Viva la repubblica parlamentare, viva le elezioni indirette

Permalink

 1. Viva la repubblica parlamentare, viva la Costituzione del 1946, anche nei suoi aspetti più anacronistici: viva il conclave, viva le schede bianche e i franchi tiratori, viva le lunghe chiame mentre proseguono le trattative, viva tutte le manfrine mi-candido non-mi-candido. Date semplicemente un'occhiata ai risultati dal 1946 in poi: guardate quanti gentiluomini abbiamo mandato al Quirinale, assai migliori della media dei parlamentari che li eleggevano (e dei cittadini che eleggevano i parlamentari). Non sarà il miglior metodo possibile per eleggere un presidente, ma trovatemene uno meno peggiore. 


2. Però alla mediosfera non piace; giornalisti e opinionisti non capiscono perché non possa essere tutto più rapido e smart, come quelle misteriose elezioni americane in cui si capiva la notte stessa chi aveva vinto (anche se prendeva meno voti dell'altro candidato, eh vabbe' dettagli). A tal proposito avrei un suggerimento: facciamo a meno della mediosfera. Sul serio, io della Maratona-Mentana non ho visto un mezzo minuto e ieri ne sapevo già esattamente quanto Enrico Mentana. È tutta roba per un pubblico di mezza età maschile che non ha ancora scoperto Netflix – ma bisogna ammettere che Netflix non si impegna abbastanza per quel segmento, bisognerebbe inventarsi qualcosa, una serie ambientata in un talk show italiano di sessantenni maschi che cercano di impressionare la stagista con retroscena inventati in camerino, secondo me c'è mercato per questa cosa e forse avremmo anche trovato un mestiere per gente che davanti al video ormai ci sa stare, ma in parlamento non ha molto futuro.

3. Quando gente come Renzi o Salvini o la Meloni (che in parlamento ahinoi ci resteranno) manifestano la loro insofferenza per le ritualità parlamentari, ci credono davvero o stanno semplicemente cantando la canzone che piace ai giornalisti, che dopo un po' che la senti non puoi levartela dalla testa? O non è tutta una manfrina, e hanno capito benissimo che è solo il parlamentarismo a coprirli, a mantenerli nelle loro posizioni di tribuni del dissenso o aghi della bilancia o spostatori di assi di governo, senza mai vedere i loro bluff: le vinceresti, Salvini, le tue elezioni presidenziali? Non credo proprio: e tu, Matteo Renzi? In ballottaggio con Stalin, forse, purché Stalin risulti 100% morto. E allora perché insistono? Ricordano la determinazione suicida dei radicali, che raccoglievano l'1% dei voti e intanto chiedevano l'uninominale, il bipartitismo all'americana. D'accordo che un buon politico non dovrebbe pensare solo ai propri interessi, ma uno che passa tempo a tirarsi mazzate sulle mani risulta più credibile?

4. Prendi Matteo Renzi, che in questi giorni comprensibilmente si sbraccerà per ricordare a tutti che Mattarella al Quirinale ce l'ha portato lui. Ammesso che sia vero: in che modo Mattarella al Quirinale è mai stato un affare per Matteo Renzi? Quest'anno ricorre il settimo anniversario di quando litigò con Berlusconi per portarlo lì la prima volta. Senza dubbio in quel momento dimostrò al parlamento e agli italiani che lui contava più di Berlusconi, e poi cosa successe? Successe che Berlusconi ritirò il suo appoggio alla riforma costituzionale, rese necessario il referendum confermativo e mandò i suoi elettori a votare no, determinando la fine del governo Renzi e più in generale della popolarità del personaggio. Matteo Renzi è così: tra il vincere una battaglia e il vincere la guerra ha sempre preferito la prima cosa. 

5. Mattarella è un ottimo presidente: il suo ritorno al Quirinale non è un'ottima notizia. C'è un precedente e non è di buon augurio: la proroga di Napolitano era considerata sin dall'inizio un mandato a tempo. Napolitano II aveva una specie di missione da portare a termine (e non ci riuscì). Il contratto che oggi Mattarella firma è molto più vago: per quel che sappiamo potrebbe anche restare per un intero settennato. Oppure dimettersi appena Draghi avrà finito la sua incombenza a Palazzo Chigi: si tratterebbe di uno strappo istituzionale notevole, ma da Napolitano in poi la cosa sembra non dare più fastidio a nessuno. A giudicare da qui, non c'è un problema che il prolungamento di Mattarella risolva, non c'è una questione che non rimandi a un momento più propizio che a questo punto soltanto Mattarella, rassegnando le dimissioni, avrà la facoltà di scegliere. 

6. Le analisi del giorno dopo seguono invariabilmente lo schema "chi vince", "chi perde", il che involontariamente dimostra l'esatto contrario, ovvero che la politica non è uno sport, che solo con un'enorme semplificazione si possono estrarre vincitori e sconfitti, dopodiché l'anno prossimo si vota e nessun elettore di Salvini si porrà il problema dei disastri combinati da Salvini in questi giorni – probabilmente avranno più rilevanza i festini di Morisi. Il centrodestra appare favorito – ma perché insistiamo a dire "centro"? Cosa c'è di "centro" nella proposta politica di Salvini e Meloni? E cosa c'è in generale nella loro proposta, a parte la retorica del povero italiano assediato dai poteri forti e dai deboli del mondo intero? E quando il tuo mestiere consiste in questa retorica, ti conviene davvero governare a livello nazionale, mettere le tue facce con relativa mascherina tricolore su tutti i compromessi con la realtà e i guai che ne deriveranno, sperare di rimanere alti nei sondaggi speronando appena qualche barcone in più? 

7. Un solido governo di centrodestra, che abbia il placet degli industriali e che metta gli interessi della piccola-media impresa davanti al diritto alla salute, in Italia c'è già, c'è adesso: sta funzionando persino grazie ai voti dei principali concorrenti, non c'è nemmeno bisogno di sponsorizzarlo, addirittura la Meloni può concedersi il lusso di contrastarlo in parlamento. È chiaro che al governo prima o poi ci devono andare: ma chi glielo fa fare? Succederà, ma forse a questo punto ho più fretta che accada io che lei. Come è già successo al suo collega: prima sale, prima ridiscende. Questo ovviamente non significherà nulla di buono: toccherà a qualche altra grande promessa della politica, qualche altro brillante stratega col sole in tasca, eccetera eccetera. Io sto qui in riva a vederli passare ma ultimamente trovo la pesca più coinvolgente – solo ogni tanto mi ricordo di intonare un inno di ringraziamento: viva la repubblica parlamentare, viva la Costituzione del 1946. 

Comments (5)

Berlusconi al Quirinale (non è la cosa peggiore)

Permalink

Nel momento in cui scrivo questo pezzo l'eventualità che Silvio Berlusconi possa diventare presidente della Repubblica è più concreta del solito. Abbastanza per spingermi a scrivere qualcosa in questa paginetta on line, che del mio antiberlusconismo per tanti anni fu il diario. Bei tempi, più semplici. Senza dubbio parte dell'impulso è dettato dalla scaramanzia: questa cosa che potrebbe persino succedere, se la scrivo, non diventerà meno probabile?; se si potesse in questo modo ridurne la possibilità anche di una milionesima parte, ne varrebbe comunque la pena – e se invece succederà, nessuno potrà dire che mi colse di sorpresa. Quel che è peggio però non è nemmeno questo.


Berlusconi al Quirinale non è l'ipotesi più probabile, né la più impossibile; certo, non avrebbe senso, surrealtà al governo, ma guardiamoci intorno: molto più surreale della Brexit, della secessione catalana, della presidenza Trump? La democrazia occidentale ha come minimo un problema, enormi sacche di elettorato vivono una fuga dalla realtà che è poi una delle opzioni a cui si reagisce a una catastrofe che tutti sentiamo come imminente – anche chi ogni giorno nega. Questa fuga, Berlusconi è stato uno dei primi a cavalcarla: la sua salita al Quirinale non sarebbe più scandalosa di quanto non percepimmo (noi che c'eravamo) la sua prima incursione a Palazzo Chigi: una cosa abominevole, poi ci siamo assuefatti, e anche stavolta potrebbe andare così. Sarebbe una cosa molto stupida, e quindi perché no? Non è una necessità storica, non è l'inverarsi di un complotto: ma in una fase di estrema debolezza della politica, in quelle fasi in cui i pretoriani si aggirano smarriti per il palazzo in cerca di un nuovo Cesare da intronare (meglio se vecchio e già rintronato), un anziano signore con un bel po' di soldi può fare la differenza. Lui almeno ci tiene. È una vita che pretende di farsi chiamare Presidente, anche dalla gente che non è sul suo libro paga. Niente gli ha dato soddisfazione come organizzare i vertici, giocare a fare lo statista con Bush e con Putin; persino quando pagava decine di fanciulle perché partecipassero alle cene eleganti, il fulcro della serata era un video di lui che parlava in inglese al Congresso americano, altro che bunga bunga. Comandare è meglio di fottere, disse qualcuno che probabilmente fotteva male, ma a una certa età forse ricoprire un ruolo di altissima rappresentanza istituzionale è davvero meglio, vado a intuito.

L'ipotesi credo ripugni a chiunque abbia un minimo rispetto delle istituzioni – inclusi diversi parlamentari del centrodestra che lo voteranno lo stesso, perché gira che ti gira il centrodestra in Italia da quand'è crollata la DC non è che la corte di un sovrano simpatico e scostante, che per anni interi magari non si fa vedere e allora si può anche fingere che siamo politici, abbiamo progetti, programmi, elettori da rappresentare... ma se un giorno il Sovrano si fa vivo e pretende un frullato, la corte ha da mettersi a frullare, e anche svelta, e quel che è peggio non è nemmeno questo. Poi si sa che nel segreto dell'urna ognuno è solo coi suoi santi, il che significa che anche se qualche leghista, qualche postfascista si ponesse il problema, ma insomma davvero voglio creare un precedente del genere? Mandare al Quirinale un milionario con un conflitto d'interessi più grande del Colle, già condannato per evasione fiscale, è una cosa che in coscienza mi va di fare? – potrebbe anche vincere lo stesso, Berlusconi, perché qualche soldo da buttare sul piatto lui ce l'ha (soldi per lo più nostri; soldi sottratti a noi). Quanti effettivamente non si sa: a giudicare dai risultati più recenti delle sue squadre, delle sue tv, potrebbero anche non essere così tanti: ma sufficienti, se gettati in una corte di miracolati come il parlamento della XVIII legislatura, un'accozzaglia di personaggi più o meno sorteggiati, molti dei quali non solo non hanno la minima speranza di essere rieletti, ma non ne avrebbero comunque l'ambizione, rieletti a fare cosa? Ci sono tante professioni meno problematiche e persino meglio pagate che fare il pigiatasti per un Beppe Grillo. 

Quest'ultimo, non bisognerebbe scordarsene, è il vero cervello politico della sua generazione, nel senso che non capisce niente, non ha mai capito niente, non capirà mai niente: voleva fare un movimento antisistema che scoperchiasse il parlamento e lo rendesse ai cittadini ed è riuscito, attraverso un complicato sistema di specchi e leve, a blindare in siffatto parlamento le persone più corruttibili in assoluto, gente che non ha un mestiere o ha dovuto perderlo per andare a Roma a fare la marionetta cinque anni, tra i quali è lecito supporre ormai ci sia qualcuno che per un bonifico eleggerebbe il dottor Mengele. Che bel capolavoro, lungamente auspicato e preparato da tutti i talentuosi minchioni che per trent'anni hanno lavorato affinché la politica non fosse più finanziata pubblicamente, che a logica significa che da qui in poi sarà possibile finanziarla solo privatamente, quando non clandestinamente, insomma un mercato del pesce. Questo doveva diventare il parlamento e direi che siamo sulla buona strada: né può stupire che Berlusconi e i suoi tendessero a questo obiettivo, o che Beppe Grillo fosse superd'accordo: in fondo non ha mai capito niente. Ma i politici di centrosinistra che si sono inseriti così volentieri nello stesso solco: i Renzi e i Letta che hanno lungamente studiato il problema, il modo più ottimale di segare il ramo su cui sedevano, affinché il parlamento italiano diventasse un luogo dove solo i milionari potessero difendere i loro interessi, finché non ci sono riusciti e adesso Renzi fa l'uomo-immagine dei Sauditi e quell'altro pesta i piedi ma non può evitare in nessun modo che il boss di suo zio finisca al Quirinale, ecco: guardate che bel risultato, scrivetevi i complimenti da soli – oppure fateveli scrivere dai giornalisti degli Elkann o di Confindustria, tanto è uguale, nessuno li leggerà. Comunque non è nemmeno questo, il peggio. 

E quindi il peggio qual è?

Il peggio, se ci riflettete – ci avete riflettuto?

Il peggio siamo noi, come sempre, quando ogni tanto ci sorprendiamo a pensare che ok, Berlusconi sarebbe una vergogna e uno scandalo. Ma sarebbe il peggior presidente della repubblica che potremmo trovarci in febbraio? No. 

Perché alla fine in questi anni in cui ci ha lasciati un po' più soli, un po' più liberi di guardarci intorno, e nel frattempo si sarà addolcito lui, ci saremo rincoglioniti noi, ma insomma ce la faremmo a sostenere che Berlusconi sia la scelta peggiore? Anche se si stancasse dopo pochi mesi, un re Travicello, sarebbe così male? Rintronato quanto si vuole, suona sempre più ragionevole di tutto il centrodestra che gli è fungato intorno al fondoschiena. Oh certo, se "libertà" oggi più che un concetto è un jingle di Povia, è abbastanza responsabilità sua: lui però, non essendo un deficiente, ha chiesto a tutti di vaccinarsi, con una nettezza che il signorino e la signorina banderuola, i due "leader" dei partiti di centrodestra, non potranno permettersi mai. Aggiungi che una volta arrivato a un ruolo del genere, Berlusconi avrà centrato l'obiettivo di tutta la sua fase senile e forse non avrà più bisogno di usare le sue emittenti come divisioni corazzate (già in questi mesi le ha richiamate, perché gli serve stabilità e se sale al Colle continuerà a servirgli). B è un ladro, ma non è un violento: è un guerriero ma rispetta i vinti; è un folle ma non è scemo; quanto a quel conflitto d'interessi, dopo aver visto schegge impazzite come Grillo o Renzi entrare nelle istituzioni e non sapere cosa farsene, persino quel benedetto conflitto d'interessi lo guardo con occhi diversi. Almeno B ha degli interessi, e ce li ha qui in mezzo a noi: non ci manderà in malora per segnare un punto, lui i punti che doveva segnare li ha già segnati. Le aziende della sua famiglia hanno ancora qualche cosa da venderci, non ci lascerà soli. Ecco, tutto ciò che è scritto si realizza: e questo è il peggio. Sto rimpiangendo Berlusconi, e non è nemmeno morto.

Comments (4)

Il giorno di Mattarella

Permalink
(Questo pezzo è uscito ieri su TheVision). 

“Ho fatto tutto il possibile per far nascere un governo politico.” Alle otto e mezza della sera, il Presidente Mattarella è appena entrato in sala stampa. Salvini sta già tuonando su Facebook che rivuole le elezioni; Di Maio e Giorgia Meloni si allenano a pronunciare la parola “impeachment”. Davanti alle telecamere, Mattarella racconta di come è arrivato a una decisione senza precedenti nella storia della Repubblica. La lista dei ministri presentata da Giuseppe Conte è stata bocciata e Mattarella, a domanda, conferma che la trattativa si è arenata su un solo nome: quello del ministro dell’Economia.

Il presidente è visibilmente nervoso, in queste settimane ha ingoiato diversi rospi. Ha atteso più che pazientemente che Cinque Stelle e Lega trovassero un accordo sul programma di governo e sui nomi da coinvolgere. E anche ieri sarebbe stato pronto a firmare la nomina “di un autorevole esponente politico della maggioranza,” purché non fosse “sostenitore di una linea” che avrebbe potuto provocare “la fuoruscita dell’Italia dall’euro.”Non era evidentemente il caso di Paolo Savona, l’autorevole economista ottantaduenne sul quale avevano trovato un accordo Salvini e Di Maio. Savona, che pure si considera un convinto europeista e auspica la nascita degli Stati Uniti d’Europa, con gli anni ha maturato un’opinione sempre più critica nei confronti dell’unione monetaria, e da tempo sostiene la necessità per l’Italia di un “piano B”– l’eventuale uscita, appunto, dall’eurozona. Più che di un’eventualità realizzabile, si sarebbe trattato di un avvertimento da impugnare a Bruxelles: se continuate a imporci il rigore, noi usciamo davvero. Un deterrente, un bluff, ma in economia forse bluffare non è più concesso (continua su TheVision).


È bastato ricominciare a parlare di euro perché lo spread tra i titoli tedeschi e quelli italiani si divaricasse: la nomina di Savona all’economia avrebbe aggravato la situazione in modo forse irreversibile. Questa è almeno l’opinione di Mattarella. Ieri sera ha affermato che tra i criteri che lo devono orientare nella nomina dei ministri ci sia la “tutela dei risparmi degli italiani”: un’interpretazione apparentemente innovativa delle sue prerogative costituzionali, ma Mattarella sa quello che fa: tra le altre cose è stato anche membro della Consulta. Stamattina riceverà al Quirinale Carlo Cottarelli, e probabilmente gli incaricherà di formare quel governo “neutrale” di cui già parlava venti giorni fa. Cottarelli è l’economista che produsse per il governo Letta un rapporto “per la revisione della spesa” di ottocento pagine. È difficile immaginare che intorno a lui e a un Mattarella indebolito dalla sua presa di posizione si possa formare una maggioranza in questo parlamento: ci aspetta dunque un breve governo estivo (nella prima repubblica li chiamavano governi balneari), che traghetti l’Italia verso nuove elezioni ad autunno. Del resto i comizi telefonici e telematici di Salvini e Di Maio ieri sera sono già pura campagna elettorale. Salvini, soprattutto, dà l’impressione di essersi impuntato sul nome di Savona soltanto per mandare all’aria il tavolo, ora che i sondaggi sono dalla sua parte. I Cinque Stelle sembrano più spiazzati: come se ci avessero creduto davvero, nella possibilità di diventare una forza di governo. Tornare alle elezioni per loro significa ammettere che non ne sono ancora capaci (e ridiscutere la questione del doppio mandato). Ma soprattutto, si tratta anche per loro di vedere un bluff.

Mattarella è stato chiarissimo. Lega e Cinque Stelle devono spiegare ai loro elettori se vogliono uscire dall’euro o no. “Se si vuole discuterne”, ha avvisato ieri sera, “lo si deve fare apertamente e con un serio approfondimento. Anche perché si tratta di un tema che non è stato in primo piano durante la recente campagna elettorale”. Su questo punto anche i più critici dell’operato di Mattarella abbiano poco da eccepire: se davvero vogliono proporre la fuoriuscita dall’euro, anche solo come piano B, Salvini e Di Maio lo devono spiegare forte e chiaro ai loro elettori. E invece durante tutta la campagna elettorale erano stati molto cauti sull’argomento, lasciato cadere anche nell’ultima versione del contratto di governo. Se decidessero davvero di presentarsi in coalizione, e di mantenere il nome-simbolo di Paolo Savona, le prossime elezioni equivarrebbero a un referendum sull’Euro. Ma è una possibilità abbastanza remota. Anche se hanno obiettivi comuni, Cinque Stelle e Lega sono due concorrenti che mirano allo stesso bacino elettorale. E se l’obiettivo dei 5S è da sempre al cinquantuno per cento, l’obiettivo di Salvini è più realistico: diventare la forza portante del centrodestra. C’è sulla sua strada però un ostacolo dal quale forse dipende il destino dell’Italia (e dell’Europa): Silvio Berlusconi.

Berlusconi ieri sera ha fatto sapere che “in un momento come questo il primo dovere di tutti difendere il risparmio degli italiani, salvaguardando le famiglie e le imprese del nostro Paese”. Non è solo un esplicito sostegno al presidente Mattarella, anche in questa inedita veste di difensore dei risparmi; è soprattutto un attacco a Salvini. Può sorprendere chi in questi giorni non abbia dato almeno un’occhiata ai talk di Rete4, dove di colpo l’allarme spread ha preso il posto dell’allarme clandestini. Insomma può darsi che la vera notizia di stamattina, 28 maggio 2018, sia che il Centrodestra italiano è finito; che le due forze principali che lo compongono dal 2001, Lega e Forza Italia, si sono ormai incamminati sue strade diverse e inconciliabili. Se l’abbandono dell’euro, da vaga promessa elettorale, diventa una prospettiva concreta, Berlusconi non ci sta; che Salvini possa rivincere le elezioni senza di lui, e senza l’appoggio mediatico della corazzata Mediaset-Mondadori, è quello che nei prossimi mesi andremo a scoprire. La buona notizia è che dovrebbe essere una campagna un po’ meno razzista: perlomeno le fiaccolate anti-stranieri in tv dovrebbero drasticamente diminuire.

Allontanandosi da Salvini, Berlusconi potrebbe essere tentato di puntare sull’altro Matteo, quel Renzi che sui social continua a manifestare il suo orgoglioso europeismo, e che se non riesce a riprendere il controllo completo del Pd in tempi brevi potrebbe decidere di fondare un nuovo partito – una prospettiva che non a caso sembra entusiasmare soprattutto i redattori del Foglio, autorevole palestra di pensiero berlusconiano. Renzi non è più il cavallo vincente che sembrava qualche anno fa, ma forse qualche ospitata a Pomeriggio Cinque potrebbe aiutare a farlo risalire un po’ sui sondaggi: anche perché molti altri cavalli per ora da quella parte non si vedono. Se l’Europa diventasse davvero il tema delle prossime elezioni, e Berlusconi decidesse di difenderla senza se e senza ma, in una prospettiva liberale, la distanza ideologica tra lui e Renzi diventerebbe davvero impalpabile. L’unico problema è che tra gli elettori di Renzi ci potrebbe essere ancora qualche irriducibile antiberlusconiano: ma sono pochi, ormai: e se solo Berlusconi decidesse di fare un mezzo passo si ridurrebbero quasi a zero. D’altronde è Berlusconi, e ormai si è capito che in Italia aver passato gli ottanta non è in generale considerato un buon motivo per fare neanche quel mezzo passo indietro.

Se la pregiudiziale antiberlusconiana è ormai un ricordo del passato, un’altra ben più ingombrante potrebbe sorgere all’orizzonte: la pregiudiziale anti-Putin. Costretto a correre da solo, Matteo Salvini evidenzierebbe ancora di più quei legami col partito putiniano, Russia Unita, che a ben vedere sono già ufficiali, in nero su bianco. Mattarella non ne ha parlato e forse nemmeno se ne preoccupa, ma la stampa estera sì: in Italia, uno dei membri più importanti e dei fondatori dell’Unione Europea, rischia di vincere le prossime elezioni un partito anti-euro che guarda a Mosca più di quanto guardi a ovest. Lasciamo stare se sia un bene o no per l’Italia: può succedere davvero? Per cinquant’anni in Italia la stabilità politica è nata da una conventio ad excludendum: il PCI filo-sovietico non avrebbe mai potuto governare. A partire dalle prossime elezioni forse vedremo nascere una conventio di opposto colore ideologico, ma nella stessa direzione strategica: i seguaci di Putin potrebbero vedersi esclusi dal governo malgrado i buoni risultati elettorali. Ai comunisti è successo per quarant’anni, e Salvini lo sa bene: dopotutto è stato un rosso, prima di diventare verde.

Qualsiasi cosa succederà, oggi è davvero un giorno nuovo per la politica italiana. Da oggi sappiamo che un Presidente può rifiutarsi di nominare il governo indicato da una maggioranza parlamentare; che i leghisti non bluffano, sono davvero anti-euro (oppure, se bluffano, pretendono di essere presi sul serio); che i 5Stelle erano davvero pronti a governare, e oggi sono davvero delusi e arrabbiati per non esserci riusciti; e che ormai tutto è in discussione: l’Unione Europea, la Nato, tutto. Viviamo in tempi interessanti, tanto per cambiare.

Comments (1)

No, non sarà così impossibile eleggere un Presidente della Repubblica di parte

Permalink
Ma insomma questa riforma è tutta da buttare? Diciamo che ci sono cose assurde e altre quasi accettabili, che uno sarebbe tentato di mandar giù. L'elezione del presidente della Repubblica, dai, in fin dei conti potrebbe anche funzionare... Poi però accendi la tv, vai su internet, e ascolti gli imbonitori del sì, la loro retorica da fustino dixan fuori tempo massimo: lo stesso dettaglio che a te sembrava quasi passabile, cercano di vendertelo come una mountain bike col cambio shimano. Siori e Siori ci vogliamo rovinare! L'articolo 83 della nuova Costituzione è un baluardo contro qualsiasi deriva autoritaria!

Nientemeno?

Con l'articolo 83 della nuova Costituzione sarà matematicamente impossibile eleggere un Presidente della Repubblica che non sia al di sopra delle parti.

No, scusa, ripeti.

Con l'articolo 83 sarà ma-te-ma-ti-ca-men-te impossibile eleggere...

Hai detto matematicamente?

Ma-te-ma-ti-ca-men-te.

E va bene, vediamo questa matematica.

L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi della assemblea. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti (dall'articolo 83 della Costituzione riformata).

L'attuale presidente della Repubblica è stato eletto il 31 gennaio 2015 con 665 voti su 1009. Siccome era la quarta votazione, il quorum necessario era appena sceso da 673 (due terzi dell'assemblea) a 505 (la metà più uno). Quindi la coalizione di governo, coi suoi 610 grandi elettori, avrebbe potuto eleggerlo da sola. In futuro invece di una coalizione potremmo avere un partito solo (se si continua a puntare sul maxipremio di maggioranza). Aumenta quindi il rischio che i capi del governo, forti della maggioranza alla Camera, facciano nominare al Quirinale un inquilino su misura - in fondo anche stavolta la sensazione è che Mattarella lo abbia scelto Renzi, litigandoci con Berlusconi: figuriamoci nel giorno in cui un post-Renzi guidasse un monocolore. Di fronte a questo grosso rischio, che alcuni chiamano deriva autoritaria e io chiamo presidenzialismo, gli imbonitori del Sì scuotono la testa: ma come, non avete visto il nuovo fiammante articolo 83? Di qui in poi sarà matematicamente impossibile imporre un candidato senza concertarlo con la minoranza.

Ma-te-ma-ti-ca-men-te.

Sarà. Senz'altro le discussioni si ridurranno, com'è ovvio che succeda in un'assemblea che si riduce di un terzo: dai mille-e-qualcosa di adesso a 730 (cento senatori più 630 deputati). Mettersi d'accordo è più facile quando siamo in meno: è anche più difficile mimetizzarsi nella folla, come fecero i misteriosi 100 che impallinarono Prodi nel 2013. Dunque durante i primi tre scrutini la maggioranza necessaria sarà di 487 grandi elettori, contro i 673 di adesso. Al quarto, se bastasse la maggioranza più uno come adesso, diventerebbero 366 anziché gli attuali 505. Ma con la nuova regola dei tre quinti, baluardo matematico contro la deriva autoritaria, ne serviranno 438. Se qualcuno d'ora in poi vi chiede la definizione matematica di baluardo democratico, ebbene, pare che in un'assemblea di 730 elettori essa si assesti intorno a 438-366=72. Settantadue voti. Un decimo dell'assemblea stessa. (Tre quinti meno un mezzo fa appunto un decimo). Ha un senso?

Magari persino sì, un senso ce l'ha. Ma sapete cosa c'è di buffo? Mentre i nostri nuovi padri costituenti decidevano che il voto di un decimo dell'assemblea è una garanzia democratica, negli stessi palazzi, a volte persino nelle stesse stanze, si stava pensando seriamente di assegnare a chi otteneva almeno il 40% dei suffragi il 54% dei seggi: quella simpatica legge che chiamiamo "Italicum", sulla quale Renzi decise di chiedere la fiducia al parlamento, e che è tuttora legge della repubblica (certo, hanno detto che la cambieranno. Ma prima bisogna mettere la crocetta sul Sì). Tra il 40% (252 seggi) e il 54% (340) c'è una differenza di 88 seggi. Ok, non ci eleggi un presidente della Repubblica, con 340 seggi. E chissà che situazione puoi trovare al senato. Ma intanto ricordiamo che l'Italicum voleva regalare 88 seggi al primo partito, per una questione di "governabilità". L'italicum sparirà, e cosa prenderà il suo posto? Non si sa.

Però quest'estate a Orfini piaceva il modello greco (quello che nel frattempo è stato abbandonato anche in Grecia). Un maxipremio al primo partito, senza ballottaggio. Nel parlamento greco (300 seggi), il maxipremio era di 50: un sesto dell'assemblea. Non è servito né a evitare crisi di governo, né governi di coalizione, né referendum inutili. Ma pensiamo a una cosa del genere in Italia: un centinaio di seggi alla Camera da regalare al primo arrivato per la "governabilità". Capite dove voglio andare a parare? Con una legge del genere, che forse è quella che è stata promessa a Cuperlo, non sarà poi così difficile per un partito trovare quei 438 voti necessari a eleggere come presidente della repubblica un caro vecchio amico non necessariamente super partes (anche Cuperlo - lo dico con simpatia, non sarebbe poi così male Cuperlo).

E comunque, se anche non riuscisse a trovarli, c'è sempre il settimo scrutinio. Da lì in poi il quorum dei tre quinti va ricalcolato sul numero di elettori che si presenta effettivamente a Montecitorio: se non entrano, il quorum diminuisce. Viene in pratica introdotto il silenzio-assenso. A cosa serve? A prima vista sembra una foglia di fico offerta alle minoranze per coprirsi coi loro elettori nel momento in cui cedono a un'offerta irrifiutabile. Mettiamo che abbiano tuonato davanti alle telecamere per giorni e giorni: "Noi Cuperlo mai!" Mettiamo che alla fine abbiano deciso, in cambio di qualcosa, di accettare pure Cuperlo. Non c'è bisogno di votarlo: basta uscire dall'aula e abbassare il quorum. Funzionerà? In altri tempi magari avrebbe funzionato, ma adesso come si fa? Uscire dall'aula ti espone ancora più che restare dentro. All'interno almeno il voto è segreto. Là fuori ci sono le telecamere, appunto, e se proverai a dire che tu non hai votato, che tu ti sei astenuto, ti rideranno in faccia. E un Cuperlo eletto in seguito al ritiro di un'intera delegazione di deputati o senatori non avrà molti motivi per considerarsi "presidente di tutti". Oggi tutto è discusso, tutto è condiviso, tutto è drammatizzato. È curioso che questa nuova generazione di padri costituenti non se ne sia resa conto: sono quelli che hanno l'iphone, mica il telefono a gettone. Eppure.

Ci sono poi altre possibilità di abbassare artificialmente il quorum: abbiamo già visto che un sindaco-senatore può essere in qualsiasi momento destituito dal suo consiglio comunale. Il voto decisivo per eleggere Cuperlo potrebbe saltar fuori dal consiglio comunale di Vipiteno! Se la situazione è grave si potrebbe anche mandare all'aria un consiglio regionale. Vengono sempre in mente quei vecchi conclavi in cui la mortalità dei cardinali impennava.

Ricapitolando: i riformatori sostengono che nessun partito, anche qualora trionfasse alle elezioni, potrebbe nominarsi un presidente della repubblica senza il consenso di almeno parte della minoranza. Questo perché anche dal quarto scrutinio in poi non basterebbe metà dell'assemblea (366 seggi), ma servirebbero i tre quinti (438). In realtà è difficile capire cosa potrebbe succedere, finché non sappiamo che legge elettorale sarà approvata; e in caso di legge elettorale alla greca, con maxipremio, quei 438 seggi potrebbero davvero essere a portata di mano del partito di maggioranza. Neanche la possibilità di abbassare il quorum ulteriormente, a partire dal settimo scrutinio, non calcolando gli elettori assenti, sembra una garanzia di pluralità: tutto il contrario. E quindi insomma neanche qui c'è nulla che mi spinga a votare Sì: e ho già tanti altri motivi, si è visto, per votare No:

1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.


Comments (1)

Un Renzi machiavellico, mah.

Permalink
A questo punto chi considerava Renzi un utile idiota ha avuto abbastanza occasioni per ricredersi. Sul fronte opposto, c'è chi approfitta dell'elezione di Mattarella, un giudice costituzionale dal profilo ben poco renziano, per celebrare un Renzi geniale in grado di mettere nel sacco alleati e avversari. Mi chiedo quanto quest'ultima interpretazione non risenta della nostra fame di personaggi machiavellici, della nostra necessità di immaginare al comando dei professionisti cinici ed efficienti. Forse dovremmo guardare un po' meno House of Cards, tutti quanti.

Renzi è stato bravo - non ho una grande simpatia per lui, ma quando ne azzecca una non ho difficoltà a riconoscerlo - ma non abbiamo nessun motivo per credere che l'elezione di Mattarella sia il risultato di un piano congegnato al millimetro, piuttosto che di un elaborato concorso di cause che ha favorito, come quasi sempre, chi aveva in mano le carte più buone. Può naturalmente darsi che Renzi pensasse a Mattarella già da mesi, e che abbia illuso Berlusconi per tutto questo tempo. Come può benissimo darsi che Renzi pensasse a un candidato diverso, e che a un certo punto si sia dovuto irrigidire di fronte alle richieste di Berlusconi (la grazia per sé, o per Dell'Utri).

Certo, preferire questo secondo scenario significa rinunciare all'idea del Renzi grande tessitore. In compenso recupererebbe un po' di coerenza l'azione del PD in questa legislatura, prima e dopo il cosiddetto patto del Nazareno. Per quanto costretti a venire a patti con Berlusconi, gli uomini del PD si sono sempre fermati di fronte a una soglia precisa: ogni volta che Berlusconi ha cercato di ottenere in cambio della propria collaborazione un lasciapassare giudiziario, il PD si è bloccato. Successe ai tempi della decadenza del Senato, è successo di nuovo stavolta. Magari se Berlusconi non avesse tirato troppo la corda, un presidente più vicino sia lui che a Renzi avrebbe potuto essere eletto al primo scrutinio: d'altro canto non sarebbe Berlusconi se non cercasse sempre di forzare la partita a suo favore. Contro B. però a questo punto gioca anche il tempo, che dà a Renzi un vantaggio sul quale non poterono contare i suoi predecessori. In futuro magari la racconteremo come di un Davide democratico contro un Golia monopolista, omettendo il fatto che Golia a quel punto aveva settant'anni, pendenze giudiziarie e altri acciacchi.

È facile fare ironia sui retroscenisti ossessionati dal patto del Nazareno, che anche questa volta non avevano capito niente; e però stiamo parlando di politica, che non è l'arte di indovinare quel che succederà, ma di farlo succedere. Se Renzi ha ritenuto necessario non cedere a Berlusconi e ricompattare PD (e SEL, persino), non sarà anche per merito di chi in tutto questo tempo lo ha tirato per la giacchetta accusandolo di intelligenza col nemico? Gli ultimi sondaggi non erano molto positivi per lui - è vero che di solito sbagliano, ma lui li legge lo stesso. Forse senza questa ossessione pubblicistica per l'inciucio, Renzi avrebbe avuto qualche scrupolo in meno ad accordarsi con Berlusconi. Forse, chissà.

C'è comunque un limite all'eterogenesi dei fini, ed è quello che scavalca penosamente Aldo Giannulli quando rassicura i grillini sul fatto che Mattarella al Quirinale sia una "discreta" vittoria del MoVimento. È un po' quel tipo di vittorie che l'Eiar annunciava su tutti i fronti di terra di aria e di mare negli anni Quaranta. Certo, Machiavelli riteneva più conveniente "andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa". D'altro canto Machiavelli scriveva per il principe, mica per un blog.
Comments (3)

L'ultimo dei nonni

Permalink
Oggi forse eleggono il presidente e io non ho niente da mettermi. Sono molto contento di aver trovato altro di cui parlare, in questi giorni, visto che non avevo la minima idea di cosa sarebbe successo. Sono contento che Berlusconi sia rimasto spiazzato - credo che lo spiazzamento di Berlusconi abbia un valore in sé. Sono anche relativamente soddisfatto che dagli anfratti del colle Quirinale si sia trovato qualche altro notabile settantenne: non che il nome di Sergio Mattarella trasfonda in me un qualsiasi entusiasmo, ma nelle ultime settimane erano girati nomi tali da renderlo ai miei occhi, per contrasto, un padre della patria. In realtà ricordo poco di Mattarella (fece anche il ministro dell'istruzione in un antichissimo governo Andreotti), ma in un qualche modo sono già sicuro che sarà un buon presidente. D'altro canto, c'è mai stato un presidente che non mi sia piaciuto?

Questo blog esiste da quattordici anni, infida età. C'era giusto lo spazio per due settennati, ma le cose si sono un po' complicate, e così abbiamo assistito agli ultimi cinque anni di Ciampi e a nove, dico nove anni di Napolitano. In tutto questo tempo ho scritto un sacco, soprattutto di politica, non perché io ne capisca un granché ma perché è l'argomento più semplice e quello che richiama più lettori. Persino il calcio secondo me richiede più impegno della politica (come minimo ogni tanto ti devi guardare una partita). In tutto questo tempo credo di essermela presa con chiunque - certo con qualcuno più che con qualcun altro - eppure non trovereste, nemmeno se aveste davvero voglia di cercarla, un sola riga di biasimo per il presidente Napolitano o per il presidente Ciampi. Nessuno dei due mi ha fatto impazzire, nessuno dei due mi sembrava criticabile. Forse c'è in me un senso dello Stato, un rispetto per le istituzioni più forte di quanto uno possa sospettare.

Ai tempi di Scalfaro non avevo un blog, ma posso dire di averlo molto stimato anche se i suoi messaggi alla nazione erano insopportabilmente lunghi e alati, e il suo "non ci sto!" mi imbarazzò parecchio. Prima di Scalfaro c'era Cossiga: l'unico presidente che ho trovato discutibile. Molto discutibile: ma solo negli ultimi anni. Col senno del poi non sono tantissime le cose di cui mi pento, ma tra quelle c'è l'aver pensato che l'impeachment per il caso Gladio fosse una cosa seria. Prima di Cossiga c'era Pertini e questo potrebbe anche spiegare tutto: io sono di quello scaglione che è cresciuto con Pertini alla tv, e Pertini alla tv non si discuteva, si amava. Sono passati molti anni, la figura di Pertini mi si è parecchio ridimensionata (grazie soprattutto a chi ne ha fatto un santino), ma forse per me il presidente è ancora un nonno. Un tizio che merita rispetto prima di tutto, anche se non è detto che capisca sempre quello che succede. Questa idea del presidente nonno mi ha forse impedito di ironizzare sulle derive patriottarde dell'ultimo Ciampi, o di preoccuparmi il dovuto della situazione del tutto particolare in cui si trovò Napolitano dalle dimissioni di Berlusconi in poi. Continuo a credere che in quel frangente, e nei successivi, Napolitano prese decisioni forti, ma del tutto ragionevoli. Però forse sono obnubilato dal mio rispetto per il nonno. Il che spiegherebbe parzialmente il mio disagio per i nomi che erano stati fatti nei giorni scorsi. Alcuni di questi erano persino ragionevoli, ma non sarei mai riuscito a considerarli davvero i miei presidenti (a parte Veltroni, che avrei voluto al Colle solo per divertimento). Erano tutti politici di lungo corso che conosco troppo bene per ammirare, forse il problema è tutto qui. Ma forse c'è un'altra spiegazione: non appartengono più alla generazione dei nonni.

Mattarella dovrebbe essere il primo presidente nato negli anni Quaranta, seppur di striscio ('41). Mio padre è dell'anno successivo: il discrimine. Di quelli nati dopo non mi fido. Alcuni so che sono bravi, anche molto bravi. Ma ho la sensazione che possano essere bravi ai miei danni, una sensazione che i nonni non danno mai. L'idea che ormai sia finita, che la cosa pubblica sia interamente nelle mani di gente più giovane di mio padre, se non di me, mi dà una vertigine tremenda e mi spinge ad aggrapparmi a qualsiasi sostegno, sia pure un canuto moroteo. Esprimo dunque i miei più cordiali auguri al nuovo presidente, sempre che oggi lo eleggano.
Comments (3)

Un Cossiga per tutte le stagioni

Permalink
17 agosto 2010 - ci lascia Francesco Cossiga, il ragazzo terribile della politica italiana.

Guardando un po' più da vicino la traiettoria di Cossiga, si ha l'impressione che il secondo dopoguerra italiano sia un frattale. Cossiga lo contiene tutto in piccolo: la DC di sinistra, la strategia della tensione, il pentapartito, la crisi degli anni '90 e la nascita di un nuovo linguaggio politico che è poi lo stesso che oggi trovi in bocca a qualsiasi coglione si ritrovi a scrivere su beppegrillo.it. Cossiga è passato per tutte le svolte della storia d'Italia: in alcune occasioni le ha anticipate, di modo che ai suoi contemporanei sembrava che facesse strani slalom a vuoto come un mezzo scemo. 

La storia di come ha preso a picconate non soltanto la politica, ma soprattutto il linguaggio politico, è affascinante ma oggi è domenica 17 agosto e non ho voglia di scriverla: incollo un vecchissimo pezzo di Alberto Sobrero e buonanotte. 

Da quasi due anni il 'fenomeno Cossiga' è osservato sotto diverse angolazioni: politica, partitica, etnologica, dietrologica, psichiatrica... Poco si è detto del suo modo di parlare, o meglio di comunicare. Strano, visto che si tratta di un Grande Comunicatore. E tuttavia, un'occhiata al suo comportamento linguistico offre chiavi di lettura interessanti.

Tanto per cominciare, consente una sistemazione "storica" del personaggio. Com'erano i primi messaggi del Presidente Cossiga? Una noia mortale. Scorro qualche appunto preso al messaggio del Capodanno 1987 e trovo: massima austerità formale, immobilità solenne, dizione ben scandita e controllata, attenuazione delle caratteristiche sarde del parlato. Il discorso è costituito da una lunga esortazione seguita da un frammento di lezione universitaria, con i suoi bravi distinguo, i termini tecnici al posto giusto, e un gioco fine di argomentazioni e contro-argomentazioni. Argomento: la responsabilità. Taglio: tipico dell'uomo di potere. Il discorso non tratta della responsabilità di amministratori e politici (già allora la carne al fuoco non sarebbe mancata), ma del cittadino qualunque, perché "alla gestione della cosa pubblica nessun cittadino è estraneo". Il tono generale è predicatorio: i verbi dovere, occorrere, impegnarsi ricorrono ben 29 volte in 15 minuti, senza contare i verbi al futuro con valore imperativo. La lingua, infine, offre tutti i suoi strumenti per innalzare una cortina di fumo davanti al messaggio. Cossiga si rivela abilissimo nell'esprimere i concetti semplici in modo difficile: ad esempio, per dire che bisogna dare fiducia allo Stato come garante della sicurezza dei cittadini dice che bisogna avere "consapevolezza che soltanto lo Stato, nelle sue articolazioni democratiche, e non l'assenza dello Stato, la carenza dello Stato, può garantire il quadro di riferimento, di sicurezza nel quale la società e i singoli soggetti possono esprimere ogni giorno la loro peculiare vitalità e la loro personale responsabilità".

Il messaggio del Capodanno 1987 è un po' il simbolo di quello che possiamo chiamare il Cossiga I, il cui regno dura circa 5 anni. Anni iniziati con Capodanni tutti uguali: prosa paludata e surreale, discrezione e ufficialità. Noia. Quei discorsi allusivi destinati al Palazzo e dintorni Poi svolta. Il I gennaio 1991 il Presidente, nel bel mezzo del solito discorso auspicante e rassicurante, lascia il discorso ufficiale e apre una parentesi di veemente, appassionata, quasi rabbiosa difesa di Gladio, un'invettiva un po' cifrata destinata al Palazzo ma esibita davanti a milioni di telespettatori. È nato il Cossiga II, quello dei messaggi mandati a nuora perché suocera intenda, delle minacce a uomini e partiti, quello che sostituisce l'imparzialità con lo schieramento aperto, che esalta gli amici e offende i nemici.
Comments (2)

Twitter ha fatto fuori Bersani?

Permalink
Il tacchino e i passerotti

Ma sul serio Twitter può aver fatto fuori Bersani? No, sul serio no.

In un certo senso Pier Luigi Bersani non era più segretario del PD già da qualche settimana, anche se la situazione non gli consentiva di cedere un posto in cui, peraltro, nessuno in questi giorni vorrebbe sedersi. In un certo senso il Pd è già finito a febbraio, abbiamo avuto il tempo per elaborare il lutto. Dopo la sconfitta elettorale Bersani più che segretario era diventato curatore fallimentare, con l'incarico di verificare due possibilità: un accordo col M5S (mandato a monte in una storica e avvilente diretta in streaming), e un compromesso più o meno onorevole col PDL. Quest'ultima possibilità richiedeva l'elezione di una persona non sgradita a Berlusconi; l'accordo quindi era possibile, ma a quel punto qualcuno ha detto no. Cioè, molti hanno detto di no. E pare che l'abbiano detto su Twitter (e su Facebook, certo).

Il primo a scriverlo, con tutte le sue tipiche cautele, è stato Luca Sofri: il modo in cui si è arrivati al boicottaggio di Marini, con i Grandi Elettori terrorizzati da quello che leggevano sui loro feed, è qualcosa di nuovo, che nel mondo pre-social-network non avremmo visto. Poi la discussione si è ampliata, ma nel frattempo pare che Bruno Vespa abbia accusato i Grandi Elettori di essere "tutti prigionieri di questo oggetto qua", indicando un Ipad; Ferrara ha proposto di censurare tutto quanto ecc. ecc. Insomma l'argomento è diventato mainstream, ne parla anche chi non sa bene di cosa si tratti. Non è la solita proiezione autoreferenziale dei venticinque sciroccati che senza i social non saprebbero nemmeno se fuori piove o cosa c'è in tv (presente). Pare che Twitter sia diventato importante. E non ha nessuna importanza che lo spaccato di società che offre ai suoi utenti non sia in nessun modo significativo; basta che ne siano convinti i grandi elettori mentre scrollano i loro iPad.

Può darsi che Twitter abbia funzionato proprio perché, paradossalmente, è ancora uno strumento poco diffuso in Italia, poco rappresentativo, poco penetrante; se nei feed ci fosse realmente tutto il Paese reale, la campagna #RodotàPerchéNo scomparirebbe come una goccia nel mare. Ma Twitter non è ancora un mare, è una pozza dove pastura qualche migliaio di utenti a cui è toccata quasi in sorte quella che una volta chiamavamo egemonia culturale. Come i cinquantamila fortunelli che hanno il diritto di decidere il candidato M5S per tutti gli otto milioni di elettori M5S: non ha nessuna importanza che siano così pochi, l'importante è che tutti si convincano che la scelta è stata condivisa con "la gente". Allo stesso modo in cui lo streaming non serve a rendere davvero trasparenti le decisioni, ma a fornire un simbolo di trasparenza. Magari quando tra sette anni si rieleggerà un presidente sarà tutto diverso, magari l'idea di considerare rilevante il flusso di emozioni di qualche migliaio di follower ci sembrerà di nuovo fuori dal mondo. Oppure sarà il concetto stesso di elezione indiretta del presidente della repubblica a sembrarci fuori del mondo: saremo troppo abituati a esprimere giudizi e condividerli continuamente per sopportare che un Presidente venga espresso da intermediari. Ma sarà già una gran cosa arrivarci, nel 2020.

Già da ieri Bersani era stato sostanzialmente sostituito da un'intelligenza collettiva che aveva deciso di bocciare qualsiasi ipotesi collaborazionista con il PdL esprimendo il candidato meno gradito a Berlusconi: Romano Prodi. Si è visto nell'occasione quanto fosse intelligente l'intelligenza, e quanto fosse collettiva la collettività. A questo punto francamente non so cosa succederà, però tutto sommato non mi sembra che la situazione sia tragica: Rodotà, la Cancellieri, perfino D'Alema, sono ancora buoni nomi; rammento quando nella stessa aula si contavano le schede di Forlani o Andreotti, direi che un progresso c'è. Mi dispiace per Bersani, che paga per errori non solo suoi, per Prodi che aveva il curriculum migliore, e un po' meno per il PD, che si è dimostrato sterile come molti ibridi. Avrei preferito che Bersani curasse il fallimento ancora un po', lasciando ad altri il tempo per mettere in piede qualcosa di nuovo e più credibile. Invece adesso diventa tutto più caotico e con gli anni il caos mi piace sempre meno.

Per esempio, in questi giorni mi sembrate tutti incazzati, eccitati. Stracciate tessere, scrivete "mai più", scommettete, litigate, ecc.. Non è che io non capisca tutto questo - e se devo essere onesto sono preoccupato anch'io. Però non ho tutta questa voglia di tifare. Anche l'altra sera, forse qualcuno si aspettava un proclama "mai con Marini", "no all'inciucio" e tutta questa serie di cose. Io in realtà l'ho scritto, che se fosse stato per me avrei preferito Rodotà; ma l'ho scritto in piccolo, in un inciso, perché le mie preferenze in un'elezione indiretta sono abbastanza secondarie. È che in questi giorni tutti tifano, e io non ho nulla contro chi tifa, ma non ho molta voglia. È proprio un atteggiamento: quando tutti fanno una cosa, a me passa la voglia di farla. Questo non mi rende la persona più simpatica al mondo, ma credo sia il motivo per cui questo blog qualche volta (qualche volta) è interessante: se volete qualcuno che scriva semplicemente "votiamo Rodotà!" "No all'inciucio", là fuori è pieno. Sul serio, ce n'è di molto bravi, non avrebbe neanche senso gareggiare.
Comments (80)

Tutto ciò che succede succederà oggi

Permalink
La battaglia per il Colle 

Test: riconosci i tuoi Presidenti?
Posso sbagliare, ma non credo che ci siano mai state elezioni del Presidente della Repubblica come quelle che cominciano oggi. Magari è un'illusione ottica, il presente sembra sempre in qualche modo più interessante. Però davvero non mi viene in mente nulla di vagamente paragonabile. L'elezione di Pertini non me la ricordo. Quella di Cossiga la rammento come una cerimonia di uomini anziani, e pensa che invece fu il presidente più giovane di tutti. Ricordo benissimo il momento drammatico in cui elessero Scalfaro, e mi pare che le bombe non ci preoccupassero un centesimo di quanto ci sta preoccupando oggi il default: c'è da dire che avevo 18 anni, altre priorità. L'elezione di Ciampi è un'altra che, onestamente, non rammento: come tutto il ventennio berlusconiano sembra entrata in un cono d'ombra. Con Napolitano mi aiuta il blog, ma ricordo soprattutto la delusione di non avere un bersaglio facile come D'Alema al Quirinale. Insomma erano tempi più leggeri; si trattava di nominare un notaio e si dava per scontato che sarebbe stata una figura un po' noiosa e super partes. Invece stavolta sembra una questione di vita e di morte. Forse lo sembrava anche le altre volte e poi, siccome siamo sopravvissuti, ci siamo dimenticati il panico del momento. E forse invece stavolta è davvero diversa, stavolta stiamo davvero per vivere o per morire, chi lo sa.

In mezzo c'è stata l'esperienza del governo Monti, o "del presidente"; il momento in cui ci siamo tutti accorti che nei casi di emergenza l'inquilino il Colle è tutt'altro che un potere simbolico, ma può fare la differenza. Paradossalmente questo è avvenuto durante la fase finale di un settennato estremamente equilibrato: niente a che vedere con gli estri di un Pertini, le mattane di un Cossiga, le prese di posizione di Scalfaro. La situazione si è poi talmente ingarbugliata che mi è capitato più volte di leggere persone fino a poco tempo fa molto lucide insistere sulla possibilità di prolungare il mandato di Napolitano oltre al compimento del novantesimo anno di età - una pazzia. Ma stiamo un po' tutti impazzendo, forse, e forse non è del tutto colpa nostra.

Per esempio è colpa del Porcellum, che ci ha svuotato la democrazia nelle mani. Ormai ci scandalizziamo del fatto che i leader di coalizione - che pure abbiamo votato - provino ad accordarsi su un nome. Meglio Grillo che fa un sondaggino on line, anche se si pianta appena vota qualche migliaio di utenti, anche se i candidati più votati si scoprono farlocchi, non importa, col sondaggino la gente si esprime. Siamo diventati presidenzialisti in mancanza di niente, e il modo in cui vogliamo eleggere il nostro Presidente è internet: appelli, sondaggi, mail bombing ai parlamentari, ecc. Come tutte le cose su internet, da qui non si capisce davvero se siano davvero importanti o se facciano soltanto parte di una bolla intorno a me che scrivo e voi che leggete: sul mio laptop stanotte è in corso una ferocissima campagna anti-Marini e pro-Rodotà, ma non sono sicuro che al bar qui di fronte ne sapranno mai qualcosa.

Un'altra cosa che è cambiata tantissimo rispetto al 2006 è la finestra attraverso cui ci arrivano le notizie. Parlo per me: al tempo leggevo soprattutto quotidiani (già più on line che carta). Oggi tutto mi arriva già socializzato da facebook e twitter, ed è soprattutto in questi casi che si nota la differenza. È tutto straordinariamente drammatizzato. Nel 2006 non ero il solo a nutrire una notevole antipatia per D'Alema, che in seguito la pochezza di altri suoi colleghi ha stemperato; ma quando il suo nome cominciò a essere incluso nelle rosa dei quirinabili non ricordo folle inferocite di elettori di sinistra. Anche Marini era nella rosa, e già allora non brillava per popolarità, ma non ricordo reazioni lontanamente paragonabili a quello che sta succedendo in queste ore, soprattutto su internet. Da ogni finestra, da ogni spiraglio, stanno arrivando messaggi di sdegno degli elettori del PD per l'orribile scelta di candidare al Quirinale uno dei fondatori del PD, Franco Marini. C'è evidentemente qualcosa che non va.

Può darsi che il problema sia la finestra stessa. Stiamo tutti socializzando troppo, non facciamo che comunicare emozioni. Coniamo slogan, facciamo battute, ci incazziamo fortissimo eccetera. A un certo punto qualcuno comincia a dire "Rodotà" - la terza scelta di un referendum on line a cui hanno partecipato poche migliaia di persone - e ci convinciamo che Rodotà sia una scelta popolare, mentre Marini no. Fosse per me, tra l'altro, Rodotà tutta la vita. Ma la maggior parte degli elettori m5s probabilmente non ne ha mai sentito parlare - così come di Marini non ha sentito parlare la maggior parte degli italiani mai tesserati CISL. Del resto anche Napolitano o Scalfaro non erano esattamente dei Vip. Che insomma ci siano fuori, nelle piazze, milioni di persone disposte a incatenarsi per Rodotà al Quirinale mi sembra abbastanza impossibile. Sono twitter e facebook che ci stanno facendo uscire scemi: se poi Grillo fa un sondaggino on line lo prendiamo per una notizia. Su twitter e su facebook poi tutti danno ormai per scontato che un'intesa su Rodotà potrebbe spalancare le porte a un'alleanza Pd-M5S. Lo ha fatto capire Grillo in un filmatino dal camper, e ci stiamo credendo. Ovviamente Grillo potrebbe rimangiarsi la promessa quando vuole. Ovviamente poi Bersani sarebbe accusato di avere abboccato a proposte improbabili, ecc.

Dall'altra parte della finestra, comunque, c'è una situazione che ci sembrerebbe folle anche se non la vedessimo con le lenti deformate dei social network. Il PD ieri è oggettivamente esploso, anche se non lo guardi dalla soggettiva delle schegge, i tweet dei partecipanti all'Assemblea di ieri sera. Marini rappresenta quell'ala margheritina (ma non prodiana) del PD che esiste ormai soltanto nell'apparato, e non ha nessuna presa sugli elettori. Prova ne è che ogni volta che qualcuno della stessa area fuoriesce (Rutelli, la Binetti) il PD non perde un decimo di voto. Lo sa benissimo Renzi, che viene da lì ma che ha un progetto completamente diverso: Renzi sa che non esiste più un centro moderato, ma piuttosto un centro immaginario, da popolare di trovate mediatiche, un centro anche un po' commerciale, con gli Amici di Maria in sottofondo. Alla fine, se togli tutto il melodramma di contorno, sembra quasi un gioco delle parti: mentre Bersani va verso una esecranda alleanza di respiro cortissimo con il PdL (buona giusto per rifare la legge elettorale, a questo punto ai danni del M5S), Renzi può approfittarne per tirare la volata degli antimariniani. Si va insomma verso lo scorporo del PD: la bad company con Bersani, e quelli che vinceranno la prossima volta con Renzi. Se non sbaglio era lo scenario #121. Beh, poteva andarci peggio. Forse.
Comments (58)

Il Popolo si è espresso

Permalink
La democrazia diretta, come pensano che funzioni alla Casaleggio e Associati:


(Secondo me Paint bastava e avanzava per rendere il concetto, ma se uno più bravo di me, ad es. chiunque, vuole fare un grafico più professionale, io questo lo cancello anche subito).
Comments (47)

Il pacco del MoVimento

Permalink
Non so da voi, ma qui la prassi per eleggere i rappresentanti di classe prevede l'inserimento di un bigliettino ripiegato nella fessura di una scatola. Alla fine si apre la scatola e si spogliano, termine che provoca un'inevitabile ilarità, le schede. Di solito è soltanto dopo aver contato i voti con una fila di x sulla lavagna, e consacrato i vincitori, che qualcuno nota che i conti non tornano: ci sono più x sulla lavagna che votanti, più bigliettini nella scatola che alunni nell'aula. Bisogna ricominciare daccapo. Successe persino a Montecitorio, mentre il parlamento in seduta comune tentava di eleggere il successore del presidente Cossiga. È il broglio più semplice da commettere, e non è il più semplice da evitare. Il passaggio dai bigliettini di carta al digitale non rende di per sé la procedura più sicura, anzi.

Casaleggio, lo si è capito, non è un esperto di internet. Non sa come funziona, nemmeno gli interessa, non è un ingegnere. È un pubblicitario. "Internet" per lui è un marchio da vendere. Cosa faccia poi questa benedetta Internet non lo sa nemmeno lui, non ha importanza, di sicuro sarà qualcosa di bellissimo che cambierà le nostre vite, ci renderà più liberi, laverà più bianco. Non è che si possa chiedere a un venditore professionista di essere consapevole dei limiti tecnici del prodotto che sta vendendo; se lo fosse farebbe un altro mestiere. Quindi, se gli chiedono se si possa fare la democrazia diretta con Internet, lui risponderà di sì, che è possibilissimo, anzi facciamolo subito, affare fatto. Quando poi smonti il pacco e ti accorgi che il sistema concretamente non funziona, si pianta ogni volta che provi a usarlo al 100%, lui ha già la risposta pronta che è la versione politica di quella che vi hanno dato centinaia di operatori telefonici quando avevate il PC in panne: "sarà un virus". Nel suo caso "sono stati gli hacker".

Chi ne capisce un po' di più (io no) sostiene che si trattava di un bug, che ha permesso a qualcuno di inviare più voti. In molti casi probabilmente il voto è stato mandato due volte per sbaglio, come capita certe volte che il sistema è lento e non vi fa capire se il messaggio o il tweet o il post è partito o no, e allora voi in buonissima fede cosa fate? Refresh, e poi vedete il messaggio inviato due volte... Ecco, se stavate votando alle primarie m5s per il Quirinale avete appena commesso un broglio, siete malvagi hacker. Nella ricostruzione di Federico Mello:
non c’è stata alcuna intrusione esterna. Lo spiega bene il comunicato della Bnv, l’azienda specializzata che ha “certificato” le operazioni di voto. Dice infatti: «A seguito di uno dei controlli pianificati, relativo all’integrita del sistema, è stata rilevata un’anomalia, i cui effetti sono stati verbalizzati. L’anomalia ha compromesso in modo significativo la corrispondenza tra i voti registrati e l’espressione di voto del votante». Significa che sono stati registrati più votanti degli aventi diritto. Sempre la Bnv specifica inoltre: «Trattandosi di un controllo periodico non è stato possibile determinare con certezza il momento iniziale della compromissione».
Di hacker, non si fa alcun cenno. E non potrebbe essere altrimenti: la Bnv è una azienda di certificazione, non di sicurezza informatica. Nel suo “chi siamo”, spiega: «DNV Business Assurance Italia svolge, da parecchi anni, un’intensa e competente attività nel settore delle verifiche, ispezioni e certificazioni di sistemi di gestione, prodotti in campo industriale e nei settori dei servizi». Insomma, rispetto a procedure concordate, l’azienda verifica che vengano svolte in modo corretto. E non è un caso che abbia fatto dei “controlli periodici”: non ha le competenze informatiche per “difendere” un server, e non ha sistemi di monitoraggio, né di tracking, di tracciamento, per risalire a possibili incursioni.
Io credo che i militanti del M5S che chiedono insistentemente, da mesi, una piattaforma realmente democratica a Grillo e Casaleggio dovrebbero riflettere seriamente su quello che sta succedendo. Se la tanto promessa piattaforma non è mai pronta, forse non si tratta soltanto di un problema di tempo, come a volte avete letto su beppegrillo.it. Casaleggio avrà anche tanti impegni, ma quello che vi ha promesso, tecnicamente, non ve lo può dare. Il fatto che succeda di nuovo un incidente del genere, dopo i disguidi durante le parlamentarie, la dice lunga. Noi non sappiamo esattamente quanti siano gli iscritti al MoVimento al 31 dicembre 2012 (quelli che avevano diritto di votare), ma Casaleggio sì, lui lo sapeva. Ha tutti i dati necessari a capire quanta gente avrebbe votato ieri e a prevedere i possibili picchi di traffico. Ma non ci riesce. O non ne ha i mezzi o, probabilmente, non ne è capace. Ma non ha la minima importanza, così come non ne ha avuta per le parlamentarie. Non si tratta di eleggere veri rappresentanti: si tratta di vendere l'idea del movimento che decide in rete, con tutto il bello e tutto il brutto della rete, compresi i malvagi hacker inquinatori della volontà popolare. Grillo e Casaleggio non hanno la minima idea del futuro che stanno vendendo: è un pacco, intanto lo piazzano, se poi dentro c'è qualcosa che funziona tanto meglio, ma non dipende da loro. Loro fanno il marketing, loro piazzano il pacco.

Viene in mente la teoria di Steve Jobs su come i venditori rovinino le grandi aziende, quando vanno al potere al posto degli ingegneri. Il M5S non è una grande azienda, è un movimento politico, dentro un pacco. Volete che funzioni? Scartate via il pacco, licenziate i professionisti dei fiocchetti. Sono stati molto bravi, ma da qui in poi possono soltanto rovinare tutto.
Comments (22)

Anonima parlamentari

Permalink
Ieri gli iscritti al Movimento 5 Stelle ("al 31 dicembre 2012") hanno votato on line il loro candidato alla presidenza della Repubblica. È solo il primo turno; lunedì avverrà un "ballottaggio" tra i dieci nomi più votati - il che significa che probabilmente il vincitore della competizione non avrà la maggioranza assoluta dei consensi nemmeno tra gli elettori m5s. È comunque un po' presto per fare previsioni: per ora tra i nomi più frequenti sui social network ci sono per lo più persone che hanno fatto altri mestieri (Gino Strada, Milena Gabanelli), figure che ci dicono molto dell'immaginario grillino (la centralità del videogiornalismo, l'antagonismo barricadero) ma che è difficile immaginare realmente candidati al Colle. Va da sé che qualcuno voterà direttamente Beppe Grillo: non ci è dato sapere quanti, né se a Grillo interessi o serva un trampolino del genere. Si vedrà più avanti.

Per adesso è interessante osservare il modo in cui il MoVimento punta, consapevolmente o meno, a una repubblica di fatto presidenziale, aggirando la Costituzione. Non c'è bisogno di abrogarla là dove prevede che il presidente sia nominato dal parlamento; è sufficiente trasformare il parlamento in una semplice assemblea di esecutori della volontà popolare, pronta a esprimersi in ogni momento attraverso sondaggi on line sulla piattaforma del MoVimento. Qualcosa di simile ai "grandi elettori" che vengono eletti dai cittadini americani in occasione delle elezioni presidenziali, e ai quali, salvo imprevisti, non viene chiesto che votare esattamente il candidato indicato dai cittadini. È in questo modo che assume un senso anche la boutade di Grillo sull'aspirazione del M5S a raggiungere "il 100% dei consensi": il MoVimento non è un partito - e infatti coi partiti non dialoga - il MoVimento è la piattaforma in cui in futuro i cittadini voteranno le loro leggi ed eleggeranno i loro rappresentanti, compreso il Presidente, senza passare attraverso i partiti. Anche se per ora la piattaforma non è ancora pronta, Casaleggio ci sta lavorando ma è molto impegnato; comunque adesso si prova a eleggere l'inquilino del Quirinale e vediamo come va.

È curioso notare come Grillo, che accusa gli altri partiti di aver trasformato i parlamentari in "figure di cartone", in sostanza consideri i senatori e i deputati non molto più che pigia-bottoni, dai quali non pretende nessuna competenze o professionalità: e infatti dopo due mandati li vuole fuori dai piedi. Dal suo punto di vista non ha tutti i torti, un pigia-bottoni non diventa più bravo dopo cinque anni passati a pigiare bottoni; può però abituarsi agli ozi romani e farsi fotografare alla buvette (continua sull'Unita.it, H1t#174).

In questo programma di superamento e aggiramento delle istituzioni repubblicane  il MoVimento rivela un certa continuità con il passato che pretende di distruggere, e in particolare il berlusconismo. È berlusconiano il tentativo di trasformare l’Italia in una repubblica presidenziale de facto, mutando le elezioni legislative in referendum sulla sua persona (agli italiani era chiesto di barrare o no una croce sul simbolo “Berlusconi presidente”). È sua in fondo anche la concezione del parlamentare come dipendente, da gratificare minacciare o licenziare, e perché no sostituire con qualche elemento strappato alla concorrenza. A questo modello aziendalista Grillo si è ispirato, sostituendo l’immagine del Boss con quella del popolo: i parlamentari, ci ha spiegato, sono nostri dipendenti: non di Berlusconi (e nemmeno di Bersani), ma nostri. Non ci resta che votare e fidarci di Beppe, che più che megafono in questo momento sembra incarnare la figura di un bizzoso amministratore delegato.
In fondo il grillismo è una delle conseguenze del porcellum, la legge elettorale voluta da Berlusconi e che nessun contendente è mai riuscito a cambiare. Abolendo le preferenze, attribuendo ai vertici di partito la totale responsabilità sui nomi da mettere in lista, il porcellum ha eliminato ogni residua necessità di individuare candidati credibili, radicati in un territorio. Proprio nel momento in cui la fiducia nei confronti dei partiti toccava il punto più basso, questi ultimi hanno tolto l’ultima possibilità per l’elettore di segnalare il proprio disagio nei confronti di un candidato indigesto. Il porcellum ha creato le premesse per il successo di un partito di anonimi pigia-tasto: tra i peones di Grillo e quelli di Berlusconi, abbiamo pensato tutti, magari ci sarebbe stato addirittura un salto di qualità – che finora, purtroppo non si è veduto. Ma in un certo senso il M5S è il partito che meglio di tutti incarna la filosofia del porcellum: non si votano le persone, si vota un simbolino che è proprietà di qualcuno che sceglie per te le persone. Se poi è tanto onesto e gentile da aprire consultazioni on line per comporre le liste, tanto meglio, ma non è che faccia molta differenza: in un modello del genere, il candidato ideale non ha né personalità né dubbi, è un automa autorizzato a pigiare determinati tasti durante determinate votazioni. Fa un po’ paura, ma ha un senso. Potrebbe persino funzionare.
Il partito degli anonimi ha però un punto debole: non può, per definizione, esprimere candidati credibili alle cariche più importanti. Lo si è visto al momento di individuare i presidenti delle camere, e ancor più durante le tragicomiche consultazioni in cui il M5S ha reclamato un incarico di governo senza spiegare chi, in concreto, avrebbe voluto mandare a Palazzo Chigi. Dietro all’enigma surreale c’è una banalissima ammissione di inadeguatezza: il partito di anonimi non ha nessun candidato credibile. Non li ha nemmeno per il Quirinale: Grillo in un primissimo momento aveva buttato lì Dario Fo; pretattica o semplice ingenuità? Non lo sapremo mai: c’è da sperare che i suoi iscritti siano un po’ meno confusi di lui.
Nel frattempo Bersani e Berlusconi negoziano. In discussione non può che esserci la riforma elettorale: tutto il resto potrebbe anche essere rimandato dopo nuove elezioni, ma il porcellum va cambiato, a parole sono d’accordo tutti. Personalmente – per quel che conta – avrei preferito che l’accordo lo avessero fatto Pd e M5S, ma le possibilità erano scarse fin dall’inizio. A questo punto la logica, e la pragmatica, ci suggeriscono che due grandi partiti su tre si mettano d’accordo su una legge elettorale disegnata in modo da sfavorire il terzo. E siccome il terzo è un partito di anonimi, è lecito supporre che la prossima legge rimetterà in primo piano le personalità dei candidati. Sarebbe una buona notizia, credo, persino per molti elettori M5S. http://leonardo.blogspot.com
Comments (12)

10.000 aborti, il Bilderberg e un pazzo scatenato

Permalink
Mara Carfagna la vorrebbe al Quirinale. Micaela Biancofiore è d'accordo. Ma la vera notizia è che un terzo degli italiani, secondo un sondaggio IPR Marketing, vorrebbe Emma Bonino presidente della Repubblica. Quattordici anni dopo la campagna "Bonino for president", che portò una lista radicale alle elezioni europee oltre l'otto per cento (record assoluto), la Bonino gode ancora di una capitale di fiducia e di stima che nessun politico di primo piano oggi in Italia potrebbe vantare. Peccato che al Colle non si salga coi sondaggi: ben pochi degli inquilini precedenti avrebbero vinto una simile gara di popolarità. Le possibilità che Emma Bonino non sia anche stavolta un nome da bruciare in fase di pre-tattica sono abbastanza esigue. Ed è un peccato.

Anche chi non nutre particolare simpatia per il personaggio non può negare che la Bonino abbia tutte le carte in regola per aspirare alla prima carica della Repubblica: ha le competenze, un alto senso delle istituzioni maturato in decenni di esperienza in Italia e soprattutto all'estero; ha combattuto battaglie radicali ma conosce l'arte del compromesso; e ha sempre preferito tenersi ai margini del teatrino mediatico della politica italiana: il che potrebbe essere poi il vero motivo per cui molti italiani la preferiscono ad altri politici e politiche che conoscono meglio. Ciononostante è davvero difficile che questo parlamento la nomini presidente, per almeno tre motivi talmente ovvi che molti osservatori non si preoccupano nemmeno di metterli nero su bianco. Facciamolo qui. Se tra un mese scopriremo di esserci sbagliati, saremo i primi a esserne contenti (continua sull'Unita.it, H1t#173)


Bonino al Colle? Tre motivi per cui sarà difficile


1. L’annosa polemica sull’aborto
Nel 1975, molto prima che l’aborto diventasse legale, la Bonino si autodenunciò per aver eseguito, presso il Centro di sterilizzazione e di informazione sull’aborto da lei fondato, qualcosa come diecimila interruzioni di gravidanza. È un dato molto facile da recuperare in rete, che in un qualche modo sembra rimosso dal dibattito, nel momento in cui per esempio viene celebrato in una chiesa il rito funebre per Mariangela Melato e molti si stupiscono che all’amica Emma Bonino un sacerdote cattolico impedisca di parlare. Ci si sarebbe dovuto stupire del contrario, considerando che per un cattolico praticante l’aborto rimane un omicidio. Certo, ormai neppure gli esponenti parlamentari più integralisti si fanno sfuggire cenni a una possibile modifica della legge 104; in compenso si parla con sempre più insistenza di “valori non negoziabili”, anche tra i cattolici del PD che sono ben rappresentati in parlamento (rispetto all’elettorato di riferimento; questa almeno è l’impressione). Secondo questi valori, Emma Bonino era e resta una stragista; non una mera esecutrice di ordini, ma una teorica dello stragismo di Stato. C’è da chiedersi se il Papa le stringerebbe la mano, e il Papa per altro è nuovo di zecca, per adesso lo amano tutti (ne parlano bene perfino su beppegrillo.it). Peraltro i cattolici hanno la sensazione che il Quirinale stavolta tocchi a loro: Berlusconi certo esagera quando dice che gli ultimi due presidenti sono stati di sinistra; ma Ciampi e Napolitano sono stati presidenti laici di un paese in cui la Chiesa cattolica continua a considerarsi una comunità maggioritaria. È davvero molto difficile che dopo di loro i cattolici del parlamento si rassegnino a votare l’abortista Emma Bonino. Niente di personale – probabilmente la stimano più di tanti confratelli esponenti di partiti avversari – ma la prospettiva di un settennato ancora più laico dei precedenti non deve esaltarli.
2. Il Bilderberg club
Nel novembre 2011, mentre Monti muoveva i primi passi da Presidente del Consiglio incaricato, in un clima di generale benevolenza, il blog di Beppe Grillo fu uno dei pochi a esprimere subito dei dubbi: 
Mario Monti sarà anche bravo, sarà un economista di valore, sarà tutto quello che vuoi. E’ certificata, però, la sua appartenenza a certe associazioni sulle quali non mi esprimo. Cito il Bilderberg Group, ad esempio. Ecco, sapete chi fa parte del Bilderberg oltre a Monti? Tale Emma Bonino. E sapete quale è stata la prima senatrice ad abbracciare Monti oggi in Senato? Emma Bonino.
La partecipazione di Emma Bonino a qualche dibattito del Bilderberg Group potrebbe essere considerata una semplice curiosità, se il club in questione non fosse un incubo ricorrente di tutti i complottisti nostrani, molti dei quali hanno nidificato nel Movimento Cinque Stelle. Chi sostiene che la Bonino possa essere un nome meno indigesto degli altri per i parlamentari m5s, in quanto “meno partitocratico”, forse dovrebbe dare un’occhiata più attenta a quello che si dice e si scrive nell’entourage grillino: il Bilderberg club è la Casta delle Caste, l’affiliazione equivale più o meno al marchio della bestia.
Sicuramente non tutti gli eletti m5s la pensano così, ma finora quel che pensano gli individui è stato ahinoi piuttosto irrilevante. Grillo ha già il suo daffare a conciliare pretese di trasparenza assoluta e controllo totale dei suoi parlamentari; nel frattempo deve difendere sul blog una strategia che al grido di “tutti a casa” per ora ha ottenuto soltanto la sopravvivenza del dimissionario Monti; l’elezione di uno dei pochissimi bilderberg italiani al Quirinale sarebbe un altro boccone amaro da far inghiottire a una base un po’ disorientata. Insomma, se servissero voti m5s, la Bonino non sembra il nome più adatto. Sarei anche in questo caso felice di sbagliarmi.
3. Marco Pannella
Emma Bonino è l’unica personalità che è riuscita in un qualche modo a brillare di vita propria all’interno di una “galassia” radicale che negli ultimi vent’anni è stata cannibalizzata dal suo demiurgo. Ma nel momento in cui salisse al Quirinale, Marco Pannella potrebbe costituire una fonte inesauribile di imbarazzi per la Presidente. Non si tratta semplicemente di tener conto delle mattane di un personaggio ormai incontrollabile (ieri pare che abbia scassato uno studio radiofonico). Sotto i riflettori finirebbe tutta la storia di un partito che a un certo punto si è trasformato in una lista personale, continuando a percepire rimborsi dallo Stato (a cui vanno poi aggiunti i finanziamenti per la radio). Qualche magagna è già saltata fuori (una segretaria assunta in nero per dodici anni); se ne emergessero delle altre, Emma Bonino si troverebbe in una situazione difficile. Dopo aver pubblicamente chiesto scusa all’ex presidente Leone per aver cavalcato la campagna per le sue dimissioni, la Bonino potrebbe sperimentare un beffardo contrappasso. Lei stessa probabilmente ne è consapevole, il che potrebbe spiegare l’apparente indifferenza nei confronti della campagna che anche stavolta Pannella cerca – sempre più faticosamente – di montare in suo favore.
Questi sono solo tre degli ostacoli che si frappongono tra il Colle ed Emma Bonino. Ripeto, sarei contentissimo di scoprire che sono soltanto immaginari. Sarebbe la dimostrazione che l’Italia è un paese laico che ha ormai assorbito la lunga controversia sull’aborto; che il M5S non è in balia di una cerchia di paranoici convinti di essere vittima di un complotto dei poteri forti mondiali; e che Pannella non è più in grado di fare danni. Tre buone notizie in una, insomma. E poi sì, avremmo un presidente donna, il che dopo 60 anni di uomini certamente non guasta. http://leonardo.blogspot.com
Comments (7)

- severo monito

Permalink
58 di questi giorni

NEL RIGOGLIO DI INTIMI AFFETTI SUSCITATO DA QUESTA TRASMISSIONE MI È CARO INTERPRETARE CON LA MIA PAROLA IL FERVORE DI SENTIMENTI CHE, COME SULLA SOGLIA DI OGNI ANNO, COSI NELL'ATTUALE VIGILIA TUTTI CI ACCOMUNA IN UN PALPI TO DI MUTUA COMPRENSIONE E DI FRATERNA SOLIDAR1ETÀ.

E' QUESTA UN'ORA CHE PIÙ DI OGNI ALTRA CI RICHIAMA AL TRASCORRERE DEL TEMPO E CI INDUCE A BANDIRE RISENTIMENTI E POLEMICHE, A GUARDARE PIÙ OBIETTIVAMENTE AL PASSATO ED A FORMULARE I MIGLIORI PROPONIMENTI PER L'AVVENIRE.

NEL CORSO DI QUEST'ANNO, IN CUI NON SONO MANCATI DRAMMATICI EVENTI CHE HANNO TENUTO IN TREPIDAZIONE E IN ANGUSTIA I POPOLI E GLI INDIVIDUI PENSOSI DEL DESTINO DELL'UMANA CIVILTA', L'ITALIA IN CONFORMITÀ DI UNA VOCAZIONE DA ESSA PROFONDAMENTE SENTI TA E SANCITA DALLA STESSA COSTITUZIONE , HA CONTINUATO A DARE IL SUO ATTIVO CONTRIBUTO ALLA CAUSA DELLA PACE E DELLA COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE.

SUL PIANO INTERNO, IL DELICATO PROBLEMA DELLA CONGIUNTURA ECONOMICA MANIFESTA ALCUNI SINTOMI INCORAGGIANTI E SONO SICURO CHE CON IL CONCORSO DI TUTTE LE FORZE PRODUTTIVE, DAI LAVORATORI AGLI IMPRENDITORI ECONOMICI, TUTTO SARÀ FATTO AFFINCHÈ LA NOSTRA ECONOMIA SI SVILUPPI CON RINNOVATA FIDUCIA.

Le forze sociali sembrano optare al presente per posizioni di contrasto o quanto meno di dura dialettica, ma appaiono consapevoli delle difficoltà e desiderose di contribuire ad affrontarle. I partiti che hanno stipulato un'intesa di programma devono esprimere una solidale volontà di convergenza riformatrice. Come ho già avuto occasione di dire ogni forza politica deve conservare il suo patrimonio ideale, ma le intese raggiunte o da raggiungere su specifiche proposte politiche dovranno sempre avvenire sul terreno della fedeltà ai valori della Costituzione.

Vi è un'altra mia preoccupazione. non posso nascondervela. Si stanno verificando scandali. Non si verificano questi scandali nella classe lavoratrice propriamente detta. Si stanno verificando in alto questi scandali, tra gente, tra persone che stanno bene economicamente, ma che, si vede, sono insaziabili di danaro, di ricchezza. Scandali che turbano la coscienza di coloro che onestamente lavorano e che onestamente si guadagnano il necessario per vivere. Quindi la legge sia implacabile, inflessibile. contro i protagonisti di questi scandali, che danno un esempio veramente degradante al popolo italiano.
Vi è un'altra considerazione che vi debbo fare, che riguarda la nostra gioventù, Mi stanno molto a cuore i giovani. Vedete, qui al Quirinale ho Instaurato un metodo: quello di ricevere tutte le scolaresche che al mattino vengono a visitare Il Quírinale. In questi anni ne ho già ricevuti 360 mila.
io non faccio discorsi a questi scolari, a questi giovani; intreccio con loro un dialogo, cioè mi sottopongo ad un interrogatorio, a molte domande. Ebbene, la loro preoccupazione è soprattutto questa, miei cari compatrioti. Essi mi chiedono: "Quando avremo terminato I nostri studi. troveremo un'occupazíone?". E poi mi pongono un'altra domanda: "Il nostro domani sarà turbato dalla guerra?".
Ecco le domande che mi fanno i nostri giovani. E non dobbiamo tradire le speranze della nostra gioventù, di questa gioventù che rappresenta l'avvenire della Patria, l'avvenire della nostra Nazione.

Per risolvere questi problemi gravi, occorre una grande mobilitazione di tutti, sagge e coraggiose iniziative, nel segno di una concordia nazionale di fondo che di niente vuol privare la dialettica democratica, ma che anzi da essa si alimenta come in ogni societa' aperta, in vista di una collaborazione NECESSARIA per il bene comune. Cio' quanto meno su questioni vitali, come la lotta alla criminalita' organizzata, inaccettabile in se' e con le sue DRAMMATICHE diramazioni nel traffico di droga e nel piu' barbaro dei delitti, il sequestro di persona.
Certo, la ''questione giustizia'' assume, in questa prospettiva, una assoluta urgenza e priorita'. E rende assolutamente necessaria una sua soluzione, nell' anno 1991, - che io vorrei poter chiamare l' ''anno della giustizia'' - anche con un piano straordinario in termini di aumento dei magistrati, di potenziamento delle strutture operative, di riforme da completare, esaminando anzitutto ed approvando SOLLECITAMENTE il pacchetto di misure che il Governo ha presentato al Parlamento in tema di giustizia e di sicurezza pubblica, nonche' di quelle di cui io stesso ho investito le Camere.

Tutti ci ricordano che siamo ad un passaggio delicato, difficile; ed è vero, ma attenzione non ci viene chiesto nulla, proprio nulla di eccezionale, nulla di eroico. Non assumiamo il tono dell'eroismo. Ci viene soltanto chiesto di fare bene il nostro dovere, proprio null'altro.
Non ci viene chiesto di essere salvatori della Patria, ma servitori della Patria, sí! e con amore!
Se faremo questo, un giorno, volgendoci indietro, vedremo che il p a s s a g g i o è stato superato....
L'essenziale è che a superarlo sia tutto il popolo italiano. Tutto!
E che ciascuno voglia e possa camminare insieme.
Dipende da ciascuno di noi che camminiamo e che aiutiamo quelli che non possono camminare, perché occorre che tutto il popolo cammini.
Ho detto l'anno scorso: "l'Italia risorgerà", ed era augurio fatto con il cuore. Oggi mi sento di poter dire "l'Italia sta risorgendo!".

Possa il 2006 portare serenità a voi, alle vostre famiglie, alla nostra amata Patria.
Viva l'Italia!
Comments (7)

- karaoke esistenziale

Permalink
Messaggio del Presidente morale
della Repubblica italiana (a reti devolute)


Ascoltalo qui

Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene, e invece tu…

E oggi un anno nuovo
ci regala il calendario:
si accendono le luci
e si tira su il sipario.
Ognuno fa la sua parte
e incomincia il blablabla,
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

E alle 8 e mezza
mi presento puntuale;
lavoro tutto il giorno
e non mi trattano mica male!
Si spera nell'aumento
che la vita risolverà...
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…

…e invece tu mi guardi storto
e mi dici una parolaccia
poi mi carichi a corpo morto
e mi tiri due pugni in faccia
ahi
ahi
ahi
ahi


Se io non so di un fatto
la versione originale
ci sono i quotidiani,
c'è la radio e il telegiornale
mi basta seguire un momento
e ho già chiara la verità:
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

non può risolver tutto
neanche la democrazia,
ma è l'unico strumento
che ci dà una garanzia!
viviamo finalmente
con una certa dignità...
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

Margherita,
lo sai che tu sei tutta la mia vita?
Lo sai che ormai il mio cuore ti appartiene?
Ti voglio tanto bene…

…e invece tu non sei clemente
e mi picchi in un ginocchio
io mi piego perché sofferente
tu mi morsichi in un orecchio
ahi
ahi
ahi
ahi


a scuola ai buoni un premio,
ai cattivi la punizione,
ma in seguito, nella vita,
è meno chiara la divisione
si parla di giustizia,
di uguaglianza
e blablabla
alla moda
alla moda
alla moda del varietà

e quando sarò morto
mi faranno il funerale:
per una volta ancora
sarò l'interprete principale
finita la triste funzione
poi la vita continuerà

alla moda
alla moda
alla moda del varietà

Giorgio Gaber (25 gennaio 1939 - 1 gennaio 2003)
Comments