Chi ha cancellato i cancellatori di Woody Allen

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Al termine di una settimana – non questa, la precedente – che la mia bolla sociale ha trascorso a discutere sulla Cancel Culture, e in particolare se esista o no (cioè non ne siamo ancora sicuri), domenica scorsa è apparso da Fazio nientemeno che Woody Allen, in carne e ossa e videochiamata, e... non è successo niente. 


Ma proprio niente, mi sembra che non ne abbia parlato nessuno. E stiamo parlando di Woody Allen, ovvero non solo uno dei registi americani più conosciuti e affermati in Italia, ma anche del caso più esemplare di questa benedetta Cancel Culture, tanto da essere citato credo in qualsiasi articolo che ne parli e che cerchi di spiegare cos'è (questo è l'ultimo che ho trovato). Woody Allen che malgrado il suo prestigio negli USA non è ancora riuscito a trovare un distributore per il suo ultimo film – forse proprio a causa della Cancel Culture. Woody Allen la cui autobiografia è uscita prima in Italia che negli USA, dove un editore addirittura ha rinunciato a pubblicarla a causa delle proteste degli stessi dipendenti. Woody Allen che tuttora è accusato da sua figlia di molestie, e a cui molte attiviste e attivisti non perdonano la relazione con la figlia (adulta) dell'ex compagna. Woody Allen che è talmente al centro del dibattito che la stessa Scarlett Johansson, nelle stesse ore, mentre accusava l'organizzazione che assegna i Golden Globe di pratiche discutibili ai limiti dell'abuso, è stata criticata da molti guerrieri social per avere lei stessa in passato difeso Woody Allen. Woody Allen insomma di cui sembra impossibile poter parlare senza accennare a tutto il dibattito sulla Cancellazione, e invece in Italia domenica scorsa ci siamo riusciti, grazie a Fazio, grazie alla Rai: abbiamo cancellato la Cancel Culture. È una cosa buona, è una cosa sbagliata? Non lo so. È comunque una cosa interessante, ne vorrei parlare.


Immagino che la richiesta di non toccare nemmeno di sguincio l'argomento sia arrivato dal management di Allen. Se una richiesta del genere fosse stata fatta a una redazione giornalistica, il caso si porrebbe. Può un giornalista accettare di intervistare un personaggio senza toccare un argomento così importante – diciamo pure l'unico argomento relativo ad Allen che ormai può interessare a uno spettatore sotto i quarant'anni? Può farlo senza venir meno alla sua etica professionale e senza perdere la faccia? Secondo me no. Fazio infatti non è un giornalista, o per lo meno non ha mai tentato di accreditarsi come tale. Fa promozione culturale, mettiamola così, e dopo tanti anni sappiamo anche come funziona e cosa produce. Si selezionano prodotti quasi sempre già rinomati, già ormai ridottisi in feticci, e li si usa per arredare il salotto ideale di un ceto medio riflessivo che vuole sentirsi culturalmente aggiornato, prima di ridacchiare per le battutacce della Littizzetto. Anni fa mi permettevo di prenderlo un po' in giro per la sua gerontofilia, la sua tendenza a circondarsi di vecchi nonni saggi: dopodiché è invecchiato pure lui, siamo invecchiati tutti – Allen un po' prima degli altri e Fazio domenica non vedeva l'ora di incorniciarlo nella posa dell'amabile vecchietto che non sa usare il tablet e nemmeno il telecomando.

L'intervista non si è scostata da un canovaccio che Allen ha perfezionato da decenni: tutti gli danno del genio, lui si schermisce, tutti gli danno del falso modesto, lui continua a schermirsi (incidentalmente, è la stessa strategia che adopererebbe un mostro criminale, un Kaiser Soze). La sua autobiografia, se gli avete dato un'occhiata, è un'interminabile rivendicazione di mediocrità che alla fine si trasforma in una specie di autodifesa: sono una persona qualunque molto fortunata, continua a dirci, e le persone qualunque non fanno le cose orribili che ad Allen sono state attribuite.


 

Per una scenetta del genere, Fazio era la spalla ideale: nessuno più di lui sa sintonizzarsi sulla falsa modestia dei suoi Grandi Vecchi. Lo fa benissimo perché ci crede: Fazio era sinceramente orgoglioso di intervistare Woody Allen in quanto monumento di una generazione, e del tutto indifferente al fatto che un'altra generazione lo consideri un mostro. È una generazione che non guarda la tv, quindi perché preoccuparsi. 

Viene il sospetto che il problema sia tutto generazionale: la Cancel Culture esiste soltanto da una certa classe in poi. Per i nati prima del 1970, azzardo, il caso Dylan-Farrow è un fatto di cronaca di più di vent'anni fa. Per i nati dopo il 1980 è l'unica cosa interessante, benché mostruosa, che il tizio abbia fatto. Io sto in mezzo a queste due generazioni che vorrei definire l'una contro l'altra armate, ma non è vero: ormai non si frequentano più, e le rare volte che si parlano non si capiscono. Per chi ha amato almeno qualche film di Allen, il tiro al piccione su Twitter è un'esperienza mortificante: la maggior parte di chi getta sassi, si capisce, non ne ha mai visto uno. Alcuni lo ammettono pure. Vien da pensare che un certo tipo di attivismo sia un modo economico di risolvere l'aggiornamento culturale: il tizio ha girato più di 40 film, se vuoi parlarne senza perderti i riferimenti dovresti averne visti almeno una metà. Se invece decidi che il tizio è un mostro, puoi sparare immediatamente il tuo giudizio tranciante e ti resta anche tutto il pomeriggio libero per guardarti una serie. Non è che il contrappasso non abbia una sua logica: Woody Allen per tanti anni ha potuto contare sulla benevolenza di un pubblico e di una critica pronti a degustare qualsiasi suo prodotto come un'eccellenza artistica. Nel frattempo è cresciuta una generazione che le rare volte che prova a guardarne uno, non capisce cosa ci sia di divertente e/o tragico. Lui d'altro canto ha sempre detto che il giudizio dei posteri non lo interessava, anche se forse non immaginava che i posteri piuttosto di perder tempo a capire e contestualizzare avrebbero scambiato Manhattan per un'apologia della pedofilia. 

Quindi alla fine questa Cancel Culture esiste o no? Non saprei. Di sicuro esiste una generazione che non ha timori reverenziali per i feticci del passato – il che è un bene – ma che tende a confondere questa naturale irruenza con un dispositivo morale. Col risultato che molte cose che comunque starebbero per finire nel dimenticatoio rimbalzano un po' più in là, nell'Indice dei Manufatti Culturali Proibiti e Quindi Interessanti. Un posto dove le generazioni successive potrebbero più facimente riuscire a recuperarli... e allora, se mi piace il cinema di Woody Allen, chi devo temere di più? Il mellifluo Fazio che troverebbe geniale anche un suo assolo jazz di peti con le ascelle, o i giovani aspiranti inquisitori che non sopportano la vista di un quarantenne a letto con una diciassettenne? Quale dei due atteggiamenti, nel medio-lungo termine, consentirà ai lungometraggi di Woody Allen di rimanere culturalmente rilevanti, anche se invece di trovarli su Netflix dovremo cercarli su Pornhub? 

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Così è Dylan Farrow (se vi pare)

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E insomma anche l'altro giorno qualcuno ha segnalato a Gramellini una notizia relativa all'ennesimo episodio di Cancel culture (stavolta era Oxford contro Mozart), Gramellini non ha ritenuto troppo necessario verificarla, ci ha scritto il suo compitino e dieci minuti dopo averlo pubblicato sapevamo già che non era vero niente, Oxford non vuole cancellare Mozart. Così è più o meno nel 90% dei casi in cui qualcuno vi parla di Cancel culture (o di dittatura del politically correct, che è la stessa cosa scritta più in lungo per sembrare più minacciosa, oltre che probabilmente li pagano a battuta). 


Al punto che viene il sospetto: ma questa cosa esiste, al di fuori della parodia che ne fanno i sedicenti oppositori? È un fenomeno di una qualche rilevanza, qualcosa degno di essere studiato? Una possibile risposta era già disponibile da qualche ora: la CBS ha tirato fuori dagli archivi un'intervista a Woody Allen rilasciata l'estate scorsa, che è diventata abbastanza interessante soltanto dopo che la HBO ha trasmesso una miniserie di quattro episodi sul caso Allen-Farrow. La miniserie non si fa scrupolo nell'abbracciare la versione di Mia e Dylan Farrow, secondo le quali Woody Allen avrebbe abusato di quest'ultima quando aveva sette anni. Questo, se ci fermiamo a riflettere, è abbastanza clamoroso, e indicativo di un clima culturale realmente diverso dal nostro: per quanto tentiamo di mantenerci aggiornati, non credo che nessun canale in Italia trasmetterebbe per quattro domeniche in prima serata una ricostruzione di un abuso su un minore che non è mai stato appurato da nessun'indagine, né formalizzato in nessuna sentenza. Questa versione è particolarmente scabrosa e infamante per Woody Allen, che negli ultimi anni è stato oggettivamente danneggiato dalla polvere risollevata intorno a un caso archiviato vent'anni fa: ha perso un contratto con Amazon, la Hachette si è rifiutata di distribuire la sua biografia negli USA (in seguito a uno sciopero dei dipendenti!), molti attori rifiutano di lavorare per lui. E tuttavia Allen ha avuto lo spazio mediatico che gli serviva per ribadire la sua verità. Dunque questa Cancel culture esiste o no?

Probabilmente sì – e abbiamo anche qualche argomento per trovarla inquietante – a patto di accettare che non si tratta di una "dittatura": piuttosto di una guerra culturale. Il che spiega anche alcuni tratti dittatoriali: la guerra è uno stato emergenziale, molte cose non tollerabili in tempo di pace sono considerate inevitabili. Nessun tribunale in tempo di pace trovò Allen colpevole di molestie sulla figlia (addirittura ce ne fu uno che gli consentì di adottare due bambini), ma negli USA adesso c'è la guerra e ci sono obiettivi di fronte ai quali la rispettabilità di un anziano cineasta scompare – in particolare, c'è da salvare un saliente cruciale: il principio di credibilità della donna-vittima. 

In guerra non si va per il sottile e non ci si preoccupa di portare i bambini in prima linea, se sono utili. Il fulcro della miniserie HBO è il video girato da Mia Farrow in cui la piccola Dylan ripete alla madre le accuse nei confronti del padre. Il video – che secondo Mia Farrow era destinato a uno psicologo – non era mai stato mostrato in tv: eppure già nel 1992, tempo di pace, era stato offerto a un network che non l'aveva considerato divulgabile. Ma oggi siamo in guerra, e in guerra tutto è concesso: così gli spettatori USA hanno potuto vedere un video che non aggiunge nulla alle accuse già dette e ribadite, salvo il fattore emotivo di vederle pronunciate da una bambina di sette anni.


Il caso Allen-Farrow esisteva prima di questa battaglia (e temo che esisterà anche dopo: in fondo c'è ancora chi discute del capitano Dreyfus). Fa parte del paesaggio, ormai, e se fosse un paesaggio vero sarebbe un canyon strettissimo, dove all'imboccatura c'è spazio per almeno due versioni dei fatti ma se vuoi uscirne dovrai abbandonarne per forza una. Non c'è spazio per Pirandello qui, per un minimo di relativismo esistenziale ed è un peccato: nella cultura americana ci sono tante cose che è giusto invidiare, ma un Pirandello no e certe volte la mancanza si sente (forse con D.F. Wallace ci stavamo arrivando). Non c'è nessun cognato Laudisi sul palco ad additarci l'impossibilità di conoscere gli altri: c'è un abuso genitoriale, ci sono soltanto due possibili colpevoli e uno dei due la sta facendo franca, il che al pubblico USA deve risultare insopportabile. Dylan Farrow potrebbe essere stata abusata da Woody Allen, e per molti è conveniente che sia così. Perché altrimenti non resta che un'opzione, ovvero che sia stata abusata dalla madre, che l'ha convinta della sua verità e l'ha costretta a interpretarla da quando aveva sette anni a... potremmo dire che non ha mai smesso, ma è più complicato di così. Da molto tempo non si tratta soltanto di salvare la reputazione di Mia Farrow. Ormai c'è un esercito dietro, o perlomeno un battaglione che di qui doveva passare per forza e non può ritirarsi. Dylan Farrow non può cedere, anzi: è previsto che ribadisca per sempre che è stata vittima del padre; le sarà richiesto ancora per diversi anni di tornare sull'episodio. Ormai è vittima anche nel senso sacrificale del termine. Anche se non fosse un Enrico IV ormai prigioniero della sua finzione, anche se tutto fosse andato esattamente come lo raccontava la bambina alla mamma, a questo punto alla bambina dovrebbe essere consentito voltar pagina: a lei no, finché il padre non confessa: e siccome il padre non ne ha la minima intenzione, Dylan dovrà continuare ad accusarlo. Qualsiasi psicoterapeuta, in tempo di pace, farebbe presente che qui si sta sbagliando tutto: e in effetti se si trattasse di un semplice caso di abuso, questo sarebbe il peggior modo di gestirlo. Ma non è mai stato un semplice caso di abuso e ormai è proprio diventato tutt'altro.


"La cancel culture [scrivevo] si propaga attraverso prove di forza. Si individua un obiettivo e si martella finché l'obiettivo diventa indifendibile. Non ha così tanta importanza cosa abbia realmente detto o fatto l'obiettivo, quanti abusi abbia realmente commesso un Kevin Spacey o l'oggettiva incidenza di Cristoforo Colombo nella diffusione dello schiavismo. Si individua un punto debole del nemico e si batte sullo stesso punto finché non cede". Credo che lo si veda bene ad esempio in questo pezzo di Indiewire, dove la questione se Allen sia colpevole è definitivamente messa da parte. Quel che secondo l'autore dovrebbe interessare davvero ai lettori è: come mai la sua carriera non è ancora finita? Dopo tutto quello che gli hanno puntato contro, com'è possibile che stia continuando a lavorare? (Si sente, nel pezzo, l'angoscia dei graduati verso un nemico che secondo tutti i piani avrebbe dovuto ripiegare e invece è ancora lì, sui suoi pezzi: neanche contro questo rottame riusciamo a spuntarla?) In effetti con Spacey è praticamente bastato che un tizio si ricordasse di un episodio a una festa e puf, Spacey è stato letteralmente cancellato da un film già girato, e assassinato nella serie in cui faceva il presidente. L'errore probabilmente è stato pensare che Allen fosse attaccabile come uno Spacey o qualsiasi altra celebrità hollywoodiana – è il solito errore, alla fine: confondere gli USA con il mondo. Allen è senz'altro americano per nazionalità e cultura, ma dal punto di vista produttivo e culturale è ormai completamente alieno: in quarant'anni di carriera si è pazientemente costruito una nicchia autosufficiente che tutto sommato sembra reggere anche agli ultimi bombardamenti. Prima o poi dovrà cedere, se non al nemico, all'età: e a quel punto qualcuno potrà puntare una bandiera, annunciare che la missione è compiuta e passare oltre. Vien quasi da augurarselo: son tanto faticose le guerre.

[Il pezzo finisce così e non ho nemmeno fatto in tempo ad accennare al tema più interessante, ovvero lo slittamento tra pedofilia e pederastia – il modo in cui viene usata, per rafforzare le accuse contro Allen, la sua nota e vantata frequentazione di ragazze molto giovani, benché nell'età del consenso. Lo choc culturale per cui la relazione verticale descritta in Manhattan (un quarantenne con una 17enne), che in quegli anni sembrava socialmente accettabile, oggi viene equiparata senza mezzi termini a uno stupro e  considerata un forte indizio a favore di un altro abuso commesso nei confronti di una bambina di 7 anni – in sostanza negli anni '70 una 17enne era praticamente adulta, oggi invece non ci sarebbe differenza tra uscire con lei e con un'alunna della seconda elementare. Magari un altra volta se ho tempo e faccio un altro mestiere].

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Al parco mica li mandate soli

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Caro genitore di un bimbo che ha scoperto che il figlio era stato abbordato da un pedofilo sullo smartphone:
– innanzitutto la mia solidarietà, dev'essere stato uno choc.
– niente ironie sul fatto che tuo figlio a 9 anni vada già in giro con lo smartphone, non conosco il contesto e in alcuni comincia a essere davvero difficile dire ai bambini di no.
– da quel che leggo, comunque, l'abbordaggio è avvenuto su TikTok, e nei termini di servizio di TikTok si legge chiaramente che per aprire un account bisogna avere compiuto 13 anni. Per accedere a Tik Tok tuo figlio ha fornito dati falsi e di questo sei legalmente responsabile, spero che qualcuno te lo abbia già spiegato.
– non voglio fare ironia e nemmeno fare la morale, non conosco il tuo caso se non da due articoli di quotidiano, ma in sostanza hai permesso che tuo figlio accedesse a un ambiente pericoloso con uno strumento che tu gli hai fornito.
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Il ragazzo a cui passai il Giornale

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Su Facebook ogni dibattito viene a noia dopo poche ore, e questo mi libera; mi solleva dal peso di dover scrivere cosa penso, che ne so, di Montanelli. Due giorni fa forse, ma ormai non interesserebbe più ad alcuno; e comunque anche quell'alcuno avrebbe letto in questi giorni tre o quattro opinioni abbastanza simili. Che potrei aggiungere di interessante? Cosa è stato Montanelli per me... Una parte del paesaggio? Il nonno ex fascista che molti di noi non hanno realmente avuto, ma ci spettava comunque per contratto? Perché bene o male quello è stato. Mi viene in mente un mio amico, si fa per dire, non lo vedo da anni. Ecco, potrei raccontare questa cosa, e spero che nessuno ci si riconosca.


Risale all'anno in cui compravo almeno un giornale al giorno – ma a mia discolpa, era un anno in cui capitavano tantissime cose, il 1989? Più facilmente il 1990. E per quanto fossi un fanboy di Repubblica (merito meno di Scalfari che di Beniamino Placido) cercavo di comprarli un po' tutti. Anche quelli che non mi piacevano – del resto, lo imparai così che non mi piacevano (ricordo ancora il mio choc culturale davanti a un normalissimo fondo del Corriere: ma qui parlano bene di Craxi! E basta! Cioè non c'è nessuna notizia, stanno soltanto parlando bene di Bettino Craxi? Ma si può fare, voglio dire, è legale questa cosa?)

Compravo la Stampa, compravo l'Unità; un giorno, è naturale, mi ritrovai in mano il Giornale. Proprio quel giorno invece di farmi un giro in Cittadella, alla fine delle lezioni; invece di andare a sfogliare per l'ennesima volta i 33giri in offerta al Discoclub, me ne rimasi lì sulla panchina di granito del binario 5. Il destino, che è uno stronzo, volle che proprio quel giorno mi trovasse col Giornale in mano un mio amico del paese, in una fase della vita in cui lui era un ragazzino timido, e io un po' meno, e mi chiese: che giornale leggi? Mah niente dissi, sai, ogni giorno cerco di comprarne uno diverso...

"Questo proprio non l'ho mai visto".

"Ma sì, è un giornale di Milano, uno spinoff del Corriere". Questo di sicuro non lo dissi, non sapevo cosa volesse dire spinoff. Conoscevo a grandi linee le circostanze della scissione, e soprattutto conoscevo Montanelli sin da bambino, perché il Giornalino pubblicava a puntate la Storia dei Romani e dei Greci e di certe nozioni non credo di essermi mai liberato. Una parte del paesaggio, appunto. Ma se era il 1990 facevo il terzo anno, forse il quarto? Ormai lo avevo capito che reazionario fosse Montanelli, ci litigavo già volentieri. Ci avrei messo comunque anni a capire che uno a volte le cose le legge proprio per incazzarsi, e che il successo di alcuni giornalisti e scrittori dipende dalla felicità con cui assolvono precisamente a questa funzione. Ma in quel momento per me era vitale che il mio amico capisse che quel che leggevo non lo condividevo, insomma, m'avesse beccato con Corna Vissute mi sarei sentito un po' meno in imbarazzo.

"Quando hai finito me lo presti?"

Anche questa cosa non me la disse esattamente così – come si diceva a quei tempi passami-i-fogli-di-giornale-che-hai-già-letto? Perché è una cosa che si faceva. Comunque glielo passai tutto, che altro potevo fare? A quel tempo m'inteneriva. Al suo liceo era l'unico del paese, al paese era rimasto un po' fuori dai giri, lo vedevo aggirarsi per il binario 5, troppo piccolo per provarci con le ragazze; aveva un modo di fare che titillava il mio senso di responsabilità. È esattamente questo il problema: mi sento responsabile per quanto successo. Il che è assurdo, ma nondimeno vero. Gli feci conoscere il Giornale di Montanelli, e lui cominciò a leggerlo tutti i giorni. Poi Montanelli se ne andò, ma la corriera ormai era partita. Tempo quattro anni e lo ritrovai berlusconiano duro. Nel frattempo era diventato anche più alto di me di una buona spanna, e un pilastro della comunità, una fidanzata carina e tutto quanto, e questo malgrado ogni tanto io cercassi di incontrarlo con altri quotidiani in mano, lo vedi che non leggo solo il Giornale? L'ho comprato solo quel giorno, non mi puoi inchiodare a un giorno solo, no? Tutto questo succedeva in giorni lontani di un secolo scorso, ma non c'è una volta che non si riparli di Montanelli e in generale del Giornale che io non ripensi a lui, e non mi chieda se non è stata tutta colpa mia, e come sarebbe andata se quel giorno in stazione mi avesse trovato con in mano il Manifesto.

Ecco un motivo più originale di altri per odiare Montanelli. E invece no, per qualche oscuro motivo lo sento mio complice. Non abbiamo vigilato, non siamo stati attenti; certi mostri sapevamo che avrebbero bussato a certe porte che dovevamo custodire sprangate e invece abbiamo lasciato una fessura, per curiosità. E per voglia di litigare. Sicuri che dal litigio saremo emersi trionfatori. Della sposa abissina sentii parlare soltanto qualche anno dopo, ai tempi in cui fondò la Voce e diventò un astro dell'antiberlusconismo nascente. Non riesco a credere che si sia una coincidenza. Montanelli aveva rotto coi colleghi di destra, i colleghi di destra erano iene da archivio: pescarono la cosa che avrebbe reso Montanelli più inviso al suo nuovo pubblico di sinistra. Prendetelo come sospetto di uno che si sta rincoglionendo; ma fino a un certo punto, se qualcuno tirava fuori Montanelli, qualcun altro rispondeva sì, vabbe', Montanelli rappresenta un determinato milieu, vittima del brigatismo, ecc. ecc. Da un certo punto in poi la prima reazione diventò: Montanelli? Lo stupratore di una bambina abissina? In tutto questo riconosco lo stile della destra berlusconiana italiana, dei vari macchinisti del fango a cui mai nessuno scolpirà un monumento che pure mi piacerebbe personalmente profanare.

Ecco, alla fine sono riuscito lo stesso a spiegare cosa penso di Montanelli, e la ragione del mio fastidio per il dibattito di questi giorni – che non è il fastidio per un monumento imbrattato, peraltro con un rosa gentile e lavabile – ma l'imbrattamento arriva dopo vent'anni in cui un personaggio veramente molto interessante, e criticabile, e criticato, si è progressivamente ridotto a uno stupratore di bambina. E il fastidio per non riuscire a spiegare questa cosa senza passare per uno che minimizza l'episodio. È chiaro che l'episodio è grave, anche una volta inserito in un contesto (la guerra di Etiopia) da cui Montanelli non ha mai voluto davvero prendere le distanze, come dal primo amore; dal fascismo sì, dal conservatorismo liberale del dopoguerra sì, da Berlusconi quasi subito; ma dal mito degli italiani buona gente che liberano i barbari abissini da sé stessi, mai. Oggi però l'epiteto "pedofilo" chiude ogni discussione, e invece la discussione è interessante; significa "mostro", e Montanelli tutto era meno che un mostro che si aggirava per l'acrocoro etiopico a caccia di bambine. Era un ufficiale italiano impegnato in una guerra coloniale, che recepiva direttive dei superiori: il consiglio di trovarsi una "madam", una sposa a tempo, gli venne da un superiore che in questo modo sperava di prevenire i rapporti con le prostitute. Tutto questo più che sotto il capitolo "Pedofilia" non sarebbe il caso di inserirlo in quelle, altrettanto interessanti, "Crimini di guerra coloniale", "Sessualità in Italia nell'epoca fascista"? Ma tutto questo lo sappiamo anche grazie a Montanelli, che avrebbe avuto tutto il tempo e l'interesse per negare le circostanze e insabbiare le evidenze, e mai si è sognato di farlo; perché?

Probabilmente perché aveva voglia di litigare anche su questo, ed era abbastanza pieno di sé da immaginare che alla fine avrebbe vinto anche questo dibattito. "Pedofilo" oggi equivale a "tabù", ma Montanelli tabù non ne ha mai avuti (o forse l'uso di armi chimiche in Etiopia). Da scrittore di libri di storia, sapeva come certe pagine di storia si scrivono, e che i posteri hanno sempre ragione; ma che proprio per questo è inutile blandirli. Ai posteri servono anche i mostri, e forse a Montanelli non dispiaceva diventarne uno. Il suo monumento, lui per primo l'ha imbrattato. C'è qualcosa di notevole in questo; non voglio dire ammirabile, ma insomma Indro Montanelli ai posteri continua a dire: vaffanculo, io sono così. Sono un uomo del mio tempo, che ha fatto alcune cose che voi trovate orribili e ai miei tempi erano normali. Non vi chiedo scusa, non capisco nemmeno a cosa vi servano le scuse di un vecchio o di un morto. E neanche voi, non dovete scusarmi: dovete giudicarmi. Nella Storia d'Italia a Volumi a me forse spetta una mezza pagina: vedete voi cosa farci entrare e cosa no. Se alla fine ci sarà scritto "ha stuprato una bambina in Abissinia", amen. Il punto non è se raccontarla così mi renda o non mi renda onore: io sono morto, chi se ne frega del mio onore. Il punto è: farà onore a voi?
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Pier Damiani e l'annoso problema della sodomia

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21 febbraio – San Pier Damiani (1007-1072), dottore della Chiesa decisamente omofobo.

Cosa fareste per recuperare quel documento?

Ma cos'è che avevo scritto quella volta
Un giorno (più probabilmente una notte) avete scritto qualcosa, una cosa che all’inizio non vi sembrava neanche granché. Un appunto su un’idea che vi frullava in testa. Una dissertazione in dieci capitoli. La prima pagina di un romanzo che avrebbe funzionato. Un foglio elettronico con tutte le formule al posto giusto. La ricostruzione della carriera. Una notte avete scritto qualcosa e non ci avete più pensato per mille altre notti; finché non avete capito che quella era la pagina giusta da cui ricominciare da capo. Ma, indovinate: quella pagina non si trova più.

Avete messo sottosopra gli scaffali, rivoltato i cassetti come calzini. Tutti i dischi rigidi, tutte le chiavette, avete portato dai cinesi quel laptop che si è spento per sempre cinque anni fa. E più cercavate, più quel documento diventava interessante, necessario, fondamentale, unico. Perché è l’unico che non si trova più. Il che non è possibile; voi non buttate mai nulla. Probabilmente è nel posto sbagliato, archiviato col nome sbagliato, dove lo ritroverete quando sarà troppo tardi. Oppure lo avete prestato a qualcuno, sì: qualcuno sembrava curioso e vi siete fidati senza tenervi una copia, pazzi! A nessuno bisogna prestare i propri documenti, di nessuno ci si può fidare. Neanche di un papa. Non è un modo di dire, per esempio San Pier Damiani si fidò di un papa, e lo sapete come andò a finire, no? In effetti forse no.

Pier Damiani il dottore della Chiesa, Pier Damiani l’inflessibile, l’incorruttibile, l’uomo che in teoria riusciva a vivere soltanto in un eremo appartato, circondato dall’algido affetto dei suoi confratelli, Pier Damiani che invece per un motivo o per un altro era sempre in giro per Sinodi o a Roma a lobbizzare con questo e quel pontefice; Pier Damiani un giorno scrisse una lettera stranissima a due cardinali, una lettera matta in cui si prendeva gioco del papa in carica, proprio lui! Pier Damiani, il riformatore: ce l’aveva con Alessandro II. Stia attento, scriveva: che un papa di nome Alessandro c’è già stato e fu frustato a sangue. Ma che aveva fatto il secondo Alessandro per meritare anche solo un vago riferimento al supplizio inflitto ai ladri? Cosa poteva aver mai fatto un pontefice per meritare un’accusa infamante e neanche tanto velata da parte di Pier Damiani? Indovinate: non gli restituiva un manoscritto.

Glielo aveva chiesto per farsene una copia: e doveva averglielo chiesto in termini piuttosto perentori, se Pier confessa che altrimenti non glielo avrebbe dato. Quando era tornato a riprenderlo, niente: il documento non c’era più. Ma che c’era mai scritto, in quell’unico fascicolo autografo tra mille che Pier non poteva più andarsi a rileggere? Magari niente d’importante. Lui stesso protesta che era poca roba, nulla per cui valesse la pena litigare o perdere il favore di un pontefice. E invece era proprio quello che stava facendo: aveva aperto un contenzioso col vicario di Pietro. Non riusciva a contenersi, Pier Damiani il continente. Ma perché Alessandro non rendeva il malloppo? L’ipotesi banale resta la più verosimile: magari aveva perso tutto. Basta appoggiare il quinterno sull’angolo sbagliato della tua Cattedra; magari qualcuno viene a mettere a posto, con le migliori intenzioni del mondo lo infila nello scaffale sbagliato delle biblioteche vaticane, e bye bye Inedito del Dottore della Chiesa, vallo a ritrovare se ci riesci. Possono passare anni. Secoli.

Mi era venuto così bene quella volta maledizione
Ma siccome le vite dei santi non sono necessariamente così simili alla mia, non posso omettere un’altra spiegazione, molto più affascinante: quel manoscritto che papa Alessandro aveva tolto dalla circolazione, quell’opuscolo da cui Pier Damiani con molta fatica si era staccato, non era un brogliaccio qualsiasi, bensì il fascicolo più scottante a cui aveva messo mano, quello che oggi è (ingiustamente) la sua opera più famosa: il Liber Gomorrhianus. Avete presente il Liber Gomorrhianus, no? In effetti forse no.
Beh, è una specie di pietra miliare. Mettiamola così: sapete che la Chiesa ha questo problema dei preti pedofili, no? Ogni tanto se ne parla. Ecco: da quand’è esattamente che se ne parla? Quando è cominciato lo scandalo, o almeno quando la Chiesa ha iniziato a percepirlo come scandalo? Sono stime difficili da fare per uno storico. Di solito. Ma in questo caso no, in questo caso si può mettere una data quasi precisa: il primo a denunciare il fenomeno, in un latino ecclesiastico semplice ed elegante, fu Pier Damiani, nel Liber Gomorrhianus, indirizzato a papa Leone IX più o meno nel 1051. Quando si dice che il tal problema è annoso, pensate che questo specifico problema sta per compiere mille anni.

E prima non esisteva? Pier ne parla già come di una malattia morale ben nidificata. Più che i peccatori gli preme denunciare chi li copre: tutta una spaventosa rete di complicità sulla quale intende fare luce. In effetti chi voglia affrontare il Liber come se si tratti davvero del primo trattato di sessualità del medioevo rischia di restare deluso. Pier parla pochissimo dei peccati che denuncia; si capisce che ne prova un ribrezzo genuino. La sua casistica è limitata all’essenziale: secondo Pier ci sono quattro tipi di atti esplicitamente denunciati dalla Bibbia come contro natura. In ordine crescente di gravità: masturbazione solitaria, masturbazione reciproca, coito interfemorale e rapporto anale. Sono comunque tutti peccati mortali: chi li commette, secondo Pier, deve essere sollevato dall’incarico ecclesiastico. E la pedofilia? Pier ci arriva per gradi, esprimendo una riprovazione particolare per i presuli che iniziano al peccato i giovani che sono loro affidati. Oltre alla sodomia, in questo caso Pier intravede l’incesto, dal momento che il maestro è un padre spirituale, e il vincolo spirituale è più importante di quello carnale. In ogni caso, la soluzione è la stessa: chi pecca contro la natura e contro il vincolo famigliare deve perdere il suo incarico; gli deve essere impedito di confessarsi e ricevere l’assoluzione da un complice nel peccato (Pier aveva la sensazione che la cosa succedesse spesso). Ne va della salute morale della Chiesa, il papa deve assolutamente recepire la gravità del fenomeno e intervenire con severità. Il papa ringraziò, recepì, e qualche anno dopo fece sparire il manoscritto del Liber. Il primo caso di dossier sugli abusi del clero insabbiato dal clero. Notevole. Fin troppo.

Ma dove l’ho scritto accidenti, qui non c’è
E infatti le cose non andarono esattamente così. Innanzitutto giova ribadire che non siamo sicuri che il Liber sia davvero stato sequestrato da un papa: Pier Damiani si riferisce semplicemente a un documento scritto da lui, che ne scriveva tantissimi, su tantissimi argomenti sui quali un pontefice poteva essere altrettanto sensibile. Il motivo per cui pensiamo subito al Liber è il motivo per cui nelle librerie oggi si può trovare, con un poco di sforzo, un’edizione del Liber, mentre per tutti gli altri testi di Pier bisogna frequentare biblioteche molto specialistiche, ed è il solito banalissimo motivo, ovvero: pensiamo solo al sesso. Argomento che, sublime ironia, a Pier interessava pochissimo: noi invece non vorremmo parlare d’altro o studiare d’altro, e quindi se a un certo punto in una lettera si parla di un documento trafugato per oscuri motivi, dev’essere senz’altro una questione di sesso. Ovviamente si dice che il papa in questione aveva avuto esperienze sodomitiche in collegio e considerava il dossier un atto d’accusa. Quante cose si dicono, senza bisogno di provarle. Ma anche se fosse tutto vero, il papa che fece sparire il dossier non fu Leone IX (morto nel 1054), ma Alessando II, salito al Soglio nel 1061.


Quanto a Leone, sappiamo che il Liber gli era sostanzialmente piaciuto: che aveva definito la foga inquisitoria di Pier come “santa indignazione”, benché non intendesse recepire al 100% le proposte di Pier. “Noi agiremo più umanamente”, aveva scritto (“nos humanius agentes“). Leone in effetti intendeva degradare soltanto gli ecclesiastici non coinvolti in attività sodomitiche “da lunga abitudine o con molti uomini”. Ma la disponibilità papale a chiudere un occhio sulle scappatelle occasionali o sugli errori di gioventù non sconfessava affatto l’impianto accusatorio di Pier Damiani – si trattava anche di un gioco delle parti, tra due intellettuali consapevoli: a Pier toccava la parte del poliziotto cattivo, del magistrato inquisitore che chiede una pena di vent’anni per ottenerne cinque con la condizionale. Era una parte che doveva riuscirgli particolarmente congeniale: siamo tutti particolarmente spietati con i vizi che non condividiamo, e a Pier, tra tanti vizi che possono capitare a un povero cristiano, questo proprio non lo aveva. È sempre difficile parlare di sesso senza tradire una minima curiosità, una minima partecipazione: Pier non si tradisce perché davvero l’argomento non lo appassiona. Che si tratti di una pratica solitaria o di un rapporto anale con un minore, per lui la questione è molto semplice: la Bibbia dice che è male, Onan morì sul colpo, Sodoma e Gomorra furono incenerite, amen. È vero che la Chiesa non prese il suo Liber alla lettera, ma cominciò a porsi un problema dove prima non c’era nemmeno il problema. Per trovare un documento che proibisse agli stupratores puerorum di ricevere la comunione in punto di morte, Pier nel 1050 era dovuto risalire a un concilio del 305. In mezzo, settecento anni di silenzio. Dopo Pier invece qualcosa si mise in moto, anche se con la tipica prudenza dell’istituzione ecclesiastica, che vista da vicino sembra immobilismo. I sodomiti sarebbero stati esplicitamente espulsi dal clero e scomunicati solo nel secolo seguente, col Concilio Laterano III. Quanto al problema della pedofilia, c’è voluto qualche altro secolo, ma adesso se ne parla. Diciamo.

Il cast di Spotlight, un film del 2016 sul problema denunciato nel 1051 da Pier Damiani.

Un giorno – più facilmente una notte – avete perso un documento. All’inizio non vi sembrava una grande perdita, ma ora che non lo trovate più vi rendete conto che era perfetto. A dire il vero queste cose ormai succedono sempre meno, ora che tutto è sulla nuvola. Per dire, a me capita di ritrovare cose che credevo perdute e bellissime, articoli che avevo scritto per magazine on line che un giorno sono andati offline senza preavviso e figurati se l’Internet Archive si è fatta una copia: poi un bel giorno mi viene in mente una data o una stringa e bingo! Li trovo proprio sull’Internet Archive.

E fanno schifo.

Non riesco nemmeno a leggerli, buon dio, bisognerebbe chiedere all’Internet Archive di cancellarli. Chissà che schifezza aveva scritto Pier Damiani, che papa Alessandro non gli voleva restituire, e che gli sembrava un capolavoro soltanto perché non poteva più rileggerla. Io per dire qualche ora fa ho cancellato senza volere le dieci righe che servivano a finire questo pezzo e ora mi dispero, sono convinto che non troverò mai più un finale altrettanto bello e necessario, e intanto prendo tempo raccontando inezie al lettore. Era tutta una digressione finale sulla Chiesa Cattolica come prodigiosa macchina celibe, ma proprio per questo condannata ad avanzare nei secoli guidata da un’esplosiva miscela di uomini (selezionati e svezzati nei collegi): omosessuali e asessuali (ancora oggi secondo il New York Times i sacerdoti USA di inclinazione omosessuale potrebbero essere il 40% – qualche ecclesiastico col gay radar particolarmente sensibile parla del 70%). Con questa fondamentale controindicazione, che gli asessuali proprio non capiscono gli omo, e quindi questi ultimi devono in tutti i modi nascondersi ai primi attraverso tutta una serie di ipocrisie e codici di comportamento e regole che ti spiegano perché devi metterti le scarpine porpora anche se a te francamente basterebbero due sandali e via che si va. E che comunque la macchina, con qualche strappo e qualche panne ogni tanto sarebbe potuta andare avanti ancora per molto, non avessimo chiuso quasi tutti i collegi. Ecco, il pezzo diceva più o meno questo, ma lo diceva molto meglio di così. Magari se facessi control+Z per mezz’ora ritroverei quelle righe, ma quante altre ne perderei che immediatamente dopo troverei più necessarie. Quindi niente, stanotte il pezzo finisce così, chiedo scusa.

(Per scrivere un pezzo su Pier Damiani ho letto diverse cose, non tutte capendole e molte dimenticandone; in particolare lo spunto del manoscritto sottratto da papa Alessandro l'ho trovato in un articolo di Irene Zavattero, "Il Liber Gomorrhianus di Pier Damiani").
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I pedofili hanno bisogno delle vostre foto?

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E quindi insomma sembra proprio che condividere on line le foto dei vostri bambini sia un grosso favore che fate ai pedofili. Lo dice la Polizia di Stato, sarà vero: le catene che "impazzano" sul web, che domandano alle mamme di pubblicare le foto per dimostrare di essere "grandi madri", non fanno che ingrossare i cataloghi sconci degli orchi. Va bene. In linea di massima son convinto anch'io che pubblicare le foto dei propri bambini sui social network non sia il massimo. A questo punto però mi viene un dubbio: ma che razza di foto fate ai vostri bambini?

Sono un genitore anch'io: anch'io sono convinto che la mia creatura sia la più bella del mondo (credo sia una cosa chimica che avviene nel cervello, mi basta guardare le foto di qualche anno fa e non funziona già più). Anch'io l'ho fotografata sullo scivolo e travestita per carnevale. L'ho fotografata mentre dormiva e mentre mangiava e mentre faceva le facce buffe. L'ho fotografata perché cresce in fretta e ogni momento non tornerà mai più, perché ho la sensazione che il mondo se la stia perdendo, e perché, tra l'altro, l'arnese che scatta le foto l'ho quasi sempre in mano. Tutte queste foto a volte le mostro ad amici e colleghi - è una delle tante sfighe di avermi per collega o per amico. Non le metto su facebook, non mi va di regalarle a Zuckerberg. Oltretutto so bene - e ormai dovreste saperlo tutti - che a Zuckerberg non interessa metterle sotto chiave, anzi, chiunque può entrare, frugare nei suoi cassetti, copia-incollare le foto dei vostri bambini con lo yogurt sul naso o con la faccia da duro sul triciclo, e farci quel che vuole. Quindi no, io non metto le mie foto su internet.

Ma mica perché ho paura di un pedofilo a caccia di foto di bambini sullo scivolo, o travestiti da pappagallo. Cioè, magari esiste un pedofilo del genere - uno che cerca semplicemente bambini in pose normalissime, bambini all'asilo, bambini al parco, bambini su un piede solo, bambini col sugo sul naso, bambini che sbadigliano - ma sul serio uno così ha bisogno di rifornirsi dai profili facebook? Non può andare semplicemente su google? Cioè, parliamoci chiaro: nei vostri archivi avete qualcosa di anche lontanamente paragonabile?



Va avanti per centinaia di pagine - che si fa, chiudiamo google? Perché magari qualcuno che si eccita a sfogliare esiste. Ce n'è di gente strana a questo mondo. Qualche anni fa don Fortunato di Noto parlava di una rete di pedofili che si scambiavano, tra l'altro, ecografie. Ecografie. Era un periodo in cui non si poteva assolutamente esprimere anche solo un dubbio sulla lotta alla pedofilia, e quindi gliela lasciammo passare, però mi è rimasta questa cosa - insomma, uno che si eccita a guardare un'ecografia dev'essere veramente uno strano forte. Comunque, che vi posso dire: non condividete le ecografie (ma voi le siete più andate a rivedere le ecografie?)

Contrariamente a quanto dice indymedia, io non m'intendo molto di pedofili in rete o fuori: ma ho la sensazione che siano alla ricerca di qualcosa di un po' più spinto delle foto del vostro bambino travestito da Peppa Pig, e di qualcosa di più nitido di un'ecografia. Non voglio dire, non mi permetterei mai, che il vostro figlio non sia il più bello del mondo per chiunque, e quindi anche per l'occasionale internauta pedofilo: ma finché lo fotografate travestito da puffo secondo me non correte grossi rischi. Esisterà, certo, anche il feticista dei puffi. Non è nemmeno escluso, diciamo che c'è una possibilità su un miliardo che lui riesca a mettere le mani sulla vostra foto. Ecco, anche in quel caso senz'altro spiacevole, vorrei ricordare che vostro figlio non corre alcun rischio concreto: quella che avete messo in giro, senz'altro un po' avventatamente, è una sua immagine, non la sua anima - lo so, è dura convincersene. Forse non ci riusciremo mai davvero.
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Tutti gli uomini del Cardinale

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Il caso Spotlight (Spotlight, 2015, Tom McCarthy)

Alla fine per una buona metà del tempo
ci sono loro in un ufficio che si spiegano le cose. 
C'erano una volta i quotidiani. Uscivano una volta sola al giorno, e per stamparli serviva un sacco di gente. Alcuni andavano in giro per il mondo a intervistare persone, ad accorgersi dei fatti. Altri lavoravano per ore e ore chiusi in grandi sale illuminate, senza finestre. Nel seminterrato c'era un enorme archivio di ritagli. Lì c'era semplicemente tutto quello che era successo, anche se trovarlo non era facile. C'erano una volta i quotidiani. Scoprivano le cose. E ne dimenticavano altre.

Liquidato da alcuni come un film necessario, ma un po' troppo convenzionale, Spotlight è un oggetto molto più curioso di quanto non appaia a prima vista. Per essere un film sul più grande scandalo di pedofilia della Chiesa cattolica, è notevole quanto poco compaiano sullo schermo sia i bambini sia i preti. Non c'è nessun sadico bavoso in sottana, nessun paperino che piange nascondo rintanato in un angolo. L'orrore è del tutto verbale, riportato da vittime che non sono più bambini da un pezzo - uomini ingrassati, nervosi, non proprio quel genere di persona che ti muove all'empatia. Addirittura il regista sceglie di staccare prima che si mettano a piangere. È una scelta antispettacolare davvero inusuale: un film che invece di commuoverti vuole farti ragionare, pazzesco. Spotlight sulla carta si era scelto i cattivi più facili su cui infierire - i preti pedofili - e invece di segnare a porta vuota, decide di parlare d'altro: di giornalismo, soprattutto.

Buongiorno, sono una vittima. Non piaccio a nessuno. 
Spotlight parla di abusi dei minori ma potrebbe parlare di scommesse sul baseball, e lo farebbe con lo stesso stile procedurale e quasi documentario che tradisce il transito del regista in una delle officine più importanti e sottovalutate della fiction americana, Law and Order. Quei telefilm ubiqui senza scene d'azione o scene madri, tutti investigazione e procedura, che gratificano lo spettatore non tanto mostrando la punizione del cattivo, ma affermando che con tutte le sue imperfezioni, la Legge funziona e l'Ordine esiste. Come i detective e i magistrati di L&O, i giornalisti di Spotlight non hanno mai illuminazioni improvvise: non fanno che intervistare testimoni, passarsi informazioni, patteggiare con gli avvocati, spiegarsi le tecnicalità amministrative o giudiziarie. Certo, L&O va giù liscio che è un piacere in 40 minuti: confezionare due ore di investigazione senza annoiare invece è una sfida che forse McCarthy ha perso. In compenso è riuscito come pochi a descrivere una metropoli moderna, Boston, come una grande "piccola città": un organismo collettivo che convive col suo marciume interiore espellendo ogni tanto qualche "mela marcia", e che più dei suoi panni sporchi teme le minacce esterne (il nuovo direttore del Globe, ebreo e senza famiglia!)(continua su +eventi!)
Aspetta, forse ho sbagliato film.
Il momento storico è cruciale: nell'alba del secolo, la carta sta cominciando a cedere al digitale. Alcuni reporter non hanno ancora un cellulare: una fotocopiatrice accesa al momento giusto può valere uno scoop. Gli annuari stampati, gli immensi archivi di ritagli, tutto è ancora meravigliosamente analogico e cartaceo. Ma è un mondo agli sgoccioli. Il fastidio per il nuovo che avanza e non può più essere arginato è percepibile nel momento in cui crollano le Torri, e il team dei giornalisti è costretto a smembrarsi per seguire la Storia, mandando all'aria mesi di lavoro. È ironicamente proprio un prete sul pulpito a spiegare una delle possibili lezioni del film: no, dice, internet non ci ruberà il lavoro. Anche quando l'archivio diventerà grande come tutta la terra, e immediatamente disponibile, ci sarà sempre bisogno di sapere quel che davvero vuoi cercare. Dopo aver setacciato tutta la metropoli, il team investigativo del Boston Globe troverà le verità più scomode proprio nel proprio seminterrato. E il vecchio cronista scoprirà il nemico peggiore: sé stesso.

Spotlight si giocherà qualche oscar accanto a un film che gli somiglia come il gemello cattivo, The Big Short. A monte di entrambi c'è una sfida: raccontare al pubblico medio una storia importante e difficile. Completamente opposto è il modo in cui i due registi dispongono dei loro cast d'eccezione: McKay, il regista di Big Short, li lascia liberi di gigioneggiare a loro piacimento: McCarthy li mette al lavoro come se fossero onesti lavoratori di una fiction con un lavoro da portare a termine. Tanto è pessimista e sarcastico Big Short, tanto è composto e a suo modo epico Spotlight: il primo si guarda intorno disperato, accumula tentativi di spiegazioni e metafore inconcludenti. Il secondo regge la barra in mezzo alla tempesta e continua a dirti che ce la possiamo fare: il giornalismo può essere indipendente, può essere di qualità, può spiegarci le cose e migliorare il mondo. Anche per questo, più di Keaton o di Ruffalo il personaggio a emergere è il direttore, interpretato da Liev Schreiber e vicino all'ideale di boss che chiunque vorrebbe avere avuto - un tizio inflessibile e mite che ti propone un lavoro anche difficile, ti dà tutto il tempo che ti serve, e nel momento del dubbio ti dice le sole dieci parole che ti servono: non prendertela con te stesso, capita a tutti noi di brancolare nel buio per mesi e anni. Ma l'importante è ritrovare la luce, e tu stai facendo un ottimo lavoro. Sarà anche per questo messaggio, tutto sommato rassicurante, che Spotlight è piaciuto persino al nuovo cardinale di Boston.

O forse il fatto che i preti bavosi siano lasciati fuori dal cono di luce? Due anni fa, un altro film di denuncia come Philomena di Stephen Frears mi lasciò un gusto amaro: non avevo apprezzato l'apparizione finale di una suora mostruosa, l'incarnazione di tutto il male che fino a quel momento era stato soltanto descritto a parole: un modo un po' troppo facile, osservavo, di catalizzare l'indignazione del pubblico. Spotlight se non altro mi ha fatto capire meglio la scelta di Frears. È un film onesto, un film che non vuole tirar pugni allo stomaco ma spiegare quanto sia importante avere un giornalismo professionale, e direttori tutti d'un pezzo, alieni a qualsiasi condizionamento ambientale. Ma è pur sempre un film che parla di mostri senza neanche provare a mostrarne uno. Spotlight è al cinema Stella Maris - Moretta di Alba (21:00), al Fiamma di Cuneo (21:00) e all'Aurora di Savigliano (21:15).
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Gli abusi di don Inzoli, un po' abusi un po' no

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 Caro Corriere, cosa vuol dire "accusato"?
Dunque don Inzoli è stato scoperto tra gli spettatori del convegno omofobo patrocinato dalla Regione Lombardia, il che risulta imbarazzante per organizzatori e patrocinatori del convegno, perché don Inzoli è stato accusato di pedofilia. Tutto chiaro? No, non proprio.

Da un punto di vista mediatico, non c'è dubbio che l'identificazione di don Inzoli sia un grosso colpo per chi quel convegno lo stava osteggiando. Si tratta però di un'arma impropria che avrei pudore di impugnare: Inzoli è un privato cittadino che ha il diritto di andare dove vuole. E cosa significa che è "accusato di pedofilia", come molti organi di stampa hanno scritto il giorno dopo? Lo status di "accusato" non esiste in giurisprudenza, né dovrebbe essere ammesso dal buonsenso, specie quando l'accusa è così grave e infamante. Si è pedofili o non lo si è. Si è pedofili se si è stati indagati, processati, condannati: altrimenti no.

Tra il bianco e il nero è ammessa una sola sfumatura: si può essere indagati per pedofilia. È il caso appunto di don Inzoli, ma chi conduce l'indagine in questione finora è stato talmente discreto che fino a qualche giorno non ero riuscito a trovarne notizia on line (ringrazio chi mi ha aiutato). In questo caso però non solo dovremmo ricordare che siamo tutti innocenti fino a prova contraria, ma che indagini di questo tipo spesso si sono concluse con un nulla di fatto: se a molti probabilmente non dice più nulla il nome di don Giorgio Govoni, morto condannato e in seguito riabilitato, i casi di Brescia o Rignano Flaminio dovrebbero essere a portata di memoria collettiva. Si può essere indagati per tante cose, ma si è innocenti fino a prova contraria: e fino a prova contraria si è liberi di andare ai convegni; non si capisce nemmeno chi ci dovrebbe tenere fuori. Tutto chiaro ora?

No, nemmeno ora.

Il caso di don Inzoli è ancora più complicato. Dichiarandolo "accusato di pedofilia", i giornalisti semplificano per necessità una questione abbastanza spinosa. Inzoli in effetti è sia innocente che colpevole, una situazione in cui in Italia si può trovare soltanto un sacerdote. Innocente per lo Stato, Inzoli è colpevole per la Chiesa cattolica. La Congregazione della Fede si è già pronunciata sul suo caso non una ma due volte: nel 2012 e poi, dopo un ricorso, nel 2014, con una "sentenza definitiva" in cui si mette nero su bianco la formula "abuso di minori".

"In considerazione della gravità dei comportamenti - si legge nel documento a firma del cardinale Muller - e del conseguente scandalo, provocato da abusi su minori, don Inzoli è invitato a una vita di preghiera e di umile riservatezza, come segni di conversione e di penitenza".

L'"umile riservatezza" prescritta dalla Congregazione prevede che Inzoli non possa più celebrare messe in pubblico (può però consacrare l'eucarestia in privato, quindi è ancora un sacerdote). Non può risiedere nella diocesi di Crema e nemmeno "entrarvi", quasi che ai confini ci fosse ancora una guardia vescovile in grado di respingerlo. Non può attendere ad attività ricreative o pastorali che coinvolgano minori - una norma di buon senso - e deve intraprendere "per almeno cinque anni, un'adeguata psicoterapia", il che costituisce secondo me una notizia in sé (per la Chiesa la psicoterapia funziona! Chissà se gli psicoterapeuti sono tutti d'accordo).

Quindi, per questa grande e rilevante e autorevole comunità che è la Chiesa cattolica, don Inzoli non è "indagato", e nemmeno "accusato", ma è colpevole di gravi comportamenti e responsabile di uno scandalo provocato da abusi su minori. Per questo motivo non può più dir messa, circolare a Crema, e deve fare psicoterapia. Tutto qui? Tutto qui.

Ora i casi sono due: o ci fidiamo della Chiesa, o no. Chi tende a non seguire le sue direttive in materia di etica e sessualità forse dovrebbe prendere con le pinze anche le sue sentenze, che sono tutto quello che sappiamo: non conosciamo le motivazioni, gli atti, nulla. Solo una sentenza nel buio. Se capita ai tribunali della repubblica di condannare preti e laici e poi riabilitarli dopo anni, può succedere anche a questa Congregazione di cui non si sa poi molto.

Se invece ci fidiamo di quello che la Chiesa ci dice su don Inzoli, a questo punto vorremmo capire perché i suoi prudenti pastori, dopo averlo trovato colpevole di tanto scandalo, lo hanno lasciato libero di andare per le strade del mondo, purché fuori dalla diocesi di Crema: senza darsi pena di denunciarlo alle autorità dello Stato in cui vive: uno Stato che ha una sensibilità fortissima per gli abusi di questo tipo, e li sanziona con pene ben più pesanti di un ciclo di terapia. E infatti l'indagine della procura di Crema, quella di cui si sa così poco, è ferma alla fase della rogatoria internazionale. Per conoscere le prove che hanno portato la Congregazione a sospendere don Inzoli, i giudici di Crema hanno dovuto inoltrare una rogatoria in Vaticano. Tutto chiaro? Un prete commette abusi a Crema, un cardinale a Roma lo trova colpevole, un giudice a Cremona deve fare una rogatoria internazionale per scoprire il perché.

Se era un sistema per mettere a tacere la cosa, ha funzionato fino a un certo punto. Certo è impressionante quanto poco si sia parlato, fuori Cremona, di uno scandalo che ha coinvolto un prete già tanto potente e chiacchierato (in questo come in tanti altri casi Mazzetta resta un punto di riferimento prezioso e ormai unico). Allo stesso tempo, imprimere un segno indelebile di colpevolezza su un uomo e poi lasciarlo libero di intrufolarsi ai convegni poteva risultate alla lunga controproducente per la Chiesa che ancora rappresenta, e infatti così è stato. A tutti coloro che combattono quotidianamente contro le ingerenze del Vaticano suggerisco di desistere dal seguire a ruota ogni battutina di papa Francesco - le sta azzeccando tutte, fidatevi - e porre qualche semplice domanda: se un prete è innocente, perché non può più mettere piede in una diocesi? Perché non può più frequentare gli oratori? Se invece è colpevole, e di una cosa tanto grave, perché non lo avete denunciato a un tribunale vero?

Postilla: chiunque condividesse le idee di quel convegno, e ne avesse avuto a cuore la riuscita, e fosse stato presente, e abbastanza intimo con don Inzoli per chiedergli di andarsene per favore, lo avrebbe fatto. Se Formigoni non lo ha fatto, o non era così preoccupato della buona riuscita del convegno, o non è più in grado di farsi ascoltare nemmeno da un suo ex sodale caduto in disgrazia.
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Il paradiso dei demoni

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Ieri, dopo una breve udienza preliminare, è stato tolto il sequestro a un blog, Il giustiziere - la fabbrica dei mostri. Sappiamo finalmente (lo avevamo sempre sospettato) che il suo autore, Stefano Zanetti, non ha commesso alcun reato. E però il suo blog non lo abbiamo potuto leggere per tre anni: Google (che controlla Blogger.com) lo aveva reso irreperibile nel 2010, soddisfacendo la richiesta di magistrato che in attesa del processo preferiva che nessuno lo leggesse. Il processo c'è stato, tre anni dopo: è durato mezz'ora, e tra breve potremo di nuovo leggere i pezzi di Zanetti. Che non scriveva nulla di particolarmente pericoloso. Ma a partire dal 2007 aveva scelto di occuparsi, tra tante cose, dell'antipedofilo Massimiliano Frassi e del suo blog "l'inferno degli angeli", che oggi ha cambiato indirizzo (ma è rintracciabilissimo on line).

Anche a me era capitato di occuparmi e pre-occuparmi del blog di Massimiliano Frassi, sempre a partire dal 2007, in pratica dallo scoppio del caso Rignano Flaminio. Non in quanto esperto di pedofilia (non lo sono) ma in quanto lettore di blog; perché anche se in altri siti Frassi metteva in primo piano i suoi titoli e le sue competenze, sull'"Inferno" era soprattutto un blogger, con uno stile urlato e viscerale che ha più volte rivendicato. Bisogna dire che oggi questo aspetto si è un po' attenuato: il sito non ha più l'aspetto amatoriale degli anni di splinder, non ci trovi più immediatamente foto fuori contesto di bambini picchiati o feriti (spesso associati a fatti di cronaca in cui queste ferite e questi lividi non si sono mai trovati, ad esempio Rignano Flaminio). Ma è ancora un blog piuttosto forcaiolo. Non uso la parola con leggerezza: una delle prime immagini che ci ho trovato oggi è la seguente.


Ora, secondo me Frassi, quando dà conto di un processo a un catechista (la cui colpevolezza non è messa in dubbio nemmeno per un istante); quando avverte che "terremo il processo sotto stretta osservazione",  quando pubblica in calce l'immagine di un pinocchietto impiccato e ci fa notare che "la foto non è certo un'istigazione... né una speranza"... secondo me è in buona fede. Anche quando si premura di informarci che è contro la pena di morte, Frassi non percepisce nessuna contraddizione col pubblicare un cappio in homepage (che è comunque un grosso passo avanti rispetto a immagini assai più esplicite che pubblicava anni fa). Frassi non istiga al linciaggio, il suo pubblico devoto si indigna facilmente ma non uscirà mai nelle strade coi forconi. Frassi il linciaggio si limita a metterlo in scena. Impiccare i pinocchietti è una valvola di sfogo, il blog è una valvola di sfogo, è sempre stato così, un po' per tutti, senz'altro anche per me.

Il problema è che fino a qualche anno fa, sfogandosi, Frassi pubblicava foto di bambini malmenati, chissà da dove le prendeva; io in tanti anni di Internet non avevo mai visto foto di bambini malmenati prima di incappare nell'"Inferno".

L'altro problema è che Frassi non era soltanto il tenutario di un blog in cui sfogava in modo discutibile una rabbia fortissima contro degli indagati, senza mai preoccuparsi di aspettare che qualcuno li dichiarasse colpevoli o no: F. è anche l'autore di libri sull'argomento (tra cui uno porta il pomposo nome di Libro nero della pedofilia), il fondatore di una Onlus che sostiene di lottare attivamente contro gli abusi, facendo conferenze e "consulenze". In particolare la Onlus di Frassi fu coinvolta nei due casi più gravi: Brescia e Rignano Flaminio, che rovinarono la vita a decine di persone indagate per anni, a volte condannate in primo grado, e poi prosciolte. E non è tutto, io credo che rovinarono la vita anche a molti bambini a cui furono estorte fantasiose confessioni di riti sessuali, e a molti genitori che furono incoraggiati a estorcergliele, e che ancora oggi sono convinti che i loro bambini siano stati vittima di violenze. Il che in un certo senso è vero: quei bambini sono senz'altro stati vittima di violenze. Frassi ha giocato un ruolo in tutto questo, non spetta a me determinare quale. Ma ha giocato un ruolo.

Io non lo sapevo: lo scoprii leggendo il blog di Zanetti, che su Frassi e la sua organizzazione diventò in breve tempo una fonte preziosa. A Zanetti si deve anche il merito di averci spiegato che Frassi non è un personaggio isolato, ma che i suoi metodi e la sua concezione del problema (l'idea di una tentacolare lobby pedofila che sequestrerebbe e violenterebbe milioni di bambini in tutto il mondo) venivano da lontano: in particolare dal mondo anglosassone, dove episodi di psicosi collettiva come quelli di Brescia e Rignano si erano già verificati negli anni Ottanta. In particolare Zanetti aveva notato la collaborazione di Frassi con Ray Wyre, sedicente esperto di abusi rituali satanici, che aveva svolto simili consulenze in un caso scoppiato in Gran Bretagna. Queste cose in particolare sono ancora leggibili perché, quando sequestrarono il blog, io recuperai quel post e lo pubblicai sul mio. In calce al post comparvero dopo qualche giorno accuse infamanti a Zanetti, che scomparvero non appena allusi alla tracciabilità degli IP. Nel frattempo Frassi aveva telefonato all'Unità lamentandosi per via di un pezzo che avevo pubblicato su di lui; ma non mi ha mai querelato, perlomeno non mi risulta. Invece dopo qualche giorno un anonimo cominciò a chiamarmi pedofilo sul nodo romano di Indymedia, i cui amministratori malgrado le mie proteste decisero che siccome ero un borghese che scriveva sull'Unità un'accusa di pedofilia con nome e cognome su internet me la potevo anche tenere, al massimo mi concedevano la facoltà di protestare nei commenti. Poi cambiarono server e cancellarono tutti i commenti.

(Questo aspetto della storia c'entra sempre meno, però è abbastanza divertente): Un giorno, incazzato ma anche un po' incuriosito dalla permalosità degli indymediani romani determinati a rovinare la reputazione di un insegnante di scuola, presi un treno e andai a una loro riunione. Giusto per dire ehi, guardatemi, sono io, sono un nessuno che scrive su un blog, pensate sul serio che io sia un pedofilo? Ce la fate a dirmelo in faccia? Erano in una dozzina, la maggior parte ragazze, piuttosto ragionevoli, mi dissero che ci avrebbero pensato. Ma i maschi che gestivano il sito erano rimasti a casa a guardare la partita, e quando seppero s'incazzarono molto, e quindi l'insegnante di scuola media che prese un treno è rimasto un pedofilo.

Un'altra cosa che successe nell'estate del 2010 è che Frassi concesse un'intervista a un giornalista anonimo di un quotidiano on line poco conosciuto, dicendo in sostanza che la storia di Zanetti non gli interessava, lui aveva cose più importanti a cui pensare ("Preferisco parlare di cose più importanti che dare visibilità a certi anonimi soggetti"): poi Zanetti scoprì che quell'intervista era stata scritta da Frassi stesso, che si faceva le domande e si rispondeva annoiato. Frassi però in quell'occasione si lasciò forse un po' andare e scrisse su Zanetti cose infamanti, per le quali Zanetti a sua volta lo denunciò. La coincidenza curiosa è che ieri, mezz'ora dopo l'archiviazione delle accuse a Zanetti, Frassi è stato rimandato a giudizio. Se è colpevole di diffamazione lo sapremo nel 2015.

Nel frattempo la vita va avanti, il suo blog è ancora molto seguito, alcune amministrazioni lo invitano ancora a fare lezioni su come si combatte la pedofilia. Dopo Rignano Flaminio però non sono più scoppiati casi di abuso rituale satanico in Italia. Negli ultimi anni sono state arrestate diverse educatrici con l'accusa di avere malmenato bambini: in tutti quei casi, li ricorderete, le violenze sono state documentate mediante video. Intanto è stata fissata la data per il processo d'appello di Suor Soledad, accusata nel 2006 di violenza sui bambini nell'asilo di Vallo della Lucania e condannata in primo grado. Frassi non si fa scrupolo di definirla "suora pedofila" e di corredare il suo post con questa immagine che ricorda un po' i vecchi tempi del blog su Splinder:



Devo dire che dopo tanti anni e tante avventure, in fondo a tutta l'indignazione, la preoccupazione, ecc., prevale ancora un genuino senso di sorpresa, per il modo in cui una persona che vuole accreditarsi come esperto di un argomento serissimo (la pedofilia) decide di presentarsi nel suo blog: orsetti e fotogrammi di film dell'orrore, una specie di smemoranda per adulti. Nel 2007, quando lo lessi per la prima volta, fui molto stupito dal fatto che si definisse "Il secondo blog più letto in Italia dietro l'inarrivabile Beppe Grillo", una nozione che non mi risultava (e in seguito infatti è scomparsa). A quel tempo c'erano già tante classifiche, chi ci fosse dietro e davanti Beppe Grillo pensavo di conoscerlo. Ma forse mi sbagliavo.

Con gli anni forse ho capito che in Italia ci sono state due civiltà di blog: la prima è cominciata più o meno nel 2001, ha avuto una fase di espansione intorno al 2003, e poi ha continuato a vivacchiare fino a oggi in siti come il mio. La seconda è cominciata con beppegrillo.it, che ha scatenato emulatori che oggi sono diventati a loro volta blog importanti. Questa ondata di blog grillini mi è un po' arrivata addosso senza che me ne accorgessi: ogni tanto mi imbattevo in uno di loro, e non riuscivo a capirlo. L'approccio viscerale, l'abitudine a mettere in scena linciaggi, la passione per le immagini e i fotomontaggi trash, l'anti-intellettualismo esibito (chiunque li critichi è uno snob o un radicalscic); e, dal punto di vista dei contenuti, la chiamata alle armi contro un complotto mondiale che ci impoverisce, ci fa ammalare con le scie chimiche, non vuole che fuggiamo quando stanno per venire i terremoti, e ci violenta i bambini. Tutto questo era intorno a me, sugli stessi server su cui giravano le mie parole, ma ci ho messo veramente troppo tempo a riconoscerlo, e mi dispiace.
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Ribadisce la sua incompetenza

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Io ero un po' perplesso, ma alla fine mi hanno intervistato su State of Mind (giornale delle scienze psicologiche) a proposito del caso di Rignano Flaminio. Sono sicuro che c'è molta gente che ne sa più di me sull'argomento, compreso un blogger a cui hanno sequestrato il sito. Due anni fa. E non glielo rendono. È una cosa che mi rende più difficile star zitto, diciamo.
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Bonini vs Bonini

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Io ora farò una cosa facile e antipatica. Affiancherò su due colonne due articoli di un giornalista di Repubblica che stimo, Carlo Bonini, scritti a cinque anni e un mese di distanza: in mezzo c'è tutto l'iter giudiziario del caso Rignano Flaminio.
Lo farò per un ovvio spunto polemico: in quei giorni Repubblica sposò tesi colpevoliste che furono condivise anche dal famoso ceto medio riflessivo, che certe volte potrebbe riflettere un po' più a lungo. Ma lo farò anche per una curiosità umana. Tra un pezzo e l'altro c'è un'inversione a U che secondo me non deve essere additata come una vergogna. C'è qualcosa di eroico in un italiano che cambia idea, e in un giornalista che cambia idea, e Bonini è un giornalista italiano. Sarebbe ancora più eroico se volesse spiegarci come ha fatto a cambiarla: perché cinque anni fa la pensava in un modo; cosa gli ha fatto capire di essersi sbagliato, come si è sentito, come si sente adesso. Potrebbe essere una testimonianza importante per tanti Fonzarelli che il coraggio ancora non lo trovano. Ecco qui.

Pelouche, narcotici e "giochi" / così l'accusa racconta l'orrore

di CARLO BONINI (27 aprile 2007, dalla prima pagina)


ROMA - Le voci dei bambini - sedici - e i loro disegni. Il loro quadro psichiatrico. Cento pupazzi chiusi in sacchi di plastica, ammucchiati nel ripostiglio di un terrazzo. Una piscinetta abbandonata in un giardino. Molecole di farmaci "neurologico-sedativi" ("clonazepam" e "diazepam") nei capelli di due bimbe. 

I referti medici dell'ospedale Bambino Gesù. "Formazioni pilifere e tracce di altre sostanze organiche" nella Fiat 500 rossa di una delle maestre (Marisa Pucci) e dvd, e cd, e cassette Vhs, e hard disk di computer fissi e portatili della cui natura dirà un futuro incidente probatorio. Le testimonianze di due agenti della polizia municipale e di una colf. 

Nel perimetro giudiziario che, al momento, definisce e attribuisce le responsabilità per gli orrori della "Olga Rovere", il gip Elvira Tamburelli e il pm Marco Mansi declinano il quadro indiziario con la certezza dell'indicativo. La pietra angolare dell'istruttoria - documentano nell'ordinanza di custodia cautelare - è in ciò che i bambini riferiscono prima "ai loro genitori" e quindi nell'"esame scientifico" ("test di Roscharch, disegno della figura umana di K. Machover, questionario Ceipa, test dell'albero di K. Koch; disegno della famiglia reale di M. Porot") condotto dalla dottoressa Marcella Battisti Fraschetti, consulente psichiatra del pm. 

E' nei "riscontri obiettivi" che questi racconti hanno trovato con "i luoghi dell'abuso", con "l'identificazione dei responsabili". E' in un argomento logico-deduttivo. Quel che i bambini e i loro genitori hanno detto "non può essere frutto di mitomania e fantasticheria", perché "l'abuso è fenomeno denunciato in modo analogo da nuclei familiari completamente diversi, socialmente e culturalmente". "Perché i bambini, vista la loro piccolissima età, non hanno la malizia per organizzare una versione comune". 

I bambini, dunque. Per come è ricostruita, la violenza ha uno schema fisso. Durante l'orario scolastico, i bambini vengono fatti uscire in piccoli gruppi dal retro della "Olga Rovere". Invitati a percorrere a piedi un breve tratto di sterrata e quindi caricati su "un'auto rossa". Accompagnati nelle case di una delle maestre (con maggiore frequenza in quella di Patrizia Del Meglio) e quindi abusati da chi li attende. Quando questo non è possibile, le violenze si consumano all'interno della scuola. Nei bagni, nel cortile, in uno sgabuzzino che si apre in fondo ad uno dei corridoi su cui affacciano le aule. Gli abusi vengono descritti con precisione. Ciascuno ha un nome. "Il gioco della patatina"; "del dito a punta"; "della penna azzurra"; "del tavolo"; "dello scatolone"; "della mamma e dei figli"; "del dottore"; "del lupo e dello scoiattolo". Scrive il gip: "Le vittime erano costrette a pratiche sessuali spesso cruente, valendosi anche di iniezioni o inoculazione di narcotici e sostanze varie (...) Le vittime venivano riprese e fotografate". I loro carnefici "effettuavano riti di sangue e violenza con chiari richiami a pericolosi rituali di sette sataniche: maschere, vestizioni da diavoli o conigli neri, cerchi di fuoco, croci, cappucci". 

Né il gip, né il pubblico ministero, né i carabinieri della compagnia di Bracciano hanno mai incontrato i bambini di Rignano. Del loro esame da parte della consulente del pubblico ministero non esiste registrazione. Il loro racconto - nei casi in cui ne è conservata traccia - è documentato dagli appunti presi dai loro genitori. In tre casi, da videoregistrazioni domestiche. Il gip avverte la difficoltà del passaggio. Scrive: "Della credibilità e affidabilità dei racconti dei genitori non è motivo dubitare. E' anzi apprezzabile il loro sforzo di rispettare il più possibile le modalità logiche ed espressive dei bambini. Né inficia in alcun modo l'affidabilità delle loro denunce la circostanza che i genitori si siano ad un certo punto confrontati su quanto andava emergendo". 

Certo, resta il problema del metodo di lavoro della dottoressa Marcella Battisti Fraschetti. Ma la spiegazione che la consulente del pm fornisce è ad avviso del gip sufficiente per mettere in un canto ogni dubbio: "I bambini sono ancora nella fase acuta della disorganizzazione del pensiero e questo non ha reso possibile di poter procedere a forme di registrazione, ai cui tentativi i minori hanno opposto un deciso e netto rifiuto". 

I referti obiettivi di cui conta l'istruttoria sono quelli medico-pediatrici. Uno soltanto - redatto al Bambino Gesù - documenta cicatrici nella carne ("la presenza di "setto" dell'imene" in una delle bambine), pur senza trarne conclusioni univoche ("conformazione congenita? esito cicatriziale?"). Gli altri, accertano un'infezione genitale rara ("anite rossa") o ferite profonde della psiche. "Reazione di ansia, con irrigidimento del corpo, al momento della visita ai genitali, con immediata erezione"; "balbuzie emozionale"; "aggressività inesplosa"; "ipercinetismo". 
Nell'argomentare del gip, la sproporzione tra la descrizione delle violenze e l'assenza di significative cicatrici fisiche è argomento aggirabile con l'incertezza sui tempi in cui gli abusi si sarebbero consumati. Verosimilmente tra il 2005 e l'autunno dello scorso anno. 

E, nell'ordinanza, l'argomento viene puntellato con l'esame tossicologico sui capelli di due bambine. Gli investigatori scelgono quelle che li hanno più lunghi, "tali da consentire una loro analisi retroattiva al 2005-2006". In quelle ciocche, i laboratori fissano tracce di "benzodiazepine". I sedativi dei racconti dell'orrore - chiosa l'accusa - I sedativi che una delle arrestate, Patrizia Del Meglio "ha negato di aver mai assunto durante il suo interrogatorio con il pm", ma che, "al contrario, dopo un ricovero per crisi depressive, acquistava in una farmacia diversa da quella di Rignano, assumeva con prescrizione medica e nascondeva in casa". 

I racconti dei bambini e il loro esame medico-psichiatrico fermano il tempo dell'inchiesta al giorno in cui è cominciata - luglio 2006 - e al successivo autunno del "blitz", quando si è arricchita di nuove denunce. Dunque, cosa è accaduto in questi nove mesi in cui gli indagati sono rimasti in quotidiano contatto con le loro presunte vittime? E perché arrestarli soltanto martedì? Il gip dà atto che non molto è accaduto. Che, allo stato, non sono state trovate né foto né video degli orrori. 

Scrive: "I servizi di osservazione degli indagati non consentivano un'efficace controllo per la carenza di personale dell'Arma, né risultati utili sono venuti dall'attività di intercettazione telefonica". 

Quel che dunque salta fuori è questo. In un ripostiglio della casa di Patrizia Del Meglio, erano stipati in sacchi di plastica "maschere, vestiti" e 100 pupazzi che i bambini "hanno riconosciuto come quelli utilizzati durante i giochi erotici, riuscendo anche a collocarli nei diversi locali della casa". E dove, "al contrario di quel che l'indagata afferma", "i bambini venivano portati". Simona Baldoni, colf della Del Meglio dal 1999 al 2001, ricorda due singoli episodi. Aver "sorpreso" la signora, "in una occasione", rientrare da scuola con alcuni dei suoi piccoli alunni. Aver osservato sullo schermo del pc del marito, Gianfranco Scancarello, "foto di maschietti e femminucce con grembiulini rosa o celesti, che mi venne detto fossero per lo Zecchino d'oro". 

Parlano anche altre due donne: Elisabetta Palamides e Nadia Di Luca, agenti della municipale di Rignano. Nel maggio-giugno 2006 sorprendono "un gruppetto di bambini della "Rovere" fuori dalla scuola". Chiedono dove se ne stiano andando da soli. Gli viene risposto: "In gita alla fattoria. Aspettiamo il pulman". "Quel giorno - scrive il gip - è stato accertato che non c'era alcuna gita alla fattoria". Parlano infine, "confermando i racconti dei bambini", i colori. Meglio, un colore: il rosso. "Rossa era l'auto Suzuki che aveva la Del meglio nel 2001". "Rossa è la Fiat 500 della maestra Marisa Pucci". "Rossa è la vasca chicco a forma di conchiglia" trovata nel suo giardino di casa. 
Per il gip ce ne è abbastanza per aprire le porte di un carcere. Anche a distanza di nove mesi dall'accertamento dei fatti. Le motivazioni non prendono più di una cartella e mezzo. Indubbiamente - scrive - "non si ravvisa un pericolo di fuga", ma "i reati commessi sono gravissimi. 

Esiste un concreto pericolo di inquinamento delle prove, a cominciare dai bambini, facilmente condizionabili e noti agli indagati. Il presidente dell'Associazione genitori di Rignano Flaminio, Arianna Di Biagio, e la segretaria, Antonella Paparelli, hanno subito minacce da ignoti". 

Troppe suggestioni e niente prove / così è crollato il teorema dei pm

29 maggio 2012 —   pagina 25   sezione: CRONACA
ROMA - Non esistevano dunque né orchi, né streghe nella scuola per l' infanzia "Olga Rovere". I sei sventurati, inquisiti e come tali processati, sono un abbaglio da psicosi e contagio collettivi. 

I ventuno bimbi che si volevano abusati o comunque "esposti" a un trauma sessuale di nessuna violenza sono mai stati vittime. E la storia di una catastrofe processuale, umana, civica, arriva così al suo inevitabile compimento. Con un' assoluzione che prende atto con coraggio e limpidezza di un vuoto probatorio macroscopico. Che mette a nudo l'ostinazione di una Procura della Repubblica e di un ufficio gip che pur di non riconoscere i propri errori, di non arrendersi all' evidenza contraria del fatto che si intendeva provare, hanno trasformato questa storia in un' interminabile ordalia che ha schiantato per sempre le vite di chi ne è stato inghiottito. 

Ventuno bambini che hanno consumato e continuano a consumare la loro infanzia (avevano 4 anni quando questa storia è cominciata, ne hanno oggi 10) tra psico-terapeuti e visite ginecologiche, necessarie ad esplorare gli anfratti della loro psiche e dei loro corpi. 

Le loro famiglie, che hanno finito per convincersi di essere state vittime di un orrore al punto tale da non riuscire oggi a provare sollievo nell'apprendere che così non è stato. Quattro donne e due uomini che hanno perso tutto. Il lavoro, gli affetti, la dignità e che continueranno ad essere inseguiti fino all' ultimo dei loro giorni dal sospetto infame di essere in fondo quei pedofili che «un tribunale di merda» (come gridava ieri pomeriggio qualcuno alla lettura del dispositivo della sentenza) non avrebbe avuto il coraggio di condannare. 

Eppure, a questa catastrofe si sarebbe potuti non arrivare. Perché i suoi inconfondibili indizi erano sotto gli occhi di tutti già in quel lontano aprile del 2007. Solo a volerli vedere. Perché quando ai sei indagati vengono strette le manette ai polsi appare già chiaro quello che il tempo renderà ancora più nitido. E che una sentenza del Tribunale del Riesame prima (10 maggio 2007) e una pronuncia della Cassazione poi (18 settembre 2007) provvederanno a documentare con parole inequivoche. «L' accusa nei confronti degli indagati - scrivono quei due primi "giudici terzi" nel motivare il perché gli indagati non debbano restare in carcere un minuto di più - non trova riscontri esterni alle dichiarazioni dei bambini». Non una testimonianza, non una prova documentale (che sia l'oscenità di una foto, di un diario, di un file custodito in qualche computer) o un' intercettazione telefonica. 

Non un' evidenza medica sui corpi dei piccoli, non una traccia biologica sugli oggetti maneggiati dagli "orchi" o nei luoghi indicati come teatro dei loro indicibili riti (peluche, automobili, abitazioni degli indagati). Per giunta, non il ricordo di un genitore che pure avrebbe dovuto accorgersi delle tracce di violenza (e che violenza) sul proprio figlio. 

«L'istruttoria fa una indebita confusione tra indizie prove» e «la forte pressione dei genitori sui minori» non consente di escludere «un contagio dichiarativo», scrive allora la consigliera di Cassazione Claudia Squassoni. Non un giudice qualunque, ma un'autorità in materia di diritti dei minori e tra e le autrici della "Carta di Noto" sui diritti dell' infanzia violata. Ma c'è di più. La discovery degli atti istruttori compiuti dal pm Marco Mansi documenta con quale approssimazione si è lavorato sui racconti dei bambini. 

Marcella Fraschetti, la consulente scelta dall' accusa per raccogliere e valutare significato e rilevanza delle parole di bimbi tra i 4 e i 5 anni, è, almeno in origine, laureata in scienze politiche ed è alla sua prima esperienza in un caso di questa portata. Al punto che di quel suo primo, cruciale lavoro di raccolta delle testimonianze, non provvede a conservare alcuna traccia né filmata, né fonica. «Quando mi chiamarono i carabinieri per incaricarmi - racconterà durante la sua deposizione al dibattimento - pensai a uno scherzo». 

Già, i carabinieri. Sono i militari della stazione del lago di Bracciano quelli che lavorano al caso. Non esattamente una polizia specializzata. Al punto che non hanno la forza né di opporsi, né di far desistere quei genitori che hanno filmato e continuano a filmare "interrogatori domestici" ai propri figli in cui chiedono di raccontare e mimare gli abusi. Al punto da convincersi che nel mazzo dei sospetti vada certamente infilato un benzinaio cingalese, Kelum De Silva (arresteranno anche lui). Che con la "Olga Rovere" non ha nulla a che vedere. Ma di sfortune le ha tutte. Il colore della pelle. Il mestiere che fa. La cattiva idea di esibirsi in una linguaccia, pensando di strapparle un sorriso, con la bambina che è a bordo della macchina cui in un giorno d'estate sta facendo il pieno di benzina. Diventa «l'uomo nero» e si fa 15 giorni a Rebibbia (prima di essere "archiviato" nel febbraio 2010). Dove conosce l' inferno riservato a chi entra in una galera con l' accusa di aver stuprato innocenti. 

E dove l'umiliazione può anche essere quella che conosce Patrizia Del Meglio, maestra di mezza età, che, in due settimane, verrà sottoposta, senza alcuna comprensibile ragione, a tre visite ginecologiche nella medicheria del carcere. In realtà, l' inchiesta sulla "Olga Rovere" è chiusa già il 28 luglio del 2008, quandoi 21 bambini, per un anno, saranno sottoposti al calvario di un incidente probatorio che deve fissare a futura memoria i demoni che li tormentano. 

Nessuno, a quel punto, ha il coraggio di fermare un treno che è evidente andrà a deragliare. La magistratura si convince che il «processo è dovuto». Anche se due anni di processo a porte chiuse non portano una sola prova o un riscontro che sia uno. Diventano solo un crudele redde rationem tra adulti. Che, purtroppo, non finirà neppure con questa sentenza.
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Non si esce dal Castello

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ll tribunale di Tivoli ha assolto con la piu' ampia delle formule le tre maestre, una bidella e un autore televisivo per le vicenda legata ai presunti abusi sessuali che sarebbero stati compiuti su 21 bambini della scuola materna 'Olga Rovere' di Rignano Flaminio nell'anno scolastico 2005-06 (Cerazade)

Sipario sul processo per il dannato caso dell'asilo Olga Rovere di Rignano Flaminio: IL FATTO NON SUSSISTE, quegli orrendi abusi sessuali pedosatanisti ritualizzati non sono mai avvenuti ai danni dei piccoli alunni, nessuno li ha mai toccati nelle parti intime, trascinati in case dell'orrore o costretti a bere pozioni di sangue. (Giustizia intelligente)

Quando un lungo processo finisce con un'assoluzione, si pesca spesso nel frasario giornalistico l'espressione "è la fine di un incubo". Non è questo il caso. Posto che non esistono risarcimenti per un incubo durato cinque anni, i cinque innocenti di Rignano Flaminio non ne saranno mai completamente fuori. Ci sarà sempre qualcuno che dubita, qualcuno che la sa lunga, qualcuno che ha letto delle cose. Ma loro almeno sono adulti, in un qualche modo andranno avanti. Poi ci sono i bambini. Se avevano quattro anni nel 2006, adesso ne hanno dieci. Per quanto si possano essere disinteressati della faccenda, ogni tanto del processo avranno sentito parlare. Oggi, per esempio, quando le troupe dei telegiornali si concederanno un altro giro - stavolta un po' più breve, perché un'assoluzione con formula piena non è poi questa notizia, vuoi mettere con il linciaggio di cinque anni fa?

Quei bambini conservano probabilmente qualche ricordo di un abuso - vero o falso, non ha nessuna importanza. L'unico passato che esiste per noi è quello che tratteniamo nella nostra memoria; un fatto falso che ricordiamo come vero segna la nostra vita molto più di un'esperienza reale che abbiamo dimenticato. Se quei ragazzini credono ancora di essere stati vittima di abusi, essi sono stati vittima di abusi. L'incubo per loro non finisce certo oggi. Forse col tempo ricorderanno meglio, succede anche questo: non sarebbe la prima volta che a distanza di anni ex vittime raccontano di essersi inventate tutto. Ma a quel punto potrà subentrare il senso di colpa, la percezione di avere incastrato con racconti di bambini cinque persone innocenti. L'incubo si allungherà un altro po'. Potrebbero metterci anni a perdonarsi per qualcosa che non hanno fatto, per qualcosa che i grandi li hanno costretti a dire. Io non credo negli abusi del castello cattivissimo, ma sono convinto che quei bambini siano vittime di qualcosa di orribile e di perverso, che purtroppo non finisce oggi. Gli "esperti", i "consulenti" che hanno convinto i loro genitori dell'esistenza di una setta pedofila annidata nella loro scuola materna, sono ancora in circolazione. Massimiliano Frassi fa ancora conferenze. Le premesse sulle quali si basa sono ancora le stesse, e purtroppo sono condivise dagli inquirenti che per cinque anni hanno mandato avanti un processo senza una sola prova: i bambini non mentono mai. Cioè, forse quando si tratta di sottrazioni di biscotti nella dispensa, ecco, in questo caso a volte sì, possono mentire... ma non quando si tratta di cose gravi. Più sono gravi, meno possono mentire. Di conseguenza, se raccontano qualcosa di enorme, ciò può essere acquisito come prova in sede di dibattimento. Il risultato delle consulenze di Frassi lo abbiamo visto a Brescia e a Rignano: lunghi processi, vite rovinate, zero condanne. La settimana scorsa Frassi ha tenuto un corso per operatori delle forze dell'ordine.

Chi cominciò a seguire il caso di Rignano, cinque anni fa, dovette subito scegliere da che parte stare. O c'era una lobby satanica operativa sul territorio, perfettamente organizzata, in grado di gestire abusi collettivi nell'orario scolastico, o c'era una psicosi collettiva. Per molti, anche in buona fede, la psicosi collettiva era un'ipotesi meno credibile della gang pedosatanica che fa la spola col pulmino tra la scuola materna e il castello cattivissimo. Una psicosi del genere non si è mai vista, dicevano. E invece era stata soltanto trent'anni prima negli Stati Uniti, vent'anni prima in Gran Bretagna, qualche anno prima in Francia. Non c'è che da augurarsi che i casi di Brescia e Rignano siano per noi quello che è stato il caso D'Outreau per i francesi, il caso McMartin per gli americani, i casi Broxtowe in Gran Bretagna: il momento in cui gli inquirenti prendono atto che le psicosi esistono, e cambiano approccio al problema. Io sono ottimista, tengo la tv accesa e di gang pedosataniche non sento più parlare. Di violenze negli asili purtroppo sì, ma fateci caso: gli ultimi casi hanno tutti in comune la prova video. Le educatrici processate negli ultimi anni per aver picchiato i bambini, lo avevano fatto davanti a una telecamera nascosta. Sarà un caso, ma il movente pedosatanico è sparito dalla circolazione.

Qui sotto, per completezza, la piccola parte della storia che mi riguarda personalmente. Quello che forse mi spinse a interessarmi di una faccenda fu l'aspetto e il tono del blog di Frassi, che presentandosi come esperto pubblicava immagini discutibili, di violenze decontestualizzate, lasciandosi andare un po' troppo spesso a fantasie di linciaggio. Fu grazie a un altro blog, Ilgiustiziere, che scoprii che Frassi aveva rapporti diretti con Ray Wyre, un 'consulente' che aveva avuto un ruolo nella caccia alle streghe pedosataniche negli USA e in Gran Bretagna. Due anni fa ilgiustiziere fu chiuso su richiesta di un GIP che sospettava che contenesse materiale diffamatorio nei confronti di Frassi. Non sapremo mai se il sospetto si è concretizzato, fatto sta che un sospetto del genere è bastato per chiudere un blog, un blog bello e mortalmente serio, sulla stessa piattaforma che sto usando io. Da lì in poi ho fatto backup più spesso.

In cinque anni sono successe tante cose; io per esempio ho messo su famiglia, cosa che, dicevano, mi avrebbe fatto cambiare idea su tutto quanto. Per ora non ho cambiato idea. Sono ancora profondamente incazzato per gli innocenti che si sono fatti cinque anni di processo, per i bambini convinti di essere stati abusati, per i loro genitori che se ne sono convinti e che li hanno aiutati a convincersi; mi vergogno di vivere in un paese dove processi del genere si allungano per cinque anni, e i blog si sequestrano per un sospetto. L'incubo per me non finisce qui, non credo che debba finir qui per nessuno.
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Pedoprete è chi il pedoprete fa

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Dai che ancora per due ore è gennaio, faccio in tempo a postare il mio fondamentale contributo sull'annosa questione: ma Don Giovanni Bosco non era per caso uno di quei preti pedofili?


Ma no. E comunque, che razza di domanda è? Sul Post, ovviamente.


31 gennaio – San Giovanni Bosco (1815-1888), fondatore dei Salesiani.
Una sagoma, effettivamente
Anche nella santità la tempistica conta tantissimo. Prendi Don Bosco. Fosse nato a inizio Novecento, sarebbe stato il Don Milani delle Langhe, o più probabilmente il Don Zeno Saltini di Porta Palazzo: osteggiato dai vescovi, sgomberato dai carabinieri, prima o poi se ne sarebbe partito col suo esercito di orfani di guerra a fondare un kolchoz da qualche parte nella bruma: oggi sarebbe una figurina dell’Album Novecento di Walter Veltroni e nessuno oserebbe parlarne male. Fosse nato a metà del secolo scorso, Don Bosco sarebbe nostro contemporaneo, un misto di don Mazzi e don Ciotti, sempre in tv a parlare di sfruttamento minorile e narcotraffico. Ma don Bosco è un uomo dell’Ottocento, e i santi di quel secolo in particolare sono duri da mandar giù. C’è da fare la tara alla retorica dei tempi, bisogna far finta di non vedere i maneggi del suo amato Pio IX; ci vuole un po’ di pelo per apprezzare la sua pedagogia, i suoi apologhi terrorizzanti a base di bambini cattivi che finivano male. Eppure aveva capito che la delinquenza e il bullismo sono determinati dall’ambiente, e che se i piccoli spazzacamini la domenica non sanno cosa fare, nulla impedirà loro di usare i loro skills professionali per svaligiare le case dei signori; che insomma se si vuole una società più onesta tutto sta nella prevenzione: davvero non male, per un contemporaneo e conterraneo del professor Lombroso. Poi, naturalmente, i parametri con cui si giudicava un santo nell’Ottocento non sono gli stessi che adoperiamo oggi. Magari se fosse un contemporaneo sarebbe nei guai, Don Giovanni Bosco. Un secolo può anche fare la differenza tra un processo per canonizzazione e un processo per pedofilia.
Di tante fiabe sorte intorno a Don Bosco, quella della pedofilia è relativamente recente: è un classico esempio di proiezione del presente nel passato, come certe docufiction in cui si cerca di risolvere un giallo del passato (chi ha ucciso Tutankhamon?) con gli strumenti del presente (facciamo una TAC alla mummia, dai). In mancanza di preti pedofili da processare, prendiamo un prete famoso dell’Ottocento che ha passato tutta la sua vita a contatto coi fanciulli, e vedrai che qualcosa si trova… In ogni caso, sottolineamolo bene, è una fiaba come tante, basata su indizi evanescenti come la prosa di Ceronetti. Quando negli anni Ottanta si attentò a pubblicare un paio di pettegolezzi su Don Bosco, i tipografi della Stampa  (“più salesiani che comunisti”, chiosa Cazzullo) minacciarono lo sciopero: Ceronetti comunque non butta mai via niente e adesso i suoi Elementi per una Antiagiografia stanno da qualche parte in Albergo Italia, Einaudi, 1985. Anche con gli scrittori la tempistica è tutto: se nell’Ottocento il preziosismo lessicale di Ceronetti sarebbe comunque apparso finto come l’ottone, nel Cinque-Seicento il tizio non avrebbe sfigurato come Inquisitore: vedi come si arrabatta a cercare infamie su Don Bosco e non ne trova, così è letteralmente costretto a fabbricarsele con… l’oroscopo e la grafologia. Ce ne vuole a misurarsi con Don Bosco e apparire più superstiziosi di lui, ma Ceronetti si applica:
Credo simulasse l’allegria, in profondo senza mai esserlo, come un autentico clown anche in età matura, avendo Saturno il Malinconico nel tema astrale leonino, e la Luna Nera (Ceronetti consultando gli astri è in grado di dirvi se siete allegri o fate finta: poi uno se la prende con Melissa P).
Riguardo alla grafologia, potete avere qualsiasi opinione (continua…)
Riguardo alla grafologia, potete avere qualsiasi opinione - specie adesso che i CV si stampano e non capita più di perdere un’occasione di lavoro perché le vostre zeta ostentano un trattino sospetto. Ma per dedurre anche un solo sospetto di pedofilia dalla perizia grafologica di Girolamo Moretti bisogna lavorare di fantasia (ed è la nostra fantasia al lavoro, attenzione: chi vede pedofili da tutte le parti trecento anni fa avrebbe visto gli untori). Padre Moretti, autorità nel campo, si limitava a constatare nelle pieghe della grafìa di Bosco “una insincerità così bene architettata da rovinare un’intera generazione”. Non gli avevano detto che si trattava di una lettera di Don Bosco, chissà l’imbarazzo poi. Mi domando comunque cosa avrebbe detto Padre Moretti delle noticine che scribacchio io sui temi dei miei ragazzi, con una calligrafia del tutto diversa da quella che uso per i miei appunti: sicuramente constaterebbe l’ipocrisia e un affettato tentativo di scimmiottare l’ingenuità infantile, quando semplicemente sto lavorando e faccio il possibile per farmi leggere dai miei teneri agnellini, le mie future giovani capre. Che don Bosco fosse insincero non c’è dubbio: era un simulatore, un affabulatore, un manipolatore. Studiò retorica e teologia, ma furono i giochi di prestigio a farlo avvicinare ai giovani spazzacamini di Porta Palazzo. Probabilmente non smise mai veramente coi suoi trucchi, li congegnò sempre più arditi: sogni, miracoli, visioni, lotte coi demoni, non si è mai fatto mancar niente. Minacciava morti a destra e a manca, bastava che ne morisse uno ogni quattro o cinque per incassare il credito di profeta. Quando i liberali piemontesi sciolsero gli ordini religiosi e incamerarono i beni, vaticinò qualche funerale in casa Savoia e ci beccò, da allora in certi ambienti non si scherza più tanto su don Bosco. Ne ha sparate di grossissime. Andava in giro a dire di aver convertito Victor Hugo, durante due colloqui ovviamente segreti. Di vero c’era che Hugo lo conosceva e lo stimava sinceramente, forse riconoscendo in lui un personaggio grande come la vita e come il secolo, che non avrebbe sfigurato tra i suoi Miserabili: Ceronetti invece no, Ceronetti è stizzito perché i salesiani fanno le chiese moderne di cemento con gli altoparlanti, e si vendica raccontando in giro che il loro fondatore è un pedofilo. Testimonianze che lo inchiodano:
C’è un documento iconografico notevole di questa “affettività del languore”: la confessione, davanti al Fotografo, in bella posa, del chierichetto Paolo Albera, tra altri preti e ragazzi. Don Bosco aveva voluto che gli poggiasse la fronte sull’orecchio.
"Ha la fronte sull'orecchio, Tana-Gay!"
In realtà Albera ha semplicemente ammesso che la foto era una messa in scena (ti pare che un prete confessi un ragazzino in mezzo a una folla), il che dimostra l’abilità del giovane prete anche nel porsi di fronte a questa nuova invenzione, l’apparecchio fotografico… però Ceronetti capisce quel che vuol capire, quel che ha già in mente. Ora, non voglio mica negare che ci siano preti disonesti. In generale i pedofili tendono a scegliere professioni che consentono loro di rimanere soli coi bambini: non solo sacerdoti, ma in generale istruttori ed educatori. Identificarli non è semplice, ma in generale credo di poter dire che non sono quelli che si accontentano di un petting fronte-orecchio davanti a un fotografo: però Ceronetti non ha saputo trovar di meglio e allora ha scritto questa cosa qui:
Questo intenerimento non andava che ai “giovanetti”; aveva un vero orrore del contatto femminile. Vedendosi una volta insaponare la faccia dalla moglie del barbiere, scappò via insaponato dalla bottega. (Noli me tangere in versione torinese).
Il che potrebbe anche voler dire il contrario: che le donne lo attiravano, e che non poteva permettersi di abbassare le difese, per di più col ruolo pubblico che rivestiva, la Curia che diffidava di lui, i liberali che lo malsopportavano, i Savoia coi morti freschi, e tu ti metti in vetrina con una donna che ti vellica le gote? siamo nell’Ottocento, non ci sarebbe neanche bisogno di scomodare l’inconscio: un prete di strada non si fa toccare da una donna davanti a tutti. C’entra qualcosa con la pedofilia? Dipende: se siamo alla ricerca di pedofilia, ogni indizio ci griderà pedofilia. L’inquisizione funzionava più o meno così, e Ceronetti ha davvero sbagliato il secolo:
Nessun santo ci ha lasciato, come ultime parole scritte di suo pugno, un pensiero così strano come Don Bosco: “I giovanetti sono la delizia di Gesù e Maria”. Soltanto loro.
A parte la garbata ammissione di conoscere tutte le ultime parole di tutti i santi di tutta la Chiesa, sì vabbe’, persino Santa Teresina mi risulta autrice di affermazioni più torbide, ma ci perdoni: si è dimenticato che in italiano il maschile si usa anche per il plurale di genere misto? Cioè, è il suo ultimo biglietto. Magari cercava di essere breve ed epigrafico, e invece no, avrebbe dovuto scrivere “i giovanetti e le fanciulle sono la delizia di Gesù e Maria”, perché altrimenti Ceronetti lo prende come un indizio di pedo-omosessualità, ha scritto solo “giovanetti”, tana-gay! oppure si potrebbero  mettere gli asterischi come indymedia: “i giovanett* sono la delizia…” suona meno omosessuale così? E poi cosa vuol dire “soltanto loro”? È una chiosa ceronettiana, “soltanto loro”, don Bosco ha solo detto che i giovanetti sono la delizia di Gesù e di Maria; magari anche le fanciulle e gli snack alla crema di nocciola, non si sa, don Bosco non si pronuncia in proposito, è tutta farina dell’inquisitore. Sa di crusca.
In tutte le sue firme è costante il Sac. ["Sacerdote"] che le precede. Era l’uso, ma in uno così premuto dall’Insolito e in contatto diretto con altre bucce di realtà significa anche: sono io ma all’interno di un Sacro ordine agisco in nome di, vengo in nome di…
…e prosegue per un’altra mezza pagina con questa storia del Sac. che gli avrebbe riso in faccia anche Lacan, no ma ditemi se valeva la pena di fermare le rotative della Stampa per questa roba. Ecco. La leggenda pedofila di Don Bosco è tutta qui, il tizio era ambiguo perché amava firmarsi con la sigla del suo titolo professionale, e altri spiluccamenti pettegoli di un elzevirista a corto di argomenti. A rimetterla in circolo sul Grande Selvaggio Web è stato Giovanni Dall’Orto, sul suo bel sito che è una miniera di informazioni preziose, da cui ho già copiosamente attinto per scrivere di San Sebastiano. Orbene, qualche anno fa Dall’Orto, che è un gay militante, scrive una “Storia gay di Giovanni Bosco“, che poi è stata ripresa da Gay.tv e discussa e ridiscussa su chissà quanti forum – anche grazie a salesiani che protestano incazzati, e dagli torto – e per ultimo arrivo io. Mi dispiace litigare con Dall’Orto, però lui non ha davvero altri fonti a parte Ceronetti, e Ceronetti, lo si è visto, come avvocato del diavolo ha reso un pessimo servizio (al diavolo). Dall’Orto peraltro lo ammette: non c’è uno straccio di prova.
Il bello è che nessuno di coloro che ne hanno scritto s’è mai sognato di mettere in dubbio l’effettiva stretta osservanza del voto di castità, da parte del santo: la discussione si è sempre svolta attorno alle sue tendenze, non alle sue pratiche sessuali.
Invecchiando gli era venuta questa faccia un po' da Wojtyla
Ma se Don Bosco è un pedofilo in potenza, che ci resta da fare? Un processo alle intenzioni? Qui forse rischiamo di non capirci. Ammettiamo che don Bosco abbia avuto davvero pulsioni omosessuali o pederastiche, che però non si sono mai tradotte nella pratica. Tutto questo per un cristiano si traduce con una parola sola: “santità”. Giovanni Bosco diventa l’Antonio del secondo millennio, in lotta costante coi suoi demoni, un esempio per tutti i seminaristi alle prese con pulsioni ambigue. Freud, lo sappiamo, avrebbe piuttosto parlato di “sublimazione”: Bosco trasforma la sua energia in impegno socio-assistenziale, mette i suoi demoni interiori a pedalare sotto il carrozzone della sua multinazionale salesiana. Per un laico contemporaneo, postfreudiano, non necessariamente gay (ma aiuta), tutto questo è “repressione”: tutto ciò che limita l’esercizio pratico della sessualità. Il problema è che la supposta pulsione di don Bosco rimane socialmente impresentabile, uno dei pochi tabù che ci sono rimasti. O ce la dobbiamo prendere con un pedofilo in potenza perché invece di toccare i ragazzi li ha tolti dalla strada e li ha fatti studiare? Preferite i preti toccaccioni, li trovate più sinceri, più umani, più “sé stessi”, come gli inquilini della casa del Grande Fratello?
Nel 1847, quando già centinaia di ragazzi frequentano l’Orato­rio, alcuni tra loro, che non sanno dove andare perché non hanno ca­sa, cominciano a vivere stabilmente con don Bosco e mamma Mar­gherita.
I primi ospiti sono alloggiati in cucina. Saranno sei alla fine dell’anno; trentacinque nel 1852; centoquindici nel 1854; quattrocen­tosessanta nel 1860; seicento nel 1862, fino ad un tetto di ottocento.
Nel 1845 don Bosco fonda la scuola serale, con una media di trecento alunni ogni sera.
Nel 1847 un secondo oratorio.
Nel 1850 fonda una società di mutuo soccorso per operai.
Nel 1853 un laboratorio per calzolai e sarti.
Nel 1854 un laboratorio di legatoria di libri.
Nel 1856 un laboratorio di falegnameria.
Nel 1861 una tipografia.
Nel 1862 una officina di fabbro ferraio.
Intanto nel 1850 è nato anche un convitto per studenti, con dodici studenti che diventano centoventuno nel 1857.
Nel 1862 dunque l’oratorio conta seicento ragazzi interni e altrettanti esterni.
Oltre i sei laboratori ci sono scuole domenicali, scuole serali, due scuole di musica vocale e strumentale, e trentanove salesiani che con don Bosco hanno dato inizio a una congregazione religiosa.
Ma a noi interessa soprattutto sapere se gli piacevano i ragazzini. Perché? Sul serio, una sessualità che non si esprime in nessun modo è ancora interessante? Di don Bosco abbiamo opere e libri in quantità: perché vogliamo conoscere le sue pulsioni? Da dove ci viene questa volontà di sapere, siamo sicuri che non ci sia dell’imperialismo culturale in questa pretesa di aprire il libro di Storia a un’epoca qualsiasi e definire gli uomini di quel secolo in base alle loro “tendenze”? Per quanto possa apparirvi intrusivo il Dio dei cattolici, con la sua pretesa di giudicare gli uomini in base alle loro opere, pensieri e omissioni, lo trovo sempre meno impiccione di un tribunale laico (laico?) che pretenda di sviscerare le azioni non commesse, i pensieri repressi, le “tendenze”. Se poi come testimone chiamano il Sig. Ceronetti, beh, ciao.
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Vivono tra noi

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[È un pezzo del maggio 2007]:

Amare i bambini

Noi siamo persone normali, persone buone. Abbiamo chi un cane, chi un gatto, chi almeno un canarino. E molti di noi hanno bambini. Sono belli, i bambini. Teneri, senza colpe. Sono angeli. Noi amiamo i bambini.
E questo ci riempie di angoscia, perché sono indifesi, i bambini. Se potessimo tenerli sempre con noi – ma non è possibile. Ogni tanto dobbiamo lasciarli andare fuori.
Fuori ci sono altre persone. Sembrano normali, come noi, ma non sono normali. Magari hanno un cane, hanno un gatto, come noi, ma sono mostri. Sono pedofili. Sono organizzati. Hanno libri e siti internet.
Adescano i nostri bambini. Li drogano, coi tranquillanti. Li costringono a fare cose che noi non riusciamo neanche immaginare. Davanti a una telecamera li molestano. Gli rubano l’infanzia e la felicità per sempre.
In una casa come la nostra c’è una stanza buia, in cui torturano i nostri bambini. Fuori i pulmini girano indisturbati, nel traffico pigro di metà mattina. Bidelli e benzinai sono d’accordo. Insegnanti e medici, custodi, obiettori, avvocati, preti. Non ti puoi fidare di nessuno.

I bambini di questo non parlano. Non esistono, alla loro età, le parole, per l’orrore che hanno dentro. Vorrebbero dimenticare.
Per salvarli dai pedofili, noi non li facciamo più uscire. Per aiutarli a non dimenticare, li chiudiamo in una stanza, e cominciamo con le domande. Quello che devono dirci, lo abbiamo già sentito da altri, a cui è successa la stessa cosa. Perché noi ci teniamo informati. Abbiamo libri, abbiamo siti internet.

Loro all’inizio non vogliono dire niente. Allora insistiamo. Li tempestiamo di domande.
Può durare un paio d’ore o un paio di giorni. A volte occorre abbassare la luce, e minacciarli. È durissimo ascoltarli quando ancora non vogliono parlare. È odioso riprenderli con una telecamera. Ma è l’amore che ci fa resistere, è l’amore che ci costringe a farli parlare. E alla fine l’amore vince sempre.

Arriva il momento in cui parlano. È terribile starli ad ascoltare, ma tutto quello che dicono di solito coincide. E non sono invenzioni. Tutti i racconti coincidono. Come potrebbero, bambini così piccoli, inventarsi dettagli così orribili. E sono sempre gli stessi! Chi può in buona fede pensare a un’invenzione? I bambini non mentono mai. Sono angeli.

Dopo aver parlato sono sempre molto scossi. Fanno fatica a uscire. A volte dobbiamo dargli tranquillanti, perché ciò che hanno ricordato, ciò che hanno vissuto in quella stanza buia è orribile. Resterà con loro per tutta la vita.

Ora però abbiamo il loro racconto. Lo metteremo su internet. Faremo girare anche il video, è giusto che tutti vedano, che tutti sappiano. Perché ci sono persone cattive là fuori.
Persone che torturano i bambini. Che mettono i video on line. Ci sono i mostri. Il mondo deve saperlo. E glielo dobbiamo dire noi.

Bisogna che tutti stiano attenti. Fuori c’è gente cattiva. Torturano i bambini. Dicono di amarli, ma sono i mostri.
Fuori i pulmini girano indisturbati, nel traffico pigro di metà mattina. Vigili e carabinieri sono d’accordo. Giornalisti e psicologi, giudici e magistrati. Di chi ti puoi fidare.
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Il blog degli errori

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Sull'Unita.it si parla di abusi satanici rituali. Speriamo bene.
Nei commenti si potrebbero materializzare creature subdole. Le riconoscerete dai quattro puntini di sospensione.

(Nel frattempo Il giustiziere ha aperto un nuovo blog. In bocca al lupo!)

Non aveva idea del guaio in cui si stava cacciando. Quando Stefano Zanetti aprì un blog non poteva certo immaginare che tre anni dopo quella paginetta elettronica sarebbe diventata così importante da meritare un sequestro giudiziario. Aveva cominciato a scrivere on line come facciamo tutti: senza impegno, un po' per gioco, un po' per togliersi dalle scarpe quei sassolini raccolti sul luogo di lavoro. Nel suo caso i sassolini si erano accumulati nelle aule di tribunale: Zanetti, sociologo, lavora in una comunità terapeutica che si occupa di reinserimento dei detenuti.
I guai cominciano nell'estate del 2007, quando gli italiani apprendono sbalorditi che nella cittadina di Rignano Flaminio operava una setta pedofila costituita per lo più da maestre di scuola dell'infanzia, un benzinaio cingalese e un autore televisivo. In tv e sui giornali si parla di filmati e altre prove schiaccianti che inchioderebbero i sospettati: nel frattempo su blog e forum l'indignazione degli utenti prende le forme del linciaggio verbale. L'idea generale è che accuse così gravi non possono essere state inventate: soprattutto se sono basate su testimonianze di bambini, che "non mentono mai".

Zanetti ha un altro parere. 
Il caso di Rignano gli sembra curiosamente simile a quello scoppiato qualche anno prima in due scuole materne di Brescia, dove dopo un lungo iter giudiziario le maestre indagate erano state tutte prosciolte (l'assoluzione definitiva della Cassazione per tutti gli indagati della scuola Sorelli è arrivata soltanto due mesi fa). Una semplice ricerca su internet lo porta a scoprire il trait d'union tra i due casi: la presenza di un'associazione di “lotta alla pedofilia”, la Prometeo, che aveva offerto un servizio di consulenza ai genitori dei bambini sia a Brescia che a Rignano Flaminio. La Prometeo s'ispira esplicitamente alle teorie del controverso criminologo britannico Ray Wyre, fermamente persuaso dell'esistenza di una lobby pedofila internazionale dedita ad abusi satanici rituali. Per i suoi detrattori Wyre (scomparso nel 2008) ha importato in Gran Bretagna quella psicosi collettiva nota come “Satanic panic” o “satanic ritual abuse hoax” (“la bufala degli abusi satanici rituali”), che negli anni '80 divampò negli USA, provocando lunghissime inchieste che si conclusero sconfessando i teorici del satanismo pedofilo. Fuori dagli USA però la psicosi continua.

Zanetti scopre inoltre
 che il fondatore e presidente di Prometeo, Massimiliano Frassi, ha un blog, proprio come lui. Anche Frassi lo intende come un luogo di sfogo; salvo che la sua frustrazione è quella di un uomo impegnato in una lotta impari, accerchiato da una lobby mondiale di pedofili decisa a rendere vano ogni suo sforzo. E di conseguenza, nel blog, non va tanto per il sottile, anzi. Testi urlati in caratteri di scatola, spesso ironici (o, per diretta ammissione "cinici"), e immagini tratte dai film dell'orrore (vampiri, zombies, eccetera). Addirittura Frassi non si fa scrupolo a pubblicare le foto di indagati, senza nessuna preoccupazione per la loro privacy, e ad accostare arbitrariamente immagini choc di bambini feriti e abusati, che non sono esibite come prove (né a Brescia né a Rignano Flaminio sono mai state scattate foto del genere), ma sono funzionali a inorridire il lettore, a commuoverlo e infuriarlo. In tanti anni di assidua frequentazione di Internet non mi era mai capitato di vedere foto di bambini lividi e sanguinanti, prima di capitare in questo blog di “lotta alla pedofilia” che mira allo stomaco, più che al cervello del lettore.

Dal 2007 in poi siamo stati tanti ad occuparci
 del “caso” Frassi, che è anche un esempio di come si può usare il blog come cassa di risonanza: mentre il sito ufficiale dell'associazione Prometeo ha un approccio più diplomatico, il blog di Frassi è definito dal suo stesso autore un “bar”, dove tutto è consentito: immagini choc, l'attacco diretto e indiretto agli avversari, le minacce e gli sfottò, la presunzione di colpevolezza nei confronti di qualsiasi indagato (e anche di alcuni assolti). È il caso delle due suore Orsoline accusate di aver commesso abusi sessuali tra il 1999 e il 2000 in un asilo del bergamasco: anche in quel caso i genitori, prima di sporgere denuncia, si erano avvalsi della consulenza della Prometeo. Condannate in primo grado, le due religiose sono poi state assolte in Appello con formula piena: ma nel blog di Frassi i loro nomi e le loro foto sono ancora archiviate alla voce “Suore Pedofile Bergamo”. Eppure, malgrado i casi di Brescia e Bergamo si siano risolti, dopo molti anni e molte sofferenze, con assoluzioni, Frassi continua a essere invitato a trasmissioni tv in quanto esperto di pedofilia, e a procedere sul doppio binario di serio consulente e di agitatore telematico. Siamo stati in tanti a lanciare l'allarme, ma Zanetti sui blog è stato il primo. Senza di lui ci avremmo messo molto più tempo ad accorgercene. Nel frattempo però il suo blog non c'è più. Un GIP ha ottenuto dal gestore americano (Google) la rimozione (anzi, il “sequestro”) preventivo dell'intero sito, in attesa che sia dimostrato in sede processuale che alcuni suoi articoli offendono la reputazione di Frassi.

In questa storia, per ora, ci perdono tutti.
 Zanetti ha perso un luogo dove sfogarsi, e la reputazione di Frassi non ha ottenuto alcun miglioramento: i blog che lo criticano per i suoi modi e i suoi metodi sono tanti, e non si possono sequestrare tutti. Io poi ho una teoria: quello più offensivo nei confronti della sua reputazione, quello più urlato, più volgare, quello che contiene le immagini più violente e censurabili... è ancora il suo.
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Sequestraci questo

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La settimana scorsa un giudice ha sequestrato un blog. Sì, un sito come questo, ospitato da blogspot, proprio come questo. Non voglio entrare nel merito della questione, non è il tempo né il luogo. Era un bel blog (lo è ancora, da qualche parte nei server di blogger), amatoriale nel senso migliore del termine, con punti di vista interessanti e informazioni difficilmente reperibili altrove. Mi era capitato già di saccheggiarlo tre anni fa, e ora continuo.
Il pezzo che incollo qui è una delle cose più leggibili e serie che si possono trovare on line su un argomento spinoso come la bufala degli abusi rituali satanici. Era apprezzato e linkato da molti altri siti. Adesso quei link finiscono nel nulla. Non lo trovo giusto.


La svolta satanica della Prometeo: RAY WYRE

Dal sito dell'associazione anti-pedofilia Prometeo è possibile leggere l'elenco delle personalità che ne compongono il Comitato Scientifico".


Ad una prima occhiata superficiale, l'elenco può impressionare per l'altisonanza di alcuni titoli che vengono indicati. Bastano tuttavia pochi click su Google per scoprire che "non è tutto oro ciò che luccica".

Concentriamoci ad esempio sul seguente personaggio: RAY WYRE (descritto come "massimo esperto inglese di pedofilia"). Si tratta effettivamente di un conosciuto criminologo britannico che ad oggi offre i propri servizi attraverso la "Ray Wyre Associates" (http://www.raywyre.uk.com/) ed ha in curriculum diverse collaborazioni anche con le istituzioni britanniche.

Orbene, se usciamo per un attimo dal sito ufficiale di Ray (promozionale ed autocelebrativo) e dai molti link che riportano ad occasioni in cui egli ha collaborato con Prometeo ed è intervenuto ai congressi da questa organizzati, e ci avventuriamo invece nel web indipendente, scopriamo qualcosa di molto interessante: Ray Wyre è stato protagonista (negativo) dei celebri "Broxtowe cases", un caso di falsa ritualità satanica avvenuto a Nottingham, e soprattutto egli sembra avere anche il triste ruolo fondamentale di traghettatore nel percorso che ha portato la bufala (o isteria collettiva) degli abusi satanici rituali (Satanic Ritual Abuse hoax, SRA) prima dagli USA in Gran Bretagna, e poi probabilmente dalla Gran Bretagna in Italia, attraverso Massimiliano Frassi e l'Associazione Prometeo.


Offro una sintetica traduzione riassuntiva della vicenda, come tratta direttamente dalle fonti citate in fondo:


PREMESSA - la credenza popolarmente diffusa nell'esistenza degli abusi satanici ritualizzati (SRA) affonda radici in tutta la storia umana, ma esplode nella sua forma attuale nel 1980 negli USA, allorchè subito dopo la pubblicazione del libro "Michelle Remembers" (dimostrato un falso) iniziano a manifestarsi denunce e testimonianze di simili fenomeni, prima mai riferiti. Nasce così il concetto dell'esistenza di estese reti segrete ed intergenerazionali di gruppi di persone dedite all'abuso sessuale, alla tortura ed all'uccisione ritualizzata di bambini. La psicosi si allarga rapidamente negli anni successivi negli USA e porterà ai notissimi casi di Bakersfield nel 1983 e della scuola McMartin a Manhattan Beach nel 1984;


1) nell'ottobre 1987, in Inghilterra a Nottingham 7 bambini provenienti tutti da una estesa famiglia (caratterizzata da gravi problematiche socio-psichiatriche) vengono presi in carico dai servizi sociali per una serie grave di abusi sessuali intrafamiliari (in questo caso adeguatamente provati e confermati dalle indagini mediche, che porteranno poi a condanna dei genitori e degli altri familiari responsabili). Sono i "Broxtowe cases";


2) I 7 bambini vengono assegnati a famiglie affidatarie. Su consiglio degli assistenti sociali, i genitori affidatari iniziano a tenere dei diari delle reminiscenze dei bambini;


3) nel febbraio 1988, RAY WYRE era stato chiamato dal servizio sociale di Nottingham a fornire la propria consulenza sul caso, in particolare ad effettuare una presentazione agli assistenti sociali del servizio ed ai genitori affidatari di quali fossero gli "indicatori" da ricercare con la tecnica del diario;


4) nel frattempo, il giornalista televisivo Tim Tate aveva prodotto un report per la televisione. Tate era un convinto sostenitore dell'esistenza degli SRA e dei network dei satanisti, ed aveva ottenuto da un collega statunitense una lista di "indicatori satanici", che aveva passato a RAY WYRE. Non ci sono dubbi sul fatto che questi fossero gli stessi indicatori che il presunto esperto WYRE presenta ad assistenti sociali e genitori affidatari;


5) poco dopo la trasmissione televisiva del report di Tate e l'intervento di WYRE sugli assistenti sociali e sui genitori affidatari, iniziano a comparire progressivamente nei diari dei bambini dei ricordi di episodi di satanismo, stregoneria, sacrifici umani ed animali, cannibalismo, sangue offerto da bere. Non mancano elementi di manifesta bizzarria, con trasformazione di bambini in rospi, madri che volano su scope, Superman etc. e non mancano neppure le descrizioni degli immancabili tunnel e case in cui avvenivano i rituali.


6) la Polizia locale sembra dare poco credito a questi elementi e a seguito di una breve indagine (Gollom Enquiry) si affermava di non ritenere che alcun rituale satanico fosse esistito nel caso in questione. In tale inchiesta si sottolineava come bambini e genitori si influenzassero a vicenda e come i genitori scambiassero le informazioni durante riunioni bisettimanali. Si crea però una spaccatura con gli operatori del servizio sociale, che presero invece per buona l'ipotesi della presenza di SRA e diedero pieno credito ai ricordi dei bambini, nonostante la loro palese assurdità. Lo stesso ritennero gli esperti WYRE e WEIR ed anche il giudice inquirente.


7) nel giugno 1988 si era ad una situazione di completa spaccatura tra Polizia (che rifiutava di investigare su qualsiasi nuovo fatto emergente dai diari) ed operatori del servizio sociale (che presentavano sempre nuove testimonianze di nuovi abusi che coinvolgevano anche altre persone e altri luoghi). Le amministrazioni locali si accordarono allora per affidare la soluzione della questione ad una nuova task force (Joint Enquiry Team, JET), composta da 2 membri di polizia e 2 operatori sociali, che non avevano avuto fino a quel momento nessun ruolo nel caso e partivano da una posizione neutrale;


8) al termine del 1989, venne consegnato il "Joint Enquiry Report", che escluse categoricamente che fosse mai avvenuta ritualità satanista nel caso Broxtowe. Il report indicava esplicitamente che solo dopo l'intervento di RAY WYRE compaiono nei resoconti dei bambini dei ricordi di altre persone coinvolte nei rituali e di abusi avvenuti in posti diversi dalla casa della famiglia dei bambini. Tra le indicazioni finali del report si leggeva anche che "L'uso delle correnti informazioni sui SRA nei servizi sociali dovrebbe essere fermato immediatamente, in assenza di qualsiasi evidenza empirica a suo sostegno. Le presentazioni che utilizzano questo materiale, che secondo noi non ha validità, dovrebbero anche cessare immediatamente, poichè esso è contagioso". Il report affermava anche che le tecniche di intervista insegnate da WYRE erano fallaci e che le risultanti testimonianze riflettevano in realtà le ossessioni degli assistenti sociali. Questo è ciò che la task force JET concluse a riguardo delle fonti e dei metodi "scientifici" che furono usati dal presunto esperto RAY WYRE.




E DOPO BROXTOWE?


9) I timori del JET si dimostrarono fondati, i loro appelli inascoltati ed il contagio si diffuse, dando luogo a diversi successivi casi di SRA in Gran Bretagna. In particolare, si segnala che breve tempo dopo che RAY WYRE tenne un corso di training di tre giorni per operatori di polizia e dei servizi sociali della città di Pembroke, West Wales, in questa comunità scoppiò il più esteso caso di abuso rituale Multi-victim Multi-offender (MVMO) della storia britannica. Grazie, WYRE.


10) Lo scandalo non sembra aver colpito la carriera dei presunti esperti in esso coinvolti e sia Tate sia WYRE sono comparsi in diversi altri programmi televisivi in cui hanno propagandato idee sulla presenza di cospirazioni sataniste (Tate in seguito ebbe anche guai giustiziari e fu costretto a pagare grossi riscarcimenti per alcune sue dichiarazioni in merito). WYRE prosegue la sua carriera di consulente.


11) Sabato 19 ottobre 2002 l'Associazione Prometeo invita RAY WYRE a Bergamo per una conferenza sulla pedofilia. Mi risulta che sia questa la prima volta che WYRE giunge in Italia (col suo bagaglio di conoscenza sugli "indicatori satanici"), ma su questo punto non è possibile trovare informazioni certe sul web. Non è neanche possibile risalire con esattezza a quando siano avvenuti i primi contatti tra WYRE e Massimiliano Frassi, presidente di Prometeo.

Dal 2002 è comunque ininterrotta la collaborazione scientifica tra Prometeo e WYRE, definito un "maestro" da Frassi, che mi risulta esserne l'unico sponsor in Italia e che ne ha anche curato per primo la traduzione dei libri in italiano.

12) Nei primi mesi del 2003, il processo per i presunti abusi presso le scuole materne di Brescia subisce una improvvisa svolta, con l'estensione alla scuola Sorelli, la moltiplicazione delle accuse raccolte dalle madri attraverso interrogatori improvvisati e utilizzo di diari (!!). Questa fase vede la presenza attiva di una psicologa afferente all'Associazione Prometeo, che opera dalla parte delle famiglie accusanti. In questa fase nasce anche esplicitamente una "pista satanista" per la spiegazione dei presunti abusi di Brescia.



CONCLUSIONI

Tutti gli elementi tipici emersi nei recenti casi di RSA italiani (Brescia, Rignano Flaminio, Vallo della Lucania etc) erano presenti già nel caso Broxtowe (si consiglia la lettura integrale delle fonti sotto citate, poichè le corrispondenze sono davvero impressionanti).


Questi elementi invarianti sono stati importati in Europa da RAY WYRE attraverso la lista statunitense di "indicatori satanici" fornitagli dal giornalista Tate. RAY WYRE e Tate sono considerati responsabili di aver importato e diffuso in Gran Bretagna l'isteria collettiva sulla presenza di abusi rituali satanici.


Fin qui i fatti già documentati sul web e ampiamente indicativi della reputazione del sig. RAY WYRE. A questi fatti, possiamo aggiungere una nuova ipotesi suggerita dai fatti: Massimiliano Frassi e l'Associazione Prometeo potrebbero risultare essere responsabili di aver introdotto in Italia il contagio dell'isteria collettiva sugli abusi satanici rituali, attraverso il tramite della consulenza di RAY WYRE.




RACCOMANDAZIONI

Si conclude ricordando che in molti dei paesi in cui il fenomeno dell'isteria degli abusi rituali satanisti è dilagata a partire dai primi anni '80 (ad es. Stati Uniti ed Inghilterra), attualmente il fenomeno si è del tutto estinto. Purtroppo nel decennio di durata di questo fenomeno (tempo medio approssimativo, prima che la società civile metta in atto opportune risposte all'isteria) tali paesi hanno dovuto marcare un enorme ed assolutamente inutile costo in termini di sofferenza umana (degli onesti ingiustamente accusati, dei bambini irrevocabilmente plagiati, delle famiglie sconvolte, delle comunità spaccate), in termini di vite umane (innocenti suicidati, morti di crepacuore o erroneamente giustiziati) ed anche in termini economici, con costi a carico del sistema giudiziario e sanitario pubblico valutabili nell'ordine dei milioni di euro.


Negli stessi paesi, gli esperti attivi nella diffusione dell'isteria (psicologi, criminologi, operatori di agenzie antipedofilia etc), che hanno prodotto consulenze pubbliche o private a sostegno dell'ipotesi dell'abuso ritualistico pur in mancanza di vere prove, hanno ottenuto invece grande visibilità e realizzato notevoli guadagni economici sotto forma di contributi pubblici e di parcelle professionali.


In molte situazioni estere, il dilagare del fenomeno è stato arrestato non solo mediante l'approvazione di nuove leggi ad hoc, ma anche mediante la messa in stato di accusa e la condanna (penale o professionale) di quegli psicologi, operatori sociali, magistrati che avevano contribuito al dilagare del fenomeno con la propria inadeguatezza tecnica e deontologica.

Si ritiene opportuno e urgente un intervento del Governo Italiano e dell'Autorità Giudiziaria.



Fonti
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SITI GENERICI SUL SRA:
http://www.ags.uci.edu/~dehill/witchhunt/
http://www.religioustolerance.org/sra.htm


SUL CASO BROXTOWE-NOTTINGHAM:
http://www.users.globalnet.co.uk/~dlheb/introduc.htm (il report del JET)
Dominique Nephtys
http://www.clogo.org/Archives/ASGL-L/03/0349_1997-06-23.html (articolo del 'Private Eye' magazine(articolo del 'Private Eye' magazine)


SUL CASO PEMBROKE:
http://www.religioustolerance.org/ra_pembr.htm
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Prete, sposa te stesso

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(D: Cosa c'è peggio di un prete pedofilo?)


(R: un prete pedofilo sposato).
Ho una teoria #14, sull'Unità.it. Si commenta di là.

Vedremo mai preti cattolici sposati? Difficile. Probabilmente non esiste nessun piano segreto della Chiesa cattolica per “abolire il celibato in 50 anni”, come titolava la Repubblica venerdì scorso. Qualche giorno prima il cardinale Schoenborn, arcivescovo di Vienna, aveva ammesso che dietro ai numerosi casi di abusi sessuali commessi da preti potrebbe esserci un problema di educazione, e che il tema del celibato andrebbe forse ridiscusso. Una mezza ammissione prontamente smentita: niente matrimonio per i preti, né tra 50 anni né mai.

In effetti c'è una buona dose di ingenuità
 nel considerare il matrimonio una soluzione al problema della pedofilia. Molti dei 'mostri' che la cronaca ci ha messo davanti negli ultimi anni erano regolarmente sposati, con mogli che non sospettavano o che a volte erano complici (come nel memorabile caso di Marcinelle). Se è vero che i preti che hanno commesso abusi sono una percentuale straordinariamente alta (quasi il 4%, secondo il cardinale Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero), è anche vero che per il bambino c'è sempre un posto meno sicuro del seminario: la propria casa. Gran parte degli abusi sessuali su minori vengono commessi entro le mura domestiche, da genitori, parenti, amici di famiglia.

Chi propone di risolvere il problema sposando i preti non fa che sostituire un'istituzione forse in crisi (il celibato sacerdotale) con un'altra (il matrimonio) che in crisi è sicuramente. Un prete sposato sarebbe al riparo dalle “tentazioni” (per usare il gergo cattolico), o dalle pulsioni devianti (per usarne uno laico). Basta guardarsi intorno per rammentare che purtroppo le cose vanno diversamente. Il matrimonio è un impegno che si contrae con la propria coscienza. Proprio come il voto sacerdotale. Chi viola il secondo, perché dovrebbe sentirsi obbligato dal primo?

Gli esponenti del Clero cattolico che in questi giorni si lamentano di essere il bersaglio di un “sensazionalismo mediatico” hanno insieme torto e ragione. Hanno torto, perché i numeri da loro stessi ammessi sono veramente sensazionali: quattro preti pedofili su cento non sono pochi, sono un'emergenza. Hanno ragione, perché circoscrivere alla Chiesa cattolica il problema degli abusi sessuali è riduttivo, e forse dipende da una scelta editoriale deliberata. Nei Paesi dove altre confessioni cristiane sono radicate come il cattolicesimo in Italia o in Irlanda, la percentuale di pastori protestanti accusati dei medesimi abusi è altrettanto alta, anche se (lamentano i vescovi), fa meno scalpore... Può darsi che la struttura piramidale della Chiesa cattolica renda in un qualche modo più spettacolari le accuse ai membri di quest'ultima: un oscuro pastore di provincia scoperto ad allungare le mani resta una triste storia di provincia; un pretino cattolico trovato nella medesima situazione evoca la complicità di Benedetto XVI (tanto peggio se poi quest'ultimo ha un fratello che dirigeva un coro in modo un po' manesco).

I sacerdoti – cattolici, protestanti, ortodossi – sono evidentemente una categoria a rischio. Una percentuale non irrilevante è portata a commettere abusi sessuali sui minori. Non a causa del voto di celibato (che protestanti e ortodossi non osservano), ma perché, banalmente, la loro vocazione consente loro di interagire con molti bambini, in una posizione di potere, e godendo della fiducia delle famiglie e della comunità. Questo era vero soprattutto fino alla metà del secolo scorso, quando alle Chiese era ancora appaltata in blocco l'istruzione, anche attraverso quel luogo concentrazionario che era il collegio. Lì è probabile che l'abuso sessuale venisse praticato in modo sistematico: che fosse impartito e vissuto come un trapasso di potere e di coscienza. Questo spiegherebbe anche il fatto che la maggior parte delle accuse riguardino fatti avvenuti ormai più di venti anni fa. Quindi l'emergenza è già in via di soluzione? In un certo senso sì. Ironicamente (secondo questa mia teoria) ciò che tirerà fuori dai guai la Chiesa è proprio un suo nemico giurato: l'istruzione laica, che mettendosi tra i preti e i bambini forse non ha messo i secondi al sicuro, ma almeno ha messo i primi al riparo dalle tentazioni. Non è un caso che oggi i 'mostri' che più spesso arrivano in prima pagina siano educatori o insegnanti (anche se quasi mai le accuse nei loro confronti si rivelano fondate... ma questo è un altro discorso).
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Don't you black or white me

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I due peccati capitali di Jacko

“A questo punto perché non dite alla gente che sono un alieno che viene da Marte. Dite loro che mangio polli vivi e faccio danze vudù a mezzanotte. Crederanno in tutto quello che dite, perché siete giornalisti. Ma se io, Michael Jackson, stessi dicendo “Sono un alieno che viene da Marte e mangio polli crudi e faccio danze vudù a mezzanotte”, la gente direbbe, “Ehi, quel Micheal Jackson è fuori di testa. Completamente fuso. Non puoi credere a una sola parola di quel che dice”.

“Vorrei che non ci fosse nero o bianco, vorrei che non ci fossero regole” (Prince, Controversy)

Il cinismo, per carità, piace anche a me. Non starei altrimenti così tanto tempo su internet. E ben venga il cinico Internet, soprattutto in situazioni del genere, quando tv e giornali pretendono di commuoverti con coccodrilli polverosi estratti in fretta e furia dal cassetto.

E tuttavia c'è qualcosa di inquietante nella rapidità con cui ci siamo tutti messi a scherzare sulla morte di Micheal Jackson. Certo, era un modo per reagire all'overdose di melassa dei media e dei fan, eppure finora qualsiasi altra celebrità – non importa quanto antipatica – aveva avuto il diritto a quel quarto d'ora di rispetto post mortem che per Jacko non c'è stata. Abbiamo iniziato con le battute subito e, posso dire? Alcune non valevano nemmeno la pena.

Ma non voglio fare la morale. Mi piacerebbe soltanto capire i motivi per cui il suo cadavere ancora caldo ci è sembrato più buffo, e meno sacro, di quello di chiunque altro. Io credo che MJ, figura inattaccabile dal lato artistico, si sia macchiato di due peccati mortali, che non gli abbiamo mai perdonato, e che tuttora ci impediscono di vederlo per quello che è stato: l'eroe tragico di una vita straordinariamente complicata, e un artista immenso.

Il primo, irredimibile peccato è stato mettere a letto dei bambini in camera sua. Tutto qui? Sì, perché la polizia che setacciò Neverland non è mai riuscita a trovare niente di più, e i testimoni (radunati anche attraverso un numero verde: “sei stato molestato da Jacko? Chiama il XX-xx-xx”) non sono mai sembrati credibili alle due giurie che lo assolsero. Due volte. Il suo principale accusatore era un bambino che aveva sofferto di un cancro, a cui MJ aveva pagato le sedute di chemio. Lui, il fratello e la madre si contraddissero varie volte durante il processo. Nonostante questo, siamo tutti convinti che MJ sia stato un pedofilo. Lo abbiamo sentito dire talmente tante volte che dev'essere vero per forza. Conosco adolescenti convinti che sia stato anche in prigione.
Questo non sorprende più di tanto: al giorno d'oggi, quando è sufficiente ricevere delle palpate da uno studente per venire processati per pedofilia, un cantante dissociato che invita i bambini in casa sua e lascia che si addormentino nel suo letto non può che essere un mostro morale. Sul blog di Massimiliano Frassi (quello che “nuoce gravemente alla salute dei pedofili”), la morte di MJ è festeggiata con un fotomontaggio in cui il cantante spaventa a morte Macaulay Culkin. Chissà se Frassi ignora che proprio una testimonianza di Culkin contribuì a scagionare MJ nel secondo processo: l'attore prodigio raccontò di aver dormito tranquillamente nel letto dell'ex cantante-prodigio senza subire alcun tipo di molestie. Sì, ma cosa importa? Da Frassi si giudica, si condanna, si festeggia: “Chissà se i funerali li faranno domani, proprio nella giornata dell'orgoglio pedofilo...”, “ora tutti i bimbi avranno una paura in meno” (dai commenti).
Fu esattamente questo tipo di voci incontrollate a causare un primo esaurimento di MJ durante gli anni Novanta. La stampa che oggi finge di stupirsi per il cocktail di antidepressivi che lo ha ucciso dovrebbe farsi un esame di coscienza – non che io creda che lo farà mai. Su Internet però il discorso dovrebbe essere diverso: qui, oltre al cinismo, ci dovrebbe anche essere lo spazio per un po' di senso critico.

Un altro peccato, in apparenza meno grave, risulta altrettanto imperdonabile: il colore della pelle. Forse potremmo passar sopra al suo rapporto problematico con l'infanzia; in fondo sappiamo che il padre lo picchiava e magari ne abusava (altra voce incontrollata)... ma non era fiero di essere nero, e questo no, questo non può essere perdonato.
Dietro alla voce insistente, e ormai data per certa, del cantante che “si faceva sbiancare la pelle” (ma sosteneva di curare vitiligine e lupus), c'è qualcosa di più. Per tutti gli anni Novanta MJ era rimasto fedele a un obiettivo artistico e culturale coerente con le sue premesse di ultimo virgulto dell'orto Motown: la conquista del Bianco. Dagli esordi di bambino prodigio, subito cannibalizzato da tv e merchandising, alla svolta disco-funk di metà Settanta (quando i Jacksons si stancarono di essere trattati da boy band e passarono alla CBS), ai dischi con Quincy Jones. Tutto portava lontano dai ghetti del R'n'B, verso un pop sempre più internazionale e sempre meno “nero” – ed ecco il tabù: in un mondo che a partire dagli anni Novanta rivalutava qualsiasi steccatino e qualsiasi radice rinsecchita, Michael Jackson rimaneva un grande artista degli anni Ottanta: uno che le radici le rinnegava tranquillamente, prontissimo a disseppellirle e a rivenderle al migliore offerente per un disco di platino in più. Anche in questo tanto simile al vecchio rivale Prince, pure lui insofferente verso le categorie “black” e “white”, e pure “male” e “female”, e (avrebbe aggiunto MJ) “adult” e “child”. Jacko e Prince, pilastri di un decennio camp che citiamo a man bassa con pretese perfino filologiche, senza accorgerci che lo stiamo tradendo, che in realtà non lo capiamo già più: proprio perché il nostro obiettivo è trovare qualcosa in cui identificarci, un'Identità, un'Origine, mentre loro spingevano con tutte le forze verso la direzione opposta, l'Altro da Sé, con un coraggio che non siamo nemmeno capaci di capire. Che durante questo percorso MJ cominciasse a impallidire, è il segno d'infamia che non riusciamo a perdonargli.

Chi scherza su MJ a fossa aperta dà per scontato che la musica non ci abbia perso niente: che i fasti di Thriller fossero finiti da un pezzo eccetera eccetera. Non è proprio così. Già per gli standard qualitativi degli anni Ottanta, MJ sembrava provenire da un altro pianeta, nella costellazione del Professionismo Assoluto, ultima traccia del retaggio Motown. Per favore non paragonatelo a Madonna, che canzoni ha scritto Madonna? Ha inventato un solo passo di danza? Puoi riconoscere Madonna semplicemente da un suo acuto? Poi è anche vero che rispetto a tutte le sciacquette che sono venute dopo, Madonna giganteggia: ma MJ era in un'altra categoria. Oggi sappiamo che dietro a quel sogno di perfezione c'era un padre coercitivo e manesco. Ma quello che ci ha dato è difficile da liquidare. Nemmeno dieci anni fa, con la pelle e il volto in disfacimento, Jacko componeva ed eseguiva ancora pezzi complessi e irresistibili come You rock my world, di fronte ai quali i pompatissimi ed esausti epigoni della scena pop dell'ultimo decennio devono andare a nascondersi, subito.

Questo era Michael Jackson. Io che non ho mai avuto in casa un disco suo, che ai pezzi dei bambini prodigio preferisco quelli dei trentenni stonati, ci terrei però a ribadire un punto: era un genio. Ha avuto una vita difficile; ha fatto montagne di soldi, ma è discutibile che se li sia goduti davvero. La prossima sonda da lanciare nello spazio profondo con qualche prova del valore dell'umanità dovrebbe contenere almeno il video di Beat it, un passo di moonwalk e l'mp3 di I want you back. Questo non ci impedisce di raccontarci barzellette sul pedofilo che andava in clinica a sbiancarsi, se proprio ci teniamo. Jacko è stato anche questo, cibo pronto per tutti gli avvoltoi mediatici, professionisti e improvvisati. E ci mancherà anche per questo.
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The Marching Morons

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Le imprese dell'Onorevole Bambo, 1

Nei corridoi di un Parlamento di un Paese imprecisato, un giorno qualsiasi del 2018:

Toc, toc.
“Non ci sono”. (vvvvvvvroooooooooom)
“Onorevole Bambo, siamo i giornalisti, sa, per l'intervista”.
“Tornate domani, oggi non ci sono”. (vvvvvvvvvvrooooooom)
“Onorevole Bambo, suvvia, è chiaro che lei c'è”.
“Maledizione, da cosa lo avete capito? Comunque sono molto impegnato”.
“Onorevole Bambo, da questa parte della sua porta a vetri si sente distintamente il rumore di... questo è Super-Mario-Car, o sbaglio?”
“Sbaglio! I soliti giornalisti disinformati! Questo è Mario Kart DS!”
“Va bene, onorevole, quindi lei in sostanza sta giocando col nintendo”.
“Certo che ci gioco, è mio!”
“Sì, onorevole, ma questo dimostra che lei non è poi così impegnato”.
“Ma in realtà giusto adesso sta per cominciare una riunione importante”.
“No, lei non ha nessuna riunione importante”.
“Lo saprò ben io”.
“Abbiamo chiesto alla sua segretaria di fissare un giorno senza impegni. Per sicurezza”.
“Ah sì?”
“Lei ci ha detto di venire un pomeriggio qualsiasi, che lei non ha mai impegni dopo mezzogiorno, e di solito a quest'ora è qui a giocare col nintendo”.
“Quella stronza. Va bene, entrate. Si può sapere cosa c'è?”
“Onorevole, noi siamo i primi, ma nel giro di una settimana qua fuori ci sarà la fila. Lei sta per diventare una celebrità tra i deputati, non sappiamo se se ne rende conto”.
“Bene, finalmente le capacità vengono apprezzate”.
“In realtà si tratta semplicemente del suo progetto di legge”.
“Il mio che?”
“Il progetto di legge firmato da lei. Non si ricorda di averne firmato uno?”
“Ma sa, io firmo tante cose... ehi, sentite, chi è che vuole sfidarmi a Mario Kart? Io sono imbattibile!”
“Magari dopo. Onorevole, insomma, la proposta Bambo sulla motorizzazione giovanile...”
“Aaah, forse ho capito, quella cosa di John... ma dovevate dirmelo subito che era per quello, no?”
“Ecco onorevole, giustappunto. Molti di noi hanno trovato curioso che in calce a una proposta di legge sulla motorizzazione, accanto al suo nome, Giampiero Bambo, si trovasse quello dell'amministratore delegato della Fiat, John Elkann”.
“Io non ci trovo niente di male. John è un figo”.
“Sì, però, onorevole...”
“Lui, se lo sfido a Mario Kart, non fa finta di niente. A volte vince perfino. Cioè, in realtà sono io che lo faccio vincere. A voi lo posso dire, tanto siete giornalisti, mica lo andate a dire a nessuno”.
“Onorevole, non c'è nulla di male nell'avere un amministratore delegato della Fiat per compagno di giochi”.
“Ecco, volevo ben dire”.
“Il punto è che non si riesce a capire perché abbia firmato una proposta di legge”.
“Perché scusate, se la firmo io non la poteva firmare lui?”
“No”.
“E perché no?”
“Perché non è un deputato”.
“Ah no?”
“No. Lei è un deputato. È stato eletto dal... dal popolo italiano”.
“Figo!”
“E quindi adesso ha il diritto, la prerogativa... di presentare proposte di legge in parlamento”.
“Ah sì?”
“Sì, lei sì, e infatti in questo caso lo ha fatto. Ma John Elkann no, lui non può”.
“Ho capito. Lui non può perché anche se è un figo nessuno lo ha eletto”.
“Precisamente”.
“Del resto, coi riflessi lenti che ha... meglio così”.
“E quindi, onorevole Bamba, ci aiuti a risolvere questo mistero: perché c'è il nome di John Elkann in calce a una proposta di legge firmata da lei?”
“Uffa, certo che voi giornalisti siete veramente pesanti, eh...”
“C'è anche chi dice, onorevole, che la legge in effetti gliela abbia scritta John Elkann, e che abbia aggiunto il suo nome in fondo per sbaglio. Un lapsus, ha presente i lapsus?”
“Come no, è il fratello di John”.
“Lei poi avrebbe dovuto cancellare il nome di John e sostituirlo col suo, on. Giampiero Bambo... ma non lo ha fatto”.
“E perché?”
“Veramente è quello che le stavamo chiedendo noi, perché? Ci voleva così tanto a togliere il nome da un documento?”
“Ma io non capisco perché avrei dovuto togliere il suo nome, dopo tutta la fatica che ha fatto, poverino”.
“Quindi ammette che la proposta di legge l'ha scritta lui”.
“Lui o uno dei suoi amici coi capelli grigi, va sempre in giro con un mucchio di gente che scrive le cose... ma scusi, che male c'è se un mio amico mi scrive una proposta di legge? Non l'ho mica pagato, eh? L'ha fatto nel suo tempo libero”.
“Onorevole, non è una questione di tempo libero. Lei dovrebbe capire che si tratta di democrazia. Lei è un parlamentare, scrivere le leggi è una sua prerogativa. Non può farle scrivere agli industriali”.
“Ma insomma, se loro insistono che male c'è?”
“C'è un conflitto di interessi, capisce? Si ricorda di cosa parla la legge?”
“Certo! È una legge... ehm....”
“Si concentri”.
“Un aiutino?”
“Onorevole, insomma...”
“Sulla pedofilia! Ecco! Una legge per la pedofilia!”
“?”
“No, in realtà volevo dire, una legge contro la pedofilia. Voi sapete di cosa si tratta, no? Insomma ve lo devo spiegare?”
“No, onorevole, no”.
“Ci sono queste persone cattive nei giardinetti che stuprano i bambini, è questo. La legge parla di questo”.
“Onorevole, ma l'ha letta?”
“Fosse per me li castrerei tutti, eh”.
“Risponda”.
“Massì che l'ho letta, sì! Mi ricordo ancora il titolo”.
“Cosa c'era scritto nel titolo?”
“Ahem... Pedo-legge”.
“Pedo-legge?”
“Sì, era il titolo della legge: Pedo-legge. Oppure era il titolo del file, non mi ricordo, qualcosa del tipo Pedolegge Punto Doc. E voi state a farmi le pulci per una legge contro i pedofili, ma vi rendete conto?”
“Onorevole, la legge non si chiama così”.
“Certo che si chiama così. Adesso mi aspetto delle scuse. Altrimenti comincerò a pensare che voi stiate difendendo i pedofili”.
“Onorevole, senta, la legge non parla di pedofili. La legge estende la validità delle patenti di guida A e B ai minori a partire dai 15 anni”.
“Che è una figata! Magari ci avessi ancora 15 anni, mi prenderei una Ducati Monster e... vrroooooooooom”.
“E inoltre rende obbligatorio l'acquisto e l'immatricolazione di un automezzo a partire dai 15”.
Vrooooooom, vrooooooooom
“Non solo, ma secondo una certa interpretazione, la legge farebbe divieto ai minori di percorrere strade e marciapiedi senza l'utilizzo del sovramenzionato automezzo... in pratica non potrebbero più uscire di casa senza guidare una moto o un autoveicolo. Lei conferma?”
“Sì. Ma è per via dei pedofili”.
“Onorevole, insomma, si può sapere cosa c'entrano questi pedofili...”
“Ma non capite? Devo per forza spiegarvi tutto? I minorenni vanno in giro a piedi, alla fine se camminano vicino la strada si respirano tutti i tubi di scappamento! Non va bene! Allora dicono: passiamo per i giardinetti. Solo che nei giardinetti...”
“Ci sono i pedofili?”
“Per forza! Ma scusate, eh, dove vivete voi? Non la guardate la tv? C'è tutti i giorni questa cosa del pedofilo rumeno che stupra la quindicenne ai giardinetti. Ogni santo giorno. Bisognava fare qualcosa, no? Me lo diceva sempre anche John: perché non facciamo qualcosa? E allora io gli ho detto John, aiutami a fare qualcosa. E lui che è un amico vero mi ha aiutato, e adesso finalmente i negri che stuprano se ne torneranno a casa loro grazie alla pedo-legge Bambo, e si può sapere qual è il problema?”
“Vede, onorevole, per molti anni ci siamo interrogati sull'abbassamento culturale della nostra classe politica”.
“Secondo me state solo coprendo i pedofili perché sono un po' ricchioni come voi”.
“Tante volte, di fronte a un politico che agiva come un idiota, o parlava come un idiota, ci siamo detti: è finita. Non si può scendere più in basso”.
“Più in basso c'è sempre tua mamma, toh! Aha, buona questa”.
“...Ma ci sbagliavamo, appunto. Un politico che agisce o parla da idiota per raccattare i voti è un conto, ma il politico veramente idiota... beh, quella è un'altra cosa. Una cosa che ancora non s'era vista”.
“Bla bla bla, non sapete dire altro”.
“Finché un giorno, all'improvviso, siete arrivati. All'inizio in pochi, poi sempre di più. Gli idioti veri. Quelli senza abbellimenti o fioriture. Un piccolo passo per l'Italia...”
“Se non vuoi giocare a Mario Kart c'ho anche il gioco del calcio”.
“...un grande passo verso la fine della democrazia”.
“Ma insomma, ve ne volete andare? Guardate che chiamo il padrone, eh? Che lui è amico di Putin, lo sapete cosa fa Putin ai giornalisti?”
“Non c'è bisogno, ce ne andiamo da soli”.
“Meno male. Uff, che palle questi ricchioni”.

Questo racconto è opera di una fantasia malata, e non è ispirato da nessuna proposta di legge attualmente in discussione in parlamento. Il coinvolgimento di John Elkann è puramente casuale. Nessun politico italiano è stato ferito durante la realizzazione di questo post.
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la pistola sbagliata

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La castrazione linguistica

Sarkozy dice che non dobbiamo avere paura a parlarne, e allora coraggio, parliamone: se scrivo la parola castrazione, qual è la prima cosa che vi viene in mente?

A me, le forbici. O un coltello. O una tenaglia da norcino. Senza insistere oltre, insomma, nel mio vocabolario interiore “castrazione” è una parola irrevocabilmente associata a un concetto chiaro: mutilazione. Mi conforta in questo anche il De Mauro Paravia: castrare significa “asportare o far atrofizzare gli organi della riproduzione di un animale”. Asportati o atrofizzati che siano, si dà per scontato che quegli organi siano irrecuperabili. Anche l’accostamento immediato con “chimica”, una bella parola moderna, asettica, non cambia molto il risultato; una mutilazione è una mutilazione anche se al posto della lama di coltello è praticata mediante capsule colorate. Sempre legge del taglione è, e la legge del taglione la pensavo abolita, non già grazie a Beccaria, ma addirittura da Rotari re dei Longobardi. E la discussione potrebbe finire qui: grazie Monsieur le President, ma l’alto medioevo non c’interessa, neanche nella versione chimica. A questo punto di solito interviene qualcuno con l’argomento “il medioevo non ti piace perché non hanno ancora toccato i tuoi bambini”, e la discussione prosegue all’infinito, senza peraltro offrire più nessuno spunto di interesse.

Perché in realtà non stiamo parlando di niente. La “castrazione chimica” proposta da Sarkozy, sperimentata in qualche Paese europeo, e praticata allegramente in qualche Stato Usa nell’imbarazzo di giuristi e medici, non è una misura definitiva. Quindi, a rigor logico e linguistico, non è una castrazione. La cosa funziona così: se il colpevole di reati a sfondo sessuale è recidivo (e spesso purtroppo lo è), il giudice, sovrapponendosi bizzarramente al medico, gli commina una “cura” di ormoni che lo rende sessualmente impotente. Finché prende gli ormoni: se smette, in teoria potrebbe tornare sessualmente attivo. In teoria. I medici si lamentano che la cura abbia effetti collaterali, questi sì, definitivi. Ma facciamo finta che della salute di un maniaco sessuale non c’interessi nulla, facciamo finta che una giuria moderna possa considerare un cancro come parte della pena. Poniamoci un solo problema: la cosiddetta castrazione è efficace o no?

Un maniaco sessuale è una persona sessualmente frustrata. Renderlo impotente significa renderlo ancora più frustrato (peraltro alcuni maniaci sessuali sono già impotenti). Magari qualche volta funzionerà, ma in altri casi rischia di essere controproducente: d’altronde, siccome in tutto il continente i castrati chimici non superano ancora il centinaio, è un po’ presto per le conclusioni statistiche. In America, dove ne hanno castrati un po’ di più, hanno notato che la castrazione chimica “rende il soggetto più aggressivo”. Rendere un maniaco sessuale più aggressivo non mi sembra un buon risultato, anche alla luce di un semplice fatto: il pene non è mai l’unica arma a disposizione. Da solo un pene può fare ben poco: per commettere violenza ha sempre bisogno di un supporto: pugni, calci, coltelli, pistole. Atrofizzare un pene e lasciare le pistole a portata d’armeria mi sembra un’ipocrisia enorme. Questo è il motivo per cui sarei contrario alla castrazione chimica… se fosse una cosa seria. Ma non lo è. Semplicemente non lo è.

La castrazione chimica è una cosa che non esiste. È un nome feroce, che evoca lame arrugginite e barbare mutilazioni, appioppato a una banale cura ormonale senza effetti definitivi. Come andare dal barbiere a “decapitarsi” barba e capelli. O dal dentista affinché ci “amputi” un dente cariato. Allo stesso modo, da qualche anno in alcuni Paese europei (sicuramente Germania o Svezia) il condannato per reati sessuali può chiedere di essere “castrato” chimicamente per usufruire di uno sconto di pena. È chiaro? In cambio di un po’ di pilloline tornano fuori prima. E una volta fuori, chi di voi madri e padri premurosi sarà in grado di accertare che il maniaco continui ad assumere la pillolina?

Aveva ragione Orwell: chi controlla il significato delle parole, controlla il Potere. Allo stesso tempo aveva torto: lui pensava che il Potere avrebbe chiamato “libertà” la dittatura, “amore” le torture; per ora le cose vanno in modo diverso. C’è in circolazione una cura (per la verità ancora non molto sicura), per i maniaci sessuali, e il Potere decide di chiamarla “castrazione”, per darsi un tono. Sarkozy non è un boia che si atteggia a damerino, ma l’esatto contrario. Per rimanere popolare deve fare il gradasso. Certo, se proponesse ai francesi la libertà anticipata ai pedofili in cambio di una cura ormonale senza effetti definitivi, sarebbe sommerso di fischi. Ma è proprio quello che sta facendo: salvo che la cura ormonale ha questo nome formidabile, “castration chimique”. Senti che suono che fa, senti come ti riempie la bocca. E tanto meglio se nel frattempo ti svuota anche le galere, con quel che costa un carcerato.

E funziona? Dipende dai punti di vista. Probabilmente non salva nessun bambino dalle insidie dei pedofili, anzi. Ma come arma mediatica è fenomenale: vuoi mettere quant’è liberatorio e popolare poter affacciarsi al balcone e gridare “castration chimique”, ogni volta che un bambino ci va di mezzo? Tanto più che se si trovasse qualcosa di realmente efficace contro la pedofilia, il mondo si svuoterebbe di bambini abusati e genitori impauriti, e a quel punto gridare al balcone non servirebbe più, bisognerebbe inventarsi qualcos’altro. Ma finché c’è un problema vero, e uno slogan efficace, non c’è nessuna necessità di risolvere il problema. No, neanche quello dei vostri bambini, mi spiace.

Forse allora aveva ragione Pasolini, in una sequenza di quel film orribile. Perché mai il Potere dovrebbe mutilare realmente le sue vittime, quando può mettere in scena la mutilazione all’infinito? “Imbecille, non lo sai che vorremmo ucciderti mille volte fino all’infinità possibile prima di ucciderti per davvero?”
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dei bambini non si sa niente

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In fondo io e te non siamo altro che mammiferi, per cui potete farci qualsiasi cosa, purché non tocchiate i bambini! Noi vogliamo tanto bene ai bambini!

Passaparola: c'è un tizio che va in giro per le spiagge d'Italia in apecar, indovinate cosa fa, è un vero mostro, con la sua demoniaca macchina fotografica egli fotografa i bambini! I nostri bambini! Gli ruba l'anima e la mette su internette!

Non passa giorno che in tv non si parli di qualche bambino scomparso, di qualche traffico d'organi, in tv hanno così cura per i nostri bambini. Non resta che barricarsi in casa, non divulgare foto né ecografie, per il bene dei nostri bambini! Perché noi sappiamo cosa è bene per i nostri bambini. In sostanza, la cosa migliore è tenerli in casa davanti alla tv.

Capito, piccolo? In spiaggia non ti ci porto, c'è il maniaco fotografo di bambini. Al centro commerciale no, basta voltarsi un attimo e finisci riciclato in qualche traffico di cistifellee di bambini. Invece qui in soggiorno c'è tutto quel che vuoi, il lego, le macchinine, il dvd di Nemo coi contenuti speciali, oppure anche solo la tv, puoi accenderla se vuoi, non può farti male la tv... a meno che...

Oddio, non ci posso credere, c'è uno stronzo che sta raccontando il finale di Harry Potter! Senza preavviso! Tappati le orecchie, presto! No! E' troppo tardi! Troppo tardi!

Maledetti!
Ma vi rendete conto?
Ma lo sapete come sono fatti i bambini?
Ma vi preoccupate mai veramente per loro?
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Taormina chi lo paga? e altre domande

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Fa più danni un indignato

Le persone che usano più spesso e più intensamente internet sono più socievoli, hanno più amici, hanno rapporti familiari più intensi, più iniziativa professionale, meno tendenza alla depressione e all’isolamento, mostrano più autonomia, più ricchezza comunicativa e una maggiore partecipazione alla vita civile e politica rispetto agli altri. Non ve lo dico io, ma una ricerca dell’Università della Catalogna (in sette volumi), illustrata sull’ultimo Internazionale da Manuel Castells. Ecco, questo è esempio di come si parla di internet all’estero, sui giornali seri.

Sui giornali italiani invece l’idea che passa è che internet sia, sostanzialmente, un covo di maniaci che passano il tempo a stuprare i bambini su second life o a scambiarsi ecografie per fini pedo-porno (e dire che c'è un sacco di genitori che le ecografie le mette sui blog senza lucrarci neanche un po'): vedi l’ultima inchiesta a tinte fosche di Repubblica. In due pagine “degne di cronaca vera” (Wittgenstein) Paolo Berizzi si finge per noi pedofilo on line, chatta un po’ con qualche orco, ma appena le cose si fanno serie viene sopraffatto dallo schifo e lascia perdere. Sul serio, il reportage è tutto qui. Nel pezzo non c’è davvero nulla che non si sappia già: le cifre sono le solite dell’associazione Meter (Don Fortunato di Noto) e della polizia postale. I pedofili esistono, e usano internet per scambiarsi immagini pedoporno: se usano server italiani, e se scaricano su dischi rigidi nel territorio italiano, sono perseguibili ai termini di una delle leggi più aspre del continente. Quindi? A che serve questo “sollevamento della nostra indignazione a suon di aggettivi senza nulla intorno” (Mantellini)? A supporre che l’obiettivo del cronista sia creare un alone di terrore intorno a internet si pensa male – ma forse ci si azzecca.

Nella seconda parte del servizio Berizza si fa sfuggire qualcosa di più – la profonda indignazione per i siti di “pedofilia culturale”. Oddio, e cosa sarebbero? I siti, i forum e i blog in cui si difende la pedofilia come manifestazione d’amore nei confronti dei bambini eccetera eccetera. Per Berizzi questi siti sarebbero solo un paravento dietro al quale gli orchi proseguono il loro traffico immondo. Qui basterebbe usare il buon senso, e dare per scontato che a nessuno piaccia andare in galera: se è possibile che questi siti attirino i pedofili alle prime armi, è molto difficile che dei trafficanti inveterati siano così poco astuti da farsi pizzicare proprio lì, nel primo posto dove la polizia li andrà a cercare. Però Berizzi ci insiste molto, sull’ipocrisia dei pedofili culturali. Ha l’aria di pensare che quei siti andrebbero chiusi d’ufficio, anche se non commettono alcun reato. È la nota logica dei benpensanti: se chiudiamo il bar losco, la gente smetterà di spacciare lì intorno.

Il pensiero vola alla campagna anti-giorno-del-pedofilo-orgoglione, un episodio da cui Berizza non ha evidentemente imparato. Riassumo? C’è un sito internet, un piccolo sito di tre pagine striminzite senza quasi link all’esterno, che propone di festeggiare un certo giorno come “giorno dell’orgoglio pedofilo”. È da anni che la cosa va avanti, nell’indifferenza generale. Quest’anno però l’indignazione ha avuto un soprassalto, non si capisce perché. È stata fatta una campagna di firme via internet. C’è stata anche una marcia su Roma di associazioni anti-pedofilia. Risultato: il ministro delle comunicazioni ha reso il sito internet inaccessibile per i navigatori italiani. Perlomeno ci ha provato, con risultati scarsissimi. Le associazioni anti-pedofilia hanno cantato vittoria, malgrado il sito fosse ancora on line e visitabile. Non solo, ma grazie a tutto questo battage pubblicitario in quei giorni ha fatto un prevedibile record di accessi. Ecco il risultato dell’ultima di queste periodiche onde di indignazione. Fin qui la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un'orda di indignati un po' pasticcioni, ma mossi dalle migliori intenzioni. La storia però è un po' più complicata di così.

Il contenuto di quel sito era noto da anni. Ogni tanto un giornalista italiano lo metteva in un pezzo di colore, e la cosa finiva lì. Quello che è successo quest’anno è un po’ diverso, e vede protagonisti i blog. L’indirizzo del sito appare una prima volta in un commento al blog di Massimiliano Frassi, fondatore della onlus Prometeo che combatte la pedofilia con metodi un po’ particolari, scrivendo libri allarmisti e discutibili e raccontando qualche panzana (anche ai radicali, a quanto pare). È lo stesso blog che pubblica liberamente foto di bambini sanguinanti o pieni di lividi, senza che nessuno ci trovi nulla di morboso (lui lo fa per creare indignazione, quindi è ok).
Frassi a dire il vero non è molto contento che quel link appaia sul suo sito, così scrive questa severa reprimenda: “Oggi che il blog è diventato il più letto in Italia cercate di non generare inutili problemi da chi non sa più dovre attaccarsi.....”. Nel frattempo però il meme è stato seminato.

In quegli stessi giorni, Frassi ha qualche ragione per essere di pessimo umore, per via di due inchieste in cui la sua associazione è coinvolta: Brescia e Rignano Flaminio. In entrambi i casi i genitori dei bambini si sono avvalsi della sua consulenza. I racconti fatti dai bambini sono molto simili. A Brescia, però, come a Rignano, gli inquirenti hanno un bel problema: non riescono a trovare prove. Per gli indagati di Brescia proprio in quei giorni è arrivata la sentenza: tutti innocenti (tranne uno). E allora? Il blog tira avanti, con notizie di cronaca nera e foto di bimbi abusati da tutto il mondo. Nei giorni successivi Frassi si fa patrocinatore di una vera e propria campagna-anti-giorno-dell’orgoglio-pedofilo, che arriva ai quotidiani più importanti e viene poi lanciata sulla carta stampata dai quotidiani Epolis.

E il ventitré giugno marcia su Roma, con la Prometeo e le altre associazioni dei genitori: ricevuto da Bertinotti, dal sottosegretario all’economia Paolo Cento e dai presidenti di regione e provincia, Marrazzo e Gasbarra. L’idea è quella di fronteggiare i pedofili nel loro giorno dell’orgoglio. La richiesta formale è quella di formare una super-procura anti-pedofilia. E poi ce n’è un’altra, di cui sui giornali si parla meno: l’assistenza legale. Secondo il giustiziere, quel giorno Marrazzo e Gasbarra si sarebbero fatti sfuggire una promessa importante: finanziare le spese processuali dell’Agerif, l’associazione dei genitori di Rignano Flaminio. Ogni promessa è un debito, e questa lo è un po’ di più, visto che l’Agerif, a corto di prove, aveva appena assunto l’Avvocato Taormina. Uno che a occhio non costa poco.

C’è da dire che l’irruzione di Taormina in questo caso non ha portato gli sviluppi attesi. Ai primi avvistamenti da Vespa e Mentana c’eravamo aspettati il carrozzone mediatico in stile Cogne. Poi però è scomparso. Se ha deciso per una strategia diversa, tanto meglio (anche perché il metodo Cogne non è stata così produttivo, dopotutto).
Rimane l’interrogativo: Taormina chi lo paga? Non è per caso una voce del bilancio dei contribuenti della regione Lazio, vero? Ed è possibile che queste ondate di indignazione vengano orchestrate da persone che tentano di specularci su? Sì, è possibile. E sarebbe uno scandalo: non mostruoso come quello della pedofilia, ma comunque uno scandalo.
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tutti dietro ai pifferai

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Mantellini sulla campagna anti-giorno-del-pedofilo-orgoglione:
...il risultato finale di tutto questo sproporzionato impegno moraleggiante è complessivamente negativo e potrebbe essere così riassunto; 50000 italiani hanno fatto da testimonial pubblicitari ad un sito web olandese nel quale si fa l’apologia della pedofilia.
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le petit guignol

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Il blog di marzapane

L'inchiesta di Rignano va avanti (avanti?) e io continuo a non saperne nulla. Ma una volta ho scritto che Massimiliano Frassi meritava un discorso a parte. Questo discorso avevo poi preferito lasciarlo perdere: in fondo chi sono io per mettere in dubbio la serietà e la professionalità di uno che in questo settore ci opera da anni? Ho letto i suoi libri (uno prefato addirittura da Costanzo)? No. E allora, basta. Oltretutto pare abbia la querela facile. Chi me lo fa fare?

Il problema è che ha un blog.
E io – che non sono esperto di pedofilia, né di sociologia, né di pedagogia dell'età evolutiva – in effetti non posso dirmi esperto di nulla, tranne di blog. Di questi ho una certa esperienza, e di questo mi limiterò a parlare. Non del Frassi scrittore, del Frassi studioso, o del Frassi consulente, ma unicamente del suo blog. Che è interessante come oggetto in sé.

Probabilmente non è, come scrisse Frassi una volta, "l secondo blog più letto in Italia, dietro all’inarrivabile Beppe Grillo" (fonte?) Senz'altro è, come recita l'occhiello, "il Blog più letto nel campo della lotta alla pedofilia". Ed è un oggetto sconcertante, che meriterebbe di essere studiato dalle teste d'uovo del settore.

Se non l'avete mai visto, non cliccate subito. Vi chiedo prima un piccolo sforzo: voi come lo immaginate il blog di uno studioso serio del fenomeno pedofilia? Testi asciutti e senza fronzoli, data la gravità del tema? Una certa sobrietà nell'uso di immagini? E magari un corredo bibliografico di un certo spessore, visto che l'autorevolezza è una cosa che non s'improvvisa?

Ecco, il blog di Frassi è l'esatto opposto. Zero bibliografia, testi urlati in caratteri di scatola, spesso ironici (o, per diretta ammissione "cinici"), e immagini prese di pacca dai film dell'orrore (dracula, zombies, eccetera). Ne risulta un effetto "Cronaca Vera" che stride non poco coi contenuti, eppure… conquista.

Attenzione: non sto dicendo che Massimiliano Frassi non sia un professionista serio. Sto dicendo che su internet ha deciso – consapevolmente, direi – di non giocare il ruolo del professionista serio, ma del cronista di nera. È una scelta curiosa, ma in fin dei conti legittima. C'è solo un limite, a mio parere: e adesso lo spiego.

Forse è una mia idiosincrasia, ma non mi fido di chi mostra foto di bambini picchiati o uccisi. È una vecchia polemica che facevo una volta coi neoconi: perché questa fregola di mostrare le piccole vittime della Jihad? Forse che i bambini palestinesi non muoiono allo stesso modo, e talvolta in numero maggiore? Ma soprattutto, che bisogno c'è di esibire la violenza? Dove finisce il diritto di cronaca e comincia il morboso? C'è chi è convinto che solo in questo modo io possa capire che la Jihad fa male. Le parole non bastano, figuriamoci i ragionamenti. Solo le foto, i filmati, le immagini. Solo l'occhio capisce: il cervello è troppo lento. A quei tempi mi pareva che i neoconi mi prendessero per fesso: se sono adulto, non ho bisogno di assistere a una decapitazione per capire che la decapitazione è una cosa orribile.

Frassi, purtroppo (per me), mi suggerisce la stessa sensazione. È chiaro che se parli di violenze sui bambini, non hai bisogno di mostrarmi nulla per farmi inorridire. O non è chiaro? Ad ogni buon conto, qualche volta Frassi preferisce farmi vedere le immagini. Tra un dracula, uno zombie, la magliettina dedicata al suo cane (peraltro simpatica), Frassi mi fa vedere foto di bambini piccoli neri e rossi di lividi. Ne trovate (ma vi sconsiglio di farlo) il 3 giugno e il 26 aprile.

La cosa sarebbe già di per sé discutibile: in dieci anni di Internet, queste sono le prime foto di bambini molestati in cui m'imbatto. Ma diventa assolutamente fuorviante dal momento che Frassi non sta parlando dei bambini delle foto, ma di Rignano Flaminio. E i bambini nelle foto non sono senz'altro quelli di Rignano, visto che le perizie non hanno fino a questo momento trovato prove di violenza fisica.
Questo, però, gli utenti del blog di Frassi non è detto che lo sappiano. Sul serio. Alcuni sono esperti e si sanno districare nel bailamme mediatico di questi giorni. Altri no: altri si fidano semplicemente dell'esperto. E Frassi in effetti un curriculum di esperto ce l'ha. Ma quando scrive il blog, più che un esperto somiglia davvero a un consumato redattore di nera: uno che da qualche parte del suo pc ha una galleria di foto di bambini picchiati, e freddamente decide ogni tanto di associare qualcuna di queste foto a un caso ancora aperto. Per quale motivo, se non quello di alzare un polverone intorno al lettore?

Potrebbe fare una cosa del genere su un giornale – una pubblicazione qualsiasi, Cronaca Vera inclusa? No, non potrebbe. Ma su un blog si può. Nessuno gli può obiettare niente. Non gli è imposto nessun criterio nella scelta e nell'abbinamento delle immagini. Può fare quel che vuole, e lo fa. Ecco un argomento interessante contro i blog, per chi dopo anni non riuscisse più a trovarne.

Tutto questo sarebbe già abbastanza inquietante se Frassi, con la sua Onlus, non fosse il consulente dei genitori dei bambini di Rignano; dopo essere stato ugualmente consulente dei genitori nel caso di Brescia. Le testimonianze nei due casi sono molto simili. A Brescia solo un indagato non è stato scagionato e sta scontando la pena.

Io continuo a non sapere se i bambini di Rignano siano stati molestati o no, ma sono sicuro che non sono quelli nelle foto. Se dovessi formulare un giudizio su Frassi unicamente dai contenuti e dai toni del suo blog, dal criterio con cui sceglie le immagini e le associa ai contenuti e dalle fonti (quasi mai citate), non avrei molti dubbi. Ma non devo farlo e non lo faccio.

Finisco con un'amplissima citazione dal giustiziere, che mi scuserà.

Il presidente deve far vivere una onlus, e per farlo deve trovare un campo “nuovo” di lotta agli abusi sull’infanzia.
Nel settore (l’ambiente) esiste già chi si occupa di combattere la pedofilia online, associazione Meter di Don Fortunato di Noto. Non si può neanche creare un telefono di segnalazione per i bimbi abusati (Telefono Azzurro Di Caffo).
Cosa rimane????
L’assistenza ai genitori degli abusati.
Nessuno ci aveva mai pensato. Anche perché il settore presente un piccolo problema intrinseco.
Quale?
Che, come sanno oramai anche i sassi, il 70% degli abusi avviene, purtroppo, in famiglia.
Problema non da poco…
Affatto. Basta dire l’esatto opposto.
Che il 70% degli abusi avviene fuori le mura domestiche ed il gioco è fatto!!!!
Ma non è vero!
Certo che no, ma chi se ne frega!!!!!
Non commetta lo stesso errore degli studiosi che combattono l'associazione, e nel farlo la controbattono con argomenti scientifici.
E come sperare di colpire una mosca con un bazooka; uno strumento inadatto.
Questi non fanno scienza, non gli importa di dire cose esatte. Non citano fonti.[…]
Il loro scopo è un altro.
Devono costruire un Panteon di esoterismo satanico.
Devono costruire allarme e diffidenza.
Devono alimentare paura.
Guardi il loro blog, che è il vero sito dell'associazione, tutto è analizzato sull’architettura del terrore.
Stupri, sangue e perversione.
Ogni ansa che parla di questo viene riportata.
Se in giornata non vi è nulla di pedofilia i nostri non demordono, spaziano ad altro. Donne violentate, uccise, banditi che escono dal carcere con permessi, animali torturati.
Tutto fa brodo, basta che sia Grand Guignol. Bisogna convincere la gente che il mondo è pieno di orchi cosicché i più sospettosi verranno da loro a far vedere i propri figli.


Anche del giustiziere so molto poco: e quel poco che so l'ho desunto dal suo blog, dai suoi toni, dalla scelta delle immagini, dal suo uso delle fonti. Resta un modo molto pericoloso di formulare i propri giudizi: voi non fidatevi. Fate un giro qui e là, confrontate, cercate. E non fidatevi di chi vi spaccia foto di bambini. In generale.
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"fango e vergogna"

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S'io fossi Papa (sarei allor giocondo?)

Ora spiego come risolverei l’emergenza pedofilia, se fossi il Papa. La cosa è ridicola, ma su un blog si può fare.

E dunque, se fossi un Papa mi metterei a chiedere scusa. Una cosa che noi Papi sappiamo fare bene, come ha scoperto il penultimo, e invece di indebolirci ci dà forza: un Papa che chiede scusa è coraggioso e moderno, senza smettere di essere il Capo; perché solo il Capo ha diritto di chiedere scusa, ed anzi è proprio chiedendo scusa che dimostra a tutti di essere il capo. Abbiamo coperto decine di casi di pedofilia? Centinaia? Migliaia? E io vi subisso di decine, centinaia, migliaia di scuse. E non farei passare quattro o cinque secoli, come con Galileo. Cercherei di portare le vittime in sala Nervi e m’inginocchierei ai loro piedi.

Se fossi il Papa, lascerei perdere la questione del diritto canonico: come se le pecorelle della mia chiesa s’intendessero di latinorum. Sì, è vero, è stato bravo Monsignor Fisichella da Santoro giovedì scorso: ma pensate che spiegando al popolo la crimen sollicitationis abbia convinto qualcuno? E metterei a tacere i rispettabili studiosi che si sono autonominati difensori della mia Santa Madre Chiesa su un tema delicato come questo: è inutile perdere tempo a verificare se quel programma della BBC sia autorevole o no. Il programma mostra casi di pedofilia che sono stati coperti: questo nessun cardinale, nessuno avvocato lo ha potuto oppugnare. La Chiesa a volte ha coperto dei sacerdoti colpevoli di atti di pedofilia: punto. E scusa, scusa, scusa.

Se poi ci fosse davvero qualcuno di questi sacerdoti latitanti rifugiato nel perimetro del Vaticano, valuterei la possibilità di estradarlo, a mo’ di vittima sacrificale. Perché sono il Papa, e di sacrifici me ne intendo. È il mio mestiere.
Perché se fossi il Papa saprei che questo non è solo uno spiacevole episodio: la campagna della pedofilia è la battaglia finale ordita dai nemici della Chiesa cattolica. O la vinciamo o ci spazzano via. Dobbiamo dimostrare che è un problema di mele marce, e quindi via le mele marce. E se qualche mela buona si perde nel procedimento, mi dispiace: sono il Papa, ho un miliardo d’anime da salvare e altri cinque da evangelizzare.

Sì, è vero che sono le stesse accuse che ci faceva Goebbels. Ma questo non è un punto a favore. Da Goebbels in poi avremmo dovuto attrezzarsi per evitare scandali di questo tipo: se non l’abbiamo fatto, abbiamo reso un pessimo servizio a Dio; che è il nostro datore di lavoro, ricordo.

Se fossi il Papa, sarei consapevole della mia parziale responsabilità. Nel penultimo secolo la civiltà del Crocefisso si è trasformata in civiltà del Bambino. La piramide sociale si è invertita: all’inizio del Novecento l’adulto e l’anziano stavano in cima: oggi è il Bambino il re. Basta dare un’occhiata a qualsiasi famiglia. Il Bambino siede in trono, è il consumatore ideale che sa solo chiedere Ancora. Ogni suo desiderio è consumo. Nessuno può toccarlo.
Crescendo perderà parte delle sue prerogative, ma rimarrà una figura regale fino all’adolescenza. Manterrà il diritto di molestare compagni ed educatori; questi ultimi continueranno a non poterlo sfiorare.
La Chiesa ha forse osteggiato questa rivoluzione copernicana? Al contrario: l’ha cavalcata alla grande. Si è trasformata da religione dell’Aldilà a religione della Vita. Ha perso interesse per gli adulti e gli anziani e si è concentrata sugli Embrioni, i bambini perfetti. Abbiamo persino abolito il limbo, espandendo il Paradiso a dismisura perché contenesse tutti gli aborti del mondo – perché abbiamo fatto tutto questo? Se fossi un Papa lo saprei. Probabilmente abbiamo colto degli spunti che erano nell’aria e abbiamo pensato che valesse la pena interpretarli. Meglio noi di molti altri, tutto sommato.

La pedofilia probabilmente è sempre esistita, in quei luoghi di cattività che sono i collegi religiosi o i seminari. Era, per così dire, un difetto sistemico di una gerarchia fondata sul celibato. Ma nella nuova civiltà del Bambino il difetto si è trasformato nel virus che può annichilire l’organismo della Chiesa da un momento all’altro. Non c’è un minuto da perdere: troppi minuti sono stati già persi.

La Chiesa ha molti nemici, e se fossi Papa saprei che non sono tutti a sinistra. Anzi, con quelli tutto sommato si ragiona. Se i nostri nemici fossero tutti gentiluomini come Santoro & co.: è chiaro che in questo periodo, col pressing che abbiamo fatto sulla politica italiana, non potevano che buttarsi sul fronte pedofilia. Ma l’hanno fatto con correttezza ed equilibrio, i soliti difetti dei liberi pensatori. Il vero problema non sono loro. Il problema sono i nostri diretti concorrenti nell’amministrazione delle coscienze: le sette protestanti che ci stanno buttando fuori dagli USA e che ci attaccano anche in Brasile. Le confraternite od ONLUS che anche in Italia trasformano i casi di cronaca in emergenze sociali. È tutta gente che vuole rubarci le pecorelle, e loro non hanno che continuare a soffiare sul caso pedofilia. Oggi già succhiano il cinque per mille, domani l’otto, dopodomani affitteranno San Pietro! Cosa vuoi che importi se anche i pentecostali hanno la loro quota rilevante di indagati per pedofilia? se in tv comincia a passare il messaggio Chiesa Romana = Chiesa pedofila, possiamo ribattere con tutte le statistiche del mondo: avremo perso. E noi non possiamo permetterci di perdere, perché lavoriamo per Dio.

Se fossi il Papa la penserei così, ma non lo sono.
Il Papa è Joseph Ratzinger, che qualche mese prima di essere nominato, in un’intervista alla tv italiana, accusò “il clima post-conciliare” di aver favorito la diffusione di una certa tendenza alla pedofilia tra i sacerdoti. È chiaro il pensiero dell’ex cardinale Ratzinger? Semplifico: per duemila anni non ci sono praticamente stati preti pedofili, poi hanno smesso di dire la messa in latino, si sono messi i pantaloni, e hanno cominciato a toccare i bambini. E a uno così tocca salvar la Chiesa? Naturalmente lo Spirito Santo ha le sue ragioni, che non posso conoscere.

Però così, a occhio e croce, direi che con questa gestione la Chiesa di Roma è spacciata. E mi dispiace: perché quello che viene dopo è anche peggio. Il Cattolicesimo ha i suoi difetti, ma non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli del cristianesimo born again e fai-da-te di chi prenderà il suo posto. Quella è gente buona solo a plagiare il prossimo, senza controllo, senza gerarchia. Quando avranno loro il controllo del quartiere o della scuola, chi gli impedirà di toccare i bambini?
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Treccani omofoba?

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Povero Antinoo

È stato più di una settimana fa.
“Buon giorno, esce ancora Repubblica?”
“A volte”.
“Oddio, e questo pacco cos’è, la Bibbia a fumetti?”
“Mi ha chiesto Repubblica, le ho dato Repubblica”.
“Accetta il bancomat?”
“Ma no, l’enciclopedia è in omaggio”.
Ah, gli omaggi... Vabbè, è pur sempre una Treccani. Biografica. Ultimamente vanno le biografiche, avete notato?
Avete anche notato che io sono la vittima designata delle enciclopedie? Ci sono i tipi da romanzo e i tipi da cronaca nera. Io m’incanto più facilmente davanti a un’enciclopedia – ci trovi sempre qualcosa d’interessante. Quando non c’era Internet, l’unico modo di perdersi nello scibile umano era consultare la voce Pragmatismo per attardarsi sulle foto di Praga, le statue di Prassitele e la Prammatica Sanzione. Per cui ci do subito un’occhiata, all’enciclopedia biografica Treccani. In fondo c’è un sacco di gente interessante che comincia con la lettera A.

Dopo neanche due minuti, maturo una convinzione: è una ciofeca, questa Treccani. V’eravate affezionati, volevate finirla? Lasciate perdere, piuttosto le garzatine. L’operazione ha tutta l’aria di una rivendita di fondi di magazzino. Anzitutto è scritta in grosso: diffidare sempre dei libri scritti in grosso, soprattutto se dizionari o enciclopedie. E poi è materiale vecchio. Si vede a occhio.

Prendiamo uno degli uomini più grandi e fortunati della Storia del mondo: l’imperatore Adriano. La sua è una voce scritta negli anni Cinquanta. Al massimo Sessanta (ma potrebbe anche essere Trenta). Certo, non è che nel frattempo abbia fatto molto di nuovo, l’imperatore Adriano. Ma non c’entra. Le enciclopedie si aggiornano sempre, perché anche se gli imperatori restano fermi, noi ci muoviamo. E si vede. La voce Adriano avrà cinquanta, sessant’anni, ma sembra più vecchia dell’imperatore stesso. Adriano, come tanti principi del tempo, era bisessuale. Regolarmente sposato, aveva una relazione con uno schiavo. La relazione la possiamo chiamare tranquillamente pederastia: anche se la parola pare brutta, essa designa per l’appunto i rapporti tra maschi adulti e maschi adolescenti.

Ma la Biografica Universale Treccani non parla di pederastia, né di omo o bisessualità, bensì di “turpi e palesi trasporti”. Proprio così.
Non aveva infatti figliuoli, né aveva saputo conservarsi l’affetto della bella Sabina, che aveva così gravemente offesa con i turpi e palesi trasporti per Antinoo.

Ora, non bisogna essere alfieri del politically correct o delle tematiche LBGT per affermare che qualcosa non va.
E non in Adriano. Lui, quando morì Antinoo, fece innalzare statue e templi in tutto l’impero. Gli dedicò persino una città (Antinoupolis), per cui evidentemente sì, il trasporto era palese. Ma non si può leggere “turpe” in un’enciclopedia comprata nel 2006. È una parola che dice più cose su di noi che sull’imperatore Adriano.

E poi uno dice non fidatevi di wikipedia. Quanto resisterebbe, una frase come quella, in una voce di wikipedia? Una mezza giornata, due ore? Sulla Treccani c’è da mezzo secolo. E potrebbe passarne un altro mezzo. Se la civiltà occidentale si mantiene, naturalmente.
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