Waiting for my break

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Io, per dire quanto ne ho piene le palle del terremoto, in questo momento sto in mutande.
Mi rendo conto che non è che sia questo scoop, ma dovete pensare invece a quanto sia coraggioso, di questi tempi, in queste plaghe, salire in casa propria al primo piano e mettersi in mutande, toh, irridendo la scossa che potrebbe costringerti a uscire nudo in strada o - se il pudore prevale - a cadere nudo tra i rottami del tuo geniale investimento immobiliare. C'è gente che ogni giorno rientra nella zona sismica per lavorare otto dieci e ore e finché non torna in una casa sicura non va in bagno, sul serio c'è gente così, e a costoro, poveri, io dico amen: in caso di big one, mi identificherete dalle mutande. D'altro canto sono un grafomane ed è sempre stato statisticamente molto probabile che le mie ultime parole fossero un'assoluta scemenza.

Qui c'è la solita afa del secolo, molta gente sbaracca le tende e torna in case non sicure ma dotate di air conditioning. Se non ci vivi non puoi capire come la paura di un terremoto possa cedere il passo all'insofferenza per l'umidità. A parte questo non ho molto da dire, ma in mezzo ai vecchi post non pubblicati ho trovato una lista buttata lì; a fine maggio era partita una catena sui dieci pezzi migliori degli Anni Novanta. Così ora, per dire quanto ne ho piene le palle, scriverò un pezzo su questo argomento di cui frega pochissimo anche a me, figurarsi voi, ma se viene il Big One ci tengo a farmi trovare in mutande mentre parlo d'altro con ostentata indifferenza.

I miei dieci pezzi preferiti degli anni Novanta, come se la cosa interessasse a qualcuno

Gli anni Novanta si riconoscono dal fatto che si compravano i CD. Io per la verità già pochissimi, la mia cultura musicale era sin d'allora il sintomo di un'offerta inflazionata, era il calore che d'inverno si prende gratis il barbone sulla grata della metro, era il frescolino che si prendono gli anziani al centro commerciale senza acquistare niente. Anche ai centri commerciali ci si poteva fare una cultura musicale dignitosa ai tempi, adesso non so. Tengo le cuffiette tutto il tempo.

Zooropa, 1993.
Giusto per mettere le cose in chiaro, io negli anni Novanta ero musicalmente già vecchio, ancorato a miti già messi in discussione e poi traditi, e poi ripresi in casa con la stanchezza con cui si riannoda l'unica storia dignitosa che sei riuscito a mettere su. Quando si misero a lavorare a Zooropa gli U2 ormai non erano più i rocker irlandesi che avevamo amato in parrocchia, non erano più molto rocker e nemmeno molto irlandesi, ormai vivevano nella terra di nessuno tra un aeroporto e l'altro ed è lì che composero ed eseguirono Zooropa, e si sente, e la cosa è molto anni Novanta. Gli U2 di quel decennio forse furono le ultime rockstar, se ha un senso la parola, quelli che a ogni disco dovevano cambiare volto e progetto, tradire qualche fan e recuperarne altri che li avevano fanculati, per esempio, dopo Rattle and Hum. Oggi nessuno ha più il coraggio di disorientare così quei poveretti che ancora portano avanti la nobile tradizione di comprarti i dischi; anche gli U2 hanno smesso di fare le rockstar, ho sentito che hanno un circo itinerante ma è molto caro. Zooropa, la prima volta che l'ho sentita accovacciato in un vagone passeggeri, pensavo a tutto tranne che avrei ancora ascoltato nella vita un disco degli U2; quando dal ghettoblaster un tizio che aveva paura di addormentarsi sul treno e perdere la coincidenza per Saint Tropez, Zooropa sboccò fuori come un fiume in pena ispirandomi pensieri come: Ce l'hanno fatta di nuovo, quegli stronzi! Ora ci tocca ascoltarli anche per tutti gli anni '90. Non è andata proprio così. Il testo parla di come ci si sentiva negli anni 90, nei lounge dei terminal o accovacciati nei corridoi dei treni per il mare.


Friday i'm in love, 1993.Non so, vogliamo starne a discutere? Non era il decennio dei Cure e non era la canzone migliore dei Cure, e nemmeno ho intenzione di riascoltarla nei prossimi 200 anni neanche se la coverizza il clone di Johann Sebastian Bach recuperato da un frammento di DNA impigliato tra le corde di un clavicembalo ben temperato; ma si può far finta che non sia uscita? Vogliamo suggerire di avere gusti musicali più raffinati, canzoni d'amore più intelligenti da sfoggiare? Fammi controllare, che giorno è? Mercoledì? Mercoledì non me ne può fregar di meno, guarda.


Jamie, 1994.
Jamie cominciò a sentirsi in radio dopo quella cosa paraculissima che era Buddy Holly, e fu il momento in cui di colpo ho smesso di pensare che i Weezer fossero un gruppo scemo da una botta e via, e ho cominciato a pensare che fossero la Cosa Nuova Del RnR, insomma il momento in cui sono passato da una deficienza all'altra; ma mi piace pensare di aver incocciato anche solo per un futile istante il vero gusto musicale, e mi piace pensare che sia quel momento in cui nell'inciso Jamie smette di battere 4/4 e se ne va per i fatti suoi.



Aicha, 1996.
Per come si erano messi gli anni 90 io avrei potuto anche diventare tutt'un'altra persona, per esempio adesso potrei essere un panzone che ascolta rai a palla in autoradio, invece non mi ricordo neanche esattamente cos'è il rai e perché mi piaceva. Mi piaceva perché era diverso ma familiare ma diverso. Si ascoltava molto in Francia, finché quella cosa non troppo interessante che è il rap francese se lo mangiò, fine della storia, oggi se mettete su Cheb Mami io vi chiedo che roba è, e il bello è che non faccio finta, mi sono totalmente dimenticato di cosa sarei potuto diventare. Aicha non è neanche la mia canzone preferita di Khaled, ma le altre non mi ricordo più come si chiamano e mi costa fatica cercare, inoltre descrive due personaggi dei miei anni 90: il panzone d'area magrebina, magari un po'mbriago che cerca di rimorchiare ma ha disposizione solo un frasario del nonno del nonno, e la fanciulla che cerca di emanciparsi, spero tu ci sia riuscita Aicha. Magari hai cinque bambini, un classico; e se torno al quartiere nemmeno ti riconosco. Poteva andarci meglio, sì, inutile discuterne.


Seekers who are lovers, 1996
Anche i Cocteau Twins erano, come me, un relitto degli anni 80, che come me si svegliò verso il 2000 con l'aria piuttosto sbattuta e molto rumore nelle orecchie. In quel periodo, se mi aveste conosciuto, ve l'avrei propinata commentando il frastuono con aria di intenditore, e vi avrei spiegato che la BBC session era molto meglio della versione studio, niente coretti leziosi e così via. Ma dovete anche capirmi, non c'erano ancora i blog a cui affidare tonnellate d'opinioni non richieste. Quando mi è venuta l'idea di fare questa lista ho pensato subito a loro, ero incerto sul pezzo giusto e allora ho dato un'occhiata su youtube: il primo commento è: "this song is sexy as fuck. this BBC version is the greatest - you can hear what everyone's doing. it's not syrupy soup as on the LP". Ecco, basta, mi era sufficiente incontrare qualcuno che la pensasse come me, ora non annoierò più nessuno. Vedete come l'Internet ci ha reso persone migliori, alcuni.



The Rockafeller Skank, 1998
Gli anni '90 erano anche quelli strani in cui andavo a ballare, qualcuno sostiene che è successo anche nel decennio successivo ma è una menzogna e non ci sono prove, né testimoni sobri. E si andavano a ballare cose scemissime a un certo punto, ci fu una specie di riconciliazione tra rochettari anche post-grungi, truzzi ricollocati nel tessuto produttivo e dj coi postumi della summer of love, e l'ex batterista degli Housemartins riciclatosi spacciatore di campionamenti da due soldi è l'epitome di tutto ciò. C'è senz'altro qualcosa di meno banale che meritava, ma Funksoul brother ha sempre funzionato, con chiunque ci fosse in quel momento in sala, ed è tutto quello di cui avevamo bisogno in quel momento. Sì, parlo al plurale per darmi un contegno, ma la verità è che ho veramente ballato questa roba. L'ho anche messa su alle feste.




You turn the screw, 1998.
Senza Antenna 1 anche ai Cake non avrei mai dato più dei tre minuti che misi a guardare il video di I will survive, invece se metti in fila quanti dischi hanno mandato fuori, quante belle canzoni ci sono dentro, quanti stili hanno costeggiato senza smettere un istante d'essere Cake, e quanto poco ciò sia fregato a tutti, capisci che erano avanti, già pronti a quell'incredibile spreco di talento che sarebbe stato il decennio successivo, e anche solo per questo la top 10 se la meritano davvero, anche se non sapresti dire con che pezzo e in che posizione. A me questa piace più di altri, voi arrangiatevi.

4 big speakers, 1998
A un certo punto degli anni Novanta la situazione era così incerta, così aperta - stasera mi piglio un due di picche da una pancabbestia o da un'imprenditrice? - che la risposta alla domanda "qual è il tuo gruppo preferito" era una cosa oggettivamente disperata come  "i Cardigans". Io però qui non ce la faccio a mettere i Cardigans, non riesco proprio a capire cosa mi facesse impazzire in quel poprock leccato il giusto, forse a quel tempo ci voleva della faccia tosta a stare tra i Roxettes e i Black Sabbath, ma è come quella gente che passeggiava in tondo gridando al cellulare, in seguito abbiamo smesso di ritenerlo un fatto degno di nota e di rilevanza culturale. Abbiamo anche smesso di ascoltare i Garbage, ve li ricordate i Garbage? Se uno pensa ai Garbage in heavy rotation nei centri commerciali, può capire perché i Cardigans potessero sembrare un'alternativa di un certo livello. Se ricanticchio dentro me gli immortali successi dei Cardigans, mi accorgo che oggi se li potrebbe cantare pari pari Britney o Lady Gaga, e allora? Allora, giusto per restare in Iscandinavia, ci metto i Whale (gli Whale?) I pezzi tirati de(gl)i Whale mi piacevano in un modo insano, volevo solo picchiare la testa contro il muro, o, in macchina, contro il volante. C'era il problema che questo disco ad Antenna1 qualcuno se lo era fregato - quella radio era un porto di mare! - quindi a un certo punto nessuno richiese più 4 big speakers, i dj dell'indotto cominciarono a temere che nessuno l'avrebbe capita e ballata, sicché essa cadde nel dimenticatoio. Poi arrivò Napster, e all'inizio cercar canzoni era come disseppellire i tesori, se nel frattempo ti eri dimenticato il titolo del pezzo o l'artista la ricerca era ancora più affannosa e divertente. Quando finalmente la trovai, la misi a palla nelle cuffiette, ma non c'era più nessun muro e nessun volante, stavo lavorando in un open space ed ero, come molto spesso negli anni Novanta, un perfetto deficiente. Non l'ho più ascoltata. No. Bugia. Due o tre ascolti l'anno, dai. In settembre di solito.




Waiting for a break, 1999.
Cioè questa roba era il meglio che si è ascoltato negli anni '90? Poveretto, chissà la merda. Effettivamente non so neanche chi siano e non li ascolto mai, però qui descrivono esattamente chi era l'abitante degli anni '90 di cui più avevamo paura, anche nel senso che avevamo paura di diventare come lui, anche nel senso che ormai era troppo tardi per non diventarlo. Qui c'è una traduzione.



The free design, 1999
Quando ormai gli anni Novanta cominciavano ad essere un po' avanti coi decimali, e nelle iterazioni sociali sempre più aleatorie, sempre più disparate e disperate, la domanda "tu che musica ascolti" cominciava a richiedere una risposta netta senza incertezze e stucchevoli puntini di sospensione, proprio in quel complicato momento gli Stereolab mi soccorsero e gliene sarò infinitamente grato, ma non abbastanza per ricordarmi dei titoli delle loro canzoni - e sì che loro si sforzano e ne inventano di veramente belli, ma gli Stereolab nei Novanta erano un flusso continuo che usciva da Antenna1 e si scioglieva immediatamente nel nastrone che tenevi sempre lì pronto sul momento, ben consapevole che nessun disturbo radio, nessun woofer o blip o drip o persino un'interferenza di Radio Maria avrebbe potuto rovinare un pezzo degli Stereolab, anzi. Secondo voi dovevo prendere il telefono coi tasti grossi e chiamare Max, chiedergli scusa come si chiamava il pezzo degli Stereolab che hai appena messo su? Ma per piacere. The free design è già di una fase successiva, me lo ricordo bello forte nei cuffioni del negozio, era quel momento in cui sembrava che questi signori fossero capaci di tutto, la sbobba la volete più jazz? ve la facciamo più jazz, che problema c'è. Vennero anche alla festa dell'Unità di Modena ma l'acustica era pessima. C'era ancora la corista che poi è morta (ci sono già due morti in questa didascalia, finiamola qui).

Come, neanche un pezzo in italiano? Sì, ne ho ascoltati parecchi ma mi sembrerebbe di pesare assieme mele e pere, no, mele e cachi patocchi. Magari un'altra volta, rigorosamente in mutande. Ciao.
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