L'eclissi del '99 (vuoi mettere con)

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Un'eclissi non dovrebbe cogliere alla sprovvista nessuno, dal tempo dei Caldei. E invece anche stavolta le ferramenta hanno esaurito gli occhialini da saldatore. Ma vuoi mettere col Novantanove?

Non ne faccio una questione di nostalgia - ho peraltro qualche conto in sospeso con gli anni Novanta - ma nel '99 se ne parlava da mesi, e ovunque cartine con indicata la fascia in cui l'oscuramento sarebbe stato totale, e l'Unione Europea non era ancora un'arcigna battitrice di moneta, ma una zia simpatica che elargiva occhialini (un anno dopo sarebbero arrivati gli Euroconvertitori). Anche gli occhialini però finirono subito - sembrava una mania - qualcuno da qualche parte ne faceva evidentemente incetta pensando a tutte le eclissi future; e poi ricordo che c'erano gli occhialini seri e quelli meno seri, questi ultimi molto rischiosi perché la gente si sarebbe fidata di essi e avrebbe fissato l'eclissi fino ad accecarsene - e ricordo bene anche il curioso fenomeno per cui tutti gli ammonimenti elargiti in tv dagli esperti ("Non fissate a lungo il sole! Usate protezioni!") avevano immediatamente creato la leggenda metropolitana per cui era l'Eclissi, e non il Sole, ad accecare la gente. Ricordo abbastanza bene tutte queste cose.

Più che l'eclissi in sé.

Ero in Francia e, a un certo punto, in bicicletta. Uno schermo protettivo alla fine non lo avevo, il mio Centro sociale li aveva finiti e io mi ero detto boh, qualcuno me lo presterà. Stavo andando verso la piazza, dove probabilmente qualcuno me lo prestò. Capii in quell'occasione che un'eclissi o è totale o una mezza delusione. Oggi preparavo appunto i ragazzi a questa sensazione: non si vedranno le stelle. Se non sarà già nuvolo di suo sarà come in estate quando una nuvola molto spessa si para davanti al sole all'improvviso, la stessa sensazione di scivolare nell'ombra all'improvviso, e forse i cani nemmeno abbaieranno. Mio padre mi ha procurato una vecchia maschera da officina, roba seria, così alla fine stavolta risulterò meno impreparato che nel Novantanove. Ma vuoi mettere.

"Ma perché quando era giovane lei distribuivano gli occhialini, e adesso no?"
"Bella domanda".
"È la crisi, vero?"

Ci sono abituati. Quest'anno sono i ragazzi del 2002, l'Unione Sovietica è un antico impero su vecchie cartine muffe, le Twin Towers una storia pazzesca che sta sui libri e nei film, la lira un mistero indecifrabile come per noi le cifre in rubli o ghinee nei romanzi dell'Ottocento. Per quanto si possono ricordare Obama è sempre stato presidente, e la crisi è sempre stata la risposta a tutte le domande. Li invito all'ottimismo: prima o poi deve finire, e immaginatevi se finisce proprio quando vi diplomate voi! Non ci credono. È come se al me stesso tredicenne qualcuno avesse raccontato dell'imminente caduta del Muro di Berlino.

"Tutta questa informazione ha ucciso l'incanto, sapete. Se nessuno di voi avesse sentito parlare dell'eclissi, sapete cosa potrei fare stamattina? Minacciarvi di oscurare il sole se non cominciate a fare i compiti seriamente. La conoscenza è..."
"Prof ma lei non può oscurare il sole".
"...potere".

1999. Ricordo molta musica francese, un po' perché stavo là e un po' perché gli Air avevano appena fatto il botto. Non c'era ancora il blog ma alla mediatheque passavo una mezz'ora al giorno a scrivere mail ai contatti italiani. Si litigava sul Kossovo. Al cinema Eyes Wide Shut, Rosetta, Tutto su mia madre. La lista Bonino Presidente prese un fracco di voti a quelle elezioni europee a cui non riuscii a votare, proprio mentre stavo facendo un servizio volontario europeo. D'Alema perse qualche punto e reagì con un rimpasto di governo. Il direttore del centro sociale aveva pietà di me e mi aveva prestato le chiavi di un enorme furgone, se ci ripenso non credo di aver mai meritato in vita mia tanta fiducia. Un giorno diedi un passaggio a una ragazza che mi presentò i suoi amici, erano tipi a posto ma facevano davvero quella cosa di mangiare la pasta scondita e senza sale. Le lettere che m'interessavano davvero arrivavano ancora nella cassetta della posta, ma ci mettevano troppo. Da qualche parte probabilmente lessi che la prossima eclissi importante sarebbe stata nel 2015, e me ne dimenticai subito. Facevamo ancora fatica a credere che ci sarebbe stato di lì a poco un 2001, come potevamo credere all'esistenza fisica di un 2015?

Cercherò su wikipedia, troverò la data della prossima eclissi parziale. Mi farò un appunto, scriverò una mail a me stesso, comprerò un paio di occhialini e li nasconderò in un posto dove non me li dimenticherò. Non mi farò più trovare impreparato. Le guerre capitano, i terremoti non li puoi prevedere, le crisi hanno i loro cicli misteriosi. Ma le eclissi no, le eclissi le conosciamo. E la conoscenza è potere.
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No, we could not get much higher

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Lo spiraglio

Non è mai sembrato un giovane, l'amavo anche per ciò.
Dell'infanzia ho ricordi confusi, come tutti. L'intro di Light My Fire potrei averla ascoltata per la prima volta sul divano, infilata a forza in un jingle pubblicitario di un Best of the Doors, magari il primo dei quindicimila Best of the Doors che uscirono in seguito. Vorrei poter dire che mi sbalordì subito - non avevo mai ascoltato una serie di note così, con un timbro così stridulo e marziale insieme - ma ero piccolo, ogni cosa mi sbalordiva, e poi scomparve e per molti anni non ci pensai più. "Doors" tornò a essere un adesivo sui serbatoi dei motorini, di cui apprezzare la grafica essenziale.

La prima volta che ascoltai Light My Fire ero a letto. Sentii l'intro e mi alzai in piedi sul letto. Quando Dylan racconta che gli Animals lo fecero saltare dalla sedia io ci credo; mi successe qualcosa del genere, se fossi stato su una sedia mi sarei potuto far male. Forse rivivevo già un ricordo di me bambino sul divano: forse la musica è tutto un sovrapporsi di ricordi e oblii futili che diventano importanti, perché? boh, in mancanza di meglio. Avevo quattordici anni e avevo appena comprato la cassettina del primo album dei Doors. Già al primo ascolto i pezzi mi sembravano tutti vividi e diversi l'uno dall'altro - questo è sempre stato per me un parametro importante, se i pezzi sono diversi l'uno dall'altro secondo me il disco è buono - ma uniti dalla voce di quell'organo unico, che Manzarek poi accantonò perché i tasti di plastica si rompevano troppo facilmente, maledetta plastica. Dopo quattro canzoni avrei dovuto comunque essermi assuefatto, e invece l'intro di Light My Fire mi colpì forte dietro la schiena, un ricordo ancestrale e insieme una promessa di delizie future; non lo sapevo ma le Porte si erano appena appena socchiuse per farmi vedere Coltrane e Bach, sovrapposti, per un attimo. Un tonfo alla grancassa, come lo sfregamento di un cerino, e poi quelle note come una fiamma che divampa all'improvviso.

Light My Fire fu la prima canzone che feci suonare a un juke box, nella Sala Giochi del Bronx - il Bronx era l'Istituto Professionale, erano ovviamente gli studenti a ribattezzarlo così - una fiumana di giacche di jeans che si riversava all'una verso l'Autostazione, con qualche chiodo di pelle che galleggiava nell'azzurro del denim - un giorno entrai nella loro Sala Giochi, andai al juke box e misi Light My Fire, la versione di sette minuti. Mi sembrò un gesto coraggioso, dadaista e punk. Il paesaggio musicale non era indulgente ed eterogeneo come adesso, potevi vivere una vita intera ascoltando soltanto glam da classifica, Sanremo e gli Iron Maiden per chi era assordato dai dubbi sulla propria virilità. Per quelle orecchie offese dagli anni Ottanta, i veri Ottanta di chi ci è vissuto, si è sorbito tanta merda e ci si è strizzato tanti brufoli, Light My Fire suonava di un altro pianeta. O mettevi a fuoco Light My Fire o mettevi a fuoco i Bon Jovi, non riuscivi a fare stare le due cose insieme nel cervello. Beccatevi la vera musica, stronzi. Accendetevi.

Ci misi ancora qualche anno a capire veramente che note stesse facendo. Alla fine la incisi rallentata, con i rudimentali strumenti a mia disposizione, e la riascoltai a ripetizione finché non mi parve di riuscirla a suonare. Non ne vado fiero, non l'avevo mai fatto; mi facevo punto di onore di non aver mai studiato un solo pezzo di musica - ero molto stupido. Ma quando seppi suonare l'intro di Light My Fire ne fui felice come un pappagallino, e di lì per alcuni anni a nessun organo lasciato incustodito in nessuna chiesa del circondario fu risparmiato il sacrilegio di intonare l'inno di Manzarek. Così Bach tornava a casa, dalla porta della sacrestia.

Poi sono diventato più serio e per anni non ho più ascoltato i Doors, che sembrano tagliati su misura per essere ascoltati da ragazzini e quindi liquidati. Pretenziosi e pop, teatrali, con quel sex simbol da birreria e tutta quella scadentissima poesia da ginnasio - i nostri Baudelaire, nessun adulto si rilegge Baudelaire, se non l'hai fatto prima dei 18 lascia perdere. Ogni tanto un sussulto, il film di Oliver Stone o una campagna promozionale per l'ennesimo disco sempre con gli stessi pezzi dentro. E ogni volta un'osservazione: ma come suonano ancora freschi, i Doors. Contro ogni aspettativa. Con quel cantante improbabile e ingestibile, e tutti quegli incidenti di percorso - azzeccavano un disco ogni tre - centinaia di canzoni inutili, eppure quanto restano ascoltabili i Doors. Nel frattempo ti sei fatto una cultura a tutto tondo, sai che in quella zona c'era un sacco di roba magari più ispirata e più seria, senza guitti e baracconate. Ma i pezzi dei Jefferson Airplane o degli Spirit o dei Love non hai veramente voglia di riascoltarli quanto quelli dei Doors. E l'intro di Light My Fire rimane lì, la promessa di una musica nuova intricata e meravigliosa che Manzarek non seppe mantenere - alle radio volevano pezzi più brevi, ma Jim durante gli assoli lunghi si annoiava, diventava pericoloso. Finirono a suonare blues lenti, il cimitero della creatività - ma sempre meglio del Père-Lachaise.

Come ha osservato ieri Giancarlo Frigieri, la carriera di un musicista pop è qualcosa di davvero avvilente, se non muori a 27 anni. È un'arte talmente fortuita che chiunque la pratica non ha a disposizione che quattro o cinque anni per sparare tutte le cartucce: il resto è mestiere. Alcuni sanno reinventarsi, ma anche lì servono tragedie o botte di culo incredibili. Tutti gli altri di solito passano la vita a suonare e risuonare dal vivo le canzoni che hanno scritto in fretta e per sbaglio quando avevano vent'anni. Quelli che si evolvono, che continuano a far dischi e sperimentare cose, sono i più sfortunati: quel che il pubblico continuerà a voler da loro saranno i pezzi che hanno scritto da giovani e stupidi, quando le note uscivano per caso. Anche Manzarek ci mise un poco ad abituarsi all'idea, poi si rassegnò all'onesta carriera di coverista di sé stesso. Ci speculò anche, con operazioni discutibili come An American Prayer. Come musicista probabilmente continuò a evolversi. Può anche darsi che da qualche parte nei cento dischi che incise ci sia un pezzo che mantiene la promessa di Light My Fire: per ora è ben nascosto. Le Porte restano per lo più chiuse, solo ogni tanto trapela uno spiraglio che ci illude di aver sentito qualcosa, chissà cosa: e il resto del tempo passa nel tentativo di ricordare, di ritornare su quel divano o su quel letto e sentire di nuovo quel brivido. Nel frattempo studiamo, acceleriamo, rallentiamo, impariamo; ma la porta non si apre, non è detto che si apra mai più.
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Io mi ritrovo quasi sperso

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Come distinguere i falsi ricordi dai veri? Questi ultimi portano sempre una forte componente d'imbarazzo. Avrò avuto dodici anni e a casa dei miei cugini avevo scoperto un canale tv che mostrava soltanto canzoni. Cioè, ogni canzone aveva un suo filmato diverso, e tra una canzone e l'altra non c'era niente, né conduttori stupidi né pubblicità stupida, niente. Solo canzoni, di giorno e di notte, il paradiso.

C'era il problema che erano in inglese. Gli unici italiani avvistati erano Pino Daniele, ma pareva cantasse in inglese pure lui, Yessaino, maùei, qualcosa del genere, e poi questo marziano spiaggiato nel deserto australiano, che voleva dissolversi nell'universo, e lo cantava in un pericoloso falsetto che qualche anno dopo nessuno gli avrebbe più perdonato. Non è che mi piacesse, però con gli anni il ricordo inspiegabilmente non sbiadiva. A quel tempo non c'erano vhs né programmi nostalgici, ogni video che guardavi poteva sparire da un momento all'altro e non tornare più.

Così è per quel video di Mango, non lo trova nessuno. Persino la canzone io non ebbi più occasione di ascoltarla, per più di dieci anni. Al massimo qualche "radio solo musica italiana", intercettata in clandestinità, poteva restituirmi Oro, che sembrava arrangiata con gli scarti di Peter Gabriel. Ma Australia era scomparsa, nessuno sembrava averne mai sentito parlare.

Finché un pomeriggio di una sudatissima estate universitaria non trottai con molta circospezione in un videonoleggio equivoco, e trattenendo il fiato mostrai al cassiere la custodia del Meglio di Mango. Ma non fui sicuro di non essermi sognato tutto finché premendo play non ascoltai quella batteria sintetica, quei gabbiani sintetici, quel falsetto criminale che alza le vele e senza alcun pudore prende il largo, nell'universo. Voi potete ridere di Pino Mango e di me, ma Australia non me la dovete toccare, Australia è resistita in un angolo del mio cervello a cantare sommessamente per più di una dozzina di estati, senza che nessuno la innaffiasse. Australia è la canzone di ogni estate dell'umanità, un dono che i demoni meridiani fecero a Pino Mango, in circostanze che non ho alcun interesse ad approfondire. Il vento è come un gran respiro che va e spazza via confini e città, entra in me e così io mi ritrovo quasi sperso nell'universo, oh. Senza passato, più leggero, io mi risento ancora puro, oh, nell'universo oh oh oh, mentre la luce piano sale alzo le veeeeeeeeeeeele, alzo le veeeeeeeele (la senti una chitarra nel sottoscala che strangola il gabbiano sintetico?) Paragonarla non si può.
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Gioventù bruciacchiate

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Dopo di noi, sempre più giungla

“Ah, guarda, io non so come fai a fare il mestiere che fai. Come fai?”

Non lo so.

“Cioè, insegnante. Io non ce la farei mai”.
E io non farei mai il carabiniere, così siamo pari.
“Alle medie, poi. Coi ragazzi che ci stanno adesso. Dev'essere una jungla. Come si fa?”
Spiegamelo tu. Sei appena tornato da una missione in Afganistan e mi guardi come se il pazzo fossi io. Ma ti rendi conto.
“Ogni giorno ne senti una nuova. Ma quella ragazza, hai sentito? che arriva in classe, si mette a ridere... il prof avrà pensato a un caso di ridarola, come ai nostri tempi”.
I nostri tempi.
“Macchè, le convulsioni! Aveva tirato del crack! Nell'intervallo”.
Sì, è seccante. D'altro canto, ti ricordi Cantelmi?
“Come no, adesso fa l'assicuratore! È sempre il solito stronzo! Ma cosa c'entra Cantelmi?”
Ti passava l'hascisc negli spogliatoi, ai nostri tempi.
“Ma va'!”
Ti dico che me lo ricordo.
“Ma forse ad allenamento... ma a scuola no! l'hascisc a scuola, sei fuori?”
Proprio perché non sono fuori, proprio perché non ci sono mai stato, quell'odore lo sento solo ai concerti e a certi cantoni di strada; e ogni volta mi viene in mente lo spogliatoio e la faccia da culo di Cantelmi, e non è il tipo di madeleine che uno s'inventa a posteriori, per cui...
“E comunque era maria...”
Era hascisc, dai.
“Ma vuoi mettere col crack? Ma hai presente cos'è il crack? Ci sono i cristalli d'ero dentro, dipendenza al primo tiro!”
Ecco, è quello che ci raccontavano i vecchi della maria. Stessi discorsi.
“E poi era roba tra maschi! Cioè, neanche uno stronzo come Cantelmi avrebbe passato dell'hascisc a una ragazzina, cose da...”
Cantelmi forse no, ma tu l'hai fatto.
“Ma che sei sc...”
Predotti Annakatia.
“A vabbè, se adesso stiamo a contare pure l'Annacacca... io dicevo le ragazzine”.
Pure lei se ne tornava in classe con certi accessi di ridarola. Io mica capivo, eh. Ci ho messo qualche anno a ricostruire.
“Ma non era mica una ragazzina, dai... una ripetente”.
Quindici anni.
“Sì, ma fisicamente, eh... fisicamente...”
Oggi finiresti sul giornale, per una cosa del genere. Negli anni Ottanta i cronisti avevano altro da fare. C'erano le brigate rosse e l'anonima sarda, una babygang che spacciava alle medie era meno interessante. Non esisteva nemmeno la parola babygang.
“Ma non abbiamo mai fatto male a nessuno! Questi di adesso sono degli animali, distruggono le scuole! Hai sentito il liceo a Modena? Migliaia d'euro di danni, 'sti stronzetti. Che se me ne trovassi uno tra le mani, io...”
Medie statali di Ravarino, 15 settembre 1987.
“Eh?”
Avevano appena intonacato. La notte del primo giorno di scuola dei vandali con bomboletta riempiono di scritte le quattro pareti. Qualcosa come dieci milioni di danni. Non si è mai saputo chi sia stato.
“Ah cazzo, mi ricordo... quando uscì sulla prima del Carlino... che cagata addosso”.
Puoi ben dirlo.
“Ma quindi tu sapevi... ma chi te l'ha detto?”
C'ero anch'io, deficiente, ero quello che andò a comprare le bombolette il sabato pomeriggio, a Modena col motron.
“C'eri tu? Ma tu eri un secchione”.
Si vede che cominciava a starmi stretta la parte.
“Ma dai! Che roba! E gli altri chi erano? Che non mi ricordo proprio più niente, sai”.
Parisini Antonio.
“Poveretto. Hai saputo...”
Come no, un infarto a trent'anni, ci penso ogni volta che mi sento il cuore.
“Tranquillo che a te non capita”.
E chissà. Giarola Sandro.
“L'ingegnere!”
Secondo me non si è mica laureato, sai.
“Conta poco, suo padre gli ha messo già un po' d'azienda in mano. Vabbè, al massimo se ci scoprono l'avvocato ce lo paga lui”.
Mi sa che il reato è passato in prescrizione. E poi tu sei un eroe di guerra. Ma insomma, questi afgani?
“Son brutti. Ma nei carabinieri non si sta male. Voglio dire, c'è disciplina. Non è come a scuola”.
E dagli.
“Nel senso che... se io dico a un sottoposto Fermati, lui si ferma. A scuola non si ferma mai nessuno”.
Io mi fermavo, a volte.
“Io no. Nei carabinieri il comandante lo rispettano. A scuola gli insegnanti sono sempre degli sfigati... mica per offendere, eh...”
Il rispetto si conquista, ovunque vai.
“Ma a scuola ti possono fare qualsiasi cosa, e non puoi neanche toccarli! Ho sentito che l'ultima moda è che gli studenti ti prendono la targa! La tua l'han presa?”
Sì, certo.
“Cioè, qualcuno ti ha detto che...”
Un giorno uno mi ha chiesto, davanti a tutti: prof, lei per caso guida una pegiò tale targata ecc.? Sapeva anche il numero di telaio, a momenti. Sai, io poi lavoro in un paesone.
“E a uno così, se gli dai un brutto voto, cosa ti fa?”
Mah, spero niente.
“Ma ce l'hai un garage?”
Lo sto cercando. E poi ho esteso l'assicurazione agli atti vandalici. Ma voglio dire, è il mio mestiere. Se fossi un muratore potrei cadere da un'impalcatura.
“Noi però non eravamo così. Non avremmo mai minacciato un professore col numero di targa... è una cosa mafiosa, veramente”.
Ma l'auto di Farella, te la ricordi?
“Oddio, Farella! Ma tu sei pericoloso! Ma come fai a ricordarti dopo tutti questi anni Farella!”
L'inchiostro di certi brutti voti trapassa dal registro all'anima.
“Farella! Adesso io stanotte non dormirò, perché mi hai fatto venire in mente Farella!”
Certi momenti muti alla lavagna durano tutta la vita, forse non sono ancora passati.
“Con la sua Alfasud scassata! Coi deflettori di cartone!”
Glieli avevi rotti tu, no?
“No, fu Borotti, il figlio del tabaccaio... sta in Venezuela, adesso. Import Export”.
Dicono tutti così. La fiancata comunque, quella l'hai fatta tu. Col cacciavite a stella che ti trovarono nello zaino.
“Ancora 'sta storia, oh. Nooo! Come ve lo devo dire. Il cacciavite mi serviva perché avevo un problema col seimarce. Secondo me fu il povero Parisini”.
Certo, lui di sicuro non può smentire.
“Glielo dissi pure al Preside, di controllare il graffio, che i cacciaviti a stella non sono buoni per rovinare le fiancate, sono meglio quelli piatti”.
Eri già un esperto.
“Ma sì, perché avevo fatto la fiancata della supplente di francese, l'anno prima... ma con lei era un altro discorso... era una t...”
Va bene, i deflettori no e la fiancata no. Ma la pisciata, almeno. Prenditi le tue responsabilità.
“Ma sol che non scherzi! Ma ti pare? I maschi pisciano in piedi”.
Vuoi dire che...
“Fu lei, fu l'Annacacca! Avevamo rotto il deflettore per entrare, stavamo fumando... fu accidentale! Lo sai com'era l'Annacacca, quando cominciava a ridere...”
Si pisciò adosso nell'Alfasud del più stronzo dei prof di matematica. Era il 1986.
“Che sagoma, l'Annaka. Ma che fine ha fatto?”
Commessa. Sposata. Due figli.
“Due bambini! Li hai visti?”
Uno ce l'ho in classe. Non è proprio una cima, eh.
“E ti credo! Vengono su sempre più cretini”.
Non lo so. È difficile fare un confronto, stabilire dei parametri.
“E non rispettano più nessuno! Ci vuol coraggio per metterne ancora al mondo!”
Dai, ce la faremo.
“Mah”.
Sei stato in Afganistan, di cosa ti preoccupi?
“Là era deserto, duro, ma... allo stesso tempo semplice. Non so se mi spiego".
Sì.
“Qui è peggio, qui è una giungla”.
L'ho già sentito dire.
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Il buon pastore

Caro Leonardo,
una volta Arci mi disse una cazzata. Tra tante. Ma sul Vangelo.
Si parlava della pecorella smarrita, che dà più gioia (ritrovata) di 99 pecorelle beghine.
"Hai mai provato a riflettere sulla moralità della cosa? Voglio dire, hai la responsabilità di 99 anime, e le molli per una sola. Qual è il senso?"
"Arci, è solo un paradosso".
"Sì, certo, Gesù parlava per parabole, per paradossi, inoltre era paramedico…"
"Arci, io sarei credente".
"Ma sì, ma sì, ma infatti ti volevo solo indurre a riflettere: qsto Buon Pastore paradossale, che si annoia delle 99 pecorelle che ha, e mette a soqquadro la Galilea finché non trova la sola che non ha, a chi assomiglia? Se fosse un uomo del secolo Ventunesimo, che genere d'uomo sarebbe?"
"E che ne so?"
"Un dongiovanni".

Ogni uomo conta le sue donne, ogni uomo è Buon Pastore del suo harem di ricordi, ma c'è chi le conta dal capo, e chi dalla coda.
C'è chi le conta dal primo incontro, o dal primo bacio, o coito, o anellino. Ed è tutta gente sana. E poi ci sono i malati, come me, che le contano dalla coda. Dall'ultima parola. Dall'ultimo insulto. Dall'ultimo freddo arrivederci. E sai che gran soddisfazione, pascere il tuo gregge di 99 freddi arrivederci.
C'è gente che accumula titoli, esperienze, amori. Gente appassionata, metodica, soddisfatta. Hanno schedari ordinati, con tutte le loro esperienze in ordine cronologico. Li invidio molto.
Io non ho mai imparato a riordinare un cassetto, ma non è sciatteria, o perlomeno: non confondiamo l'effetto con la causa. La causa è che le cose nei cassetti non mi interessano più. È che col tempo i ricordi felici si annebbiano, e le figure di merda invece assumono una singolare lucentezza, dimodoché se guardo al passato vedo solo un'interrotta teoria di smaglianti figure di merda, dal primo giorno delle elementari fino al mio 52esimo compleanno: e questa è un'autentica malattia per cui io dovrei essere curato, perché non sono normale, la gente normale vede sparire il suo passato in nuvole rosee di dolce rimpianto, mentre il mio passato è una piaga purulenta e vergognosa che puzza. Vi sembra normale? No, non rispondete, lasciate stare, non esistete nemmeno.
Ma insomma, per me si tratta solo di vagare nottetempo in cerca dell'ultima pecorella che ancora non mi conosce. Le 99 non contano più, mi hanno visto piangere ed eiaculare a sproposito, se solo ci penso ci sto male. E qsta cosa, il mio Dio, la capisce?

Lui ha detto di tagliarsi la parte del corpo che ti dà scandalo, ma ha anche detto che per peccare basta il cuore. Singolare contraddizione. Potrò cavarmi un occhio, ma resterà il mio cuore, ed il cuore mi è sufficiente per essere infelice e peccare. Peraltro ha detto anche "chi non ha peccato scagli la prima pietra", dunque solo io posso mutilare me stesso. E se ci fosse una differenza tra "peccato" e "scandalo"? F'nql, perché non ho studiato il greco al liceo (invece di ql tedesco inutile).
C'è sempre la possibilità che sia uno dei suoi famosi paradossi. Provo a immaginarmi: Gesù fa la vita del predicatore, si muove in un demi-monde di pubblicani, centurioni e prostitute (e malati, infermi, lebbrosi…) Gente bisognosa di perdono e guarigione. In pratica, gente che ha bisogno di essere toccata, guarita, compresa. Un soffio, un tocco, anche solo una parola di salvezza.
E poi ci sono i farisei che sono rimasti al Levitico, e vivono in un mondo di prescrizioni e tentazioni. Tutto un roteare d'occhi per evitare di guardare l'impuro, il malato, il diverso, la donna. E Gesù: senti, perché non te lo cavi, quell'occhio? Se ci vedi tante tentazioni, cavatelo: starai meglio tu e staremo meglio noi. E qlla mano che tocca o ha paura di toccare: per quanto ancora ci seccherai con le tue turbe postpuberali? Tagliatela, se ti scandalizza tanto. Se non hai ancora capito che il problema è nel cuore, taglia pure, taglia tutto. Taglia a te stesso, però, non agli altri. Per punire gli altri devi prima essere senza peccato: ma per essere senza peccato devi tagliarti, e una volta tagliato non portai far male a nessuno.
Ecco, qsta è la mia interpretazione preferita. Un Dio che frega i bacchettoni con le loro stesse mani. Non male.
Dovrei parlarne con qlcuno.
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L'ultimo duemilaecinquista

Caro Leonardo:
È successo qlcosa, in facoltà. E temo che mi riguardi.
Dopo l'incidente della scorsa settimana, pensavo di avere chiuso un bel cerchio di odio e livore nei miei confronti: studenti defargisti a sinistra, fallaciani a destra, tutti uniti contro di me. Mi aspettavo di fare il vuoto a lezione (un po', lo ammetto, ci speravo: Left behind è veram una palla).
E invece, sorpresa! Ieri ho fatto il pieno. In prima fila tutti i fallaciani, nel cui sguardo catatonico intravedo ora una strana sfumatura riverenziale. Qsto deve avere a che fare con Taddei: ma è strano. Chi è Taddei per loro? Un fuoricorso fuorisede? Un tipo strano che si aggira per i corridoi e impreca mentre tenta di usare una normalissima consolle universitaria? Un supereroe? Chi è?
Sul fondo dell'aula, poi, si sono rifatti vivi quelli che nello scorso trimestre avevo identificato come defargisti (e che ero riuscito con qualche sforzo ad allontanare). Persino l'amico di Aureliana, il quattrocchi col nome buffo, quello che avevo mandato nella stanza 68 per punizione (lui, a dire il vero, è il più catatonico di tutti: temo non abbia retto al supplizio). Perché sono tornati? Credo c'entri Aureliana.
Aureliana, infine, è stata la sorpresa più grande. Mi ha teso un agguato. Alle spalle. Ieri. Davanti alla macchinetta della cicoria.

"Il latte no, professore".
"Eh?"
"Non la prenda al latte, la polvere dev'essere scaduta. C'è stata una specie di epidemia di dissenteria tra gli studenti".
"Ah, ma io ti conosco. Ti chiami…"
(Seguono sei secondi di silenzio imbarazzato in cui io, che non voglio ammettere di ricordare il suo nome, attendo che lei, pietosa, stia al gioco):
"Mi chiamo Aureliana, e mi conosce perché frequento il suo corso di Ucronica".
"Ma certo, Ucronica, come no". (È l'unico corso che faccio).
"Mi scusi se l'ho chiamata professore, so che lei ha qsto pallino di non volersi chiamare così".
"Non è un pallino, è… ecco, io… potrei incorrere in sanzioni".
(Altri cinque secondi in cui il non-professore, mordendosi la lingua, evita di iniziare un lungo discorso sulla sua posizione di docente a progetto, che porterebbe a tutta una serie di considerazioni sulla sua vita da eterno precario, e altre chiacchiere da cinquantenne a cui le laureande carine son fin troppo aduse).
"Lo sa, stavo riflettendo a qllo che è stato detto in classe l'altro giorno".
"Ti prego, se hai considerazioni su Left behind, salvale per la lezione. Sono stufo di parlare solo io, e inoltre…"
"No, non ho niente da dire su quel libro merdico".
"Ah".
"Stavo invece riflettendo sull'intervento di alcuni dei miei compagni… colleghi di corso. Mi ha molto incuriosito".
"Oh".
"Così ho controllato, ed è vero! Lei è un duemilaecinquista".
"Un che?"
"Uno di quelli che hanno preso parte ai primi raduni segreti del 2005, in pratica i fondatori del Teopop".
"Beh, beh, no, il Teopop è venuto dopo".
"Certo, e tra i fondatori c'erano in pratica tutti i duemilaecinquisti. Compreso lei".
"Davvero?"
"Non mi dica che non ci aveva mai pensato".
"No, perché sai, poi, i casi della vita, con molti mi sono perso di vista, e…"
"Qsto è patente".
"?"
"Pardon. Volevo dire: è chiaro che lei li ha persi di vista. Tutti li abbiamo persi di vista. In effetti lei è l'unico ancora in circolazione".
"Ah sì?"
"Anche a qsto, non aveva mai pensato?"
"Ma no, scusa… posso essere franco con te, come ti chiami? Anastasia?"
"Aureliana".
"Aureliana, mi sembri una ragazza sveglia. In cosa ti laurei? Storia Moderna?"
"Contemporaneistica".
"Ecco, allora non sto a farti la storia della mia generazione, penso che tu la conosca già abbastanza bene. Tu sai che due terzi degli italiani della mia età dopo la Catastrofe hanno smammato, no? E il più era gente sveglia, come te, che sapeva le lingue e non riteneva giusto rimanere in Valpadana se diventava una palude".
"Ma con qsto cosa…"
"Il che significa, se ci pensi, che due terzi delle persone che conoscevo le ho perse di vista. Compresi i miei amici, i compagni, la mia fidanzata, eccetera. E probabilmente anche tutti qlli che erano all'incontro di Firenze nel giugno 2005. Che, tra parentesi, non fu nemmeno una gran riunione. Faceva caldo e io stavo alla fotocopiatrice. E adesso ci chiamano duemilaecinquisti?"
"Sul sito ufficiale di contemporaneistica, sì".
"E c'è un elenco di nomi? Ma a quel tempo ci chiamavamo tutti con un nome diverso".
"Sul sito ufficiale comparite coi nomi di bisbattesimo. Tranne, ovviam, Defarge".

È solo a prezzo di un indicibile sforzo interiore che riesco a tossir fuori il caffè non sulla camicetta bianca di Aureliana, ma sul fondoschiena del professore che fuma accanto, affacciato alla finestra. Mi aspetto di essere mandato al diavolo almeno da lui: macché. Si volta, si accorge che sono io, bisbiglia un 'faccia più attenzione' e fugge via. Mi temono anche i professori, adesso. Non mi piace.

"Tutto bene?"
"Sì, non è niente, diceva?".
"Lei ha conosciuto Defarge".
"Ah, beh, certo. Voglio dire, chi della mia generazione non ha conosciuto…"
"Ma anche Arci. Ecco, qsta cosa non sono riuscita a controllarla. È vero quel che hanno detto i miei compagni? Lei era il suo assistente?"
"Di nuovo con qsta storia. Sì. No".
"Sì o no, scusi".
"In un certo senso lo assistevo, ma chiamarmi assistente… Sarebbe come dire che il cane era l'assistente di Pavlov".
"Pardon?"
"Ero piuttosto la sua cavia. Mi somministrava delle cose… mi faceva indossare dei caschi… roba del genere. Quando voleva sperimentare qlcosa, veniva da me".
"Dev'essere stato molto interessante. Ma qndo Arci e Defarge ruppero, lei da che parte stava?"
"Da che parte? Da nessuna parte, forse al buffet, ah-ah".
"Davvero, è molto curioso. Lei ha partecipato ad alcuni momenti cruciali della nostra storia, e sembra non ricordarsi niente".
"Non è così curioso, magari è triste, ma non è curioso. L'età, sa, col tempo si seleziona…"
"Si cristallizza, vorrà dire".
"Ah, certo, sì".
"Quindi tra qualche anno avrà ricordi più definiti di quel periodo".
"Penso di sì".
"Ma saranno probabilm falsi".
"Perché dici una cosa del genere, scusa?"
"È una sensazione. Mi sembra che lei stia facendo del suo meglio per riscrivere il suo passato. Il modo in cui ne parla… nel 2005 è addetto alle fotocopie, quando Defarge scappa è al buffet… possibile che lei sia passato indenne attraverso tutto qsto?"
"Perché no? Il cane di Pavlov è morto di vecchiaia".
"Sì, certo. Posso farle un'ultima domanda?"
"Sì. No. Dipende".
"Secondo lei chi ha tradito Defarge?"
"Non lo so".
"Certo. Grazie, comunq. È un onore poter frequentare il corso dell'ultimo dei duemilaecinquisti".
"Bah".
"Non le piace qsto nome, vero?"
"È molto brutto. E poi mi ricorda i diciannovisti".
"Chi?"
"Un gruppo di rivoluzionari che nel 1919 fecero un'adunata per fondare un movimento antimonarchico, anticlericale, libertario…"
"E come lo chiamarono?"
"Decisero di chiamarlo Fascio, perché dava un'idea di compattezza e unità, e poi evocava il simbolo della Roma repubblicana".
"Non ebbero molto successo, vero?"
"No. Sì. Dipende dai punti di vista".
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I colloqui eccetera (4)

Attacco alle torrette elettriche

Caro Leonardo,
mi rendo conto che qsta fissazione di Taddei per la sfida Bush-Kerry ha qualcosa di maniacale. Ma bisogna mettersi nei suoi panni. Oppure, fingiamo di essere nell'intervallo del primo tempo della finale Italia – Germania Ovest, luglio 1982, stadio Bernabeu, e di cadere in coma profondo davanti alla tv. Svegliandoci vent'anni dopo, qual è la prima cosa che chiederemmo agli infermieri? Se i nostri parenti sono ancora in vita? Se la DC è ancora al governo? Se l'olocausto nucleare poi c'è stato? O come sta Pertini? E chi ha messo la bomba a piazza Fontana? Tutte cose importanti, indubbiam. Ma non saremmo più curiosi di sapere chi ha vinto la partita?
Credo che con Taddei sia andata così. Si è addormentato a metà di un evento mediatico molto importante, che a noi non dice più niente, ma che per lui era la vita. Non fosse stata per quell'indigestione di peperoni.
Peperoni, peperoni.
Cosa mi ricordano?

"Che strano però. Mi ero quasi convinto che fosse colpa di Kerry. Vince nel 2004, la guerra al Terrore si sgonfia…"
"Colpa di cosa?"
"Di tutto questo. Invece di cacciare Al Qaeda nelle sue tane… richiama a casa i ragazzi e si allea con sceicchi ed emiri vari… Signori, non mi frega nulla se siete dei tiranni: garantitemi tot petrolio all'anno e una parvenza di democrazia… anzi, perché non eleggete una principessa, una da copertina, stile Giordania? In Occidente la chiameremo presidentessa, da voi la chiamerete Califfa, e saranno tutti contenti".
"Magari è proprio andata così".
"No, fottimadre, non è andata così, perché Kerry ha perso!"
"E quindi?"
"E quindi ha vinto George W. Bush, che ha riappacificato l'Iraq trasformandolo nella prima, anzi nella seconda democrazia del Medio Oriente, e ha diviso equamente i proventi del petrolio tra i cittadini iracheni. Perché lo ha fatto, vero?"
"Guarda, adesso su due piedi, così…"
"E l'esempio dell'Iraq è stato così fulgido che in pochi anni tutto il Medio Oriente arabo ha cacciato i suoi tiranni si è federato in un'unica democrazia! E ci saranno state tante rivoluzioni pacifiche, finanziate dai paladini della libertà… la rivoluzione del dattero, la rivoluzione dell'ulivo, la rivoluzione del cuscus…"
"Quella me la ricorderei".
"…finché non è nato, in tutto il territorio dell'antico califfato, un'unica grande democrazia, che ha eletto sua rappresentante: una donna araba!"
"Kadija Bin Laden".
"È andata così?"
"Sì, magari è andata così"
"Che significa magari! Anche prima hai detto magari!"
"È andata in entrambi i modi. Sono solo due modi diversi di raccontare lo stesso processo".
"No. Non è lo stesso processo. Il primo caso è Kerry-style. Il secondo è Bush".
"Sono solo persone. Tu credi che le persone possano cambiare la storia".
"Certo che è così".
"La tua fiducia è irrazionale e a-scientifica. Ricordati che noi siamo venti anni avanti a te, e sappiamo che non è vero. È la Storia che cambia le persone".
"Stronzate".
"Guarda noi. Guarda cosa abbiamo fatto a Berlusconi. Avevamo bisogno di un simbolo del passato, qualcosa di rassicurante, in cui si riconoscessero anche le vecchiette. Come gli argentini quando richiamarono Peron. Abbiamo preso un vecchio tycoon iperliberale e lo abbiamo trasformato nel capo di un regime teocratico-socialista. E lui si è lasciato manovrare. È la Storia che fa gli uomini".
"Ma se ho capito bene, adesso è lui che manovra voi".
"Incidenti di percorso. Ma noi sappiamo che…"
"Ma che cazzo volete sapere, voi. Piantate alberi, riciclate tovaglioli sporchi e comunicate con la playstation".
"È solo un'interfaccia utente. Che c'è di male. Guarda che ci sono volute generazioni di studiosi ed ergonomi per arrivare a…"
"Generazioni di segaioli".
"Sentilo, ha parlato il superoe. Hai fatto qualche altra buona azione di recente? Rubati molti super-polli nel contado? Sai che hanno dato la colpa ai terroristi libici anche delle tue scorrerie nei pollai?"
"Non sono libici".
"Certo che no".
"Non parlano arabo. Ne ho fermati un paio e…"
"Cos'hai fatto?"
"Ho sventato un paio di attentati, qui. Alle torri dell'enel. Che immagino non si chiami più enel, ma comunque…"
"Taddei, gli attentati non sono veri. È solo propaganda di regime. Speravo che tu lo capissi. Che leggessi tra le righe che…"
"Ho letto tra le righe, grazie. Ma i terroristi ci sono. Io li vedo. Di notte. E ti dico che non sono arabi. Io me li ricordo, gli arabi".
"Non ne hanno mai trovato uno vivo".
"Sono svelti. Appaiano e scompaiono".
"E magari si immolano alle torrette dell'enel di San Lazzaro, dai. Non pensi che dovresti tornare all'ospedale?"
"Sto bene qui".
"Sei proprio sicuro? Voglio dire, vivi in un rifugio sotto il cimitero ai caduti americani. La sera esci, rubi un pollo, compi qualche vilipendio alla religione, vegli sulle torrette enel, distruggi il male, e poi? Ti sembra una cosa normale alla tua età? Hai cinquant'anni!"
"Trentuno".
"Oh, sì, va bene. Adesso però, scusa, mi parte il filobus. E non vedo altri motivi per perdere tempo con un fanatico filo-usastro che vent'anni fa ha fatto un'indigestione di peperoni e…"
"Tu sei qui perché ti hanno promesso soldi. Molti soldi".
"Non così tanti, poi".
"E, in secondo luogo, sei qui perché io ho voluto incontrarti, e non te ne andrai finché io non lo vorrò".
"Credi di farmi paura?"
"Sì. Per cui spero che risponderai senza troppe cerimonie. Voglio la decima risposta".
"Cosa?"
"Quando sei stato malato, ti ho scritto dieci domande. Tu hai risposto solo a nove. Hai finto di non vedere una domanda, e non hai mai risposto. Voglio sapere il perché".
"Semplice distrazione".
"Stronzate".
"Ma no, sul serio, non ricordo neanche più qlla domanda…"
"Strano, per uno con la tua prodigiosa memoria. Quando ho visto che non avevi risposto, mi sono molto preoccupato. Ho domandato una cartina geografica. Non ne avevano. Sono arrivati con una di qlle fottutissime playstation, gliel'ho rotta in testa".
"Qllo lo ricordo".
"Poi sono evaso. Tutto perché ti sei rifiutato di rispondere a qlla fottuta domanda, e non credo che tu sia poi così distratto, herr Immacolato".
"Si è fatto tardi".
"Rispondi, una volta buona, o t'ammazzo. Non scherzo".

Non scherzava, così gli ho risposto.
Lui poi è restato ancora a lungo sulla panchina, il volto infagottato nel cappuccio. Se ha pianto è stato in modo molto discreto. Io sono riuscito a prendere il filobus in tempo. Gli ho dato un appuntam in facoltà, la vita continua, ed è tempo che impari a usare la playstation.
Volevo dire, l'interfaccia utente di Supernet.
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I colloqui di via Cracovia, 3
(Siamo sempre a San Lazzaro, caro Leonardo, il 25/4/25: finalm ho trovato Taddei e posso parlargli in piena libertà).

L'elenco telefonico di San Possidonio

"Va bene, e adesso tocca a me imparare qualcosa", dice lui.
Ha appena mandato giù l'ultimo boccone del mio panino. Tra le mani tiene ancora il tovagliolo di cartapecora, senza sapere bene che farne. Non si accorge nemmeno del momento in cui gli cade. Me ne accorgo io, invece, ed è come se mi accendessero un semaforo rosso nella testa.
"Spiegami di Bush. Spiegami 'sta cosa. Ormai mi ero rassegnato alla vittoria di Kerry, mi ero costruito tutta una mia teoria su quello che è successo dopo, poi invece leggo il tuo messaggio sulla trave e scopro che ha vinto Bush. Ma che razza di fottuta…"
Ma brutto usastro edonista e puzzone… "Il tovagliolo", faccio io.
"Eh?"
"Ti è caduto il tovagliolo".
"Ah, sì, scusa…" si china, raccoglie, e poi si guarda intorno con quell'occhio vago.
"Non ci sono cestini, no. Noi ricicliamo tutto".
"Come fate a riciclare senza cestini? Questa carta è…"
"Intanto non è carta. È cartapecora industriale, un sottoprodotto della lana. Si lava, si essicca al sole, e si può riutilizzare. Infatti ql tovagliolino è mio, se non ti dispiace".
"Già, vero, siete rimasti senza carta… eppure alberi ne avete".
"Anzi, stiamo rimboscando".
"E perché non li usate?"
"È proibito dalle convenzioni bilaterali. Noi non possiamo usare i boschi per scopi industriali. Servono solo alla produzione di ossigeno. È un vanto nazionale: il Teopop è il più grande esportatore di ossigeno nel mediterraneo".
"Lo esportate? Lo mettete nelle bottigliette, per caso?"
"Ma no, che idea. Noi non esportiamo materialm l'ossigeno, è solo un modo di dire. L'ossigeno creato dalle piante si disperde nell'atmosfera, come ha sempre fatto. Ma c'è un vecchio protocollo internazionale, non so se te ne ricordi, che prevedeva che potevi produrre tot anidride carbonica se in cambio piantavi tot piante e producevi tot ossigeno…"
"Kyoto?"
"No, non Kyoto, dopo. Insomma, a un certo punto ci siamo messi d'accordo con Lady Bin Laden, la Califfa, te ne ho già parlato, no? Loro hanno molta industria pesante, sai, nei deserti c'è il petrolio e un sacco di spazio per la metallurgia e tutto il resto. Ma non ci crescono le piante. Allora abbiamo risolto di fare così: loro si tengono l'industria, e noi i boschi. Loro emettono anidride e in cambio noi emettiamo ossigeno, e l'equilibrio è salvo".
"Ma la val Padana è sott'acqua".
"Mica tutta, e mica tutto l'anno. E comunq non è colpa nostra, ma del governo precedente".
Mi guarda strano. Ha deciso che non si fida di me, ma per il resto, è curioso come prima.

"Mi spiegherai anche qsta cosa della Bin Laden. Ma dimmi di Bush, prima".
"Beh, non c'è molto da dire. Ha vinto lui, punto".
"E perché fingevi di non saperlo quando eravamo all'ospedale?"
"Troppe orecchie in giro".
"Non capisco. Che c'è di strano se ti ricordi un presidente USA che è stato eletto vent'anni fa?"
"Significa che conservo ricordi che ufficialm non sono stati cristallizzati… già, ma tu non sai di che sto parlando. Allora: sulla memoria il Teopop ha idee molto diverse da qlle che avevate voi".
"Noi?"
"Sì, voglio dire, noi vent'anni fa. Per voi "nostalgia" era solo una parola, per noi è un concetto scientifico. È una specie di sub-coscienza che vive tutto qllo che abbiamo vissuto noi, ma molti anni dopo che lo abbiamo vissuto. Per dire, la tua subcoscienza rivivrà qsto giorno approssivam nell'estate del 2045. Ma mi sembri scettico".
"Sì, ma va avanti".
"In pratica la nostalgia è una specie di badante dell'inconscio, che spazza via tutti i frammenti di memoria in eccesso, salvandone soltanto alcuni in una forma compressa e stereotipata che da quel momento diventa il nostro effettivo passato. È un fenomeno che abbiamo chiamato cristallizzazione. E poi abbiamo deciso che potevamo lavorarci su, per il bene del Teopop".
"Controllate le coscienze".
"Macché, solo i ricordi. Io lavoro appunto a un programma sperimentale, che aiuta i cittadini del Teopop a cristallizzarsi un passato dignitoso e privo di particolari inutili. Ora, sei mesi fa ci siamo appunto occupati di qlle elezioni che ti appassionavano tanto. In quell'occasione abbiamo deciso che non c'interessavano, e non le abbiamo cristallizzate".
"Quindi le avete dimenticate".
"In teoria. E anche in pratica, gli altri".
"Ma tu no".
"Ho un problema col mio cervello. Non cristallizza tanto bene. È per qsto che Damaso ha voluto che fossi io a parlarti. Perché ho più ricordi del passato".
"Ma li tieni per te".
"Non mi fidavo. Né di Damaso né di nessuno. Non voglio tornare a Rieducazione a imparare a memoria di nuovo l'elenco telefonico di San Possidonio".
"Che stai dicendo?"
"È la cura per chi ha troppa memoria. Ti costringono a memorizzare chili e chili di informazioni inutili. È un sistema rozzo ed efficace per purgare il cervello dai ricordi indesiderati. Lo ha inventato un mio amico".
"Un fottuto pazzo".
"Sì, ma non privo di ingegno".
"Ma siete tutti pazzi, qui. La memoria non è mica un intestino, che si spurga. Anzi, più cose impari a memoria, più la alleni, e più informazioni riesci a contenere".
"È qllo che ho pensato anch'io, e in effetti non mi sembra che abbia funzionato. Ma è ugualm doloroso".
"E il tuo amico? Vi prendeva in giro?"
"A volte penso proprio di sì, che ci prendesse in giro".
"Ma scusa. Se nessuno a parte te si ricorda che ha vinto Bush, come fanno a controllare che stai dicendo il vero?"
"Senti, se vuoi fare il supereroe da qste parti, vorrei che ti rendessi conto di una cosa, che è fondamentale: nel Teopop nessuno è tanto fesso quanto sembra. E in ogni caso la mia risposta era cifrata: volevo dirti che non ha nessuna importanza chi abbia vinto nel 2004".
"Nessuna importanza?"
"Nessuna"
(Continua)
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Buonanotte, bambini (ovunque voi siate)

“Good night children, everywhere…”
(The Prisoner, episode 15: The girl who was Death)

Quando ero un bambino – uno strano bambino – mi facevo molti problemi.

Questa cosa della bomba atomica, per esempio, non riuscivo a mandarla giù. Così se era una bella giornata e uscivo a fare una corsa, a un certo punto m’incantavo a guardare le scie dei jet e pensare: adesso quello è un missile e ci uccide tutti.

Allora tornavo in casa e mi mettevo di fronte alla tv – peggio ancora. C’erano alieni veramente orrendi alla tv quand’ero bambino, alieni cattivi e basta, cattivi proprio senza redenzione, con poteri spaventosi. Non era semplicemente che volessero conquistare la terra – fin lì, d’accordo -– ma volevano conquistare proprio noi, i nostri corpi, e renderli mostruosi come i loro. L’unica era affidarsi alle capacità di qualche robot d’acciaio giapponese di cui però, istintivamente, non sono mai riuscito a fidarmi. Erano mostri pure loro, in fin dei conti, avevano una faccia ma non facevano un sorriso o una smorfia mai, e si muovevano con malagrazia. “Ma perché non ci montano le ruote”, mi chiedevo, “o un bel cingolato”? Vivevo pur sempre in un autofficina…

Cambia canale, c’è un film di fantascienza. Trama: dopo una guerra nucleare le scimmie prendono il potere. Oppure: dopo una guerra nucleare i giovani prendono il potere, e chi ha 25 anni viene terminato (ti montano una lucina gialla nel palmo della mano, che quando ne compi 24 diventa rossa). Oppure: dopo una guerra nucleare… continuate voi.

Forse ero io un po’ apprensivo di natura. O forse era davvero terrorizzante, la tv della mia infanzia. C’era un’angoscia che non era soltanto nelle storie, le bombe atomica e i relativi dopobomba, ma nei dialoghi, nelle immagini, in tutto. Molte trame naturalmente non le capivo nemmeno. Per forza: ero un bambino – ma le trame dei telefilm di oggi le capirebbe anche un bambino. No, erano trame aggrovigliate, difficili, impegnative, e non si capiva mai chi era il buono o chi il cattivo.

Poi l’infanzia è terminata, e non mi manca. All’altezza di Heidy e Candycandy la tv italiana è stata prima irrigata, poi inondata da un fiume di melassa che oggi ha rotto ogni diga. Oggi l’angoscia non c’è in tv, e non si capisce nemmeno perché dovrebbe esserci. La gente è stanca, la gente fa otto ore e poi ha voglia di sentire gente che ride, ragazzine che sculettano.

E poi sono venute meno le ragioni stesse della nostra angoscia, no? Bombe atomiche, guerre spaziali, chi ci pensa più?

A volte mi chiedo come verranno su i bambini. A volte mi chiedo come sarei venuto su io, se invece di Goldrake mi fossi trovato in mano i pokemon. Nessuna ansia di difendere la terra dai nemici, solo il problema di collezionare un sacco di esserini per essere più bravo degli altri… beh… forse anche la mia generazione guarda i pokemon di nascosto.

Però abbiamo visto anche Goldrake e Daitan3, una certa angoscia metafisica di salvare il mondo dagli alieni spersonalizzanti ce l’abbiamo, e questo mi fa pensare che Cacciari, quando rimprovera Casarini di usare un lessico da Guerre stelari, punge nel vivo.

Tutto questo parlare perché? Perché navigando mi sono ritrovato di fronte a uno dei miei peggiori shock infantili, quasi del tutto dimenticato. Un telefilm assurdo di cui conservavo pochissime immagini – una sigla inquietante in cui la faccia del protagonista si allarga come per uscire dallo schermo, finché all’ultimo momento non compare una sbarra di ferro a fermarla. Si chiamava (non me lo ricordavo) Il prigioniero. Il protagonista -– un musone terribile – è prigioniero di una comunità perfetta dove tutti sono felici, tranne lui, che si ostina a non voler farsi chiamare “Numero 6”. Il lavaggio del cervello, l’assunzione di droghe, la deformazione della personalità, sono ordinaria amministrazione in ogni puntata. “Paranoie da anni Sessanta”, direi adesso. Solo che allora non sapevo neanche che cosa fossero, gli anni Sessanta, e mi bevevo tutte le paranoie senza nessun filtro culturale.

(Adesso che ci penso negli ultimi anni abbiamo usato la cultura per difenderci da tutto. Ogni cosa che ci succedeva, era “Anni Sessanta”, “Anni Novanta”, “Postmoderna”, “Dentro il Novecento”, “Fuori dal Novecento”… come se il problema di Genova sia essere o no nel Novecento… sai cosa ci frega di essere o no nel Novecento, quando c’inseguono per pestarci nelle nostre stesse strade…)

La cosa più terribile comunque erano quelle enormi palle bianche che circondavano il villaggio perfetto e ti ‘inglobavano’ se cercavi di scappare. (E cioè: non solo morire, ma diventare parte del nemico, che per giunta è un mostro disumano-meccanico. Come i meganoidi).

E poi c’era questo protagonista. Ho scoperto che era un divo britannico, e che tutto il serial era un parto della sua fantasia. Bene. Ecco, aveva lo stesso problema dei robot giapponesi. Sosteneva di essere un essere umano, non un numero. Ma con che argomenti? Con quel muso, con quell’ostinazione a lasciare il Villaggio, non sembrava affatto più umano dei suoi nemici, i Numeri Due che sconfiggeva con raffinata crudeltà.

Rileggendo le trame ho scoperto che devo aver guardato tutti gli episodi della serie. Magari senza capire (anzi, sicuramente senza capire). Magari mentre armeggiavo coi mattoncini lego sul tappeto, ma li ho visti tutti, e da qualche parte dentro di me sono rimasti. Compresa l’ultimo episodio, incomprensibile, che mi fece una paura terribile, anche a causa di una canzone angosciante, stonata, che ogni tanto saltava fuori.
Scopro (ma lo sapevo già, in fondo) che si tratta di All you need is love dei Beatles. Certo. Se ci riflettete è una delle canzoni più strane che abbiate mai sentito. (Né quattro quarti né tre quarti). Tutto Quel Che Vi Serve è l’Amore. Con quel tono beffardo che ci metteva Lennon, e l’orchestrina di George Martin…L’ideale accompagnamento per un lavaggio del cervello. Pensate che oggi la usa Castagna…

Ma in fondo è giusto così, no? Il Villaggio del Prigioniero assomiglia tanto alla capitale della Repubblica Italiana, Milano Due. La città del Grande Fratello. La città del nostro Presidente, che ci scala le tasse e ci fa vedere la televisione. Che ci dà Tutto Quello Che Ci Serve… Tutto Quel Che…

…scusate, passava un aeroplano. Mi piace guardare gli aeroplani, la striscia che fanno nel cielo.
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