbe essere il primo presidente nato negli anni Quaranta, seppur di striscio ('41). Mio padre è dell'anno successivo: il discrimine. Di quelli nati dopo non mi fido. Alcuni so che sono bravi, anche molto bravi. Ma ho la sensazione che possano essere bravi ai miei danni, una sensazione che i nonni non danno mai. L'idea che ormai sia finita, che la cosa pubblica sia interamente nelle mani di gente più giovane di mio padre, se non di me, mi dà una vertigine tremenda e mi spinge ad aggrapparmi a qualsiasi sostegno, sia pure un canuto moroteo. Esprimo dunque i miei più cordiali auguri al nuovo presidente, sempre che oggi lo eleggano.
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Di altre cose finite nel 2014

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...dicevo, nel 2014 sono cambiate tante cose. Si tratta per la maggior parte di cose che prima c'erano e poi sono finite. Per prima è sparita la viralità gratis. Poi sono finiti i soldi.


Gazzetta di Modena (Avevo scritto che il 2014 era stato
un anno senza alluvioni? Mi sbagliavo).
Due contratti

Di soldi non ne abbiamo mai parlato. La scusa ufficiale (troppo pochi per essere interessanti) celava un'ambizione: ci si aspettava che aumentassero. E stavano aumentando - lentamente ma gradualmente - a fine 2013, con tre-quattro contratti e due pezzi pagati alla settimana, qualcosina si metteva da parte. Non mi sembrava un modello da proporre in giro, ma in qualche modo funzionava. Nel 2014 ha smesso.

In primavera Liquida ha deciso di sospendere la sua sponsorizzazione, molto generosa. In effetti mi pagava le stesse (identiche) inserzioni di Google, molto, molto più di quanto mi corrispondesse Google. Non ho mai capito perché lo facesse, sospettavo per mecenatismo e preferivo non domandare. In ogni caso, non poteva durare all'infinito, per cui arrivederci Liquida e grazie per tutto il pesce. Ah, e poi come sapete ha chiuso l'Unità. Anche l'Unità on line, decisione a mio avviso molto discutibile. Comunque lo hanno chiuso e ora lo posso dire: sì, mi pagavano.

Non proprio puntualmente, no - ma mi pare che sia la regola anche per i gruppi editoriali che hanno meno problemi. Ero il primo a stupirmene, di solito in questi giorni dell'anno: quando arrivavano quei due o tre bonifici ormai dati per persi. Il fatto è che quando avevo iniziato, nel 2009, la figura del blogger che scrive gratis sul sito del quotidiano ancora non esisteva. Fu il Fatto quotidiano a cominciare in grande stile nei mesi successivi; poi arrivò l'Huffington e da lì in poi l'idea di pagare un blogger diventò un nonsense. Ma io ero arrivato un po' prima, per un pelo! avevo sparato una cifra bassa, me l'avevano ritoccata ulteriormente, e poi non se n'era più parlato. Nel frattempo c'era la crisi che sapete, per cui non è che mi facessi illusioni; quando chiusero la sede regionale per esempio mi dissi: ci siamo, tra un po' mi scriveranno che non si possono più permettere ecc. ecc. e che posso sempre collaborare con loro su base volontaria. Non mi hanno mai scritto, e ogni tanto mandavano i bonifici. Quando dichiaravo i redditi davo un'occhiata, i conti tornavano sempre.

In coscienza non credo di aver affossato l'Unità, o scialato soldi pubblici. Mi sono dato da fare, ho portato un po' di traffico e di discussione sul sito, una volta alla settimana per quattro anni filati - ho saltato soltanto la settimana che sono diventato papà, ma credo di averla recuperata. Mi dispiace se nel frattempo qualcun altro si faceva un mazzo uguale gratis. Mi dispiace soprattutto per chi ci lavorava a tempo pieno e a un certo punto si è ritrovato a bordo di un progetto in cui nessuno stava più investendo, e ha continuato a lavorarci anche mesi dopo l'ultimo stipendio. Io grazie al cielo nella vita faccio altro e davvero, giornalisti e redattori in questo periodo non li invidio.

Comunque da agosto in poi il blog ha quasi smesso di pubblicare pezzi pagati, non so se i lettori se ne siano resi conto. Siamo tornati nel quasi puro dilettantismo, con tutto quello che ciò implica nel 2014. Cosa implica? Non saprei. Pubblicare un po' meno, probabilmente. All'inizio invece ho provato a pubblicare di più.


Ci manki.
La parola dell'anno è clickbait

L'anno scorso era "selfie". La parola che all'inizio dell'anno nessuno sa, ma già ne avverte l'esigenza. Il clickbait esiste da quando esiste il www, ma non ci aveva mai dato tanto fastidio. Da quando Facebook è diventata l'edicola unica, ha cominciato a urtarci realmente. Quel che preoccupa è che, a parte le derive grottesche e in fin dei conti divertenti di Beppegrillo, nessuno sembra in grado di farne a meno: siamo tutti in prima fila a gridare più forte i nostri contenuti sperando in quei cento o mille clic in più. In agosto ho fatto un piccolo esperimento.

C'era vita sulla luna (nel 1835, perlomeno).
L'idea era spremere più attenzione possibile dai social network, mettendo a frutto tutte le (cattive) tecniche imparate su Beppegrillo e compagnia. Agosto era perfetto anche perché di solito non succede mai niente, ma da qualche anno a questa parte la gente si connette comunque e ha più tempo per mettersi a leggere qualcosa che non sia la solita campagna virale o le notizie sul meteo. In agosto di solito gli accessi a questo sito si contraevano fino a dimezzarsi; nel 2014 è stato il mese che ha attirato più visitatori. Al di là dei vari trucchetti che hanno irritato molti lettori abituali (i titolacci, la grafica orrenda, le liste ecc.) l'idea di lavorare quando gli altri chiudono mi sembra buona. Anche perché quando gli altri lavorano lavoro anch'io.


La fine di un'epoca (di transizione)


Altre cose finite: l'antiberlusconismo. Un po' prima di Berlusconi, temo. E non è ancora detta l'ultima. Poi è finito il M5S, o almeno la sua fase eroica. In generale, credo che sia finita un'epoca molto interessante: quei tre anni in cui ci siamo resi conto che B. vacillava sul serio e ci siamo domandati chi ne avrebbe preso il posto. Abbiamo avuto speranze, abbiamo avuto paura, abbiamo letto tante cose e ne abbiamo scritte tante altre. Adesso c'è Renzi, e per quanto sia un formidabile spunto, non richiama la stessa attenzione. In teoria la situazione attuale dovrebbe essere perfetta per un blog del genere: tra Renzi Grillo e Berlusconi Salvini, ogni mattina non dovrebbe essere difficile trovare uno spunto per dare addosso a uno dei tre. In realtà la sensazione è che una certa fase epica sia finita, che finalmente un certo equilibrio sia stato raggiunto, e che molti si siano distratti; che sotto la buccia degli addetti ai lavori, che litigano per mestiere o inclinazione, ci sia una larghissima fetta di lettori annoiati che di questa roba non ne può più. C'è davvero necessità di un altro pezzo sulle purghe nel M5S, o sui voltafaccia di Salvini? Che senso ha infierire? Bisognerebbe essere più antigovernativi ma controllare di non dire le stesse cose che sta dicendo Grillo o il Giornale, è complicato. Io su Renzi avevo molti pregiudizi ma sarei stato contento se fosse riuscito a smentirli. Fin qui non è proprio andata così. Adesso ci sarà la corsa al Quirinale, vedo i giornalisti molto eccitati - io ho già la nausea. Magari tra due mesi succede la Grecia ci fa uno scherzo o succede qualcos'altro di imprevisto e diventa di nuovo interessante discutere di politica interna - a proposito, in questi tre anni la politica estera l'abbiamo tutti colpevolmente snobbata, con qualche soprassalto perlopiù causato da bombardamenti in Palestina. Credo che a rileggermi col senno del poi - una cosa che per fortuna non avrò mai tempo per fare - farò l'effetto di una persona eccezionalmente miope, tutta concentrata su quello che gli succedeva nell'orto di casa, mentre a Hong Kong si fronteggiavano democrazia e totalitarismo, la NSA ci spiava, Google cominciava a produrre droni, eccetera eccetera. Questa miopia la rivendico: sono un tizio che non ci ha mai visto molto lontano, e che preferisce dare un contributo ai piccoli discorsi che capisce. Non sono un futurologo, non capisco molto di economia (beati voi che invece), mi piace scrivere dei fatti miei e di qualche milione di persone con cui condivido la lingua. Niente di interessante, vi avevo mai fatto credere il contrario? Vi chiedo scusa, e vi capisco se passate di meno. Capita persino a me.


Tempo

A settembre è finito anche il tempo. Non saprei dire il perché, ma mi sembra di averne sempre di meno. Non ho cambiato professione, non ho figliato ulteriormente, non ho trovato un nuovo hobby, non ho un amante. Mi addormento prima, semplicemente. Questo era un blog che si metteva assieme soprattutto in una fascia dall'una alle tre di notte che non esiste quasi più. Meno tempo significa meno pezzi, il che non è necessariamente un male. Diventa sempre più difficile pianificarne le uscite, e questo rende più difficile scrivere i pezzi sui santi - ce ne sono ancora di interessanti, ma ci vuole un tempo per prepararli che non c'è più. Un'altra cosa da fare sarebbe riscriverli bene - ci trovo strafalcioni e ripetizioni ogni volta che li rileggo. Diciamolo, ho passato due o tre anni a scrivere come un ossesso e non riuscivo più a correggermi. Un obiettivo per il 2015 potrebbe essere: scrivere meno scrivere meglio.

(Ma vi rendete conto che tra dieci anni è il 2025? Brividi).
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La sola edicola in città (non funziona)

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Consuntivo 2014, forse

Abbiamo avuto tutti un anno difficile.

http://www.linkiesta.it/fine-discoteche-italiane
Io non dovrei nemmeno lamentarmi - un anno senza inondazioni e terremoti, buttalo via - ma la situazione in generale mi sembra abbastanza grigia, anche e soprattutto nel www. Tanto che mi domando se abbia davvero un senso venire qui a cercare di spiegare e spiegarmi perché gli accessi sono un po' scesi, e come intendo reagire al problema ecc. ecc. ecc. - come se questo sito fosse l'unico al mondo che non riesce più ad attirare l'attenzione. Come se non fosse fisiologico, e tutto sommato giusto, che aumentando il bacino di lettori non aumenti anche la possibilità di trovare qualcosa di meglio. Come se non avessi anch'io tante cose più interessanti e importanti da fare.

Comunque. Vi è sembrato volare, il 2014? Quaggiù non è volato affatto. Uno di quegli anni in cui sembra che non cambi niente e invece è cambiato tutto. Molte cose in peggio, ok. Ma concentriamoci sul cambiamento. È pur bello cambiare.

Zoccolo e picchi.
Il primo cambiamento che si è fatto notare nel 2014 è quella che mi piacerebbe chiamare la fine della viralità facile - ma poi mi toccherebbe comunque prendere una mezza dozzina di righe per spiegare cosa intendo. Mettiamola così: il pubblico di un sito come questo si divide in zoccolo e in picchi. Lo zoccolo è fatto di quelli che vengono sempre, con cadenza quotidiana o settimanale. Lo zoccolo è il privilegio e il vanto di un sito storico come questo (14 anni, signori); è cresciuto con alterne vicende fino al 2009 e da allora è sempre sceso, sempre. Vi chiederete come fa un bacino a scendere per sei sette anni senza toccare mai lo zero, ebbene, sono il primo a stupirmene.

L'altra componente sono i picchi. Quelli che arrivano soltanto quando un pezzo diventa virale - cioè attira l'attenzione su facebook, dato che da diversi anni, ormai, la viralità dipende unicamente da facebook. Twitter, quando si arriva ai grandi numeri, sta a Facebook come il ciaocrem alla nutella, mi dispiace. Non ho mai voluto molto bene a Zuckerberg e alla sua creatura, ma ormai l'unica edicola aperta in città è la sua, e mi tocca pure sgomitare per ottenere un posto sull'espositore. In ogni caso, nel 2013 era bastato comparire nell'edicola con assiduità per aumentare, a fine anno, il numero totale degli accessi. Un classico esempio di dead cat bounce (= "Anche i gatti morti precipitando rimbalzano") - in ogni caso l'effetto è già finito. Ma è finito perché, sin dai primi mesi del 2014, non c'è stato più modo di diventare virali su facebook. Un ritocco all'algoritmo, o forse sono diventato più noioso, fatto sta che anche questa pacchia è finita. Il pezzo più letto dell'anno scorso aveva raccattato diecimila clic in un paio di giorni (per arrivare a ventimila nel giro di qualche mese). Quest'anno  più di quattromila non si facevano, non c'era verso. È sufficiente confrontare le due campagne elettorali, entrambe molto discusse, che portavano un sacco di lettori infervorati a discutere nei commenti: quest'anno mi sembra di averla seguita con più assiduità, portando a casa molto meno.

L'unica edicola in città...
Nel frattempo - forse per autosuggestione - facebook mi sembra diventata molto più caotica. Non c'è più verso di ritrovare l'unica cosa tra cento che ripensandoci ti interessava. Forse ho troppi amici, forse troppo pochi, chi lo sa - resta impressionante la quantità di minestra riscaldata che Zuck mi propina al posto dei contenuti interessanti che mi perdo ogni giorno, accorgendomene magari una settimana dopo. È terribile vivere in un posto dove esiste una sola edicola e non ci trovi mai quello che interessa - almeno in questo Internet non avrebbe dovuto somigliare a San Martino Secchia. Che fare?

(I cinque post più letti del 2014. Il terzo è del 2012).

  1. La scuola dell'amore (non passerà!)
  2. Palla al centro, Cinquestelle
  3. 5 cose che nessuno sa di Dalla, forse
  4. Ma ci sarà un correttore a Torino
  5. L'esplosione controllata di Grillo


Prima o poi ci stancheremo di FB - ci siamo stancati di tutto - e troveremo qualcos'altro che all'inizio funzionerà bene e poi sempre peggio ma comunque avrà attirato così tanti utenti che resterà comunque per un pezzo il posto più interessante e divertente. Funziona sempre così - dove sono le discoteche della nostra adolescenza? Ci sembravano eterne, e invece - il problema è che disfarsi da Facebook sarà oggettivamente più difficile. Ci abbiamo rovesciato troppa vita dentro, e senz'altro Zuck non ce la restituirà. Non gratis. È un po' il problema dei tatuaggi.

A me non piacciono i tatuaggi. Sono una persona costituzionalmente incerta, tendo a pensare al me stesso del futuro come a un estraneo che avrà senz'altro gusti diversi dai miei, a cui devo consegnare il mio corpo nella condizione il più possibile ottimale, e quindi trovo stupidi i tatuaggi. Non vedo l'ora che passino di moda. Il problema è che il tatuaggio non è un anellino qualsiasi. Non passa di moda per definizione. Chi si fa un tatuaggio a vent'anni potrebbe trovarlo disgustoso a ventuno - ma non lo farà. Cristallizzerà il suo gusto al tempo in cui gli piacevano i teschi o i font esotici. Svilupperà milioni di teorie - una per ogni giorno in cui si vede il collo tatuato allo specchio - per spiegarsi come mai quella macchia sul collo è interessante a dispetto di ogni ragionevole estetica. Farà il possibile e l'impossibile per autoconvincersi che i tatuaggi sono belli e probabilmente riuscirà a convincere qualcuno più giovane di lui a replicare il suo errore all'infinito. Intere civiltà del passato sono discese in questo abisso.

Mi chiedo se Facebook non sia un po' la stessa cosa. Vedo un sacco di gente buttarci dentro la loro vita, indifferenti al fatto che sia una lavagna indelebile, e di proprietà altrui. Poi si lamentano se Zuck per augurargli il buon Natale gli risputa la foto della figlia morta - hai regalato le tue foto all'unico edicolante in città, che t'aspettavi? C'è gente che ha chiuso i blog - per carità, li capisco - e poi scrive cose intelligenti su facebook, ma perché lo fate? Davvero avete tanta intelligenza da regalarla gratis agli incroci delle strade, come la Sapienza dei Proverbi? Non vi interessa più tenerla in archivio, volete lasciarla tutta a Zuckerberg?
E se un giorno ve la cancella?
O se un giorno voleste cancellarvi voi?
Vi state tatuando facebook sul collo, rendetevi conto.

(Il consuntivo prosegue un'altra volta perché sono andato fuori tema)
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Linguaggio nel pomeriggio

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Ciao a tutti. Tra un'oretta a Fahrenheit (Rai Radio 3) si parla di editoria scolastica, e pare che ci sarò anch'io (se tutto va bene poi metto il podcast).
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Contenete l'entusiasmo

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E dunque, dopo una lunga riflessione, ho deciso che quest'anno vado alla Festa della Rete. Con chi c'è ci vediamo là, a parlar male di quegli altri.
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I dieci peggiori blog d'opinione d'Italia

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Macchianera Italian Awards 2014: NominationMacchianera Italian Awards 2014: Nomination30 agosto 2008 - un oscuro blog dell'epoca arcaica fa incetta di nomination ai Macchianera Blog Awards, come si chiamavano a quel tempo. Sei anni dopo, c'è ancora qualcuno che lo vota, a dispetto di ogni buon senso e logica commerciale. 

Ciao, siete meravigliosi. Volevo ringraziare tutti gli affezionati lettori e in particolare le batterie di scimpanzé che Gianluca Neri evidentemente mantiene in cattività in un ambiente cablato (probabilmente spera che scrivano l'Amleto o magari qualcosa di meglio) e che anno dopo anno, quando si tratta di votare per i MIA, continuano a spuntare la voce "leonardo", probabilmente per inerzia. Anche quest'anno sono in lizza per il "miglior post" - mai meno meritato - e per il "miglior blog di opinione", inserito in un mazzo di avversari che mi polverizzeranno. Ve li presento qui di seguito, con un'avvertenza: STO SCHERZANDO. In realtà li stimo tutti molto. No, perché c'è chi si è bevuto la storia del critico musicale e quella della Gioconda falsa, e insomma non si mettono mai abbastanza mani avanti.



Dice che si è spento ieri sera alle 21 e 50.
Licenza Politica (www.licenzapolitica.it)

Licenza Politica è (apre la pagina) un "blog controcorrente, dall'anima liberale, liberista e libertaria": complimenti, mi sei già salita sulle palle col sottotitolo. E insomma sarà da vent'anni che sfracassate con la trimurti liberali-liberisti-libertari e ogni volta mi verrebbe da chiedervi: ma perché "libertini" no? Cosa v'hanno fatto i libertini, eh? Eh? Restif de la Bretonne non è forse degno di entrare nella vostra accolita di liberti liberati battenti bandiera liberiana? La notizia in homepage è che Stalin è morto. Giuro. No, è un effetto dei layout con le foto immense. Allora io posso anche sbagliarmi, dopotutto sono in giro solo da un milione di anni, però più grosse ci mettete le foto, più piccole sembrano le vostre opinioni. La più recente è sul fallimento dell'Unità, che sarebbe un "fallimento di mercato". Uhm, se ne può discut- NO. Che altro c'è? Un endorsement a Forza Italia perché a inizio luglio devono aver aperto alle coppie gay - me n'ero già dimenticato, per fortuna che c'è Licenza Politica che va controcorrente e mi ricorda queste verità scomode. "Quindi, chapeau Francesca e chapeau Cav. Se questo è il nuovo inizio di Forza Italia, forse la vera rivoluzione liberale non è ancora perduta". Qualcuno ha visto la salma di Gobetti di recente? Mi saprebbe dire quante rotazioni riesce a compiere nel minuto-secondo? No perché io ho questa idea che se riuscissimo ad attaccare una dinamo alla salma di Gobetti avremmo risolto il fabbisogno energetico di una popolosa provincia italiana. È pur vero che le hanno abolite. E poi lui è al Père-Lachaise direi. E coi francesi non si ragiona, loro hanno il nucleare da rivenderci. Les salauds. Stavamo dicendo?



Byoblu (www.byoblu.com)

Ora se ne va in giro per le capitali europee a spese nostre, ma c'è stato un periodo, ve lo giuro, in cui Claudio Messora sembrava più sfigato di me. Lo so che appare impossibile. Ricordo quando l'ho visto per la prima volta risalire le classifiche, e mi domandavo: ma chi è questo sconosciuto, ma cosa fa nella vita a parte dire di aver vinto il festival di Castrocaro? Niente. Aveva scoperto i blog (nel 2007, quando erano già stati dati per morti cinque o sei volte) e aveva mollato tutto per mettere su un videoblog. Pazzo! Avrei voluto dirglielo in faccia. Folle sconsiderato, torna subito a fare il compositore "con all'attivo molti dischi venduti in numerosi paesi del mondo", o il "Project Manager e Amministratore Delegato in start-up di innovazione tecnologica", qualunque cosa, ma lascia queste acque melmose. Non hai capito che uno su mille ce la fa, ed è comunque Beppe Grillo? Non so se fosse già infeudato con la Casaleggio. So che non se la passava bene e non ne faceva mistero:

Quanto tempo dedichi al blog? Per lungo tempo ho passato anche 2 o 3 giorni senza dormire. Questo è un videoblog e, a parte adesso che sto lavorando al Documentario INTERNET FOR GIULIANI, l’editing video, tra la registrazione, il montaggio, la conversione e via dicendo, è un lavoro massacrante. [...] Quindi la risposta finale è: 24 ore al giorno. Ma solo perché non ce ne sono di più.
Vedo che hai anche pubblicità nel blog e … quanto ti rende? Domanda ambigua cui, per i motivi che spiegavo prima, non credo di essere costretto a rispondere. Però, siccome non ho nulla da temere, ti allego questa immagine, uno screenshot delle entrate AdSense di oggi: click per scaricare. Potrai e potrete constatare che l’incasso di oggi, per il momento (ma la giornata volge al termine) ammonta a € 5,22, di cui €1,78 da proventi dei banner sul blog, e €3,44 da proventi dei banner sui video di YouTube. Non mi sembra una gran fortuna, soprattutto considerato che solo il server (macchina dedicata su Aruba) costa 1600€ all’anno, altri 1000€ se ne vanno per la connessione domestica alla rete, altri 240€ per quella mobile (se mi sposto, devo lavorare), 1500€ costa la videocamera, 500€ tra luci e cose varie, 600€ di microfoni, 2000€ tra Adobe Premiere e vari altri softare di montaggio video, un qualsiasi spostamento per raggiungere un evento o una persona da intervistare significa altre centinaia di euro, più altre spese che sto tralasciando. In più devi considerare che questo è il mio lavoro – non posso e non ho tempo di farne un altro, per cui ho smesso di fare l’informatico, che mi faceva guadagnare bene – per cui oltre alle spese vive dovrei anche riuscire a guadagnare per pagare il mutuo, la macchina, la scuola di mio figlio, la spese, le bollette, l’amministrazione del condominio e… devo continuare? :)

Era una domanda retorica, vero? No, cristiddio, non devi continuare. Ti sei pure fatto lo spazio su Aruba, seicento euro di microfoni, sei matto da legare. Hai un figlio, una macchina, un mutuo, le spese condominiali, qualcuno faccia qualcosa. Ero veramente preoccupato.
Adesso non sono più così preoccupato. So che di recente ha lasciato il ruolo di responsabile della comunicazione del Gruppo Parlamentare del M5S al Senato della Repubblica per assumere il ruolo di responsabile della comunicazione del M5S al Parlamento Europeo. Insomma direi che alla fine i microfoni li ha ampiamente ammortizzati.

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Dieci anni che mi manchi davvero

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26 agosto 2004 - Enzo Baldoni viene ucciso in Iraq.

Dieci anni prima io ero uno studente sbarbato senza gusto né cultura. Come tutti i miei coetanei guardavo molti spot, dicevo di preferirli ai programmi ma mentivo. Cercavo di capire come funzionavano, persino di apprezzarli, ma la maggior parte era già copie di copie di copie. A metà '90 ormai di spot che mi facessero alzare dal divano non ne trovavo più, a parte uno.



È stato forse davvero l'ultimo spot che mi è piaciuto. Non avevo naturalmente la minima idea di chi l'avesse inventato; magari un americano o un francese, era difficile imparare certe cose a quei tempi. Non si sapeva davvero a chi chiedere. Valeva per la pubblicità e per tantissime cose che non si trovavano né sui quotidiani né sui libri di scuola.

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I dieci video che mi hanno fatto cagare sotto (ma ero piccolo)

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Poi li riguardi da adulto e... no, aspetta, alcuni facevano cagar sotto davvero!

Ma contestualizziamo. Oggi diventi adolescente nel momento in cui i tuoi compagni delle elementari spengono la luce, ti legano alla sedia e ti reggono le palpebre acciocché tu sia costretto a guardarti tutto Hostel o qualche altro film a base di trapani. Eppure dovete pensare che ci fu una generazione che non aveva nemmeno le vhs, una generazione che mica poteva dire mamma mi dai i soldi per vedere darioargento al cinema e cagarmi adosso, la generazione che per anni continuò a sognarsi la maschera di Berlfagor in bianco e nero. Poi è arrivato MTV. Ci siamo rimasti sotto di brutto, non avete idea. Ritratto di una generazione che si spaventava con due disegnini e un montaggio serrato.


#10 A-Ha, Take On Me

No, guardate, è una cosa mia. Si vede che ero piccolo. Anche un po' frignone. Però, vi giuro, le palpitazioni. Boh. Rivedendolo, il montaggio mi sembra ancora molto efficace - tranne loro, tre artisti tutto sommato rivalutabili, che qui sembrano la quintessenza della boy band irritante. Capisci perché non ho il diritto di ridere dei ragazzini che prendono gli spaghi coi trailer di Twilight?


#9 David Bowie, Look Back in Anger

Questa va spiegata. Il video - già antico ai tempi di Videomusic - tornò in auge durante la campagna promozionale per il tour del 1986, credo - c'era una striscia che passava tutti i giorni coi vecchi video di Bowie. Questo era sempre tagliato verso la fine, quando mi sembrava chiaro che stesse per succedere qualcosa di orribile e terrificante - ma non ho mai saputo cosa finché non c'è stato Youtube. Così quando ho scoperto che era solo un catalogo di pose artistoidi bollite mangiate digerite e ricacate, ormai era troppo tardi, ero spaventato da anni. È andata così, non guardare indietro con rabbia.

#8 Tom Hooker, Help Me

Questo rientra nella classifica in senso lato: ovvero non c'è dubbio che faccia cagare, ma dalla bruttezza. Veramente tanta bruttezza. Non fa paura, però, cioè - un po' sì, è talmente brutto che se ci ragioni ti rendi conto che chi ha realizzato qualcosa del genere è veramente capace di tutto, e magari è ancora in libertà. Brutto come la brutta copia sgualcita di un fotomontaggio scherzoso appeso ai lampioni la notte prima di un matrimonio finito male. Così brutto da ricordarmelo dopo averlo visto intero una volta sola quasi 30 anni fa, e a dire il vero non ero sicuro di non essermelo sognato. Invece su Youtube c'è persino il nome dell'azienda che lo realizzò. A rivederlo, devo ammettere che è una bruttezza che sfida il tempo: fa il punto su tutto il brutto che l'Italia stava producendo in quel periodo (Milano soprattutto), e getta le basi, i semi, i ponti per tanta bruttezza che verrà in futuro (in certi fotogrammi sembra già di vedere i salvaschermo di un Windows 3.1)

#7 Aphex Twin, Window Licker

Anche questo non so bene che ci faccia qui. A rigor di logica aveva più senso Come to Daddy ma diciamolo, non ero più piccolo e un Alien non è che mi facesse perdere il sonno. Neanche Window Licker mi ha mai fatto perdere il sonno, e però credo catturi un momento della vita in cui poteva capitare di rincasare un po' tardi e mettersi a scanalare nei bassifondi del telecomando, niente niente che si riuscisse a incrociare qualche tipa coperta solo di numeri in sovraimpressione - poi magari tra un telemodena e un reteA il dito finiva per abitudine sul nove e di colpo ti ritrovavi davanti QUESTA ROBA. Avevi realmente la sensazione che ci si stesse prendendo gioco di te, del tuo pigro autoerotismo nottambulo, e questo era molto più inquietante del transessualismo della cosa.

Ok, questi non facevano mica paura, dai - Clicca qui per vedere quelli che facevano cagare sotto davvero...
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Un agosto all'inferno.com

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Io poi per quanto posso cerco di restare positivo, ma sarei un ipocrita a negare che si sente un'arietta un po' difficile.
Non è solo la crisi mondiale - in fondo c'è sempre una crisi al mondo;
non è solo la crisi italiana - quale crisi? no, perché ne abbiamo avute tre di fila e forse arriva la quarta, cioè voi vi ricordate cosa c'era tra una crisi e l'altra?
non è solo la crisi del... come chiamarlo? Giornalismo? Non esageriamo. Mercato dell'informazione? Quel che vuoi, tanto è in crisi (per chi non lo sapesse) nera;
ma è proprio la crisi del blog in sé, che sta dentro a tutte le altre crisi come una matrioska e non se ne esce. Per fortuna che non lo faccio di mestiere (aspetta, è in crisi anche il mio mestiere). Ma insomma l'Unità liquida, Liquida non rinnova il contratto, e anche a Cuneo per un po' non usciranno film decenti, che si fa?

Cosa fate voi quando siete in difficoltà? Attaccati da tutte le parti? Andate Big, come si dice adesso? Vi percuotete il torso coi pugni per dimostrare che non siete ancora finiti? Non so se ho il torso adatto, fammi controllare, uhm, no.

Io un'idea ce l'avrei anche - tanto più che domani è agosto e come forse qualcuno saprà in agosto qui dentro scatta il pilota automatico e accadono sempre cose un poco strane: autobiografie musicali, crestomazie, decameroni - insomma ve la dico.

Io calerei le braghe.

When in trouble, pants off.

Volete il mercato? Pensate che io non sia capace di stare sul mercato? Vediamo, vediamo.

Cioè pensate che non sia capace di vendermi? La risposta è sempre quella: fatemi un prezzo prima, vediamo.
Comunque per un mese offro io, Free Trial. Sarà un agosto, uhm, caldissimo.

E ricordate: se amate la qualità, le discussioni lunghe e sensate, gli scambi di opinioni interessanti, l'ironia non troppo pesante, gli spunti intriganti... tornate a settembre (forse).

Siete pronti?
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Cosa c'entra Beppe Grillo

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Due anni esatti fa, verso le nove del mattino, io avevo appena chiuso questo stesso portatile e stavo radunando le mie cose per andare a scuola, quando sentii un rumore che arrivava da lontano senza lasciarmi un minimo spazio per il dubbio: era il terremoto che veniva a prenderci.

Panic & Publish

Non volevo mettermi a scrivere di questo, ma già che ho cominciato faccio presente che di solito un terremoto è un evento sorprendente e imprevedibile, ma almeno nel nostro caso non andò così: la scossa del 29 venne a bussarci alla porta, e alle finestre, e alle pareti, e al pavimento, come un ospite che ha fatto tutto per avvisarci: e dopo dieci giorni di ambasciate, dieci giorni di sciame e chiese crollate e caseifici, se nonostante tutto questo uno si fa trovare con un mutuo sulla casa, una bimba piccola e in ciabatte, sono anche un po' cazzi suoi. Non era di questo che volevo raccontare; però una cosa che ricordo di aver provato è proprio quel senso di inadeguatezza: la catastrofe mi viene a trovare, dopo tanto girare in tondo ora punta diretta verso me e i miei cari, e io fino a quel momento com'era possibile che me ne fossi restato in ciabatte?Non li avevo visti i segni? Perché non li avevo presi sul serio? Questa pretesa così modenese di poter sempre sopravvivere sul margine semiserio delle cose (e infatti anche quella volta il terremoto ci avrebbe preso soltanto di sbieco; ma non potevo saperlo); non è qualcosa che in fondo merita una punizione, se non da parte di un dio-padre responsabilizzante, perlomeno da madre natura? Cioè io stavo risalendo a mettermi le scarpe, e già razionalizzavo. Già cercavo di prendermi una colpa non mia, come se davvero tutto lo sciame avesse senso perché in mezzo c'ero io che potevo percepirlo come un messaggio da decifrare.

Non volevo mettermi a scrivere di questo, è una storia che ho già raccontato e c'è da sottolineare come tutto sommato a scuola andò tutto bene: d'accordo, la prima cosa che vidi furono i genitori che stavano soccorrendo una mia collega semisvenuta. Ma pure lei, prima di semisvenire aveva evacuato la sua classe. Tutti avevano evacuato la loro classe. Migliaia di studenti in tutta la Bassa, nessun ferito o forse un paio. Voi non avete idea di che rumore fa una scuola quando lo senti arrivare da lontano, quando sai benissimo cos'è, e le ragazzine cominciano con quegli urli spielberghiani all'unisono. Sembra una sciocchezza portarli giù per le scale in fila per due - no, non sembra affatto una sciocchezza. C è anche da dire che, quando arrivai, la mia classe - la classe di cui dovevo prendermi la responsabilità - non esisteva più, perché nell'ora precedente era stata smembrata a causa dell'assenza di un collega: i supplenti di un giorno non ce li possiamo più permettere, e così sparpagliamo questi ragazzi in tante classi diverse, lamentandoci costantemente perché non è professionale e anzi pericoloso, nonché - se proprio vogliamo tenerci alla lettera della normativa - illegale.

Così io mi aggiravo col registro di classe per le aiuole e il campo di pallamano, cercando di capire dove fossero finiti i miei, e intanto dal suolo partivano certe scossette giusto per ricordarci di non avvicinarci troppo al plesso. Ora col senno del poi è possibile persino riderci sopra, ma in quel momento non avevamo la minima idea di cosa stava succedendo (i telefoni non andavano) e di cosa sarebbe successo: ci sarebbero state altre scosse? Ancora più forti? Ogni tanto arrivavano genitori con notizie, non necessariamente vere, ad es. è venuta giù la Gambro. Io sapevo che c'era il Many alla Gambro. I genitori stavano facendo la cosa che avevamo più volte chiesto di non fare: bloccavano il traffico per venire a prendere i loro figli e portarli in altri cortili non necessariamente più sicuri. Molti, in perfetta buona fede, prelevavano anche i nipoti e gli amici degli amici, cinque minuti prima che arrivassero i genitori di costoro a cercare i loro figli, e a non trovarli, e a minacciare i professori che li avevano abbandonati al primo venuto. Ma insomma verso mezzogiorno non c'era più nessuno e ce ne andammo anche noi. L'anno scolastico era finito. I libri e i quaderni sarebbero rimasti aperti sui banchi per un altro mese.

Io tornai a casa - non volevo mettermi a parlare di questo - trovai in cortile tutta la mia famiglia, tutti bene. Il piano era molto semplice: scappare il più lontano possibile, il più velocemente. Bisognava però salire a fare le valigie e fu un altro momento di inadeguatezza - ricordo che da lì a cinque minuti stavo già pensando a che giocattoli portare, cosa fosse più o meno adatto ecc.. ancora razionalizzavo, che in questi casi è la cosa meno razionale da fare. Fummo molto fortunati, perché la scossa dell'una - quella che molti considerano la più forte di tutte, e s'incazzano se gli fai vedere i tracciati dei sismografi - bussò appena fummo di nuovo fuori nel cortile. E poi di nuovo mentre caricavamo i bagagli: fu l'ultima scossa veramente forte, ma non potevamo saperlo. Sembrava viceversa che tutto stesse accelerando, e io in particolare sentivo l'euforia da 11 settembre, quei rarissimi momenti in cui la vita intorno a te prende quella forma tutto sommato snella, scattante, che è prevista dagli action movie. Noi tre sulla terza corsia dell'autostrada ad ascoltare il notiziario del traffico, dice che c'è stata un'altra scossa fortissima! Ah, no, aspetta, è ancora quella delle nove.

Ci fermammo a far benzina ed eravamo già a Cremona: per dire l'ultimo posto al mondo dove mi aspettavo di ritrovarmi quel mattino. Ormai ogni vibrazione ci metteva in allarme: l'ha sentita? dissi al benzinaio. Una scossa, proprio adesso, l'ha sentita? Un matto. Poi ci ritrovammo al lago e decidemmo che lì era un posto sicuro. Non era di questo che volevo mettermi a parlare.

E allora di cosa.

Ma niente, ho solo fatto caso a un fatto buffo, che forse mi mette a fuoco in tutta la mia inadeguatezza eccetera. Fu un giorno molto complicato, come non ne vivevo da un decennio e come mi auguro di non viverne più; non solo per la paura, che in fondo passò presto, ma per l'angoscia di non sapere quanto sarebbe durato ancora tutto quanto: mesi? anni? e non poter ancora calcolare cosa avremmo perso. Eppure.

Eppure se controllo nel mio impietoso archivio, scopro che anche nel giorno in cui il terremoto venne a prendermi a casa, e mi trovò in ciabatte con un mutuo e una bimba piccola; il giorno in cui persi i miei studenti nel cortile della scuola e scappai, e non sapevo quando sarei tornato; pure quel giorno riuscii a trovare il tempo per scrivere un post.

Un post su Beppe Grillo.
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Forza Bellezza, forza Italia

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Salve, sono uno di quelli a cui La grande bellezza non è piaciuta tanto, per motivi noiosi e banali che non riscrivo. E però magari mi sbagliavo, non me ne intendo e non l'ho neanche più rivisto - fossi nato mezzo secolo prima, magari avrei scritto su un giornalino di provincia che la Dolce Vita era un film senza senso, sono quel tipo di persona. Nel frattempo stasera mi ritrovo a tifare Sorrentino, non so esattamente perché.

Forse per la stessa sindrome scema che mi prende quando gioca la nazionale; oppure perché è l'unico film tra i candidati che ho visto, e quindi la sua vittoria mi risparmierebbe la solita sensazione di essermi perso qualche opera importante che comunque non troverei mai il tempo di recuperare. Può anche essere pura e semplice simpatia per Sorrentino (e Servillo), che tante altre volte mi sono piaciuti di più: insomma è tutto un complesso di cose che mi fa dire forza Grande Bellezza, forza Italia, crazy but beautiful country eccetera. In mezzo a tutto ciò, il dubbio di essermi sbagliato, di non aver riconosciuto a prima vista il capolavoro, si scioglie come una goccia (di fiele) nel mare. Proverò a spiegarmi meglio con una metafora politica.

Salve, sono uno che Renzi non l'ha mai sopportato. Non c'è una sola cosa che abbia detto o fatto, non c'è un solo progetto a cui stia lavorando, che non mi sembri una promessa di disastro. Però magari mi sbaglio, non me ne intendo e non sono nella posizione adatta per capire - fossi nato mezzo secolo prima, sarei stato in grado con lucidità di distinguere i governi che hanno fatto qualcosa di buono da quelli disastrosi? Dire che tifo per Renzi sarebbe troppo. Però se riuscisse a smentirmi, se riuscisse a dimostrarmi che era la scelta giusta, se combinasse davvero nelle prossime settimane qualcosa di buono, credo che ne sarei felice. Nella lista delle mie priorità, quella di avere ragione su Renzi sta molto in basso, parecchie posizioni sotto allo spread, al tasso fisso e/o variabile, al dissesto idrogeologico, ai finanziamenti alla scuola, eccetera eccetera. Se Renzi davvero riuscisse a smentire tutte le cose brutte che ho pensato e scritto su di lui, la consapevolezza di essermi coperto di ridicolo su un blog, per anni, misconoscendo il salvatore dell'Italia, sarebbe l'ultimo, l'ultimissimo dei miei problemi. Per farla breve: spero di sbagliarmi, come sempre. Sono pessimista per inclinazione, mica perché mi ci diverto.

Sono fatto così - potevo farmi meglio - probabilmente mi piacerebbe ,essere quel personaggio che non è né l'avversario del protagonista né un suo gregario; diciamo quello che a metà del secondo tempo prende in disparte l'eroe e gli spiega per filo e per segno tutti i motivi per cui il piano non funzionerà. C'è bisogno anche di personaggi così. Molto spesso basta aspettare dieci minuti e li ritrovi in prima linea.
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Discorso di insediamento

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Signori cittadini,
onorevoli,
presidente,

allora io l'altro giorno uscendo nel parcheggio, era tardi, avevo voglia anche di andare a casa, però vedo una mia collega seduta sul muretto disperata che non sa come fare perché qualcuno le aveva parcheggiato davanti, cioè se facevi un pezzo di manovra nel pratino ce la potevi anche fare, secondo me, a uscire di lì, io perlomeno secondo me ce l'avrei fatta, sono un po' pratico perché anche nel mio palazzo c'è poco posto e a volte mi tocca lavorare di fioretto tra il marciapiede e l'aiuola, però un conto è dire e un conto è fare. Allora gliel'ho detto, guarda, secondo me ce la posso fare, io, se mi lasci le chiavi, se ti fidi, io una manovra così te la posso fare, ne faccio a casa mia quasi tutte le settimane. E lei: va bene, allora io guido e tu mi indichi da dietro. E io no, guarda, non ce la faccio a indicarti da dietro, perché se ti devo spiegare come si fa, non sono capace a spiegarti le cose: però se mi lasci le chiavi, ti fidi, mi siedo io, guido io, è una cosa che so fare, ma con l'istinto, capisci, se mi siedo io al tuo posto ce la faccio, ma se perdiamo tempo con io che ti spiego e tu che cerchi di capire, non ne usciamo, finiamo che s'incastra pure peggio di così. E tanto ho detto che alla fine l'ho convinta e mi sono seduto al suo posto.

Ho girato la chiave nella macchina, ho ingranato la retromarcia, però la retromarcia non partiva. Partiva la quinta e il motore si spegneva. Ho provato una volta, due volte, poi ho provato a ingranarla dalla parte sbagliata perché a volte certe fiat lo sapete che hanno il pomello delle marce con l'indicazione della retromarcia sbagliata, perlomeno una volta ce l'avevano, quelle usate, boh. Ma partiva la prima, che è sempre meglio della quinta, però non è la retromarcia. Allora ho messo la testa fuori dal finestrino e gliel'ho pure chiesto, scusami, eh, però non trovo la retromarcia, si può sapere dov'è? E lei me l'ha detto, e ci ho riprovato, ma continuava a partire la quinta. Oppure la terza. La retromarcia, no.

E allora niente, cari cittadini, immaginate come mi stavo sentendo, ero anche stanco, avrei voluto andare a casa, e invece mi trovavo bloccato in una macchina che non avevo neanche incastrato io, e mi ci ero messo io in quella situazione, avevo voluto fare il fenomeno, quello che riesce a fare una cosa che non sa neanche spiegare come si fa, ed eccomi in una situazione in cui non trovavo nemmeno la retromarcia, le stavo provando tutte, nessuna era la retromarcia, e non riuscivo nemmeno a farmi spiegare dov'era, signori cittadini.

E insomma niente, quello è stato il momento della mia vita in cui mi sono sentito più Matteo Renzi.
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Won't you let me walk you home from school?

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Mamma come passa il tempo.


Questo blog compie 13 anni, bisogna avere molta pazienza.


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L'uninominale morbido

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Oggi non ho ancora dato un'occhiata a un quotidiano, ma sono sicuro che sui più prestigiosi ci sono schede approfondite su tutti e tre i sistemi elettorali proposti da Renzi, con un'analisi attenta dei pro e dei contro. Qui invece trovate il sistema elettorale che proporrei io, se avessi una qualsiasi voce in capitolo. Potrebbe anche essere più bello di così, ma questa è la versione che potrebbe passare senza necessità di revisioni costituzionali (credo. Poi magari dopo dieci anni la corte costituzionale si accorge che non va, son cose che capitano).

Il sistema è già apparso su questa pagina un mese fa, ma avevo appena iniziato a pensarci (no, in realtà ci penso da una vita). Ho anche approfittato di qualche suggerimento dei lettori.

1. Ancora bicameralismo perfetto, per ora. (così non dobbiamo modificare la Costituzione, poi si vedrà). Si divida la popolazione italiana in 630 circoscrizioni elettorali per la Camera dei Deputati e in 315 circoscrizioni per il Senato.

2. Le primarie sono raccolte di firme. Su ogni scheda si trovano tre nomi - non necessariamente associati a simboli di partito (ma aiuta ai fini del raggiungimento del premio di maggioranza, come vedremo). Sono i tre cittadini che sono riusciti a raccogliere più firme autenticate dei cittadini di quella circoscrizione nel mese precedente all'apertura dei seggi. Ogni cittadino può firmare soltanto per un candidato alla Camera e per un candidato al Senato. Gli elenchi delle firme sono pubblici, ma contengono dati sensibili, nello spirito della normativa sulla privacy. (In soldoni: un magistrato può chiedere di sapere per chi hai firmato, un giornalista no).

3. L'uninominale morbida. Sulla scheda a dire il vero compariranno i tre nomi due volte: la prima in grande (prima scelta), la seconda in piccolo (seconda scelta). L'elettore può:
  • esprimere sia la prima che la seconda scelta (purché su due candidati diversi)
  • esprimere soltanto la prima scelta (la seconda scelta sarà considerata voto nullo)
  • nel caso (piuttosto bizzarro) in cui un elettore esprima soltanto la seconda scelta, il voto sarà conteggiato come prima scelta. Magari gli scrutatori possono metterlo a verbale: in ogni caso non è possibile esprimere soltanto la seconda scelta.
  • scheda bianca o nulla, come da che mondo è mondo.
4. Il primo spoglio. Al termine della consultazione, gli scrutatori rovesciano le urne e cominciano a conteggiare le prime scelte. Se uno dei tre candidati supera il 50%+1 dei suffragi, è eletto senza riserve. 

5. Il secondo spoglio. Se nessuno dei tre candidati supera il 50%+1, il candidato che ha ottenuto il numero inferiore di prime scelte viene "eliminato". Le schede che lo indicavano come prima scelta vengono ri-spogliate, ma stavolta vengono assegnate ai candidati indicati in seconda scelta. Il candidato che in questo modo ha ottenuto più suffragi viene eletto "con riserva". 

6. Se un partito ha superato il 55%. Se un partito ha ottenuto più del 55% degli eletti, ovvero 346 deputati e 173 senatori, non scatta alcun premio di maggioranza: lo spoglio è finito, un partito ha vinto le elezioni e gli altri hanno perso. 

7. Il premio di maggioranza... se invece, come è molto probabile, nessun partito arrivasse al 55%, le cose si complicherebbero un po', vista la difficoltà di far convivere il premio di maggioranza con l'uninominale. Al senato poi c'è il problema del regionalismo che complicherà ulteriormente le cose (e in ultima analisi è responsabile della suinità della legge Calderoli). Ma vediamo alla Camera. Se nessun partito dovesse arrivare a quota 346, il partito che è comunque arrivato primo totalizzandone almeno 283 (il 45%) ottiene i seggi necessari ad arrivare a 346. A chi li toglie? A chi era stato eletto con riserva, ricordate? conteggiando la seconda scelta degli elettori. 
Facciamo l'esempio peggiore: il primo partito (PP) ha 'vinto' soltanto in 283. Gli devono essere attribuiti 63 seggi. 
  • Si prendono in esame le circoscrizioni in cui il primo spoglio non ha dato nessun vincitore.
  • Si trovano le 63 circoscrizioni in cui il candidato del PP aveva ottenuto il risultato migliore, pur senza raggiungere il 50%+1.
  • Si attribuiscono questi seggi ai candidati del PP. 
La filosofia è la seguente: nei casi in cui i cittadini di una circoscrizione non sono riusciti a mettersi d'accordo in prima battuta, la scelta viene demandata alla collettività, che premia il partito che ha preso più voti a livello nazionale.
Se nessun partito arriva a 283 (45%), scatta un premio inferiore, che porta il primo partito a 316 (50%+1), e si fa un governo di coalizione.

8. E in Senato?
In Senato sarebbe bello se si potesse fare l'identica cosa che alla Camera, con gli sbarramenti e i premi alle stesse percentuali. Temo che non si possa a causa della riforma pseudo-regionale che già rese bizantina la legge Calderoli. In sostanza o si cambia la Costituzione o si applica il premio su base regionale. Ci devo ancora lavorare.

Difetti:
- Il clientelismo si trasferirà dal voto alla firma: dal voto di scambio alla firma di scambio. Ma almeno le firme sono tracciabili (però non pubblicabili). Diciamo che sarà più facile notare i fenomeni di clientelismo: con un sistema elettorale mica li si combatte, al massimo li si fa emergere.
- Alcuni candidati che sembravano eletti (con riserva, conteggiando la seconda scelta degli elettori) avranno l'impressione di essere scalzati. E però non è che avessero vinto davvero: per vincere bisognava prendere il 50%+1 della prima scelta, o far parte del partito che è arrivato primo su base nazionale.
- Forse i posteri giudicheranno con severità la violenza che facciamo alla democrazia infliggendo premi e sbarramenti (oppure ci chiameranno pazzi per via che facevamo votare gli analfabeti e gli ottuagenari). Però cercate di capirci, posteri, di governi instabili non ne possiamo più. Se ne riparla dopo che qualcuno riesce a finire una legislatura normale.

Devo dire che più mi addentro in questa follia, più capisco come deve essersi sentito Calderoli. 
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Tredicesimo mese del tredicesimo anno

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In azzurro il 2013, in arancione il 2012. Dai dai dai!
Consuntivo 2013

Buon anno, ed eccoci arrivati al consueto autoreferenziale appuntamento. Il titolo di questo pezzo avrebbe dovuto essere "a proposito, il blog è vivo", o "lunga vita a...", ma me lo ha bruciato Kottke e non è che fosse poi questa idea geniale dopotutto.

Bisogna spiegare che il consuntivo dell'anno scorso si chiamava "a proposito, il blog è morto", e proprio in virtù di questo titolo (variazione su un tema abusatissimo) fu molto condiviso e aprì una discussione sullo stato della blogosfera, vi giuro che una volta la chiamavamo davvero così: blogosfera. La discussione aveva poco a che fare col contenuto del pezzo in sé; giustamente molti non ritennero necessario andare molto oltre al titolo, appena quanto necessario a scoprire che il blog di cui si dichiarava la morte era il mio. Non "il Blog" in generale, ma proprio questo mezzo zombie che state leggendo. Alla fine del 2012 se ne constatava il decesso: non era più un blog nel senso tradizionale del termine, somigliava sempre meno al diario personale; stava diventando semplicemente una raccolta di lanci di pezzi che finivano altrove (sull'Unità, sul Post, su +eventi), e benché ad alcuni lettori la cosa dispiacesse a me sembrava inevitabile, amen, addio. Sono morto, alè! Fiammata di accessi.

E non è nemmeno la prima volta. Trucchi di repertorio.
Invece a fine 2013 titolare "il blog è vivo" suona meno interessante. Di sicuro non farà nessuna fiammata. Per fare le fiammate bisogna dichiarare la morte di qualcosa, te lo insegnano nelle redazioni il primo giorno, credo. Poi resta tutta da dimostrare - la vita, intendo.

- The blogs are alright
Non la vita dei blog in generale. Quelli se la passano molto bene, persino in Italia. È vero, la vecchia guardia ormai ha mollato, resta soltanto qualche pittoresco superstite con gli abiti tradizionali, la gente passa e si fa gli autoscatti. E intanto però Diego Bianchi e Makkox hanno un bel programma su rai3; Zerocalcare è stato uno dei casi editoriali dell'anno, è tutta gente che abbiamo conosciuto sui blog, anche se suona un po' strano dirlo in giro. Ormai in determinati contesti se dici "blogger" non parli più di internet, ma di cucina (o di moda, quest'ultima in Italia con sfumatura ironica obbligatoria). E di sicuro mi dimentico qualche altro caso importante - ah, giusto: Beppe Grillo ha quasi vinto le elezioni. Insomma sì, facebook si sta mangiando internet, e anche twitter è tantissimo importante, però i blog ci sono, non sono affatto morti, chi ha detto che sarebbero morti? L'ho detto io? Mi avete capito male, io intendevo il mio. Comunque non è morto neanche il mio dopotutto.

- Anch'io me la cavo tutto sommato 
Questo non era previsto. È la prima volta da quando ho messo analytics (2009?) che gli accessi aumentano rispetto all'anno precedente. +5% le visite, +4% le pagine visualizzate, ok, bruscolini, ma stavo perdendo un dieci per cento all'anno. Potrebbe trattarsi di un semplice rimbalzo tecnico: ovvero, era quasi impossibile andar peggio dell'anno scorso. In realtà avrei persino potuto farcela - ma ci sono state le elezioni. A dire il vero di elezioni ce ne sono state tantissime in 13 anni di blog, ma queste sono state particolari. Per fare un esempio, due pezzi scritti qualche giorno prima e qualche giorno dopo delle elezioni, oltre a essere i due pezzi più letti in assoluto negli ultimi quattro anni, in totale hanno fatto più traffico dell'intero mese di agosto. È come se il 2013 avesse avuto 13 mesi: gennaio, febbraio, beppegrillo, marzo, eccetera.

02/mar/2013, 238 commenti
23523
9917
21/dic/2013, 111 commenti
8170
16/nov/2013, 203 commenti
7549



- Picchi e zoccolo
Quindi il blog sta crescendo? Sì e no. Bisogna separare picchi e zoccolo. Fino a qualche anno fa la maggior parte del traffico di un sito come questo era costituito da lettori abitudinari: gente che ti legge tutti i giorni o con cadenza comunque fissa. Ti conoscono, hanno il tuo indirizzo nei preferiti, o un feed reader che sforna sul loro video ogni tuo post appena pubblicato. Ovviamente uno zoccolo di questo tipo va manutenuto e rassicurato, mediante la ripetizione di contenuti noti (il numero contro Berlusconi, ecc). Lo zoccolo si sta erodendo da anni, è uno sfarinamento lentissimo e apparentemente irrimediabile, la congiura del tempo che passa, dell'autore che si rincoglionisce, dei suoi lettori che si stancano e non vengono rimpiazzati da più giovani, di google che ritocca gli algoritmi, ecc.. In compenso stanno aumentando i picchi: anche quest'anno, nel 2012, i tre post più letti sono anche i più letti degli ultimi quattro anni. I picchi sono quei momenti straordinari, non calendarizzabili, in cui il tuo blog fa cinque, dieci volte gli accessi normali. I lettori del picco non sanno chi sei, raramente hanno letto altre cose di te. A volte non sanno nemmeno di essere su un blog. Arrivano per lo più da facebook (twitter ci prova, ma non ce la fa). Invece un tipo di traffico che non esiste praticamente più è quello in arrivo da altri blog. Non ci linchiamo più. Perlomeno, gli altri non mi lincano più, io cercherò di continuare e di lincarvi anche più spesso, non bisogna arrendersi. Anche se alla fine anch'io spesso finisco per trovarvi su facebook. E anche voi, ammettetelo, magari mi avete nei preferiti, ma non ci cliccate più da un pezzo. Invece se mi trovate in bacheca e se il titolo vi stuzzica, clic...

Questo più o meno dà un'idea di cosa sarà andare a pesca di lettori nel 2014: aspettatevi titoli accattivanti, ma anche didascalici (sull'Unità dopo trenta caratteri te li segano, e se metti "Grillo" davanti il tuo contenuto vale il doppio), a cui seguiranno contenuti sempre più brevi perché anche voi vi state stancando di scrollare. E casomai qualcuno chiedesse: sì, questo blog i lettori se li va a cercare, è la parte divertente del gioco (e i soldi? sempre troppo pochi per parlarne).


- Zeitgeist: c'è dell'aggressività
Oltre a essere state il climax dell'anno (un po' troppo in anticipo), le elezioni ne hanno anche determinato la tonalità dominante, un livido giallino. Non c'è più un obiettivo comune contro cui dare addosso tutti assieme, qualcosa che rassicuri nel momento stesso in cui lo si attacca: non c'è più il bel Berlusconi di una volta, insomma. Qualcuno sta provando a sostituirlo con Napolitano - perlomeno ho la sensazione che molte critiche a Napolitano, più che da un'analisi attenta dell'esercizio delle sue prerogative durante il primo e il secondo mandato, nascano dalla necessità psicologica di trovare un tizio contro cui dare addosso tutti assieme, da sinistra, da destra, da Grillo che non vuole star troppo né da una parte né dall'altra, eccetera.

Io poi non è che mi intenda molto di nulla, però sto in questa grande gabbia globale da un sacco di tempo e fidatevi: era da anni che non sentivo tanta aggressività nei commenti o nei trollaggi. Dal 2003, più o meno, la seconda guerra del Golfo, quando quasi dal nulla spuntò una rete di blog neoconservativi molto bellicosi. Uno dei loro distintivi era il motto "antropologicamente inferiore", che risento oggi rimasticato da qualche grillino inconsapevole - magari è la stessa gente, o almeno gli ultracorpi hanno preso le medesime sembianze. Se poi mi chiedete che fine abbiano fatto tutti i tizi che a quel tempo difendevano la guerra al terrore, la guerra conto le armi di distruzione di massa, la guerra per l'esportazione della democrazia, insomma la guerra, non lo so: sono scomparsi dal radar alla spicciolata, uno alla volta. Un po' mi mancavano. Adesso ci sono i grillini. Sembrano meno equipaggiati dei loro antecedenti; raramente un loro link esce dagli angusti confini linguistici del bel Paese dove il sì suona e nessuno sa scriverlo con l'accento. Si incontrano probabilmente su facebook, ma chi sono io per giudicarli. Anch'io sono sempre più spesso su facebook. È una cosa che ho notato.

- Facebook è tutto ormai
Se devo fare un'analisi dei miei comportamenti, direi che il 2013 è l'anno in cui mi è passata la scimmia di twitter. Continuo a usarlo per lincare contenuti interessanti, oltre ovviamente a qualsiasi cosa provenga da qui (è autopromozione, è l'unica cosa che funzioni, mi dispiace). Ma dove li trovo i contenuti interessanti? Su facebook, appunto. È un ambiente che non mi è mai piaciuto, e che non ho mai avuto la pazienza per voler capire (ma mi domando se qualcuno ci capisca sul serio, Zuckerberg incluso). Ci sono entrato anni fa nel tentativo di capire che tipo di traffico mi stesse mandando, informazione che Zuckerberg ha deciso di tenersi stretta. Ho accettato qualsiasi richiesta di amicizia e il risultato è una bacheca piena di sconosciuti che socializzano cose che quasi mai dovrebbero interessarmi - e invece sta davvero diventando la mia finestra sul mondo. Questa è una delle tante novità inquietanti del 2013 - l'altra è che sto per coprire col nastro adesivo la webcam. Ho letto che Attivissimo l'ha già fatto da un pezzo e tutto sommato mi sembra la cosa giusta da fare. Se me l'avessero raccontato un anno fa mi sarei messo a ridere. Un argomento su cui non ho scritto una riga è il caso Snowden. Non avevo in effetti niente di originale da dire. Ma l'inquietudine sottile che abbiamo sentito da quel momento in poi è forse la cosa più importante che tratterremo dal 2013. Buon anno. Difficilmente potrà essere peggiore.
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Riassunto delle puntate precedenti

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L'Italia è il Paese in cui abito. Poteva andarmi peggio, ma in sostanza si tratta di una piccola terra senza grandissime risorse che in passato si trovò a essere al centro di traffici e imperi, e fino alla fine della guerra fredda occupava comunque una posizione strategica importante. Ora rimane un ponte tra il nord ricco e il sud povero della terra, un ruolo che non garantisce particolare benessere e sicurezza ai suoi abitanti (storicamente è la categoria del Messico, senza offesa). Nel momento in cui il baricentro dell'economia mondiale si riequilibra verso l'Asia, forse c'era un modo di valorizzare la nostra posizione, ma non lo abbiamo trovato. La classe dirigente ha le sue responsabilità: gli imprenditori più avveduti si sono semplicemente spostati in luoghi dove il lavoro era più conveniente; i politici non hanno trovato di meglio che individuare capri espiatori (è tutta colpa dei comunisti, è tutta colpa di Roma Ladrona, è tutta colpa di Berlusconi) trasformando il dibattito in un infinito match di populismo in cui alla fine sono stati travolti da pagliacci di mestiere (è colpa dei politici! è colpa dell'euro!) La produzione di miti su quanto staremmo bene se soltanto la facessimo pagare ai colpevoli (banchieri, dipendenti pubblici, pensionati, auto blu, extracomunitari) prosegue incessante ed è fin troppo prevedibile, succede più o meno così quasi sempre in situazioni simili. Altrettanto prevedibile il razzismo, che non mi piace chiamare xenofobia fintanto che investe in gran parte mediterranei come noi, fin troppo simili a noi: è la loro povertà, non i loro tratti somatici, a farci paura; ci parlano del nostro passato e ci avvisano di un prevedibile futuro.

L'Italia è il Paese che tanti più svegli di me si sono sbrigati a lasciare. Io mi sono sempre consolato pensando che se i migliori se ne andavano sarebbe rimasto più spazio per mediocri come me: ciò non sta avvenendo. Avrò fatto male i conti. Al centro di questa pianura, mi basta comunque poco per sentirmi privilegiato: una famiglia, un posto fisso, un tetto, un blog dove scrivere quello che mi pare. Non è che ne capisca spesso più dei lettori, questo è implicito ma ogni tanto va ripetuto. Vorrei che in Italia esistesse un partito socialdemocratico che riuscisse a contare qualcosa in Europa: la cosa che gli si avvicinava di più era il Pd di Bersani, ma non è andato molto bene. Quel che è successo dopo l'ultimo voto mi sembra che ci dia una lezione importante: quando gli italiani non sanno da chi farsi governare, ci pensano i democristiani. È una cosa incredibile, perché una volta almeno qualcuno li votava, adesso invece no, in teoria non li vuole più nessuno, ed eccoli lì. Loro se ti distrai un attimo ti fottono, incertezze non le hanno, e quindi sarebbe meglio che non ce le permettessimo neanche noi. Ma noi chi, dopotutto. Già.

Sta per ricominciare la scuola, ho fatto un piccolo esame di coscienza. Tra le tante competenze che dovrei trasmettere ai miei studenti c'è la speranza. Io in questi anni l'ho un po' snobbata, all'inizio pensavo addirittura che non fosse il caso. In fondo sono ragazzini, mi dicevo, le speranze dovrebbero portarsele da casa: speranze immense, impossibili da gestire, al punto che credevo che il ruolo dell'adulto fosse quello di smorzarle un po'. Ricordavo certi miei insegnanti, appesi a speranze un po' datate, speravo di sembrare un po' più sgamato: ma la verità è che non saprei semplicemente spiegare che senso ha il mio insegnare, il loro apprendere, nel Paese in cui sempre più controvoglia abitiamo. Non voglio dire che una speranza non ci sia - non mi alzerei da letto se non ne avessi - ma la mia è così personale, così legata alla mia individuale esistenza che da dentro risulta così complessa e contorta che mi ci perdo e mi annoio io per primo - insomma io sono un tizio che si diverte, spero che un po' si capisca dalle cose che finiscono pubblicate qui.

Mi piace imparare le cose, insegnarle, impararle di nuovo, mi piace cercare di capire, e litigare, soprattutto con gli sconosciuti sull'internet. Tutto questo divertimento, che vergogna, mi compensa evidentemente del vivere in un Paese che va in malora. Ma questo vale solo per me, non è una cosa che si possa dividere o condividere. I ragazzini avrebbero bisogno di speranze un po' più sode; forse anche voi che leggete ne avreste bisogno. In giro ci sono solo quattro deficienti che promettono che senza l'euro o senza l'ici o senza gli africani o senza i magistrati comunisti l'Italia tornerà la quinta potenza industriale. A me basta star qui e dire che non è vero. Ma appena uno mi risponde: cosa proponi? io che posso dire. Propongo di restare qui, e continuare a dirvi che non è vero, che state soltanto dicendo fregnacce; che è prevedibile che le diciate, considerato il momento storico politico ed economico; è prevedibile ma non vi scusa. Forse avevo bisogno di un Paese di mediocri più mediocri di me, e l'ho trovato, senza neanche troppo viaggiare. Forse. Forse l'Italia è il Paese che mi merito.
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Certi applausi ormai son dovuti per amore

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Sparring partner

Ogni anno il Macchianera Italian Awards diventa più grande, e il mio blog no. Eppure tra i centomila e più utenti internet che ogni estate si ricordano di spedire la schedina coi propri blog preferiti, dispersi più o meno a metà di una coda che immagino lunghissima, c'è ancora qualcuno che si ricorda il mio indirizzo.

Miglior articolo
Miglior blog
d'opinione
Non so perché lo fa. Abitudine, inerzia, e poi diciamolo, al giorno d'oggi chi è che scrive ancora un "blog d'opinione". Nessuno sano di mente pensa che ai lettori interesseranno semplicemente le proprie "opinioni". Bisogna scegliersi un campo più ristretto, cucina cinema sesso (buffo, in realtà no, sui blog italiani il sesso non ha mai veramente sfondato).

In ogni caso, grazie; anche se le speranze di vincere (contro Grillo, Zoro, Civati) sono ogni anno sempre più risibili. Quest'anno anche la gara per il "miglior articolo" sarà molto dura. Il mio non è di certo il più interessante, ma è un record personale che non sono sicuro di voler infrangere (più o meno ventimila accessi unici). Per spingere un mio post così in alto serve, di solito, qualche disgrazia, meglio se collettiva.

(Non credo che ce la farò ad andare a Rimini, salutatemi tutti).

Ah, non so se si possa dire, ma sono anche finalista al premio Rioba 2013, "miglior blog politico del 2013". Non ho idea di chi siano gli altri, ma l'immagine della giuria di qualità che cerca di capire chi sono e cosa rappresento leggendo le mie poesiole anni Novanta mi lascia pochi spiragli, diciamo.
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Era solo un'extrasistole

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(1997)

Il cuore batte asincrono
e un pendolo tagliente
spezza la notte in schegge per l'insonnia più insolente
zanzare i miei pensieri che
s'appressano all'orecchio
ed il cuscino è un sasso freddo e frigido ed invecchio

E tu che se telefono
mi dici di star zitto
non posso lamentarmi
non ne ho proprio il diritto
ho un posto ho un nome ho un numero
due esami ogni sessione
è solo un esercizio questa mia disperazione

La vita ha le sue tattiche per farti stare in pari
affolla le rubriche gremisce i calendari
appuntamenti ed assemblee e colloqui di lavoro
tu cedi solo un attimo e sei già in fila col coro

La vita ha le sue strategie per farti stare al gioco
anche se il polso è debole e il cuore scarta un poco
impulsi elettrostatici ti guidano al magnete (*)
tu cedi appena un minimo e sei già in fondo alla rete

E tu se poi telefono
mi dici di tacere
so solo lamentarmi
ormai è il mio mestiere
il mondo intero oscilla sui
miei sbalzi di pressione
è un gioco stanco e logoro la mia disperazione

E tu che se telefono
stai zitta e non ascolti
con l'aria di chi come me
ne ha compatiti molti
si spegne e non ricarichi
non hai più compassione
è solo un'extrasistole la mia disperazione



(*) No, temo proprio che non abbia senso.
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Che ora hai detto ch'era?

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IMPARA QUAND'È ORA DI SMETTERE (1998)


Impara quand'è ora di smettere
di chiuderti in buste da lettere
di fingere di esser sincero
di offrirti per niente anche intero
                                               - per gente
che poi non ti sa dove mettere

impara quand'è ora di chiudere
di scegliere eleggere escludere
di verificare gli impegni
intascare gli assegni
e mostrarsi ai convegni quando utile

non vedi di quanto ridicolo
ti sei reso contro te stesso colpevole?
hai morso il cuscino e il telefono
a un graffio sul cofano
non sai mai quand'è ora di smettere

impara che è l'ora di stringere
di esser sincero nel fingere
di avere i tuoi soldi da parte i tuoi amori da parte
i tuoi sogni da parte
si parte
          da un investimento iniziale
                       da un coinvolgimento parziale
                                   l'interessamento è graduale
                                           il guadagno finale 
si avrà con lo sforzo costante

non vedi da quale distanza con quanta impazienza
hai preteso di armarti e combattere?
mosche ne hai prese abbastanza
ora lascia la stanza
che suonano l'ora di smettere
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Manca sempre qualcosa

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1998

Un biglietto del treno timbrato,
un fischietto che mi hanno prestato,
quattro libri che ho fotocopiato,
una spilla (la stella col Che?)

Cinque dadi rubati al destino,
un coriandolo di un volantino,
una gomma ed un vecchio scontrino
(un panino, una pasta, un caffè);

quattro mesi di appunti a quadretti,
una sveglia scassata. Picchetti
da tenda, due penne, tre plettri,
un rosario di plastica, blu;

un'arancia che ormai è andata a male
il santino del tuo funerale
una bozza di un redazionale
e il mio cuore. Anzi, no, non c'è più.
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Il confine

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A settembre (1991)

Così adesso eccomi qui, dormo anche se è lunedì
e mi sento così pienamente vuoto.
Non son più quello che fui, è finito il tempo in cui
mi sbattevo per arrotondare un voto.
Ora me ne sto in disparte, leggo poco, gioco a carte,
ma mi stufo presto anche di un solitario.
È una buffa condizione, sembra d'essere in pensione,
avrei tempo anche per scrivere un diario.

Ma se tu qui non ci sei, di che cosa scriverei?
Non mi viene in mente niente di importante...

Dimmi dimmi che verrai, dimmi che ritornerai
a settembre.

Così adesso penso a te: di altri sogni non ve n'è
tu a quest'ora avrai passato già il confine(*),
chissà dove quando e chi, se non ti è piaciuto o sì;
io qui a letto aspetto le tue cartoline.
Forse non ne spedirai - anche tu concluderai
che non hai da dirmi niente di importante.

(Temo che non ti vedrò, non ti riconoscerò
a settembre).

Così adesso resto qui. Più tranquillo di così.
Ho imparato a preservarmi disperato.
Tu sei tutto quel che manca... sì, lo so, alla lunga stanca
un amore così inutile e scontato
che se fossi qui con me, temo che scoprirei che
non sarebbe infine niente di importante;

ma può darsi anche chissà che se ne riparlerà
a settembre.

(*) a 18 anni, figurati.
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Why do you torture me with leaves

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volantini (1997)

mi portavi volantini
io ne avevo i libri pieni
bandi a premi e conferenze no pietà

mi prendevi tanti appunti
mi chiosavi i tuoi riassunti 
ma quanto eri scrupolosa alla tua età

se ora lascio stare i corsi
i dibattiti e i concorsi
i rimpianti ed i rimorsi
dimmi cosa resta già





mi trovavi agende e diari
e rubriche e calendari
per gestire meglio orari che non ho

le rassegne ed i programmi
mostre film e melodrammi
ti pregavo dammi pace almeno un po'

e ora ho mille fogli bianchi
per spiegarmi che mi manchi
che degli uomini ti stanchi
ma di te io ancora no





mi mostravi i tuoi progetti
i tuoi assegni nei cassetti
mi chiedevi cosa aspetti intanto ed io

ti dicevo un anno ancora
non c'è fretta non è ora
siamo giovani e studenti graziaddio

chissà adesso che combini
e a chi porti volantini
io ne ho tutti i libri pieni
e non posso aprirli più 






[Il problema di chi conserva la gioventù in solaio è che d'inverno non c'è mai tempo per mettere in ordine, e d'estate fa troppo caldo anche solo per salire. Chi ha la cantina ha un alibi in meno. Qualcosa comunque quest'anno riesco a portarla giù. Non mi metto neanche a ripulirle, non vale la pena, le porto in discarica così come sono. Sarà un agosto molto polveroso].
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When I'm feeling sad

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Noi non è che fossimo esattamente la famiglia Bach, ma tu in particolare eri veramente stonato. Veramente. Questo non t'impediva di apprezzare la musica, ma di sicuro la percepivi in un modo diverso, che non ho mai capito, perché io non ho mai capito molto. Avevo sempre altro a cui pensare, al limite il mercoledì bussavo e ti dicevo: sto andando in fonoteca, vieni?

Poi ti prendevo per il culo per i cd che ti portavi a casa, i Nomadi, Guccini. Ligabue lo compravi originale. Poi quando non c'eri in casa entravo in camera tua e rubacchiavo quel che non avevo il coraggio di prendere in prestito io, ad es., il Pilota di Hiroshima (un duro alla maniera di John Wayne). C'è che a certe pentatoniche io proprio non resisto. Tu invece chissà cosa ci sentivi. Era facile che ti attaccassi al contenuto, Hiroshima, Auschwitz, Praga, tutte quelle cose che ci fanno sentire impegnati. Resta da spiegare Coltrane.

Ti eri incapricciato di Coltrane, avevi cominciato a prenderli tutti. Io ci avevo messo anni a digerire My favourite things, tu no, tutto subito, avevi fretta. Questa fretta allora non la capivo: dal mio punto di vista (che era l'unico importante) era un desiderio di sorpassarmi, da liquidare con sufficienza. E poi si sa che i ragazzini fanno finta di amare tante cose, ma che ne sanno loro dell'amore vero.

Anche Coltrane del resto l'ho sempre amato di un amore distratto, come tutti i miei amori, e non avevo pudore di ficcare capolavori di free all'interno di nastroni che parlavano di tutt'altro. Mi piace variare perché è l'unico modo di sentire i sapori, non reggerei venti minuti di Coltrane, soprattutto al volante. Ma dieci minuti tra gli Ultravox e i Motorpsycho perché no, sono fatto così, non me ne vanto.

Tu eri più serio e i dischi li registravi interi; non sempre avevi a disposizione una cassettina col minutaggio giusto, e quindi uscivano anche a te degli strani ibridi. Ricordo che My favourite things stava sul retro di Tubular Bells. Io ti prendevo in giro per questa cosa, essendo idiota.

D'altro canto ero io che ti portavo a in fonoteca, a noleggiare CD con scritto sopra Proibito Il Noleggio. Un giorno mi hai chiesto di portarti con me, o te l'ho proposto io, non ricordo bene, essendo idiota. Di questo sono abbastanza sicuro; ma in un qualche modo devo pure andare avanti, o no? Attaccarmi alle cose positive.

C'è questo problema: che di cose positive mi sembra non ce ne siano tante. La memoria dovrebbe aiutarmi, selezionando bei momenti e liquidando quelli imbarazzanti. Alla maggior parte delle persone succede questo. A me no, e questo mi rende un poco più difficile la vita. Continuo a pensare a che inutile modello devo averti fornito, negli anni in cui poteva pure servirtene uno. Con le mie teorie infinite, le solitudini assortite, i miei amori sfigati, gli incidenti in macchina, le depressioni e le manie. Il casino che montai tornando a casa perché mi avevi messo a posto le cassette, il problema è che le cassette erano già a posto in un ordine segreto che solo io conoscevo, prima di essermelo dimenticato, e devo essermela pure menata a lungo con questa storia. Tu cosa avrai pensato. Probabilmente che eri il fratello di Rain Man, e non te n'eri ancora reso conto. E che ti conveniva crescere in fretta; anche per me, ti conveniva.

Io devo pure andare avanti, attaccarmi a quel che c'è; ma c'è che devo averti riempito la testa di un sacco di chiacchiere senza direzione. A un certo punto mi sono accorto che crescevi più in fretta di me e la cosa non mi spaventava affatto, anzi, non vedevo l'ora che tu diventassi il mio elettricista di fiducia. Ma io non sono stato il tuo informatico di fiducia, né il tuo tecnico del suono, né il latinista che poteva darti una mano con le perifrastiche. Sono stato un idiota, e ora è un po' tardi. Non è che non ti volessi bene: il problema è che io sono fatto così, molto distratto nei miei amori, è il meglio e il peggio che si possa dire di me.

Ma devo andare avanti: così quando vedo arrivare le brutte nuvole di metà giugno, mi rifugio sotto quel che posso. Penso che ti portavo in fonoteca, ogni giovedì: e tu ti portavi a casa Tubular Bells e John Coltrane. Come tu potessi capire il free a 14 anni resta un mistero – forse l'essere così veramente, veramente stonato in questi casi ti aiutava. Mi manchi sempre. Non solo quando mi serve un elettricista. Sempre.

L'altro giorno in una classe proiettavano Tutti insieme appassionatamente quando sono arrivato io, No ho detto, non possiamo guardarlo fino alla fine perché non finisce mai - aspettate Natale. Ma vi faccio sentire io una cosa: e ho caricato My Favourite Things a tutto volume, è stato imbarazzante. 

Non ci capiamo niente, professore.

È perché siete intonati.

È un problema?

Con gli anni si impara a conviverci.
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XL

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Questo giorno me lo ero sempre un po' immaginato così, indaffarato a firmare autografi...

"Poi prof quando ha tempo c'è anche da firmare le pagelle di seconda".
"Sì".
"E i registri".
"Sì, sì".
"Tutto bene? La vedo un po' giù di morale".
"No, è un giorno come gli altri".
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I blog del Fatto non esistono

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(No, non esistono nemmeno i blog dell'Unità, se è per questo).

Una merendina non è un'opinione

Per prima cosa vorrei esprimere solidarietà a Dario Bressanini, che si accomiata dal Fatto quotidiano, (via .mau.) prendendosi quella che chiama "pausa di riflessione".
Vi confesso che sono sempre più a disagio nello scrivere qui dentro. Per via della “compagnia” che si è aggiunta nel tempo:  complottisti dell’11 settembre, antivaccinisti, “esperti” di energia che sbagliano le unità di misura, “esperti” di nanoparticelle nelle merendine, teorici della decrescita, omeopati, teologi assaggiatori di vino che concionano di ogm invece di parlare di Barolo o Barbaresco e così via. Io ci metto settimane o mesi a leggermi la letteratura scientifica originale e a scrivere un articolo, mentre a scrivere una cazzata con un copia e incolla ci si mette mezz’ora. E dopo neanche un giorno il mio pezzo è svanito dalla home page, scivolato via nel mischione generale insieme a tanti altri con cui francamente non voglio essere associato. Non vale la pena fare tanta fatica.
Forse no, non ne vale la pena. Dipende soprattutto dal valore del tempo che uno ha. Io ho sempre pensato che valga la pena di scrivere in qualsiasi posto ti chiedano di farlo, per dire se Casapound mi desse uno spazio per me varrebbe la pena di scriverci: ovviamente parlando male di Casapound. Secondo me devono sempre essere gli altri a buttarti fuori. Ma la frustrazione di Bressanini la capisco benissimo. Anche adesso, in calce al suo bel post in cui spiega con dovizia di fonti che gli ortaggi bio non risultano più sani degli altri, c'è un bel link a un altro post del Fatto titolato: "Biologico... gli studi dicono che fa vivere di più e meglio".

Per seconda cosa vorrei cercare di spiegare a Peter Gomez, direttore del Fatto on line, che non può giustificarsi con Bressanini scrivendo, come ha fatto, che "lo spazio dei blog è semplicemente uno spazio libero dei lettori", un modo molto liberale per dire che non ha intenzione di controllare le eventuali imprecisioni e cazzate dei suoi blogger. Non può, non per una questione deontologica - cioè, volendo ne potremmo anche parlare - ma voliamo un po' più basso: la distinzione di Gomez tra "blog" e "spazio a destra del sito" non esiste più, se è mai esistita, nella percezione dei lettori.

Voglio dire che il lettore medio che apre l'home del Fatto, o che carambola sul Fatto da un link condiviso, non coglie nessuna differenza tra blog e "contenuto a destra". Anche perché tra i "blog" a sinistra ci trova tutte le firme più autorevoli del Fatto, e altri personaggi di indubbio spessore: Jacopo Fo, Nando dalla Chiesa, Loretta Napoleoni, e ne dimentico senz'altro di importantissimi. Se poi in mezzo a questi c'è l'esperto di nanoparticelle nelle merendine, non è il caso di nascondersi dietro al concetto di "blog": qualunque lettore capiterà su quel contenuto avrà la chiara percezione di leggere un pezzo del Fatto Quotidiano, scritto da un giornalista o collaboratore del Fatto Quotidiano. Le cui informazioni sono state controllate dalla redazione del Fatto Quotidiano. Anche se non è così.

Parlo per esperienza: tre anni fa ho iniziato a tenere una rubrica settimanale sull'Unita.it, che poi è diventata un "blog" senza che io stesso avessi ben chiara la differenza. Forse perché la differenza non c'è. I commentatori continuano a chiamarmi "giornalista" e sono convinti che io rappresenti la linea del giornale. Ogni volta che provo a spiegare che sono una cosa diversa, e cioè un "blogger", mi sento un po' più ridicolo, quasi che volessi reclamare una verginità che probabilmente non merito. Al lettore non fa nessuna differenza: sulla pagina c'è scritto Unità, fine. E in effetti, l'unica differenza che mi viene in mente è che i contenuti dei blog non sono verificati dalla redazione. Ma il lettore questa cosa non la sa, e nessuno si sta premurando di informarlo.

Gomez me lo ricordo tre anni fa, quando gelò il pubblico di un blograduno annunciando: "abbiamo quattrocento blogger che lavorano per noi assolutamente gratis [...] speriamo che questi quattrocento diventino presto quattromila". Per molti dei presenti fu la campana a morto di ogni speranza di essere pagato per i propri contenuti, ma Gomez era troppo felice per accorgersene: che figata il 2.0, la gente che non vede l'ora di scrivere gratis per te, come una volta erano tutti felici di sfoggiare gli adesivi pubblicitari su automobili e suppellettili. In pratica ospitare dei blog per un quotidiano è questo: offrire gratis la propria testata come un adesivo, da sovrapporre a qualsiasi cazzata. E la gente le legge. Quattrocento blog, almeno 400 contenuti non controllati alla settimana, qualche cazzata ogni tanto scapperà; e la gente le linka, le condivide, crea traffico, genera guadagni, è bellissimo. Qual è l'inconveniente?

Gomez non è un ingenuo, credo che sappia benissimo qual è l'inconveniente: quei 400 blog con l'adesivo del Fatto Quotidiano sono il Fatto Quotidiano. Il lettore li percepisce come Fatto Quotidiano. Se parlano delle nanoparticelle delle merendine, il lettore riterrà di avere letto sul Fatto una notizia sulle nanoparticelle nelle merendine. Non un'opinione: un'informazione. Capisco che un quotidiano consenta opinioni diverse, ma una merendina alle nanoparticelle non è un'opinione. O esiste - e allora mostramela, fuori la fonte. Oppure non esiste. E allora mi stai dicendo una bugia. E se sul tuo post c'è l'adesivo del Fatto Quotidiano, il FQ mi sta dicendo una bugia.

Non esistono blog del Fatto, o blog dell'Unità, o blog di altre testate giornalistiche. Esistono pagine web del Fatto, articoli del Fatto. I lettori non notano la differenza, e fanno benissimo a non notarla. L'unica differenza importante è tra fatto vero e cazzata. Un quotidiano che lascia libero accesso a collaboratori, e che non controlla le potenziali cazzate, ha evidentemente deciso di privilegiare un certo tipo di quantità su un certo tipo di qualità. Magari per ora ha ragione. Io spero che il tempo gli darà torto.
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No, we could not get much higher

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Lo spiraglio

Non è mai sembrato un giovane, l'amavo anche per ciò.
Dell'infanzia ho ricordi confusi, come tutti. L'intro di Light My Fire potrei averla ascoltata per la prima volta sul divano, infilata a forza in un jingle pubblicitario di un Best of the Doors, magari il primo dei quindicimila Best of the Doors che uscirono in seguito. Vorrei poter dire che mi sbalordì subito - non avevo mai ascoltato una serie di note così, con un timbro così stridulo e marziale insieme - ma ero piccolo, ogni cosa mi sbalordiva, e poi scomparve e per molti anni non ci pensai più. "Doors" tornò a essere un adesivo sui serbatoi dei motorini, di cui apprezzare la grafica essenziale.

La prima volta che ascoltai Light My Fire ero a letto. Sentii l'intro e mi alzai in piedi sul letto. Quando Dylan racconta che gli Animals lo fecero saltare dalla sedia io ci credo; mi successe qualcosa del genere, se fossi stato su una sedia mi sarei potuto far male. Forse rivivevo già un ricordo di me bambino sul divano: forse la musica è tutto un sovrapporsi di ricordi e oblii futili che diventano importanti, perché? boh, in mancanza di meglio. Avevo quattordici anni e avevo appena comprato la cassettina del primo album dei Doors. Già al primo ascolto i pezzi mi sembravano tutti vividi e diversi l'uno dall'altro - questo è sempre stato per me un parametro importante, se i pezzi sono diversi l'uno dall'altro secondo me il disco è buono - ma uniti dalla voce di quell'organo unico, che Manzarek poi accantonò perché i tasti di plastica si rompevano troppo facilmente, maledetta plastica. Dopo quattro canzoni avrei dovuto comunque essermi assuefatto, e invece l'intro di Light My Fire mi colpì forte dietro la schiena, un ricordo ancestrale e insieme una promessa di delizie future; non lo sapevo ma le Porte si erano appena appena socchiuse per farmi vedere Coltrane e Bach, sovrapposti, per un attimo. Un tonfo alla grancassa, come lo sfregamento di un cerino, e poi quelle note come una fiamma che divampa all'improvviso.

Light My Fire fu la prima canzone che feci suonare a un juke box, nella Sala Giochi del Bronx - il Bronx era l'Istituto Professionale, erano ovviamente gli studenti a ribattezzarlo così - una fiumana di giacche di jeans che si riversava all'una verso l'Autostazione, con qualche chiodo di pelle che galleggiava nell'azzurro del denim - un giorno entrai nella loro Sala Giochi, andai al juke box e misi Light My Fire, la versione di sette minuti. Mi sembrò un gesto coraggioso, dadaista e punk. Il paesaggio musicale non era indulgente ed eterogeneo come adesso, potevi vivere una vita intera ascoltando soltanto glam da classifica, Sanremo e gli Iron Maiden per chi era assordato dai dubbi sulla propria virilità. Per quelle orecchie offese dagli anni Ottanta, i veri Ottanta di chi ci è vissuto, si è sorbito tanta merda e ci si è strizzato tanti brufoli, Light My Fire suonava di un altro pianeta. O mettevi a fuoco Light My Fire o mettevi a fuoco i Bon Jovi, non riuscivi a fare stare le due cose insieme nel cervello. Beccatevi la vera musica, stronzi. Accendetevi.

Ci misi ancora qualche anno a capire veramente che note stesse facendo. Alla fine la incisi rallentata, con i rudimentali strumenti a mia disposizione, e la riascoltai a ripetizione finché non mi parve di riuscirla a suonare. Non ne vado fiero, non l'avevo mai fatto; mi facevo punto di onore di non aver mai studiato un solo pezzo di musica - ero molto stupido. Ma quando seppi suonare l'intro di Light My Fire ne fui felice come un pappagallino, e di lì per alcuni anni a nessun organo lasciato incustodito in nessuna chiesa del circondario fu risparmiato il sacrilegio di intonare l'inno di Manzarek. Così Bach tornava a casa, dalla porta della sacrestia.

Poi sono diventato più serio e per anni non ho più ascoltato i Doors, che sembrano tagliati su misura per essere ascoltati da ragazzini e quindi liquidati. Pretenziosi e pop, teatrali, con quel sex simbol da birreria e tutta quella scadentissima poesia da ginnasio - i nostri Baudelaire, nessun adulto si rilegge Baudelaire, se non l'hai fatto prima dei 18 lascia perdere. Ogni tanto un sussulto, il film di Oliver Stone o una campagna promozionale per l'ennesimo disco sempre con gli stessi pezzi dentro. E ogni volta un'osservazione: ma come suonano ancora freschi, i Doors. Contro ogni aspettativa. Con quel cantante improbabile e ingestibile, e tutti quegli incidenti di percorso - azzeccavano un disco ogni tre - centinaia di canzoni inutili, eppure quanto restano ascoltabili i Doors. Nel frattempo ti sei fatto una cultura a tutto tondo, sai che in quella zona c'era un sacco di roba magari più ispirata e più seria, senza guitti e baracconate. Ma i pezzi dei Jefferson Airplane o degli Spirit o dei Love non hai veramente voglia di riascoltarli quanto quelli dei Doors. E l'intro di Light My Fire rimane lì, la promessa di una musica nuova intricata e meravigliosa che Manzarek non seppe mantenere - alle radio volevano pezzi più brevi, ma Jim durante gli assoli lunghi si annoiava, diventava pericoloso. Finirono a suonare blues lenti, il cimitero della creatività - ma sempre meglio del Père-Lachaise.

Come ha osservato ieri Giancarlo Frigieri, la carriera di un musicista pop è qualcosa di davvero avvilente, se non muori a 27 anni. È un'arte talmente fortuita che chiunque la pratica non ha a disposizione che quattro o cinque anni per sparare tutte le cartucce: il resto è mestiere. Alcuni sanno reinventarsi, ma anche lì servono tragedie o botte di culo incredibili. Tutti gli altri di solito passano la vita a suonare e risuonare dal vivo le canzoni che hanno scritto in fretta e per sbaglio quando avevano vent'anni. Quelli che si evolvono, che continuano a far dischi e sperimentare cose, sono i più sfortunati: quel che il pubblico continuerà a voler da loro saranno i pezzi che hanno scritto da giovani e stupidi, quando le note uscivano per caso. Anche Manzarek ci mise un poco ad abituarsi all'idea, poi si rassegnò all'onesta carriera di coverista di sé stesso. Ci speculò anche, con operazioni discutibili come An American Prayer. Come musicista probabilmente continuò a evolversi. Può anche darsi che da qualche parte nei cento dischi che incise ci sia un pezzo che mantiene la promessa di Light My Fire: per ora è ben nascosto. Le Porte restano per lo più chiuse, solo ogni tanto trapela uno spiraglio che ci illude di aver sentito qualcosa, chissà cosa: e il resto del tempo passa nel tentativo di ricordare, di ritornare su quel divano o su quel letto e sentire di nuovo quel brivido. Nel frattempo studiamo, acceleriamo, rallentiamo, impariamo; ma la porta non si apre, non è detto che si apra mai più.
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Noi emiliani siamo razzisti (tranne te)

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Il 29 maggio da noi non sarà esattamente un giorno come gli altri. Mercoledì 29 maggio alle 21 sono al Mattatoio, un posto che ha rischiato di chiudere e invece è bello aperto, a leggere pezzi della Scossa, un libretto che ho scritto un anno fa per Chiarelettere. È un testo che racconta alcune cose sul terremoto in Emilia, dalla postazione in cui era forse più difficile capirci qualcosa, cioè il bordo del terremoto. È stato scritto tra il 29/5 e il 29/6, in un mese difficile, in una situazione particolare. Oggi lo rifarei completamente diverso - ma oggi non tremo a ogni vibrazione dei vetri, per esempio. 

Il libro è ancora in vendita - è per una buona causa. Ne infilo un capitolo qui sotto un po' stagliuzzato, giusto per dare un'idea:

 Noi siamo razzisti (tranne te)

«Capo!»
«Eh?»

Mettiamo che capiti a voi, di perdere temporaneamente la casa, di ritrovarvi nella mensa di un campo profughi, con un buco nel cuore ma anche, enorme, nello stomaco. Però non siete del posto – magari vivete e lavorate lì da anni, però non vi considerano del posto, oh! sono fatti così. E hanno gusti strani, per esempio mangiano carne di topo. Che bisogna dire non è come il topo nostro, schifoso, il ratto di fogna, quello fa ribrezzo anche a loro, no: siccome sono millenni - che ne mangiano, hanno selezionato una razza di roditori d’allevamento placidi, non hanno neanche più i denti, e poi li macellano, e poi li mangiano – però voi non ne volete sapere, non ne avete neanche mai assaggiato uno.

Ve l’hanno detto tutti che non sapete cosa vi perdete, che il roditore stagionato di quella zona è un’eccellenza assoluta, un presidio slow food. Vi hanno spiegato che siete vittima di un condizionamento culturale, che non è colpa vostra poverini se nella vostra terra d’origine circolavano superstizioni e infamie contro i roditori, che in fin dei conti è carne, ed è buona, e insomma, che rompipalle che siete a non volerla mangiare. Comunque, proprio perché sono ospitali, e non si dimenticano le buone maniere neanche nella calamità naturale, vi hanno fatto il pentolone a parte con il ragù senza topo, va bene?

E voi siete contenti, perché sarebbe lunga cercare di spiegare che condizionamento o no, slow food o no, voi proprio il topo non riuscireste a mandarlo giù, nemmeno nel terremoto e nella carestia. Quindi siete lì, state aspettando che vi scodellino il piatto. Quando fate caso a un particolare. La volontaria che passa con le razioni ha un cucchiaio di legno solo. Uno solo. Per voi e per i mangiatopi. E adesso sta puntando verso di voi.

Questa storia è successa davvero, in una tendopoli. Il topo in realtà era un maiale. Il cucchiaio era un cucchiaio. Voi non eravate voi, ma alcuni musulmani che del maiale avevano orrore. Il giorno dopo circolava – anche a mezzo volantini – un invito a liberarsi di questi stranieri ingrati e schifiltosi.

«UN MIRANDOLESE IMPEGNATO NEI SOCCORSI POST TERREMOTO SCRIVE
Averli accolti, aver dato loro spazi, averli rispettati nelle loro tradizioni fino al punto di calpestare le nostre, averli istruiti sui loro diritti senza mai chiedere il minimo dovere, vederli comodamente seduti a tutte le ore nei bar, non vederli mai salutare o cercare un contatto. E vederli ora nelle tendopoli chiedere la carne tagliata in un certo modo, chiedere il cibo e poi gettarlo perché non è loro gradito, guardarli ridere mentre ci si affanna per tirare su tende e strutture di accoglienza, guardarli mentre si rifiutano sdegnati di aiutare, guardali mentre fumano ridono e scherzano... guardarli. È il fallimento dell’integrazione, i nodi sono venuti al pettine. Basta.
MANDIAMOLI TUTTI FUORI DAL NOSTRO PAESE!»

La cosa che mi ha fatto più male di questo volantino è la punteggiatura. Perché i contenuti più o meno li conoscevo, potevo immaginarmeli. Questo volantino, non lo avessi ritrovato in rete, avrei potuto riscriverlo da solo, le chiacchiere da bar alla fine sono sempre le stesse. Ma la punteggiatura. Non avevo mai visto un volantino razzista con una punteggiatura così efficace. Dietro c’è qualcuno che ha letto, che ha studiato. Certo, questo non lo ha smosso di un centimetro dalla convinzione di vivere nella migliore delle Emilie possibili, un luogo dove tutti vogliono venire, al punto che c’è da tirarli fuori con la pala.
Nello stesso giorno in cui girava questo volantino, un sacco di residenti extracomunitari al posto di blocco mi salutavano col trolley: se ne stavano andando da soli, senza aspettare il fallimento dell’integrazione. Un pachistano dell’età di mio padre mi spiegò che andava in Danimarca, aveva degli amici là. Gli feci i complimenti, la Danimarca per quel che sapevo era non sismica. Mio padre in Danimarca non c’è mai stato. Neanch’io, ora che ci penso, ci sono mai stato. Neanche il tizio del volantino, magari.

Chiedo scusa ai mirandolesi, di cui qui si fa il nome, solo per associarli all’iniziativa di un tizio razzista che ha scritto un volantino. Però era veramente un testo interessante. Non solo per quella cosa del «cibo non gradito» – che davvero vien da ridere, se avete mai incontrato un modenese all’estero. Non è difficile, basta andare nei ristoranti modenesi. Li troverete là alle ore pasti, che discettano di ripieno di tortellini e si fanno riportare il carrello dei bolliti. Ma il volantino non parla di questo. Parla soprattutto dell’invidia. Guardateli, dice, questi stranieri. Come fumano ridono e scherzano. Guardateli. Cosa c’è da ridere? Cosa c’è da scherzare?

C’è che loro hanno perso meno di noi, tutto qui. Una casa? Ne troveranno un’altra. Un lavoro? Vabbe', di sicuro non era il migliore lavoro sulla terra. Ci sarà qualche altra terra dove andare, qualche altra opportunità. Tanto il cordone ombelicale lo hanno reciso da un pezzo. È a noi che duole, a loro no. «MANDIAMOLI TUTTI FUORI.» Ma se ne stavano già andando. Ho insegnato in anni in cui ogni classe ne aveva quattro o cinque, e già sembrava un’invasione. Da qualche anno a questa parte stava calando il coefficiente di cognomi strani, anche se non calava il disagio. So di cinesi che sono tornati in Cina. Turchi in Turchia. Ingrati fino all’ultimo, non aspettano nemmeno che li cacciamo coi forconi. Tipico.

Noi emiliani siamo razzisti. Noi emiliani però si era detto che non esistevamo, e quindi tolgo la parola e la frase rimane così: noi siamo razzisti. No, tu che leggi senz’altro no, ma dico in generale. Ci sono eccezioni, ma comunque siamo più razzisti di quanto dovrebbe essere consentito, e lo si vede da centinaia di cose – potrei parlartene per ore, ma diciamo che ti fidi, va bene? Siamo razzisti perché proprio in questa stagione cominciamo ad andare a scuola a chiedere che i nostri figli siano inseriti in una certa classe e non in un’altra, e perché? Che differenza c’è?

Tante volte la differenza la fanno gli stranieri. Che poi stranieri non sono, la stragrande maggioranza è nata nell’ospedale a cinquecento metri dalla scuola, però sono figli di stranieri e quindi per noi sono stranieri anche loro. Il razzismo in fin dei conti è tutto qui.

Noi siamo razzisti perché abbiamo accolto molti stranieri, sembra un controsenso ma è andata così. Forse fino a un certo punto contavamo su una nostra ospitalità, una nostra disponibilità, che alla prova dei fatti non si è mostrata all’altezza. Certo, se ci fossimo guardati un po’ meglio ce ne saremmo resi conto, che non eravamo così ospitali come credevamo di essere. Sarebbe bastato vedere come parlavamo dei «marocchini», che fino agli anni Ottanta non erano quelli che venivano dal Marocco, ma da Caserta in giù, coi quali lavoravamo nelle fabbriche e nei cantieri, ma senza legare più di tanto.

Nel frattempo magari tendevamo a idealizzare minoranze che ancora non avevamo imparato a ospitare. Poi improvvisamente da un anno all’altro sono arrivati, a ondate, e ci hanno messo paura. C’è chi davvero parla di invasione, e ci crede: basterebbe un occhio alle statistiche per rendersi conto che non è verosimile. Ma la gente non ha voglia di guardare i fogli con i numeri. Esce al pomeriggio e in certi quartieri trova in giro solo loro. Si sono presi le palazzine brutte che gli italiani stavano mollando: a un certo punto a molti padroni di casa conveniva affittare soltanto a loro, creavano meno problemi e il mensile continuava a restare alto, perché i nuclei famigliari sono sempre numerosi. Ed è vero che tendono a farsi vedere in giro più degli italiani: forse perché hanno meno spazio in casa.

«Capo, dico a te.»
«Sì?»

Quella sera mi giravano un poco, vuoi perché il turno di notte è quel che è, vuoi perché non ha senso mettersi lì impalati per otto ore davanti a un accesso, se poi a cinquanta metri ce n’è un altro e non lo controlla nessuno. Far la guardia ha un senso, ma il picchetto a un recinto aperto, grazie, no. E allora ho detto al mio compagno: ma in via Narsete c’è qualcuno? Non lo sapeva. Scusa, stiamo qui a rompere le palle alle suore che vogliono andare in Sant’Antonio, e intanto in via Narsete può entrare chi vuole? E l’ambulatorio che hanno svaligiato ieri, ricordami, in che via era? Narsete. Ah, ecco. Senti, hai detto che sei qua fino all’una? Allora è inutile che stiamo in due. Io mi vado a mettere in via Narsete.

È un passaggio pedonale, senza lampioni; la sera diventa buio subito. Ma non ci si sente soli, nel parchetto lì davanti si sono accampate due famiglie di africani, quelli che hanno un tono di voce sempre alto come se litigassero, anche se non litigano mai. Ma a noi razzisti sembra così. Dal modo in cui articolano l’inglese potrebbero essere nigeriani o ghanesi. Tutti piuttosto alti di statura. Sto scrivendo un messaggino quando mi sento chiamare

«Capo!»
«Eh?»

E dall’oscurità mi viene incontro un africano di due metri e venti.

«Ciao, fai la guardia?»
«Eh, sì.»
«Ma qui non c’è mai nessuno, capo.» Me lo dice con un tono che interpreto come di rimprovero.
«Lo so, adesso però ci sono io.»
Mi guarda con un’espressione che interpreto come di scetticismo: ah, beh, capo, se ci sei tu siamo a posto. In effetti, col mio bel casco giallo, non gli arrivo al naso.
«Qui può passare un sacco di gente.»
«Eh lo so, si fa quel che può.»
«Capo, domani voglio venire io.»
«Tu?»
«Io li conosco tutti quelli che abitano qui, io sto in via IV novembre ma l’anno scorso stavo lì in via Narsete, li conosco tutti. E loro conoscono me, faccio passare solo chi ci abita.»
«Beh, guarda... ti do il numero della protezione civile, così se hanno bisogno di aiuto...»
«Ecco, grazie capo.»

In quel momento ti si accende come una lampadina. Cosa stai facendo? Sì, lo sai, sarebbe una sentinella perfetta. Alto come una torre, nero come la notte; conosce tutti, e tutti lo conoscono. Però.
Ti ricordi dove abitiamo?
Te lo immagini mentre chiede la carta d’identità alla tizia che ha la gioielleria all’angolo?
Vuoi metterlo nei guai?
Vuoi costringere qualcun altro a dirgli di no, vuoi scaricare su qualcun altro quella piccola dose di razzismo che ci stiamo dividendo in parti uguali?

«Senti, scusa... io adesso il numero te lo do... ma tu... sei sicuro?»
«Certo capo.»
«Si tratta di stare qui, e fare entrare soltanto i residenti...».
«Li conosco tutti.»
«Ma anche, per dire, se non ne conoscessi uno, dovresti chieder loro i documenti, cioè...».

Capo, mi stai chiedendo se so leggere?

«Vabbe’, comunque il numero è questo.»

Noi di qua siamo razzisti, ma non lo saremo per sempre. O ci mescoleremo – ci stiamo già mescolando, però ci vuole tempo – o se ne andranno loro, in cerca di meglio. Di lavoro, soprattutto: da noi l’offerta stagnava già da un paio di anni, e molte facce scure in giro per i quartieri erano semplicemente in cassa integrazione.

In certi casi il terremoto dev’essere stato la goccia che fa traboccare il vaso, o la strattonata di un conoscente che ti dice: dove stai buttando la tua vita? In quel posto di zanzare e sciami sismici? Ma lo sai che qui da noi in India / Cina / Turchia il Pil cresce che è un piacere? Si dice, non so se sia vero, che il governo marocchino abbia offerto a tutti i residenti nei comuni terremotati il biglietto aereo per rientrare. A volte conviene, tenere una madrepatria lontana da qualche parte. Qualcuno che per male che vada ti può pagare un biglietto. In realtà possiamo andarcene anche noi, quando vogliamo. Da qualche parte dove saremo anche noi un’etichetta, gli «italiani», che vuol dire tante cose e quasi nessuna che somigli a noi davvero. E nessuno ci offrirà di fare la sentinella: senza offesa ma... non sei adatto.  
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La politica, ehm, i soccialnètuor

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(Se tutto va come deve andare stasera verso le 19.10 dovrei dire due cose a Impronte Digitali su Radio Città Fujiko su politica, social network, eccetera).
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Vieni anche tu

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30-08-1981

Enzo Jannacci, che a tutti ricorda com'è giusto Milano, per me è curiosamente legato alla piazza Grande di Modena, a un pomeriggio che i miei mi dissero: andiamo a un concerto, e non l'avevano mai fatto. Era la prima volta. Non lo fecero mai più, fu quindi anche l'ultima. Ma non credo che sia colpa mia, per quel che mi ricordo mi comportai bene.

Non conoscevo Jannacci - a parte Vengo anch'io No tu no che poi chissà dove avevo sentito. Ma non avevo nemmeno mai visto piazza Grande, forse era la prima volta che ci andavo. Ovviamente mi sembrò immensa, enorme il Duomo e altissima la Ghirlandina, che forse imparai per l'occasione che si chiamava così a causa di ghirlande che devo ancora capire dove siano, e mia madre disse che papà era andato fino in cima. Lo ammirai molto, e non ci sarei salito per i successivi 25 anni.

Non saprei dire se fossi seduto. In piedi per un'ora e più mi sembra improbabile. Però ricordo che Jannacci lo vedevo e non lo vedevo, dietro a braccia e teste. Rammento una manciata di canzoni, che poi sono quelle che conosco meglio di lui, per cui il ricordo potrebbe anche essere stato fabbricato a posteriori: Vengo anch'io sparata quasi subito, Faceva il palo, Quelli che, che per me poi era "oh yeah" e in un qualche modo avevo già sentita anch'essa, chissà come. E Giovanni Telegrafista: quella proprio la ricordo bene; non l'avrei più riascoltata per decenni, però quell'ultimo verso "Alba, è urgente" lo rammento proprio come lo cantò Jannacci in Piazza Grande. Molti anni dopo decisi che era la canzone più bella di EJ, una spanna su tutte le altre: ieri sera ho scoperto che il testo è la versione italiana di una poesia brasiliana, un po' m'è dispiaciuto. Un dispiacere insensato, la canzone non è meno bella se non è del tutto sua.

Quello di Enzo Jannacci fu il mio primo concerto. Qualche tempo dopo lo riconobbi vestito tutto di nero con un suo amico che ancora non conoscevo: citavano i Blues Brothers ma non potevo sapere nemmeno di loro. Ero piccolo, di tutto il grande puzzle culturale intorno a me possedevo solo una o due tessere, e Jannacci era una. Ne sono abbastanza fiero, mi sembra d'avere almeno cominciato con i pezzi giusti, e sono molto riconoscente ai miei genitori che non andavano mai da nessuna parte, ma quando venne Jannacci in Piazza Grande mi ci portarono. E al mio capo scout che almeno una volta all'anno, davanti al fuoco, ci cantava Prete Liprando e il giudizio di Dio, la sapeva a memoria e la cantava benissimo (che pieèèèèdi lunghi!) Fino a qualche tempo fa non si trovava nemmeno su Emule, Prete Liprando.

Così ieri sera mi sembrava di aver perso una persona un po' più importante di altre. Mi sono messo a chiedere in giro su internet se qualcuno sapeva quando Enzo Jannacci avesse fatto un concerto in piazza Grande a Modena: perché non ne avevo la minima idea. E mi hanno risposto in due: 30 agosto 1981. Quindi avevo otto anni. Devo essere stato un bambino paziente. Devono essere stati pazienti anche i miei genitori. Li ringrazio ancora una volta.
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Pagato o meno

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Sono stato intervistato da Note Modenesi ed ecco qua, il risultato è più divertente del solito. Devo rettificare solo un punto: quando dico che "preferisco scrivere per un sito sconosciuto che mi paga regolarmente – anche una miseria – piuttosto che per un sito importante a costo zero" soggiungevo subito: "ma in realtà faccio entrambe le cose" (finché mi divertono entrambe le cose; e l'obiettivo è guadagnare prima o poi da qualunque cosa: ca$h come se piovesse, ma vanno bene anche buoni mensa, qualsiasi cosa, vengo via con poco, chiedete in giro).
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Il Toto in me

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Non parla di Sanremo.

Sanremo alla fine è semplicemente una cosa che succede tutti gli anni, e come le ferie e le feste comandate ti rimbalza ricordi e fototessere più o meno sgraditi. Non c'è niente di meglio di queste scadenze per misurare quanto stai crescendo e/o invecchiando e/o morendo.

Qui bisognerebbe spiegare un carattere poco noto della mia generazione, ovvero che noi - anche grazie a Sanremo - siamo cresciuti non nella Contemplazione della Morte, come i monaci che fissavano i teschi cercando di interiorizzare il concetto di putrefazione, ma nella Contemplazione dell'Imborghesimento. Ogni volta che vedevamo un 40enne sul palcoscenico - e ne vedevamo già troppi - lo trovavamo insopportabilmente bolso, "commerciale" che a quel tempo era un'offesa orribile; ad esempio prendi i Pooh, erano già circonfusi da un disprezzo che oggi neanche Maria Nazionale. Però poi saltava sempre fuori qualcuno che la sapeva più lunga e ti diceva che da giovani erano bravi i Pooh, avevano fatto dei dischi progressive. Era sempre così, con tutti (tranne Toto Cotugno). Erano stati tutti prog, o punk, o fighi in qualche altra maniera, finché non eravamo arrivati noi ed erano diventati bolsi, assimilati, ogni resistenza era inutile. Dylan, Bowie, McCartney, Neil Young, Sting, erano tutti in circolazione, stavano tutti facendo dischi nel migliore dei casi noiosi, ma i fratelli maggiori ci giuravano che erano stati grandi e risalire ai dischi vecchi non era semplice come adesso. Ci sembrava di vivere in qualcosa di strano e deprimente, come quando nella pièce di Ionesco tutti diventano rinoceronti, finché i Litfiba - i già splendidi, assurdi Litfiba di 17 Re - uscirono con Pirata e per la prima volta assistemmo al fenomeno in diretta, vedemmo la new wave fiorentina tramutarsi in pochi mesi in un trucido pachiderma da mostrare al circo mentre caga puzzolenti pezzi di canzoni altrui mescolate a crusca e feci. Eravamo troppo giovani per capire il concetto di "tengo famiglia", la cosa ci sembrava semplicemente disumana, come se a 24 anni uno gnomo salisse a scavarti il cervello col cucchiaio - perché va bene la tossicodipendenza, va bene tutto, ma come si fa a passare in cinque anni da Eroi nel vento ad ariba ariba el diablo? Come funziona, com'è fisicamente possibile che un giorno sei un comunista e il giorno dopo Giuliano Ferrara? E sul serio succede a tutti?

Sarebbe successo anche a noi?

Avevamo la grossa paura che potesse succedere anche a noi, che saremmo stati assimilati anche noi. Ancora oggi non sono sicuro che si trattasse di un peccato d'ingenuità (sul serio pensavamo che il carrozzone avesse posti anche per noi?) o se tutto sommato non avessimo ragione - siamo stati assimilati. Forse ci siamo imborghesiti, nei limiti in cui ci si possa imborghesire ultimamente, ma comunque potrebbe essere successo. È difficile rendersene conto, perché ora siamo dall'altra parte e ci sembra tutto naturale, l'unico modo è leggere vecchie pagine di diario, o di blog, o pensare a come ci sentivamo fino a qualche anno fa alle feste comandate, o a Sanremo.

Io per esempio ho un blog, il che mi consente a volte di imbattermi in versioni antiche, spesso imbarazzanti, talvolta incomprensibili di me stesso. Per esempio ho trovato un pezzo in cui me la prendo con Sanremo, chiedo a tutti di non parlarne, di spezzare il circolo vizioso dell'autoreferenzialità di un festival che festeggiava sé stesso in quanto festival delle canzoni da festival. Guardatelo pure, dicevo, ma per amordiddio non scrivete niente. Ecco. In seguito poi ci dev'essere stata una mutazione antropologica, oppure il famoso gnomo col cucchiaio, perché a farci caso sono sempre riuscito a parlare un po' di Sanremo, anche quando non lo guardavo, persino nel 2025, sempre. Un anno ho pubblicato persino un pezzo sulle vallette sull'Unita.it, e non posso nemmeno dire che quella domenica non avessi nient'altro di interessante da scrivere, ricordo benissimo anzi che avevo già due pezzi abbozzati ma sentivo l'inderogabile esigenza di scrivere un pezzo su Belen e la Canalis. Cosa mi è successo. Due teorie.

La prima è che, crescendo, l'Italia mi è diventata sempre meno antipatica. Continuo a vederne molti difetti ma, come succede tra figli e genitori, capisco che sono gli stessi miei, e questo mi forza all'indulgenza. Toto Cotugno non è più un corpo estraneo da combattere, ormai so che Toto è in me, tutte le volte durante un giorno in cui potrei sforzarmi di trovare soluzioni eleganti ma preferisco tagliar corto col solito giro-di-Do che funziona sempre. C'entra molto anche la crisi, le crisi, questa costellazione di crisi una dentro l'altra, la crisi dei consumi più la crisi mondiale del mercato musicale e la forse conseguente crisi della creatività, per cui mi succede nel 2013 di non aver ancora ascoltato una canzone che mi piaccia, non solo del 2013; una sola canzone in assoluto - al che mi scopro ad aspettare persino Sanremo, c'è Elio, magari qualcosa tireranno fuori - e loro suonano una nota sola per tre minuti, perfetta sineddoche di come mi sento. In mezzo a tutte queste crisi persino i Moloch della mia adolescenza, il teatro Ariston, i Ricchi e Poveri, mi sembrano poveri diavoli da abbracciare, ormai siamo tutti sulla stessa zattera alla deriva. Negli ultimi anni mi sono messo a stimare gente che da giovane avrei odiato con un'intensità talebana; dopo aver ingiustamente disprezzato Jovanotti qualunque cosa provasse a fare ora appena un Fabri Fibra azzecca una rima gli voglio bene. Anche gli amici di Maria mi fanno tenerezza, loro almeno credono ancora in qualcosa. In loro stessi, sì, non è un granché, ma è meglio di tutta la depressione che ci circonda, per cui stringiamoci forte, cantiamo, televotiamo, coraggio, ha da passà 'a nuttata, Sanremo è il nostro ultimo Piave. Questa è la prima teoria.

La seconda è che mi sono rincoglionito.
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Il ritratto di Agata

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Agata è stata la santa che più ha fatto per sdoganare
il nudo femminile, ma per molto tempo i pittori
non hanno potuto fare a meno di corredarla
di tenaglie. Questo è Sebastiano del Piombo.
5 febbraio - Sant'Agata (230-251), martire ignifuga.

[Si legge intero qui].

Agata ha solo 15 anni, quando il proconsole di Sicilia Quinziano le mette gli occhi addosso: giovane, ricca, consacrata a Cristo. Poiché non cede né alle proposte né alle minacce, la consegna a una cortigiana, tale Afrodisia, acciocché la rieduchi ai costumi pagani: banchetti, orge, prostituzione sacra… niente da fare. "Ha la testa più dura della lava dell'Etna", dice Afrodisia, rispedendola al mittente.

Si passa così alla tortura. Le stirano le membra, la lacerano con pettini di ferro, la scottano con lamine infuocate. Lei resiste; allora le strappano i seni con le tenaglie. Verrà nottetempo Pietro apostolo nella sua cella a fargliele ricrescere. Infine l'empio Quinziano decide di farla alla brace, ma il suo velo rosso (simbolo di verginità) resiste al fuoco. È il primo tessuto ignifugo della storia. I catanesi lo usano ancora per fermare le eruzioni di lava. Agata se la cava bene anche con le pestilenze e i terremoti, in generale con tutte le sfighe che possono capitare in una città mediterranea tra una faglia sismica e un vulcano.


Mille chilometri più a nord, Sant'Agata era l'unico dipinto a olio di un certo valore nella Pieve di Sorbara (MO), oggi è sagra anche lì. Per molti anni non ho neppure fatto caso al seno che portava sul vassoio; poi a un certo punto ho imparato la storia, e da quel momento non c'è stato più verso di passarci davanti senza pensare ad Agata, al seno, alle tenaglie, al seno, alle tenaglie, al seno, tutti pensieri che non si dovrebbero portare in chiesa, ma una volta fatti entrare non c'è modo di buttarle fuori, le tenaglie, e il seno, e un seno preso a tenaglie. Agata ma quanto doveva esser brutto quel Quinzano per voler più bene alle tenaglie, Agata; ci fossi stato io al tuo posto, quanto presto avrei tradito il mio padre e i miei compagni.

"Scambiamoci ora un segno della pace".
"La pace sia con te".

Agata scusa posso chiedertelo: quanti seni hai? Due sul vassoio ok, ma sul serio ne hai altre due al loro posto? Dalla posa non sono in grado di farmi un'idea, e tuttavia sarebbe molto più sano per me pensare che ce le hai, e tuttavia non posso fare a meno di domandarmi: che senso ha fartele ricrescere la notte prima che t'ammazzino?

"La messa è finita andate in pace".
Come, è già finita? Vuoi dire che è da mezz'ora che sto solo pensando a tette e a tenaglie?

Quando ero piccolo era diverso (continua sul Post...)
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12 anni

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(È un pezzo vecchio, sì, ma a partire da un certo punto in poi i compleanni si assomigliano tutti)

Il pregevole blog lo Zibaldone

"Come? Eh? No, le candeline no. Il mio povero cuore.
Volete che vi racconto? Ma probabilmente la storia la sapete già. Sono io che non mi ricordo più bene quando ho cominciato.
Mi sembra di averlo sempre avuto un blog, più o meno dall’… Ottocentoquindici, mi pare… in quel periodo eravamo in pochi, eh, anche perché il layout dovevi farlo a mano… il codice, dico… lo vergavi con la penna d’oca, nei primi tempi… e quindi non eravamo poi così tanti ad avere la costanza, la… manualità… comunque c’era già Giacomo.  Lui con lo Zibaldone era un po’ il mio mito, me l’aveva linkato Pietro Giordani che… aveva questa directory di giovani poeti italiani promettenti, che se ci pensi era una cosa da suicidio, allora, mettere in piedi una directory così… anche oggi certo… però a quei tempi… metti che Foscolo un giorno la consulta e non trova il suo sito… minimo ti sfidava a duello… non gli potevi mica dire: “Scusa, Ugo, ma è una directory di giovani promettenti, e francamente tu…” insomma, c’erano equilibri molto complicati.

Ma dicevo di Giacomo. Di lui non è che si sapesse molto, stava in campagna come molti di noi, e gli volevamo tutti molto bene perché… ma fondamentalmente aveva una costanza pazzesca. Ogni volta che facevi refresh qualcosina la trovavi. Spesso era roba pesante, filosofia, linguaggio, però era due secoli fa, forse allora c’era più mercato per queste cose. A me sembrava uno dell’altro mondo, poi un giorno leggendo capisco che si è trasferito a Bologna… allora vado a impegnare i gioielli della mia povera madre per prendere a nolo un biroccio e in un paio di giorni sono là… però non c’era ancora google street view e anche la segnaletica stradale lasciava molto a desiderare, francamente… sicché entro in un’osteria, sotto le torri, e chiedo a lorsignori se conoscono l’indirizzo del poeta Giacomo Leopardi. Silenzio. “Intendo l’autore del pregevole blog lo Zibaldone”. Mi ridono in faccia. Lì per la prima volta ho capito che… la blogosfera non è proprio esattamente il mondo reale… uscendo alla luce del sole urtai un gobbetto, gli feci cadere una borsa piena di carte e mi mandò al diavolo… mi lasciò un pessimo ricordo Bologna, non saprei neanche dire perché… forse capivo che tra il mondo vero e la blogosfera ormai avevo scelto la blogosfera. Vuoi mettere tra discutere di lettere con IppolitoNievo.It o stare per strada a farsi ingiuriare dai brutti gobbi sgorbi?

Manzoni? Non so, me l’hanno detto poi che c’era anche Manzoni, il punto è che non era già il grande Manzoni, era un ragazzo molto timido, che non usciva di casa volentieri, balbettava... aveva crisi di panico nei luoghi affollati... al giorno d’oggi sicuramente diremmo che è la sindrome di questoquello, ma a quei tempi… Lui stava molto sulle sue e faceva questa cosa, che a me non è mai piaciuta… cioè si cancellava spesso. Magari per un mese scriveva cose fantastiche, fantasie di monache lesbiche, poi un mattino gli saltava il ticchio… cancellava tutto. Magari perché qualcuno gli aveva lasciato un commento livoroso (lui però li bloccava, mi pare), oppure gli era venuta la crisi mistica... Io quelli che fanno così... non li ho mai compatiti veramente. Voglio dire, o fuori o dentro, trovate un vostro equilibrio. Però non voglio fare polemica. L’ultima polemica la feci col Tommaseo, mi pare nell’Ottocentoquarantavattelapesca… quanto a Manzoni, era un altro che non usciva di casa volentieri, aveva crisi di panico nei luoghi affollati…

No, all’inizio no, non c’erano classifiche. Non avremmo saputo cosa conteggiare. Dovete capire che con la tecnologia di allora anche una cosa che per voi sembra scontata… non so, lincarsi. Io per lincare un post di Luigi Settembrini dovevo scrivergli fermo posta, e sperare che filtrasse il firewall austroungarico. Le polemiche sullo sbarco dei Mille, poi, francamente… non si poteva fare liveblogging da Marsala, mettetevelo in testa. I borbonici avevano bloccato il protocollo postale, non avevamo né piccioni né segnali di fumo, e poi c’era questo piccolo particolare che dovevamo scannare nemici a mani nude perché avevamo lasciato i fucili a casa. La prossima volta portatevi l’Iphone, cosa volete che vi dica. I giovani la fanno sempre facile.

Lo devo ammettere, all’inizio il telegrafo mi spaventava. Temevo che uccidesse il blog, lo avevo anche scritto… un post dal titolo il blog è morto. Mi davano soprattutto noia quelle abbreviazioni, anche inglesi, SOS per Salvate le Nostre Anime, che roba è? E poi tutti quegli stop a fine frase, stop, stop, stop… insopportabili. Ma davvero ero convinto che il futuro sarebbe stato sintetico, che quelli che amavano le pagine lunghe e complicate, come le mie, fossero condannati… magari chissà avevo pure ragione… nei tempi lunghi…

Invece Marconi lo adoravo. Mi ricordo quando fece quella presentazione, a Londra… tutti si immaginavano un gadget portatile, magari un telegrafo palmare, ma chi si poteva immaginare un congegno wireless nell’Ottocentonovanta… dico bene? O novantacinque? Va bene, insomma, adesso in che anno siamo? No, fa lo stesso, un anno vale l’altro.

Ma ve l'ho detta quella volta che sono andato a Bologna, perché volevo vedere un blogger, come si chiamava... Entro in un'osteria e..."
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A proposito il blog è morto

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In azzurro il 2012, in arancione il 2011.

Consuntivo 2012

Sono contento che sia finito, è stato un anno difficile. Controintuitivamente, considerati gli impegni professionali, le responsabilità famigliari, le calamità naturali, è stato un anno in cui ho scritto molto. Molto anche per i miei standard, che sono già patologici. Questo bisogna sempre ricordarlo, perché siamo a fine 2012, internet ormai è diventato lo spazio tra un social network e un altro; i messaggi brevi stanno soppiantando i video che avevano soppiantato i pezzi lunghi; in questa fase un tizio che scrive duecento post lunghi all'anno, una media di due ogni tre giorni, è fuori da qualsiasi statistica, e quindi le sue statistiche sono una mera curiosità.

Se questo piccolo sito fosse un'impresa, questo consuntivo non sarebbe un bel momento. Cari dipendenti, continuiamo a produrre di più (post) e a ottenere meno (accessi). Gli accessi in particolare credo siano almeno tre anni che continuano ad andare giù, nel 2012 di un 15% rispetto all'anno precedente, che succede? Niente, è finita la moda dei blog e la gente ha smesso di scriverci sopra. Quasi tutti i blog con cui ci si lincava nel 2002 sono chiusi. Il traffico tra un blog e l'altro si è quasi ridotto a zero. Negli anni ruggenti veicolava ben più del 15% degli accessi, così magari il problema è tutto qua. Oppure scrivo più cazzate, già l'anno scorso mi ricordo che qualcuno avanzò questa ipotesi. Non è che io non l'abbia presa in considerazione; è solo che la correlazione più cazzate = meno accessi resta tutta da dimostrare. Stiamo qua a porci problemi di stile e contenuto e magari semplicemente google mi ha tolto una frazione di ranking sicché mi arrivano meno utenti nottambuli in cerca di foto di Di Caprio, va' a sapere.

In realtà sta cambiando tutto. Fino a qualche anno fa l'utente-tipo di un blog come questo era un abitudinario, che passava regolarmente 3-4 volte alla settimana, oppure si abbonava ai feed, e poi si leggeva tutto, o quasi. Questi utenti-tipo esistono ancora, però sono in diminuzione; il che dimostra la loro sanità mentale perché sul serio, non ha senso leggere tutto quello che scrivo io. Ogni tanto ne trovo ancora qualcuno che mi dice: ti ho letto per dieci anni, ma adesso non ce la faccio più. Come se il problema fosse che hanno smesso, a me sembra incredibile che siano durati per dieci anni. Io non ce la farei a leggere le opinioni di un tizio per dieci anni. Poi cosa vi aspettate, di andare ancora d'accordo con me? Vi è mai capitato di andare d'accordo con uno per dieci anni? Ma neanche con la mamma. Io per dire il tizio che scriveva i miei post nel 2003 non lo seguirei, anzi scapperei lontano. In effetti questo tipo di lettori-aficionados sta diminuendo, e chi scappa non viene rimpiazzato. C'è un gap generazionale, questo è un blog leggibile credo fino ai nati nell'ottantacinque, chi arriva dopo secondo me vede soltanto una lunga serie di incomprensibili segni neri tra un'immagine e un'altra.

Invece il nuovo lettore-tipo è un tizio che sta perlopiù su facebook, o su twitter, o su altri social più esotici, e tra un messaggio e una partita a farmville magari si ritrova in bacheca un link che sembra interessante: clicca e si ritrova qui. Questo potrebbe spiegare perché, se diminuiscono gli accessi, in compenso aumentano i picchi, ovvero quei momenti in cui molti utenti arrivano sul blog, attirati da un titolo o dal contenuto di un pezzo. Tanto che i pezzi più cliccati del 2012 sono anche quelli più cliccati del biennio 2011-2012.

07/mag/2012, 146 commenti
05/giu/2012, 34 commenti

16/ott/2012, 88 commenti


04/mar/2012, 64 commenti
18/gen/2012, 35 commenti


Poi se vogliamo parlare di qualità parliamone, è calata. Grazie tante che è calata, praticamente ormai questo è un blog che si scrive in sonnambula. Mi capita sempre più spesso di visitarlo con curiosità, trovare un pezzo (magari quello in cima) e mettermi a leggere perché non ho la minima idea di dove vada a parare, l'ho finito in trance alle tre del mattino e non mi ricordo come.

Poi ci sono altri fattori, per esempio: su 230 pezzi, 60 sono agiografie per il Post, che stanno andando bene (sul Post) e hanno trovato un loro nucleo di lettori fedeli che ringrazio, mentre invece su questo blog non se le filano in tantissimi. E ci sono anche quei 50 pezzi per l'Unità, anche loro concepiti per un pubblico un po' diverso. Forse il problema è che questo sito sta rapidamente cambiando la sua identità: fino a tutto l'anno scorso era ancora un blog vero e proprio, con uno stile vario ma riconoscibile. Negli ultimi mesi è diventata la bacheca personale di uno che scrive in tanti posti (tant'è che c'è gente che si lamenta: ma come, anche qui, ma basta). Lo so che era più bello prima. Tutto era più bello prima, però dopo dieci anni e più bisognava anche cercare di fare qualcos'altro, darsi degli obiettivi.

Non è neanche una questione di soldi, che sono sempre veramente pochi, così pochi che discuterne, oltre che ineducato, è persino ridicolo. Il 2012 è stato l'anno dell'arrivo in Italia dell'Huffington Post, che peraltro io leggo poco e anche voi; ma non importa: importa la filosofia che l'HuffPo sottende, e che si può sintetizzare in "scrivi gratis e ringrazia". Io non ce l'ho con chi scrive gratis, ci mancherebbe altro. Non credo che la produzione di opinioni gratis su internet possa abbattere il giornalismo, quello vero, fatto di inchieste sul campo. Sono ancora il primo a meravigliarmi che alcune mie opinioni, in determinati contesti, possano avere un prezzo. Non è una questione di soldi, è un tentativo di sembrare, dopo tanti anni, un po' professionale in quello che faccio. Mi pare che ancora non ci siamo. Però la strada è questa.

È stato un anno complicato, in cui ho scoperto che in situazioni di forte stress la mia risposta è chiudermi in casa e scrivere di più. Ho anche pubblicato una specie di libro, mi sembra già passato un secolo, ho paura a rileggerlo. L'anno prossimo dovrei continuare con i santi, aggiungere un po' di recensioni sui generis, invocare la distruzione di Cologno un paio di volte al mese, e altre cose che francamente non lo so, inventerò. Ma se vedete che scrivo poco non preoccupatevi, vuol dire che magari ho trovato un altro modo di star bene. Un grazie a tutti quelli che sono passati di qui e che ripasseranno, con moderazione mi raccomando.
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Apocalyptic coming out

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Tutta qui la fine del mondo?

Come sapete il 21, venerdì, il mondo potrebbe finire a causa dell'impatto di un meteorite / o di un allineamento astrale / o per via che i Maya avevano finito i nomi da dare ai mesi astrali sul loro calendario. Anche se è veramente molto improbabile.

Come sapete il 21, venerdì, in tutto il mondo migliaia di persone che hanno propalato la bufala della fine del mondo prevista dai Maya, approfittandone per vendere libri e film, chiederanno in diretta scusa ai milioni di persone, perlopiù ragazzini, che hanno spaventato (in alcuni casi portandoli al suicidio); e restituiranno tutto quello che hanno guadagnato. No, scusate, questo è ancora meno probabile del meterorite.

E poi non è tutta colpa loro, via. Io ho la sensazione che tutti noi, adulti, responsabili, abbiamo ampiamente sottovalutato il problema. Lo stiamo tuttora sottovalutando, lasciando per esempio che Giacobbo mostri ancora la sua faccia in televisione. Ho la sensazione che in un Paese civile, dove il concetto di civiltà sia finalmente fatto coincidere con quello di responsabilità, responsabilità nei confronti dei nostri vicini e in particolare dei più piccoli... Giacobbo non avrebbe più nessuna faccia da mostrare in televisione, da un bel pezzo. Noto che mentre scrivo queste parole la mia tastiera fa più rumore, le dita non ci possono fare niente ma sbattono con più forza, c'è senz'altro un potenziale di rabbia repressa mentre scrivo e non dovrei riversarla sui contenuti, ma non so cosa farci.

Giusto oggi - mentre per l'ennesima volta, in una classe di tredicenni, ricordavo a tutti che l'apocalisse Maya è una bufala, condividendo l'ottimo e utile memorandum di Paolo Attivissimo - una ragazza, non piccola, non stupida, ha ammesso che la paura dell'apocalisse qualche notte non l'ha fatta dormire. Moltiplicate queste ansie per milioni di teenager in tutto il mondo e avrete il senso delle dimensioni della cosa che è successa, della cosa che noi adulti e genitori abbiamo lasciato che succedesse, perché non ci siamo presi una mezz'ora ogni tanto per ribadire che Giacobbo & co. erano imbroglioni e truffatori. Poi davvero mi piacerebbe capire perché chiunque conosco sarebbe pronto a spaccare la faccia a chi adesca il suo bambino con storie truffaldine gettandolo in uno stato di ansia, e tuttavia Giacobbo può avere terrorizzato un'intera generazione senza che nessuno abbia fatto un plissé. Per ora non mi resta che aggiornare il vecchio adagio: se spaventi un bimbo inutilmente sei un mostro, se ne spaventi un milione e ci fai soldi sei una realtà economica con la quale bisogna fare i conti, tant'è che noi per tenerci i programmi di Giacobbo nel palinsesto della tv pubblica (compreso quello esplicitamente concepito per gli adolescenti) abbiamo pagato il canone. E tuttora lo facciamo.

Parte della mia rabbia, oltre che da zone discutibili della mia personalità (i miei studenti dovrebbero avere paura di me, non dei calendari di una civiltà decotta già al tempo dei conquistadores) sorge dai miei ricordi di preadolescente, che la professione mi aiuta a mantenere un po' più vividi. Ne approfitto così per fare il mio coming out (tanto venerdì sarà tutto finito, no?): anch'io sono stato ragazzino, anch'io ho avuto paura della fine del mondo che a quei tempi si situava tra il 1999 e il 2000, inoltre c'era la transizione dall'era dei Pesci a quella dell'Acquario - ma non pensiate che io ne abbia mai parlato con qualcuno, o che io abbia interrotto il mio insegnante di allora per ammettere che sì, la cosa mi disturbava il sonno. No, me ne sono rimasto zitto e angosciato per mesi che sono diventati anni: credo che sì, che io abbia passato anni ad avere paura della fine del mondo; poi per fortuna è arrivata l'acne e l'importanza del destino dell'universo nella mia vita ne è stata notevolmente ridimensionata - ugualmente, ritengo che nessuno debba essere esposto ad angosce simili. Può darsi che siano residui di qualche atavica nevrosi collettiva; può darsi che sia una sindrome universalmente diffusa tra i preadolescenti; può perfino darsi che sia alla base della nascita di culti e religioni tra le quali quella che va ancor oggi per la maggiore in Italia - questo non significa che agli adulti debba essere consentito di specularci su.

E forse un'altra parte della mia rabbia sta nel fatto che io tutto sommato non ho mai smesso di crederci, uno alla fine continua sempre a star male per le due o tre cose che lo facevano star male tra i dodici anni e i sedici anni, e sono cose stupidissime, chitarre bruciate in stufe a legna, inversioni della polarità terrestre. Se oggi ci dormo benissimo, con la paura della fine del mondo, è solo perché nel frattempo il mondo mi è molto sceso nella considerazione: per dirla con Leopardi: questo è quel mondo? Questi i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi? Per dirla con la Vanoni: è poi tutto qui? Perché se è così, vabbe', vediamoci pure l'apocalisse Maya. O forse no, I am not ready for that final disappointment...

Diversa dovrebbe essere la condizione dei ragazzini: loro ce l'hanno ancora tutto davanti, il mondo, dovrebbero tenerci in modo particolare, incazzarsi con chi minaccia di farglielo sparire. Ma ecco, questa è forse la cosa più inquietante, che ha a che vedere con una certa scomparsa dei colori vivaci nelle aule, con la tendenza a lasciare in negozio tutti gli zainetti colorati dei miei tempi e ad andare in giro con certi eastpak neri e verdi militare, rigorosamente tinta unita, una sobrietà che in anni meno critici avrei apprezzato, e adesso mi spaventa. E i discorsi che fanno, gli occhi in cui ti guardano, certe volte hai la sensazione che parecchi di loro nell'apocalisse Maya ci stiano sperando, ci stiano contando. E questo mi fa paura, più di una fine che se viene sarà molto rapida e non lascerà nessuno a porsi dei problemi.
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Tredici mesi in paradiso

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Santi agiografati per nazionalità
1° novembre - Tutti i Santi

Oggi, come ben sapete, è la festa di tutti i santi, in cui, secondo la più genuina tradizione italiana ci si lamenta del fatto che Halloween non sia una tradizione italiana. Poi uno va a vedere e scopre che distribuivamo dolci e intagliavamo le zucche fin dal medioevo. Ne abbiamo parlato già l'anno scorso, non vorrei ripetermi troppo. Il primo novembre è anche l'ovvio onomastico di questo blog, che a tutti i santi è dedicato: quale occasione migliore per fare un bilancio dei primi tredici mesi assieme?

Per prima cosa: grazie. Grazie ai redattori del Post, per l'ospitalità e la sollecitudine; al direttore che mi ha lasciato praticamente carta bianca, senza sapere dove sarebbe andata a parare la cosa, visto che all'inizio non lo sapevo bene neanch'io. Ma soprattutto grazie a voi lettori, mi è più comodo dirvelo oggi che non vi è possibile rispondere nei commenti: grazie, siete matti, grazie. Non so esattamente quanti siate, magari non tantissimi, ma siete veramente affettuosi ed entusiasti, in un modo che a volte m'imbarazza. Non so se si è capito, ma chi scrive queste storie non è esattamente un esperto, anche se sperava di farsi una cultura strada facendo, ma poi è stato un anno difficile, urla di bambini nel cuore della notte, e poi la crisi, le cavallette, il terremoto... vi meritavate un agiografo migliore. Più professionale, diciamo. Magari col tempo, con l'impegno. E ora vediamo il consuntivo.

In 13 mesi (400 giorni, più o meno) ho scritto 70 pezzi. Pensavo meno. 69 sono stati dedicati a ricorrenze del calendario cattolico, uno a Steve Jobs (ci entrerà, ma è ancora un po' presto). Considerato che la Madonna si è presa da sola quattro pezzi (Rosario, Loreto, Fatima e Assunta, e non siamo neanche a metà), in tutto abbiamo ospitato 11089 santi, più un numero imprecisato di neonati fatti ammazzare da Erode. Se dal conto togliamo anche le diecimila leggendarie vergini di Orsola, e i 25 compagni di Paolo Miki (loro purtroppo realmente esistiti, e realmente crocefissi), si raggiunge la più ragionevole cifra di 64 santi (62 santi e due beati): 17 donne, 46 uomini, un pezzo di legno. Su 17 donne, cinque si chiamavano Maria, tre Teresa; tra i maschi il nome più frequente è Giovanni (4 se contiamo anche Francesco d'Assisi, che sul certificato di battesimo si chiamava così: e mi è sfuggito il Battista). Sono ovviamente pochi rispetto alle migliaia che ormai popolano il martirologio romano. Ma il vero guaio è che sono anche mal distribuiti (continua sul Post...)
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In diretta a Radio Popolare Roma, tra un po'

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Tra qualche minuto (ore 9.00) - e mi dispiacerebbe interrompere Cat Food dei King Crimson - dovrei parlare in diretta a Radio Popolare Roma, credo a proposito di terremoti ed emilianità, due argomenti che se vi hanno stracciato vi comprendo. Potrebbero sentirsi pianti e starnuti selvaggi in sottofondo, è per aggiungere realismo.
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E le anatre di Riva, d'inverno?

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Anche quest'anno alla fine riuscirò a essere a Riva del Garda per la Blogfest, che comincia oggi. Io a dire il vero fino a sabato pomeriggio non ci sarò, poi magari mi troverò al lido (quel semicerchio che vedete nella foto) a bere qualcosa con gente che non vedo da mesi o anni e magari abita dietro casa mia, ma per qualche perverso motivo è più facile incontrare a Riva del Garda. Alle nove andrò alla premiazione nella Rocca tifando vari blog, tra cui il mio, che concorre per Miglior Sito, ma tanto vincerà Spinoza e io applaudirò. Alle undici andrò a consolarmi alla Spiaggia degli Olivi dove Fabio De Luca mette su i dischi, ma non ballerò perché ormai sono patetico, a meno che non veda molta gente patetica almeno quanto me: il tipo di gente che ormai trovo solo alla Blogfest, e vi amo. Comunque non farò molto tardi.
Il mattino dopo alle 11 c'è il writecamp: dovrei parlare una manciata di minuti e presentare La Scossa, il libro di cui forse avete già sentito parlare. Ma in generale il writecamp vale la pena. Poi andremo tutti a mangiare i canederli o come si chiamano.
In tutti gli altri momenti potrei essere un po' dappertutto, ma più facilmente a osservare le anatre nel fossato della Rocca, o dall'altalena che è lì nei pressi, se non sbaglio (se hanno tolto l'altalena, quest'anno è veramente un grosso problema).
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Contro Spinoza vota dinosauro

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Miglior sito
Questo è il pezzo in cui come tutti gli anni ringrazio i visitatori così gentili da avermi voluto candidare ai Macchianera Awards, quelli che si consegnano a Riva del Garda sabato 29 settembre durante la Blogfest. Benché le possibilità di vincere qualcosa siano sempre più esigue, io a Riva cerco di esserci; domenica 30 forse riesco anche a presentare il famoso ebook.

Questo è insomma il solito pezzo, però il 2012 non è stato il solito anno; è stato piuttosto particolare e in alcuni momenti piuttosto difficile. Tra alti e bassi ne ha sofferto anche il sito, che in certi momenti è diventato il semplice segnalibro di quello che stavo scrivendo altrove. Il fatto che in mezzo a tutto quello che succede qualcuno si ostini ancora a votare per me è il segno di una considerazione e di un affetto che non sono sempre sicuro di meritarmi. Nel dubbio, comunque, votate per me! Non mi offendo, sul serio.

Una sfida sul filo di lana
Anche perché, ehi, nessuno se n'è accorto, ma io l'anno scorso sono arrivato secondo nientemeno che nella categoria "miglior sito", per dare finalmente il benservito a Spinoza mi sarebbero bastati altri seimila voti, bruscolini. Quest'anno potrebbe essere la volta buona: se invece di disperdere i vostri voti volete semplicemente abbattere Spinoza, il cavallo più quotato resto io, pensateci. Non fatelo per me. Fatelo perché vi siete rotti i coglioni di vedere Bonino e Stark sulla pedana dei premiati, dai, si sono rotti i coglioni anche loro, non sanno più che faccia fare, che cosa dire, abbiatene pietà, votate Leonardo! Un sito senza battute, pensate, nel 2012 è possibile! Ok ci ho provato.

Di solito a questo punto metto la soporifera lista di consigli di voto (una pratica ai limiti del regolamento), ma il solerte Many mi ha preceduto anche in questo, risparmiandomi/vi un sacco di tempo. Quest'anno finalmente non è più necessario votare tutte le categorie (e meno male, ce n'è di assurde) ma solo venti. In un anno in cui non ho aggiunto né un feed né un bookmark, l'unica novità che mi sento di segnalare è, nella categoria miglior Blog televisivo, Glenville, il blog di Gregorio Paolini; che parla di tv, sì, come tanti altri, ma a differenza di tutti gli altri lo fa da operatore del settore, in una prospettiva professionale, che è quella che in generale mi piace di più. Mi sembra di aver sempre preferito i blogger che parlavano del loro mestiere, e mi sembra che ce ne siano sempre stati tragicamente pochi. Ultimamente poi siamo pochi in generale - non provate anche voi questa sensazione?

Questa Blogfest potrebbe anche essere l'ultima volta a chiamarsi così; la B di blog è già uscita dalla sigla dei premi, che adesso si chiamano MIA (fino all'anno scorso MBA), e riguardano sempre meno la blogosfera e sempre più internet in generale - ma a chi la racconto. No, è che adesso tira twitter, ha da passare anche questa nottata (a me poi sembra che twitter sia l'eterno secondo, è una vita che ci prova ma non ce la fa veramente mai, ma certamente mi sbaglio). Insomma io a Riva ci vado anche a fare il dinosauro, già l'anno scorso una ragazzina sul lungomare mi vide cercare il tasto canc su un macbook e mi chiese Ma tu perché sei qui, e io: gareggio per il miglior sito, e lei: no, vabbe', adesso seriamente. Ecco, sono momenti che ti aiutano a mettere tutto nella giusta prospettiva. Grazie a tutti ancora, e ci si vede a Riva (oppure altrove).
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"Iatta iatta"

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Per farti perdonare

Fine del ragionamento, chiedo scusa se è durato troppo ma comunque in agosto non legge quasi nessuno. Rimane da segnalare un fenomeno che, considerate le premesse, potrebbe apparire piuttosto paradossale: quest'anno sto cantando molto. Moltissimo. Probabilmente non ho mai cantato tanto nella mia vita come in questo 2011/12. E ho anche ascoltato tantissima musica, con attenzione e partecipazione, al punto di impararla - non mi succedeva da anni - a memoria. Il fatto si spiega con la nascita di una Creatura, più o meno un anno fa: non più un bambino interiore, ma, lo si è capito abbastanza presto, ugualmente affamato di musica. No, non esattamente di musica: purtroppo Rossini lo lascia freddo. Di canzoni. Con le strofe e i ritornelli al loro posto. Meglio se cantate da voci bianche. In mancanza di meglio, anche dal falsetto di papà. Un falsetto che si è rifatto sentire, molto roco, per la prima volta nel secolo.

Non mi piace parlare di genetica, io mi rifiuto di credere alla genetica anche quando è evidente, perché la genetica non ha nessun bisogno di me per funzionare. (Lavoro nella scuola pubblica, sono un avversario della genetica: cerco di insegnare a leggere a quelli a cui non viene naturale, lotto per la redistribuzione democratica dei talenti, perdo regolarmente ma è il mio mestiere). Certo è bello quel momento in cui ti accorgi che una piccola Creatura che nulla sa fare al mondo a parte piangere, cessa all'istante se ascolta una melodia. Meraviglioso è poi il giorno in cui ti accorgi che cessa soltanto con una melodia; le altre non le vuole; insomma ha già un gusto musicale; già molto meno meraviglioso è il mese successivo, in cui ti tocca cantare 15 volte al giorno la stessa melodia; molto duro a passare quell'anno in cui il bambino non più interiore ha deciso che in macchina ci può anche stare, purché si ascolti un disco solo, solo quello, a rotazione, per sempre.

Così l'anno che termina con questa mia geremiade sulla musica-che-èmmorta è l'anno in cui io ho ascoltato, davvero (prima con imbarazzo, poi con fastidio, poi con odio, poi con rassegnata partecipazione) il Meglio dello Zecchino d'Oro, un disco che racchiude le migliori prestazioni ottenute da un serraglio di bambini sottoposti a un training che oggi si configurerebbe come reato, e dei più odiosi; nonché la viva e pulsante testimonianza di un periodo storico in cui anche per suonare mazurke infantili era richiesta una solida formazione musicale. Più volte, conducendo la mia famiglia in autostrada, verso vacanze o in fuga da terremoti, mi sono ritrovato a studiare lo sfolgorante attacco di tromba del Topo Zorro, l'incedere tanghero del Caffè della Peppina, gli sleghi furtivi del basso che cavalca ne Il Lungo il Corto e il Pacioccone. Fino al flamenco beffardo di colui che ho elevato a mio eroe e punto di riferimento esistenziale, il Torero Camomillo, matador senza paura e senza vergogna che se il toro si avvicina "lui schiaccia un pisolino e non ci pensa più". Così come io vorrei, di fronte al palesarsi di ogni minaccia e scossa tellurica, intrepido addormentarmi.

Non è che mi sia arreso facilmente. Si scontrano, in quell'abitacolo, due bambini con ossessioni simili e in conflitto. Quello che ha ancora per poco il controllo dell'autoradio ci ha provato, a tagliare lo Zecchino con qualche altro materiale più prezioso: in fondo Astrud Gilberto è una bambina anche lui. Un'Agua de Beber tra Non lo faccio più e Volevo un Gatto Nero passa quasi inosservata. Anche la Ruggiero è ammissibile, purché sia la Gatta di Paoli. E il Quartetto Cetra, se si sbriga a vocalizzare. Ma se il preludio strumentale passa i dieci secondi, implacabile si leva dal loggione un urlo di intensità crescente, Iatta Iatta, vagamente traducibile in "Un'altra, un'altra canzone [desidero ascoltare in luogo di codesta]".

Ho setacciato i vecchi cd, gli archivi accumulati in dieci anni senza sapere per chi, e ora forse è chiaro il perché. Ho trovato i Gufi e i canti delle Mondine. La giovane Mina per qualche minuto è tollerata. La Vanoni con Ma mi resiste per due strofe. Ho ritrovato la Fiera dell'Est, e già che c'ero la Pulce d'acqua, che l'ombra mi rubò
e tu ora sei malato
e la mosca d'autunno che hai schiacciato
non ti perdonerà.
Sull'acqua del ruscello forse tu
troppo ti sei chinato:
tu chiami la tua ombra, ma 
lei non ritornerà.
Così in definitiva credo che la musica per me sia finita perché non ce ne sta più: il mio unico archivio è il cervello, dove 33 giri, Cd e anche mp3 non suonano molto diversi, mi dispiace, ma è così. Non dovrei lamentarmi, ho avuto a disposizione tantissimo tempo per immagazzinare, ora si tratta di restituire. Forse sono in ritardo, il mio falsetto non è più quello di una volta, ma finché tiene. Mi sono chinato forse troppo, a cercare ombre che non mi sarebbero comunque servite: adesso è il tempo di cantare. Se mi sentite in giro, non ridete più di tanto: alla fine è il mio destino, probabilmente sono nato per questo. È la pulce d'acqua che l'ombra ti rubò: e tu ora sei malato; e la serpe verde che hai schiacciato non ti...

"Iatta, iatta"
E allora devi a lungo cantare per farti perdonare; e la pulce d'acqua, che lo sa l'ombra ti renderà.

"Iatta, iatta"
"Va bene, adesso parte il Pulcino Ballerino".

(Grazie e alla prossima).
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Dove andiamo da qui?

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A queste confessioni di uno scaricatore non voglio mettere la parola Fine prima di aver dato almeno un po' di spazio al dubbio: e se avessero sempre avuto ragione loro, i nemici? I legittimisti del copyright, i mistici dell'analogico, i feticisti del vinile, gli Odoardi del Novecento, con le loro collezioni di LP ricche e scelte. A parte che definirli nemici è già una grossa forzatura: non volevamo mica far loro la guerra, men che meno annientarli, anzi: in linea generale noi Parassiti eravamo contenti che ci fossero, e che fossero tanti. Più fessi continuavano a svenarsi per pagare, più ci sarebbe stata musica in giro; e in mezzo a tanta musica, anche un po' di quella buona. (Come se poi a noi fosse piaciuta soltanto quella buona; no, al nostro bambino interiore piaceva anche quella scema, purché la confezione fosse professionale). Su un punto però non transigevamo: erano fessi. Spendevano per qualcosa che era gratis, che era libero. Vivevano di sensazioni immaginarie, ancora negli anni Zero continuavano a mettere in funzione quel vecchio catafalco circolare con la puntina analogica, autoipnotizzandosi al punto da non sentire più il crepitio dei solchi e da convincersi che le tracce digitali dei CD DDD suonassero peggio. E vabbe', tanta gente c'è che compra i libri o i giornali ormai solo per annusarli, ed è ancora utile che ci siano, fanno girare l'economia, che ormai gira solo perché c'è un po' di sabbia nel meccanismo: non si è ancora capito come girerà quando sarà tutto digitale.

Erano feticisti, sì, vivevano di sensazioni illusorie e involucri colorati: e invece noi? A furia di disprezzare la qualità, di considerarla un aspetto secondario, forse abbiamo perso per strada la musica. Forse la musica non abbiamo più voglia di ascoltarla perché sono anni che la assumiamo liofilizzata, in compresse che non sanno di niente, all'inizio forse credevamo di sentire qualcosa, ma ora davvero no, più niente. Anche le canzoni che ho amato negli ultimi anni - e ne ho amate - se le metto assieme mi accorgo che sono piatte, male arrangiate, tirate via (volutamente, ma ormai in certi ambiti si è proprio persa la nozione della qualità: i migliori artisti figurativi contemporanei, anche sforzandosi, un Tiziano non riuscirebbero a fartelo). Che differenza con gli arazzi sonori che era quasi inevitabile ascoltare nei Novanta, qualsiasi genere tu frequentassi: c'era una profondità che non c'è più, perché negli mp3 non passava. Però

Però nel frattempo i fessi si sono riorganizzati. Negli ultimi anni le vendite dei vinile sono decollate, senza altra spiegazione salvo quella del puro e semplice dandismo: il vecchio catafalco a cavallo per il gusto del vecchio catafalco a cavallo, qualcosa di scomodo, che ti fa perdere tempo. Ma forse la musica è esattamente questo: perdere tempo. Se l'assumi a compresse non funziona. Magari ti nutri, ma non la gusti. A quei buffi tizi nelle carrozze a cavallo, a loro la musica però piace ancora. In tutti questi anni hanno continuato a frequentare una profondità che io non riesco nemmeno più a percepire.

Io nel frattempo ho buttato via l'ultimo ricordo vergine che mi è rimasto. È successo una qualsiasi mattina d'estate, quando all'improvviso il mio bambino interiore si è messo a scandire con più chiarezza una cosa che mi aveva cantato altre volte: una specie di uerdouigò frommì, uerdowego from he, where do we go from... here? La stringa. Avevo trovato una stringa. Il bambino che che vent'anni prima non sapeva l'inglese lo aveva in qualche modo miracolosamente imparato, e adesso sapevo che quella canzone a un certo punto diceva: where do we go from here. Da lì in poi:

Un secondo e mezzo su google.
Erano gli America.
Avevo desiderato per più di vent'anni di ascoltare un pezzo degli America.
Una mezz'ora su eMule.
Ascoltato.
Fine della mia infanzia.

Di tutto un passato di sfumature e sensazioni, di ombre infinite e improvvisi bagliori, mi rimane un archivio di compresse, che perdono sapore appena cominci a succhiarle. E per cosa le sto conservando? Per chi?
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Più o meno connesso

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Io comunque stasera sono alla festa Democratica di Urbino, no, non all'incontro con Margherita Hack, ma a quello che viene dopo.


ore 22.15 FESTA IN DIRETTA. Tele2000 canale 16

e diretta web su www.unita.it
Le parole della Città Ideale: Informazione e Connessione - Serata Unita.it
Con: il Maestro Sergio Staino
Cesare Buquicchio, Giornalista e Coordinatore Unita.it
Giovanni Boccia Artieri, Docente Università di Urbino
Stefano Di Traglia, Responsabile Comunicazione PD Nazionale
Leonardo Tondelli, Blogger



Quindi se ho capito tutto sono anche visibile in tv (Tele2000 canale16).
Speriam bene.
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Booo! Ti stavi addormentando?

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La strada è l'ambiente più pericoloso che la mia generazione abbia frequentato. Ad altri è toccata l'eroina, l'AIDS ad altri ancora, ma se mi guardo intorno tutti quelli della mia classe che mancano all'appello si sono persi per strada: curve, frontali, attraversamenti, il mio cimitero privato è una carta stradale. Mio padre e mio zio gestivano il prontointervento, una volta al mese in media portavano nel cortile carrozze accartocciate in modi osceni, che un tempo erano state belle automobili e ora accatastate sembravano moniti di lamiera che avrebbero tolto al viandante per sempre ogni velleità di mettersi alla guida - e invece ho guidato anch'io, tantissimo: e quanti incidenti, quante crisi di sonno, quanta imbecillità, quanta fortuna ad essere ancora qua a raccontare. Pensare che a volte si tirava tardi solo per finire di ascoltare una cassetta.

Ma man mano che il decennio proseguiva, e i nodi si approssimavano al pettine, tutto diventava più rapido e necessario, e le cassette cominciarono a rivelare il loro aspetto funzionale: servivano a tenermi sveglio. Come agli aviatori le anfetamine, sì. E quindi che tipo di cassette erano, che tipo di musica serviva. Il puro e semplice chiasso, scoprii abbastanza presto, non funzionava. I Deep Purple a buco in rotazione addormentano esattamente come Bach, non per via dell'educazione classica del povero Jon Lord, ma perché dopo un po' il tuo cervellino si assuefa a qualsiasi rumore, purché costante, mia cugina a un concerto si addormentò sulle casse (dei Nomadi). Invece, se in mezzo a una fuga di Bach ci infili un pezzo dei Deep Purple, boom! Ti svegli. Devi addormentarti un po' per poterti svegliare di botto, c'entra qualcosa l'adrenalina, o i cicli del sonno, o che ne so. In sostanza si tratta di sottoporsi deliberatamente a una serie di choc. È una cosa molto più complicata di quanto sembri: si tratta di farsi le sorprese da soli, nascondere da qualche parte un bambino interiore che ti faccia Booo! Ma come fai a cascarci tutte le volte?

Oggi sapete benissimo come si fa: si preme il tasto della funzione random, o shuffle, o come si chiama sul vostro arnese. Vent'anni fa la cosa era più complessa, ma indiscutibilmente più divertente: si riempivano nastri di musica casuale. All'inizio si cominciava saccheggiando la propria stessa collezione di LP e cassette originali - ma questi nastri stuccavano subito, anche nella loro casualità assomigliavano ancora troppo a chi li metteva assieme, diventavano subito imbarazzanti come il suono della propria voce registrata. Erano ancora troppo simili alle cassette che facevi per la fidanzatina, salvo che ora la tua fidanzatina eri tu, era morboso.

Invece la musica rubata alle radio funzionava benissimo. Negli anni degli studi, quando la radio poteva restare accesa anche cinque o sei ore al giorno, tu lasciavi una cassetta nel deck, e quando sentivi roba interessante premevi pause, poi rec, poi di nuovo pause. Se pensate che la qualità sonora dovesse essere non ottimale, non sbagliate, ma ricordate a quanta musica compressa avete ascoltato negli ultimi dieci anni: credete che un radiorip su un nastro decente fosse di qualità inferiore? Vero è che spesso il nastro non era affatto decente, era un palinsesto sbrindellato inciso e reinciso decine di volte, perché dopo un po' la tal canzone non sorprendeva più e andava sovraincisa. Quindi sì, la qualità faceva schifo ma non era un problema. Ripensandoci, faceva schifo anche l'autoradio, e poi bisogna essere tamarri dentro per esigere alta fedeltà mentre sei al volante di un diesel, ma stattene piuttosto a casa ad ascoltarti la Royal Philarmonic in DDD. Non era la qualità il problema. Il problema era salvarsi la vita, restando svegli mentre la doppia linea di mezzeria cominciava ad accavallarsi, e a tal scopo l'irrompere di My generation nel bel mezzo di un Lied di Battiato, benché discutibile da ogni punto di vista minimamente estetico, funzionava. Era inoltre un furto, sia a Battiato che agli Who, ma di questo si è già parlato. Eravamo ladri gentiluomini, che rubavamo soltanto per tenerci svegli nelle lunghe notti di guardia al nostro destino, e ci contentavamo di copie scadenti, anzi.

Anzi dopo un po' si verificò un fenomeno interessantissimo (mi piace scriverlo a questo punto, quando anche gli ultimi superstiti del mio ideale pubblico stanno sonnecchiando), stavo dicendo, un fenomeno interessantissimo: cominciammo a preferire le copie proprio perché scadenti. Le canzoni acefale, senza attacco e prima strofa, perché hai cominciato a riconoscerle e registrarle dal ritornello. I fruscii, che aggiungevano alla canzone un qualcosa di caldo, di condiviso: era il suono dell'etere, la comunione ideale con gli altri cinque gatti che alle tre del mattino stavano ancora ascoltando la nastroteca di MondoRadio, quello che oggi sono i like o i commenti ai vecchi video su Youtube. L'irruzione del dj con qualche inutile parola, sempre sgradita, ma che al ventiseiesimo ascolto assumeva un senso arcano. Il crepitare di LP non tuoi e quindi automaticamente più fighi dei tuoi, i fruscii, i frastuoni accidentali, le improvvise irruzioni di liscio o di radio Maria o del pezzo sottoinciso che rifiutava l'oblio... Tutto questo a un certo punto sovrastò la semplice forma cassetta, divenne un flusso di incoscienza che ti teneva sveglio, sì, ma in un limbo informe e stratificatissimo. Era diventata arte, forse l'unica forma d'arte possibile. Era l'unica cosa intelligente che ascoltavi, o che vedevi. Era lo Zeitgeist, era tutto.

Era Blob.
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Parassita nei '90

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Manifesto dei finti pezzenti

Io, per tutta l'adolescenza e la giovinezza - quella fase così cruciale in cui il giovane Consumatore veniva scandagliato e monitorato e segmentato e targettizzato e sifonato - sono stato un pezzente. Un pezzente orgoglioso ed estremamente consapevole, anche un po' ipocrita, un fintopovero, un poser? La cosa era più complessa. C'è un personaggio dostoevskijano che a un certo punto attraversa una lunga seria di peripezie che ho dimenticato, ma in sostanza ha una necessità impellente, cogente, di denaro: ne va della sua vita, del suo buon nome, eccetera eccetera, e quindi lui attraversa steppe e taighe alla ricerca di questo denaro; forse a un certo punto commette anche un orribile delitto, eppure per tutto questo tempo conserva appeso al collo un borsellino con un rotolino di rubli che avrebbe risolto ogni suo problema, ma non lo può toccare, per una questione di onore, ecco, io ero un po' così: non è che mi mancassero i soldi, ma non li volevo toccare. Non mi facevano schifo, i soldi non mi hanno mai fatto schifo. Avevo invece per essi un profondo rispetto, in gran parte dovuto al fatto che non li stavo guadagnando io.

C'entrava tantissimo aver scelto un corso di studi che mi condannava quasi certamente a una carriera improduttiva e profitti modesti. Qui cominciavano ad annodarsi tutti i miei fallimenti futuri: invece di preoccuparmi di come fare a guadagnare, io negli anni della mia formazione ero ossessionato dalla questione di come risparmiare. Mi doveva sembrare più logico, più alla mia portata, chi lo sa. Poi studiavo a Bologna, un luogo dove gli studiosi delle scienze umane dividono il portico con gli accattoni e i pancabbestia, e questo deve avermi probabilmente ispirato tutta una serie di riflessioni, di quelle che si fanno mentre si corre a prendere un treno, e poi non ti mollano più fino a casa.

Insomma io in quegli anni in cui la mia generazione era nel punto di massima esposizione consumistica, nel punto in cui dai nostri consumi dipendeva un giro di affari e di indotto che valeva svariati punti del PIL, composi nella mia testa una specie di Manifesto del Pezzente, in cui in sostanza spiegavo che l'intellettuale (tipo io) è effettivamente un parassita della società, e che è normale che abbia comportamenti parassitari, come appoggiarsi sulle grate della metropolitana per scaldarsi - no, questo veramente lo fanno i barboni, ma secondo me avrebbero potuto farlo anche gli intellettuali, non ci vedevo nulla di male. Non mi lamentavo nemmeno, non è che accusassi il sistema di trattarci da parassiti: no, per me la cosa era abbastanza buona e giusta. Eravamo parassiti, facevamo le cose buone e cattive che di solito i parassiti fanno; segnalare i problemi, tenere pulito l'ambiente metabolizzando i rifiuti, eliminare le carcasse, dare il colpo di grazia a chi se lo merita. Un po' ci credo anche adesso, anche se non reclamo più l'etichetta di "intellettuale". Però per esempio quello che faccio qui, da tanti anni, è ancora una pratica parassitaria: mi nutro di cose che non mi appartengono, punzecchio, irrito, attacco i morti ignari (di essere morti), sono sempre quello lì. E non pretendo di essere pagato per fare queste cose, ci mancherebbe. Mi accontento di quel che riesco a trovare qua e là, un buon parassita deve sapersi accontentare.

D'altro canto essere parassiti negli anni '90 era uno stile di vita che poteva regalare soddisfazioni. Si trattava di comprare il meno possibile, approfittando senza nessuna vergogna - il parassita non si vergogna - della calda brezza che esce dalla grata, dell'enorme offerta culturale che arrivava nelle città, anche piccole. Stavano aprendo biblioteche bellissime; i comuni più illuminati gestivano fonoteche dove noleggiavano CD con sopra scritto "proibito il noleggio". D'estate si riusciva persino a trovare dei concerti notevoli, gratis. E poi ovviamente si duplicava, si masterizzava, si fotocopiava, senza vergogna e anche con un certo orgoglio. Si approfittava delle falle del sistema perché è questo quello che i parassiti fanno. Io sapevo perfettamente che fotocopiando un libro di un mio insegnante gli causavo un danno, e mi andava benissimo. Allo stesso modo non potevo ignorare che copiando un CD di un musicista gli toglievo un guadagno, e la cosa non mi creava nessun problema. Me ne crea adesso, forse perché non sono più un vero parassita, forse perché sono stanco di vivere di espedienti e mi piacerebbe obbligare degli studenti a comprare un mio libro, o essere iscritto a qualche albo che ogni mese mi versasse dei soldi per le opere di ingegno che senza dubbio da qualche parte avrei composto. Me ne crea adesso perché un conto è minare le fondamenta del sistema, un conto è trovarsi a vivere sulle fondamenta dopo che è davvero crollato: si rimane lì un po' perplessi, forse non volevamo davvero che finisse tutto, forse ci bastava soltanto punzecchiare qua, suggere là, per quanto ne dicessimo peste e corna ci eravamo affezionati, alla vecchia carcassa. Forse non ci aspettavamo di essere così tanti.

Ma in effetti non eravamo così tanti. Quel che ha veramente cambiato le cose, da un certo punto in poi, è stata la tecnologia.
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Lose This Skin

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Uno dei difetti strutturali del bloggare è che consiste nel definire regole generali partendo da osservazioni limitate, di solito autobiografiche. Si può fingere che non sia così, dissimulare; però alla fine bloggare significa scendere a far la spesa, stupirsi del prezzo delle zucchine, risalire, scrivere un post sul carovita. Questo è il blog, un posto dove un tizio che quest'anno non ha ancora scaricato un solo mp3 - neanche illegale! neanche gratis! niente - si lamenta perché in giro non c'è più musica buona. Magari ce n'è di buonissima, anzi senz'altro.

In realtà la notizia è tutta nella premessa, ed è una notizia molto intima, da diario privato: *io* non sto più ascoltando musica. È finita. Cioè. Non è vero. Ascolto la solita musica vecchia che ascolto tutti gli anni. Ma anche quella con un orecchio solo. La notizia è che a Natale ho sbattuto via un 'vecchio' laptop, e in quello nuovo non c'è il Mulo, non c'è torrent, iTunes fammi controllare... no (scusate, è che certa roba a volte s'installa da sola). Non sto ascoltando musica. I cd prendono polvere. I vinile l'ultima volta li ho visti nel solaio dei miei. Le cuffiette. Ne rompo ancora una al mese, la novità è che la ricompro due mesi dopo. In fonoteca non so più cosa prendere in prestito, mi sembra di aver ascoltato tutto. Dovrei oltrepassare delle soglie che non m'interessano, cioè un disco dei Jefferson Airplane va bene, è cultura generale, due dischi anche anche, ma io non voglio diventare un esperto dei Jefferson Airplane, nessuno mi pagherà mai, e non ne traggo altre soddisfazioni tangibili. Dovrei passare alla classica, era una svolta prevista a una certa età, ma mi sembra ancora presto e se provo qualche passo incerto mi vergogno di essere rimasto tanto ignorante tanto a lungo. Mi manca l'imprudenza, il coraggio che avrei se tutto questo m'interessasse davvero.

Insomma quando scrivo che la musica è finita, dovrei avere il coraggio di aggiungere: per me. C'è gente che la sta scoprendo in questo esatto momento, e ci scopre un giardino di delizie. Io non ci passo più, la scusa ufficiale è che non ho tempo. Ma ho tempo per cose che una volta erano meno importanti, meno vitali. Un tempo non avrei semplicemente resistito. Quest'anno devo ancora ascoltare una canzone nuova: nel mio diario personale questa è una notizia più rilevante del primo capello bianco. Non è semplicemente "sto invecchiando". Suona piuttosto "sono invecchiato".

Eppure è già successo. Sono fasi. Posso recuperarle con una precisione quasi maniacale perché niente, nella mia vita, ha trattenuto più segni del tempo della musica: ci sono stati mesi e anni in cui improvvisamente ho smesso di ascoltare musica, proprio come in questo già per altri versi apocalittico 2012. Ci sono stati  momenti in cui improvvisamente la musica che ascoltavo sempre non suonava più interessante. Potevano coincidere con cambiamenti di ambiente, di scuola o città o compagnie o fidanzata, o niente di preciso. La metafora migliore che mi viene è con la muta dei serpenti. La musica di sempre, quella che hai portato addosso con orgoglio - e ti serviva anche per mimetizzarti, o viceversa per risaltare in certi contesti - ti si desquama all'improvviso e tu resti lì, atono e scorticato, e non te ne frega niente. Tanto prima o poi cresce sempre un'altra pelle. Di solito è facile come svegliarsi al mattino, e scoprire che c'è di nuovo della musica che ti piace. Non sono soltanto artisti nuovi, nuovi generi: è il disegno delle squame che è cambiato. Nella nuova trama c'è posto anche per canzoni che amavi già; ma adesso le ami a un livello diverso; magari prima per il ritornello, adesso per la strofa, o l'arrangiamento, o la progressione, o la regressione, qualsiasi cosa. Sono periodi delicati. Molta musica che prima ti piaceva, da un momento all'altro potrebbe non piacerti più. E viceversa. Stai per scoprire mondi nuovi, ma stai anche per rinnegarne altri, è complicato.

Ma è anche bello: è il modo che alcune persone hanno di cambiare, di evolversi. Quindi succederà di nuovo, si tratta soltanto di aspettare e di non lamentarsi nel frattempo, di non generalizzare, perché là fuori probabilmente ci sono grandissime cose che tu non conosci: magari il 2012 sarà ricordato dagli storici musicali del futuro come un Anno Mirabile, non sarà il primo che ti sei perso in diretta. Insomma niente panico, aspetta - e soprattutto non scrivere di queste cose. Non scrivere di queste cose su un blog.

E se invece stavolta fosse finita? Non posso desquamarmi in eterno, e nemmeno evolvermi in eterno. Prima o poi si tirano i remi in barca, si prosegue per inerzia. Ma non è solo questo.

È che nel frattempo là fuori, oltre alle cose interessantissime che non riesco più a percepire, c'è una crisi commerciale e industriale. Strutturale. Quella altroché se la percepisco: non credo di avere assistito a una crisi da una postazione così privilegiata, tanto da aver pensato nel 2000 "ma per i negozi di dischi non c'è più speranza", e aver visto i negozi chiudere nel 2008 (e riaprire nel 2011 con più vinile che laser, ma quella è un'altra storia). Magari la musica no, ma il modo in cui la si è prodotta per 50 anni, quello è morto. Ammazzato. E pare che il colpevole sia io.
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Non ti sento non ti sento la la la

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Se canti questo allegro ritornello

Uno dei motivi per cui di solito quando parliamo di musica non ci capiamo è che in realtà ciascuno parla di qualcosa di diverso. Per alcuni è un linguaggio, per altri un museo, una tappezzeria, un sottofondo, il ritmo cardiaco, un carattere sessuale secondario. Devo dunque procedere a definire cos'è la musica per me. In generale, oggi come 39 anni fa la musica è per prima cosa un bambino interiore che al mattino mi strilla nelle orecchie che vuole ascoltare una canzone. E siccome nessuno gliela canta - di solito è un brano scemissimo ascoltato il giorno prima - me la ripete lui, a squarciagola, nelle orecchie, finché non cedo e mi metto a canticchiarla anch'io, di solito cedo tra gabinetto e cucina.

Questa è la musica per me. Un'ossessione. C'è sempre questo bambino che mi urla nel cervello un ritornello scemo, e io devo venirci a patti. Un sistema è capitolare e cantare quello che vuole lui, foss'anche il ballo del qua qua qua. Può effettivamente succedere che sia il ballo del qua qua, più l'inciso che la strofa. Se invece voglio resistere, combattere, non cedere all'attacco di Romina Power a massimo volume che in effetti potrebbe tranquillamente ricadere nelle forme di tortura sperimentate a Guantanamo, mi servono due tipi di munizioni. Ho bisogno di musica scema, molto scema, perché per esperienza un ritornello cretino può essere sconfitto entro la colazione soltanto da un ritornello ancora più cretino, la moneta cattiva scaccia la moneta buona, i Righeira hanno l'utilità di scacciare Howard Jones, ma poi ci si dovrà porre il problema di scacciare i Righeira, e su questa china se non ci si sa ritirare quand'è ora, molto presto ci si imbatte nel Brano Musicale Più Stupido Della Storia, il chiodo scacciatutto, che è... non ve lo dico. Ma so qual è.

Ho bisogno insomma di musica scema, nel corto periodo, perché sto cercando di placare un bambino interiore che grida e canta incessantemente. Ma ho anche bisogno di buona musica, nel medio-lungo termine. Musica leggera e un po' complicata, musica sofisticata, musica di qualità. Ne ho bisogno perché la prevenzione è meglio della cura, e l'unico modo per evitare che il bimbo intoni Nek domattina è escludere Nek dal mio paesaggio musicale, frequentare solo grandi artisti, finché il bimbo non capisce l'antifona e magari un giorno si sveglia con un'ouverture di Rossini, non chiedo mica molto, Rossini.

Ora forse posso far capire quanto è stato per me importante, vitale, trovarmi in una provincia in cui esistevano radio decenti, con dj magari imbronciati, magari non sempre professionali, ma che ascoltavano musica decente. Ancora oggi poche cose mi deprimono e disgustano come l'ascolto saltuario di una radio commerciale, coi suoi jingle scemi che voi vi dimenticate appena spegnete l'apparecchio, invece io no, io posso svegliarmi dieci anni dopo con in mente un jingle scemo di Albertino; non scherzo, è successo. Rivalutatelo voi Albertino, io quando lo vedo devo cambiar canale immediatamente, ne va della mia salute mentale. Una delle cose che più temevo del mondo del lavoro non erano le otto ore, non era la ripetitività, l'angustia degli spazi e degli orizzonti, no, è che in certi posti tu la musica la devi ascoltare, sei proprio costretto, e poi vai a casa e hai ore di Fargetta in testa e non te le leva più nessuno. Milioni di persone in Italia sono cresciute così negli ultimi 30 anni, e secondo me hanno riportato dei danni. Non voglio dire che abbiano perso gradi di intelligenza, o che gli sia irrimediabilmente precluso l'ascolto di Mahler, non voglio togliere loro il diritto di voto, quasi mai. Però secondo me un bambino interiore che canticchia ce lo abbiamo tutti, chi più forte chi più piano, e se per anni ha ascoltato Radio Utz Utz Utz o Radio Solo Musica Italiana Brutta, quel bambino ora ha dei grossi problemi, è un fatto.

D'altro canto anche questo sta finendo, le radio commerciali sono sempre meno muzak e sempre più chiacchiericcio (fastidioso ma meno frastornante), nei centri commerciali ci sono playlist dedicate di tutto rispetto, e comunque il più delle volte abbiamo le cuffiette e ascoltiamo quel che ci pare. Ma lo ascoltiamo davvero? Ma è ancora musica?
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In diretta su Fahrenheit?

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Ahem, tra pochi minuti, alle 15.00, se non è tutto uno scherzo, sono a una tavola rotonda in diretta a Fahrenheit su Radio3 con la Lipperini, Salvo Intravaia, un esperto della Fondazione Agnelli e altri. Si parla di formazione degli insegnanti, partendo da questo studio. Tenterò di commentare la cosa in diretta nei commenti, oppure forse qui (come viene viene).

(Update: ecco il podcast).

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Arriva la Scossa

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In breve: ho scritto un libro in formato digitale sul Terremoto. Lo trovate sul sito di Chiarelettere, costa tre euro. Quel che spetta all'autore verrà devoluto in opere di ricostruzione nel comune di Cavezzo.

Più in lungo: due mesi fa – ma sembrano secoli – i redattori di Chiarelettere mi contattarono per propormi di scrivere un libro in formato digitale (ebook mi fa un po' schifo, scusate). Io mi misi subito a proporre idee, loro dissero che erano interessanti ma... ma non era vero, era una pietosa menzogna, io di solito ho idee troppo bislacche per riuscire a farne un libro (sennò ne avrei già scritti parecchi, a questo punto). Ci stavamo ancora riflettendo, quando la terra si è messa a tremare. Per un po' non ci siamo sentiti, poi su un trenino che mi riportava dalle mie parti mi è suonato il telefono; quel che mi chiedevano lo immaginavo già. Sapevo anche di non esserne capace. Ma mica per modestia, eh.

È che scrivere un libro su una catastrofe naturale è già di per sé un gesto sconsiderato. Ma scriverlo durante la catastrofe naturale, col pavimento che ogni tanto dà una botta e non sai se è l'assestamento quotidiano o la vicina di casa che ha urtato i puntelli con la carrozzina – non è proprio possibile, capite, ti capita di scrivere che il tale campanile ha retto e il giorno dopo magari lo buttano giù. Poi ti sembra di fare lo sciacallo. Ma in realtà, semplicemente, sei in mezzo a una battaglia, e chi è in mezzo a una battaglia non ci capisce nulla, non ha la minima idea di dove stia andando l'avanguardia e dove stia arretrando la retroguardia, non può dirti il numero dei morti e dei feriti, vede solo della gente che spara e della gente che scappa ed è tutto. Però.

Però mi avevano chiesto di scrivere un libro; mi avevano dato un tema, una data di scadenza. È una vita che sogno una situazione così. Io tutto sommato scrivere so, ma non mi è mai chiaro di cosa dovrei scrivere, non sono mai molto sicuro di quel che interessa la gente. Un libro poi non è questa cosa eccezionale, oggi lo si può pubblicare anche in proprio, ma non è che mi interessi molto rifriggere gli sfoghi quotidiani in un altro formato. Quello che mi interessava era avere un committente. Uno che mi dica: questo è interessante, prova a scriverci su, mandami tutto entro il 29. Ho sempre sognato che qualcuno si facesse vivo e me lo chiedesse, e ora potevo dire di no? Ho detto di sì, ci provo. E ho scritto un libro. Il 29 era finito.

Attenzione però. Esce con Chiarelettere, ma non è un'inchiesta. Non credo di essere in grado di farne una, ma anche se lo fossi, era troppo presto: tutto stava ancora succedendo. Ci sono cose molto interessanti su cui ho preferito non scrivere niente, perché ancora non c'è niente di chiaro. Lo abbiamo notato tutti, per esempio, che i capannoni costruiti negli anni Cinquanta hanno retto bene e quelli degli anni Ottanta no; è ormai una nozione condivisa, però... però non potevo esserne sicuro, non c'è ancora disponibile un censimento dei capannoni danneggiati. È una sensazione condivisa, tutto qui, ma molti hanno anche condiviso la sensazione che l'INGV truccasse i dati della magnitudo, e che il transito di Venere davanti al Sole c'entrasse qualcosa. Mi sarebbe piaciuto essere più tecnico, tirare fuori dei numeri veri, ma sui quotidiani ogni giorno c'era una storia diversa; le biblioteche erano tutte chiuse. Di cosa potevo scrivere?

In realtà di cose da scrivere ne avevo fin troppe, come al solito, e anche per questo sono contento che qualcun altro abbia letto e sfoltito e corretto (mi hanno corretto le bozze! È un lusso per me) mettendo a fuoco il tutto. Ho scritto la mia descrizione della battaglia, da un punto di vista qualsiasi: gente che scappa, gente che resta in posizione, gente che attende ordini che non arrivano, e nel frattempo si scambia informazioni. Quasi tutte sballate. Ho scritto un libro sulla gente che parla di Haarp, di fracking, di guerra ambientale americana, di perforazioni che non ci sono mai state, di previsioni di terremoto che vengono pubblicate invariabilmente dopo il terremoto. Ho scritto un po' sull'emilianità, questo concetto inventato l'altro ieri che improvvisamente ha individuato in mezzo alla pianura padana una comunità di persone delle quali viene dato per scontato il coraggio, la tenacia, la capacità organizzativa – mentre qui nel mezzo della battaglia si vedeva gente che piangeva, smadonnava, panicava, eccetera. Ho scritto anche un po' di me, quel poco che serviva a mettere le cose in prospettiva. E ho fatto tutto molto in fretta, volevo che si notasse. Su questo terremoto si scriveranno libri migliori, inchieste coi fiocchi, tra qualche anno sapremo tutto. Mi piacerebbe però che questo rimanesse fresco come rimangono certi taccuini di combattenti, con tutti gli inevitabili errori di prospettiva. Ero troppo vicino per capirci davvero qualcosa, ma qualcun altro leggerà e capirà. Grazie.
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Alla padrona di casa

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Quando ti presi, in una piazza nordica dove soffia sempre il vento, un microclima, non eri che una piantina tra tante, un rametto nel germoglio delle mie ambizioni: mi ero appena intestato una casa con terrazzo, e nella mia fantasia il verde urbano rampicava già fino alle tegole. Mi dissero che ero fortunato a trovarti, che sul lungolago eri in via di estinzione, la febbre del mojito portava i baristi a saccheggiare le serre.

Poi venne l'estate e il tuo primo compare ci restò secco. Seccasti anche tu, bastò lasciarvi soli un paio di settimane, in attesa di una pioggia mai arrivata. Quanto a me, la speranza si era seccata già da prima, l'estate quando si presenta sembra vacua e immensa ma poi si riempie subito di cose da fare e insomma ciao, non avevo nemmeno la forza di volontà necessaria a buttarti nella spazzatura. Strappai via tutti i resti secchi che erano stati te, sentii appena una fragranza di chewingum, ti mollai agli elementi dell'autunno. Forse gli adulti devono fare così, chiarire da subito che sono stronzi inaffidabili. Tu alle prime piogge buttasti già fuori le prime foglie, timide, ai bordi del vaso, lontano dal delitto.

Poi venne inverno e la tormenta di neve del secolo: te ne sei accorta? A un altro compare tuo marcirono le radici, tu riprendevi forma. Venne un'altra estate e ci furono di nuovo cose importantissime, emergenze che mi tenevano lontano, e di nuovo eri morta, e di nuovo mi maledissi, ma ormai ti conoscevo, avevi seminato speranza. Staccai i rametti secchi, non ti buttai. A settembre eri già verde di nuovo.

E ancora inverno e neve da spalare. E poi, ai primi caldi, una novità: la terra che trema. Ma le piante di queste cose non si curano, un terremoto per loro val meno di un soffio di vento serio. Le norme antisismiche, le hanno interiorizzate in una fase molto precoce della loro evoluzione, e ora se ne ridono delle magnitudo e dei mercalli. L'unico problema sono i maledetti umani che scappano via e non mandano nessuno a innaffiare, certo dipendere da una specie così pusillanime dev'essere seccante.

Ma tu non ti secchi più, quando tornai mi hai salutato altera, i tuoi quattro rami (tanto vicini al bordo del vaso), oscillanti alla canicola: toh, guarda chi c'è. Regina di un terrazzo abbandonato al nulla, ai fiori di tiglio riarsi che pure le formiche disdegnano.

E io dovrei staccare le tue foglie orgogliose, pestarle col ghiaccio, ammollirle all'alcol dolciastro, io? Ma a che titolo, io nemmeno di annusarti sono più degno. Suggi piuttosto tu di me, ficca le tue radici in queste trippe pavide di profugo e guarda se c'è qualcosa di nutritivo, ma dubito. Del resto hai tutto: diossido e sole in abbondanza, e l'acqua, se proprio ci tiene, verrà. Tu te ne freghi dell'afa e della tempesta e della tormenta, e dei terremoti in particolare. Ben altri padroni meritavi, ben altri coinquilini, ché ormai per usucapione la padrona qui sei tu.
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Scampato alle Diaz

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un pezzo del 2007. Non aggiungo più niente, ho già scritto troppo). 

Stasera non avrei scritto niente, se non che prima di coricarmi, passando davanti allo specchio, ho visto la faccia di uno che ha scampato le Diaz per pura botta di culo.
Siccome un pensiero tira l'altro, mi sono anche domandato che faccia avrei. Un po' più sbattuta di certo: magari un dente in meno (qualcuno lasciò un dente sulle scale). Forse più calvo, chi lo sa, più rugoso e interessante. Io non voglio passare per un reduce – è ridicolo, Genova furono tre giorni – però capisco perfettamente la gente che va in guerra, la scampa e poi si sente in colpa per tutta la vita. È un senso di colpa strano, misto a una curiosa invidia, e alla voglia di contar balle ai ragazzini al bar.

Io alle Diaz in quel momento avrei voluto esserci. Nel senso che avevo una gran voglia di andarci, venti minuti prima che le Diaz passassero alla Storia. Suona buffo, ma era tutta una questione di blog. Volevo aggiornare il blog, che poi era un modo di avvertire una ventina di persone che l'avevano letto fino a poche ore prima che ero salvo e stavo bene. Era tutto puerile e terribilmente serio allo stesso tempo. Le scuole cablate erano due, una di fronte all'altra: la più grande aveva la Sala Stampa e i server, ma i computer giravano con un cacchio di sistema operativo alternativo che s'inchiodava continuamente. Nelle Diaz invece c'era il vecchio stramaledetto windows duemila. Io dunque, mentre stavo in fila per accedere al sospirato blogger, avevo una gran voglia di provare se lì di fianco c'era meno fila. La Diaz, fino a quel momento, la conoscevano in pochi, tra cui io; io che due sere prima mi ero coricato con le chiavi della Diaz in tasca, perché nel cosiddetto servizio d'ordine del Movimento dei Movimenti si faceva carriera rapidissimamente, bastava continuare a preoccuparsi mentre la gente andava a dormire.

Io dunque ero indeciso se restare lì o andare alle Diaz. Se ci fossi andato, forse oggi passerei i miei pomeriggi a fissare il muro o a guardare i manga, magari soffrirei la depressione e peserei 120 chili; oppure mi sarei liberato di ogni borghese inibizione, come quelli che scampano un disastro aereo e non hanno più paura di nulla, e lavorerei sulle impalcature dei grattacieli, chi lo sa. Se invece fossi rimasto lì in fila, di lì a cinque minuti i carabinieri mi avrebbero semplicemente convinto ad accucciarmi al muro con le mani alzate, mentre sequestravano i server con un sacco di immagini compromettenti (compromettenti per loro, visto che in tutti questi anni non risulta le abbiano usate per incriminare chicchessia). Ma non feci nulla di tutto questo, perché passò Glauco a dirmi che andavano a prendere una birra lì all'angolo e io dissi ma sì, chi se ne frega. Era tutto molto serio, e allo stesso tempo no.

Come Buzzati, quando la sera tornava a casa dal grande giornale e scriveva su un quadernetto il Deserto dei Tartari; come Fenoglio quando da bambino montava sui tetti e s'immaginava di sparare agli invasori, anch'io probabilmente nel mio piccolo pensavo che ci sarebbe stata una guerra prima o poi, almeno una Battaglia, e che solo la Battaglia mi avrebbe fatto uomo. La guerra però non arrivava mai e così ho provato ad arrangiarmi con Genova.
A Genova le cose erano estremamente serie, in effetti, e allo stesso tempo restare seri era spesso difficile: tutto rischiava di diventare puerile da un momento all'altro. La cosa di cui sono più fiero è il servizio d'ordine al concerto di Manu Chao, quelle quattro ore spese a sgolarsi per avvertire i ragazzini di non oltrepassare la linea rossa della corsia ambulanze, e per cortesia di non rompersi l'osso del collo sugli scogli. Mercoledì sera, prima di ritirarmi al campeggio, avevo lungamente cercato di mettere pace tra due skin francesi impasticcati che se le davano in piazzale Kennedy, e non avevano l'età di mio fratello. Poi mi ero scocciato: ero un adulto, non Madre Teresa.

In seguito ci furono le cariche di venerdì, e bamboccioni se n'erano visti molti, in uniforme e in tenuta da movimento. Noi stessi, soliti modenesi, ondeggiavamo da una piazza tematica all'altra, cercando di mantenere un distacco critico, ma anche annusando a pieni polmoni la voglia di mettersi nei guai, il profumo con cui la troia Guerra seduce tutti i ragazzini. Poi era corsa voce di un morto, anzi di due, di tre; dalla città salivano fili di fumo e tutto sembrava allo stesso tempo serio e patetico, e per quanto non fossimo allegri eravamo più che mai fieri di essere lì piuttosto che altrove. Sabato ci eravamo svegliati con la sensazione di essere più che mai nel giusto, e le cariche e la lunga anabasi per i quartieri della città scoscesa in fondo li avevamo vissuti con lo spirito giusto: che era lo spirito d'avventura. All'ora in cui Glauco mi invitò a bere una birra tutto sembrava finito, la tensione era scesa di molto; e l'ansia di aggiornare il blog (l'unico blog a Genova!) poteva sembrare una cosa puerile.

La birreria stava dietro l'angolo e faceva affari d'oro, perché era l'unica rimasta aperta in quel quadrante della città. C'incontrammo una ex compagna di classe di Glauco che si era trasferita in Belgio e faceva teatro e tornava in Italia solo per le rivoluzioni. Quella birra non l'ho mai bevuta – ma la storia credo di averla già raccontata, o no? Ma qui c'è un sacco di gente che forse non l'ha ancora sentita, e allora sedetevi ragazzuoli, che vi spiego. Ci fu un frastuono di sirene, e quando uscimmo a vedere, restammo molto stupiti che non fossero i soliti CC o PS o GdF o Forestali, ma una colonna di ambulanze e Croce Rosse. Magari le aveva chiamate proprio Fournier, che ringrazio. Ho sempre pensato che fossero state molto tempestive, come se i picchiatori delle Diaz le avessero chiamate ancora prima di irrompere.

Voi, com'è giusto, la storia la conoscete dalla A alla Z: il poliziotto che si graffia il giubbotto con un coltello e poi lancia l'allarme (hanno cercato di accoltellarmi), i carabinieri e i poliziotti che entrano, le ambulanze che arrivano, le barelle che escono, il questore il giorno dopo in conferenza stampa che mostra le prove della resistenza armata della Diaz: un piccone fregato al cantiere di fianco, le molotov che poi qualche poliziotto confessò di avere fabbricato, e che in seguito sono misteriosamente scomparse, un sacco di coltellini svizzeri e pacchetti di kleenex da non sottovalutare (se si pensa che la principale fobia dei ragazzini in uniforme da poliziotto erano i fantomatici "palloncini di sangue infetto"). A raccontarlo sembra una comica, col sangue finto e i pugni per finta che fanno saltare i denti per finta.

Quando però le vivi, certe situazioni, ti trovi come nel mezzo della battaglia: non hai la minima idea di quello che sta succedendo. Dopo esserci nascosti per un quarto d'ora dietro la saracinesca della birreria, alla fine cedemmo alla tentazione di andare a vedere cosa succedeva. Non si capiva nulla, e non c'era nessuno che ti raccontasse la stessa cosa. Siccome nessuno mi aveva spiegato che i server avevano preso il volo, io mi fiondai subito all'ufficio stampa per aggiornare il blog, che ora mi sembrava la cosa più adulta da fare; stavo inutilmente cliccando il tasto refresh quando sentii un boato d'umana indignazione che mi scaraventò di nuovo fuori, e mi fece arrampicare sulla cancellata di fronte alle Diaz. Cosa stava succedendo?
"Portano via un morto".

Il morto in realtà era una barella carica delle famose munizioni di cui sopra, ma coperte da un telo verde impermeabile, che faceva un effetto body bag orribile a vedersi. Rimasi appeso alla cancellata per un tempo che mi sembrò interminabile, fregandomi del blog e probabilmente inveendo e fischiando a poliziotti e infermieri, ben sapendo che non era la cosa più adulta da fare.

Più tardi sono entrato, come altri cento, e ho visto le cose che avevano già visto altri cento: ma le ho viste male, in fretta, sicché quando le rifanno vedere in tv (molto di rado) non le riconosco, oppure confondo ricordi televisivi e reali, e mi vergogno. La sensazione di trovarsi al centro delle cose, che ci aveva aiutato a drizzare le antenne per tre giorni, stava svanendo. Ricordo sempre quella porta dei bagni forata da un colpo secco di manganello: m'immagino sempre di trovarmi lì, di chiudermi in bagno, di sentire le botte di manganello e poi di vedere la mano del poliziotto che si sbuca dal foro, trova la maniglia e la apre. Ma non ero lì, per cui in fondo il mio è solo un film come un altro.

Genova mi ha fatto paura, bisogna dirlo: quando tornai a casa continuavo a sentire le sirene, di giorno, di notte, per una settimana. Poi mi è passata.
Genova mi ha dato la scossa, e per alcuni mesi mi ha spinto a fare cose serie; ma in mezzo alle cose serie continuavano a esserci molte storie buffe, ridicole e apparentemente inadeguate, che col tempo hanno preso il sopravvento. Ho concluso che la vita è così, seria e ridicola insieme, che il bambino egotico e curioso che mi porto dentro non deve per forza morire in seguito a una battaglia: può restarsene lì, a patto che non rompa troppo.
Adesso vivo in una città ancora più piccola, davvero una miniatura; continuo ad aggiornare il blog per un motivo o per un altro e non racconto balle da reduce ai ragazzini, perché un reduce non sono.
I ragazzini poi sono terribili, perché ogni anno ne arrivano di nuovi, e non c'è cura migliore alle nostalgie sciocche di una nuova infornata di allegri ignoranti. Questi che stamattina han fatto l'esame sono del Novantatré, cosa vuoi che gli freghi di un tafferuglio che scoppiò a 9 anni? Quello che gli fa drizzare le antenne sono gli argentini torturati sotto lo stadio e lanciati dagli aeroplani senza paracadute. Il desaparecido volante è un enigma che coinvolge Storia, Geografia e Scienze: da che altezza venivano lanciati? Che velocità raggiungevano durante la caduta? Cadevano in moto uniforme o con un'accelerazione costante? Morivano asfissiati, inceneriti come le meteore, o annegavano? Questi sono misteri intriganti per un ragazzino.

Io non vorrei dover aggiungere misteri alla Storia del dopoguerra, che già ne sovrabbonda. Crescendo i miei ragazzini dovranno prendere appunti sull'Italicus, sulla Stazione di Bologna, su Ustica, Piazza Fontana... io vorrei che almeno si risparmiassero le Diaz. In fondo sono un mistero minore, che con un piccolo sforzo da parte dei carabinieri e dei poliziotti onesti si potrebbe archiviare in breve. Non era mica la guerra, anche se "Diaz" ha sempre avuto un suono sinistro (i giornalisti non avrebbero potuto inventarsi di meglio). Si disse subito che era l'Argentina, il Cile. No: erano le Diaz, nemmeno una scuola vera, una piccola palestra in cui le forze dell'ordine dello Stato repubblicano persero del tutto l'autocontrollo, e ancora aspettiamo che ci spieghino il perché.
Dovrebbero farlo. Sarebbe un bene per loro, per il Senso dello Stato dei nostri ragazzini, e anche per me. Personalmente non ho voglia di rivedermi tra cinque o dieci anni in un documentario sgranato, mentre mi appendo all'inferriata come un deficiente. Non vorrei perdere tempo a spiegare a mio figlio perché ero lì. Ero lì perché in quel momento non avrei sopportato di essere altrove: fine.
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Waiting for my break

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Io, per dire quanto ne ho piene le palle del terremoto, in questo momento sto in mutande.
Mi rendo conto che non è che sia questo scoop, ma dovete pensare invece a quanto sia coraggioso, di questi tempi, in queste plaghe, salire in casa propria al primo piano e mettersi in mutande, toh, irridendo la scossa che potrebbe costringerti a uscire nudo in strada o - se il pudore prevale - a cadere nudo tra i rottami del tuo geniale investimento immobiliare. C'è gente che ogni giorno rientra nella zona sismica per lavorare otto dieci e ore e finché non torna in una casa sicura non va in bagno, sul serio c'è gente così, e a costoro, poveri, io dico amen: in caso di big one, mi identificherete dalle mutande. D'altro canto sono un grafomane ed è sempre stato statisticamente molto probabile che le mie ultime parole fossero un'assoluta scemenza.

Qui c'è la solita afa del secolo, molta gente sbaracca le tende e torna in case non sicure ma dotate di air conditioning. Se non ci vivi non puoi capire come la paura di un terremoto possa cedere il passo all'insofferenza per l'umidità. A parte questo non ho molto da dire, ma in mezzo ai vecchi post non pubblicati ho trovato una lista buttata lì; a fine maggio era partita una catena sui dieci pezzi migliori degli Anni Novanta. Così ora, per dire quanto ne ho piene le palle, scriverò un pezzo su questo argomento di cui frega pochissimo anche a me, figurarsi voi, ma se viene il Big One ci tengo a farmi trovare in mutande mentre parlo d'altro con ostentata indifferenza.

I miei dieci pezzi preferiti degli anni Novanta, come se la cosa interessasse a qualcuno

Gli anni Novanta si riconoscono dal fatto che si compravano i CD. Io per la verità già pochissimi, la mia cultura musicale era sin d'allora il sintomo di un'offerta inflazionata, era il calore che d'inverno si prende gratis il barbone sulla grata della metro, era il frescolino che si prendono gli anziani al centro commerciale senza acquistare niente. Anche ai centri commerciali ci si poteva fare una cultura musicale dignitosa ai tempi, adesso non so. Tengo le cuffiette tutto il tempo.

Zooropa, 1993.
Giusto per mettere le cose in chiaro, io negli anni Novanta ero musicalmente già vecchio, ancorato a miti già messi in discussione e poi traditi, e poi ripresi in casa con la stanchezza con cui si riannoda l'unica storia dignitosa che sei riuscito a mettere su. Quando si misero a lavorare a Zooropa gli U2 ormai non erano più i rocker irlandesi che avevamo amato in parrocchia, non erano più molto rocker e nemmeno molto irlandesi, ormai vivevano nella terra di nessuno tra un aeroporto e l'altro ed è lì che composero ed eseguirono Zooropa, e si sente, e la cosa è molto anni Novanta. Gli U2 di quel decennio forse furono le ultime rockstar, se ha un senso la parola, quelli che a ogni disco dovevano cambiare volto e progetto, tradire qualche fan e recuperarne altri che li avevano fanculati, per esempio, dopo Rattle and Hum. Oggi nessuno ha più il coraggio di disorientare così quei poveretti che ancora portano avanti la nobile tradizione di comprarti i dischi; anche gli U2 hanno smesso di fare le rockstar, ho sentito che hanno un circo itinerante ma è molto caro. Zooropa, la prima volta che l'ho sentita accovacciato in un vagone passeggeri, pensavo a tutto tranne che avrei ancora ascoltato nella vita un disco degli U2; quando dal ghettoblaster un tizio che aveva paura di addormentarsi sul treno e perdere la coincidenza per Saint Tropez, Zooropa sboccò fuori come un fiume in pena ispirandomi pensieri come: Ce l'hanno fatta di nuovo, quegli stronzi! Ora ci tocca ascoltarli anche per tutti gli anni '90. Non è andata proprio così. Il testo parla di come ci si sentiva negli anni 90, nei lounge dei terminal o accovacciati nei corridoi dei treni per il mare.


Friday i'm in love, 1993.Non so, vogliamo starne a discutere? Non era il decennio dei Cure e non era la canzone migliore dei Cure, e nemmeno ho intenzione di riascoltarla nei prossimi 200 anni neanche se la coverizza il clone di Johann Sebastian Bach recuperato da un frammento di DNA impigliato tra le corde di un clavicembalo ben temperato; ma si può far finta che non sia uscita? Vogliamo suggerire di avere gusti musicali più raffinati, canzoni d'amore più intelligenti da sfoggiare? Fammi controllare, che giorno è? Mercoledì? Mercoledì non me ne può fregar di meno, guarda.


Jamie, 1994.
Jamie cominciò a sentirsi in radio dopo quella cosa paraculissima che era Buddy Holly, e fu il momento in cui di colpo ho smesso di pensare che i Weezer fossero un gruppo scemo da una botta e via, e ho cominciato a pensare che fossero la Cosa Nuova Del RnR, insomma il momento in cui sono passato da una deficienza all'altra; ma mi piace pensare di aver incocciato anche solo per un futile istante il vero gusto musicale, e mi piace pensare che sia quel momento in cui nell'inciso Jamie smette di battere 4/4 e se ne va per i fatti suoi.



Aicha, 1996.
Per come si erano messi gli anni 90 io avrei potuto anche diventare tutt'un'altra persona, per esempio adesso potrei essere un panzone che ascolta rai a palla in autoradio, invece non mi ricordo neanche esattamente cos'è il rai e perché mi piaceva. Mi piaceva perché era diverso ma familiare ma diverso. Si ascoltava molto in Francia, finché quella cosa non troppo interessante che è il rap francese se lo mangiò, fine della storia, oggi se mettete su Cheb Mami io vi chiedo che roba è, e il bello è che non faccio finta, mi sono totalmente dimenticato di cosa sarei potuto diventare. Aicha non è neanche la mia canzone preferita di Khaled, ma le altre non mi ricordo più come si chiamano e mi costa fatica cercare, inoltre descrive due personaggi dei miei anni 90: il panzone d'area magrebina, magari un po'mbriago che cerca di rimorchiare ma ha disposizione solo un frasario del nonno del nonno, e la fanciulla che cerca di emanciparsi, spero tu ci sia riuscita Aicha. Magari hai cinque bambini, un classico; e se torno al quartiere nemmeno ti riconosco. Poteva andarci meglio, sì, inutile discuterne.


Seekers who are lovers, 1996
Anche i Cocteau Twins erano, come me, un relitto degli anni 80, che come me si svegliò verso il 2000 con l'aria piuttosto sbattuta e molto rumore nelle orecchie. In quel periodo, se mi aveste conosciuto, ve l'avrei propinata commentando il frastuono con aria di intenditore, e vi avrei spiegato che la BBC session era molto meglio della versione studio, niente coretti leziosi e così via. Ma dovete anche capirmi, non c'erano ancora i blog a cui affidare tonnellate d'opinioni non richieste. Quando mi è venuta l'idea di fare questa lista ho pensato subito a loro, ero incerto sul pezzo giusto e allora ho dato un'occhiata su youtube: il primo commento è: "this song is sexy as fuck. this BBC version is the greatest - you can hear what everyone's doing. it's not syrupy soup as on the LP". Ecco, basta, mi era sufficiente incontrare qualcuno che la pensasse come me, ora non annoierò più nessuno. Vedete come l'Internet ci ha reso persone migliori, alcuni.



The Rockafeller Skank, 1998
Gli anni '90 erano anche quelli strani in cui andavo a ballare, qualcuno sostiene che è successo anche nel decennio successivo ma è una menzogna e non ci sono prove, né testimoni sobri. E si andavano a ballare cose scemissime a un certo punto, ci fu una specie di riconciliazione tra rochettari anche post-grungi, truzzi ricollocati nel tessuto produttivo e dj coi postumi della summer of love, e l'ex batterista degli Housemartins riciclatosi spacciatore di campionamenti da due soldi è l'epitome di tutto ciò. C'è senz'altro qualcosa di meno banale che meritava, ma Funksoul brother ha sempre funzionato, con chiunque ci fosse in quel momento in sala, ed è tutto quello di cui avevamo bisogno in quel momento. Sì, parlo al plurale per darmi un contegno, ma la verità è che ho veramente ballato questa roba. L'ho anche messa su alle feste.




You turn the screw, 1998.
Senza Antenna 1 anche ai Cake non avrei mai dato più dei tre minuti che misi a guardare il video di I will survive, invece se metti in fila quanti dischi hanno mandato fuori, quante belle canzoni ci sono dentro, quanti stili hanno costeggiato senza smettere un istante d'essere Cake, e quanto poco ciò sia fregato a tutti, capisci che erano avanti, già pronti a quell'incredibile spreco di talento che sarebbe stato il decennio successivo, e anche solo per questo la top 10 se la meritano davvero, anche se non sapresti dire con che pezzo e in che posizione. A me questa piace più di altri, voi arrangiatevi.

4 big speakers, 1998
A un certo punto degli anni Novanta la situazione era così incerta, così aperta - stasera mi piglio un due di picche da una pancabbestia o da un'imprenditrice? - che la risposta alla domanda "qual è il tuo gruppo preferito" era una cosa oggettivamente disperata come  "i Cardigans". Io però qui non ce la faccio a mettere i Cardigans, non riesco proprio a capire cosa mi facesse impazzire in quel poprock leccato il giusto, forse a quel tempo ci voleva della faccia tosta a stare tra i Roxettes e i Black Sabbath, ma è come quella gente che passeggiava in tondo gridando al cellulare, in seguito abbiamo smesso di ritenerlo un fatto degno di nota e di rilevanza culturale. Abbiamo anche smesso di ascoltare i Garbage, ve li ricordate i Garbage? Se uno pensa ai Garbage in heavy rotation nei centri commerciali, può capire perché i Cardigans potessero sembrare un'alternativa di un certo livello. Se ricanticchio dentro me gli immortali successi dei Cardigans, mi accorgo che oggi se li potrebbe cantare pari pari Britney o Lady Gaga, e allora? Allora, giusto per restare in Iscandinavia, ci metto i Whale (gli Whale?) I pezzi tirati de(gl)i Whale mi piacevano in un modo insano, volevo solo picchiare la testa contro il muro, o, in macchina, contro il volante. C'era il problema che questo disco ad Antenna1 qualcuno se lo era fregato - quella radio era un porto di mare! - quindi a un certo punto nessuno richiese più 4 big speakers, i dj dell'indotto cominciarono a temere che nessuno l'avrebbe capita e ballata, sicché essa cadde nel dimenticatoio. Poi arrivò Napster, e all'inizio cercar canzoni era come disseppellire i tesori, se nel frattempo ti eri dimenticato il titolo del pezzo o l'artista la ricerca era ancora più affannosa e divertente. Quando finalmente la trovai, la misi a palla nelle cuffiette, ma non c'era più nessun muro e nessun volante, stavo lavorando in un open space ed ero, come molto spesso negli anni Novanta, un perfetto deficiente. Non l'ho più ascoltata. No. Bugia. Due o tre ascolti l'anno, dai. In settembre di solito.




Waiting for a break, 1999.
Cioè questa roba era il meglio che si è ascoltato negli anni '90? Poveretto, chissà la merda. Effettivamente non so neanche chi siano e non li ascolto mai, però qui descrivono esattamente chi era l'abitante degli anni '90 di cui più avevamo paura, anche nel senso che avevamo paura di diventare come lui, anche nel senso che ormai era troppo tardi per non diventarlo. Qui c'è una traduzione.



The free design, 1999
Quando ormai gli anni Novanta cominciavano ad essere un po' avanti coi decimali, e nelle iterazioni sociali sempre più aleatorie, sempre più disparate e disperate, la domanda "tu che musica ascolti" cominciava a richiedere una risposta netta senza incertezze e stucchevoli puntini di sospensione, proprio in quel complicato momento gli Stereolab mi soccorsero e gliene sarò infinitamente grato, ma non abbastanza per ricordarmi dei titoli delle loro canzoni - e sì che loro si sforzano e ne inventano di veramente belli, ma gli Stereolab nei Novanta erano un flusso continuo che usciva da Antenna1 e si scioglieva immediatamente nel nastrone che tenevi sempre lì pronto sul momento, ben consapevole che nessun disturbo radio, nessun woofer o blip o drip o persino un'interferenza di Radio Maria avrebbe potuto rovinare un pezzo degli Stereolab, anzi. Secondo voi dovevo prendere il telefono coi tasti grossi e chiamare Max, chiedergli scusa come si chiamava il pezzo degli Stereolab che hai appena messo su? Ma per piacere. The free design è già di una fase successiva, me lo ricordo bello forte nei cuffioni del negozio, era quel momento in cui sembrava che questi signori fossero capaci di tutto, la sbobba la volete più jazz? ve la facciamo più jazz, che problema c'è. Vennero anche alla festa dell'Unità di Modena ma l'acustica era pessima. C'era ancora la corista che poi è morta (ci sono già due morti in questa didascalia, finiamola qui).

Come, neanche un pezzo in italiano? Sì, ne ho ascoltati parecchi ma mi sembrerebbe di pesare assieme mele e pere, no, mele e cachi patocchi. Magari un'altra volta, rigorosamente in mutande. Ciao.
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Alice guarda i SS

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È il solo santino che ho trovato, ed è così brutto che è quasi bello.
15 giugno - Santa Alice, lebbrosa (1204-1250)

In realtà questo pezzo è solo un misero modo per chiedere scusa a una ragazza che si chiama Alice (buon onomastico Alice), in ritardo per giunta, che mi aveva chiesto un'agiografia per oggi: e io credo che sia una cosa carina che mi arrivino le richieste, mi sembra appropriato al taglio della rubrica - peccato che non ce la faccio poi a esaudirle.

Peccato veramente perché stava andando bene questa rubrica, stava dando soddisfazioni, e da giugno in poi pensavo che avrei avuto anche più tempo per pescare storie interessanti -  poi a fine maggio c'è stato un martedì un po' turbolento dalle mie parti, terremoti e altre cose, e da quel momento ho la testa da un'altra parte (spesso ho anche il laptop da un'altra parte); non da una parte necessariamente più utile o interessante, però le storie di santi non riesco a scriverle più, e mi dispiace, mi dispiace veramente Alice, ma pensa che in questi giorni ho già ciccato miseramente Giovanna d'Arco, renditi conto - e Antonio da Padova, si meriterebbero un romanzo per uno e non ci ho scritto nulla. E guarda che ci ho provato, anche se la biblioteca è chiusa a data da destinarsi, ci ho provato lo stesso, ma il processo di Rouen e il miracolo della mula non mi dicono più niente.

Sarà il brutto periodo, ma tutti questi Santi in cielo li vedo un po' più lontani ultimamente, se alzo gli occhi fanno tutti le smorfie, ora sì che avresti bisogno di noi, vero? Ah! Arrangiati, così impari a ridere dei nostri colleghi. Di' che non ti servirebbe un Santo per sanare la crepa nella camera dei bambini. Non c'è! Un Santo per far tornare il sorriso sulle facce dei tuoi cari, un Santo che ridia il sonno a chi l'ha perso, un Santo per ripristinare il valore del tuo investimento immobiliare... aspetta che controllo, aspetta... ti attacchi Leonardo! La prossima volta va' a far la rubrica sugli avatar degli indù, va'. Ma sul serio pensavi di poter fare a meno di noi? (Continua)
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Certi giorni (sono meglio di altri)

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Certi giorni ti svegli e c'è il sole, le tende ai giardini pubblici sembrano un camping, ti danno l'illusione che dietro i pini ci sia una spiaggia da qualche parte. La badante che dorme sulla panda all'angolo, il sismografo meglio calibrato del quartiere, dice che scosse lei non ne ha sentite; il cornetto al bar si scioglie in bocca, e pensi che non c'è nulla che non si possa risolvere: casca un campanile, lo rifaremo più bello. E anche le industrie, prima delocalizzano, prima si sbrigano a tornare indietro. Abbiamo mille sfollati? Fammi ridere, prima del sisma avevamo quattromila appartamenti sfitti, tutti ancora in piedi, tutti nuovi antisismici. All'ex coop rilevata dai cinesi stanno cambiando i mattoni, giuro: tolgono quelli vecchi evidentemente crepati, e ne mettono di nuovi, sembra un lego. Nel frattempo i cinesi hanno riaperto, dalla porta di servizio per non disturbare i muratori. Vai così. Se ci credono i cinesi, che hanno il mondo a disposizione, un margine c'è.

Hai presente quel balcone che si affaccia sotto il campanile, dove ci sta una famiglia di paki. Sono tornati. Cioè, dormono ancora nel parco, ma di giorno stanno nell'appartamento, i bambini vanno persino sul balcone. Quel balcone sporge troppo, mi preoccupava anche prima dello sciame, così ho detto al padre di starci attento. Magari mi ha dato retta, portavo il casco giallo.

Certi giorni dopo mezz'ora si mette a piovere, ti dicono che il duomo e il teatro forse sono da buttare giù e il sindaco è ricoverato, la scuola non si sa nemmeno se riapre in settembre, al centro di coordinamento nessuno coordina un cazzo, e il tuo architetto è latitante. I marocchini stanno disertando in massa, c'è l'ambasciata che li rimpatria gratis. Insomma ci credono giusto i cinesi, e il muschio, e i licheni. E non sono ancora le otto di mattina. Piove nelle chiese, nelle case scoperchiate dopo quattrocento anni, e tu sei lì col tuo casco giallo limone, l'omino playmobil di guardia a un solaio sfondato.

Sei arrabbiata con me? Ho tradito la tua fiducia, quando ci siamo conosciuti avrei dovuto almeno accennare alla faglia ferrarese, al terremoto del 1570? Vorresti che ti dicessi che non durerà altre settimane, altri mesi, altri anni? Che non succederà mai niente a noi e ai nostri figli, assolutamente niente mai?

Certi giorni non ti svegli nemmeno, sei su dal giorno prima. Dovresti buttar già qualcosa ma hai la nausea dei casolari diroccati, della magnitudo, invidi gli inviati speciali che a un certo punto prendono un taxi, un treno, e il loro terremoto finisce lì. Guardi le case in cui nessuno forse avrà più coraggio ad abitare, e pensi a quanto costavano al metro quadro quando ne stavi cercando una. Adesso per la stessa cifra potresti prenderti una contrada intera e farci un ospizio, che è poi quello che diventerà questo quartiere, quando le imprese delocalizzate non torneranno, i giovani se ne andranno e resteranno i vecchi, resteremo noi.

Due ragazze sono cadute dal quarto piano. In ospedale hanno detto che i ladri erano entrati nell'appartamento e le avevano costrette a buttarsi di sotto. Stasera ho ridato un'occhiata e la storia era cambiata, c'erano due ragazze che tentando di svaligiare la casa dei vicini erano cadute giù.

Certi giorni puoi solo incassare e sperare che tramonti presto, anche se il terremoto veramente non si corica mai, ma alla fine sei stanco anche di aver paura. Lascia perdere l'INGV ci siamo presi quello del secolo e siamo ancora qui, siamo vivi. Possiamo ancora andare dove vogliamo, vuoi che andiamo via? Ero di guardia al campanile ma al telefono con te, ricordo che mi stavi dicendo che l'Italia comunque è fottuta, quando ho visto una, due, tre bolle di sapone cadere giù dal balcone dei paki, e non scoppiare fino al marciapiede. Certi giorni alla fine tieni duro e sono meglio di altri.

(Stamattina, mi hanno detto, riaprono il Centro).
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La scossa delle vanità

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(Mi hanno intervistato sul terremoto).
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Ciao Crepa

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Qui si ostenta sicumera, ma la terra continua a tremare, e noi sopra. In classe basta un sussulto, un libro che cade, un urlo di un collega (più spesso un urlo mio) e qualcuno già infila la testa sotto il banco. In giro camminano tutti come se avessero il sismografo in tasca, diciamo in tasca. Certe crepe storiche, crepe secolari, le abbiamo scoperte lunedì e adesso tutti i giorni andiamo a trovarle, ciao crepa come stai? Hai messo qualche ruga, si vede che anche tu dormi poco. Va bene. Fine della lagna, tra qualche mese ci rideremo sopra. Qui il conto corrente di solidarietà. Qui un invito della Pubblica Assistenza di Modena a evitare le iniziative personali (sono controproducenti in questa fase). Qui gli ultimi aggiornamenti su come e quando acquistare il parmigiano della Casumaro (dai che la dieta può aspettare).

Di solito metto una foto, però di campanili e casari in pezzi ho la nausea, perdonate.

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Perché sono omofobo

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L'omosessualità è apparsa come una delle figure della sessualità quando è stata ricondotta dalla pratica della sodomia ad una specie di androginia interiore, un ermafroditismo dell'anima. Il sodomita era un recidivo, l'omosessuale ormai è una specie (Michel Foucault, La volontà di sapere, 1976).


Oggi è la giornata mondiale contro l'omofobia, dicono, e pensavo di celebrarla con un piccolo autodafé. Siccome ogni tanto mi viene rivolta l'accusa di essere io stesso omofobo, vorrei cercare di spiegare e spiegarmi il perché questo è successo, succede e succederà. Non è un pezzo polemico, in teoria; in pratica qualcuno con cui litigare lo trovi sempre; ma questo pezzo è da intendersi più come la fine di un litigio, quella parte noiosa che alcuni chiamano "spiegazioni", e che molti giustamente saltano: potete anche saltare questo, al massimo la prossima volta che mi date dell'omofobo ve lo linco e ci date un'occhiata. È anche parecchio autoreferenziale.

L'accusa di omofobia è meno scontata di quella di antisemitismo, socialmente meno pericolosa di quella di pedofilia; in ogni caso dà un po' fastidio. Io poi sono convinto, da molto tempo, che un gay dovrebbe avere gli stessi diritti che ho io, compreso quello di sposarsi e crescere figli; per quel poco che posso fare cerco di contrastare l'omofobia nel mio ambiente di lavoro; ho conosciuto e voluto bene a persone omosessuali, cosa un po' banale da dire ma pure è successo; ero cautamente favorevole a un testo di legge che riconoscesse l'aggravante per omofobia; e il video di Small Town Boy mi fa venire i lacrimoni. Per cui quando mi ritrovo iscritto tra gli omofobi mi sembra sempre un po' un'ingiustizia. All'inizio pensavo che si trattasse del mio attendismo, che è un tratto della mia personalità che ha sempre fatto arrabbiare molte persone, buoni ultimi i gay. In sostanza io ho sempre amato i compromessi e diffidato dei duri e dei puri, ce l'avevo con Bertinotti nel '98 e tutto quanto, e sono tuttora convinto che se nel 2007 fossero passati i Dico, oggi la qualità di vita di molte famiglie gay italiane sarebbe lievemente superiore - il solo fatto di aver uno status riconosciuto da una legge italiana accelererebbe anche il processo verso il definitivo riconoscimento della parità e del diritto al matrimonio, perlomeno io la penso così, e non credevo di essere omofobo per questo. E infatti questo in realtà c'entra in modo molto relativo. Ci ho messo un po' di tempo a capirlo: il mio attendismo è oggettivamente snervante per molti che mi leggono, ma non è il motivo per cui alcune conversazioni terminano con qualcuno che mi dà dell'omofobo. C'è qualcosa di più profondo.

"Omofobo" è un curioso portmanteau. Generalmente lo usiamo per intendere una "persona che odia gli omosessuali": però il suo significato letterale sarebbe: colui che ha paura di sé stesso. In questo senso io potrei essere effettivamente un po' omofobo, e mi domando chi non lo sia mai stato. Il nostro corpo è una fonte inesauribile di ansie e paure, molte delle quali coinvolgono la sfera sessuale e l'identità di genere. È un argomento fin banale: chi ha paura degli omosessuali teme soprattutto l'omosessuale che è in sé. Se vi soffermate sulle dichiarazioni omofobe di questo o quel politico o attivista vi accorgerete che implicano l'idea (folle) che tutti possiamo diventare omosessuali, se non stiamo attenti. C'è chi paventa l'estinzione del genere umano, e non dice una battuta: ci crede. L'omosessualità per costoro non è soltanto una malattia, ma è anche altamente contagiosa. Nel loro fanatismo, questi signori hanno capito una cosa che altri gay temo non afferrino: siamo tutti omosessuali. Potenzialmente. No, non è vero. Cioè, in realtà ne sappiamo poco, molto meno di quanto crediamo di saperne.

Tra l'altro fu uno scout ad alto livello.
Do per scontato che chi legge qui conosca un po' la storia del rapporto Kinsey. La figura dell'entomologo che studia la sessualità degli americani in piano maccartismo, giungendo a conclusioni ancora oggi sorprendenti, è insieme modernissima e antica, come la serie classica di Star Trek: mostra un futuro radicalmente diverso da quello che poi c'è stato. È profondamente alieno, per esempio, l'approccio; per noi, qui nel 2012, la cosa più importante è definirsi: etero, omo, trans, eccetera. A Kinsey questo tipo di etichette non diceva nulla, lui partiva dalle esperienze: non chiedeva ai suoi campioni Chi sei?, Come ti definisci, ma Cosa hai fatto? E scopriva cose che ci sorprendono ancora: che il 37% dei maschi intervistati aveva avuto un'esperienza omosessuale; che il 46% degli stessi aveva provato attrazione per persone di ambo i sessi. Spesso nelle discussioni si tira in ballo Kinsey per ricordare una fantomatica stima della "popolazione omosessuale" tra il 5 e il 10% (è un errore che ho fatto anch'io): non è esattamente così, ma soprattutto non è il dato più interessante; perlomeno, mi pare più interessante il fatto che negli USA degli anni '50 un terzo della popolazione maschile avesse avuto almeno un'esperienza omosessuale e quasi la metà avesse provato attrazione per qualcuno del suo stesso sesso: se comunque accettiamo di prendere per buona la stima del 10% di omosessuali 'esclusivi' (il gradino 6 della scala Kinsey) ci rimane una fascia grigia del 40% che forse ci spiega meglio perché Giovanardi, se vede due gay baciarsi, può avere paura sul serio. Prendendo per buone le stime di Kinsey potremmo avere 4 possibilità su 10 che Giovanardi, un politico cattolico di centrodestra, un bacio così lo abbia trovato almeno in un periodo della sua vita desiderabile; un apostrofo roseo che un politico cattolico di centrodestra deve assolutamente cancellare con un vigoroso tratto nero (o un virgineo bianchetto), ne va della carriera politica nel centrodestra. Molti omofobi sono realmente omo-fobi. Non sono nati eterosessuali (gradino 1 Kinsey): ci sono arrivati rinunciando a qualcosa, che a volte può bussare e ripresentarsi, il che fa paura. Visto che si doveva parlare di me, ammetto che no, non ha mai bussato nessuno, per ora. Però i gradini di Kinsey qualche turbamento me lo danno. Non siamo tutti omosessuali; non siamo nemmeno tutti bisessuali; però non siamo neanche quasi mai eterosessuali grado 1; insomma cosa siamo? Non lo sappiamo, e questo ci rende diffidenti.

Mi capita molto spesso di pensare alle stime di Kinsey, quando discuto di omosessualità, e questo mi frega, perché davvero Kinsey è un altro mondo: persino il modo in cui usa le parole è diverso da quello con cui si usano oggi, e questo fa sì che non ci capiamo. Per esempio, io tendo a concepire l'omosessualità come una possibilità, mentre per molti interlocutori l'omosessualità è una comunità precisa. La comunità LGBT non è unita soltanto dagli orientamenti sessuali (che tra l'altro sono diversi, lo dice la sigla stessa), ma da un'ideologia. Ora magari qualcuno protesterà che non è vero. Capiamoci: ideologia non è una brutta parola. Non credo possano esistere comunità senza un'ideologia condivisa che le tiene insieme. Non sta a me definire quale sia l'ideologia gay-lesbica-bisessuale-transgender. Nel corso degli anni e dei litigi ho solo fatto caso a un paio di cose. Per esempio, l'innatismo. Non so quanto sia diffuso, ma mi capita sempre più spesso di discutere con gente convinta che gay si nasce. Non mi è difficile immaginare che molti gay o lesbiche si sentano tali "dalla nascita", però resto persuaso che tutt'intorno ci sia un'enorme fascia grigia di gente che nasce e cresce, come dire, confusa. Affermare questa cosa (con un po' di statistiche alle spalle) non implica che queste persone vadano rieducate o mandate dallo psicologo o quant'altro: non sto parlando di persone "confuse" perché sono nate gay e le voglio rieducare: sto dicendo che sono confuse perché stanno sul 2 o sul 3 o sul 4 della scala Kinsey, e se non fosse per le rigidità della società (di qualsiasi società), resterebbero lì: e invece a un certo punto devono scegliere una cosa e rinunciare all'altra. È quello che fanno. Milioni di persone in Italia, non saprei proprio dire quanti, scelgono la loro identità di genere, e non sempre scelgono la cosa giusta, e a volte hanno paura di essersi sbagliati, e questa paura possiamo anche chiamarla omofobia. (Mi accorgo che ho già scritto tantissimo ed è tardi, continuo un'altra volta)
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Ma i cattolici progressisti esistono?

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Di solito il punto interrogativo nel titolo si mette per retorica; è un banalissimo trucco per incuriosire il lettore. Stavolta no, la domanda è sincera: esistono? Se qualcuno lo sa, per favore, risponda.

Ho iniziato a chiedermelo qualche giorno fa, mentre leggevo delle suore americane che con le loro prese di posizione stanno mettendo in serio imbarazzo la Congregazione per la Dottrina della Fede. E, come tanti, ho pensato: forti, però, queste suore americane. Avercene. Ovviamente stavo già facendo un confronto con le religiose nostrane, di cui non si sente mai parlare (ce l'hanno, loro, un'associazione che le rappresenti?) Ma poi mi sono reso conto che non era una questione di ordini religiosi femminili. E nemmeno maschili. Quand'è l'ultima volta che ho sentito una voce di dissenso all'interno della Chiesa cattolica italiana? L'unica che mi viene in mente negli ultimi anni è quella di Don Gallo. Padre Zanotelli è ancora una figura universalmente rispettata a sinistra, ma onestamente non conosco le sue posizioni sulle questioni che hanno messo nei guai le suore americane (aborto, eutanasia, omosessualità). I cattolici poi non sono soltanto preti e suore: ci sono anche i 'laici', i semplici praticanti. Così come è naturale pensare che ce ne siano di tradizionalisti, di moderati, di reazionari, penso che da qualche parte dovrebbero essercene anche di progressisti, no? Ma com'è che non li sento mai?

Eppure ho l'empirica certezza che i cattolici progressisti sono esistiti, almeno fino al 1981. (Continua sull'Unita.it - H1t#125)

Molti di loro votarono no al referendum che voleva abrogare la legge sul divorzio nel 1974: erano cattolici, credevano nell’indissolubilità del matrimonio, ma al contrario di Fanfani non ritenevano giusto imporla agli altri che non ci credevano. Parecchi di loro votarono no anche al referendum che intendeva modificare in senso restrittivo la legge 194 nel 1981: erano cattolici, ma ritenevano che quella legge fosse un progresso rispetto alle mammane. Entrambi i referendum ebbero un quorum altissimo. Malgrado la vulgata radicale, che ormai ci dipinge divorzio e aborto come due doni benignamente concessi agli italiani da Marco Prometeo Pannella e i suoi seguaci, i numeri ci dicono che senza il consenso di una larga fetta dei cattolici non avremmo avuto né l’uno né l’altro, perlomeno non così ‘presto’ (in Irlanda il divorzio è arrivato nel 1995).
Cattolici progressisti dovevano sicuramente essercene fino a tutti gli anni ’80. Posso dirlo con una certa sicurezza perché in quel periodo lo ero anch’io. Ero piccolo, d’accordo, ed era piccola la mia parrocchia: ma ricordo abbastanza bene l’atmosfera: la sensazione diffusa che su certe questioni il clero – partendo dal nostro Don su su su fino a Papa Wojtyla – fosse su posizioni arretrate, posizioni che prima o poi sarebbero scattate in avanti, perché il mondo andava avanti. A pensarla così erano tranquilli parrocchiani e parrocchiane, alcuni laureati, ma in maggioranza con la terza media: gente che aveva vissuto il Concilio Vaticano II, assistito al passaggio dalla Messa in latino a quella in italiano. Per molti di loro non era difficile immaginare ulteriori evoluzioni: non era difficile sentire discussioni sul sacerdozio alle donne, o sui metodi di contraccezione che prima o poi la Chiesa avrebbe dovuto tollerare. Discorsi del genere ne ho sentiti almeno fino a metà anni Novanta.
Poi mi sono stancato io, ma questo non fa testo. Ero insofferente nei confronti di una setta che si era installata nella mia parrocchia e lavava il cervello a gente che conoscevo. Me ne sono andato. Per un po’ ho continuato a sentirmi cattolico, anche se m’infastidivano un po’ le adunate mondiali della gioventù e il culto della personalità del vecchio Papa: espressioni di una comunità che il dissenso non è che non lo sopportasse; proprio non lo concepiva. Quando arrivò il nuovo Papa ci restai male, e poi mi diedi del fesso: cosa mi ero aspettato? Un papa progressista? Da dove sarebbe dovuto saltar fuori? Così ho tagliato i ponti. Ma non ho mai smesso di pensare che ci sia gente che la pensa più o meno come me, dall’altra parte. Però non li sento mai. Veramente mai. Sono sicuro che è colpa mia, probabilmente non so dove orientare l’antenna (si prende sempre e solo radiomaria). Così ho deciso di lasciare qui un punto interrogativo: cattolici progressisti, ci siete? Come vi butta? Battete un colpo. http://leonardo.blogspot.com
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Il Merlo nelle orecchie

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Il me nel Merlo.

Ci sono almeno due motivi sensati per cui Francesco Merlo, che saluto, può aver definito i blogger "cupi" "parassiti" che "trafficano con le parole": una sortita così 2003 che mi viene voglia di farmi la frangetta e uscire a ballare; e proprio al festival del giornalismo di Perugia. Che è un po' come andare al convegno mondiale dei formaggi a infamare la ricotta.

Il primo motivo è che ormai si è capito più o meno cosa sono i blog: uno strumento. E che questo strumento in sé non minaccia il giornalismo, anzi. C'è una sola figura di giornalista, a ben vedere, che ha veramente qualcosa da temere dalla diffusione dello strumento, ed è appunto la figura professionale egregiamente rappresentata da Francesco Merlo: l'elzevirista puro, quello che prende gli stessi fatti che il lettore conosce già e li rifrigge in prima pagina con un'abbondante spolverata delle proprie opinioni. Merlo fa questo da tantissimo tempo, e non c'è dubbio che sia più bravo di tutti i bloggerz in circolazione - ma è un po' come possedere la migliore sala d'essai quando tutti ormai in casa hanno il videoregistratore: anche se il tuo servizio è qualitativamente migliore, non lo è più abbastanza per farsi pagare il biglietto. Non è che la gente preferisca le opinioni di pincopallo.blogspot a quelle di Merlo: a un certo punto con blogspot capisci che le opinioni te le puoi scrivere da solo, e leggere e discutere quelle di Merlo diventa meno interessante. Al reporter d'assalto, o al super-esperto di una materia specifica, blogspot non toglie nulla; al limite può servirgli come strumento: sia il reporter che il super-esperto continuano ad avere una competenza precisa che nessuno gli può togliere. Merlo non ha nessuna di queste competenze: la sua specialità è trovare le parole giuste, l'ha perfezionata durante un lungo apprendistato in un periodo in cui trafficare con le parole era un'attività artigianale e ben remunerata. Ma oggi che il Fatto Quotidiano, o l'Huffington Post, o qualsiasi altra testata, offrono gratis il loro spazio alle opinioni dei dilettanti, Merlo si ritrova spiazzato, nel senso letterale: non è più ben chiaro perché lo paghino. Questo è il primo motivo: Merlo è un intellettuale declassato, un artigiano che lotta per difendere la sua produzione nel mondo dell'opinione di massa a costo zero, un birocciaio disgustato dall'avvento del motore a scoppio, eccetera.

Il secondo motivo è forse frutto di paranoia mia, ma forse no: forse Merlo ce l'ha con me. Magari quando parla di parassiti cupi non sta pensando a un blogger generale, a un blogger platonico, ma proprio a me, che mi chiamo Leonardo e scrivo qui: il parassita cupo, e trafficante parolaio, sarei io. Questo sospetto è generato - oltre che dall'egocentrismo mio, e dalle orecchie che mi fischiano - da una banale constatazione: su Merlo ho scritto diversi pezzi, non so neanche quanti, in più di dieci anni. Se i primi sicuramente non li ha mai letti (uno devo averglielo spedito direttamente, ma ero una goccia nel mare), non è poi così campato in aria immaginare che gli ultimi lo abbiano raggiunto: in fondo da un certo punto in poi bastava aver attivato google alert (o avere colleghi stronzi). A questo punto la domanda rimbalza, e tocca a me spiegare: perché ce l'ho tanto con Merlo? Solo Ferrara mi ha ispirato di più, ma Ferrara è un personaggio pubblico che da vent'anni gioca a farsi sputare addosso da quelli come me. Merlo non è altrettanto famoso, non è altrettanto controverso: è un onesto opinionista e a rileggere in rapida successione le cose che gli ho buttato addosso in tanti anni sembra davvero che io l'abbia messo nel mirino.

Anche in questo caso ho due spiegazioni. La prima coinvolge un'altra mia ossessione: il liceo classico. Chi mi legge da un po', poveretto, lo sa: per me il classico, e più in generale l'impostazione crociano-gentiliana è la fonte di ogni guaio in cui l'Italia si dibatte. Anche la mafia? Anche la mafia. Anche i terremoti? L'anno scorso un intellettuale ex consulente ministeriale si lamentava perché alle superiori invece di fare un test di letteratura facevano un test sulle norme di evacuazione, quindi sì: anche i terremoti, se fanno più vittime che altrove, devono ringraziare Croce e Gentile. Ecco, di quel liceo, di quel tipo di cultura, Merlo è il degno erede e non fa nulla per nasconderlo: è sempre tutto un citare Socrate e Santippe, e io intanto devo ancora superare questa cosa che a mezzogiorno suonava una campana e quelli del ginnasio uscivano, mentre io ne avevo per altre due ore. Qualche anno fa scrisse piccato alla Gelmini di non toccare il liceo classico, l'"eccellenza" della scuola italiana, invidiato da tutti nel mondo. Io strabuzzavo gli occhi: quale eccellenza? Quale invidia mondiale? Da quali statistiche internazionali evinceva tutto ciò, Francesco Merlo? Nessuna, ovviamente, Merlo mica è così triviale da spulciar statistiche, del resto l'eccellenza del liceo classico è autoevidente, si tiene su per il codino come Münchhausen: solo il classico poteva produrre Merlo, quindi il mondo ce lo deve invidiare, povero mondo senza elziviri alla Merlo sulla prima pagina di Le Monde o New York Times.

La seconda spiegazione è di nuovo più personale. Io sono il prototipo di quelli che dovrebbero fare concorrenza a Merlo: senza essere bravo quanto lui, comunque gli rovino la piazza. Però alla fine gliela rovino proprio perché faccio le stesse cose che fa lui: prendo gli arcinoti fatti del giorno o del giorno prima, e li cucino con un'abbondante spruzzata di opinioni mie. Quel che più m'infastidisce di Merlo, alla fine, è che è una versione meno imperfetta di me stesso. Potete chiamarla invidia, ma in verità è un po' peggio: io non vorrei essere come lui, ma alla fine mi rendo conto che siamo molto simili. Questo orrore per la scoperta del Merlo in me, di me nel Merlo, si legge tra le righe in vari pezzi che gli ho dedicato: nell'ultimo compare quell'endiadi freudiana, heimlich/unheimlich - bella lingua il tedesco, peccato che la studiassi sempre da mezzogiorno in poi, non mi ricordo niente - comunque in sostanza "heimlich" vorrebbe dire "familiare", e il suo contrario, "unheimlich", perturbante; però non è un vero contrario, in realtà unheimlich contiene heimlich, così come il lupo truccato da nonna contiene davvero la nonna, non c'è nulla di più perturbante di ritrovare noi stessi nei nostri nemici, ed è quello che mi succede quando leggo Merlo: è un ex liceale, ma alla fine dei conti lo sono anch'io. È un parolaio, parassita di chi le notizie se le va a trovare sul campo - eccomi qui, presente, lo sono anch'io. Chissà se anche a Merlo capita, quando passa di qui, di riconoscersi. Magari non è mai passato, magari non mi conosce nemmeno, magari esagero come al solito il mio peso sugli infiniti piattini dell'universo; magari invece mi sta leggendo in questo momento, nel cui caso ciao, scusa, niente di personale. Non ce l'avevo con te, ce l'avevo con me stesso: ma tu eri più comodo.


Io e Merlo (piccola antologia personale, dall'ultimo sputo al primo. Non so se ci sono tutti)

Ma tu non sei Eugeeeeeeeew (2011)
Capite, non è tanto Merlo in sé. Merlo si può leggere, a volte è discutibile ma non è che sia disgustoso. Ma leggere Merlo credendo di leggere don Eugenio, come posso descrivere la sensazione perturbante, heimlich/unheimlich... è come scoprire che la biondina che state spiando nella cabina dello stabilimento balneare è vostra sorella ciccia coi brufoli, ecco. E qualcosa dentro di te in quel momento si ribella, nel mio caso il cappuccino.
Il merlo maschio (2009, l'annoso problema del burkini)
...forse senza volere Merlo ha centrato il problema. Quello che ci disgusta di più, dell'Islam, non è il maschilismo. Non sono le bombe (che per ora da noi non si son viste). Quello che ci rende l'Islam più indigesto di altre religioni, è che ci assomiglia da vicino. È la nostra foto in bianco e nero, di quando eravamo più giovani e passavamo pomeriggi in piscina nel tentativo d'intravedere un'ascella: e tra gomitate e risatine si passava il sabato. Il ritratto di noi stessi da poveri, questo è l'Islam.
Martiri della sintassi (2008, per Merlo il liceo classico è un'"eccellenza" che non va toccata: contiene il vincitore del "trofeo sintassi involuta '08")
Pensate, se ci sfasciassero il liceo, Merlo potrebbe essere l'ultimo editorialista al mondo a scrivere cose come "Brunetta che sogna l'ipercinesi mercuriale del colore aragosta o del blu elettrico" o "abbiamo imparato ad usare la gobba di Leopardi contro quella di Andreotti" e tutte quelle scemenze che da anni piazza nella seconda metà del fondo, nella speranza che qualcuno arrivi fin lì.
Come muore un italiano? (2004, Merlo insiste perché la Rai mostri lo snuff di Quattrocchi)
Vedere ed essere visto da milioni di occhi. Per Merlo non c’è italianità più grande. Reggere nell’ora estrema lo sguardo della videocamera. Offrirsi al voyeurismo nazionale. Abbiamo il diritto di vedere. Abbiamo il dovere di guardare. E insomma, ce lo fate vedere o no? (Merlo insiste sul concetto per sei colonne) I corsivisti hanno fame!
Gentile signor Merlo (luglio 2001, con lo zaino già pronto per Genova)
Nei prossimi giorni sarò a Genova, da una parte di una nota linea rossa (che in tutta franchezza non vorrei neanche oltrepassare). [...] So quanto lei che tra le forze dell’ordine non sono tutti lettori di Seneca (e forse neanche di De Gennaro), che anzi ce n’è parecchi che bruciano dalla voglia di sprangarci, e ce l’hanno anche già mandato a dire. Bene, signor Merlo, le dico una cosa: quei ragazzi, quegli uomini, non sono miei nemici. Non ho nulla contro di loro. Ho molto più rispetto per il più esaltato di loro di quanto potrò mai averne per lei, che seduto davanti al suo pc scorrerà i drammi del giorno chiedendosi: vediamo cosa posso buttar giù di divertente, oggi. In tutta franchezza, signor Merlo.
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Megalomartire

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23 aprile - San Giorgio, cavaliere (III secolo).

San Giorgio un giorno s'è stufato, di ammazzare draghi e salvare fanciulle che poi alla fine si sposano sempre con coltivatori diretti e fanno tre bambini. San Giorgio di Portogallo. Di Ferrara. San Giorgio di San Giorgio a Cremano. Un giorno ha spento la sveglia ed è rimasto a letto, lo ha chiamato la segretaria verso le 8.05.

“Cavaliere, tutto bene?”
“Insomma”.
“Cavaliere lei forse non si ricorda ma stamattina avevamo un appuntamento per le otto, c'è un drago nel Polesine, una dozzina di fonti da bonificare, e inoltre...”
“Il drago nel Polesine, ricordo benissimo”.
“Cavaliere c'è qualcosa che non va?”
“Sono un po' depresso Teresa”.
“Si mette in mutua? In aspettativa? Cavaliere mi scusi eh, ma io a quest'ora lo devo sapere, se devo chiamare un supplente...”
“Sì, ecco, chiamate Demetrio”.
“Cavaliere, Demetrio è morto”.
Clic.

San Giorgio di Lituania. Di Catalogna. Di Reggio di Calabria. Un giorno si è stufato e basta. Hai voglia a dire la vocazione. Cos'è poi questa famosa vocazione? Siamo bambini di campagna, ci sbucciamo i ginocchi sulla ghiaia, un giorno arriva la fanfara: arruolati nella cavalleria! Girerai il mondo! Ucciderai i draghi, salverai le fanciulle! Bivaccherai sulle vette più alte!

“Si suona la chitarra nei bivacchi?”
“Prima si ammazzano i draghi, poi si suona la chitarra”.
“Cosa sono i draghi?”
“Sono bestie cattive sputafuoco, minacciano le nobili fanciulle, quando sono giovani guizzano un po' ma li trafiggi facile”.

Allora, tanto per cominciare non è vero che sputano fuoco. Forse una volta, sicuramente nelle favole. È un modo romantico di nascondere la prosaica verità, ovvero che i draghi hanno un alito pestilenziale, se sbuffano sai di fogna per tre settimane. Sono bestie anfibie ma non si lavano, anzi sporcano dappertutto, si installano in un fiume e ci fanno la palude. E gli escrementi, quando ti arruolano non ti parlano mai degli escrementi. Tonnellate da smaltire, e mai – mai – mai! una sola pentola d'oro. Al limite qualche minorenne impaurita e incrostata dai liquami che non ti dice grazie. Giorgio cova il dubbio che alle tizie il drago sotto sotto piaccia. Coi genitori non lo ammetteranno mai, ma... È quel tipo di mostro virile che si fa strada nel parcheggio delle scuole medie con un sei marce scoppiettante, il maschio alfa, le ragazzine fiutano il testosterone e la morchia, una cosa che fa ribrezzo. Giorgio certe mattine sotto l'elmo vorrebbe portare la mascherina, si è anche informato, pare non si possa.

“Che figura ci facciamo con gli utenti”.
“Sono allergico al polline”.
“Tu sei San Giorgio, il Megalomartire”.
“Ma infatti, sono già morto di choc anafilattico sotto Diocleziano”.
“Sei morto almeno tre volte”.
“Ecco, appunto, adesso anche basta, grazie”.

San Giorgio di Georgia, Caucaso. San Giorgio di Georgia, USA. San Giorgio in Campobasso. Non è che rivanghi così spesso i vecchi tempi. Quando i draghi erano verdi e non marron, e sprigionavano una deliziosa fiammella al sentor di diavolina, te la ricordi Demetrio l'odore della diavolina a Champorcher -

“Giorgio, la devi smettere di parlarne con me. Io sono morto, non sta bene”.
“Come sarebbe a dire che sei morto, scusa, quando sarebbe successa questa cosa”.
(continua sul Post...)
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Chi gli ha dato la password

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Salve, sono quello che se n'era andato da Piste qualche mese fa e ora si sente un po' come Rutelli quando se n'è andato dal PD. Anzi peggio, perché quando se n'è andato Rutelli il PD è giusto risalito un po' nei sondaggi, ma da quando me ne sono andato Piste è stato segnalato dalla Stampa, dal Post, da Linkiesta, dal Giornale, da Libero e ieri sera da Gramellini a Che tempo che fa. In prima serata tv. No, ma fa veramente piacere, dopo tanti anni e tante tastiere consumate, vedere riconosciuto il lavoro di qualcun altro.
Onori quindi a Cragno, che più o meno è restato solo, e fa una cosa semplicissima ma la fa lui e gli altri no. Seguono alcune considerazioni tecniche:

1. Malgrado tanta segnalazione la fiammata negli accessi è stata inferiore ad altri episodi (l'apparizione di Padre Pio in formato Megaborg, ad esempio). Sarà che è primavera e tutti sono a spasso, ma la sensazione è che ormai il grosso del traffico passi dai social. È chiaro che sulla stampa.it un link a un blog lo vedono millemila persone in più, ma non cliccano.

2. Quello che ha trovato il Cragno (la pagella scolastica della Fornero) era sotto gli occhi di tutti, e quindi tutti quelli che ci hanno linkato avrebbero potuto tranquillamente ignorare la fonte. La Stampa per esempio, se ho capito bene in un primo momento ha fatto lo gnorri (d'altro canto era tutto materiale suo); poi i commentatori hanno protestato ed è spuntato il link. Fino a qualche mese fa tutto questo non sarebbe successo: al massimo gli organi di stampa avrebbero scritto cose come "un blog ha trovato" o "il tam tam della rete". Credo che sia un effetto collaterale della socializzazione delle informazioni: la sensibilità è cambiata, o meglio prima non c'era una sensibilità e adesso sì (addirittura una notizia può risultare più sexy se a trovarla invece che un professionista è stata "un blogger").

3. La Fornero mi sembra un esempio di scuola del secondo paradosso di Otis-Findlay, ahinoi. Una figlia di papà avrebbe picchiato molto meno duro.

E adesso se scusate vado nel mio angolino a sentirmi poco bene. Gramellini ha citato Cragno. È nata una stella. Ed è Cragno.
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Fuori le pale!

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La neve divide gli uomini in due categorie: chi tira fuori la digitale e chi tira fuori le pale.


Ed è questo il vero problema con la mia generazione, altro che Renzi. Il pezzo in cui si compie la mia mutazione definitiva in accigliato umarell si legge sull'Unita.it (H1t#111). Buon disgelo.

A questo punto probabilmente ne avete abbastanza della neve sui giornali, delle foto di neve degli amici su facebook, della neve in generale, e vi capisco. Racconto solo la mia storia, sperando che abbia un senso anche per voi.
Mercoledì avevo messo la sveglia presto, perché volevo spalarne il più possibile finché era leggera. Non è che temessi di restare bloccato nella banchisa, ma volevo evitare che il più del lavoro lo facesse il signore del piano terra, che si sveglia presto, ma non dovrebbe fare sforzi alla sua età. Poi purtroppo la Creatura aveva altri progetti, e insomma mi è rimasta soltanto una mezz’ora per farmi strada verso il cancello e spazzare il mio pezzo di marciapiede. A un certo punto, mentre spalavo, è arrivata la signora del piano terra a scusarsi del fatto che non fosse uscito suo marito, che purtroppo era febbricitante. Le ho risposto che non c’era problema, che io avrei fatto quel che potevo prima di andare a scuola, e che si riguardasse, ché anche mio padre era a letto con la febbre. Però la signora era uscita con la pala del marito (grossa il doppio della mia), e ci teneva a darmi una mano. Abbiamo pulito il nostro marciapiede, e anche quello della vicina anziana, che ha una badante simpatica che spazza sempre le foglie anche per noi. La mia è una città minuscola dove le foglie cadono tutto l’anno, tranne quando nevica.
Tutto intorno strade e marciapiedi erano in uno stato disastroso, ma d’altro canto aveva fioccato tutta la notte, non si poteva pretendere. In un qualche modo ho raggiunto la scuola: verso la fine delle lezioni il bidello è venuto ad avvisarci che la scuola avrebbe chiuso per due giorni. Nel giubilo generale, ho raddoppiato i compiti e ho ricordato a tutti di aiutare i genitori con le faccende, anche spalando il cortile se necessario. Poi sono tornato a casa anch’io. La strada era ancora una lastra di ghiaccio, ma non mi stupiva. Il Comune fa quel che può. A sorprendermi sono stati i marciapiedi: quasi tutti avevano ancora le orme che ci avevo lasciato al mattino. Ho dovuto camminare sulla rotta incerta delle automobili, finché non ho trovato l’unico marciapiede un po’ decente, che era quello che avevo spazzato io (ho scoperto poi che la badante della mia vicina aveva dato una ripassata). Ho pensato che in fondo erano passate poche ore, e la maggior parte dei bravi cittadini non aveva semplicemente avuto il tempo di spalare: erano al lavoro, o bloccati nel traffico da qualche parte. Sono salito, ho dato un’occhiata a internet. Foto di neve un po’ dappertutto.
Internet è l’unico vero contatto che conservo con la gente della mia età. Al lavoro ho a che fare con preadolescenti e con colleghi un po’ più avanti con gli anni (tranne i precari che di solito hanno fretta). Su internet invece sapete come va, uno anche se non vuole finisce per trovarsi le compagnie che merita. Le persone che trovo sui social network fanno parte della mia generazione. La generazione che mercoledì avrebbe dovuto prendere la pala e pulire almeno il marciapiede, un lavoretto di mezz’ora: invece stavano pubblicando le foto su Instagram. Non è che voglio fare del moralismo, anche se mi viene spontaneo. Però dopo due giorni di bufera, stasera, guardando i marciapiedi intorno al mio ancora coperti da quella che ormai è una lastra di ghiaccio dura, pericolosa per i bambini e per gli anziani… mi è venuta rabbia, certo, per aver sudato inutilmente: a cosa serve un marciapiede pulito in un angolo, se prima e dopo il ghiaccio invade tutto? Ma sotto la rabbia c’è il panico. Fino a qualche anno fa sapevo che ai marciapiedi ci avrebbe sempre pensato qualche pensionato che non chiedeva meglio che mostrarsi utile. Quella generazione ormai si vede che non ce la fa più, è a letto con la febbre e ne ha il diritto: e noi?
La mia generazione, quella che chiede a gran voce di ereditare il mondo e per carità, giustamente, di fronte alle banali difficoltà di una bufera di neve, reagisce come se fosse di nuovo l’Ottantasei: andiamo a giocare e a farci le foto. Io a dire il vero l’Ottantasei me lo ricordo proprio perché per la prima volta i miei mi diedero una pala in mano: niente di speciale, forse una mezz’ora, e poi facemmo anche noi il pupazzo di neve: però ricordo meglio la pala, era il segno tangibile (e pesante) che stavo crescendo, e che ci si aspettava che facessi anch’io qualcosa.
Poi magari mi sto rincoglionendo: magari è un problema della mia città minuscola, o del mio quartiere, magari a due isolati da qui c’è una strada coi marciapiedi perfetti, puliti da trentenni responsabili. Magari avrei dovuto scrivere un pezzo su Monti, o su Renzi. Volevo però spiegare che la mia sfiducia nei confronti dei miei coetanei non ha a che vedere con Renzi. È una cosa che mi viene da più lontano, e si nutre di tante delusioni quotidiane, come uscire di casa e trovare il ghiaccio sui marciapiedi. Qualcuno si farà male. Daranno la colpa al Comune. http://leonardo.blogspot.com
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I Got You Babe

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A scuola ho appena chiuso il quadrimestre - registri e schede in ordine, più o meno. Ieri sera ho spalato anche per il vicino, così stamattina il vicino ha spalato per me. Oggi sono a casa, la Creatura gorgheggia sul tappeto, da mezzanotte si è svegliata appena tre, quattro volte, dai. In frigo tutto quel che serve, comunque il mercato è sotto casa. Niente lavoro fino a lunedì. Potrei persino mettermi a correggere temi freschi di tre giorni, ma ho paura di viziare i miei pupilli. No, tutto questo per dire -mollami i capelli - stavo dicendo - lascia stare la tastiera di papà - tutto questo perrkòl sdòfbndfskòlbnklgbn  gbfdgh fhd nkl k gkhlnjm  cvlkjnglhj toyiu96i79juorb lkhglfj- hai la tua di tastiera, un acer del 2006 che fa un rumore bellissimo, pensa ai poveri bambini africani con i tasti a membrana di Negroponte, dvxmbkh glnhòcgkhlcòghnlvmlvmxòckgffdno, tutto questo per dire che se domani dovessi svegliarmi ancora nel 2 febbraio, a me starebbe benissimo, capito Dio? Sì, lo so che non funziona così, però peccato.
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I blog, ehm, ecco

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Stanotte a mezzanotte (cari amici della notte) su wr8.rai.it c'è un intervista a me stesso medesimo; così chi si sentisse in crisi di astinenza può finalmente sapere cosa ne penso dei blog, del rapporto tra blog e giornalismo, tra blog e social network, eccetera. Che non fraintendetemi, gli intervistatori in generale sono gentilissimi a venirmi ancora a cercare, e fanno benissimo a farmi le stesse domande, visto che io continuo a fare più o meno le stesse cose.



Io nel frattempo sto lavorando sulle pause, cioè cerco di farne sempre di meno, chissà che in un'altra decina d'anni di applicazione io non diventi un intervistato affabile, uno che fa anche piacere ascoltare quando parla, hai presente. Se a mezzanotte avete altro da fare (buon divertimento), la trasmissione replica alle sei del mattino, e poi a mezzogiorno, e poi alle 18, e poi troverò modo di linkarvi il podcast, insomma arrendetevi.

UPDATE: Ecco il podcast.
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Come i funghi

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(2002-2012)

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Consuntivo 2011

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Quello che finisce oggi è stato, per questo blog, l'undicesimo anno. È un dato che parla da solo, e non è che dica cose molto rassicuranti nei confronti dell'autore del 99% di quanto è stato pubblicato qui. Al di là di qualsiasi considerazione sull'utilità, perfino sulla necessità del tenere aggiornata una pagina on line, nessuno dovrebbe bloggare così tanto. Siamo evidentemente di fronte a una patologia, anche se a tutt'oggi non è chiaro se il blog sia la malattia o la cura. Forse è la diagnosi. Io poi in qualche modo ho anche una vita, un bel lavoro, una famiglia che promette bene, non è che mi stia crescendo la gobba. Ho anche quasi smesso di bere (quasi), perché di notte poi non riesco a scrivere. Qualsiasi vizio che confligge con l'alcolismo mi sembra tutto sommato coltivabile.

Con tutto questo, l'anno che finisce oggi poteva davvero essere l'ultimo. Oltre alla tentazione della cifra tonda, c'è la vita che va avanti e riduce inesorabilmente le ore dedicabili ai passatempi, perlomeno a gennaio la vedevo così. Più che a chiudere, pensavo che dall'estate in poi il blog sarebbe finito in coma vigile, giusto un aggiornamento settimanale per segnalare le teorie sull'Unità. Quel che invece è successo, dall'estate in poi, è che riducendo il tempo, invece di diminuire le parole, sono calate le censure, e mi sono messo a scrivere di tutto e di più come se non ci fosse un domani, letteralmente, rubando ore al sonno e agli affetti, alzando la posta con un nuovo blog a tema agiografico, e il risultato è che il 2011 è stato uno degli anni in cui ho scritto di più, forse il più verboso in assoluto (non ci tengo a controllare). La filosofia sottesa è: diamoci dentro fin che siamo in tempo. Ma insomma si è capito che se mi togliete il tempo mi togliete il silenzio, non la parola. Io avrei bisogno di più tempo non per scrivere, ma per cancellare almeno la metà della roba che scrivo.

I cinque pezzi più letti del 2011:
1. Il più grande B. dopo il Big B. (aborto di una critica sistematica al programma di Renzi, molto apprezzata dai lettori dell'Unità)
2. Nudo! Vogliamo don Giussani nudo! (curioso successo postumo di un pezzo scritto nel 2003, quando don Giussani era ancora vivo (e proprio non voleva spogliarsi)).
3. Non siete così peggio di Breivik (scritto col telefono, adesso il mio t9 a ogni "br" mi consiglia Breivik).
4. Film per adulti (buffo, proprio adesso su rai3 stanno dando Noi credevamo. Il titolo continua ad attirare lettori che probabilmente non si aspettano la recensione di un film sul risorgimento).
5. Ovunque è Piazzale Loreto (la presenza di Buffon deve aver fatto la differenza).

Parliamo di accessi. C'è chi si vergogna di parlarne, chi nasconde il contatore: bisogna sempre prima puntualizzare che si scrive per sé stessi, e si scriverebbe anche solo per cinque lettori. Ecco, io no. Per me il contatore è parte integrante del gioco da tantissimo tempo. Non mi interessa scrivere per me stesso, francamente a questo punto non saprei neanche cosa scrivermi, dopo tanto che stiamo assieme è già tanto che ci sopportiamo. A me interessa produrre cose che gli altri trovino interessanti e leggibili: e più sono gli altri meglio è.

I pezzi più linkati:
1. Se ci riflettete
2, Lettera a Bruxelles
3. I diabolici agit-prof

Da questo punto di vista trovo abbastanza impressionante il fatto che malgrado i quaranta post in più rispetto all'anno scorso (come se quest'anno avesse avuto due mesi in più); malgrado un'opera di autosegnalazione sui social network sempre meno episodica, sempre più sistematica (e senza vergogna); malgrado le sinergie con l'Unità e il Post che sono due delle realtà internettiane più dinamiche in Italia... trovo abbastanza impressionante, dicevo, che gli accessi di quest'anno segnalino una perdita secca del 5% rispetto al 2010. È senz'altro lo spread più inoffensivo dell'anno, ma è un segno di crisi: anche perché, ribadisco, nel 2011 mi sono sbattuto quasi il doppio. Cosa sta succedendo? Si è deteriorato un rapporto coi lettori? Che fine hanno fatto i dialoghetti (è vero, non ne scrivo da un pezzo)? I raccontini? (quest'estate ho praticamente scritto un libro e non se n'è accorto nessuno), le recensioni? (non vado più al cinema). Ma ha ancora un senso questo blog dopo Berlusconi?

Non saprei. A occhio mi sembra una tendenza generale: i blog stanno perdendo traffico. Non sono più al centro della sfera: raramente ci si trova a conversare sotto il post di qualcuno. Gran parte della conversazione si è spostata sui network (in Italia il 2011 è stato l'anno della riscoperta di twitter), mentre i blog si sono appiattiti lungo le pareti: sono fonti da citare, carte da consultare. Se uno accetta questa nuova situazione, può anche immaginare un rinascimento dei blog nel 2012.

I pezzi più discussi (nei commenti):
1. Lettera a un giovane Ichino
2. I diabolici agit-prof.
3. Perché ho scelto Scienze Inutili
4. Sradicateli
5. Il più grande B. dopo il Big B

Io però con l'occhio al contatore mi pongo il problema. Dove diamine è finito facebook? Non mi arrivano più accessi da facebook. Lo scorso gennaio era ancora l'indirizzo che complessivamente mi mandava più nuovi utenti. Ora è sparito. Magari è solo occultato, facebook è veramente molto opaco. Però ricordo che anche solo un anno fa ci raccontavamo di come facebook non fosse la morte dei blog, ma un'opportunità di far conoscere a un pubblico molto più vasto i nostri contenuti: ecco, quella fase mi sembra finita, in modo anche abbastanza improvviso. O forse semplicemente non sono in grado di attirare l'attenzione su facebook. Vi faccio un esempio. Uno dei miei post più letti in assoluto quest'anno è del 2003. È successo che una domenica di febbraio, mentre cercavo di buttar giù il pippone per l'Unità, abbia letto l'ennesima uscita infelice della Gelmini e ne abbia scritto dieci righe sdegnate ed estemporanee su Piste. Stava piovendo, il dettaglio credo sia decisivo. Nel giro di poche ore il mio pezzino estemporaneo è stato condiviso, tramite facebook (ma anche e okvirgilio), da dodicimila persone: il post di Leonardo che quest'anno ha fatto di meglio è arrivato giusto alla metà. Di queste dodicimila, almeno quattromila hanno seguito un link che da Piste mandava a un vecchio pezzo del 2003. Sono episodi come questi, che mi rituffano nel 2003 e spiegano credo meglio di ogni teoria perché ormai il ranking, le classifiche basate sui link, non interessino più a nessuno. Essere lincati da un centinaio in più o in meno di blog amici non fa più molta differenza. Essere segnalati nel momento giusto (domenica mattina di pioggia) dall'utente giusto su facebook, o su twitter: questo fa la differenza. O almeno la dovrebbe fare. Tranne che da febbraio in poi facebook è quasi scomparso dal radar, e questo può in parte giustificare il 5% in meno.

I due pezzi più apprezzati da chi ha votato ai BlogAwards:
1. Il lodo Ligabue
2, Non siamo malati

I post migliori.
Ditemi voi nei commenti quali vi sono piaciuti di più; io davvero quest'anno non saprei cosa dire. Metà non me li ricordo proprio: credo sia indicativo. Devo dire che, al di là dell'effetto finale, i pezzi sul Post sono molto divertenti da scrivere. Una cosa che mi ricorderò del 2011 sono state le XXI notti: devo dire che l'agosto continua a esercitare un fascino particolare, l'idea di aggiornare il blog per pochi ossessivi nottambuli. Rimane il solito problema: la narrativa non fa accessi, la narrativa fa proprio scappare la gente. Perlomeno su questo blog. Perlomeno quando la scrivo io. Mi piacerebbe scriverne di più, ma a voi no. Potrei anche fregarmene, ma non era questo lo scopo del gioco, nel 2011. Magari nel 2012 mi metterò a scrivere endecasillabi sciolti di argomento pastorale, magari. Mi resta sempre la sensazione di scriver troppo e di non spiegarmi, dopo tanti anni di non avere ancora imparato a fare l'unica cosa che continuo ostinatamente a fare, che è stare qui a pestare tasti tutta la notte. C'è roba nel mio archivio - i primi anni - che ormai mi fa pietà e spavento. Cancellerei, ma non è sportivo. In fondo non faccio che scriverci sopra come se fosse un palinsesto, nella speranza che l'ultimo strato sia così buono che a nessuno venga voglia di grattare, di scavare, di vedere cosa c'è sotto: così ogni anno che cresce io mi seppellisco sotto un'altra tonnellata di scrittura, e non funziona, alla fine salta fuori tutto alla rinfusa, google non perdona, io lo so ma l'unica cosa che posso fare è scriverci sopra, scriverci contro, alla fine questi quaranta tasti è come se fossero un tasto solo che dice cancella, cancella, cancella - sì, no, scusate, buon anno.
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I CD sono brutti

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(Questo pezzo era nato per rispondere alla sollecitazione di Bastonate, ma ovviamente mi è venuto troppo lungo - ho qualche difficoltà con la sintesi negli ultimi tempi - e ho pudore a mandarglielo).

Come ho ucciso la musica

Il progresso tecnologico ha questa cosa strana: che inseguendo quasi sempre la funzionalità, il rapporto ottimale tra costi e ricavi, a volte produce oggetti bellissimi e suggestivi: ad esempio, il disco in vinile. Sì, scusate, sono vecchio, per me i “dischi” sono quei cosi neri lì, che quando li racconto ai ragazzini (“un lato durava venti minuti e poi dovevi voltarlo!”) mi guardano come una specie di reduce dalla campagna di Russia. Anche chi non ne compra più da trent'anni; chi non è legato a nessun ricordo d'infanzia; anche chi non ha perso ore della sua vita ad ascoltare il crepitio della polvere sui solchi ipnotizzato dalla label rossa di Tommy che ruotava su sé stessa all'infinito mentre Roger Daltrey implorava adeguate cure mediche; anche chi ricorda benissimo che fatica fosse pulirli e con che facilità si graffiassero, s'imbarcassero, un bambino nella scuola materna di mia madre mozzò il lobo di un orecchio al compagno; anche chi fucilerebbe tutti i nostalgici che tengono ancora in vita il mercatino dei dischi in vinile; anche costui deve ammettere che l'oggetto era bello in sé. Era nero. Rifletteva la luce. Lo guardavi girare. Vedevi la musica, un solco spiraliforme e misterioso che conteneva il mistero del tempo: se un film è fatto di ventisei fotografie al minuto, la musica di cosa è fatta? Come suona un solco fermo? I bambini di adesso non lo sanno, ma i dischi in vinile suonavano anche senza luce elettrica, sì: girando a mano il disco sul piatto, accostando l'orecchio alla puntina, potevi sentirli suonare. Forse avresti potuto suonarli anche senza giradischi, con uno spillo o qualcosa del genere, anche se non hai mai voluto provare. Questa cosa – che si potesse ascoltare musica senza il consumo di elettricità – i ragazzini non lo concepiscono: la sola idea che un oggetto possa riprodurre una canzone (anzi “suonare” una canzone, i dischi in vinile si “suonavano”) senza la preventiva pressione di un tasto ON, ha del magico, come ogni tecnologia desueta: dateci un altro secolo di microonde, e i nostri nipoti guarderanno con occhi sbarrati la pentola che bolle.

I dischi in vinile erano oggetti magici, li compravamo per questo. E per le copertine, gli unici quadri che abbiamo mai fissato per più di tre minuti: tuttora, socchiudendo gli occhi, mi è più facile rammentare il nanetto di Strange Days che la tizia con l'orecchino di perla. Di sicuro non li compravamo per il crepitio né per la facilità con cui si segnavano, né per la gioia di dover cambiar lato ogni venti minuti. Probabilmente, fatti i dovuti conti, chiunque non avesse uno stereo hi-fi di quelli dal milione in su e non passasse il tempo a lucidare i suoi LP con un panno elettrostatico, avrebbe dovuto preferire le cassette, col loro fruscio standard di cui smettevi di accorgerti al terzo minuto: più versatili, meno ingombranti. Ma noi adolescenti invece compravamo i dischi in vinile, proprio perché erano roba da vecchi. Paradossalmente, per noi le musicassette erano l'infanzia, la compilascion di Sanremo se non quella dello Zecchino d'oro, e le schifezze che alle medie ci eravamo registrati per darci un tono col walkman della Sony, insomma, tutto ciò che ci imbarazzava del nostro passato più recente era su nastro. Invece nulla dava più il tono allo studente liceale della bustina quadrata del negozio dietro la stazione delle corriere, che richiamava immediatamente il formato 33 e 1/3 anche se dentro ci avevi messo le scarpe da ginnastica. Tanto più che dischi e musicassette costavano uguali: quattordicimila lire, poi diciassette; la sopraggiunta maturità era gratis.

Sto andando fuori tema, lo so, la traccia dice: parla della tua collezione di dischi. Io però mi sento a disagio, come l'orfano a cui chiedono un tema sulla mamma. Con l'aggravante, non prevista da Tricarico, che l'orfano in questione cova un terribile segreto, insomma l'ha uccisa lui. Io non posso parlare della mia collezione di dischi, perché l'ho abbandonata in un qualche solaio, dopo che nei primi Novanta il giradischi smise di funzionare. Me ne sono liberato e sono passato in clandestinità. Tuttora, io per l'industria musicale non esisto, per il motivo che non compro nulla da loro più o meno da vent'anni – salvo qualche cosa da regalare, di solito a Natale. Persino se mi va di ascoltare uno di quei vecchi dischi che possedevo, preferisco rubarlo da qualche parte piuttosto che cercarlo in quel solaio. Sì, sono uno di quelli che ha ucciso la musica, sono io. Non è che ne vada fiero. È una cosa che certo andava fatta, ma che comunque non avrei potuto impedirmi di fare: la musica mi piaceva, ma a un certo punto cominciò a costare troppo. Fino diciamo al 1988, facendo i miei conti, tenendomi abbastanza aggiornato, potevo gratificarmi ogni quindici giorni con un disco scelto con attenzione, una bustina quadrata. Poi all'improvviso ci fu un ricarico pazzesco, un aumento quasi del 100%, e io dopo qualche esitazione mi diedi alla macchia. Era arrivato il CD. Niente di personale, ma a quel punto l'industria musicale doveva morire. O io o lei, insomma; e io ero giovane.

Il progresso tecnologico ha questa cosa strana, che inseguendo quasi sempre la funzionalità, il rapporto ottimale tra costi e ricavi, a volte produce oggetti bellissimi e suggestivi: a volte invece orrori insensati. Prendete il vhs: quanto erano brutte le cassette vhs? Ingombranti, fragili, malvagie, deperibili, ma anche semplicemente brutte: piene di fori, di dettagli incomprensibili, impossibili da riparare e a volte persino da riavvolgere (anche se due o tre volte siamo riusciti a operarle a cuore aperto; ma di sicuro abbiamo fallito l'operazione con l'unica che ci interessava davvero salvare, il filmato raro e introvabile). E insomma non c'è un perché: i dischi in vinile erano belli, semplici, misteriosi; le vhs erano nere anche loro ma complicate, banali e brutte. E i cd?

I cd, la prima volta che un compagno di classe ha aperto lo scrigno per mostrarcene uno, ci parvero bellissimi: di colore cangiante, con quei riflessi iridati; e poi quando abbiamo potuto ascoltarli – niente fruscii, niente crepitii, i brani selezionabili con la pressione di un tasto – ci veniva quasi da piangere. I cd insomma all'inizio ci abbagliarono, con tutto il bello che potevano offrirci, così ci abbiamo messo persino degli anni a capire quanto fossero fragili, quanto fossero tristi. Non è che l'oggetto in sé non conservi una sua poesia, anche se ormai ne hai visti troppi penzolare dagli specchietti retrovisori dei marocchini, per via della nota leggenda urbana secondo la quale riflettono il flash dell'autovelox (che in fondo ha un senso, bisognerebbe farci degli esperimenti, attivare Attivissimo). Ma insomma è pur sempre un cerchio: forma semplice, perfetta. La vera nota dolente, sin dall'inizio, fu il contenitore. Se ci pensate, pochi oggetti di uso quotidiano sono più brutti e scomodi di un involucro di plastica per cd (non è un caso che in Italia non ci siamo nemmeno sbattuti più di tanto per trovare un nome alla cosa). Forse le cinture di sicurezza. I coperchi dei sottaceti. Ecco, l'involucro dei CD gioca in quella categoria. Quella forma quasi-quadrata che sembra fatta apposta per suggerirti che sì, puoi afferrarla con una mano sola, e invece no, una volta su dieci ti cade e dieci volte su dieci che cade – si rompono i dentini, quei ridicoli cardini che dovevano assicurare la rotazione del coperchio. Poi c'è la questione della plastica, che in teoria dovrebbe reggere il tempo meglio del cartone. E questi sono i veri misteri: perché il cartone che si deteriora diventa suggestivo e la plastica no e poi no? Perché qualsiasi bancarella di LP vecchi slabbrati e stinti sprizzerà sempre più poesia di un'analoga puzzolente rivendita di CD? È che i contenitori invecchiando opacizzavano, si segnavano, schermavano e schernivano i colori già sgargianti del booklet, l'ombra dell'entusiasmo con cui li avevamo scartati la prima volta. I booklet poi sono sempre stati un oggetto insulso – lo so, per voi è naturale, ci siete nati leggendo i ringraziamenti in corpo 6,5 sans serif – ma ai nostri tempi soltanto le Bibbie tascabili chiedevano tanto all'occhio del lettore. Certi dischi, soprattutto quelli dei magniloquenti anni Settanta, perdevano semplicemente ogni aura, hai voglia a stampare Dark Side Of The Moon in versione oro 24 karati: resta sempre un rettangolino, una vignetta in confronto all'impatto dell'originale. E il fastidio di sfilare e reinfilare il booklet sotto le ridicole linguette del coperchio di plastica – come, direte, non era molto più faticoso sfilare il disco in vinile dalla busta di carta velina contenuta nella busta di cartoncino contenuta nella busta di cartone? Sì, ma quelli erano gesti teatrali, apotropaici, facevano parte di una liturgia, del resto un LP durava al massimo tre quarti d'ora e avanzava un sacco di tempo per tutta questa liturgia. Invece il tempo del CD era già un tempo parcellizzato, cronometrato, il tempo in cui ogni minima contrarietà cominciava a romperci le palle. Che è il motivo per cui ormai sono soltanto dei soprammobili, i cd: se ti serve una canzone, fai quasi prima a cercarla su youtube, a scaricarla dal p2p, in certi pomeriggi l'idea di alzare il culo e andare a cercare il cd giusto da una mensola, sfilarlo, aprirlo... su internet nel frattempo hai già finito di ascoltarlo e puoi già fare altro, c'è sempre qualcos'altro da fare, ultimamente.

Sono tempi duri per i collezionisti, ormai tutti i loro pezzi preziosi qualcuno li sta condividendo su una nuvola. Tempi duri per i feticisti, nessuno si impressiona più entrando nelle vostre camerette e vedendo esposti certi film, certi dischi. Forse è la crisi e forse è l'età, ma l'impressione è che la stagione in cui l'identità era una collezione esposta a scaffale sia tramontata. Non voglio dire che l'identità stia meglio spalmata sulla bacheca di facebook, forse è pure peggio. Ma con tutta la buona volontà non riesco a provare nostalgia per i CD. Non mi sono mai piaciuti. Non sono mai riuscito a trovare un portaCD che mi piacesse. Ho odiato quei vent'anni di plastica opaca e di VHS, culminati con l'erezione della Biblioteca Mitterand che voleva suggerire la forma di quattro libri aperti e invece si rivela, lapsus colossale, un enorme porta-cd, o porta-vhs, fate voi. In realtà sono un ingrato oltre che un assassino, perché la mia cultura musicale sarebbe un'esigua frazione di quella che è senza quelle fonoteche comunali che per più di quindici anni mi hanno rifornito quasi settimanalmente di CD originali, quasi tutti recanti la scritta “vietato il noleggio” che continuo a domandarmi cosa significhi, esattamente. Per cui quando mi dite che il p2p ha ucciso l'industria musicale, io non sono d'accordo, io la stavo pugnalando già nel Novantacinque nelle celle di un torrione medievale (la fonoteca era al terzo piano, giuro). Non è che me ne vanti, no. Ma è stato divertente.
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101 teorie

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Ed eccoci qua. Ormai sono due anni che scrivo all'Unità, e in effetti non mi ero ancora presentato.


(È che detesto l'autoreferenzialità, sapete). La teoria numero centouno è sul mio nuovo blog sull'Unità (Sì! Abbiamo cambiato di nuovo la piattaforma! E per ora wordpress mi taglia le immagini! Ma il peggio è passato).

Come avrete notato, qui sopra è cambiato qualcosa – ogni tanto succede. Nel gergo dei blog si chiama “cambio di piattaforma”, io da quando scrivo sull’Unita.it ne ho cambiate già tre – a proposito, da quando scrivo sull’Unita? Ormai sono due anni, ho iniziato nel dicembre 2009. E siccome la settimana scorsa ho pubblicato il post numero 100, ne approfitto per festeggiare parlando un po’ di me. Lo so che è una cosa imbarazzante, ma i blog lo fanno (anzi qualcuno dice che non facciano altro).
A volte diventa quasi indispensabile. Me ne sono accorto una volta mentre leggevo i commenti (sì, li leggo, tutti. E cancello solo i doppioni e le parolacce, neanche tutte). Sotto a non mi ricordo più quale fondamentale riflessione, c’era un lettore che diceva qualcosa del tipo: ‘interessante, però scusa, tu chi sei?’ Dove il “chi sei” si può leggere in tanti modi: chi sei tu per dire una cosa del genere? Hai un qualche tipo di autorità, hai studiato l’argomento, hai titoli, un curriculum qualunque? La risposta a queste domande in generale è no: non sono un esperto di niente. Se non avevate mai sentito parlare di me è perché io in buona sostanza sono un insegnante di scuola media con l’hobby della scrittura on line, tutto qui. E quindi, insomma, con che titolo mi metto a parlare di Berlusconi o di scuola media o di qualsiasi altro argomento?
Con nessun titolo, appunto. Per molti anni non mi sono nemmeno firmato col cognome, cosa di cui molti mi rimproveravano (la querelle tra anonimi e cognomi va avanti da sempre). In realtà quando alla fine scoprivano come mi chiamavo spesso ci rimanevano male, perché non corrispondeva appunto a nessuna persona di qualche importanza: e insomma avevano perso tempo a polemizzare con uno sconosciuto, credendo che magari dietro il nick ci fosse chissà chi. Le cose che scrivevo erano più interessanti della persona che le scriveva.
Ho sempre pensato che le cose avrebbero dovuto restare così: non chiedetevi se chi scrive è un esperto, leggete soltanto se trovate che ci sia qualcosa di interessante. Se parlo di scuola, è perché ci vado quasi tutte le mattine. Se parlo di Berlusconi è perché anche lui in un qualche modo fa parte della mia esperienza quotidiana da venti e più anni; credo che dopo averlo subito per così tanto tempo il minimo che ci meritiamo tutti è una laurea in berlusconologia ad honorem. Se parlo di qualsiasi altro argomento, ne parlo da dilettante: cerco di partire da dati oggettivi, osservazioni condivise; ci costruisco una teoria, il più possibile originale, qualcosa che ritengo non sia già stata scritta da qualcun altro sullo stesso argomento; e voi siete liberi di scannarmi nei commenti. Per inciso, all’inizio il blog (non era nemmeno un blog, era ancora una rubrica) si chiamava proprio “ho una teoria”, una specie di tormentone che mi capita di usare spesso, anche in modo involontario. È tutto quello che ho: teorie. Il più delle volte non reggono al collaudo, però restano interessanti. Cesare Buquicchio (che non smetto di ringraziare) invece mi aveva proposto di chiamarlo “Spero di sbagliarmi”, un’altra mia frase ricorrente, ma mi sembrava che rivelasse un po’ troppo di me. Sì, sono una persona fondamentalmente pessimista, che spesso teorizza catastrofi e poi aggiunge in calce, a mo’ di scusa, che spera di sbagliarsi. Qualche volta fortunatamente mi sbaglio davvero, anzi stavo quasi pensando di andare a contare la percentuale di errori nei 100 post che ho scritto, ma è un lavoraccio (e i primissimi sono un po’ difficili da reperire: comunque questo è il primo. È la risposta a un giornalista che si lamenta, ehm, dei commentatori che scrivono parolacce).
Quel lettore che mi chiese “chi sei”, magari aveva soltanto voglia di trovare o leggere altre cose mie. Anche questo è legittimo. Nella nuova piattaforma trovate foto e biografia minima. La foto è un’altra cosa che per molti anni non ho sopportato di vedere sopra le cose che scrivevo. Anche adesso mi dà un certo fastidio, in generale bisogna mostrarsi sereni e sorridenti, poi magari se frana una montagna è molto difficile riuscire a scrivere qualcosa di intelligente sotto un sorrisetto idiota (giusto ieri sul mio twit c’erano un paio di facciotte di opinionisti sorridenti che discettavano di suicidio assistito). Magari troverò una smorfia più seria. Comunque quello lì sono proprio io, senza occhiali. Se c’è una parola che mi dà fastidio è “cattocomunista”, ma forse è lo stesso fastidio che provo per la mia foto o la mia voce registrata, visto che io davvero sono nato cattolico e sono cresciuto un po’ materialista dialettico, e ho fatto in tempo, se non a conoscere Dossetti, almeno a stringergli la mano. Sono cresciuto e sto invecchiando nella provincia di Modena, nel famoso triangolo rosso; salvo che la mia era una famiglia di bianchi, a parte il nonno materno che leggeva l’Unità. In casa nostra invece passammo dal Resto del Carlino alla Repubblica mi pare verso il 1985, anche grazie all’inserto di vignette che si chiama Satyricon. Conservo da allora una deferente ammirazione per Scalfari, ma anche per Disegni e Caviglia. Sono stato scout cattolico dai lupetti fino a Capo-Reparto, più o meno come Matteo Renzi. Poi mi sono un po’ perso e adesso avrei qualche difficoltà a definirmi cattolico, anche se la storia del cristianesimo rimane uno dei miei hobby (da qualche tempo scrivo anche un blog sulle vite dei santi, dove nei commenti mi danno alternativamente del baciapile e del mangiapreti, è stimolante).
Mi sono laureato in Lettere, come milioni di altri umanisti frustrati, nel ’98, ma in un qualche modo mi sono messo subito a lavorare e, grazie anche a qualche sana botta di fortuna, non ho più smesso. Però sono un’eccezione; non fate come me, non laureatevi in lettere. Nel 2001, lavorando in un ufficio dove ero connesso per 8 ore al giorno, aprii un blog quasi per caso. Alcuni blog italiani esistevano già, ma in seguito hanno chiuso: il mio è uno dei più vecchi, e, a causa della mia verbosità, probabilmente uno dei più lunghi in assoluto. Secondo me ormai ho superato la Bibbia, anche se mi manca la forza di controllare.
Quando ci fu il g8 di Genova cercai di fare col blog quello che adesso tutti provano a fare con twitter, finché la polizia non troncò il cavo del mediacenter delle scuole Diaz e il resto della cronaca dovetti pubblicarmela da casa. È stata l’unica cosa vagamente giornalistica che ho fatto, perché io in realtà arrivo al blog da un percorso di scrittore frustrato. Alcuni pezzi che ho scritto sono stati raccolti in un volumetto che si chiama Storia d’Italia a rovescio (2006-2002), pubblicato da una casa editrice che ha chiuso i battenti immediatamente dopo. Ho anche scritto un libro serio, sull’unico argomento di cui sono un esperto, non scherzo, a livello mondiale: il futurismo letterario.
Veniamo alla politica, visto che è la cosa su cui di solito si litiga qui. Dunque io sono antiberlusconiano, come s’è capito: non credo che Berlusconi sia la fonte di ogni guaio dell’Italia, ma ne è un sintomo enorme, di cui non dobbiamo smettere di occuparci. Credo di essere stato antiberlusconiano ancora prima che Berlusconi scendesse in politica, forse ancora prima di captare Canale 5, può darsi che sarei stato antiberlusconiano anche in assenza di Berlusconi. Lo ero per vari motivi, a partire dalla violenza con cui interrompeva i cartoni animati per mostrare assurde pubblicità di bambole in rosa, il cui edonismo non condividevo. Ho odiato Craxi e il pentapartito di un odio che oggi faccio un po’ fatica a rievocare. Negli anni Novanta sono stato prodiano, avete presente quelli che dopo dieci anni ancora non perdonano Bertinotti (e Vendola) di aver fatto cadere il Prodi I, ecco, io sono uno di quelli. E ovviamente ce l’avevo con D’Alema, le sue barche, le sue bicamerali, il suoi calcoli astuti sempre sbagliati, eccetera. È buffo che adesso i lettori mi diano del dalemiano. Ma forse hanno ragione, e più che buffo è triste.
Durante e dopo il G8 mi sono trovato in una posizione abbastanza barricadera. Mi è capitato diraccogliere firme per la Tobin Tax, mentre confluivo nel Correntone e subivo (come tanti) l’infatuazione per Cofferati. A un certo punto, che non è chiaro nemmeno a me, devo aver ridimensionato di parecchio l’orizzonte delle attese, perché mi sono ritrovato a sperare nel secondo avvento di Prodi, e a soffrire molto per il suo governo nato zoppo. Veltroni, con tutta la sua valigia di sogni, mi ha sempre lasciato un po’ freddo, ma a un certo punto pensai che fosse un problema mio, che invece poteva essere l’uomo giusto per rilanciare un qualsiasi centrosinistra (però alle primarie votai Rosy Bindi). Sono diventato un antiveltroniano cocciuto quando mi sono reso conto che il problema non era soltanto mio, che l’uomo non riusciva a entusiasmare quasi nessuno. Alle ultime primarie votai Bersani e devo dire che non mi sono pentito, anche se in questi giorni mi è tornata in mente una cosa che avevo scritto un anno fa all’indomani di un insuccesso elettorale alle amministrative: “Bersani ha trenta mesi per mostrare che il suo partito non vuole cambiar pagina solo a parole. Siccome altri test elettorali per lui non ci saranno, e questo è stato deludente, forse è il caso di pensare a un altro turno di primarie nel giro di due anni. Se avrà fatto un buon lavoro sarà riconfermato”. In questa cosa ci credo ancora: invece non capisco perché dovremmo perdere tempo a fare primarie di coalizione, come se il problema sia decidere se il leader della coalizione è Bersani o Vendola. No, secondo me Renzi, o chiunque altro abbia un’idea del PD diversa da proporre, dovrebbe proporla agli elettori del PD, confrontarsi con Bersani, e lasciare che gli elettori del PD decidano. La butto lì, diciamo che è la teoria di uno che non ha nessuna voce in capitolo, nessun accesso a nessun retroscena, e non rappresenta altri che sé stesso. La mia teoria numero 101. Alla prossima settimana. http://leonardo.blogspot.com
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Va tutto benissimo

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(Veramente benissimo).
La teoria di questa settimana sarà un po' in ritardo, credo che non sia un problema per nessuno.
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Nel frattempo ho scritto altre canzoni

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Di lui parlano raramente

- C'è amore e amore. Con alcuni rimani in buoni contatti. Con altri no, è difficile anche spiegare il perché, ad esempio, io Francesco De Gregori cerchi il più possibile di evitarlo: cambio stazione, cambio canale, cambierei pure marciapiede se me lo trovassi di nuovo davanti in viale Indipendenza (mi sembrò un gigante). C'è qualcosa che non gli perdono, ma è stato tanto tempo fa, non ricordo nemmeno cosa. Di certo ha distrutto tante canzoni che mi piacevano, scartavetrandole con una voce che non riesco più a sopportare, ma è colpa sua? Lui ha preso la sua strada, io la mia, da qualche parte c'è una casa più calda, sicuramente esiste un uomo migliore. Francesco De Gregori in ogni caso mi ha cambiato un po' la vita. Sì, lo so, son cose che si dicono. Voglio precisare che questo accadeva in tempi diversi, quando la mia vita cambiava un poco tutti i giorni, come le costellazioni sempre nuove dei brufoli sulla mia faccia prima che mi prescrivessero un farmaco in seguito proibito perché gli adolescenti si suicidavano. Io non mi sono suicidato. Pensavo tanto alla morte, questo sì, ascoltavo i dischi emo del giovane De Gregori. Ma non voglio parlarvi di questo.

Voglio fare una confessione, di quelle pesanti. Io sono stato antiabortista.

Sì, esatto. È successo. Ero giovane. Troppo giovane per votare a qualsiasi referendum o picchettare un consultorio, ma promettevo bene. Ero convinto che l'aborto fosse un omicidio e punto. Tuttora, non escludo che lo sia: voglio dire che non ho sostituito una fede a un'altra; semplicemente si è fatto strada il dubbio. È stato un processo lento. Ogni tanto però la mia coscienza si dava una scrollata, ogni tanto cascava qualche calcinaccio di ortodossia. Non è che mi ricordi tutte le fasi del processo, non tenevo mica un blog. Però un momento me lo ricordo bene, e fu mentre ascoltavo un pezzo di De Gregori con il foglietto del testo in mano – quei foglietti che facevano copertina alle musicassette, avete presente. La canzone non è un granché, da un punto di vista musicale appartiene di striscio a quei tardi anni Ottanta che furono micidiali per le sonorità dei cantautori italiani, e in particolare a quel sottogenere che battezzerei: “fàmolo reggae”, perché dopo la calata di Marley a San Siro ci fu una fase in cui tutti i cantautori dovevano avere un pezzo reggae in scaletta, come se glielo avesse ordinato il dottore; e meno male che c'era Fossati a tirar su la media, ma devo dire che a me piacciono tutti, questi fintissimi reggae italiani anni Ottanta, perfino Nisida di Bennato, sì, persino Voglio andare al mare, tutte le volte che li riascolto mi fanno sentire a Pinarella. Anche il pezzo “fàmolo reggae” di De Gregori sta su un disco che si chiama Miramare, e che non credo che riascolterò mai più. Si intitola Dottor Dobermann, ed è la brevissima storia di un chirurgo obiettore di coscienza, con una bella clinica dove lavora al pomeriggio. E dunque qual è il prezzo, qual è il prezzo, dottor Dobermann? Qual è il prezzo che va pagato? per le cose che ti secca fare in pubblico, ma ti rendono bene in privato? Tanti soldi, niente tasse, e non c'è scandalo: non è nemmeno peccato...

Tutto qui? Tutto qui. Ero giovane, e può darsi che di medici ipocriti, obiettori di coscienza al mattino che ammazzavano a pagamento nel pomeriggio, avessi già sentito parlare. Però De Gregori questa storiella me la rimise davanti, e qualcosa in me cambiò. Non è che il grande cantautore abbia fatto, nell'occasione, nulla di eccezionale: ha preso una storia risaputa e ci ha messo sotto quattro accordi in levare. Non è per questo che lo celebreranno musicologi e critici letterari.

D'altro canto, per me è esattamente quello che deve fare un artista, o un poeta. È anche quello che devo fare io. Devo prendere piccole storie, già sapute, sbatterle in faccia al lettore e provare a fargli cambiare idea. È un progetto folle e dissennato, più ci penso più mi rendo conto. La gente non cambia quasi mai idea, specie dopo i trent'anni. Io però continuo a cercare qua e là le mie storielline, a intonare le mie canzoncine, per chi lo faccio? Il mio target probabilmente è un ragazzetto brufoloso disposto a cambiare idea come si cambiano i gusti musicali, di punto in bianco, quando qualcuno ti propone uno spunto diverso e interessante. Insomma, se è successo a me di cambiare idea ascoltando una canzone, potrà ben succedere a qualcun altro, e io voglio provarci. Non so se sia il motivo per cui De Gregori cantava nell'89 e si ostina a farlo oggi. Però è il motivo per cui io provo a scrivere qualcosa di nuovo tutti i giorni. E lo so che non scriverò mai la Donna cannone, nemmeno ci provo. Sono più che contento se ogni tanto mi esce un Dottor Dobermann. Così buon compleanno, signor De Gregori. Lei è stato molto importante per me.
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Ho plagiato Hugo Proff

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Aggiornamento: Hugo ha chiesto scusa e ora sul suo blog riconosce le fonti dei post che ha... preso in prestito. Per quel che mi riguarda siamo a posto così.

"Personalmente mi ritengo soddisfatto quando un mio Post o comunque un Articolo postato su questo Blog gira per la rete.
L’unica cosa che chiedo è mettere un link al sito.
Poi esiste un’altra classe di furbacchioni che non soltanto copiano, ma addirittura postano l’ articolo con data precedente allo stesso, spacciandolo per proprio.
I più odiosi".



Il copione

Lo so che qualcuno penserà che questo è solo un patetico tentativo di salvarmi in corner. Ormai Hugo Proff è sulle mie tracce. Ha snidato Ghebreigziabiher, e ben presto troverà anche me. Questione di giorni, ore, forse minuti.

Eppure il mio pentimento è sincero. Eppure nel fondo del mio cuore ho sempre saputo che stavo facendo qualcosa di sbagliato, di orribilmente sbagliato. Ho copiato per mesi i suoi bei post, sporcandoli appena un po' con la mia prosaccia schifosa. L'ho saccheggiato a man bassa, pensando che non se ne sarebbe mai accorto. Tanto è roba che sta su internet gratis, pensavo.

Il pezzo su Ferrara, per esempio. È tempo di ammetterlo: è farina del suo sacco. Lo potete leggere sul blog di Hugo Proff, nella giornata di lunedì 14 febbraio. Io l'ho preso da lì, compresa la citazione di quel Bertolt Brecht che non so bene chi sia (uno svaligiatore di banche, credo), e l'ho pubblicato pre-datandolo, in modo che tutti credessero che lo avessi scritto io. Perché sono astuto, io, nella mia cialtronaggine. E siccome non scrivo bene come Hugo, ahimè, ho cambiato qualche espressione qui e là (per esempio ho tolto i riferimenti alla sua tumultuosa vita personale, non avendo io nessuna vera “vita”, in realtà passo il tempo su internet a copiare i pezzi degli altri). Ho tolto molti a capo, per dissimulare l'eleganza stilistica di Hugo. Ho sostituito “Berlusconi” a “Psico-pedo-papi”, il divertentissimo epiteto coniato da Hugo, che è il suo marchio di fabbrica più riconoscibile. E poi, sentite un po' che ho fatto, perché è da dettagli come questi che si capisce che povera persona sono: ho plagiato anche i commenti. Esatto, ho preso i commenti in calce al suo pezzo, li ho copiati e li ho reincollati in calce al mio, perché io a uno bravo come Hugo gli invidio anche i commenti, se fossimo due cani gli invidierei le pulci sotto i coglioni.

Ma ho fatto di peggio. Qualche settimana fa Wikimedia Italia mi chiese un contributo per 10annidisapere.it, il blog che festeggia il decennale di Wikipedia. Io accettai con entusiasmo, e... siccome non avevo nemmeno ben chiaro cosa fosse, Wikipedia, andai a documentarmi in uno dei pochi blog italiani che valgono la pena, ovviamente il blog di Hugo Proff (che scrive anche sul Fatto Quotidiano, non si sa bene dove, forse tra le righe). Dove infatti trovai un pezzo con un punto di vista molto interessante... che copiai di pacca, anche in questo caso modificando lo stile qua e là, allungando il brodo succulento con le mie scipite esperienze d'insegnante, perché nessuno mi crederebbe, se di colpo mostrassi di saper scrivere bene come Hugo Proff.


Vent’anni dopo è successa una cosa straordinaria.
La possibilità di andare su internet quando vogliamo. Qualsiasi domanda ci venga in mente… tu digiti, e in pochi secondi internet ti risponde. E così mi sono reso conto di una cosa.
Oggi i computer assomigliano molto di meno a quegli scatoloni vuoti che ho cominciato a usare gli albori cibernetici, e molto di più a quei cervelloni che sognavo da bambino.
Vent'anni dopo è successa una cosa straordinaria. Mi hanno montato una lavagna interattiva in una classe, e ora possiamo andare su internet quando vogliamo. Qualsiasi domanda ci venga in mente... tu digiti, e in pochi secondi internet ti risponde. I ragazzi ci si abituano subito, del resto la maggior parte ha già internet in casa, e le ricerchine le sanno fare, anche solo per trovare le specifiche di un videogioco. E così mi sono reso conto di una cosa.

Oggi i computer assomigliano molto di meno a quegli scatoloni vuoti che ho cominciato a usare alle medie, e molto di più a quei cervelloni che sognavo da bambino. Guarda il modo in cui li usano i ragazzi: fanno domande, e il computer risponde. 


E poi che altro c'è... ah, sì, pensate, in settembre Proff scrisse un altro pezzo lungo e curioso sull'ora di religione, non so bene il perché lo fece proprio in quel momento: so solo che in quel periodo ero alla disperata ricerca di cose interessanti da scrivere, e così... sì, lo copiai anche quella volta. Senza pietà. Ma per aggiungere verosimiglianza alla cosa, lo pre-datai di cinque mesi, al maggio 2010, rendetevi conto della mia intelligenza diabolica, in modo che sembrasse scritto immediatamente dopo la sentenza del Consiglio di Stato di cui si parla nel pezzo!

Bene, la pacchia è finita. Stamattina Hugo Proff si è accorto che un altro ladruncolo come me lo scopiazzava, e ha minacciato di tirar fuori il suo nome e il suo cognome, nientemeno! La gogna mediatica! La stessa che meriterei io. Spero soltanto che questo mio tardivo autodafé possa in qualche modo rabbonirlo.

Hugo, davvero, mi dispiace. Fino a un certo punto non mi ero nemmeno reso conto. Trovavo i tuoi contenuti in giro per la rete, tutto quel ben di Dio disponibile gratis, e pensavo che non ci fosse niente di male a rubare qualcosa che è gratis.

Ora ho capito che quel che ho fatto è terribilmente grave e stupido. Stupido, perché prima o poi te ne saresti accorto. Grave, perché saccheggiando i tuoi bei contenuti, sporcandoli col mio brutto stile, e rimettendoli in circolo col mio nome, io ti ho tolto l'unica proprietà a cui tenevi: la proprietà delle tue idee... ma no, nemmeno quella in realtà, le idee sono di tutti. Il tuo stile. È tutto quello che sei. E io l'ho preso, l'ho strapazzato e me lo sono messo indosso, indegnamente. Avrei mai potuto farti qualcosa di peggiore?

E ora cosa farai? Mi denuncerai (dopotutto non ho rispettato le licenze d'uso)? Pubblicherai il mio nome e il mio cognome e l'indirizzo IP, su una pagina ben indicizzata da google, con il resoconto preciso e gli screenshot di tutte le mie malefatte? Beh, forse me lo merito. Che tutti sappiano, googlandomi, che razza di individuo sono. Eppure imploro pietà. Non sono cattivo. Sono soltanto uno che ha cominciato a giocare senza aver capito le regole. In fondo sono ancora nuovo dell'ambiente.

Insomma, se tolgo tutti i pezzi che ho scopiazzato e chiedo pubblicamente scusa a tutte le persone a cui li ho scopiazzati, tu me la daresti una seconda possibilità?
[Grazie a Mazzetta, come sempre].
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Non disperdiamoci

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L'imboscato
- Una volta questo blog era, non lo dico per vanteria (anzi un po' me ne vergogno) il più manifestaiolo di tutti; poi è successo qualcosa, in modo anche abbastanza brusco: non so se ci avete fatto caso, ma ai cortei non ci vado più. A volte ci invito gli altri, ma poi non ci vado lo stesso. A volte faccio il tifo. A volte faccio finta di niente.

A questo punto però ci tengo a mettere agli atti che se non scendo più in piazza non è per disillusione, non è per divergenze sulla piattaforma programmatica, non è perché mi si nota di più. No, vorrei che fosse chiaro che le cose sono molto più semplici: ho messo pancia, ho messo famiglia, ho una pila di roba da correggere alta così, insomma banalmente invecchio.

Queste scuse non richieste non interessano probabilmente nessuno, e nemmeno le avrei scritte, se non avessi letto in questi giorni su diversi blog affini a questo una certa insofferenza per le adunate di piazza. Per esempio Bordone che fa i distinguo con le femministe (poi però in piazza ci va e si diverte), Costa che fa ironia, Adinolfi che fa due calcoli e scrive: andare in piazza è una stronzata. Ecco, per me no. Andare in piazza non è quasi mai una stronzata. Sono contento che qualcuno abbia più energia di me e ci vada. Lo ritengo tutto sommato necessario. In particolare, sono contento che la manifestazione delle donne sia venuta così bene. Io mi sono tenuto a distanza, ultimamente ho qualche difficoltà a capire e a farmi capire da diverse donne, però credo che abbiano ragioni da vendere, pardon, da regalare (insomma le ragioni sono vostre, gestitevele voi); essere donne in Italia è difficile, oggettivamente.

C'è da dire che abbiamo un tempismo fantastico, noi blogger italiani d'opinione: mentre in medio oriente le piazze fanno tremare i tiranni, noi ci domandiamo se la piazza sia opportuna, se la piazza non abbia controindicazioni, se la piazza non sia moralista, presbiteriana, eccetera. Per me l'unico vero difetto delle piazze italiane è che non si riempiono abbastanza: probabilmente tante volte non siamo riusciti a concludere qualcosa non perché andavamo troppo in piazza, ma perché ci siamo rimasti troppo poco. E comunque è opinabile anche questo. Io in dieci anni tutte queste manifestazioni inutili, per nobili cause senza speranze, non me le ricordo. Ho manifestato per chiedere luce sui fatti di Genova, e un po' di luce c'è stata. Ho manifestato contro l'abolizione dell'articolo 18, e l'articolo è rimasto (ok, la cosa era un po' più complessa). Ho manifestato contro la guerra in Iraq; Romano Prodi ha vinto le elezioni e il contingente italiano ha lasciato l'Iraq. Potevamo ottenere qualcosa di più? Senz'altro, ma tutte le volte che siamo stati davvero tanti, che abbiamo forato in tv e sui giornali, qualcosa a casa lo abbiamo portato. Magari è solo una coincidenza, ma all'indomani della manifestazione delle donne i sondaggi hanno dato Berlusconi in calo verticale (alla salute di tutti quelli che pensavano che il caso bunga-bunga non lo avrebbe danneggiato, quelli che conoscono gli italiani e hanno il polso del Paese). Certo, non è una cosa automatica. Non è che se manifesti un paio di giorni la Gelmini ritira la riforma universitaria o Berlusconi si dimette. Però lo abbiamo fiaccato, Berlusconi... pardon, lo avete fiaccato, io stavo a casa e scrivevo sul blog.

Ecco, ho anche questa cosa da dire a mia discolpa. Ho un blog. Una serie di fortunate circostanze lo ha reso più letto di altri. In piazza non sono che un minchione tra tanti (un decimo di minchione per la questura), ma qui posso spiegarmi, posso far partire dei messaggi, insomma a un certo punto mi sono raccontato che il mio contributo alla causa potevo darlo da qui. Tanto più che non sono più quel bel giovane zazzeruto che nelle foto in mezzo agli striscioni veniva così bene. E allora come si spiega questo rimorso sottile.

Probabilmente è la consapevolezza che i nipotini non se la berranno. Nonno, insomma, mentre Berlusconi mandava tutto in vacca tu cosa facevi? Eri passato in clandestinità, almeno? No, non proprio, all'inizio andavo in piazza, ma poi le cose si fecero lunghe, misi pancia, misi famiglia... però continuavo a esprimermi su un sito che funzionava col protocollo http... sì, vabbe' nonno, ciao.

PS: se Berlusconi proprio non si vuole dimettere, io uno sciopero generale lo faccio volentieri. Un giorno, una settimana, quel che serve. Mi ha già rubato così tanti anni.
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Il peggio di Leonardo 2010 (2)

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Quello che sto facendo, disse il vecchio, è una cosa sommamente reazionaria. Parlare di contatori, di accessi, nel 2011! Molti lo hanno addirittura tolto, il contatore, o finto di. A un certo punto – più o meno verso il 2005, quando gli accessi hanno smesso di crescere in modo rettilineo – ci siamo convinti che i dati dei contatori non fossero attendibili, o comunque interessanti. L'unico modo di valutare l'importanza di un blog era il ranking, e siccome quallo lo decideva google senza spiegarci il perché, e non c'era insomma modo di specularci su – abbiamo iniziato a sviluppare ranking alternativi, classifiche basate sui link. Più uno era linkato, più era importante. Notate che essere i più linkati non significa necessariamente essere i più letti: i tumblr per esempio non fanno che linkarsi, ma portano pochi accessi; per contro ci possono essere personaggi più o meno sconosciuti fuori dalla loro cerchia che hanno comunque accumulato zoccoli duri di migliaia di lettori. Ma questo era abbastanza irrilevante. Stare in classifica significava semplicemente essere al centro della nuvola. Poi però secondo me la nuvola si è dissolta, oppure è entrata in un'altra nuvola più grande, insomma, la butto lì, ma secondo me da facebook in poi le classifiche hanno smesso di avere senso. Non segnalano più il vero traffico, che oggi passa per i social network ed è oggettivamente molto più difficile da tracciare. Ma insomma, il mio pezzo più linkato su blogbabel risale al 2007, votate Rosy Bindi alle primarie del PD, rendetevi conto. È possibile che non abbia più scritto nulla di altrettanto interessante? Voglio dire che l'altra sera, mentre mi addormentavo, ho scritto un pezzo praticamente con un occhio solo, mi è uscito un po' approssimativo, ebbene, nel giro di due giorni quel pezzo ha totalizzato più di tremila accessi, se fossimo ancora nel 2010 sarebbe a metà di questa classifica, e stavolta non è neanche servito facebook, sapete cos'è successo? L'ha linkato Ok No Virgilio, esatto, esiste ancora, e se ti trova qualcosa d'interessante ti manda tremila accessi in due giorni. Ma le classifiche non se ne accorgono. Ma a questo punto vale la pena, mi chiedo, accorgersi delle classifiche? Ci rispondiamo da soli: abbiamo smesso di leggerle, piuttosto andiamo su friendfeed a contare i like. Comunque secondo Google Analytics i cinque pezzi più letti del 2010 sono i seguenti:

5. Cattiva Giovanna
Io non ho cambiato idea: lo spot è divertente e autoparodico, e non offende il corpo delle donne più di quanto non prenda per il culo il desiderio maschile (le donne dello spot sono vestite, brave a verniciare, fanno tutto loro, il maschio è un pirla guardone). Però probabilmente in luglio non avevo idea della posta in gioco. Insomma, c'è una guerra, là fuori, e gli spot beceri sono campi di battaglia. Poi un bel giorno arrivo io, pretendo di fare il solito pezzo semiologo un tanto al chilo, fenomenologia del fernovus + abbasso qualsiasi censura, e scoppia il casino. Lì si è vista la potenza di facebook, perché un certo pubblico qui non c'era mai arrivato. Hanno lasciato cose fantastiche, una mi ha scritto che le donne non fanno più le serve, al sud ce ne sono che portano i camion. Mi hanno detto che non potevo costringerle a vedere questo spot – in effetti no, non posso e nemmeno ci tengo, ma forse vi sfugge il problema: al massimo siete voi che avete costretto me a non vederlo più in tv. Va bene, ho sbagliato, volevo far salotto nel bel mezzo di una guerra. Del resto avete ragione, tutti questi culi e queste tette sono una vergogna – però spiegatemi perché Brava Giovanna siete riuscite a rimuoverla mentre il sedere di Belem è rimasto sodissimo al suo posto. Ah, no, pare che lo stiano togliendo. Ok, state vincendo, mi arrendo.

4. Uno, cento, mille Cossiga
Non si sa mai cosa può decidere il successo di un pezzo, ma in generale non è quasi mai quello che c'è scritto sopra. Certe volte è il titolo. In questo caso piuttosto le foto. In margine a un articolo tutto sommato sensato in cui si ipotizzava la presenza di infiltrati alle manifestazioni studentesche, le foto di un manifestante ragazzino che durante gli scontri di Milano sembrava collaborare con la polizia, foto che anche grazie a questo sito hanno fatto il giro d'Italia. Di solito non cancello gli errori che faccio, mi sembra giusto che finiscano nell'archivio anche loro. In questo caso le foto le ho tolte, perché mi è sembrato che danneggiassero il messaggio. Si è saputo che quel ragazzo non era un infiltrato, ma appunto, il pezzo diceva che chiunque può essere infiltrato senza volerlo: basta fare esattamente la cazzata che si aspettano che tu faccia. Cossiga insegna, dobbiamo esser fessi per non voler imparare.

3. Nella polvere ci ritroveremo
In gergo si chiama OS war. Scrivere un pezzo anti-Apple, o filo-Apple (ma funzionano meglio i primi). Come sparare ai pesci in un barile, salvo che i pesci fanno un po' pietà, i fanboy Apple no, nessuna. Diciamo che è troppo facile così, diciamo che a ogni blog è concesso scrivere un pezzo del genere una volta ogni cinque, vah, dieci anni. È una promessa. NdB da un anno a questa parte ho rotto solo un laptop e un disco mobile.

2. Alle mie quotidiane verginelle
Pezzo di berlusconologia emotiva. Ve l'ho detto, questa roba invecchia in fretta, ma se la scrivi al momento giusto è irresistibile. È buffo, a distanza di mesi è difficile ricordarsi di cosa si trattasse – dunque, il PdL era stato escluso dalle elezioni della regione Lazio per un problema di timbri, ed era partita tutta una mobilitazione stile Repubblica, Noi Non Ci Stiamo, Noi Abbiamo Sempre Avuto Tutti I Timbri In Regola (che posso dirvi, beati voi), Fotografiamoci con il nostro certificato del  catasto in ordine. Insomma, si sentiva nell'aria la necessità di un pezzo cinico. Questo è stato anche segnalato dal New York Times, che deve avere un algoritmo strano; ho persino provato a tradurlo, non so se ci sono riuscito.

1. Eliminato
In un anno in cui ci hanno lasciato, tra gli altri, Beniamino Placido, Raimondo Vianello e Sandra Mondaini, Edoardo Sanguineti, Bekim Fehmiu, Lelio Luttazzi, Cossiga, Monicelli, Bearzot, l'unico coccodrillo a finire nella top 10 (ma al primo posto) è quello su Pietro Taricone. Anche in questo caso il titolo ha fatto discutere, per via del cinismo. Ecco, vorrei dire che a volte io faccio tutto il possibile per sembrare cinico, ma stavolta mi è venuto spontaneo, non me ne ero assolutamente reso conto. Il titolo l'ho trovato alla fine, era la conclusione di un ragionamento che stavo facendo: il vero show Taricone lo ha giocato dal 2001 in poi, quando uscito dalla casa ha smesso di “essere sé stesso” per cercare di diventare qualcosa di migliore. Ogni tanto ci capitava di ritrovarlo, al tv, o al cinema, e in generale si faceva il tifo per lui, sembrava che potesse farcela. E poi un giorno ha smesso di esserci, di colpo; e la cosa mi fa ancora, se ci penso, una certa impressione. Eliminato. Non volevo offendere nessuno, non mi pare ci sia niente di male nel prendere la vita come un gioco. Mi sembra perfino una bella epigrafe, “eliminato”, personalmente non la vorrei sulla mia tomba, ma solo perché non sento di meritarmela: mi sembra piuttosto (soprattutto se mi confronto con uno come Taricone) di essere un panchinaro storico. Fine della top10.

Non trovate che manchi qualcosa?
Io sì. I pezzi belli. Ecco, tra i dieci più letti, o segnalati, o visitati, non ce n'è nessuno che avrei votato io. Sembra proprio che abbiamo gusti diversi: a me piacciono i raccontini, ai lettori le parolacce. Veniamo a un compromesso: raccontini con più parolacce? Non so, ditemi voi.
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Il peggio di Leonardo 2010 (1)

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Sapete in cosa sono cambiati i blog, disse l'anziano del villaggio? Una volta parlavano molto più di sé stessi. Oltre che ovviamente dei loro autori. Quest'ultimo aspetto più o meno è rimasto, si chiama autoreferenzialità ed è ciò che tuttora fa girare la blogopalla. Quella che invece è venuta un po' a mancare, e bisogna essere un po' maniaci per sentirne la mancanza, è la meta-referenzialità. Non tanto il parlare di sé stessi blogger, ma il parlare di sé stessi blogger in quanto blogger blogganti.

Ne sento un po' la mancanza. Dibattiti sui commenti: è meglio averli o no? I feed rss sono il futuro o un gadget per trascurabili minoranze? L'etica dello scambio di link. La Storia del blogroll nei secoli. Sembra impossibile, ma abbiamo passato anni a scrivere di queste cose, e poi ce le leggevamo e ci facevamo i complimenti. Tutto questo è finito, ormai bloggare è una cosa normale, magari un po' demodé, ma neanche abbastanza da meritarsi quei bei titoli del tipo “il blog è morto” che scatenavano lunghe discussioni sulle chances di sopravvivenza di un medium scritto quando ormai era a tutti chiaro che il futuro di internet era, era, Second Life. Ormai è andata, scrivere qui sopra è una cosa normale, persino da noi. Si fa se si ha voglia di farlo, e quasi sempre si raccontano cose su di sé e sugli altri – niente più riflessioni sulle implicazioni della partecipazione a un ipertesto collettivo. È da un po' che nessuno pubblica il solito scarabocchio gigante con la galassia dei blog vicini e lontani, uniti da lineette che non si capisce mai con che algoritmo siano state tracciate ma in fondo anche chi se ne frega, l'importante è trascorrere una lieta mezz'ora a misurare la distanza tra noi e Beppe Grillo. Neanche le classifiche fanno più litigare nessuno. Siamo diventati grandi?

Eppure i rischi di ricaduta esistono. Io per esempio sono riuscito a tenermi per anni lontano da Google Analytics. Intuivo che sarebbe stata la mia fine, come gli alcolisti di Zola davanti al distillatore di assenzio. Poi Liquida mi ha costretto a iscrivermi, in cambio di due spicci (sui quali non sputo, eh, anzi grazie Liquida, gli altri hanno parole, solo tu hai ricevute per compenso occasionale).
Di fronte a Google Analytics, ogni altro contatore di accessi è da considerarsi droga leggera, caramella al liquore. Ci puoi perdere le notti, su Google Analytics. Il giochino che mi ha preso di più, e forse ha contribuito a cambiare il mio modo di scrivere on line, è la classifica dei post più letti. Non è un mistero che bloggare sia un'attività competitiva. Però competere con gli altri è frustrante, specie quando perdi. Invece competere con sé stessi è stimolante, c'è sempre un traguardo da battere, e vi libera anche dall'annuale incombenza di scrivermi qual è il pezzo che vi è piaciuto di più dell'anno scorso: ce l'ho già la classifica dei 2000 pezzi più letti, me l'ha data Google Analytics, e io qui sotto vi allego soltanto i primi dieci posti. L'intervallo è quello tra 25 gennaio 2010 e 25 gennaio 2011: il decimo anno.

10. Le fette, non troppo sottili
Novembre è stato un mese di passione, come vedremo. La ciliegina è questo pezzo, in cui arriva per la prima volta su Leonardo una storia piuttosto complicata e delirante che è cominciata quest'estate. Qualcuno ha preso il pezzo per un attacco agli Autistici/Inventati. Non è esattamente così, volevo soltanto raccontare come l'anonimato totale (che è quello offerto da A/I) può oggettivamente mettere nei guai una persona, in questo caso me. Potevo essere più chiaro? sì. E non mi avrebbe letto nessuno. Che volete, un blog è anche un posto dove la gente viene a litigare.

9. Film per adulti
L'unica recensione cinematografica nella top ten. Tra l'altro è un pezzo lungo, e non semplice, dedicato a un film coraggioso come Noi credevamo, scritto a fine novembre quando ce n'erano ancora poche copie in giro (sono andato fino a Mantova, maledizione, la settimana dopo era all'Eden qui dietro). Insomma, un pezzo di cui andare fieri, non tanto di me stesso quanto dei lettori che premiano pezzi così complessi... anche se in realtà io so, e voi lettori sapete, che sotto questo titolo ci avremmo anche potuto mettere frasi a caso, capitoli di Alfonso Luigi Marra all'incontrario, sure coraniche e versetti dell'Upanishad tradotti da Melissa P, perché quello che fa veramente il traffico in questo caso è il titolo: Film Per Adulti. Sì, Google ha indicizzato. Tuttora arriva gente che sta cercando dei porno, e invece si trova davanti una riflessione didattica sull'opportunità di proiettare un film di tema risorgimentale nelle scuole medie. Potrei anche dire che l'ho fatto apposta. Però è triste, no? possibile che siamo ancora qui nel 2011, ad aumentare gli accessi con questi mezzucci da SEO anni Novanta? Che senso ha cercare di scrivere pezzi sempre più interessanti, quando potrei raggiungere più lettori semplicemente aggiungendo le parole Cacca o Culo nei titoli? E perché no, in fondo? Smettereste di leggermi, se in cima al solito articolo su Berlusconi o Veltroni ci trovaste la parola “Culo”? E coi venti euro in più che ci raggranellerei in capo al trimestre, potrei offrire una pizza a mia moglie e mostrare che avevo ragione io, che un giorno o l'altro tutto questo scribacchiare mi avrebbe fruttato. Andiamo avanti.

8. I funerali della volpe
Un pezzo di classica berlusconologia, scritto a metà novembre. Ci terrei a far presente che scrivere di Berlusconi è meno semplice di quel che sembra: il mercato è assai inflazionato, bisogna avere idee lucide e originali. E poi sapere arrivare nel momento giusto: quando tutti lo danno per spacciato far notare che no, non è così, ha ancora tutte le corazzate al loro posto. Sono pezzi che già dopo qualche mese non dicono più molto, ma se appaiono al momento giusto esprimono lo stato d'animo di un sacco di gente che poi ti ringrazia, ti scrive, ti fa delle proposte, e per un po' ti sembra di aver fatto qualcosa d'importante. Poi passa.

7. Dalla parte del consumatore
Il titolo neutro nasconde uno dei più esplosivi flame mai nati su questo amabile sito amatoriale. Il flame, per chi non lo sa (beato lui, comunque se vuoi provare il primo tiro è gratis) è una lunga polemica che nasce nei commenti e a volte si propaga in altri siti. In questo caso – era novembre, primo round del caso bunga-bunga – dopo una settimana di severe riflessioni su dignità, decoro, corpo della donna, io pensai che considerare Berlusconi un semplice puttaniere era un po' come inserire Marchionne nell'insieme degli operai della fiat, una forzatura: e che in fondo i primi a non apprezzare l'accostamento avrebbero dovuto essere i puttanieri stessi. Andai anche su un paio di forum a controllare, ma non trovai molto (quei ragazzi hanno un chiodo fisso), e allora il pezzo lo scrissi io, in prima persona. Perché malgrado tutti i miei sforzi per trasformarmi in un padre di famiglia responsabile e prudente, io sono così: quando fiuto la cazzata, quando punto la cazzata, quando sento il richiamo della foresta in fiamme, nulla può più trattenermi. Ora le femministe mi odiano – no, aspetta, mi odiavano già da prima per la storia di Saratoga, ci arriveremo. Alcune hanno anche scritto a Concita De Gregorio affinché mi licenzi, per una cosa che, notate, non ho scritto sull'Unità, ma su un sito di fatti miei. E magari, ecco, se avessero letto le cose che scrive la De Gregorio sull'argomento, si sarebbero risparmiate la fatica.
Comunque ho capito cosa significhi vivere in una società laica. Grosso modo, si tratta di dividere il mondo con gente che non vede le stesse cose che vedi tu, tu unisci i puntini e vedi una cosa, loro li uniscono in un altro e vedono altro; al punto che è come se appartenessimo a religioni diverse, e in fondo è proprio così. C'è gente che cammina nelle stesse strade in cui cammino io che ha scritto che in Italia non esiste, non può esistere, prostituzione senza sfruttamento; che se anche una ragazza volesse provare a metter fuori un annuncio, sarebbe subito preda del racket, qualsiasi cosa ciò significhi (credo che significhi che arrivano quelli del racket, ti incatenano e poi ti sfruttano). Ma il migliore resta sempre quel signore che mi scrisse “Il mercato sono i puttanieri come te. Fatti una sega la prossima volta. E pensa che te la sei fatta con una mano insanguinata”. Che è una cosa che mi è rimasta dentro, la sega al sangue, eccone un altro che poteva diventare poeta o pubblicitario e invece si è perso nei meandri del blogging. Ma soprattutto: dopo dieci anni che mi prendo del segaiolo in quanto blogger, finalmente qualcuno che mi rimprovera per non farmene abbastanza – anche se in realtà non c'è niente da fare, l'apologia del puttaniere è una colpa indelebile, di una religione laica che non ha ancora messo a disposizione confessionali, per cui nessuna sega laverà il sangue dalle mani che scrissero questo post. Poi come fai a prendertela coi cattolici? Sul serio: il giorno che in Italia non ci fossero più preti, mi assicurate che non vanno al potere questi qui? Coi preti almeno ci discuti, loro hanno dei vizi e tu hai i tuoi, ci sono i margini per trovare compromessi. Ma questi nel giro di una generazione le mani ce le tagliano, l'Iran è più vicino di quello che ti aspetti (e soprattutto non arriva dalla parte da cui te lo aspetti).

6. Se i bimbominkia sapessero
A settembre Berlusconi sonnecchiava e passavo il tempo scrivendo pezzi contro la lingua italiana che hanno avuto un insperato successo – ma no, in realtà nel pazzo mondo dei blog italiani la grammatica è sempre stata sexy. E Google Italia mi vuole bene, per cui se scrivo un pezzo sui bimbominkia, esso arriva subito nella prima pagina dei risultati per bimbominkia. E poi basta, non avrei molto da aggiungere. Ah, sì: un pezzo come questo non sarei mai riuscito neanche solo a concepirlo se non fossi diventato negli anni un lettore compulsivo di Malvestite, uno dei pochi blog che mi hanno davvero insegnato delle cose, cose importanti (Twilight, il vecchiettismo) che addirittura mi sono state utili sul luogo di lavoro, e che oggi mi manca tantissimo, ogni volta che leggo qualcuno che cerca di sfottere i libri di Alfonso Luigi Marra senza essere Betty Moore.
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Lettera a Bruxelles

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La gronda

Ma te lo immagini, che questa cosa che sembrava sul punto di cascare anni fa, questa cosa che come posso descrivertela; pensa a una grondaia di una vecchia casa, pensa alla ruggine e al catrame, e pensa che avrebbe potuto cadere in qualsiasi momento, dal duemila in poi, e pensa che invece è ancora qui.

E non voglio dirti che è tutta la realtà che ci resta, perché non voglio metterla in tragedia; io per quel che posso me la sono fatta una mia realtà, casa lavoro famiglia, me la sono ben scavata una mia buchetta e onestamente non mi posso lamentare – e lo sai che quando c'era da lamentarsi non mi tiravo indietro – non ti dirò che questa grondaia è tutta la realtà, ma lasciami dire che ne è comunque un grosso pezzo, questa grondaia che guardo tutti i giorni e non vuol cascare. Fosse l'impero bizantino, che decadeva decadeva ed è durato mille anni.

E sapessi la nausea di sapere che questa cosa banale, triviale, che poteva benissimo non esserci e invece c'è; questa cosa che per me e per molti è berlusconi, ma non fosse berlusconi sarebbe stato qualche altra cosa; tu sapessi la nausea di sapere che comunque cadrà, un giorno crollerà, un giorno non potrà far altro, e sarà quel giorno solo a finire sui libri, e la gente penserà ai tipi come me come a quelli che quel giorno han fatto festa; non penserà a tutti i giorni che abbiamo aspettato, tutti i giorni che non siamo riusciti a far di meglio che a guardare la gronda marcia non cascare. Alla nausea di assistere a tutto questo giorno per giorno, allo stillicidio di tutti questi capitoli inutili, perché tanto s'è capito da un pezzo dove va a finire il libro, o no?

E come si spiega che non è finito ancora. Qual è il senso di restare lì, a quali fili di ragno è appesa una gronda che doveva cascare anni fa – Lo sai dove stan facendo la rivoluzione adesso? Ora tu dimmi, se dobbiamo prendere lezioni dalla Tunisia. Cosa abbiamo solo noi, che nemmeno i tunisini hanno più, cosa c'impedisce di guardare alle cose come stanno. Tu lo sai che sono fissato, per me è solo una questione di televisione. Punto. Tutto il consenso sta lì, e un po' sui giornali, ma neanche tanto. Abbiamo voluto lasciargli le tv, e a lui non è servito altro, per raccontarci la realtà come gli piace. Salvo che lui non ha mai avuto niente da raccontarci, una volta non lo sapevamo, adesso sì. È un debole come noi, succube dei suoi stessi programmi, è il pubblico del suo stesso drive in. Non c'è dietro nessun disegno occulto, ci ha modellato a sua immagine e somiglianza, e lui è brutto e senza fantasia. L'obiettivo della sua vita era sedersi nel privé a guardare le tipe che fanno il trenino; ce l'ha fatta e ora dovremmo invidiarlo. La nausea di avere avuto per avversario un tizio così.

E pensare che abbiamo avuto perfino paura di lui; che io, almeno, dietro ai suoi primi manifesti azzurri che sembravano la pubblicità dei fustini temevo ci fosse davvero la rivoluzione liberale, il miracolo italiano, la Thatcher italiana. Averlo saputo subito, che lui la Thatcher manco si ricorda chi è, per via che non era una “bella gnocca”. (“Nyokka”, scrisse l'Indpendent). L'avessimo capito subito, che il nemico era tutto lì, una vescica d'aria, un peto, una gronda che casca a pezzi.

E dov'erano quelli che dovevano capirlo subito? perché noialtri in fondo chi eravamo, studenti, precari, maestrini che in fondo della vita non sanno un cazzo, tirano a indovinare e sperano di non prenderci; ma dov'erano i grandi che operano nel retroscena, e i famosi Poteri Forti, ma che razza di Potere Forte lascia che un Paese vada a pezzi per un personaggio così; ma non eravate abbastanza forti da schiacciarlo, almeno all'inizio? Ci voleva così tanto a capire, se l'avevamo capito persino io o te? Eravamo profeti o facevamo soltanto uno più uno uguale a due?

E che anni sono stati, a cercar di buttar giù in qualsiasi modo un marciume, un catorcio che comunque cadrà, quand'è il momento; certo prima dell'impero bizantino.

E insomma su questa gronda, che è marcia e non cade, penso con qualche gioia che un giorno basterà che una rondine si posi un attimo, perché tutto nel vuoto precipiti irreparabilmente, quella volando via. E sul serio non m'importa se non ci sarò più io. Neanche tu ci sei, per questo.
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Pensavo di aver chiuso con Billy

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[Dieci anni fa, quando è nato questo blog, bla bla bla, non c'erano un sacco di cose, bla bla. Altre invece c'erano già, come, per esempio, l'Ikea, che io continuai a frequentare almeno fino al maggio 2004, quando mi slogai qualche arto cercando di montare un Antonius in un bagno. Mi vendicai scrivendo queste righe, grazie alle quali il mito ikea è del tutto tramontato e infatti adesso al posto dei punti vendita ci sono delle palestre di lotta libera].

Avendo sentito dire che adesso noi blog siamo i trendsetters (ma forse è già troppo tardi), volevo approfittarne per rifarmi delle mie frustrazioni sull’uomo più ricco di Gates: per annunciare, insomma, che Ikea è definitivamente Out. E mi sembra che siamo tutti d’accordo.

Allora potrei tirare la mazzata finale, e aggiungere: non è mai stato In, e credo che vi troverei ugualmente d’accordo, ma direi una bugia, e voi sareste contenti di credermi. No, c’è ancora in giro qualche portaciddì, qualche cassettino portaspezie in compensato. No, la lavagnetta magnetica resta sempre un oggetto simpatico. No, c’è stato un periodo in cui trovavamo a casa degli amici la mensola per libri paraboloide e pensavamo: però, figata. Insomma, un conto è il trendsetting, un conto è il revisionismo. Quello i blog non lo fanno… ehm, beh, almeno stasera a me non va di farlo. Perché insomma, io certe cose le ho viste. Ho visto i cassettini in compensato in casa di gente rispettabile, laureati, laureandi, architetturandi, e sarà stato il 1998, massimo 1999. Ho visto Fight Club, nel 1999, e ho sogghignato quando Ed Norton sfoglia il catalogo Ikea al gabinetto, l’allusione masturbatoria colpiva sul vivo. E poi ho visto anche i famosi bastimenti in fiamme dalle parti di Orione, ma da vicino, sapete, non furono un granché, preferisco concentrarmi sull’Ikea. Fu un grande fenomeno di fascinazione collettiva, vi sentite di negarlo? Non vendevano truciolato, chiunque è in grado di venderti truciolato, loro vendevano stile di vita (sapessero fare i mobili come fanno i cataloghi). E noi abbiamo comprato.

A volte, bisogna dirlo, abbiamo comprato perché non avevamo scelta. Quando arrivò in Italia, Ikea puntò tutto sulla liberazione del Giovane e della Giovane. il cartello che a quei tempi andava per la maggiore era una duecavalli in camporella (giornali sui finestrini). Titolo: Non è ora di andare a vivere da soli? Probabilmente già allora la risposta di molti ventenni italiani fu: “No, perché?” Ma per altri era ora, decisamente. Quando io uscii di casa, non pensavo davvero ai mobili Ikea, non perché mi fossi accorto di quanto fossero brutti, ma perché credevo di non potermeli permettere. Pensavo di dover volare più basso, genere mercatoni di provincia. Ma nel giro di un mese mi resi conto di una cosa: solo Ikea capiva i miei problemi.

Se la mia stanza era lunga 1mt.60 x 3, era impossibile farci stare un letto e una scrivania, per tacer dell’armadio. Ergo, serviva un letto a soppalco, ma singolo. Adesso non so, ma vi garantisco che nel 1999 non li vendeva nessuno. Solo l’Ikea. Gli altri avevano letti a castello per bambino: perfetto, esco da casa dei miei e mi ritrovo nel reparto infanzia del mobilificio. Era come fare la spesa da single: umiliante.

E allora, quello che trovai da Ikea non era il fascino per il compensato svedese. Non ero così idiota, nemmeno nel ’99, e neanche voi. Quello che trovai a Casalecchio era rispetto. Rispetto per la mia situazione di ventenne-e-qualcosa-single-andato-ad-abitare-in-un-cesso-di-un-metro-e-mezzo-per-tre. Gli altri avevano solo sorrisi di commiserazione e lettini della Barbie. L’Ikea aveva un letto a soppalco singolo, grigio, anonimo, alto il giusto per non sembrare infantile. E ce l’ha ancora, esposto con tutto l’occorrente per trasformare lo spazio sottostante in uno studiolo, un guardaroba, un harem con tappeti e cuscini, una palestra da bodybuilding, un loft. Presi un giorno di malattia per andarlo a prendere con la macchinina, e quando arrivai scoprii che non l’avevano, e piantai una grana finché non me lo diedero lo stesso, e bestemmiai in svedese per farlo stare dentro la macchinina, e ripartii sgommando e cantando

I think I’m on another planet with you, with you

Ce l’avevo fatta. Ero autonomo. Avevo un letto tutto mio. Io, e il mio soppalco, non avevamo più bisogno di nessuno (anche se avessimo avuto bisogno, di qualcuno, non ci sarebbe più stato spazio, né sulla macchinina, né nella stanza, né sul soppalco). Eravamo liberi, indipendenti, autonomi, automuniti.

Giunto a casa, l’amara delusione. Il foglio delle istruzioni – sapete come sono fatti, no? Niente parole, solo disegni – mostrava chiaramente due persone che montavano il letto. Un ragazzo e una ragazza – per colmo dell’umiliazione. Bussai alla Fra’.
“Fra’”
“Sì?”
“Fra’, io pensavo di farcela da solo, ma nel disegno…”
“Che c’è?”
“C’è anche una donna, vedi”.
“Una donna?”
“Ha i capelli lunghi”.

In due riuscimmo a montare il soppalco, anche se demolimmo tutto il resto della stanza. Su quel soppalco ho passato gli anni più assurdi della mia vita. Al mattino, quando suonava la sveglia, mi alzavo – le grucce appese sotto la rete mi salutavano gnigolando – e mi sembrava di essere il capitano di un vascello in rotta verso l’ignoto. Perché ero lì? Ero saggio? Ero responsabile? Ero un idiota? Se lo sarà chiesto mille volte anche Cristoforo Colombo.

Allora, chi lo sa, forse il motivo per cui oggi Ikea non ci piace più, è che la generazione che è uscita di casa alla fine dei Novanta ormai ha passato il guado, si è sistemata, e ha bisogno di mobili più solidi, più personali, meno giovanili, che ne so? Ora a Casalecchio mi pare che puntino di più sugli adolescenti che vogliono rifarsi la cameretta. E mi pare giusto. Ikea è una specie di evoluzione del lego: ti monti le cose da solo, le ricombini, poi ti annoi, smonti tutto e compri un’altra scatola. Va bene.
Una cosa che invece non capisco è il laminato bianco, che quest’anno va molto. Io ho sempre odiato il laminato bianco, ma perché? Ne ho parlato con due miei amici, e condividevano. Poi ci siamo resi conto di una cosa: avevamo in comune un’infanzia in una zona industriale.
Probabilmente in Svezia queste cose non se le immaginano neanche. Devono avere tutto lo spazio per mettere le fabbriche da una parte e le casette dall’altra, tutte belle col loro giardino e il tetto spiovente per la neve. Ma in Emilia è successo tutto in modo così convulso. La gente si è messa a costruire fabbrichette, capannoni in cemento, e sopra, o di fianco, ci ha costruito il suo appartamento. Così si teneva il lavoro in casa. E in casa, per evitare confusione, mobili di noce massiccio. Invece giù, nell’ufficio, schifezze di laminato bianco.

Noi siamo cresciuti giocando col lego, ma anche con le scrivanie di laminato bianco, digitando numeri assurdi sulle calcolatrici da tavolo di papà, e a volte partiva il rullo della carta e non si fermava più. Poi, crescendo, può darci che ci torni un po’ di nostalgia per il lego, come per i cartoni giapponesi: ma il laminato bianco è il rovescio della medaglia, il mondo brutto che vorremmo esserci lasciati alle spalle per sempre, anche se ci ha dato da mangiare per così tanto tempo.

D’altro canto, al noce massiccio non ci siamo senz’altro arrivati, e forse non abbiamo intenzione di arrivarci mai.
E allora – dove siamo? (Ammiraglio, d’accordo, una terra l’abbiamo trovata. Ma che terra è?)
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Le fette, non troppo sottili

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(Fuor d'ironia, questo blog è sinceramente solidale con Autistici/Inventati, un collettivo in cui ci sono senz'altro persone meravigliose che fanno cose egregie. Purtroppo non sono quelle con cui ho avuto a che fare io. Segue ironia).

Solidale con Suca

“Senti, tu che hai un blog di classifica”.
“Che classifica?”
“Voglio dire che ti leggono in tanti”.
“Tanti chi?”
“Potresti aiutarci a far girare questa notizia, che sui media ufficiali non passa”.
“Che notizia?”
“Beh, in breve, c'è un giudice che è riuscito a farsi clonare un server norvegese di Autistici con una rogatoria internazionale”.
“Eeeeeh?”
“Massì, hai presente Autistici Inventati, il collettivo di mediattivisti...”
“Autistici. Autistici. Mi dice qualcosa”.
“Dai, sono quelli che si battono per l'anonimato on line, che è una causa che hai sposato anche tu”.
“Aspetta, aspetta, con chi mi sarei sposato, io?”
“Eddai, gli autistici. Quelli della piattaforma noblogs”.
“Noblogs. Noblogs”.
“E insomma, molti collaborano anche a indymedia”.
“Aaaaaaaaaaaaaaaaah, indymedia! Noblogs! Gli autistici!”
“Collettivo autistici/inventati”.
“Ma certo che me li ricordo, gli autistici! Come potrei dimenticarmeli. In realtà io ci penso tutti i giorni un pochettino, agli autistici... anche in quelle giornate, hai presente, che torni a casa stanco”.
“Eh, come no”.
“Però io almeno un minutino per pensare agli autistici lo trovo sempre... magari mi sto lavando i denti, o appaiando i calzini... e intanto penso agli autistici”.
“Bene, quindi immagino vorrai essere solidale, con...”
“Con gli autistici, gli inventati, con noblogs, con indymedia, con tutti. Assolutamente. Ci mancherebbe”.
“E ne parlerai sul tuo...”
“Lasciami pensare. Sono quelli che non regalano le mail a chiunque le chieda, no? Hanno una certa, come dire, discrezionalità. Cioè, se gli stai simpatico puoi essere @autistici.org. Altrimenti no”.
“Vabbe', ma è un modo per...”
“...per evitare i malintenzionati, eh, certo. Quindi insomma stiamo parlando di quelli che quest'estate, sul loro sito molto ben indicizzato su google, lasciarono scritto che io ero un pedofilo, sono quelli, no?”
“Ma, no, non sono loro, cioè...”
“Sì, non proprio loro, però... sono quelli che quando me ne accorsi, dopo qualche giorno, chiesi che togliessero quella cosa dal loro sito, perché era palesemente diffamatoria, insomma un'infamia bella e buona, e loro non mi risposero per un po', no?”
“Comunque era estate, erano stanchi”.
“No no, fammi pensare... erano quelli che, quando finalmente risposero, mi dissero più o meno macheccazzo vuoi, ahò. Sissì mi ricordo, quello che mi scrisse così era proprio un @autistici.org. Hai detto che gli hanno clonato il server?”
“Sì, è una vergogna”.
“Son d'accordo, è una vergogna. Ma fammi pensare... sono quelli che quando cercai di spiegare che di mestiere insegno nelle scuole, lavoro coi minori, e che quindi un'infamia del genere poteva rovinarmi la reputazione e in pratica la vita... sono quelli che mi risposero che ci tenevo alla reputazione perché ero un piccolo borghese di merda; sono loro quindi”.
“Sì, però, non è che se uno tra tanti ti risponde male allora tu...”
“Aspetta, aspetta. Sono quelli che quando gli chiesi di rispettare la loro policy, che in nero su bianco diceva che andavano rimossi tutti i contenuti palesemente diffamatori, mi risposero che la policy non diceva così, e che poi come facevano loro a sapere se io ero un pedofilo o no, toccava a me dimostrarlo, sono loro, sì?”
“Va bene, a Roma probabilmente qualcuno ha sbroccato, però....”
“Senti, posso farti una domanda?”
“Dimmi”.
“Tu sei un pedofilo?”
“Ma che razza di... no, ovviamente”.
“Me lo puoi dimostrare?”
“Che io non sono un pedofilo?”
“Esatto. Perché io quest'estate mi sono posto il problema, cioè: come faccio a dimostrare a questi simpatici mediattivisti che io non sono quello che pensano loro? Mi faccio sequestrare un pc pieno di foto di donne adulte? No, giusto per sapere come regolarsi la prossima volta”.
“Senti, ho capito. Quelli di indy Roma ti hanno fatto un torto, però qui c'è in ballo qualcosa di più, la libertà di...”
“Ma scusa, eh, sono sempre gli stessi che quando dall'unità gli dissero di mandargli una diffida, mi risposero “suca”, sono loro”.
“Ma lo sai, alcuni son ragazzi, cosa vuoi...”
“Eh, certo, io gli scrivo: cari ragazzi, state violando due articoli due del codice penale, guardate che è un problema sia per me che per il giornale, e loro come ti rispondono? Suca. Cioè, mi stai chiedendo di essere solidale con mister Suca”.
“Ma no, autistici non è mister Suca, è molto di più...”
“Sono quelli che per tre righe di diffida hanno scritto su tutti i nodi di indymedia che io li minacciavo, cioè se non mi sbaglio Leonardo minaccia indymedia è diventato il tormentone dell'estate mediattivistica, no? Perché gli avevo mandato tre righe di diffida”.
“Ma è una strategia difensiva, la usi anche tu in fondo...”
“Ma infatti funzionò benissimo, perché sul loro sito c'era scritto che ero un pedofilo, amico di pedofili, che i pedofili vanno ammazzati, che io abitavo nel tal luogo e di mestiere facevo la tal cosa... e su tutti gli altri siti c'era scritto che io stavo minacciando loro”.
“Era estate, eravamo tutti stanchi...”
“Ma infatti, mi ricordo bene che stavo andando in vacanza ma dovevo spiegare ai miei famigliari che forse sarebbe venuto qualche mitomane sotto casa mia ma non c'era da preoccuparsi, era solo che qualcuno era impazzito su internet. Mi ricordo bene, io e le mie ansietà piccoloborghesi. Ma insomma adesso gli hanno fatto una rogatoria internazionale”.
“Sì”.
“Ecco, infatti, io mi ricordo che quest'estate, al culmine di tutta 'sta storia, la loro linea era più o meno: denunciaci pure, tanto poi ti tocca andare di rogatoria internazionale, pappappero. Cioè, forse il pappappero l'ho aggiunto io”.
“Forse”.
“Anche se lo trovo appropriato. Dunque hanno trovato un magistrato che l'ha fatta, la rogatoria. E per conto di chi?”
“Iannone”.
“Iannone! Ma mi ricordo anche di lui! Iannone! Perché mi davano dello Iannone, i mediattivisti, dicevano che ero come Iannone”.
“Probabilmente non intendevano nel senso...”
“Cioè, Iannone li aveva querelati o non so cosa perché gli avevano dato del fascista, no? Ecco, per loro era la stessa cosa: dare del pedofilo a un insegnante di scuola media e dare del fascista a Iannone di Casapound per loro era l'identica cosa. Cioè loro rivendicavano il diritto a dare del fascista a Iannone e del pedofilo a me. E mi stai chiedendo solidarietà per loro”.
“Senti, lo so, è successa una cosa che ti ha fatto incazzare”.
“Nooo... Incazzato io? Ma quando mai”.
“Però devi capire che questi sono i classici scazzi on line, quelle cose che capitano solo su internet, perché se tu li vedessi di persona capiresti...”
“Ma infatti è successa anche questa cosa, cioè a un certo punto io mi sono detto forse è meglio che togliamo questo diaframma digitale e ci guardiamo in faccia, così ho preso il treno e ci sono andato, a vederli”.
“Ci sei andato?”
“A una riunione di indyroma. Mi son detto, mal che vada ci scrivo un pezzo. Volevo solo spiegare il mio punto di vista, perché finché continuano a pensare che sono un borghese e non si accorgono che sono un essere umano come loro... Purtroppo quelli con cui mi ero scazzato non c'erano, avevano altri impegni, credo che giocasse la Roma o qualcosa del genere. ”.
“E gli altri?”
“Mi sono stati ad ascoltare, e hanno detto che ci avrebbero pensato”.
“E poi cos'è successo”.
“Niente”.
“Come niente”.
“Son tornato a casa col trenino degli eroi e ho aspettato una settimana, niente. Allora gli ho scritto: ciao, vi ricordate quel vecchio problema? Che si fa? Volete proprio lasciare scritto che sono un pedofilo? Non è tanto bello. Sia nei confronti della vostra stessa policy, sia nei confronti del codice penale”.
“E a quel punto?”
“E a quel punto quelli che non si erano presentati alla riunione si sono incazzati: ma come, un pericoloso accusatore di indymedia si permette di entrare a una nostra assemblea? Beh, sì, era un incontro pubblico, ho bussato e sono entrato”.
“È che magari hanno paura degli infiltrati”.
“Fanno bene, infatti io sono entrato e mi sono presentato subito. Anche col cognome. Un classico, no? tutti gli agenti digos fanno così: ciao, mi chiamo nome e cognome. Comunque è ricominciato il carosello di articoli Leonardo contro indymedia, la lobby pedofila contro il mediattivismo, eccetera eccetera. Ho buttato via quaranta euro e un pomeriggio a Roma per sentirmi dare dello iannone”.
“E poi com'è andata a finire?”
“Non è mica finita”.
“No?”
“No, io ho chiesto a google di togliere le pagine infamanti, e alcune le ha tolte. Bisogna che gli riscriva... però davvero, cioè, chi me lo fa fare di mettermi contro un gruppo organizzato con server all'estero che può spargere merda a 360° senza temere niente e nessuno? Cioè mi chiamo leonardo, mica roberto saviano. Quindi capisci che io ci penso a loro. Un pochino tutti i giorni. Magari mi sto allacciando le scarpe, e penso agli autistici. Credo che si meritino la mia solidarietà”.
“Eh?”
“Hai capito bene, sono solidale con gli inventati, gli autistici, sono veramente addolorato che vi abbiano clonato il server, maledetto Iannone, non so se sia fascista o no ma sono sicuro che è una persona cattiva! Cattivo Iannone! Pensi che si possa dire?”
“Ma penso di sì, è una valutazione soggettiva”.
“Bene, perché se io scrivo qui qualcosa di anche solo vagamente infamante, un PM può benissimo sequestrarmi il blog in forma cautelare... mentre quelli di noblogs, grazie ai loro server norvegesi possono dare del pedofilo a tutti i maestrini d'Italia senza temere rogne legali, e quindi secondo te da che parte dovrei stare? Cattivo Iannone! Solidarietà ad autistici! Nessuno tocchi la libertà degli autistici! Chi tocca i server degli autistici muore!”
“Senti, lascia stare, forse è meglio che non...”
“Ma dove vai, aspetta. Ce l'hai un attimo? Vieni di là, per favore”.
“In cucina?”
“Pensavo di affettarmi un po' di culo per gli autistici, secondo te preferiscono fette sottili o un po' più consistenti?”
“Ma no, lascia perdere”.
“Come lascia perdere, scusa, guarda qui che bel culo! Tocca! È bello o no?”
“Beh, sodo è sodo”.
“Vedi? Guarda che se rifiuti mi offendi”.
“Uff”.
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L'elzeviro con le foglie morte!

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Da morti è più facile

Hai un bel da dire che i tigli sporcano, fosse per te li taglieresti.
Io ho scelto questa casa mentre guardavo gli alberi. Non è che l'abbia scelta per gli alberi. Ma li stavo guardando. Il primo pensiero concreto fu il Bidone Aspiratutto per le foglie sul terrazzo. Mai comprato, per fortuna, era un pensiero concreto ma stupido. Ramazzare le foglie è rilassante.

Un tiglio è un albero fantastico, sporca più o meno nove mesi l'anno. Quando finisce coi fiori passa ai semi, gialli fetenti e appiccicosi; poi ci sono le piccole foglie dei semi, di difficile cattura; poi l'involucro del seme, una piccola biglia che cade di schianto, poc, fa il rumore della grandine... e senza accorgertene è già agosto e cominciano a cadere le foglie serie. Il resto dell'anno la resina cola sulle macchine parcheggiate, e se provi a tirarla via con un semplice autolavaggio, la carrozzeria sbiadisce. Il tiglio non è un animale da salotto.

Guardarlo ingiallire lentamente ti ripaga della fatica (non del mutuo).
Pensa solo a tutte le metafore che puoi tirarci fuori; ad esempio in febbraio i potatori lasciarono un rametto spezzato incastrato nella prima biforcazione. Quel ramo prima o poi sarebbe dovuto cadere, col vento, magari sul tuo parabrezza o sulla testa della vicina; ma si vede che il vento non spira mai nord-nord-ovest/sud-sud-est; che il ramo è troppo pesante o in un qualche modo è rimasto incastrato, fatto sta che è rimasto lì, sempre più nero, in mezzo al verde.

Non ti dico il fastidio.
Come il pezzetto di carne che ti resta tra i denti al ristorante, a mille chilometri dal filo interdentale che ti sei dimenticato di mettere in valigia. Uno poi fa finta di niente, così apre la finestra, aspira a pieni polmoni... e vede quello stecco conficcato tra i due rami, insomma, tutti i santi giorni, perché non cade? è insopportabile.

Lo vedi che non è la natura, sono io?
Che trovo dappertutto cose da non sopportare?
Possiedo un piumino anti-ragnatele telescopico, eredità del mio periodo-mansarda. Certe notti d'estate, dopo aver guardato bene che nessuno mi spiasse, estroflettevo l'ordigno come un gigantesco cotton-fioc, e dalla mia finestra cercavo di urtare lo stecco morto, di smuoverlo, di estrarlo, inutilmente. E' ancora lì, ma in autunno si nota meno (io però lo so che c'è, e mi offende).

L'altro tiglio ha un rametto spezzato, che è rimasto attaccato al suo ramo per un nonnulla, una scheggia di corteccia, un truciolo. Dev'essere stato il vento di marzo, perché il rametto aveva cominciato a mettere piccole foglie, già secche in aprile. Macchioline gialle in un gigante verde, ma le avevo davanti in primo piano, ogni volta che aprivo la finestra del salotto. Non mi davano fastidio come lo stecco morto, erano una sottile promessa d'autunno in primavera, memento mori e tutta questa serie di cose - e poi sarebbero cadute presto, credevo. Al primo vento.

La pianta poi ha messo foglie assai più grosse. E i fiori, e quei chicchi dei fiori che a calpestarli fanno il rumore della neve che scricchiola. Intanto quelle foglioline gialle erano sempre lì, sempre più grinzose, ma non cadevano. A fine agosto, quando tornammo, la prima finestra che aprii fu quella del soggiorno: le morte erano lì, come quelle vecchiette che resistono agli anni, le conosci da bambino e alla fine vengono al tuo funerale col rosario in mano - le foglioline morte erano lì. Vabbe', tanto ormai è autunno, pensavo.

Il tiglio non era dello stesso parere: fino a metà ottobre si atteggiò a sempreverde. Poi, profittando di qualche acquazzone, cominciò a spogliarsi, ma piano, piano, il mio lapdancer personale. Ogni volta che mi ritrovavo una foglia sul davanzale, andavo a vedere se non fosse una delle vecchiette, ma no: il rametto resisteva. E aveva messo una tinta diversa da tutte le altre, un marrone deciso che irrideva il giallino smorto delle compagne cascanti. Sta' a vedere che restano lì, mi sono detto.

Ed è stato così. Novembre ha portato le piogge vere; il vento invece non è che si presenti spesso qui da noi. Le foglie se ne sono andate, lasciando quei nudi artigli neri che fanno gestacci al cielo. Oggi in terrazzo ramazzerò forse per l'ultima volta. Tra un po' magari tornerò a spalare la neve. Intanto quelle foglie sono ancora lì, appese al loro rametto mezzo amputato, che mi fa un cenno ogni volta che apro la finestra. Le prime a morire, le ultime ad andarsene.

Attenta che adesso scatta la metafora.
Sei pronta?

No, niente. E' che davvero quella foglia che si ostina, che non cede, non si arrende, che non le interessa; quella foglia che ha resistito più delle altre, perché tanto era morta tutto il tempo, e da morti è più facile, in fondo, sopravvivere; quella foglia a volte credo di essere io.
Tu magari entri, posi le chiavi, mi chiedi Come va? Sembri pensieroso, a cosa pensi?
Ti dico che va tutto bene, e che non stavo pensando a niente, guardavo le foglie.
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Big in Riva del Garda

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Il pupo è già al lavoro (e voi siete un pubblico meraviglioso, e vi amo).
Potere riamarmi sui commenti dell'Unità.

Non potrei fare come Fini, dieci minuti di monologo e poi addio?
"No, devi rispondere alle domande".
Uff.
"Ciao, per prima cosa spiegaci cosa ci facevano ieri i blogger a Riva del Garda, mentre Grillo era da tutt’altra parte".
Ah, già, Grillo, è vero che ha un blog anche lui.
Ci fai o ci sei? Quello di Grillo è ancora il più importante blog italiano, o sbaglio?
Probabilmente non sbagli. Vedi, ho questa teoria: Grillo è sempre stato troppo importante per essere soltanto un ‘blog italiano’. Gli altri sono troppo piccoli e lui è troppo grande, non c’è possibilità di comunicazione. Lui gioca in un altro campionato, che è poi quello delle testate giornalistiche. Magari per centinaia di migliaia di italiani quello è "il blog": l’unico che hanno mai visitato. Ma si tratta comunque di un prodotto professionale. Grillo ha usato lo strumento blog in modo tradizionale, per arrivare a un pubblico che non poteva più raggiungere con la televisione. Ma io quando penso ai ‘blog italiani’ penso ancora ai siti personali fai-da-te.
I diari in rete? Ancora?
Ecco, magari lasciamo perdere la parola "diario". Direi che la discriminante sta nell’interazione coi lettori: io per capire se un sito è un blog mi pongo la domanda: l’autore litiga coi suoi lettori? Se la distanza tra autore e lettore è tanto breve da consentire lo scazzo, quello è un blog. Grillo non può litigare con uno dei suoi commentatori, non so neanche se intervenga mai nelle discussioni che provoca. È naturale, del resto: gli scrivono in duemila, lui ha altro da fare che rispondere a tutti quanti.
Quindi il blogger ‘vero’ è una persona che non ha niente di meglio da fare…
No, quasi sempre è un hobbysta che avrebbe tantissime cose da fare, ma nel tempo libero si diletta a interagire con, diciamo in media una cinquantina di lettori affezionati. Un’altra discriminante è l’aspetto comunitario: i blog tendono a formare gruppetti e autopromuoversi. Grillo non ne ha mai avuto bisogno, è un enorme astro solitario nel cielo della cosiddetta blogosfera italiana. E’ importantissimo, non dico di no, ma tutto il resto della vita è altrove.
Raccontaci qualcosa di più della costellazione che ogni anno si autopromuove a Riva del Garda.
Potremmo definirli (ma è riduttivo) la vecchia guardia. Molti di loro gestivano siti personali quando ancora Grillo a teatro spaccava i computer. Si linkano tra loro compulsivamente da un decennio, ormai. Alcuni si sono sposati e cominciano a portare i figli a Riva (quest’anno infatti c’era l’angolo kindergarden).
Quindi anche nella blogosfera italiana comandano i vecchi.
Ma no, non comanda nessuno, è un gruppo di persone che si scrive e si legge tutto l’anno e ogni tanto ha voglia di ritrovarsi, e quindi viene alla Blogfest. Se nel tempo libero cacciassimo farfalle col retino faremmo, boh, un farfalloraduno. Immagino che da qualche parte ci sia. Magari c’è anche qualcuno che non ci va e si lamenta della cricca di cacciatori di farfalle dove contano i soliti cacciatori di farfalle. Esistono più cose in cielo in terra, Orazio, che… 
Sì, però vi votate e vi premiate da soli. Non è un po’ imbarazzante?
In parte sì, ma devi capire che è tutto cominciato per scherzo. All’inizio era solo una lista fatta da Gianluca Neri di Macchianera‘vi dico chi premierei se ci fosse una specie di notte degli oscar dei blog italiani’, un invito neanche tanto implicito a far cagnara nei commenti: e perché lui sì e io no, è il solito magnamagna, eccetera. Fu così divertente che l’anno dopo fece votare tutti i suoi lettori. Ma era ancora un gioco tra amici, i premi erano solo virtuali. Hanno cominciato a consegnarli sul serio solo tre anni fa. In realtà è una semplice scusa per passare un fine settimana in un bel posto, conoscere di persona gente che magari leggi tutti i giorni, e berci insieme un bicchiere… e poi ci sono i camp, i miniconvegni, che sono molto interessanti… quest’anno per esempio l’argomento era l’editoria digitale e…
Ronf.
Va bene, parliamo dei premi. Però vedi come funziona? Per andare sui giornali bisogna consegnare i premi. Anche se sono dei pezzi di plastica, fanno notizia lo stesso
È vero che vanno ai soliti noti? Che alla fine il vecchio blog bolso ha dieci probabilità di aggiudicarsi una statuetta in più del giovane blog di qualità?
Senz’altro i più anziani partono avvantaggiati nell’accaparramento di pezzetti di plastica. C’è stato un periodo in cui la comunità era ristretta ed era relativamente più facile farsi notare: chi c’è passato oggi può vivere, in una certa misura, di rendita. Ma il pubblico della blogfest è meno tradizionalista di quanto sembri. In realtà se vai a vedere il palmares di quest’anno di blog veramente vecchi (antecedenti al 2004) ce n’è solo uno, che, ehm, è il mio.
Addirittura hanno dato il premio "Rivelazione" a Metilparaben.
Grande Metilparaben!
Scusa, ma ti pare una "rivelazione"? Capriccioli ha i capelli bianchi! Allora diamo Sanremo Giovani a Bobby Solo.
Grande Bobby Solo! No, sul serio, il successo di Metilparaben dimostra che il pubblico della Blogfest è apertissimo alle novità. I blog che hanno fatto incetta di premi nelle ultime edizioni, come Piovono Rane o Spinoza, tre anni fa erano ancora sconosciuti ai più. Addirittura alcuni blog non esistevano ancora: prendi I400calci, favoloso blog che parla di cinema scemo in modo estremamente intelligente, e quest’anno ha stracciato i senatori. A Riva viene gente che legge e scrive blog da tanti da anni: magari fa un po’ fatica a trovare le novità, ma poi le abbraccia con tutto il cuore.
Va bene, tutti bravi e tutti buoni e tu sei il loro nonnetto. Ma non ti vergogni un po’ a farti votare tutti gli anni?
Beh, se vincessi tutti gli anni sarebbe davvero uno spettacolo triste. Meglio un anno sì e un anno no, c’è più suspense. 
La Juve di Trapattoni.
Io tifavo Torino per dispetto, ma in sostanza sì. No, comunque credo che in molti continuino a votarmi perché mi trovano rassicurante.
La Democrazia Cristiana.
Dieci anni fa ero uno sfigato che apriva un sito personale, oggi chi sono?
Uno sfigato che litiga con sconosciuti su un sito personale.
Le risposte le devo dare io, tu sei l’intervistatore.
Scusa, non so cosa sia successo, mi è venuta spontanea. Comunque non sei così tanto sfigato, dai. Scrivi anche su un giornale importante.
Guarda, non farmici pensare. Devo ancora mandare il pezzo per lunedì.
Scrivi qualcosa sulla blogfest, no?
Sì, pensavo di intervistare uno dei vincitori, ma poi ci siamo messi a ballare, è venuto tardi, adesso è ora di tornare a casa e non ho niente.
Intervista te stesso, fai prima.
Mi vergogno.
Non ti devi vergognare.
Perché?
Perché sei un blogger. I blogger non conoscono la vergogna. Non sanno proprio cos’è, com’è fatta.
Forse hai ragione. Grazie
Figurati, quando vuoi.

(Grazie a tutti quelli che sono venuti o sarebbero voluti venire a Riva. Siete un pubblico fantastico).http://leonardo.blogspot.com 
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È sempre più tardi

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Com'è tradizione, l'antichissimo blog Leonardo in occasione del suo 279° compleanno chiede ai lettori di votare il post più bello del 2009. Segue lungo discorso che si può agevolmente  saltare.

(La mia scelta:
Cugghiuni + Business
Seminator di scandalo
Il segreto dell'altalena
Croce e delizia
Il Silvio parallelo
Mamma! Mamma!
Di ronda in ronda
Dagli abbastanza corda
Ogni riferimento è puramente
Voi potete sceglierne anche altri)

"Come? Eh? No, le candeline no. Il mio povero cuore.
Volete che vi racconto? Ma probabilmente la storia la sapete già. Sono io che non mi ricordo più bene quando ho cominciato.
Mi sembra di averlo sempre avuto un blog, più o meno dall’… Ottocentoquindici, mi pare… in quel periodo eravamo in pochi, eh, anche perché il layout dovevi farlo a mano… il codice, dico… lo vergavi con la penna d’oca, nei primi tempi… e quindi non eravamo poi così tanti ad avere la costanza, la… manualità… comunque c’era già Giacomo … lui con lo Zibaldone era un po’ il mio mito, me l’aveva linkato Pietro Giordani che… aveva questa directory di giovani poeti italiani promettenti, che se ci pensi era una cosa da suicidio, allora, mettere in piedi una directory così… anche oggi certo… però a quei tempi… metti che Foscolo un giorno la consulta e non trova il suo sito… minimo ti sfidava a duello… non gli potevi mica dire: “Scusa, Ugo, ma è una directory di giovani promettenti, e francamente tu…” insomma, c’erano equilibri molto complicati.

Ma dicevo di Giacomo. Di lui non è che si sapesse molto, stava in campagna come molti di noi, e gli volevamo tutti molto bene perché… ma fondamentalmente aveva una costanza pazzesca. Ogni volta che facevi refresh qualcosina la trovavi. Spesso era roba pesante, filosofia, linguaggio, però era due secoli fa, forse allora c’era più mercato per queste cose. A me sembrava uno dell’altro mondo, poi un giorno leggendo capisco che si è trasferito a Bologna… allora vado a impegnare i gioielli della mia povera madre per prendere a nolo un biroccio e in un paio di giorni sono là… però non c’era ancora google street view e anche la segnaletica stradale lasciava molto a desiderare, francamente… sicché entro in un’osteria, sotto le torri, e chiedo a lorsignori se conoscono l’indirizzo del poeta Giacomo Leopardi. Silenzio. “Intendo l’autore del pregevole blog lo Zibaldone”. Mi ridono in faccia. Lì per la prima volta ho capito che… la blogosfera non è proprio esattamente il mondo reale… uscendo alla luce del sole urtai un gobbetto, gli feci cadere una borsa piena di carte e mi mandò al diavolo… mi lasciò un pessimo ricordo Bologna, non saprei neanche dire perché… forse capivo che tra il mondo vero e la blogosfera ormai avevo scelto la blogosfera. Vuoi mettere tra discutere di lettere con IppolitoNievo.It o stare per strada a farsi ingiuriare dai brutti gobbi sgorbi?

Manzoni? Non so, me l’hanno detto poi che c’era anche Manzoni, il punto è che non era già il grande Manzoni, era un ragazzo molto timido, che non usciva di casa volentieri, aveva crisi di panico nei luoghi affollati... al giorno d’oggi sicuramente diremmo che è la sindrome di questoquello, ma a quei tempi… Lui stava molto sulle sue e faceva questa cosa, che a me non è mai piaciuta… cioè si cancellava spesso. Magari per un mese scriveva cose fantastiche, fantasie di monache lesbiche, poi un mattino gli saltava il ticchio… cancellava tutto. Magari perché qualcuno gli aveva lasciato un commento livoroso (lui però li bloccava, mi pare), oppure gli era venuta la crisi mistica... Io quelli che fanno così, come Facci, o TheWineGuy, non li ho mai compatiti veramente. Voglio dire, o fuori o dentro, trovate un vostro equilibrio. Però non voglio fare polemica. L’ultima polemica la feci col Tommaseo, mi pare nell’Ottocentoquarantavattelapesca… quanto a Manzoni, era un altro che non usciva di casa volentieri, aveva crisi di panico nei luoghi affollati…

No, all’inizio no, non c’erano classifiche. Non avremmo saputo cosa conteggiare. Dovete capire che con la tecnologia di allora anche una cosa che per voi sembra scontata… non so, lincarsi. Io per lincare un post di Luigi Settembrini dovevo scrivergli fermo posta, e sperare che filtrasse il firewall austroungarico. Le polemiche sullo sbarco dei Mille, poi, francamente… non si poteva fare liveblogging da Marsala, mettetevelo in testa. I borbonici avevano bloccato il protocollo postale, non avevamo né piccioni né segnali di fumo, e poi c’era questo piccolo particolare che dovevamo scannare nemici a mani nude perché avevamo lasciato i fucili a casa. La prossima volta portatevi l’Iphone, cosa volete che vi dica. I giovani la fanno sempre facile.

Lo devo ammettere, all’inizio il telegrafo mi spaventava. Temevo che uccidesse il blog, lo avevo anche scritto… un post dal titolo il blog è morto. Mi davano soprattutto noia quelle abbreviazioni, anche inglesi, SOS per Salvate le Nostre Anime, che roba è? E poi tutti quegli stop a fine frase, stop, stop, stop… insopportabili. Ma davvero ero convinto che il futuro sarebbe stato sintetico, che quelli che amavano le pagine lunghe e complicate, come le mie, fossero condannati… magari chissà avevo pure ragione… nei tempi lunghi…

Invece Marconi lo adoravo. Mi ricordo quando fece quella presentazione, a Londra… tutti si immaginavano un gadget portatile, magari un telegrafo palmare, ma chi si poteva immaginare un congegno wireless nell’Ottocentonovanta… dico bene? O novantacinque?

Va bene, insomma, adesso in che anno siamo? No, fa lo stesso, un anno vale l’altro. Ditemi però cosa ne pensate di quest'anno, perché lo sapete che io tengo soprattutto a una cosa. No, non è la classifica, no. Non sono neanche gli accessi. A me interessa che i miei pezzi siano belli, siano validi, si leggano volentieri. Perciò vi chiedo, come da duecentoepassa anni, di scrivermi nei commenti qual è il pezzo che vi è piaciuto di più. Per favore. Non fate come tutti gli anni che di solito siete un migliaio ma quando c’è da farmi questo favore restate in venti. Cos’è, avete paura a scegliere un pezzo invece di un altro? Tirate la monetina, mica me ne accorgo. Potete anche scrivere il pezzo che vi è piaciuto meno, magari quello vi viene più facile. Coraggio, su, e poi per un altro anno non vi disturbo più. Adesso se vi dispiace devo andare a pisc… no, niente, ormai è tardi. Tanti auguri.

Ma ve l'ho detta quella volta che sono andato a Bologna, perché volevo vedere un blogger, come si chiamava... Entro in un'osteria e..."
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Natale con i Paperi

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Non sono scomparso (la mia adsl lo era).

Oggi è uscito un altro mio pezzo sull'Unita.it (il sito, non il giornale). Parla di anarchici e di paperi (in realtà non parla né degli uni né degli altri). A breve ricomincerò a scrivere pezzi qua dentro, non vi preoccupate. Se vi stavate preoccupando. Se invece non vi stavate preoccupando, continuate così.

[Update: Il pezzo ora si legge qui].

Un'altra cosa (poi, giuro, per un po' la finiamo con l'autoreferenzialità). Venerdì esce l'ultimo numero del 2009 di Vita dove c'è anche un'intervista che mi ha fatto Riccardo Bagnato. Riccardo è il vecchio amico a cui nel 2001 proposi di andare al G8 di Genova per scrivere "qualche pezzo di colore": in fondo è tutto iniziato lì. Tornare a chiacchierare su quelle pagine mi fa tantissimo piacere.
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Quant'era simpatico

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Come molti hanno già notato, da ieri ho iniziato una collaborazione con l'Unità.it. Le forme di questa collaborazione sono ancora tutte da definire, ma io nel frattempo mi sto già montando la testa con interrogativi divistici, del tipo: mi amerete? continuerò a esservi simpatico anche quando scriverò davvero su un giornale? Lo so che state facendo sì con la testa, ma non vi credo.

Perché già adesso, in fondo, non è che faccio molto per meritare tutta questa simpatia. Non rispondo alle mail, non mi iscrivo ai vostri gruppi, non scambio link, nei commenti vi mando a quel paese... tutto l'acido che può buttar fuori un temperamento un po' passivo-aggressivo che nella vita di mestiere porta pazienza, io ve lo rovescio volentieri, ma a voi piaccio così: e appena mi capita una buona notizia correte tutti a festeggiarmi con un entusiasmo, dai, esagerato.


Io in tutti questi anni di scrittura amatoriale mi sono conquistato l'affetto che si guadagnano certi musicisti indipendenti oggettivamente scalcagnati, che vanno in giro a suonare in posti minuscoli dove comunque l'entrata e gratis, nessuno ti paga, ma quando finisce il concerto e ti smonti da solo gli strumenti tutti vengono a stringerti la mano, perché sanno che non ci guadagni niente ma ci metti tutta la passione della tua vita e sei, direbbe Enzo, adorabile. Ecco, io per molti sono quella cosa lì, adorabile. Ma alla mia età, con la barba che mi si sta facendo bianca... è imbarazzante.

Io poi non ci ho mai tenuto, all'adorabilità: più di una volta ho annunciato che l'avrei venduta al primo che passava con un piatto di lenticchie, e forse non scherzavo, ma poi qualche piatto di lenticchie è effettivamente passato e non sono riuscito ad afferrarlo, non è così facile. Eppure quando ho aperto questo sito non pensavo che sarei rimasto per sempre così, un simpatico blogger a vita. Nemmeno prevedevo l'epica guerra tra bande che sarebbe cominciata qualche mese più tardi, blogger contro giornalisti. Pensavo che scrivere un poco quasi tutti giorni mi avrebbe aiutato a diventare più bravo e che prima o poi avrei fatto un salto di qualità che forse invece non mi è mai riuscito. Più che avvicinarmi al giornalismo, forse è stato il giornalismo negli ultimi anni ad accostarsi a gente come me, dai modi un po' rudi e incolti, indiròc.

Se non ci credete provate a riguardare il primo pezzo che mi hanno pubblicato, dove mi sono limitato a trattare da rincoglionito un giornalista della concorrenza e a scrivere che i due principali quotidiani on line sono punti di ritrovo per dementi e mitomani. Cose del genere finché le scrivi su un blog nessuno le nota: si sa, i blog le sparano grosse... Su un quotidiano ci vuole una certa dose d'impudenza, e tra un po' anche gli avvocati, temo. Dovrò mettere giudizio, imparare a differenziare i registri, cose così. Nel frattempo ringrazio Cesare Buquicchio, che non m'aspettavo davvero avrebbe accettato un pezzo del genere, e invece, torno a casa e guarda un po', sono sull'Unità, ah, però.

Dall'altra parte della barricata... e quindi Maroni può anche oscurare tutta la vostra fetida blogosfera fetida, peggio per voi... No, scherzo. Ma continuo a pormi l'infantile quesito: ora che sono qui, continuerete a trovarmi simpatico? Riuscirò a farcela, come sanno farcela gli adulti, senza le vostre quotidiane espressioni di simpatia? Cedere affetto in cambio di professionalità sarà poi alla lunga un buon affare? Non lo so, vediamo. Per ora non posso che ringraziarvi: se non era per voi, io a quest'ora chissà dove sarei. In una stanzina a vergare uno zibaldone. Su facebook a iscrivermi ai gruppi. In giro a tirare oggetti a persone che non riuscirei a sopportare. Meno male che c'era internet, e voi dall'altra parte a leggere e approvare. Grazie ancora a tutti.
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Ho scritto un libro

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Giovedì 19, presso la biblioteca del Teatro India a Roma, la collana Sguardomobile presenterà i suoi nuovi libri. Ci saranno Valerio Magrelli, Andrea Cortellessa, Antonio Prete. E cercherò di esserci anch'io, visto che ho scritto uno dei libri.

La mia lunga e assai tormentata storia di non-amore con l'università italiana è finita in un burrascoso giorno di primavera del 2008, con il conseguimento di un dottorato di ricerca. Vi risparmio le frustrazioni, i dubbi, le avventure, i concorsi persi male e vinti per caso, i grandi viaggi inutili ma divertenti, le lunghe notti vegliate al lume di qualcosa che all'inizio era ancora un 486 e alla fine un laptop. Tanto ormai è tutto finito.

Fu sulla soglia della fine che, compilando un modulo qualsiasi, diedi quasi inavvertitamente il consenso a pubblicare la mia tesi su internet. Mi sembrava una formalità: in generale mi piaceva l'idea di poter consultare on line le tesi di tutti e quindi anche la mia. Ero un po' scettico sul fatto che la mia facoltà avrebbe realizzato davvero una cosa del genere – finora tesi on line non ne avevo mai viste. Scoprii qualche mese più tardi, con disappunto, che finora non ne avevo mai viste perché pochi avevano avuto il fegato di dare il consenso; e che di fegato si trattava, perché grazie ai potenti ragnetti di google il mio nome-e-cognome sarebbe stato per sempre legato alla versione grezzissima della mia tesi, consegnata via cd un mese prima, ricca di refusi e ripetizioni e tutto quel che serve a far vergognare uno studioso da qui all'eternità. Più vari inserti erotici, per la gioia di vecchi e bambini (dove “bambini” sono i miei studenti che sanno guglare e “vecchi” i loro genitori).

D'altro canto, se non avessi sventatamente consentito a liberare la mia tesi nell'internet, essa non sarebbe mai piaciuta a Giulio Braccini, Marco Federici Solari e Lorenzo Flabbi, i magnifici redattori del progetto Sguardomobile, che qualche mese più tardi mi chiesero se volevo  rilavorarci sopra e pubblicarla. Non potevo non accettare un'offerta così, se non altro per riparare allo sgorbio che era stato messo on line (e ahimè, c'è ancora).

Si trattava insomma di riprendere in mano Marinetti. L'uomo che con le sue provocazioni sgrammaticate mi ha segnato la vita, dalla gita di seconda media del 1986 (mostra del Futurismo a Palazzo Grassi), attraverso la tesi di laurea, fino allo stramaledetto dottorato. Detta così, sembra che io abbia passato almeno vent'anni a studiarlo, e in un certo senso è vero; l'ho studiato nei ritagli di vent'anni, mentre facevo qualsiasi altra cosa. Sempre nella speranza di trovare qualcosa di interessante, di originale, ma soprattutto di, come dire... unificante: una formula, un trauma infantile, la soluzione di un mistero. Probabilmente avrei sofferto molto meno se mi fossi rassegnato subito: non c'è nessun mistero, i comportamenti di F. T. Marinetti sono stravaganti ma perfettamente spiegabili, e molti sono stati già spiegati da gente più acuta di te, quindi molla l'osso. Sì, ma dopo dieci anni è dura da ammettere. Comunque alla fine, da centinaia di abbozzi e piste perdute e ritrovate, è sorto il mio lavoro. Un buon lavoro, tutto sommato. E ci sono anche i siparietti erotici.


I tre redattori, dalla encomiabile pazienza, mi dissero che la tesi era piaciuta proprio perché poco accademica: nessuna sorpresa, io l'accademia non sono mai riuscito a capirla fino in fondo. Lo dico con amarezza, perché sul serio, mi sarebbe piaciuto, ma sto fuori Bologna e ho sempre altro per la testa (di solito lavorare), e anche se sembro in grado di scrivere qualsiasi cosa ve lo dico, cercare di produrre roba anche solo vagamente accademica mi è costato la fatica di tre traslochi. A un certo punto avrei donato una parte del corpo a caso per farla finita, anche la cistifellea. Sono inoltre un solitario, che ha sempre fatto fatica a rapportarsi al giudizio altrui: fortunato di aver trovato un maestro a cui piacevo così, bello ruspante. Io ero sempre sospettoso di quello che gli portavo, ma funzionerà dal punto di vista accademico? Lei cosa dice? Lui mi correggeva l'ortografia. Ho sempre avuto il sospetto di piacergli più per come scrivevo le cose: più come scrittore che come studioso. Ma nel frattempo come scrittore 'puro' non riuscivo a combinare un granché, giusto un blog dove poi si finisce sempre per parlare di politica e litigare, e quindi ho fatto il possibile per essere almeno uno studioso decente. E insomma, è andata com'è andata, il libro adesso è lì.

Non è, bisogna dirlo, quella biografia romanzata di F.T. Marinetti che ogni tanto sogno di fare (poi il sogno diventa un incubo di 500 pagine con cui soffoco G.B. Guerri e Mughini, e mi sveglio tutto sudato). È materiale un po' più specifico, scritto in un tono assai più impacciato di quello che riesco a usare qui. Un'indagine sulle follie forse meno note di FTM, come ad esempio finanziare una manciata di poeti nel 1909 e litigare con tutti loro nel 1912; andare in cerca di emozioni e tornare a casa con una sintassi fratturata come una spina dorsale sotto una bomba a mano; pensare furiosamente alla guerra in tempo di pace e poi, quando la guerra finalmente scoppia, pensare furiosamente al sesso; e a proposito di sesso, farsi teorico e propagandista di quella che oggi è l'unica abiezione imperdonabile, l'eiaculatio praecox: sì, anche in questo campo lui si vantava della sua futuristica rapidità, la elevava a sistema: e come non scrivere una tesi su qualcosa del genere? E poi la sua cultura pseudoscientifica, che lo faceva abboccare a qualsiasi leggenda urbana degli Anni Dieci: le avventure sessuali di Rasputin, “ehi, avete sentito di quella cosa che hanno scoperto i Curie, il radio? Beh, pare sia un afrodisiaco”. Oggi non si perderebbe una puntata di Voyager, FTM. In controluce la nascita del fascismo, una miscela fortuita ottenuta in laboratorio: mescoli l'amore per una patria sconosciuta e sottosviluppata con il motore a scoppio, la rotativa, qualche pizzico di Nietzsche Bergson e Sorel, e Patatrac! Cos'è successo? Forte, ci riproviamo? La spettrale coincidenza di macchina e di morte, il paradosso di un futurista che ogni volta che si arrischia a scrutare davvero il futuro ci vede solo guerre catastrofiche e regressioni alla preistoria: uno che insomma fa il gradasso letterario perché in realtà del nuovo ha una paura fottuta. Ma detto con più diplomazia, e i siparietti erotici.

Studiare Marinetti, frugarci dentro, è stato faticoso ai limiti dello strazio, ma anche molto divertente. Non so se un po' di questo divertimento traspaia dalle pagine di questo libro. Volevo cercare di essere serio, parlando di cose molto buffe. In questo in fondo simile al mio oggetto di studio, che viaggiava per i teatri del mondo, declamando i suoi tatatatatà marziale e imperturbabile sotto una pioggia di ortaggi, ogni tanto afferrandone qualcuno e morsicandolo gloriosamente. Consapevole, come il migliore Buster Keaton, che anche il comico è un ruolo da recitare con la massima serietà.
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Giacomo Due Diciotto

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Spero di sbagliarmi

Quando litigo – più spesso che non dovrei – in rete, di solito con atei, comunisti, neocon, pacifisti, antiabortisti, sionisti, astensionisti, referendari, omosessuali, liberali, radicali, fumatori... alla fine se guardi bene, io sto sempre facendo lo stesso discorso, e sempre con lo stesso tipo di persona.

È quel processo di selezione sociale attraverso il quale ogni scrittore trova i suoi lettori: io però sono scrittore di classe infima, un fetido blog, e quel che sono riuscito a selezionare è soltanto un gruppo di persone che hanno voglia di litigare con me (e io, evidentemente, con loro).

Il litigio è sostanzialmente un equivoco tra due persone che sono convinte di dialogare ma non si intendono. Questo vale anche qui. Sempre la stessa storia: io critico un fenomeno in base alle conseguenze a cui rischia di portare, e loro vengono qui a rinfacciarmi i loro alti principi. A quel punto io rispondo che i loro principi più o meno alti non m'interessano, se non come curiosità, perché io mi permetto di giudicare soltanto i risultati: e i risultati sono quelli che vedo intorno a me, oppure quelli che prevedo in un prossimo futuro. Naturalmente non sono un indovino, e quindi a questo punto aggiungo una frase che col tempo è diventato uno stucchevole refrain: spero di sbagliarmi. Sono infatti pessimista di formazione e di inclinazione, ma questo non mi proibisce di applicare il classico ottimismo della volontà. Non so se mi sono spiegato bene: provo con gli esempi.

(2001)
Leonardo: Chi si astiene fa vincere Berlusconi. Il berlusconismo al governo devasterà il tessuto sociale italiano.
Astensionista: Ma io sono di sinistra-sinistra! Ho dei principi! Non posso assolutamente votare Rutelli o D'Alema...
Leonardo: Non m'interessa chi sei o quello in cui credi. Spero di sbagliarmi, ma se non vai a votare aiuterai Berlusconi a devastare il tessuto sociale italiano.

(2003)
Leo: La guerra non porterà democrazia in Iraq se non in tempi lunghissimi, mentre nei tempi brevi aumenterà la tensione con l'Islam in tutto il mondo.
Neocone: Ma noi siamo democratici! Liberali! Crediamo nella democrazia! In tutto il mondo, subito! Contro l'islamofascismo!
Leo: Sì, interessante. Ma quel che combinerete nei tempi medio-brevi sarà un disastro. Spero di sbagliarmi.

(2005)
Leo: Perché volete organizzare un referendum abrogativo sulle staminali, se è praticamente sicuro che lo perderete? Spero di sbagliarmi, ma finirete per aumentare l'autorevolezza del fronte avverso.
Referendario: Sì, ma quella che è passata è una legge odiosa! Noi abbiamo dei principi! Dovranno passare sui nostri corpi...
Leo: Vabbè, e una volta che ci saranno passati?

(2007)
Leo: Cari omosessuali, c'è una parlamentare cattolica che vuole riconoscere le coppie di fatto e voi l'attaccate perché non vi dà subito il matrimonio? Con la maggioranza risicata che abbiamo e un'enorme minoranza silenziosa che vi chiama ancora culattoni? Spero di sbagliarmi, ma siete matti.
Gay: Ma io sono gay! Il riconoscimento dei miei diritti è la mia priorità!
Leo: Ma perché dovrebbe essere la mia?

(2009)
Leo: Guardate che togliendo il crocifisso nelle scuole, con questi lumi di luna, rischiamo di tatuarlo sulla pelle di una maggioranza etnica in cerca d'identità.
Laico: Ma noi siamo laici! Siamo stanchi di aspettare! Vogliamo la scuola laica adesso!
Leo: E i collegi dei gesuiti dopodomani?

Credo che sia evidente l'equivoco: da una parte c'è una persona (un po' negativa, è vero) che dice “Guardate che così finisce male”; dall'altra uno che risponde “Sì, ma io sono...” In realtà non c'è scambio: la prima persona non è interessata a chi sia il secondo; questi dal canto suo non sembra affatto preoccupato di come poi finiranno le cose. Ha fretta, vive nel presente.

Se riuscissi a chiarire questa cosa, forse potremmo in futuro evitare numerose prevedibili discussioni (ammesso che non siano poi quelle che vi portano qui). Insomma, il qui presente non vi giudica per quello in cui credete. Davvero, potete credere in qualunque cosa. Pensate che Dio non esista? Ok, è un punto di vista, basta che accettiate il fatto che non è più oggettivo degli altri. Credete che l'embrione sia un individuo dal concepimento? Ok. Mi sembra un po' forte, ma ok. A questo punto però io vi giudico dai risultati: se davvero aveste a cuore il Sig. Embrione, dovreste blindare la 194 in una placca di platino-iridio, perché è la legge che ha salvato la vita a più embrioni in assoluto, mandando in pensione le mammane. Se non lo fate siete ipocriti. Ipocriti rispetto ai vostri stessi principi, capite? Preferite gonfiarvi di principi, a scapito di quello che otterrete nella realtà.

Stesso discorso per la questione crocifisso. La sentenza di Strasburgo è probabilmente sacrosanta, ma se il risultato immediato è un'ondata di telepredicatori accesi di zelo per il santissimo crocefisso, io non la chiamo una vittoria. Tutto qui. Forse era preferibile un Cristo subliminale, che svanisse nello sfondo. Magari mi sbaglio, anzi lo spero.

Il fatto è che probabilmente ho frainteso quello che è internet per la maggior parte delle persone: un universo colorato dove ognuno può finalmente essere quello che sente di essere senza troppo impensierirsi per le conseguenze. Un'enorme Second Life senza quegli avatar ridicoli, ma con tante testuali dichiarazioni d'identità: Io sono Ateo! Io sono Liberale! Io sono Comunista! Tutta questa gente vive di compromessi più o meno come me, ma quando è davanti al monitor può finalmente gridare la sua Identità Tutta D'Un Pezzo ai quattro venti – o anche solo in calce a un pezzo mio.

A me però la tua Identità, non vorrei essere scortese, ma non è che interessi più di tanto. Per me internet è solo una lente sul mondo vero; e siccome nel mondo vero tutti questi personaggi tutti d'un pezzo non li incontro, le loro professioni di fede on line alla lunga m'infastidiscono. Non m'importa se sei comunista, ma quanto hai fatto e farai nei prossimi anni per la classe lavoratrice. Non m'importa se sei cattolico, la tua fede non m'interessa, fammi vedere le tue opere. Lettera di San Giacomo, è qui davanti a me in caratteri di platino.

Va bene, insomma, chi può aver resistito a leggere fin qua? Forse Malvino.
Domenica ha censurato il mio disinteresse per le cause perse paragonandomi a Capezzone. Malvino è persona intelligente e di smisurata cultura, e se tra tanti personaggi pragmatici e vili ha scelto proprio Capezzone, era semplicemente per farmi incazzare. Ma uno strale così ben scelto è quasi un segno d'affetto. Io non sono un indovino: mi oriento con il mio banalissimo pessimismo della ragione, e qualche volta ci azzecco. Su Capezzone fui profetico: nell'aprile del 2006 gli prevedevo già un futuro clericalmoderato. Non si era ancora formato il governo dell'Unione, quello di cui avrebbe fatto parte come brillante Presidente di Commissione Attività Produttive. Però, andiamo, ci voleva molto a capire il tipo?

A quel tempo, e ancora per due anni buoni, Capezzone ebbe la stima di Malvino. Son cose che a pensarci danno un brivido. Voglio dire, com'è possibile che persone più colte di me, più informate, più esperte della vita, caschino davanti a un Capezzone?
Gli fate un torto paragonandomi a lui. Era un giovane di belle speranze, non disdegnava affatto le cause perse. Moratoria sulla pena di morte, referendum sulle staminali... Oggi nel mondo ci sono più o meno gli stessi condannati a morte di qualche anno fa, e il Vaticano detta al governo la legge sul testamento biologico. Però Capezzone è ancora sulla breccia. Malvino mi fa un complimento accostandomi a lui: io resto nell'ombra, col solito pessimismo della ragione che mi fa dire no-no-no davanti al monitor e il solito ottimismo della volontà che mi sveglia al mattino e mi scarica a lavorare in una scuola laica. E pensare che c'è gente che vive alla grande, come fanno? Non sembra così difficile: trovano una causa persa, ci mettono su il loro faccino e la rivendono al mercato. Che posso dire: beati loro. Io non sono capace.
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Un giorno alla Rai

Sono stati tutti molto gentili.
Mi mandano un'auto alla stazione, non la trovo, allora mi pagano un taxi; mi offrono un lauto pranzo alla mensa Rai, in un momento in cui grazie al cielo non c'è folla (sono già passati i “lanzichenecchi”, quelli della Prova del Cuoco). Senza che io glielo domandi (e forse ne avrei avuto pudore) mi regalano anche il classico giro degli studios: la Prova del Cuoco no, pare che l'odore alla fine della trasmissione sia insostenibile, ma quello dello spezzone domenicale di Baudo, indovinate un po': in tv sembrava più grande. L'arena di Annozero mette perfino ansia, è piccolina e a fari accesi tutta grigia.
Fanno di tutto per farmi sentire a mio agio. Io faccio di tutto per sembrare a mio agio. Non sono a mio agio.
Devo parlare in televisione. Mal che vada nessuno se ne accorgerà; è un programma che va all'una di notte.
Rappresento, me lo dicono, tutti gli insegnanti anche più sfigati di me che non hanno mai voce in capitolo. Stavolta in teoria la voce ce l'ho, un cinque minuti su mezz'ora di trasmissione forse mi spettano, ma se m'incanto? Se m'impapero? Se mi sbaglio?
Non la persona più telegenica al mondo: allo stesso tempo credo di potermela giocare. Come oratore sono un po' incostante: so cavarmela, a volte regalo persino, ma ho bisogno di scaldarmi un po'. Non ci sarà tempo per scaldarsi: 40 minuti e sarà tutto finito. Se fossi in un'aula, davanti ai ragazzini, potrei dare il massimo. Ma non ci sono ragazzini qui: sono seduto tra l'Onorevole Aprea e la Senatrice Garavaglia.

L'On. Aprea me la sono studiata.
È la firmataria di una proposta di legge che, sepolta da qualche parte tra Palazzo Madama e Montecitorio, a tempo debito farà esplodere la scuola pubblica italiana. L'ho letta. In pratica ci si propone di trasformare le scuole in fondazioni. Le fondazioni ovviamente saranno libere di finanziarsi a modo loro. Questo tipo di scuole una quota del 30% di stranieri non avrà nemmeno bisogno di fissarla. Ecco una domanda che vorrei farle, ma ne avrò il tempo? Le domande mica devo farle io. Mi dicono di sì, che posso interrompere, se ho qualcosa di concreto. L'idea è che io rappresento la scuola concreta, contro gli alti papaveri. Però io so che l'On. Aprea è stata dirigente scolastica a Rozzano, mica Cambridge. Va a finire che è un mastino, l'On. Aprea. Non devo farmi intimorire, ma in realtà sono già intimorito. Se mi blocco, se faccio una papera, è tutto il corpo docente che s'impapera con me.

La Garavaglia è una sorpresa, lo scopro un paio d'ore prima di andare in onda. Appena penso a lei mi torna in mente un pezzo che le ho dedicato, in cui le proponevo di bruciare nottetempo le scuole cattoliche. La Garavaglia è del '47, potrebbe essere mia madre. Ecco un altro problema. Queste persone importanti, che masticano legislatura mentre io faccio fatica a tenere un registro, sono anche due signore. Queste due signore hanno anche una certa età. Possono anche essere il Nemico, se ci rifletto io so che sono il Nemico, però oggettivamente sono seduto tra due signore di una certa età. Devo interromperle? Essere sgarbato? Io, quando La Russa interrompe le signore in tv, gli tirerei le orecchie. Non voglio finire così. Nemmeno voglio fare tappezzeria.

Non ho neanche il tempo di pensarci che siamo già seduti. Cerco di tenere la schiena dritta – mi sento una scopa in c. - non devo voltare la testa – mentre ci penso la sto già voltando. Le due signore sono molto più tranquille, e poi si conoscono. Hanno fretta, ché c'è un aereo da prendere; da quel che ho capito lo prenderanno insieme. Ci sarà un convegno da qualche parte. Il dialogo seguente ovviamente è di fantasia.

ONOREVOLE: “Che bella spilla, a forma di farfalla”.
SENATRICE: “Vero? È stato mio marito a iniziare a regalarmele, quando ho finito il ministero... mi ha detto è una liberazione più per me che per te”.
ONOREVOLE: “Certo che le farfalline... in questo periodo”.
SENATRICE: “Eh, lo so... c'è un altro che le regala”.

È probabilmente la mia fantasia malata che mi fa immaginare due parlamentari d'opposta fazione intente a ironizzare sui cadeaux del Presidente del Consiglio. Ma insomma, le due signore vanno d'amore e d'accordo. Lodano le trasmissioni di RaiEdu, si lamentano perché vanno sempre in onda troppo tardi, “dovremmo fare qualcosa”. Io annuisco, vorrei essere gentile e allo stesso tempo so che se sarò troppo gentile poi non riuscirò più a essere cattivo.

ONOREVOLE: “Quant'è riposante l'orologio Rai, vero?”
LEONARDO: “Eh?”

In effetti oltre la scenografia c'è un monitor in bianco e nero, con l'orologio in grafica anni '80 che manda l'ora esatta dell'Istituto G. Ferraris.

LEO: “Ma già, è vero... è da tanti anni che non lo vedo...”
ON: “Mi dà pace... è un po' come...”
LEO: “Le pecore”.
ON: “Le pecore, è vero, che bello che era l'Intervallo di una volta”.

Mi sento un uomo all'incrocio dei mondi, delle generazioni. Quanti come me conoscono Fabri Fibra e la  Toccata In La Per Arpa Sola di Pier Domenico Paradisi, soundtrack immortale dell'Intervallo Con Le Pecore. Tra qualche anno, se il generational divide va avanti così, mi faranno fare l'interprete ufficiale: il rappresentante dei teenager chiede qualcosa (“le bottigliette d'acqua della macchinetta sono troppo piccole per farsi”, Leonardo traduce, il rappresentante degli adulti risponde “ma se introducessimo bottiglie da 1500 ml. voi potreste usarle come corpi contundenti”, Leonardo traduce).

È cominciata la trasmissione. Le immagini di Luzzara mi fanno sentire a casa, anche se io a Luzzara non ci sono mai stato; però i miei studenti hanno quel colore lì, gli indiani hanno quel buffo codino in cima alla testa, coperto con un fazzoletto, e lineamenti gentili che a volte ci fanno prendere maschi per femmine.

Mentre la conduttrice, Valeria Coiante, chiede qualcosa alle signore, io comincio a friggere. Per quanto equilibrato, il filmato suggerisce l'idea che il futuro di Luzzara sia indù. Non è così: i bambini italiani ci sono. Ma si sono iscritti alla scuola parrocchiale, che di alunni stranieri ne ha accettati soltanto otto. Per me l'ingiustizia è tutta qui: fissare delle quote nelle scuole pubbliche e lasciare che le scuole private accettino solo chi vogliono. In fondo è l'unica cosa che devo dire: poi posso anche tornarmene a casa.

Tocca a me. Stabilisco un punto: io gli stranieri in classe ormai non li conto più, perché cosa vuole dire “straniero”? Ce ne sono di perfettamente integrati, più di altri italiani. Dietro di me ho un foglietto ripiegato, il tema di un mio studente, che dice le stesse cose. Potrei tirarlo fuori, ma mi sembra troppo presto. Ovviamente l'occasione non si ripeterà.

Comunque, se proprio devo contarli, ne ho parecchi. Sono fuori quota: ma nella mia stessa scuola ci sono classi che quasi non ne hanno. Qui però la Garavaglia si intromette, ha già capito come stanno le cose: è colpa del Preside. Io metto chilometri di mani avanti, primo perché non voglio litigare col mio Preside; secondo perché non è vero che è colpa sua: è il Piano dell'Offerta Formativa, è la possibilità che hanno i genitori di scegliere le classi ai loro frugoletti... ma nel momento in cui getto sul piatto della discussione le parole “Piano dell'Offerta Formativa”, il ritmo sprofonda, e perdo la parola.
Domanda a bruciapelo: gli stranieri rallentano o no? Dico di sì, inutile essere ipocriti, e poi cerco di recuperare. Le classi dove va la maggior parte degli stranieri sono le classi meno ambite, vale a dire quelle dove si concentrano anche gli studenti italiani delle famiglie più... mi viene la parola “sfigate” ma non posso dirla. E allora fornisco questa garbata perifrasi: “anche gli italiani sono... italiani che... possono provenire da situazioni... non semplici”. Peggiore eufemismo 2009.

A questo punto sono carne per la Garavaglia. Che regala un bel quadretto anni Sessanta, quando il Preside metteva gli insegnanti bravi nel corso A, quelli meno bravi nel B, i supplenti nel C... io dico no, scrollo la testa, ma è inutile. La palla passa all'Aprea, che comincia a spiegare la necessità di mettere una quota al 30%. E a quel punto io la interrompo, sì: mando al diavolo la nostra solidarietà di antichi ammiratori di pecorelle Rai e miro al mio obbiettivo. Non so se faccio centro, ma non devo essere arrivato lontano. In sostanza dico questo: quote 30%? Va bene, ma anche nelle scuole paritarie. E qui la Garavaglia interviene di nuovo: non si può, finché le paritarie non saranno finanziate come le pubbliche. Ma qui è lei che s'accartoccia un po', la risposta non è convincente (anche perché tratteggia, senza volere, una rivoluzione: soldi a tutte le scuole, private o no).

Un altro filmato, stavolta su Bolzano. Nella penombra del fuori-onda, concordiamo in tre che Bolzano non è proprio la realtà più significativa. Poi gli insegnanti bolzanini cominciano a dire qualche strafalcione, e la Garavaglia s'adonta. Lo farà anche notare in onda.

Riparte il dibattito. Mi chiedono cosa penso delle classi Ponte. Io, ma qui è colpa mia, rallento la discussione. Pauso troppo. Dico che le classi ponte andrebbero bene in certi casi: ma dove sono tutti questi casi? Dove sono tutti questi paesini col 90% di studenti stranieri? Prendi quello del primo filmato, Luzzara: non è vero che ci sono solo studenti stranieri; c'è una scuola del parroco che ha scelto di non prenderli. Ci sono regole che valgono solo per lo Stato e non per i dirigenti di scuole paritarie. È fatta, l'ho detto. Spero di averlo detto bene, ma credo di sì. Posso anche andare a casa.

La discussione però prende una piaga curiosa: la Garavaglia, che prima aveva dato tutta la colpa ai presidi, ha capito che la colpa è dei genitori. Così, ha cambiato idea in cinque minuti: dai presidi generatori di apartheid ai genitori xenofobi. Mi tocca intervenire (scusandomi, e promettendo di non interrompere più) in difesa dei poveracci che a settembre non conoscono ancora i compagni dei loro figli, ma leggono solo uno strano cognome sull'appello: non è nulla di clamoroso, la xenofobia, è la paura dell'ignoto. Ma ho capito che la Garavaglia è una così: è una che ti fa la morale. I presidi non dovrebbero fare certe classi, i bolzanini dovrebbero parlare un italiano perfetto, i genitori non dovrebbero avere paura dell'ignoto. La Garavaglia giudica il mondo per quello che dovrebbe essere; e se non è così si lamenta dei suoi stessi elettori. Per carità, anch'io vorrei migliorare un po' il mondo che mi trovo attorno, però prima devo capire perché funziona in un certo modo; non è che appena le cose non vanno secondo il mio modello mi metto a fare la morale. Se lei fosse di sinistra direi che la sinistra perde anche per questo motivo. Ma preferisco dire che è per questo motivo che vince la destra, anche senza dire niente. In effetti l'Aprea dice poco o nulla. In mezzo a quel poco o nulla c'è anche una garbata autocritica al governo, ma garbata garbata, all'una di notte, non se ne accorgerà nessuno. In compenso l'Aprea non chiede all'italiano medio di non aver paura dell'unheimliche, che è un po' come chiedere alla zanzara di non pungere, o al mandrillo di non copulare, o a Berlusconi di non fare il mandrillo.

In un attimo è già finita. “Siamo andati bene, no?” mi chiedono le signore. Dicono “andati”, quindi parlano anche di me. “Abbiamo detto quel che c'è da dire”. Io addirittura chiedo scusa all'Onorevole per averla interrotta, lei sorride, anzi ho fatto bene, dice, in televisione serve a dare vivacità. Si avviano all'uscita, praticamente a braccetto. Io chiedo un po' in giro, com'è andata? Dicono tutti: bene. Anche a me sembra così. Le due cose che mi premeva dire le ho dette. Peccato per il tema che non ho letto, d'altronde... telefono a casa: dai, è andata bene. Posso avvertire tutti. Lo scrivo su Facebook, lo metto sul blog.

Venerdì notte, mentre aspetto che cominci il programma, do un'occhiata alla posta. C'è Valeria in persona che mi scrive. Ahi. Mi dice che avevamo sforato di 8 minuti, e che hanno tagliato tutti in parti uguali. Ahi ahi.
Comincio a guardare. Uf. La solita schiena storta, il solito accento, gli occhi che ballano, gli ehm eccessivi. Vabbè, dovevo scaldarmi. Vedrai che quando interrompo l'Aprea...
Non la interrompo più. Manca anche il punto dove tiro in ballo la scuola parrocchiale di Luzzara. In pratica, mancano le uniche due cose che mi sembrava di aver detto bene. Chissà se poi le avevo dette così bene. Ora faccio la figura del professorino tanto calmo che, l'unica volta che s'intromette, chiede persino scusa: quello che non accusa i presidi, non se la prende coi genitori, gli vanno bene le classi ponte e le quote... insomma: fatemi di tutto.

Avrà ragione Valeria, dovevo essere più diretto. Qualcosa tipo: voi volete che i ricchi vadano alle private e gli sfigati alla pubblica. Invece io insisto sempre per ficcare della complessità dappertutto.
In tv, con cinque minuti, non è il caso. La trasmissione è andata bene, ottimi ascolti rispetto alla media.
Sarà. Alla fine quello che mi lascia l'amaro in bocca è la performance. Non è stata una frana, ma io potevo essere più bravo di così. Comunicare fa parte del mio mestiere, sono convinto di saperlo fare meglio. Avrei dovuto prepararmi – ma no, mi ero preparato, ma non nel modo giusto. Negli uffici, per concentrarmi, recitavo l'articolo 3 a memoria: hai visto mai che mi servisse al volo ("È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli...") Non è servito.

Ringrazio ancora tutta la redazione; quelli che hanno aspettato l'una di notte e quelli che hanno provato a guardarla oggi. Meritavate tutti di meglio.

La trasmissione è qui. Chiudo i commenti, così andate a commentarla laggiù.
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