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Arrivo tardi, ma lo voglio lasciare scritto: quello che ha fatto Alberto Nerazzini lunedì scorso, con la sua inchiesta sulle narcomafie di Roma e Velletri, è qualcosa di clamoroso e prezioso. Oltre a raccontarci una storia complicatissima che negli ultimi anni era scomparsa dietro l'orizzonte, è anche una lezione su come dovrebbe funzionare un'inchiesta televisiva, e su quanto funziona bene quando funziona. Tante cose che ormai diamo per scontate, che una volta sembravano tv d'assalto e adesso infastidiscono, Nerazzini si ricorda ancora andrebbero fatte. 

Disturbare i personaggi della storia per strada, o al telefono, ad esempio, è una pratica che di solito mi fa cambiare canale all'istante: colpa di Iene, di Striscia, di un'estetica che punta tutto sul mettere alla berlina il personaggio preso a bersaglio, e ti propone di trovare divertente il suo imbarazzo. Forse solo Nerazzini si ricorda che può servire a costruire un racconto a farci immedesimare in un personaggio: questo reporter che si aggira per Roma e dintorni a piedi o in automobile, con una giacca a righine che fa impazzire la videocamera. Non possiamo cambiare più canale, non fosse altro perché siamo preoccupati per lui. 

Come i detective delle storie seriali, ha un suo stile, il suo modo di appoggiare battute che può fare solo lui ("eh, ma dipende da quale Porsche...") e che forse serve un po' di abitudine per capire. Come quei detective, alla fine fa rapporto a un superiore, trova una soluzione decente a un mistero, sipario. Nella vita vera sarebbe promosso, diventerebbe famoso, tutti i canali se lo disputerebbero: ma purtroppo siamo nella tv italiana. Lunedì c'è un'altra puntata e io spero di trovarlo di nuovo, per più tempo possibile. 

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Il ragazzo a cui passai il Giornale

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Su Facebook ogni dibattito viene a noia dopo poche ore, e questo mi libera; mi solleva dal peso di dover scrivere cosa penso, che ne so, di Montanelli. Due giorni fa forse, ma ormai non interesserebbe più ad alcuno; e comunque anche quell'alcuno avrebbe letto in questi giorni tre o quattro opinioni abbastanza simili. Che potrei aggiungere di interessante? Cosa è stato Montanelli per me... Una parte del paesaggio? Il nonno ex fascista che molti di noi non hanno realmente avuto, ma ci spettava comunque per contratto? Perché bene o male quello è stato. Mi viene in mente un mio amico, si fa per dire, non lo vedo da anni. Ecco, potrei raccontare questa cosa, e spero che nessuno ci si riconosca.


Risale all'anno in cui compravo almeno un giornale al giorno – ma a mia discolpa, era un anno in cui capitavano tantissime cose, il 1989? Più facilmente il 1990. E per quanto fossi un fanboy di Repubblica (merito meno di Scalfari che di Beniamino Placido) cercavo di comprarli un po' tutti. Anche quelli che non mi piacevano – del resto, lo imparai così che non mi piacevano (ricordo ancora il mio choc culturale davanti a un normalissimo fondo del Corriere: ma qui parlano bene di Craxi! E basta! Cioè non c'è nessuna notizia, stanno soltanto parlando bene di Bettino Craxi? Ma si può fare, voglio dire, è legale questa cosa?)

Compravo la Stampa, compravo l'Unità; un giorno, è naturale, mi ritrovai in mano il Giornale. Proprio quel giorno invece di farmi un giro in Cittadella, alla fine delle lezioni; invece di andare a sfogliare per l'ennesima volta i 33giri in offerta al Discoclub, me ne rimasi lì sulla panchina di granito del binario 5. Il destino, che è uno stronzo, volle che proprio quel giorno mi trovasse col Giornale in mano un mio amico del paese, in una fase della vita in cui lui era un ragazzino timido, e io un po' meno, e mi chiese: che giornale leggi? Mah niente dissi, sai, ogni giorno cerco di comprarne uno diverso...

"Questo proprio non l'ho mai visto".

"Ma sì, è un giornale di Milano, uno spinoff del Corriere". Questo di sicuro non lo dissi, non sapevo cosa volesse dire spinoff. Conoscevo a grandi linee le circostanze della scissione, e soprattutto conoscevo Montanelli sin da bambino, perché il Giornalino pubblicava a puntate la Storia dei Romani e dei Greci e di certe nozioni non credo di essermi mai liberato. Una parte del paesaggio, appunto. Ma se era il 1990 facevo il terzo anno, forse il quarto? Ormai lo avevo capito che reazionario fosse Montanelli, ci litigavo già volentieri. Ci avrei messo comunque anni a capire che uno a volte le cose le legge proprio per incazzarsi, e che il successo di alcuni giornalisti e scrittori dipende dalla felicità con cui assolvono precisamente a questa funzione. Ma in quel momento per me era vitale che il mio amico capisse che quel che leggevo non lo condividevo, insomma, m'avesse beccato con Corna Vissute mi sarei sentito un po' meno in imbarazzo.

"Quando hai finito me lo presti?"

Anche questa cosa non me la disse esattamente così – come si diceva a quei tempi passami-i-fogli-di-giornale-che-hai-già-letto? Perché è una cosa che si faceva. Comunque glielo passai tutto, che altro potevo fare? A quel tempo m'inteneriva. Al suo liceo era l'unico del paese, al paese era rimasto un po' fuori dai giri, lo vedevo aggirarsi per il binario 5, troppo piccolo per provarci con le ragazze; aveva un modo di fare che titillava il mio senso di responsabilità. È esattamente questo il problema: mi sento responsabile per quanto successo. Il che è assurdo, ma nondimeno vero. Gli feci conoscere il Giornale di Montanelli, e lui cominciò a leggerlo tutti i giorni. Poi Montanelli se ne andò, ma la corriera ormai era partita. Tempo quattro anni e lo ritrovai berlusconiano duro. Nel frattempo era diventato anche più alto di me di una buona spanna, e un pilastro della comunità, una fidanzata carina e tutto quanto, e questo malgrado ogni tanto io cercassi di incontrarlo con altri quotidiani in mano, lo vedi che non leggo solo il Giornale? L'ho comprato solo quel giorno, non mi puoi inchiodare a un giorno solo, no? Tutto questo succedeva in giorni lontani di un secolo scorso, ma non c'è una volta che non si riparli di Montanelli e in generale del Giornale che io non ripensi a lui, e non mi chieda se non è stata tutta colpa mia, e come sarebbe andata se quel giorno in stazione mi avesse trovato con in mano il Manifesto.

Ecco un motivo più originale di altri per odiare Montanelli. E invece no, per qualche oscuro motivo lo sento mio complice. Non abbiamo vigilato, non siamo stati attenti; certi mostri sapevamo che avrebbero bussato a certe porte che dovevamo custodire sprangate e invece abbiamo lasciato una fessura, per curiosità. E per voglia di litigare. Sicuri che dal litigio saremo emersi trionfatori. Della sposa abissina sentii parlare soltanto qualche anno dopo, ai tempi in cui fondò la Voce e diventò un astro dell'antiberlusconismo nascente. Non riesco a credere che si sia una coincidenza. Montanelli aveva rotto coi colleghi di destra, i colleghi di destra erano iene da archivio: pescarono la cosa che avrebbe reso Montanelli più inviso al suo nuovo pubblico di sinistra. Prendetelo come sospetto di uno che si sta rincoglionendo; ma fino a un certo punto, se qualcuno tirava fuori Montanelli, qualcun altro rispondeva sì, vabbe', Montanelli rappresenta un determinato milieu, vittima del brigatismo, ecc. ecc. Da un certo punto in poi la prima reazione diventò: Montanelli? Lo stupratore di una bambina abissina? In tutto questo riconosco lo stile della destra berlusconiana italiana, dei vari macchinisti del fango a cui mai nessuno scolpirà un monumento che pure mi piacerebbe personalmente profanare.

Ecco, alla fine sono riuscito lo stesso a spiegare cosa penso di Montanelli, e la ragione del mio fastidio per il dibattito di questi giorni – che non è il fastidio per un monumento imbrattato, peraltro con un rosa gentile e lavabile – ma l'imbrattamento arriva dopo vent'anni in cui un personaggio veramente molto interessante, e criticabile, e criticato, si è progressivamente ridotto a uno stupratore di bambina. E il fastidio per non riuscire a spiegare questa cosa senza passare per uno che minimizza l'episodio. È chiaro che l'episodio è grave, anche una volta inserito in un contesto (la guerra di Etiopia) da cui Montanelli non ha mai voluto davvero prendere le distanze, come dal primo amore; dal fascismo sì, dal conservatorismo liberale del dopoguerra sì, da Berlusconi quasi subito; ma dal mito degli italiani buona gente che liberano i barbari abissini da sé stessi, mai. Oggi però l'epiteto "pedofilo" chiude ogni discussione, e invece la discussione è interessante; significa "mostro", e Montanelli tutto era meno che un mostro che si aggirava per l'acrocoro etiopico a caccia di bambine. Era un ufficiale italiano impegnato in una guerra coloniale, che recepiva direttive dei superiori: il consiglio di trovarsi una "madam", una sposa a tempo, gli venne da un superiore che in questo modo sperava di prevenire i rapporti con le prostitute. Tutto questo più che sotto il capitolo "Pedofilia" non sarebbe il caso di inserirlo in quelle, altrettanto interessanti, "Crimini di guerra coloniale", "Sessualità in Italia nell'epoca fascista"? Ma tutto questo lo sappiamo anche grazie a Montanelli, che avrebbe avuto tutto il tempo e l'interesse per negare le circostanze e insabbiare le evidenze, e mai si è sognato di farlo; perché?

Probabilmente perché aveva voglia di litigare anche su questo, ed era abbastanza pieno di sé da immaginare che alla fine avrebbe vinto anche questo dibattito. "Pedofilo" oggi equivale a "tabù", ma Montanelli tabù non ne ha mai avuti (o forse l'uso di armi chimiche in Etiopia). Da scrittore di libri di storia, sapeva come certe pagine di storia si scrivono, e che i posteri hanno sempre ragione; ma che proprio per questo è inutile blandirli. Ai posteri servono anche i mostri, e forse a Montanelli non dispiaceva diventarne uno. Il suo monumento, lui per primo l'ha imbrattato. C'è qualcosa di notevole in questo; non voglio dire ammirabile, ma insomma Indro Montanelli ai posteri continua a dire: vaffanculo, io sono così. Sono un uomo del mio tempo, che ha fatto alcune cose che voi trovate orribili e ai miei tempi erano normali. Non vi chiedo scusa, non capisco nemmeno a cosa vi servano le scuse di un vecchio o di un morto. E neanche voi, non dovete scusarmi: dovete giudicarmi. Nella Storia d'Italia a Volumi a me forse spetta una mezza pagina: vedete voi cosa farci entrare e cosa no. Se alla fine ci sarà scritto "ha stuprato una bambina in Abissinia", amen. Il punto non è se raccontarla così mi renda o non mi renda onore: io sono morto, chi se ne frega del mio onore. Il punto è: farà onore a voi?
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La miscellanea del sesto volume

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Ho un problema coi vecchi amici. Non li chiamo mai. Me li immagino sempre appollaiati sul mio passato. In realtà hanno una vita anche loro, un presente, rate di mutuo, pannolini da cambiare. Mi piacerebbe incontrarli oggi per la prima volta, ho l'impressione che diventeremmo amici. Ma li ho incontrati da giovane ed ero un deficiente. E loro lo sanno.
Io so che lo sanno.

“Pronto”
“Ehilà Ognibene, son Traldi”.
“Traldi, ehi, ciao!”
“Oh come butta vecchio”.
“Traldi guarda, adesso come adesso posso solo risponderti in monosillabi mentre davanti agli occhi mi scorre il film del campeggio all'Isola d'Elba del 1992 quando la dissenteria mi tradì nel sacco a pelo”.
“Maddai, cosa mi fai venire in mente”.
“Traldi sei un cattivo bugiardo, ancorché pietoso, e io so che quella chiazza marron è il primo ricordo che tu hai di me, dovessi vivere cent'anni e conquistare la Kamchatka a mani nude, per te io sarò sempre quella chiazza marron”.
“Ma piantala, Chiazza... ehm, volevo dire Ognibono”.
“Ognibene”.
“Sai che io dipingo, no, faccio una vernice in Pomposa, volevo invitarti”.
“Roba astratta?”
“Sì, campiture di colori un po' spenti... color terra, hai presente”.
“E hai pensato subito a me”.
Clic.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone. Dovrebbe essere il seguito di Capodanno). (In un qualche modo). (Mi avete segato lo spunto su Genova). (Fascisti).

Mi avevano raccontato da bambino che non è così, che del passato si ricordano soltanto le cose belle, la Centoventisei (un tombino semovente), il primo bacio (sapeva di lumaca), cose del genere. Magari per gli altri è così, magari si ricordano di quanto ero simpatico, alla buona, abbastanza corretto, se solo mi fossi fermato più spesso a sparecchiare alle feste. E poi ci sono tutte le cose che ho scritto. Se solo ci penso impazzisco.

“Ma mi sbaglio o costui è Ognibene? Ma che bella sorpresa!”
“Sì, beh, speravo di non disturbarti”.
“Non mi disturbi affatto, ma perché vesti una calzamaglia nera e hai il carbone sulla faccia e sei entrato da un lucernario nel mio solaio senza suonare il campanello?”
“Storia lunga. Senti, già che sei qui, non è che per caso ti ricordi dove tieni le mie lettere, sai, quelle che ti ho scritto nel Novantacinque quando...”
“Oh mi dispiace Ognibene le ho buttate tutte le tue lettere, è un problema?”
“Come le hai buttate, scusa”.
“Non credo sia un problema, no? Le scrivevi in duplice copia, mi par di ricordare”.
“Sì, ma non è quello che pensi, io in effetti ero venuto a distruggerle, ciò non toglie che, ma senti, perché non parliamo d'altro?”
“Ok, pensavo a te giusto l'altro giorno, ti ricordi quella volta che tu volevi assolutamente che ci rimettessimo assieme e alla quinta telefonata io ti dissi che mercoledì andavo a Londra, e quando atterrai a Heathrow tu eri lì già da un giorno pronto ad aiutarmi col bagaglio, ti ricordi?”
“Ero un po' troppo romantico a quei tempi”.
“Beh ma lo sai che al giorno d'oggi una cosa del genere va nel penale? Cioè un'incriminazione per stalking non te la levava nessuno”.
“Sì. Va bene”.
“Giusto per dire come cambia il mondo, no?”
“Sì. Ricevuto. Ero un deficiente. Se ora mi vuoi scusare...”
“Sul serio volevi distruggere le lettere?”
“Intanto le facevo sparire, poi magari a casa davo un'occhiata, perché certe cose, per esempio secondo me in quegli anni sbagliavo regolarmente gli accenti su alcune parole, e inoltre...”
“Sei sempre tu”.
“No sono molto cambiato”.
“Tu pensi ancora al meridiano”.
“Eh?”
“Al meridiano di tutte le tue opere, tu ci pensi ancora, sei qui perché non vuoi che alcune missive inopportune finiscano nella miscellanea del sesto volume”.
“Tu sei matta. Comunque non avrebbe mai funzionato, tra noi. Addio”.
“Ti ho mollato io, Ognibene”.
“Se è quello che preferisci pensare”.
“Se le trovo te le spedisco, ok?”
“Come sarebbe a dire, vuoi dire che non sai se le hai distrutte o no?”
“Senti ho fatto due traslochi e ho avuto carteggi con tre scrittori importanti”.
“Non osare mettermi in un elenco col dottor Merda, quel bavoso...”
“Tu non sei nessuno dei tre, Ognibene”.
“Sì, ok. Va bene”.
“Senti, vuoi scendere? Ho fatto la torta salata. Ti presento i bambini”.
“No è meglio che vado”.
“Allora alla prossima”.
“Alla prossima”.
“In cui tu suoni al campanello”.
“Sì”.
“Perché se ti infili un'altra volta dal lucernario io chiamo i carabinieri”.
“Senti lo so, lo so che ho giurato che non ti avrei mai più fatto questa domanda, però...”
“Sì ti ho voluto bene”.
“Grazie”.

“Ma chi era?”
“Ma niente un mio ex dell'università, un po' spostato, ogni tanto mi entra nel solaio”.
“È lo scrittore?”
“Noo, è... è Ognibene, lui... scrive anche lui in effetti, ma non ha mai pubblicato dei veri libri, credo che tenga soprattutto alla gloria post mortem”.
“Certo che te li cercavi col lumicino, in facoltà”.
“Ti giuro, erano tutti così. Com'è la torta?”


Se sul serio volete insistere su questa china insopportabile, che contro Genova non doveva avere speranze, dovete mettere Mi piace su facebook, o esprimervi nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto.
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(Forza)

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Venerdì qualcuno è entrato nella casa bolognese di Alberto Nerazzini, il giornalista di Report. Gli ha portato via attrezzature audio e video professionali, e i computer vecchi e nuovi: e nessun altro oggetto di valore. Sui giornali non se n'è parlato molto - è quasi comprensibile, siamo in crisi di governo, come d'altronde sempre. E poi forse c'è anche una questione di temperamento. Nerazzini è bravo a fare le inchieste, sfido chiunque a dire di no. Può darsi che non sia altrettanto bravo a trasformare sé stesso in una notizia: altri forse al suo posto avrebbero subito forato il video dichiarando cose altisonanti del tipo Non Ci Arrenderemo Mai. Nerazzini si è limitato ad ammettere di aver perso l'archivio degli ultimi anni di lavoro, e che gli ci vorrà del tempo per ricominciare: se gli volevano tagliare le gambe gliele hanno tagliate. In quest'ultimo periodo era tornato a lavorare nella Locride, stava documentando un processo per 'ndrangheta. Però in questi anni, dalla Sicilia della malasanità alla Lombardia delle cliniche d'oro, di nemici se ne dev'essere fatti parecchi (continua sull'Unità.it).

Anche se è un mio amico, non so proprio cosa potrei consigliargli. Posso solo immaginare come ci si deve sentire nel momento in cui qualcuno ti dimostra che può entrare in casa tua quando vuole, e prenderti quello che vuole. Credo che valga la pena di tenere ancora in giro la notizia: c’è un giornalista, un bravo giornalista, che è stato vittima di un gravissimo atto d’intimidazione. E chiedere a chi passa di qui: ricordate quando Annozero faceva dei reportage coi fiocchi? A volte erano cose di Nerazzini. Vi ricordate certi servizi degli ultimi anni di Report che hanno lasciato il segno? Parecchi li ha realizzati Nerazzini. Fin qui non aveva una scorta, e adesso non ha più i microfoni e le videocamere. Fate girare: più gente lo sa meglio è. Di certo nessuno è indispensabile, ma se si ferma lui ci sentiremo tutti un po’ meno informati, un po’ più poveri. Dopodiché potrebbe anche fermarsi per un po’, ne avrebbe il diritto: negli ultimi dieci anni non è stato fermo un attimo, ne ha appena festeggiato quaranta e il suo ultimo lavoro sulla ‘Ndrangheta è stato trasmesso in Ontario, Canada (i boss cominciano ad ammazzarsi anche là). Cuffaro è in prigione, Don Verzè non c’è più, hai nemici in due continenti diversi: ma hai anche tantissimi amici. Forza.
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Faccia da libro

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...A cosa stai pensando?

Io avrei anche potuto scrivere un pezzo polemico su Facebook
(non tanto su facebook in generale, quanto sulla mia pagina di facebook, che non mi assomiglia più)
(proprio come successe alla mia posta elettronica più meno intorno al 2001);
(ora voi non ricordate, piccoli, ma prima del 2001 uno poteva anche andare sulla posta elettronica perché aveva voglia di sentire come stavano i suoi amici);
(poi lo sa Dio cos'è successo:
alcuni amici si sono persi,
altri si sono iscritti alle mailing list sbagliate,
altri sono entrati nei gorghi delle catene di Sant'Antonio,
altri sono diventati i tuoi colleghi o peggio, i tuoi capi, e ricevere i loro messaggi ha smesso di essere divertente;
per non parlare di quando ha cominciato a piovere merda, semplicemente, tonnellate di viagra, cialis, penis enlargement e proposte nigeriane su qualsiasi cosa, e qualche casella di posta elettronica l'abbiamo lasciata andare così, sotto tonnellate di merda, e se lì sotto ci arriva ancora qualche imprevista lettera d'amore... è troppo tardi);
(così è con tutte le cose, su internet: bisogna arrivare presto, o comunque un po' prima che arrivi il grosso dell'utenza, perché dopo qualsiasi luogo interessante si trasforma nello stadio prima che canti Vasco Rossi o Irene Pausini, un tritacarne senza molto spazio per la tua individualità);
(ché poi io lo sapevo che sarebbe andata a finire così, infatti su FB non ci volevo nemmeno andare, ho aperto un profilo solo perché volevo capire da dove mi arrivavano gli accessi);
(me ne arrivavano parecchi, in effetti, FB è diventato uno dei posti che manda più lettori al blog di Leonardo, ed è il lettore più prezioso, quello occasionale, quello che arriva sull'onda di un passaparola, e mi sarebbe piaciuto capire l'onda da dove partisse; così ho aperto un profilo e ho scoperto, dannazione, che non si può);
(io in effetti potrei sommergere FB delle solite critiche che si sentono in giro, ma la verità è che l'unica cosa che davvero non mi va è questa: non poter sapere chi sta segnalando il mio prezioso blog ai suoi amici);
(questo mi dà una sensazione come di... avete presente quando ancora si usciva di casa e... vi accorgevate che qualcuno parlava di voi ma non riuscivate a sapere chi... come si diceva... ah, sì, “parlare alle spalle”);
(i più vecchi ricorderanno: una volta la gente parlava di te alle tue spalle, non nel senso che gli davi le spalle fisicamente, ma nel senso che parlavano di te male o bene (di solito male) senza che tu li potessi tracciare! Senza che tu potessi sentire quel che si dicevano! Senza che tu potessi intervenire con un commento! Era ben dura la vita fuori dai network, io me la ricordo);
(ecco, con FB questo si è rimesso a succedere; "avevo quasi dimenticato l'eccitazione del non sapere, il piacere dell'incertezza"... beh, non è divertente).

Bene, avrei potuto scrivere un pezzo sul mio profilo di facebook, che non mi somiglia più (forse per colpa della nuova-grafica-che-non-piace-a-nessuno); 
(o forse per colpa mia, che ho accettato chiunque volesse essere mio amico, anche se in verità non è che m'interessassero gli stracazzi di ottanta persone); 
(e quindi è inutile che me la prenda con facebook se adesso sulla mia homepage ci sono degli sconosciuti che litigano sui preservativi del Papa o giocano al test “a che questionario inutile assomigli?”); 
(se volevi che facebook continuasse a somigliare all'aperitivo coi tuoi amici di 10 anni fa dovevi essere più selettivo); 
(ma poi chi lo sa cosa volevi veramente).

...ma proprio mentre stavo pensando a un pezzo così Davide Enia, un attore che non conoscevo, mi ha scritto su facebook, perché lui invece conosceva me e veniva a fare uno spettacolo a pochi chilometri da casa mia; così mi ha invitato; 
e io ho pensato: mah, non è che abbia molto meglio da fare venerdì sera; così ci sono andato e mi sono divertito tantissimo, perché lui è proprio bravo, e alla fine mi sono fermato a ringraziarlo e mi ha ringraziato anche lui.
Per dire che a volte queste cose succedono. Qualche anno fa succedevano grazie ai blog; oggi piuttosto grazie a FB, ma fin che succedono – e ti svoltano la serata – non ha molto senso lamentarsi. Venerdì, a pochi chilometri da casa mia, in un piccolo teatro c'era un bello spettacolo, e io senza FB non l'avrei mai saputo.
E chissà quante altre cose mi sarei perso senza internet, negli ultimi 15 anni, chissà a questo punto chi sarei: magari uno di quelli che va accalcarsi allo stadio per ascoltare male la costosissima copia dal vivo di un disco brutto. Non ce l'ho con loro, però sono così felice di non essere cresciuto così.
E quindi, insomma, io potrei anche aver scritto un pezzo polemico su Facebook, ma soltanto perché sono un terribile ingrato. Certe volte devo ricordarmi di guardare al lato pieno del bicchiere.
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ftg Donna Letizia

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("Ma alla fine ce l'hai ancora quel blog?")

Col tempo si esce sempre meno, ci si perde di vista, ma per fortuna c’è settembre. A me capita ancora di incontrare più persone in settembre che in tutto il resto dell’anno, e per i soliti motivi: festival e matrimoni, matrimoni e festival. Praticamente alcune persone le vedo soltanto di settembre. Almeno così le cose da raccontarsi non mancano, direte voi.

Sarà. Ma da qualche settembre in qua la gente che incontro fa una smorfia strana. Loro non se ne accorgono, io sì. Non sono paranoico: semplicemente riesco a leggere le smorfie. È un potere terribile, da cui derivano grandi sbattimenti di coglioni. Insomma, Caro Amico, non ti vedo da un pezzo, ho voglia di dire anche solo due stronzate, ma mentre mi avvicino riesco a vedere la tua faccia congestionata in quella smorfia di terrore che conosco troppo bene. Dunque sono diventato un mostro? Anche peggio.
Sono diventato un blog.

E quella smorfia, la riconoscerei tra mille, quella smorfia sta dicendo: “Oddio! Eccolo qui! Ed è da sei mesi che non lo leggo!
E poi dice: “Se ne accorgerà di sicuro… non c’è niente che io possa fare… si sta avvicinando… qualsiasi argomento mi tradirà… il campionato? Dove sei andato quest’estate? Il riscaldamento globale? Le winx? Potrebbe avere scritto un post su qualsiasi cosa… maledizione! Ciao, Leonardo, come stai? Ti vedo in forma, eeeeh?

Grazie, sì, sono abbastanza in forma, ma non sono così sfigato. E non riesco a capire, davvero, come puoi pensare che io lo sia diventato.
Perché io non ho mai interrogato nessuno sui contenuti del mio blog. Non ho mai preteso che uno lo frequentasse abitualmente. Non ho mai tolto il saluto a qualcuno che non aveva letto un mio pezzo. È chiaro che se uno viene e legge mi fa piacere. Ma questo non significa che chi non viene mi faccia una dispiacere. In un giorno ci sono molte cose più importanti, e alcune sono persino più interessanti, per cui no, non dovete nemmeno giustificarvi: c’è chi legge i blog e chi non li legge. Se non li leggete potete essere miei amici ugualmente.
Siamo persone adulte. Abbiamo tutti le nostre economie di tempo e spazio. Se dieci anni fa mi avete spedito una cartolina, può darsi che io l’abbia sbattuta via. E voi invece non mi leggete il blog, ecco, siamo pari.
Questa non è falsa modestia. Anzi. Io ho una opinione molto alta di quello che faccio (soprattutto in rapporto a quanto ci guadagno). Diciamo che mi considero una specie di artista. E allora? Se incontrate in giro un amico pittore, non vi chiederà immediatamente se avete ammirato il suo ultimo quadro. Sarebbe piuttosto penoso. Se un vostro amico fa lo scrittore, non vi interrogherà sull’ultimo libro che ha scritto. Al massimo ve ne regala una copia, e morta lì. Io scrivo gratis – è come se le copie ve le regalassi in continuazione – ma il fatto che il mio medium sia molto accessibile non significa che voi dobbiate accedervi per forza, solo perché siete miei amici o conoscenti. E rilassatevi un po’.

Direte che questo pezzo è inutile, dato che si rivolge a persone che non mi leggono. Già.
Ma a un certo punto ho pensato: magari non è colpa mia. Io non ho mai fatto pressione su nessun amico o conoscente. Mai. Ho sempre fatto finta di niente, anche ai limiti dell’ipocrisia. Però questo sono io. Magari ci sono altri blogger che invece stressano i parenti e i vicini di casa. Magari sono loro che accreditano nel mondo l’immagine del blogger sfigato e brufoloso che implora attenzione. E io, siccome condivido la stessa interfaccia, devo condividere anche la loro sfiga, e i loro brufoli. E non mi pare giusto. Per questo motivo ho approfittato dell'ultima notte tempestosa per trafugare la salma di Donna Letizia, riattivando mediante scosse elettriche il suo encefalogramma, le ho esposto il mio problema e le ho chiesto di redigere una prima traccia del

MANUALE DEL BLOGGER GENTILUOMO IN SOCIETA'

Premessa:
Probabilmente non è che l'ennesimo diario adolescenziale inutile, ma il vostro blog potrebbe anche essere molto importante.
Il vostro blog potrebbe essere l’unica opera letteraria interessante del XXI secolo. Potrebbe fondare partiti, oppure abbatterli tutti e cambiare il corso della Repubblica Italiana in bene, in male o così/così. Dal vostro blog potrebbe scaturire il Manifesto destinato a rivoluzionare il cinema italiano, o la musica italiana, o la numismatica di San Marino. Il vostro blog potrebbe dimostrare inoppugnabilmente che Bin Laden è vivo, morto, o entrambe le cose. Il vostro blog potrebbe riscattare la vostra mediocre esistenza di impiegato/webmaster/ministro della giustizia. Il vostro blog potrebbe essere l’unica ragione della vostra vita. Potrebbe esserlo. Ma quando siete in società non ha importanza.

Quando siete in società, il vostro blog non sarà per voi che un hobby innocuo. C’è chi ha il pollice verde, chi suona il sassofono. Voi avete un blog. Tutto lì. Ne consegue che:

1. Il blogger gentiluomo non parla mai per primo del suo blog.
Mai. Questa è la regola aurea, da cui tutte le altre discendono. Se invece di un blog suonassi un sassofono, non interverrei in una discussione dicendo “Ciao, io suono il sassofono, mi hai mai ascoltato? Vuoi ascoltarmi?”, perché dimostrerei di essere sfigato ai limiti della mitomania. Ed avere un blog non significa essere sfigati ai limiti della mitomania. Non ancora.

2. Il blogger gentiluomo non parla mai per primo del suo blog, nemmeno se la discussione verte esattamente sull’argomento di cui ha scritto la mattina stessa. Perché i casi sono due: o nessuno vi ha letto (e a questo punto è meglio lasciar perdere), oppure vi hanno letto e preferiscono non commentare nemmeno le sciocchezze che avete scritto: e dovete solo ringraziarli.

3. Il blogger gentiluomo parlerà del suo blog soltanto se qualcun altro prima di lui è stato così poco gentiluomo da citarlo esplicitamente (es. “ho apprezzato veramente il tuo post sui lavavetri”, vs. “il tuo thread sui lavavetri è una rivoltante incubatrice di postfascismo”): e ne parlerà col tono distante e autodenigratorio di un lord inglese che accenni alla sua passione per il giardinaggio. “Mah, sì, c’è stata questa discussione sui lavavetri, un po’ intensa… devo dire che io nemmeno mi ricordo da che parte stavo all’inizio… bah”. Magari sembrerete un po’ falsi, ma l’alternativa è sembrare un po’ tromboni: come a dire che non c’è alternativa. (In effetti il blogger gentiluomo prova davvero fastidio nel parlare del suo blog, perché sa che non c’è modo di uscirne veramente puliti).

4. A cena non si parla di blog, e neanche dopo. Per l'amor di Dio, non avete nessun altro argomento? Davvero la vostra vita sociale si riduce a questo? Parlate di musica, di politica. Di donne, e motori, o centravanti. Raccontatevi barzellette spinte. Parlate esattamente di tutto quello che vi interessa e di cui parlate già sul blog, ma non parlate del vostro blog, né di quello degli altri. Magari scoprirete che la conversazione offline vi offre sfaccettature che online vi mancavano. Magari troverete nuovi argomenti per nuovi meravigliosi post, ma a quello ci penserete domani. Ora state conversando con persone in carne ed ossa! È una cosa miracolosa! Persino la cronaca dettagliata delle malattie infettive da loro contratte nel villaggio turistico è più interessante dell’ultimo aggiornamento della classifica aggregata di staminchia.

5. Il mondo è pieno di persone che non hanno un blog, non leggono un blog, e magari non hanno neanche voglia di essere evangelizzate sull’argomento dalla prima persona con cui escono. Se non riuscite a dare l’impressione di essere persone interessanti senza il blog, probabilmente non siete persone interessanti. Se invece ce la fate, magari a questa persona un giorno verrà voglia di leggerlo. E magari le piacerà. Sì, magari.

Detto questo, Donna Letizia ha rantolato un’orribile risata che ha infranto gli elettrodi, accasciandosi sulla branda. Ma se pensate che ci sia ancora qualcosa da aggiungere, prego, scrivete le vostre proposte nei commenti. No, non dovete venirmele a dire di persona, abbiamo detto che di queste cose non si parla. Nei commenti.
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siateci

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Sanremo è da sfigosi

Voi stasera siete qui.


(Anche domani).
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- tutti pazzi per BB

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50 anni senza Brecht

(non sono passati in fretta)

AVVERTENZA: paradossalmente, questa è una delle cose meno didattiche che ho scritto. Nel senso che chi non conosca Brecht (non è un reato) non troverà qui nessuna spiegazione utile. Questo è solo uno sfogo di un tale che non sa spiegarsi. Mi spiace.

Quando il mondo non ti capisce, un po' è anche colpa tua. Io sono convinto di questo.
Gran parte dell'incomprensione tra me e il mondo, in questi giorni, scaturisce da una concezione diversa dello strumento-blog: per me si tratta di un luogo dove si osservano le cose come stanno. Non è che mi metta ad attaccare adesivi o a protestare formalmente contro gli incendi alle ambasciate, perché le mie proteste formali non sono interessanti. Interessante è cercare di capire cosa porta a un incendio a un'ambasciata. Ma poi qualcuno pensa che voglio giustificare, che sono complice, che che che che. Io guardo alle cose come stanno, loro preferiscono immaginarsi le cose come dovrebbero essere. Non ci vuole molto tempo a ricostruire il pattern di questo mio modo di ragionare. È Marx, in effetti. E mi viene da chiedermi cosa sta succedendo, da quand'è che mi sono svegliato marxista? O sono sempre stato un agente della seconda internazionale in sonno? La cosa buffa è che ne ho letto veramente poco. Forse Marx per me è quel tipo di "cultura" che non si legge ma si respira, quella che meno cose sai più ti ci attacchi: come la Bibbia per i cristiani o Tocqueville per i neoconi.

Aspetta. Forse è Brecht. Io ho letto molto Brecht. Parecchio tempo fa (non ho neanche più i libri in casa).

L'altra sera ero a questo spettacolo, di Lisa Severo (amica) e Rocco Casino Papia, e mi stavo divertendo, ma mentre mi divertivo, pensavo (non ci posso fare niente): possibile che il giovane Brecht sia davvero questo simpatico giovinastro sesso-sigaro-e-chitarra? Andare a ripescare il Brecht giovane, non è un modo di addomesticarlo?
Probabilmente sì, ma non è che ci siano molte altre opzioni per parlare di Brecht oggi. Prima che l'anniversario entri nel vivo – e che tutti si mettano a parlare dell'eredità del grande drammaturgo – io qua vorrei sostenere senz'alcuna serietà un'idea antipatica e (spero) soltanto mia: non esiste nessuna eredità. Noi non riusciamo neanche a capirlo, Brecht. È un uomo di un'altra epoca, infinitamente più antico dei suoi contemporanei. È un pezzo di Storia a sé: il Novecento funzionerebbe benissimo anche cancellandolo; sarebbe un secolo più povero, ma non s'indovinerebbero i rami tagliati. È uno che non c'entra niente, né con quello che veniva prima, né con quello che è seguito dopo. (Con un sforzo senz'altro maggiore, forse si potrebbe ritagliare dal '900 anche l'Unione Sovietica).
Ogni volta che tentiamo di accostarci a Brecht, prendiamo cantonate. Gran parte delle nostre associazioni di idee (Strehler, Milva, Louis Armstrong, Jim Morrison…) sono semplicemente assurde. Pensiamo all'Opera da tre soldi e ci dimentichiamo quanto Brecht la odiasse. Facciamo finta che sia espressionismo – una delle famose avanguardie storiche – quella un po' più teutone, un po' più grottesca, con le voci in falsetto – e fraintendiamo tutto quanto. Non è del tutto colpa nostra.

Non riesco a spiegarmi che per metafore – necessariamente fuorvianti. Per esempio: Brecht è un sistema operativo per un tipo di computer che nessuno sa più progettare. Brecht è un Mac in un pianeta di PC, o viceversa (forse è meglio viceversa). Brecht è l'antimateria, che schizza via dal nostro universo repellente. Brecht è il Minitel francese, un'innovazione rifiutata dal successivo sviluppo tecnologico. Brecht è il motore a idrogeno; perché funzionasse bisognerebbe rivedere la civiltà dalle fondamenta, forse non vale la pena. Brecht è Brecht, sarei tentato di concludere. Per capirlo dobbiamo continuamente rifarci a cosa pensava lui di sé stesso – non è un buon segno. Persino Benjamin lo fraintendeva (e sicuramente noi fraintendiamo Benjamin).

E dire che sembra l'autore più semplice del mondo. Cosa c'è di più lineare di Vita di Galileo? Scienza è bene e Chiesa è male, o no? Madre Coraggio? La guerra è brutta. Arturo Ui? Hitler è un gangster. Tutto qui? Sembra di stare a scuola. E infatti è lì che lo abbiamo conosciuto, sui libri di testo (comunisti!). Del resto anche la scuola è una scheggia di mondo in fuga libera. Educare i giovani, che ingenuità, nell'era dell'intrattenimento. Cosa c'è di più anti-attuale di un autore didattico? Certa sua poesia sembra guardarci da un promontorio di secoli; Libro del Siracide, Libro dei Proverbi, Poesie di Bertolt Brecht.
(A proposito, l'autore italiano più brechtiano secondo me è Calvino, un altro che si scriveva le introduzioni da solo. Scriveva "libri per le scuole medie". Addirittura ha fatto un'antologia scolastica. Poi non c'è da stupirsi se crescendo lo trovano antipatico. Gli adulti vogliono libri ggiovani, che li facciano sentire ggiovani. Sesso e parolacce. Calvino scriveva per i giovani veri, quelli che hanno voglia di crescere in fretta).

Brecht è un caso a sé non perché sia difficile da capire. Proprio per l'esatto contrario. Ti spiazza per quanto è ovvio. Tu pensi al teatro, ma il teatro è semplicemente quello che la sua epoca aveva da offrirgli. Se fosse nato oggi scriverebbe per cinema, tv, internet. Ma cosa scriverebbe? È immaginabile, oggi, un cinema brechtiano? Persino la recitazione sarebbe una cosa diversa. Brecht riprenderebbe gli attori mentre si preparano ad andare in scena, salve sono Cathrine Deneuve e in questa scena faccio la vivandiera alla Guerra dei Trent'anni – la mente vacilla. Mi ricorda un po' gli ultimi due film di Von Trier, ma forse nemmeno lui c'entra con Brecht.
Prima di scegliere la Germania Est, Brecht girò parecchio. Visse in California, ma non riuscì a lavorare per Hollywood. Non lo capivano e non capiva. Io naturalmente fantastico su cosa sarebbe successo, se fosse riuscito a sfondare laggiù (come il collega Weill). Di sicuro oggi i nostri canoni sarebbero diversi. Ma è un pensiero ozioso. Brecht non poteva farcela. Era una sfida epica, la sua, ma non nel senso che lui dava alla parola. Nel senso che aveva contro tutta la prassi dell'intrattenimento occidentale. È come quella scena di Goodbye Lenin (molto proiettato da noi) in cui il protagonista mostra alla madre la caduta del muro, ma in senso inverso: gli occidentali fanno la fila per entrare in Germania Est a comprare i cetriolini della Sprea e il surrogato di caffè della DDR. Ecco, pensare a Brecht oggi richiede il medesimo, titanico, sforzo d'immaginazione

In un libro del mio Professore (che incautamente ho prestato a qualcuno), c'è un capitolo titolato "Che fare dopo Brecht?" Mi ha sempre fatto impazzire. Quanto comunismo in appena quattro parole. Che fare dopo Brecht? Ce lo siamo sempre chiesto in pochi.
Qualche mese fa il mio Professore è andato in pensione. Al pranzo di addio ho conosciuto un altro suo discepolo, un poeta, che mi ha detto di adorare la poesia di Ardengo Soffici. La cosa avrebbe lasciato indifferenti i più, ma io mi sono laureato (tra gli altri) anche su Soffici. Non perché lo adorassi, ma perché lo detestavo, lo consideravo l'inventore del fascismo in letteratura, un profeta dello squadrismo quando ancora Mussolini era un pacifista senza se e senza ma; insomma, per me era l'archetipo del letterato stronzo del Novecento, e consideravo una missione morale laurearmi su quella gente.
A un certo punto del pranzo il professore ha detto: ma io come faccio ad avere avuto due studenti così diversi? Parlava di lui e di me. Uno opposto all'altro.
Io adesso sono qui. Il mio opposto è al Grande Fratello. Essendo il mio opposto, mi sta molto simpatico. E mi pare che se la stia cavando. In ogni caso, lui ha trovato la sua risposta: che fare dopo Brecht? Il Grande Fratello. C'è poco da scherzare: non escludo che abbia ragione lui. In ogni caso, a me tocca fare l'opposto, e cioè?
Prendiamo quello che sto facendo adesso. Un blog. Come si fa a brechtizzare un blog? Io a volte ci ho provato. Ma forse non ho capito niente. In ogni caso ringrazio Georg, che ha rimesso in giro quella che definisce "una delle dichiarazioni di poetica meno fortunate della storia della letteratura probabilmente". Ecco. Io provo a ripartire da lì. Forse sono sempre stato lì. In ogni caso, riparto. La forma epica del blog. Vediamo.


Forma drammatica del blog


Forma epica del blog

attiva
narrativa
involge il pubblico in un'azione scenica
fa dello spettatore un osservatore
ne esaurisce l'attività
però ne stimola l'attività
gli consente dei sentimenti
lo costringe a decisioni
delle emozioni
a una visione generale
lo spettatore viene immesso in qualcosa
lo spettatore viene posto di fronte a qualcosa
suggestioni
argomenti
le sensazioni vengono conservate
le sensazioni vengono spinte fino alla consapevolezza
lo spettatore sta nel bel mezzo, partecipa
lo spettatore sta di fronte, studia
l'uomo si presuppone noto
l'uomo è oggetto di indagine
l'uomo immutabile
l'uomo mutabile e modificatore
tensione riguardo all'esito
tensione riguardo all'andamento
una scena serve l'altra
ogni scena sta per sé
corso lineare degli accadimenti
a curve
natura non facit saltus
facit saltus
l'uomo come dato fisso
l'uomo come processo
ciò che l'uomo dovrebbe fare
ciò che l'uomo deve fare
il pensiero determina l'esistenza
l'esistenza sociale determina il pensiero
sentimento
ratio
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Aggregatore della Domenica

Mi piacerebbe iniziare con una buona notizia, ne abbiamo? Ne abbiamo.

Banca Intesa non fornirà più finanziamenti al commercio di armi, forse. il gruppo vuole rispondere anche a un'esigenza espressa da ampi e diversificati settori dell'opinione pubblica, che fanno riferimento a istanze etiche sia laiche sia religiose. Sono cose che vanno incoraggiate.

Così come va incoraggiato chiunque, martedì 30 marzo alle ore 21, verrà a sentire me, i Polaroidi e il grande vecchio Blogorroico allo Juta café di Modena, in Via Del Taglio (vicino alla piazzetta della Pomposa). Presenteremo Blogout, un libro che non si presenta mai abbastanza. Venite, venite.

***

L'ultimo pezzo Contro la Lingua italiana ha scatenato una ridda, un pandemonio (si dice "pandemonio" quando mi scrivono più di due persone):

d'accordissimo con te nella battaglia contro gli ipercorrettismi, ma pignoleria mi impone di precisarti che "sono tornato aroma" a Roma non è un ipercorrettismo, ma una forma dialettale. E' noto infatti che i romani hanno in uggia le doppie erre (il famoso adagio "guera con una ere è erore") e ciò vale anche per il raddoppiamento fonosintattico. Aggiungo
che non tutti i dialetti del sud raddoppiano tutto: raddoppiare dopo il da, per esempio, è esclusiva toscana. ciao


Credo che l'italiano non preveda raddoppiamenti dopo il "da". Oh, ecchissene (notate in questa parola due raddoppiamenti corretti).


***

Io non so neanche se il blogging italiano sia così in ritardo. Posso raccontare la mia storia, interessa?

Due anni fa io mi consideravo un po' più informato della media, perché navigavo su Internet e consultavo vari siti d'informazione. Inoltre avevo un blog.

Un anno fa io mi accorgevo di essere molto meno informato della media, perché passavo sempre più tempo on line sui blog, interessandomi più dei fatti altrui che delle vere e proprie "notizie". I siti d'informazione li scorrevo molto più velocemente. Ero molto più attratto da polemiche e commenti.

Oggi mi accorgo di essere un po' più informato della media, perché nella lunga distanza ho selezionato una discreta quantità di blog che mi riportano le notizie meglio dei siti d'informazione ufficiali. Questi ultimi, quando li sfoglio, mi dicono solo cose che so già.

Faccio un esempio. Io so che la settimana scorsa Berlusconi ha detto che Al Quaeda sono solo quattro beduini. Questa notizia, in Italia, non è passata tanto. Io l'ho trovata da Lia. Per inciso: l'Islam come lo racconta lei non ce lo sta raccontando nessuno. Qualcuno, un giorno, dovrà prendersi la briga di pubblicarla.

(Sullo splendido tempismo di Berlusconi, che 'sfida' i beduini proprio sotto Pasqua, valgono le riflessioni di due anni fa).

Altro esempio. Il caso della stagista di Ivrea esclusa a causa del velo islamico: quante ne avete sentite sui media ufficiali? Una buona percentuale sono stronzate. Come faccio a saperlo? Leggo Pfaall. (Vedi anche sul caso del quattordicenne kamikaze in Palestina).

Oppure. Mettiamo che a me interessi qualcosa dei radicali. In realtà no, ma un sacco di blog che leggo s'interessano dei radicali. Qui Brodo, se ho ben capito, denuncia le infiltrazioni fascistoidi. Qualcosa del genere sul redivivo Wash it on post (per chi non lo sapesse, fu uno dei primi tentativi di blog-aggregatore: adesso è il blog in cui Wile, bontà sua, si ostina a dialogare coi Neoconi).

Quindi: i blog fanno bene o male all'informazione? Non lo so. Nel mio caso va a periodi, vi terrò informati.

***

E' vero: linco sempre gli stessi. Col tempo mi correggerò, ma volevo segnarmi un appunto.
Sembra un blog quieto e minimale, inoffensivo, ma è fondato sull'angoscia. E sul precariato. L'angoscia è la sua musa. Quella sensazione di cadere in moto rettilineo permanente. Non c'è rete, non c'è fondo. E' sempre lei.

***

In realtà, col tempo ti selezioni un gruppo di lettori abbastanza sintonizzati sulla tua lunghezza d'onda, che si beve qualsiasi cosa (quasi). Si rischia un po', invece, a mettere un pezzo su Macchianera : rivalità, livori, ma soprattutto un sacco di gente che dice: "Mbè? E chi è questo?"

Qualche settimana fa andava di moda cominciare i pezzi così: "ero al ristorante e ho visto Scalfari..." "Facevo la spesa e ho incrociato Veltroni..." "Pat Metheney non riusciva a ricaricare il cellulare"... il massimo del provincialismo, anche se non dovrei dirlo io. A un certo punto ho voluto contribuire, e ho scritto:

Mi chiama Dio al telefono, mi chiede se ho impegni in serata.

Con quel che segue... Beh, uno ha commentato:

Bello, troppo lungo e troppo fine.
Leo sei vecchio.
Va adattato per i neoblogger: più sesso, più ritmo, più provocazione, meno da leggere, meno da capire.

CLONE POST:

Mi chiama al telefono Dio, mi chiede se ho impegni in serata.
“In effetti avrei altri cazzi per la testa, volevo trombare Simona, certo che sei un bel rompiballe..”


Il resto è qui.
Ho paura che fili meglio il clone...
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Aggregatore della domenica

Oggi, 29 febbraio (San Precario), nevicava. Ma io sulla neve non ho altro da aggiungere.

Ma non temete, finirà anche questo inverno, come tutti gli altri, si squaglierà come neve al sole, e sotto la neve Modena vi offrirà una primavera carica di stupende iniziative culturali. Venerdì prossimo alla Tenda comincia un ciclo sulle Narrazioni in Movimento: verranno quasi tutti gli scrittori che hanno parlato del G8 di Genova nei loro romanzi: Bosonetto, Bugaro, Dazieri, Lestini, Tassinari, Carlotto. Camilleri aveva un impegno. Qui c’è il programma.

Martedì 30, poi, nel trendissimo locale Juta di Via del Taglio, presenteremo Blogout a chi non se lo fosse ancora procurato, in compagnia dei polaroidi e di altri blog di scuola modenese. Rispetto all’ultima presentazione, posso garantire che il bar resterà aperto, e qualsiasi dibattito sui Commenti verrà punito in modo esemplare (notate che qui non metto nessuna faccina ironica).

Codesto blog darà a tali iniziative tutto il risalto che meritano. Invece non darà risalto a Sanremo, né in generale a nessuna trasmissione tv d’intrattenimento. Per i motivi già spiegati l’anno scorso, ma anche per uno molto più banale: io di tv ne guardo poca, perdo troppo tempo coi blog.
Da quel poco che ho capito, comunque, “Bisturi” segna lo sputtanamento finale della body art, e non me ne posso che rallegrare. (Grazie, Spocchia):

Nelle oziose performance delle due operatrici dell'estetico albergava uno spirito piccolo-borghese e narcisista, tipico d'altra parte di tutta quella body art e arte concettuale che fa del proprio ombelico il centro dell'universo. Uno non lo dice per non essere accusato di zdanovismo e maschilismo. Ma poi l'idea che sta alla base di tutte le esibizioni di Orlan (operazioni di chirurgia estetica in diretta) viene ripresa senza sostanziali modifiche da un programma di Irene Pivetti e Platinette. E quindi è inutile nasconderlo, stavolta sono contento, time is on our side.

In realtà parlare di tv non è facile come può sembrare. Bisogna essere ironici, e io ultimamente non ci riesco. Mi cascano le braccia subito e non so come raccoglierle. Prendete – non so – gli spot della Tim. Io vorrei tanto riuscire a fare ironia sugli spot della Tim, ma non ci riesco. Quando le cose sembrano troppo facili, in realtà si fanno davvero difficili. E infatti ci riesce solo Personalità Confusa. Sulla scala della mia invidia, se volete saperlo, X§ sopravanza Sergio Romano di parecchi gradini.

Qualche gradino lo ha salito anche Secondavisione con questa esilarante letterina a Laura (non la Laura dei cocktail, un’altra meno giovane che fa l’attrice).

Poi, uno ha un bel da dire che la differenza culturale è un feticcio: ci sono cose che ti lasciano sgomento. Per dirlo con Cronaca Vera: Per mettere a suo agio l’ospite occidentale del figlio, coppia di coniugi egiziani gli regala una cassetta porno… D’altronde, come dice Lia, l’importante è venirsi incontro…

Chi è arrivato fin qui si merita letture impegnative. Bene. Avete ancora 5 giorni di tempo per leggere questo bel pezzo di Pierpaolo Ascari su Casanova, Stendhal, Paul et Virginie e Mme Bovary, prima che il Manifesto lo cancelli come genialmente fa con tutto quello che pubblica. Segue dibattito.

E anche febbraio ce lo siamo tolti di mezzo. Secondo me è andato un po’ meglio di gennaio, ma secondo voi no.
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Ho tirato giù un posto di blocco israeliano (e cosa c’è di male)
Per ricordare Tom Horindal: prima parte

Quando mi sono trovato davanti ai carri armati, io, non mi sono comportato tanto bene.
Del resto non volevo neanche andarci. Tutta colpa di Marcella.

“Il 27 dicembre del 2001 gli studenti di Ramallah che rientravano dalle vacanze di Natale trovarono un posto di blocco sulla strada per l’università di Bir Zeit, e allora…”
”Che palle, nonno, sempre la stessa storia…”
“Zitti, che è importante”.

Il 27 dicembre 2001 gli studenti di Ramallah chiesero alla delegazione di Action For Peace di fare opera di interposizione a quel posto di blocco l’indomani. Quella sera stavo giusto tornando dopo il mio primo pellegrinaggio alla città vecchia, assai fiero di aver rintracciato l’albergo da solo, dopo essermi alienato dai compagni in un internet cafè. Nella hall Marcella stava leggendo sulla lavagna il programma del giorno successivo: c’era un cambiamento. Un gruppo, invece di andare a Nabius, come previsto, si sarebbe recato al posto di blocco tra Ramallah e Bir Zeit. Quest’ultima era un’operazione delicata; c’era il concreto rischio di dover fronteggiare l’esercito israeliano, perciò servivano persone con una certa esperienza, un certo coraggio, una certa determinazione. Insomma, non si stava parlando di me.
Però Marcella si voltò e mi chiese: “Andiamo a Ramallah, domani?”
“Eh?”

Prima che pensiate male, l’antefatto: io e Marcella ci eravamo presentati il giorno prima, alla stazione di Modena. A Modena ci si conosce tutti di faccia, ma a parte la faccia, io non la conoscevo. Conoscevo invece il suo ragazzo, il quale, salutandoci, “Mi raccomando” aveva detto, “attento che non si metta nei guai”. Sono cose che a trent’anni si dicono per scherzo. E poi, anche senza conoscere molto di più della sua faccia, non credevo che Marcella potesse mai mettersi nei guai. Ha un volto molto buono, un’aria serafica, non credo di averla mai vista scandire uno slogan a un corteo. Però il 28 dicembre 2000 voleva andare a Ramallah, e io mica potevo dirle di andare da sola, quindi…

“Si marcia in fila indiana fino al posto di blocco, poi ci si piazza ai bordi e si cerca di far passare i palestinesi. È probabile che tirino fumogeni, ma la cosa a cui dovete stare attenti sono le bombe assordanti: oggi me ne hanno tirata una, mi sembra di aver perso l’uso di un orecchio. Mah, speriamo mi passi. Guai a dividersi. Guai a scappare. Solo chi scappa si mette in pericolo. L’importante è restare uniti. Domande?”
“Ehm… e se caricano?”
“L’importante è restare uniti”.

La periferia di Ramallah è una città finta, un cantiere abbandonato: qualcuno aveva pensato che dopo Camp David ai palestinesi sarebbe piaciuto venire ad abitare in un appartamento nel centro più dinamico della Palestina, a 15 minuti d’auto da Gerusalemme. Ma Camp David era un bluff, coi posti di blocco i 15 minuti sono diventati tre ore, i palestinesi non hanno più potuto lavorare in Israele, quegli appartamenti erano stati abbandonati a metà, quando li ho visti, la mattina del 28 dicembre 2001. I rappresentanti degli studenti ci erano venuti incontro con una buona notizia: gli israeliani avevano lasciato il posto di blocco. Sapevano di certo che eravamo diretti lì, e non volevano avere delle noie.
D’altro canto noi ormai lì c’eravamo. Iniziammo a marciare in fila indiana, con le nostre ridicole pettorine bianche con la scritta “Italian Delegation”. Noi italiani eravamo il grosso della spedizione: l’età media era sopra i quaranta. I francesi erano molti meno, e facevano molta più confusione (più di una volta ci avrebbero messo nei guai). Inglesi e americani si sentivano poco, ma – come stavo per rendermi conto – erano i più pazzi. Qualcuno distribuiva limoni, questi famosi limoni che dovrebbero fare da antidoto ai fumogeni, anche se nessuno sa mai dirti come. Io, per non saper leggere né scrivere, me ne ero messo in tasca uno. Marcella marciava davanti a me.
“Tutto bene?”
“Sì, perché?”

Giunti al posto di blocco ci piazzammo lì, due file di pacifisti mano nella mano. In mezzo la gente passava. La maggior parte non erano studenti, ma donne con bambini, operai, ragazzini. E c’era anche qualche testa calda, ovviamente. Il posto di blocco, in cemento, era stato abbandonato: buttarlo giù era una tentazione troppo forte (d’altronde era un posto di blocco con la bandiera israeliana in un territorio amministrato dall’Autonomia Palestinese). Ma siccome sulla collina c’era un blindo israeliano, armato di videocamera, bisognava evitare che qualche ragazzino del posto si lasciasse inquadrare mentre distruggeva qualcosa. I ragazzini finiscono in carcere anche per meno.
“Lasciate, è meglio se lo distruggiamo noi”
Lì si videro attempati padri di famiglia, con la bandiera della pace a mò di mantello, metter mano a travi e spranghe e buttar giù quello che potevano. (Ma io e Marcella continuavamo a tenerci per mano, salvo quando ci capitava di scattare una foto). Ma la cosa non poteva che eccitare ancor di più i palestinesi, che a un certo punto attaccarono la guardina, buttandola giù a spallate e dandole fuoco. A quel punto, da sopra la collina, iniziarono a spuntare altri blindi e un carro armato. E noi continuavamo a tenerci per mano, come bambini.

Partì un fumogeno, lo vedemmo salire, salire, e poi scendere, a pochi metri da noi. Continuammo a tenerci per mano.
Ne partì un altro, io lo vidi salire, e mentre scendeva cercai di calcolare dove sarebbe finito, ed ebbi la sensazione precisa che sarebbe finito su di me. (Continua)
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Stasera penso a Em., che è molto lontano.
L’anno scorso mi disse: “Vado in Palestina”, io gli risposi: “quasi quasi vengo anch’io”.
Quest’anno mi ha detto: “Vado in Iraq”, io gli ho risposto: “sei matto”.
Oggi dovrebbe essere a Bassora. Il suo 15 febbraio l’ha fatto a Bagdad.

... [la sintassi è quella che è, provateci voi con le tastiere del medioriente] Qui tutto ok, la manifestazione bellissima. Temevamo che si inserissero iracheni con le foto di S.H. ma cosi' non è stato. Però la gente, i bambini, le donne ci salutavamo dalla finestra con sorrisi e "thank you", gli operai dalla impalcature ci chiedevano le bandiere della pace per sventolarle. Bello. […]
Per il resto incontri, visita al suk, alla università, al rifugio della famosa strage del 92. La gente e la città sono molto più laiche di come pensavo. Rarissimi i burka e perfino i veli non tanti, molte donne vestite occidentali, la gente ti parla, accetta le foto perfino nella moschea. Certo niente alcool, ecc, la strada è lunga ma diversa da come ce la raccontano. La paura non si sente, viene esorcizzata con vita intensa e festosa, molti matrimoni, gente in strada, musica, ecc. Un po' sarà anche che non sanno tutto e un po' che sono fatalisti ma non del tutto, vedo la tv in camera e non parla quasi d'altro.


Em. non lo sa (e quando lo saprà s’incazzerà molto), ma è un porco fascista. Almeno stando a Fred Barnes, direttore del Weekly Standard (segnalato da Camillo). Come tanti altri opinionisti non solo americani, Barnes ha improvvisamente scoperto che in Iraq c’è una vergognosa dittatura da abbattere, altro che petrolio. E chi non lo ha ancora capito è un “porco fascista” (testuale: “Fascist pigs”). Compresi i milioni che hanno manifestato sabato.

Siam tre (milioni di) piccoli porcellin

Mi scuserete per la traduzione casereccia.
“La corruzione della Sinistra si è aggravata negli ultimi anni. Questo non è mai stato tanto evidente come lo scorso Sabato, quando massicce manifestazioni contro la guerra si sono svolte a New York, San Francisco e altre città degli Stati Uniti e del mondo, tra cui Londra. Forse che i manifestanti hanno marciato contro il consolato iracheno di New York per chiedere di porre fine ai crimini di Saddam? No. Forse che lo hanno condannato nei loro slogan e nei loro striscioni? Macchè. Forse che hanno difeso le vittime di Saddam? No. La sinistra, oggi, sta sdoganando i dittatori fascisti. Il suo nemico sono gli Stati Uniti”.

“Mr. Barnes?
Mr. Barnes, la chiamo dall’Italia. È una nazione fuori dagli Stati Uniti. Ha presente Roma? Lì intorno. Roma, sì, il Colosseo, Ridley Scott ci ha fatto un film.
Anche a Roma c’è stata una manifestazione, un po’ più grande che a Londra. Eravamo tre milioni. Mancava praticamente solo il Papa, per motivi di salute. Chi è il Papa? È… un capo religioso, molto importante. Fascista anche lui, evidentemente.
Lo sa che il Fascismo lo abbiamo inventato noi? Poi, grazie a voi, lo abbiamo scacciato. Anche se a dire il vero, nell’inverno del ’44 potevate darvi una mossa, invece di lasciarci i tedeschi in casa … ma è inutile recriminare. Ci avete salvati. Vi saremo eternamente grati. Oddio, senza l’Armata Rossa ci avreste messo ancora più tempo, ma noi preferiamo essere grati a voi piuttosto che all’Armata Rossa. Voi siete più simpatici, anche se non avete mai brillato in Storia e Geografia.

Mr. Barnes, ho letto il suo ultimo editoriale. Secondo lei tutti quelli che danno una chance a Saddam Hussein sono porci fascisti. Beh, è un’idea coerente. E io apprezzo la coerenza.
Apprezzo la coerenza che la portò, negli anni Ottanta, a scrivere vibranti editoriali contro l’amministrazione Reagan che finanziava Saddam Hussein nella guerra contro l’Iran. A quel tempo scriveva che non è giusto finanziare una dittatura fascista per combattere una dittatura religiosa. Ed aveva perfettamente ragione.
Apprezzo la coerenza che la portò, nel ’91, a dare del porco fascista a George Bush Primo, quando ordinò al generale Schwarzkopf di ritirarsi invece di entrare a Bagdad. Aveva ragione: quale insulso calcolo geopolitico poteva valere più della libertà di un popolo? Forse che i cittadini iracheni non avevano lo stesso diritto alla libertà degli emiri del Kuwait?
Per tutti questi anni ha continuato a tenerci informato sugli abusi criminali di quel regime. Non ha mai distolto lo sguardo. Diede del porco fascista a Clinton, che a parte qualche bombardamento di routine non sembrava assolutamente intenzionato a cambiare nulla in Iraq. Spiegò con pazienza che anche l’embargo, che colpisce la popolazione e rafforza la classe dirigente (e quindi la dittatura) in realtà è solo una porcata fascista. E aveva ragione, Mr. Barnes. Lei è l’autentico paladino delle libertà irachene.

Mentre noi, poveri illusi pacifisti, per tutto questo tempo neanche sapevamo dove fosse sulla cartina, l’Iraq. Non ce n’è mai fregato niente. Lo abbiamo tirato fuori solo come scusa per parlar male dell’America.
Il fatto è che oltre a essere porci e fascisti, siamo anche schifosamente modaioli. Nel 2001 ce la menavamo tanto con l’Afganistan, dicevamo che era ingiusto bombardarlo: ma che ne sapevamo? Credevamo che i bombardamenti anglo-americani avessero lasciato diverse migliaia di vittime, ma a quanto pare ci sbagliavamo: le vittime civili sono solo poche centinaia, “few hundred”. Lo dice lei, che è un giornalista informato, noi non abbiamo motivo per dubitarne. Quest’anno c’è venuta la smania per Saddam Hussein. Ma ci passerà presto. Piuttosto c’è da chiedersi cosa ci verrà in mente dopo. L’Iran? Il Venezuela? Il mondo è pieno di dittatori da difendere. C’è solo l’imbarazzo della scelta, per dei piccoli porcellini fascisti come noi”.

(Se qualcuno mi dà una mano a tradurre, gliela spedisco pure.
Dite che capirà l’ironia?)
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Il pezzo di oggi?
Il pezzo di oggi me l'ha fregato Momo, accidenti.
Oh, beh.
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L’ombelico dei blog

Certe sere mi chiedo se anche questi blog non siano per caso il proseguimento di quella letteratura del guardarsi l’ombelico, che andava qualche anno fa e che forse, chissà, va ancora.

Dipenderà dai casi, e poi è inevitabile: questa comunità di persone non ha altro in comune che tenere un blog; se vogliono comunicare tra loro è di blog che devono parlare.

Se però certe sere vi stancate, di leggere blog di persone che raccontano del loro blog, magari è il momento di consigliarvi il sito di un mio amico (e ti pareva), un blog narrativo, sincero, anche un po’ coraggioso, rigorosamente senza link, ma che merita di essere lincato più di quanto già non sia.

...Io stesso, siccome non mi porto mai a casa le Jinetere del Paraiso, vengo preso da qualcuno per omosessuale. E un ragazzino arriverà a offrirmisi. Ma sempre sottovoce. Con una discrezione che non è nemmeno lontana parente del baccano delle donne, che ti si gettano quasi letteralmente addosso.
Una ragazza (Jacqueline) arriverà una volta a dirmi che sono omosessuale perché mi lascio toccare il sedere dalle donne. Nessun macho cubano lo farebbe mai.
Ed effettivamente, anche nelle discoteche, le donne si permettono a volte di metterti la mano sui genitali. Mai sul sedere.


Il Diario di Cuba è on line da un mese. È un taccuino di viaggio senza fronzoli ed espressionismi: più che di un diario ha davvero lo stile di un blog (e qui si potrebbe aprire un dibattito, ma stasera no); più che imporre le sue esperienze, le mette a disposizione del lettore, che ne faccia quello che vuole. E senza tante cerimonie, pulitamente, racconta di Cuba, del turismo di nicchia e della prostituzione di massa. Forse certe sere può riuscire più interessante dei soliti blog che parlano di gente che ha un blog (questo incluso).

Diario di Cuba, dunque: ci trovi sempre ombelichi, ma più esotici del solito. E per una volta anche Google t’indirizza bene.
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blogorroicoKatamaranowebrock
Un post piuttosto deficiente, una volta tanto

Dopo quattro ore di colloqui coi genitori, rauco come mai ero stato in tre mesi di urli in classe, sono passato da casa giusto in tempo per vedere due o tre scene memorabili: Pannella che brinda con sé stesso e Santoro che stona bella ciao (c'era anche un servizio con Alberto che intervista gli operai in sciopero davanti alla Breda. Alberto è un mio compagno di scuola che fa il giornalista con Santoro, è molto bravo e di solito lo invidio, ma in questo momento un po' meno del solito. Gli vorrei dire: resisti, resisti, resisti, ma ho il dubbio che suoni una presa per il c u l o).

Ho ripreso il volante perché Frederic era stato avvisato nei pressi della tangenziale, precisamente al katamarano. L'ho beccato in compagnia della crème della crème della webdisagneria modenese, e quindi mondiale, e cioè: Antonio, Valido e Pecus, che non è modenese, come mai? (Ah, perché esiste internet altrove da Modena? Ah sì? Però).

pecusVi chiederete come sono fatti i vostri uebdisegnatori preferiti. Beh, è ovvio, no? su internet sembrano più alti. In ogni caso, allego ritratti credibili di tre di loro. Io avevo sempre temuto il momento in cui si fossero messi a commentare i miei layout. Da qualche accenno mi sembra di aver capito che roba così non è commentabile, in realtà non è neanche layout. E poteva anche andarmi peggio, per cui grazie, ragazzi.

Dopo aver commentato la situazione politica internazionale e disegnato gli scenari del web nel Terzo Millennio, ci siamo salutati dandoci appuntamento alla fiera del rutto di… Reggiolo, mi pare.

Quando è stato il mio momento di partire, mi sono reso conto di una cosa.
Sarà perché il mondiale di Formula1, che è ormai entrato nel vivo (quest'anno non ci si sveglia nemmeno per i pit-stop, mio padre e io si tira la volata russando all'unisono dal semaforo di partenza alla bandiera a scacchi), mi fa venir voglia di "stringere i cordoli" su tutti i marciapiedi che trovo;
sarà perché da quando han chiuso il ponte di Sozzigalli sono costretto a percorrere tutti i giorni splendide stradine di campagna intorno al Secchia, con quel asfalto accidentato che a ottanta all'ora regala emozioni;
validoFatto sta che ultimamente sforzo troppo i pneumatici.
Non c'è niente di male in ciò, se si viaggia ben equipaggiati, con ruota di scorta in ordine, crick, chiave inglese e tutto il resto.
Se invece la chiave inglese l'abbiamo portata su in casa dieci mesi fa mentre cercavamo di riparare un lavandino (senza costrutto, peraltro), allora sì, c'è qualcosa di male.

E allora bisogna rendere atto di una cosa ai gestori del katamarano. Sono carucci, sì, probabilmente sono l'unica attività del gruppo kataweb che porta degli utili in cassa: ma se ti trovi una gomma a terra ti danno una mano volentieri, senza chiederti niente. Perciò (e qui dovrebbe partire un sottofondo di Springsteen, o Eagles, a scelta), se proprio dovete forare, fatelo al katamarano… ehi! Potrebbe essere un buon slogan per K-rock!
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Riconoscimenti

La settimana scorsa non ho concluso niente e avevo una scarsa opinione di me stesso.

Nel frattempo venivo co-optato in una nuova, smagliante rivista on line, venivo segnalato (scusate se è poco) da yahoo e, soprattutto, comparivo in uno dei finissimi, commoventi e feroci fumetti della Pizia (date un occhio anche agli altri).

Sarei un bell'ipocrita a dire che questo non mi ha reso un po' più soddisfatto di me (anche se non ho concluso niente lo stesso).

I riconoscimenti sono importanti. Anch'io dovrei imparare a riconoscere più spesso qualcosa a qualcuno. Devo per esempio scusarmi con alcune persone a cui avevo promesso un link da mesi. C'è un motivo di questo ritardo, ma è complesso. Vi consolerà sapere che ho ritardi simili anche nel pagare l'affitto.

Poi mi piacerebbe riconoscere qualcuno. Per esempio, l'altra sera ho dato la caccia ad Argazzi. Ero a teatro, non a vedere Moni Ovadia, ma a raccogliere firme per una Tassa (non so se ne avete sentito parlare). Nel foyer c'era anche un banchetto di Amnesty, e ne ho approfittato per firmare un po' delle loro petizioni, ché se non ci si aiuta tra di noi… ora, dovete sapere che Modena è piccola, al punto che quando leggo una petizione mi piace scuriosare tra le firme sopra e vedere se conosco gli altri firmatari, e di solito ne conosco. Be, immaginatevi il mio stupore nel vedere su tutti moduli il nome di Frederic Argazzi.

Che c'è di strano, direte voi. C'è che io e Frederic non abitiamo nella stessa dimensione. Ne è prova che stando a Modena (che è molto piccola) non ci siamo mai visti. Considerate che abbiamo collaborato (lui molto, ma molto più di me) a Stradanove, e che io per un bel po' di tempo ho lavorato praticamente di fianco all'ufficio del prestigioso Settimanale Digitale. Considerate che lui è stato uno dei primi bloggatori italiani (col layout a tutt'oggi più bello in assoluto, ma adesso l'ha cambiato…), ma che il suo link l'ho trovato via Chicago. Tutto questo ci ha spinto a dubitare dell'esistenza l'uno dell'altro. Fino a giovedì sera. Giovedì sera l'avevo in pugno. Ho chiesto alla ragazza:

"Ma questo… ehm… Frederic, non è che lo conosci?"
E lei, contravvenendo a tutta la normativa sulla privacy, ha confessato:
"Sì, perché, lo conosci anche tu?"
"Sì… cioè, no, cioè…"
"Internet, eh?"
"(A capo chino, come per rispondere alla domanda "quante volte figliolo")… sì".
"Eh, ma lui è proprio famoso, eh?"
"Eh già. Ma… è qui adesso?"
"Sì, è dentro".

Una frattura, un intersezione tra gli universi paralleli. Talvolta avviene. Ero un po' emozionato. L'avrei visto coi miei occhi! Ma non l'ho riconosciuto, né durante l'intervallo, né alla fine. Del resto non so neanche bene com'è fatto. Dovevo basarmi sul ritratto della Pizia? Anche questa volta, mancato riconoscimento.
Sarà per la prossima volta…
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Un altro venerdì santo, in Palestina

Subject: COMUNICATO DA RAMALLAH
Date: Fri, 29 Mar 2002 14:18:49 +0100

Se volete essere aggiornati sulla situazione in Palestina e sulle sorti degli italiani che si trovano là (tra l'altro non stanno tutti a Gerusalemme e c'è anche un gruppo di 35 persone che si trova in un campo profughi), potete consultare il sito di Radio Onda Rossa (87,9 FM (http://www.ondarossa.info) o ascoltare le radio del circuito Radio Gap (www.radiogap.net). Dalle 18,30 alle 19 c'è uno spazio quotidiano dedicato e durante il giorno vengono passate altre notizie. Ciao Silvia

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RAMALLAH 29 marzo 2002

Vi giro, tradotto, l'appello che ho appena ricevuto dal Palestinian Monitor, organo di stampa del PNGO (coordinamento delle ONG palestinesi) con sede a Ramallah. Il messaggio arriva da un'indirizzo privato perché in questo momento nessuno può raggiungere gli uffici. E' urgente la nostra
mobilitazione. Come indicato da Sveva, l'appuntamento per Roma è a Piazza San Marco, ore 17,30. Silvia Macchi


ISRAELE DICHIARA GUERRA AI PALESTINESI
I PACIFISTI STRANIERI MANIFESTANO OGGI AL CHECK POINT DI AL-RAM

L'esercito israeliano ha completamente invaso Ramallah, compreso il quartier generale dell'Autorità Palestinese, con più di 150 carri armati ed altri mezzi militari. Il governo di Israele ha annunciato che intende occupare le aree della Cisgiordania che ad oggi sono sotto il controllo dell'Autorità
Palestinese, ripristinando così uno stato di completa occupazione militare, ed ha dichiarato guerra ai Palestinesi.
L'esercito israeliano ha occupato le abitazioni di Ramallah e sta procedendo ad una perquisizione casa per casa. In questo momento il problema principale per la popolazione è l'impossibilità di accedere ai servizi sanitari. Finora (7,30 del 29 marzo) sono stati uccisi 4 Palestinesi e abbiamo notizia di almeno 10 feriti - è probabile che siano di più - che sono senza cure
poiché i carri armati bloccano il passaggio delle ambulanze e del personale medico.
Alcuni pacifisti stranieri - Inglesi, Francesi, Svizzeri, Italiani e Americani - ora sono a Ramallah. Ieri le autorità israeliane hanno impedito ad altri trecento di entrare a Ramallah ed oggi questi tenteranno di nuovo di raggiungere la città da Gerusalemme. La stampa è invitata ad essere
presente alla manifestazione dei pacifisti stranieri che si terrà oggi, alle 8.30, al checkpoint di al-Ram.
La dichiarazione di guerra del governo israeliano nei confronti dei Palestinesi e la completa occupazione militare dei territori palestinesi non potrà che aggravare la crisi in atto, che ha le sue radici nella più lunga occupazione militare dell'era moderna. Chiediamo alla comunità
internazionale di intervenire con la massima urgenza per fermare le atrocità dell'esercito israeliano e per fare pressione sul governo israeliano affinché permetta di muoversi liberamente alle ambulanze e al personale medico.

Per ulteriori informazioni contattare il Palestine Monitor al numero
00972-52-396196.


Io sono un po' in pensiero per Goretta e per Elisa (dove sei?)
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Sì, credo di essere l’ultimo a parlare della manifestazione di Roma, e di non avere veramente niente di originale da aggiungere. Del resto sono arrivato a cose fatte, quando in stazione Termini tutti ripiegavano già gli striscioni. Tutto dev’esser stato molto bello, rapido e indolore.

Ne ho approfittato per vedere un po’ di romani, la Pizia ovviamente, Ludik, che tutto il tempo mi ha guardato strano, hai presente quell’aria da “su internet sembrava più alto”. E poi la Jena, e Wile, che ahimè, è un ragazzo simpatico. Proprio quello che ho sempre temuto. Ora che l’ho visto negli occhi, il mio target del ceto medio brontolone, non potrò più insultarlo tutto tempo, certi post insolenti scritti giusto per vedere come reagiva non mi usciranno più, mi dispiace.

Ho visto anche un po’ di Roma che, come tutte le capitali, mi è sembrata piccola.
MONTECITORIO
“Ehi, a Modena abbiamo un palazzo uguale, solo un po’ più grande”.
SAN PIETRO
“Ci si arriva in macchina? Sul serio? La domenica pomeriggio?”
“Ma il baldacchino di Bernini è sempre quello? L’ultima volta era più alto!”.(L’ultima volta è stata nel 1983).
“Certo che a misure di sicurezza stiamo indietro, il Muro del Pianto è tutt’un’altra cosa”.

Difficile trovare giornali (decenti).
“La Repubblica c’è?”
“Tutto finito. La repubblica, il manifesto, l’unità. Son tutti comunisti stamattina”.

Sulla repubblica, il manifesto, l’unità, si parlerà della “più grande manifestazione italiana del dopoguerra”. Ora, io è da una settimana che mi chiedo: ma prima della guerra c’erano manifestazioni più grandi? Onestamente non lo so, ma dubito. Le adunate in Piazza Venezia? Mah, ci sono stato in piazza Venezia, niente di che (a Modena sicuramente c’è uno spiazzo più grande). Perciò penso che si potrebbe concludere che è stata la manifestazione più grande della storia d’Italia – ma siccome in Italia si manifesta notoriamente più che in ogni altro Paese d’Europa, potremmo concludere senza troppo esagerare che è stata la più grande manifestazione europea della Storia. E l’ha fatta la CGIL: beh, complimenti. Per l’articolo 18? Sicuri?

Sulla repubblica (che mi poi mi presterà Ludik) Scalfari scrive di un’“immensa forza tranquilla”. È una definizione che mi piace molto, mi piace l’idea di essere anch’io nel mio piccolo immenso, forte e (soprattutto) tranquillo. Quella tranquillità che manca ai vari leader della sinistra istituzionale, che da anni giocano di rimessa e replicano istericamente a qualsiasi cazzata venga in mente di dichiarare a Berlusconi. Quelli che magari in buona fede hanno accettato che bruno vespa diventasse il maestro di cerimonia della politica italiana. La stessa tranquillità che manca anche ai presunti rappresentanti del presunto Movimento dei movimenti, magari per una questione caratteriale, magari perché dopo tutti questi mesi di Movimento gli servirebbe una buona dormita. Ma com’è possibile essere tranquilli in un movimento che vive di emergenze?

Cofferati ha uno stile diverso, e si sente, e si è sempre sentito. Forse è vero che ormai fa politica, ma almeno la sa fare. Sa aspettare (e dio sa quanto l’hanno tirata in lungo, governo e sindacato, questa storia dell’articolo 18). Sa ancora pesare una dichiarazione, sa mantenere la calma, sa che non ci si può indignare ogni cinque minuti, sa quando e come dire basta, e sa rischiare – un’arte, quest’ultima che si era persa. Cofferati ha fatto perdere la calma a Berlusconi. Cofferati, a dire il vero, e altri due, tre milioni di persone. Più io, che, ci tengo a dirlo, Presidente, ho prenotato due pendolini coi soldi miei. E non sono colluso con nessuno, un po’ estremista magari, ma tranquillo. Ogni tanto fa bene una bella gita, vedere amici diversi, farsi una buona dormita. La tranquillità, sapete, può essere un'arma. Probabilmente è l’unica che abbiamo.
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F. Bacon, Untitled, 1971friends' labour lost
A quest'ora avrei dovuto metter su un altro pezzo buffo, ma che bisogno c'è? Chapeau!
Invece stasera, pensate un po', userò questo blog in modo assolutamente personale.
Ciao, J.
Volevo scriverti, ma qui dove sto adesso non avevo la tua mail.
Volevo chiamarti ma il numero l'avevo su un cellulare che ho perso.
Volevo venirti a trovare ma ti sei trasferito e non so l'indirizzo.
Volevo venire a sentire i poeti, ma dovevo andare a prendere uno della sinistra giovanile e portarlo a una riunione di attac, così in caso che all'ordine del giorno ci fosse stata la rivoluzione loro sono informati, e invece si è parlato di aprire un bar.
Volevo scrivere su polaroid, ma se in quel momento a Buenos Aires succede qualcosa rischio di coprire un reportage in diretta di Erik con le mie funzioni fàtiche, e non ci farei bella figura (neanche tu...)
Così ti scrivo qui, ma qui non so se ci vieni, così siamo da capo.
Sono perplesso, perché dovrebbe essere più semplice mantenere i contatti con gli amici, e invece comincio a sospettare che la maturità consista solo in questo: l'aumento geometrico di cazzate che ci tengono impegnati fino a notte fonda, e che rischiano di sopravviverci. E la selezione non la fanno i soldi, il lavoro, la politica, o altro, no: la fanno le agende e le segreterie automatiche del cellulare che dopo un po' cancellano i messaggi. E così via. Comunque ora Enzo mi ha passato la mail, e provo a scriverti.
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Sans culottes, Madame!

Per prima cosa: ma avete visto che bel sito sta diventando Polaroid? È bello, è vario, mette insieme Amélie, Porto Alegre e Stereo Total. Leggete Polaroid! È come la rivista che non ho mai fondato, è come il figlio che non ho mai avuto (e che non avrò mai se continuate a essere così timide, figliole. Fatevi sotto, su).

Per seconda cosa: prima o poi bisognerà anche presentarvi Madame. Sì, forse non è ancora in ordine, senz’altro starà ancora scegliendo gli abiti, il trucco adatto, però signora, ci consenta, sono già mesi che aspettiamo, lo vogliamo lanciare questo sito o no? Peggio per lei, io lo lancio adesso. Spero di non sorprenderLa a mutande calate, Madame, ma se anche fosse, in fondo è solo internet. La vita è altrove. E anche la letteratura. E la politica. E la filosofia. E tante altre cose.

Chi si aspetta un sito sconcio resterà deluso. Madame, è vero, può dare in escandescenze: del resto frequenta gli stadi, i bar di provincia, i collegi, i banchetti di raccolta firme e altri luoghi malfamati ed equivoci. Ma diciamolo, non brilla per sex appeal. Anzi, ha cambiato sesso solo di recente e non è detto che non ci ripensi. Insomma, evitate di scriverLe le cose che di solito scrivete alle blogghiste femmine, tipo: “Ho pensato tutta sera al tuo ultimo post, così intenso, chissà cosa stai facendo in questo momento”, perché magari nel frattempo Madame si sta grattando il culo. Oppure sta discutendo di ermeneutica con un Ordinario della Normale. O le due cose insieme. Insomma, vi ho avvertiti.

Per terza cosa ci sarebbe da replicare alle obiezioni di Wile sulla Tobin Tax, che a naso trovo più sensate comunque di quelle del governatore della Banca d’Italia. Però, vedi, Wile, io non sono un economista, sono un correttore, e come tale posso correggere gli errori che trovo più marchiani, come quello di contare nel mondo un miliardo di terminali telematici per lo scambio di valuta: andiamo, sono molti meno.
Di qui a convincerti della bontà della Tobin Tax, se non c’è riuscito un Ordinario della XII di Parigi, figurati. Non posso combinarti neanche un incontro con Brancaccio – che ha stilato la proposta di legge che stiamo facendo firmare – e che mi sembra una gran testa, ma è un’opinione mia. Cosa posso dire?

Vedrò di prepararmi nel week-end. Nel frattempo, però, mi sto chiedendo quali sono queste “battaglie più meritevoli” verso le quali mi consigli di indirizzare i miei ardori. Da quel che mi scrivi nel forum, sospetto che sia un velato consiglio a fare più sesso, che dal tuo punto di vista è preferibile alla masturbazione. Sì, Wile, non hai tutti i torti. Vogliamo aggiungere che il salmone è meglio della sogliola e che una Classe A è oggettivamente più desiderabile di una Seicento?
Certe volte mi ricordi Maria Antonietta alla finestra, che si chiedeva cosa avessero tutti da protestare. “Madame, domandano pane”. “E voi dateglielo!” “Madame, è finito”. “E allora dategli le brioches!”. Anche una brioche è senz’altro meglio del pane, ma mica tutti sono in grado di apprezzare le finezze.
Morale: non trattateci sempre da giacobini. Magari fossimo giacobini. Al massimo siamo sanculotti, via. Col tempo studieremo. Ma intanto ci siamo. E ci arrangiamo con quel che c’è.
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Il leader della settimana

Siccome D'Alema ha chiesto esplicitamente di non cercare un leader della sinistra tutti i giorni, io sono qui a proporvi il leader della sinistra per la prossima settimana. Esso ha dei requisiti che mi sembrano fondamentali a ogni leader della sinistra che si rispetti:
- è una ragazza
- è carina
- il suo fidanzato è in giro tutta la settimana, a studiare filosofia (dice lui)
- conosce la Storia
- ma soprattutto, quel che più conta, sa parlare alla base. Giudicate voi:

Occasione da cogliere al volo!
Cara amica/amico di Attac,
ti ricordo che fare il banchetto e' divertentissimo. Non scherzo: conosci un mucchio di gente, fumi duemila paglie, bevi una cioccolata calda e quel che piu' conta raccogli tantissime firme! Non perdere l'occasione, vieni anche tu in piazza sabato 9/2 alle ore 15.30...e se ti piace ricorda che puoi replicare lunedi' mattina al mercato e i sabati successivi fino a luglio!!! Provare per credere...


E adesso diciamocelo: quando mai Fassino ci ha parlato così? Ma neanche Fausto. Ma neanche Rutelli. E neanche Moretti. E neanche Agnoletto. Tutta questa gente si muniusca di blocco appunti e si rechi a Modena, circoscrizione San Faustino, in via... in via... acc., mi dimentico sempre l'indirizzo.
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bevevano i nostri padri?La sinistra si sbraca

È finita la prima fase. Peccato.
Vedo che anche Erik sta recuperando la serietà. Un po’ mi rincresce. La prima ondata di messaggi da Porto Alegre aveva confermato una mia impressione, e cioè che, malgrado i nostri amici si trovassero in situazioni diverse, alloggi diversi, dibattiti diversi, ecc., una cosa li accomunasse: erano tutti un po’ fuori di testa.
Effetto, questo, senza dubbio, del bilancio partecipativo, che la sera ti sale alla testa e ti fa ballare fino a un’ora tarda con gli altri delegati di tutto il mondo, finché la luce di un nuovo giorno non ti ricorda che presto sarà ora di partecipare a un nuovo dibattito, magari in portoghese senza sottotitoli. È dura la vita del delegato.

In questo quadro, il "simpatico scoop" di Francesco (sì, Frieri), aggiunge una nuova istantanea al dossier della nuova sinistra irriverente, la sinistra che si sbraca. Dopo il Moretti lucido e insieme allucinato che grida “con questi qui non vinceremo mai”, ecco a voi l’Agnoletto ubriaco e il Folena timido al balcone. Vediamo di che si tratta.

Lo scoop riguarda Agnoletto. Il leeder (questo sì che è un lapsus, boia d’un mond leeder) del movimento alloggia nello stesso albergo dei parlamentari di Rifondazione, Berinotti compreso, nonché dell'onorevole Folena. Agnoletto è rientrato ubriaco all'albergo con un gruppo di attivisti, ma invece di appropinquarsi al letto alle tre di notte, ha pensato di smaltire la sbornia organizzando un coro a squarciagola "Folena libero, Folena rosso" sotto le finestre dell'esponete diessino, peraltro già oggetto di contestazioni insieme agli altri ulivisti. Folena non ha acceso la luce, qualcuno ha protestato alla polizia per schiamazzi nottturni.
Porto Alegre è anche questo, e la festa notturna del Partito dei Trabajadores risente dell'allegria del carnevale; Casarini, anch'egli ubriaco, balla malissimo.


Francesco vuol maldestramente far pensare che a Porto Alegre, durante il Forum, ci siano soltanto due italiani ubriachi per le strade alle 3 di notte: Agnoletto e Casarini. Dai, Francesco, e tu invece passavi di lì per caso, come al solito…
…ma nessun corrispondente al mondo, mai, userebbe il verbo ‘appropinquarsi’ da sobrio.

Posto che secondo me Agnoletto ubriaco valeva da solo il prezzo del biglietto aereo, il vero protagonista dell’episodio è il povero Folena, già se non sbaglio gran sultano della Sinistra Giovanile, (e quindi, presumo, esperto in gite sociali e convegni con annesse scorribande notturne negli alloggi femminili), costretto a rimanere chiuso nell’albergo mentre fuori imperversa il carnevale. La sinistra perde anche per questi motivi, direbbe Panebianco. E lo diciamo anche noi. Folena, dai, scendi giù, divertiti un po’, spacca il naso a quel pelato, sfogati. O la gente continuerà a pensare che sei abbronzato perché ti fai le lampade. E la sinistra perde anche per questi motivi.
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Mi si nota di più se mi accascio
"No, no, non ero arrabbiato. Ero stupefatto, poi ero sul palco, poi ho parlato. Ho parlato molto?". No, non molto, due minuti. "E cosa ho detto esattamente?"

Secondo me Moretti non voleva davvero. Non dico che non abbia fatto bene. Ma secondo me a quest’ora si sta dando pugni in testa per la stizza. Certe cose le pensiamo tutti, certe cose le diremmo tutti se ci facessero salire su un palco dopo un comizio di Fassino e Rutelli, però poi ci pentiremmo. Forse.
Dico forse, perché Moretti io non lo capisco bene. Con tanti amici che mi citano l’Autarchico a memoria, io l’unica volta che l’ho visto mi devo essere addormentato. Vero che certe sere a Santa Margherita avrei preso sonno anche con Die Hard 2, ma insomma, è un personaggio che non sento tanto mio. Anche questa barba integrale che mi è cresciuta adesso non c’entra niente, mi torna solo utile per simulare con gli studenti età mai vissute.

“Dovete sapere che quando io avevo la vostra età… più o meno dopo la terza guerra punica…”
“Ma prof, insomma, lei quanti anni ha?”
“Io ho tutti gli anni del mondo, Carbone”.
“Sembra giovane, però…”
“Perché mi nutro del sangue degli studenti importuni. Dicevamo: quando ero giovane io, figuratevi, internet praticamente non esisteva…”

Mi è tornato in mente Moretti per un altro motivo, tutto personale. Insomma, Giuliana aveva fatto questa festa e per telefono si era capito che ci teneva. Aveva chiamato un po’ di gente che conosciamo, ma io non sapevo bene come comportarmi. Sarà stata la tensione, lo stress di un pomeriggio impiegato in scrutini di ragazzi conosciuti una settimana prima, sarà stata qualche melanzana fritta o l’uvetta nell’insalata, insomma, la gastrite ha risolto tutti i miei problemi. Sono sprofondato prima sul divano, poi sul letto in fondo al corridoio, poi sul pavimento del bagnetto, poi di nuovo a letto, poi è venuta ora di salutare tutti e andare a casa.

Insomma: una serata perfetta. Anche perché ad accudirmi c’erano sempre un paio di ragazze che si turnavano, e quasi sempre erano ragazze molto importanti della mia vita, anche se non era obbligatorio. E io non dovevo atteggiarmi, non dovevo trovare discorsi: stavo disteso coi pantaloni slacciati e andavo bene così. Loro erano molto carine e molto materne, alcune mi toccavano la pancia, altre mi toccavano in generale.. Insomma: mi si nota di più se mi accascio in un angolo con la gastrite. Adesso che lo so, chi mi ferma più.
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Tutti fuori
Cosa fate domenica prossima?
Domenica sera non sarà la solita, terribile, domenica sera, con l'acido nello stomaco, i goal in tv, e gli allenatori sul latte versato. Domenica prossima presso la Sala Truffault si festeggia l'imperdibile III edizione di Fuori i corto, rassegna di cortometetraggi video, organizzata dall'associazione Fuori Orario.
A dire il vero la manifestazione inizia sabato, con la proiezione dei cortometraggi di qualità, premiati a vari festival internazzzzz.... per esperienza, si tratta quasi sempre di vuote ciofeche prosopopaiche (e dando un'occhiata al programma t'accorgi che alcune sono pure riciclate dall'anno scorso). I cultori di questa manifestazione sanno che il vero divertimento sta nella videocassette amatoriali, talvolta ridicole, talvolta noise, talvolta sorprendenti.
Ma c'è un motivo in più per non prendere altri impegni domenica. Il coraggioso curatore dell'edizione di quest'anno, infatti, non è un qualunque ragazzo, bensì Ragazzi Fabrizio, il tizio formerly known as ragno.
Forza Ragazzi. Da parte tua ci aspettiamo qualcosa di degno. L'anno scorso agli spettatori fu inferto, tra l'altro, un corto libico in arabo con sottotitoli in israeliano (tema l'omosessualità). Sarai capace di tanto, e di peggio? Sei sotto i riflettori. Fatti valere.
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