Due milioni di napoletani (e tanti altri di italiani) non avranno il diritto di eleggere il loro sindaco metropolitano

Permalink
La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato (articolo 114 della Costituzione riformata).

Le città "metropolitane" (Scusate le virgolette,
ma Cagliari e Messina che ci fanno?)
La bruttezza si vede dai dettagli. È un'improvvisa assimmetria, uno sbrago fatto per imprudenza o per distrazione e poi abbandonato lì - o magari valorizzato, come mettere una cornice intorno a una crepa dell'intonaco sperando che gli ospiti la prendano per arte contemporanea. L'Italia in cui sono nato e cresciuto, quella che mi piaceva insegnare a scuola, era divisa in comuni, province e regioni. Tre livelli amministrativi, come in tutte le democrazie europee simili per popolazione e superficie.

I comuni erano il livello più vicino al cittadino, che da trent'anni può scegliere il sindaco di persona; le province univano intorno ai centi storicamente più rilevanti i comuni meno abitati, riprendendo una gerarchia che si è formata spontaneamente a volte prima del medioevo, la dialettica tra borgo e contado, i confini ancora culturalmente percepibili di alcune signorie. Le ho sempre trovate, salvo qualche assurda esagerazione recente (la Brianza o Fermo nelle Marche), le unità più adatte alla tutela del territorio, specialmente quando sono definite dal bacino di un fiume, dall'estensione di una vallata.

Le regioni hanno una storia più recente (e controversa), ma abbiamo imparato a riconoscerle appese alle pareti scolastiche, in quella cartina politica dell'Italia tutta colorata, e ci siamo affezionati - anche se per la maggior parte sono diventate operative solo nel 1970: da lì in poi ogni progetto di federalismo ha dato per scontato che i mattoni dell'Italia fossero le regioni, il che probabilmente non ha giovato al federalismo stesso.

L'Italia era dunque fatta di Comuni, di Province, di Regioni. Ogni italiano era cittadino di un comune, di una provincia, di una regione. A un certo punto si sono fatte strada anche le Città Metropolitane, anche se il percorso è stato molto accidentato. L'idea originaria, mutuata da altre esperienze europee, era riconoscere uno status particolare alle province più popolate, quelle che gravitano intorno alle metropoli: e dunque Roma, Milano, Napoli, le altre altre sei province che raggiungono il milione di abitanti (Torino, Palermo, Bari, Catania, Firenze, Bologna), altre metropoli storiche (Genova e Venezia) e Reggio Calabria, non so il perché. Le regioni a statuto speciale hanno il diritto di promuovere altre province a Città metropolitane, e quindi la Sardegna ha incoronato Cagliari (neanche mezzo milione con tutta la provincia) e la Sicilia Messina, che poverina, tra Palermo Catania e Reggio si sarebbe sentita un po' la Cenerentola. Ma vabbe'.

In tutto gli abitanti di queste città metropolitane raggiungono la ragguardevole cifra di venti milioni di abitanti. Gli altri 40 milioni di italiani non abitano in una città metropolitana, ma in una provincia. O dovrei dire "abitavano", perché le province non esistono più. La riforma costituzionale le abolisce.

D'ora in poi alcuni cittadini saranno abitanti di un comune e di una regione (due livelli), e altri di un comune, di una Città metropolitana e di una regione (tre livelli). Che senso ha? Perché venti milioni di cittadini meritano tre livelli e altri quaranta soltanto due? Qual è la differenza, qual è la logica per cui chi abita a Reggio Calabria avrà tre livelli e chi abita a Crotone soltanto due?

Si risparmia.

Ma non si risparmiava di più a eliminare un intero livello per tutti? Perché lasciarlo soltanto per alcuni? Se è utile per loro, perché non dovrebbe essere utile anche per gli altri?

In realtà a veder bene gli italiani metropolitani non sono i favoriti dalla riforma. I non metropolitani, è vero, hanno perso il diritto di votare per i loro rappresentanti a livello provinciale. Ma anche se è stata completamente raschiata dalla costituzione la Provincia esiste ancora: ha conservato i vecchi confini ma è diventata un ente amministrativo di secondo livello, ovvero il presidente e i consiglieri sono eletti dai sindaci e dai consiglieri dei comuni che ne fanno parte. La Città metropolitana invece nella costituzione c'è ancora. Ma forse è incostituzionale.

Infatti non è più retta da un presidente di regione, ma di un "sindaco metropolitano" che è... il sindaco del capoluogo. Ovvero: gli abitanti del comune di Rho sono anche abitanti della Città Metropolitana di Milano, ma non votano per il sindaco metropolitano di Milano. Devono fidarsi di quello che hanno scelto per loro gli incliti abitanti di Milano, che è pur vero, in quella città metropolitana saranno la stragrande maggioranza.

E allora pensate all'abitante di Pozzuoli. Fa parte di una grande Città metropolitana di tre milioni di abitanti, e il suo sindaco metropolitano sarà De Magistris. Potrà votare per lui? No. Potrà votare almeno per un suo contendente? No. L'abitante di Pozzuoli verrà amministrato da un sindaco metropolitano per il quale non potrà votare. Pazienza, dirai, Pozzuoli è piccola e Napoli è grande. Maledetti fetusi, rispondo io, il comune di Napoli non fa un milione di abitanti e la sua Città metropolitana ne fa tre. Poi ve la prendete coi grillini ignoranti, ma chi è che ha lasciato passare una legge che trasforma gli abitanti del comune di Napoli in cittadini di serie A e quelli di Pozzuoli e tutta l'hinterland del Golfo - la maggioranza - in cittadini di serie B? Se poi il sindaco metropolitano privilegerà gli interessi dei primi a scapito dei secondi, ce la prenderemo con lui o con i pericolosi imbecilli che hanno fatto passare una legge del genere?

Vediamo dunque come il nuovo articolo 114 della Costituzione, combinato con l'oscena legge Delrio del 2014 trasforma il cittadino di Pozzuoli in un qualcosa di diverso al cittadino di Piadena (CR).

- Il cittadino di Pozzuoli può eleggere i suoi consiglieri comunali e il suo sindaco. Anche quello di Piadena.

- Il cittadino di Pozzuoli vota per eleggere il consiglio regionale della Campania e il presidente della stessa Regione. Il cittadino di Piadena vota per eleggere il consiglio regionale della Lombardia e il presidente della stessa Regione.

- Riguardo al livello intermedio (si dice "Area Vasta": la bruttezza si infila in ogni fessura), il cittadino di Piadena è amministrato dagli organi provinciali (consiglio provinciale, assemblea dei sindaci, presidente di provincia) della provincia di Cremona. Non li ha eletti lui - tranne il suo sindaco - ma sono stati eletti da un'assemblea di delegati eletti da tutti gli abitanti della provincia di Cremona, tra cui anche lui. Il cittadino di Pozzuoli no. Il cittadino di Pozzuoli si attacca. Bisognava risparmiare e si è risparmiato lì. Il cittadino di Pozzuoli abita in un'Area Vasta in cui comanda il sindaco di Napoli, eletto solo a Napoli. Fine.

Tutto questo secondo me è anticostituzionale, ma magari mi sbaglio. Però non mi sbaglio se dico che è brutto. Peraltro, se le province esistono ancora, perché Renzi ha voluto sbianchettarle da tutti gli articoli della Costituzione (riprendendo una vecchia proposta dell'Italia dei Valori)? Per cercare di ingraziarsi i grillini che sognano di tagliare milioni di budget con "l'abolizione delle province"? O perché è un modo di creare le premesse per abolirle davvero, in un secondo momento? In altre parole, visto che qui si crede che abolire le province sia un gesto sconsiderato: quando Renzi e Boschi parlavano di toglierle, quando le hanno cancellate dalla loro bozza di costituzione, erano sconsiderati in buona o cattiva fede? Non lo so e tutto sommato non m'interessa: non saprei neanche dire quale delle due possibilità mi sembra più grave. In entrambi i casi trovo il tutto brutto brutto in modo assurdo, e voto No.


1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi.
13. Il Presidente della Repubblica non sarà necessariamente una figura sopra le parti.
14. Gli abitanti delle città metropolitane non avranno il diritto di eleggere i loro rappresentanti? Ma siete scemi?
Comments (4)

Votate sì al referendum perché dopo cambiamo l'italicum anche se non sappiamo ancora come però dai basta una crocetta e poi ci pensiamo

Permalink
E dunque ieri notte - forse era già stamattina - Matteo Orfini ha pubblicato un "Documento del Partito Democratico" in cui si mette per iscritto un impegno a modificare la legge elettorale che fino a qualche mese fa mezza Europa avrebbe dovuto copiarci. Siccome i tempi per discuterne prima del referendum non ci sono, a causa delle opposizioni (perfidissime queste opposizioni che si rifiutano di riaprire un dibattito a 29 giorni da una consultazione popolare), è chiaro che se ne riparlerà dopo - come aveva già promesso Renzi. Siccome la parola di Renzi in effetti è quello che è, il Partito Democratico sentiva la necessità di metterlo nero su bianco. La vera novità è che in calce a quel documento c'è la firma di un personaggio importante come Cuperlo, che a questo punto voterà Sì al riforma.

Il documento pubblicato da Orfini, definito "buono" da Orfini stesso, è promettente ma in realtà piuttosto vago; su un punto cruciale, il ballottaggio, addirittura evasivo. Ci sarà un "superamento" del ballottaggio: in che modo? Non c'è scritto, si vedrà, nel frattempo Cuperlo vota Sì, votatelo pure voi.

Non servivano lauree per notare quanto il ballottaggio dell'italicum fosse cosa maldestrissima, probabilmente incostituzionale, e senza precedenti noti al mondo: di solito i ballottaggi su scala nazionale si fanno per eleggere un presidente (e si parla quindi di repubblica presidenziale o almeno semipresidenziale), non per aggiungere un bonus di scranni in parlamento. Di solito, e questo è cruciale, questi tie-break scattano quando nessuno dei due contendenti ha ottenuto la quota 50%+1, che non è un livello arbitrario: è la definizione di maggioranza assoluta. Quello dell'italicum invece scattava a soglie bizzarre che il legislatore ha un po' esitato a fissare, prima 35 poi 37 poi 40, all'indomani delle elezioni europee che Renzi aveva appunto vinto col 40 - da questi dettagli vedi lo scout, sempre più in alto! Bene. Resta il fatto che il 40% non è la maggioranza assoluta; che vuoi vincere un premio senza essertelo meritato perché sai, la "governabilità".
(Questo pezzo se siete lettori abituali potete saltarlo, è la stessa lagna da quasi tre anni in qua).

Ora dicono che "superano" il ballottaggio: cosa vuole dire? Non si sa, votate sì e poi ce lo spiegano. Voglio sperare che non sia quel famoso "modello greco" che lo stesso Orfini aveva ripescato la scorsa estate, magari durante un'insolazione. Se invece trattasse davvero di quella roba, se ne riparlerà, ma finché non lo mettono per iscritto io non ci posso né voglio credere. Tiriamo ora un pietoso sipario sullo spettacolo di un partito che a un mese dal referendum non sa ancora che legge elettorale vuole, e probabilmente non lo saprà nemmeno dopo il referendum. Riassumiamo la situazione:

1. Per due, quasi tre anni, l'italicum è stato criticato fuori e dentro dal Pd. Renzi reagiva spiegando che era bellissimo e alla fine ci mise la fiducia.
2. Quando i sondaggi - sia elettorali che referendari - hanno cominciato a dirgli male, Renzi ha annunciato che se ne poteva riparlare: però dopo il referendum.
3. Adesso c'è un impegno scritto, che però equivale alla promessa di cui sopra: ci impegnamo a riparlarne, ma non spieghiamo come. "Supereremo" il ballottaggio. Adesso per favore ci votate la riforma?

C'è qualcosa di peggio di non saper scrivere una legge elettorale decente? Renzi e Orfini ci hanno mostrato che qualcosa di peggio c'è: usare la stessa indecente legge elettorale come moneta di scambio durante una campagna referendaria. Abbiamo fatto una legge che fa schifo; ora se per favore votate per noi siamo disponibili a cambiarla. Ma l'italicum non è una merce di scambio, l'italicum puzza e basta.

Non sarà il primo dei motivi per votare no al referendum, ma secondo me è un buon motivo. Tanto l'italicum lo cambierete lo stesso, perché è brutto, anticostituzionale e (soprattutto) non vi garantisce la vittoria. E se non lo cambierete voi, ci penserà il prossimo. I bluff in politica si possono anche apprezzare: quando c'è qualcuno che li sa fare, sono uno spettacolo. Non è il vostro caso.

Ricapitolando i miei motivi per votare no:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
Comments (9)

Grillo sragiona, ma Napolitano

Permalink
Sabato, per una curiosa coincidenza, sui due principali quotidiani italiani due anziani leader hanno presentato per l'ennesima volta la loro versione dei fatti. Uno non ha fatto che ripetere le solite cose, ha fatto spallucce davanti a errori anche gravi (d'altronde nessuno è perfetto), e ha promesso che da qui in poi sarà diverso, bisogna fidarsi. L'altro era Beppe Grillo.

Beppe Grillo è buffo, e lo sappiamo. La sua letterina al Corriere è così deliziosamente delirante che ti fa quasi sospettare un eccesso di malizia: vuoi vedere che l'ha scritta così apposta, vuoi vedere che dietro la punteggiatura da pensionato che iperventila c'è tutta una scienza, una retorica. Vuoi vedere che... ma va'. Beppe Grillo è stanco, sono anni che ce lo dice; quelli che ha chiamato a sostituirlo, nel migliore dei casi, apprendisti cialtroni. È già stata anche localizzata, da mesi, l'arena in cui li vedremo misurarsi con la realtà e mordere la polvere: il comune di Roma. Tutto già scritto, in parte prevedibile, ma poi è lo svolgimento che è interessante. È una specie di reality, una di quelle cose che in cambio del tempo che perdi a guardarle ti restituiscono un'appagante sensazione di superiorità. Era poi destino che Grillo, che di internet ha fatto una grancassa, su internet finisse spernacchiato. D'altro canto.

D'altro canto tutta questa gente che lo spernacchia tra qualche mese andrà a votare per un referendum, e magari seguirà i consigli di Giorgio Napolitano. Il quale, disturbato una volta in più da Mario Calabresi, non ha fatto che ribadire quella che sta diventando la linea: la Riforma ha dei difettucci ma dobbiamo prendercela così com'è, sennò sarà una specie di Brexit; quanto all'Italicum... beh, ma figuratevi, che problema vuoi che ci sia a cambiare l'Italicum? È almeno la seconda volta che Napolitano lo afferma, e ieri sera a quanto pare è diventata anche la linea di Renzi. Ma certo che si può cambiare l'Italicum - dal momento che è cambiata la situazione politica.

Momento.
Quand'è che sarebbe cambiata la situazione?

Ora, Beppe Grillo è tanto buffo, e il suo movimento si merita le pernacchie ormai inevitabili, e tuttavia qui ci troviamo di fronte a una cosa un po' più grave. Un presidente emerito che afferma: (a) che le leggi elettorali (comprese quelle da lui controfirmate) si possono un po' cambiare a seconda della situazione: cambiano le situazioni, cambiamo le leggi. E il presidente del consiglio è d'accordo. Ammettiamo anche che una figura istituzionale super partes possa riconoscere libertà alla maggioranza di fare e disfare leggi elettorali a seconda di come soffia il vento, resta il problema che (b) due anni fa il vento era già bello che soffiato. Cioè, ci state informando che l'italicum, col suo premio di maggioranza che non ha eguali al mondo, in un sistema tripolare diventa una specie di roulette? E due anni fa la cosa non era già evidente? Il M5S non era già quasi il primo partito d'Italia, intorno al 25%? Renzi, che ora è disponibile a ridiscuterne, non se n'era accorto, ché ci mise la fiducia? Giorgio Napolitano, che adesso dice che va cambiato, era distratto, ché ci mise la sua bella firma in calce? Però Beppe Grillo è buffo, certo. Magari, se continua a fare scenate sul blog o sul Corriere, ci svolta l'autunno. Come ai tempi di Berlusconi: finché si parlava di olgettine sembrava quasi che la crisi non ci fosse.
Comments (2)

Ci avete messo due anni a sentire la puzza dell'Italicum, nascondetevi

Permalink
Buongiorno, mi chiamo Leonardo e non m'intendo di niente in particolare. Una cosa che seguo proprio male è la politica, non guardo neanche i talkshow, non leggo più gli editoriali e i retroscena, insomma, non ne capisco niente.

"Col tie-break non è democrazia" (gennaio 2014).
La prima volta che sentii parlare di una legge elettorale Renzi-Berlusconi - quella che poi è diventata l'Italicum - la trovai subito molto brutta, e soprattutto poco avveduta. Eravamo a inizio 2013, la situazione era già da quasi un anno tripolare, oserei dire più tripolare che adesso. Che due dei tre poli si accordassero su una legge elettorale mi sembrava inevitabile - tanto più che il terzo polo, il M5S, aveva palesato in tutti i modi la sua indisponibilità a collaborare. Quello che proprio non riuscivo a immaginarmi, e trovo ancora inspiegabile, è che Renzi e Berlusconi si fossero messi d'accordo su una legge che favoriva proprio il M5S. Perché è così: nell'autunno 2013 era talmente chiaro che l'Italicum favorisse il M5S che me ne ero accorto persino io.

Nei giorni successivi Renzi incassò i complimenti di gran parte dei dirigenti Pd, che salirono sul palco a turno a spiegare quant'era bello l'Italicum, quant'era democratico. A me invece non piaceva: non solo perché favoriva il partito del dissenso (quello tutto sommato era il male minore), ma anche perché istituiva un premio di maggioranza assolutamente sproporzionato, e i premi di maggioranza in generale sono cose rare nei Paesi davvero democratici: li ha inventati Mussolini, e oggi li usano solo in Grecia e San Marino. Il ballottaggio, poi, che in sé non è un'idea cattiva, ha senso in una repubblica presidenziale, non in una parlamentare. Gli stessi Renzi e Berlusconi sembravano volerlo evitare fissando una quota ridicolmente bassa - all'inizio il 35, poi il 37%. Una minima competenza aritmetica, nel 2013, mi suggeriva che se il 37% degli elettori vota per te, il 63% - quasi il doppio, non ti vuole. Se in barba a questa aritmetica tu governi lo stesso, e disponendo di una larga maggioranza fissata per legge, ebbene, forse non è più esattamente democrazia: questo io pensavo tre anni fa e sospettavo anche che la Corte Costituzionale, appena interpellata, avrebbe fatto di questa legge pezzettini, come della precedente di cui tutto sommato era una versione più fantasiosa e pastrocchiata.

Nei mesi successivi l'Italicum divenne una specie di simbolo di Renzi: una legge pasticciata, probabilmente incostituzionale, che lo avrebbe danneggiato, e che però doveva assolutamente passare perché... ci aveva messo la faccia. La contiguità strettissima tra l'italicum e la faccia-di-Renzi era tale che chiunque osasse parlar male della legge veniva accusato di farlo per puro odio antirenziano: uno stimato editorialista a un certo punto propose l'esperimento mentale di immaginare la stessa legge inventata da Bersani. Ci provai: mi faceva schifo lo stesso. Perché è proprio brutta, capite. E non è vero che la trovo orrenda perché l'ha inventata Renzi. Piuttosto il contrario: come posso non trovare orrendo Renzi, che ha avuto la possibilità di scrivere una legge elettorale decente e invece ha partorito questa merda? L'Italicum resse anche la fine del patto del Nazareno. Dopo la botta di ottimismo delle europee, la soglia per il ballottaggio fu spostata al 40%, un numero che si potrebbe anche considerare ragionevole, se esistesse un'altra democrazia seria al mondo dove i ballottaggi scattano sotto al 50%, quella quantità che è tradizionalmente considerata la metà di 100.

Sono passati altri due anni, e adesso l'Italicum non lo vuole più nessuno, neanche al Pd. Lo stesso presidente emerito Napolitano ci ha fatto capire che sì, andrebbe proprio cambiato. Non passa fine settimana senza che qualche esponente del Pd non ci comunichi la sua proposta che, bisogna ammetterlo, quasi sempre è peggiorativa: e ci vuole impegno a peggiorare la schifezza che è l'Italicum. Però di questo parliamo magari un'altra volta. Questo non è un pezzo serio, non è un pezzo in cui si fanno proposte operative. Quando ho iniziato a scriverlo, questo pezzo voleva descrivere un senso di vertigine. Mi chiamo Leonardo e non m'intendo di niente in particolare. Una cosa che seguo proprio male è la politica, non guardo neanche i talkshow, non leggo più gli editoriali e i retroscena, insomma, non ne capisco niente. Com'è possibile che sull'Italicum abbia avuto ragione sin dal primo momento, quando tutti si spellavano le mani e salutavano in Renzi il principe della Governabilità?

Cosa vi è successo per due anni, dove avevate messo gli occhi per vedere, e soprattutto le nari per annusare l'enorme cagata che quel ragazzo - in buona fede, per carità - stava facendo? Stavate nel Pd e dicevate sì, beh, si può migliorare ma sembra una buona base di partenza, 'sta cagata immonda: perché non andate a nascondervi? Scrivevate sul giornale che la governabilità, eh sì, la governabilità, e ci avete messo due anni per accorgervi che ops!, l'Italicum rischia di regalare il parlamento alle forze meno predisposte per governare: con che faccia riuscite a mettere ancora la vostra firma in calce alle vostre colonne di pensierini ponderati? Non ci avete capito niente, nessuno ci sta capendo niente. Io meno degli altri, ero solo un tizio che tre anni fa vedeva Renzi nudo in mezzo alla strada, con in mano un'enorme stronzo a forma di legge elettorale. Ma sapete una cosa? Anche questo ruolo mi ha stancato, comincio ad avere un'età per questa cose.

Mi piacerebbe vivere in un Paese dove gli esperti, i professionisti, non corrono dietro alla prima bandiera che accenna a sventolare. Renzi alle europee prese 11 milioni di voti - tre milioni in meno di Veltroni, che sembrava sconfittissimo nel 2008: uno in più di Bersani, che sembrava bollito nel 2013. Quel milione in più vi è salito al cervello, per due anni non avete più capito niente. Pensavate che fosse irresistibile e per carità, è una proiezione come tante, per qualche settimana forse l'ho pensato anch'io. Ma anche ammettendo un Renzi invincibile, anche immaginando un'improvviso boom economico che poi, disdetta, non c'è stato, l'Italicum continua a essere una brutta legge che con la scusa patetica della Governabilità crea un presidenzialismo di fatto: persino chi crede Renzi il migliore dei leader nel migliore dei mondi possibili, avrebbe potuto riflettere sul fatto che non è eterno, che prima o poi dovrà cedere il suo scettro, che il rischio di regalare il Paese a un futuro Uomo della Provvidenza con quella legge è altissimo, e che questo tipo di Uomini di solito la Provvidenza ce li fornisce pessimi. Tre anni in cui i renziani sembravano piovuti dalla Corea del Nord, Renzi Leader Eterno, Renzi Sole dell'Avvenire. Adesso dice che non si ricandiderà dopo il secondo mandato, si crede Obama, nessuno che gli faccia presente che un mandato presidenziale e un incarico espresso da una maggioranza parlamentare sono due cose proprio sostanzialmente diverse. È da tre anni che pasticcia con l'ordinamento costituzionale, uno spettacolo imbarazzante, e ancora più imbarazzanti sono gli osservatori laureati e addottorati che fan finta di trovare la cosa degna d'interesse. È come se la mia generazione fosse ancora all'asilo, facciamo un brogliaccio col pennarello giallo e le maestre ci applaudono, c'è senz'altro un po' di Van Gogh, in questo ragazzo, riconosciamoglielo sennò si rimette a piangere, pesta i piedi, poi si lamenta coi genitori, per carità, per carità, è un genio.
Comments (13)

Guardare Matteo Renzi come un incidente stradale, al rallentatore

Permalink
Se le riprese degli incidenti stradali in genere hanno un che di ipnotico, le riprese rallentate sconfinano nella pornografia, e questo forse spiega perché non riesco a non guardare Matteo Renzi mentre va lentissimamente a sbattere contro il referendum d'autunno. A questo punto, per quanto sia distorta la sua percezione della realtà, qualche sospetto della possibilità di andare a sbattere deve averlo attraversato. I risultati elettorali vanno così e così, i sondaggi così e così, le raccolte di firme forse era meglio non organizzarle nemmeno, insomma, il rischio c'è e forse nel segreto di Palazzo Chigi ogni tanto si domanda chi glielo ha fatto fare. Era davvero così importante trasformare il Senato in un club per vecchi consiglieri regionali, valeva la pena di giocarsi il posto e il partito per una sciocchezza del genere? E l'italicum, non si poteva calibrare un po' meglio, giusto per evitare che favorisse il principale contendente?

Tutte queste domande magari ogni tanto Matteo Renzi se le fa, concediamogli il beneficio del dubbio, e però la risposta dev'essere sempre la stessa: ci ho messo la faccia, e se deve andare a sbattere, che sia. Sbatteremo anche noi, ma che importa? Nel suo film siamo comparse. Non è neanche più politica, è una specie di scommessa che Matteo Renzi ha fatto con sé stesso - almeno gli inglesi sono andati in malora su una questione di principio e di una certa rilevanza geografica, se la Gran Bretagna sia un'isola o no, se sia Europa o no. Noi il referendum finiremo per farlo sulla faccia di Matteo Renzi, e se il mio voto è scontato da tempi non sospetti, sia messo a verbale che trovo la cosa un po' avvilente. Più che Fonzie sembra uno dei suoi archetipi, il tizio che in Gioventù Bruciata ci lascia le penne piuttosto che saltare per primo dalla macchina in corsa e perdere la faccia con le pollastrelle.

Magari ogni tanto gli capita anche di chiedersi cosa è andato storto, visto che probabilmente a questo punto del piano gli italiani dovevano amarlo e portarlo in palmo di mano; e invece ormai si becca i fischi anche alla partita del figlio, è seccante. Eppure sta andando tutto bene, grazie al Jobs Act l'Italia si sta rapidamente riorganizzando in Danimarca, e anche a scuola tutto va benissimo, ad esempio quest'anno si è appena diplomato uno studente autistico - giuro, in Direzione ha usato questo esempio: di tutti i dati che poteva farsi confezionare dal suo staff di autori, ha scelto il diploma di un ragazzo che se ha 19 anni avrà cominciato il suo iter nelle scuole statali intorno al 2003: uno che si è beccato i tagli e le riforme di Moratti, Fioroni, Gelmini e Profumo, grazie ai quali probabilmente avrà avuto un bel turn-over di insegnanti di sostegno (turn-over che in molti casi non si è affatto arrestato con le ultime assunzioni, anzi); e questo ragazzo malgrado tutto va avanti, quest'anno gli capita di diplomarsi e arriva Matteo Renzi a metterci il cappello, ecco il successo della Buona Scuola. E del resto Matteo Renzi è così, uno che ha il sole in tasca, e l'Italia è il Paese più bello del mondo, se solo riuscisse a liberarsi dai lacci, dai lacciuoli... e il guaio non è il fatto che usi le stesse parole che vent'anni fa usava un leghista o un Berlusconi, ma che non se ne renda conto; e come Berlusconi l'unica cosa che davvero lo offende, lo scandalizza, è che la gente non lo ami. Lui è progettato per farsi amare dalla gente, e quindi se la gente non lo ama il problema è da qualche parte, ma di sicuro non in lui.

Cavallette, piogge di rane, cani e gatti che vivono assieme.
A un certo punto, in un momento di lucidità, lo ammette: a volte guarda la televisione, ci sono canali che sparano a zero contro il governo da mane a sera. Il che a dire il vero non risulta, ma potrebbe essere un punto di partenza: dietro alla pretesa di Berlusconi di essere amato c'erano tre o quattro canali in chiaro, c'era la potenza di fuoco del primo gruppo editoriale italiano, più gli amici industriali, non sempre convinti ma più spesso in linea che in fronda. Dietro Matteo Renzi chi c'è, chi è rimasto? Confindustria fa quel che può, commissiona ricerche, pubblica slide, si fa ridere dietro, è un po' il segno dei tempi. La Mediaset deve pensare al suo core business; io quando cambio canale vedo molto più spesso cronaca nera e invasioni di migranti che dibattiti sull'italicum. Un po' li capisco, li considero sciacalli da così tanto tempo che ormai allo sdegno del moralista è subentrata la curiosità dell'etologo.

Insomma Matteo Renzi sta andando a sbattere e molti, dopo aver anche provato a metterlo in guardia (ma lui non ci sente) ormai stanno prendendo posto, c'è in giro quel profumo di popcorn. Lui stesso lo annusa, lui stesso vagamente intuisce che il pubblico più che per lui tifa per il muro che gli sta arrivando addosso, e si chiede di chi è la colpa. Siccome è escluso che sia di Matteo Renzi, non può che essere del solito nemico, ovvero? La sinistra Pd. Che trama nell'ombra, che è ovunque, sui giornali e soprattutto in tv, e non fa che complottare contro Matteo Renzi. Ecco spiegato il problema, in fondo era facile. L'avrete anche voi Cuperlo intervistato dappertutto, e Bersani a macinare diaboliche metafore a reti unificate. La gente non vuol più bene a Matteo Renzi perché la sinistra del Pd parla male di lui. Questa cosa che invece di sospingerlo con entusiasmo verso il muro stiano già cercando di riorganizzarsi per rivendere i rottami, ecco, è una imperdonabile mancanza di fede .
Comments (7)

Art. 140: la generazione di Cacciari e Serra ha...

Permalink
"Qui non si parla di assetto dello Stato, qui si parla di noi!"
Da quel che ho capito sia Massimo Cacciari (classe 1944) sia Michele Serra (1954) voteranno sì al referendum sulla riforma costituzionale di Renzi; da quel che ho capito né Cacciari né Serra stimano Renzi o lo considerano capace di proporre una buona riforma costituzionale. Per Cacciari è stato maldestro, per Serra è addirittura la nemesi della sinistra italiana: e tuttavia è il male minore, e quindi voteranno per lui. Contro un male peggiore che, a quanto pare, si è incarnato in una generazione precisa: ovvero quella di Massimo Cacciari e Michele Serra.

"Abbiamo provato a riformare le istituzioni per quarant'anni, e non ci siamo riusciti. La strada della grande riforma sembra un cimitero pieno di croci, i nostri fallimenti. Adesso Renzi forza, e vuole passare", dice Cacciari (senza menzionare, non si sa se per dimenticanza o dispregio, la non irrilevante riforma del 1999). "Non abbiamo la faccia", noi sinistra, noi classe dirigente del Paese, noi italiani senzienti e operanti tra i Sessanta e il Duemila (e rotti) per giudicare con la puzza sotto il naso il lavoro di un governo di giovanotti avventurosi e forse avventuristi", conferma Serra. E così, insomma, anche questo referendum non sarà l'occasione di parlare della riforma in sé, del senato pleonastico o dell'abolizione delle province e tutte le altre cose un po' strane e noiose, ma un'altro episodio della biografia di una generazione, la solita.

Non è che Cacciari e Serra escludano categoricamente quel che alcuni costituzionalisti denunciano, ovvero che la riforma, abbinata al nuovo sistema elettorale, possa creare un presidenzialismo di fatto: non spendono una sola riga per smentire la possibilità, o per relativizzare il rischio. No, il rischio c'è, ma voteranno Sì lo stesso, perché... perché hanno fretta, la stessa fretta espressa a suo tempo dal presidente Napolitano; e perché è una buona occasione per ricordare a tutti che la Loro Generazione Ha Perso: un messaggio da mandare a tutti i coetanei che li hanno delusi, che hanno perso tempo colle bicamerali e chissà quanti altri sassolini nelle scarpe.

Dove non si capisce per quale motivo una qualsiasi persona più giovane di loro dovrebbe non dico condividere i loro argomenti, ma trovarli degni di nota. Quando si parla di una riforma della costituzione, si parla del nostro futuro: di come abbiamo intenzione di modellarlo. Abbiamo cura della nostra repubblica? Teniamo più alla governabilità o alla democrazia? Vogliamo difenderla dagli assalti periodici degli aspiranti Uomini della Provvidenza, che non saranno necessariamente affabili e umani come Matteo Renzi? Se abbiamo delle responsabilità, le abbiamo nei confronti di chi verrà dopo di noi; quanto alle beghe generazionali, son cose interessanti da scrivere nei libri che i vostri coetanei, assetati di autocritica quanto voi, correranno a comprarsi: oppure da discutere in privato, possibilmente senza disturbare figli e nipoti che farebbero un po' di fatica a capirle, e sarebbe una fatica abbastanza inutile. Avete sessanta o settant'anni, si è capito: il futuro vi interessa relativamente, sta bene: ma perché agli altri dovrebbe interessare di più il vostro passato? Fallimentare o no, è passato.

Io capisco che Cacciari e Serra ci tengano tanto, a ribadire che D'Alema o Veltroni o altri compagni di classe e di strada erano degli inetti; allo stesso tempo non credo sia un motivo sufficiente per votare e imporre ai loro discendenti una riforma brutta e pericolosa. Se proprio ci tengono, se proprio credono sia necessario e significativo, si potrebbe aggiungere una postilla alla Costituzione, magari un articolo finale che reciti: la generazione di Serra e Cacciari ha perso. Basta una riga, e non c'è bisogno di creare un senato di dopolavoristi o sbilanciare l'equilibrio dei poteri. Se sul serio l'autobiografia è l'unica cosa che vi interessa.
Comments (17)

Fascista io, fascista tu

Permalink
In questi mesi sapete quante volte avrei potuto tirar fuori tutto il nero che mi cresceva dentro, e invece no.

Tutte le volte in cui si parlava di premio di maggioranza, e avrei potuto far notare che l'inventore del concetto "premio di maggioranza" si chiama Benito Mussolini, e non l'ho (quasi) mai fatto, perché... boh, perché era troppo facile, forse un po' sleale.

Tutte le volte in cui ho sentito dire che la governabilità è importante, e che ovunque nel mondo se arrivi al 40% ti fanno governare lo stesso, salvo che non è vero, tranne forse in Grecia e in Ispagna; e avrei potuto far notare che in comune con questi due Paesi mediterranei abbiamo anche un passato di regimi totalitari; e non l'ho fatto.

E avrei potuto chiamare l'Italicum Acerbo-bis, ma non l'ho fatto, perché non sono tanto accecato dal mio antirenzismo da non notare la differenza tra la soglia del 25% prevista da Giacomo Acerbo nel 1923 e quella del 40% a cui Renzi si è fermato (certo, all'inizio voleva il 35%...)

E quella volta che in una bozza di riforma la Boschi aveva ribattezzato il Senato "Camera delle Autonomie", e aveva previsto che ne facessero parte ventuno membri nominati direttamente dal Presidente della Repubblica “per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario". Ventuno. E avrei potuto scrivere ehi ehi ehi, guardate che l'Accademia d'Italia l'aveva già fondata Mussolini: sarebbe stato un goal a porta vuota, e non ho tirato (almeno ai tempi di Mussolini il Capo di Stato non avrebbe potuto usare un pacchetto così consistente per assicurarsi la rielezione, perché era già sovrano a vita).

E quando la Camera delle Autonomie è ridiventata il Senato, ma comunque un senato assurdo pieno di consiglieri provinciali nominati per cooptazione, quanto sarebbe stato facile parlare di Camera dei Fasci e delle Corporazioni? Ma non l'ho fatto: anche lì, troppo facile. Ma fuorviante.

E tutte le volte che ho letto un titolo sull'"ira di Renzi", e ho pensato che a quasi un secolo di distanza, il trucchetto di Mussolini funzionava ancora, e mi sono chiesto se Renzi fosse consapevole di copiarlo: ma me lo sono chiesto tra me e me, e non l'ho scritto da nessuna parte; perché pensavo che il mondo non avesse bisogno di un altro pezzo dove Renzi era paragonato a Mussolini.

Perché alla fine io non credo che Renzi sia un fascista, o più precisamente un Mussolini.

Certo, è sospinto da un'ambizione ugualmente smisurata. E tende, più o meno come tutti gli autocrati, a circondarsi di mediocri e allontanare i migliori. Ma non si è formato su Nietzsche e Sorel, non disprezza (così tanto) la democrazia parlamentare, non crede nel destino del popoli, non è un violento. Sulla crisi dei profughi, fin qui, è stato persino bravo. Quindi no, non ha senso cogliere nel mucchio tutti i piccoli dettagli che il renzismo ha in comune con quell'altra cosa. E di solito non lo faccio.

Poi un giorno il ministro Boschi mi fa notare che se voto no alla sua riforma costituzionale la penso come Casa Pound. 

E quindi, insomma.

Cara ministra, se io la penso come Casa Pound, lei la pensa come quel tale Giacomo Acerbo che preparò un premio elettorale per far vincere le elezioni a Mussolini. Mus-so-li-ni. Lo sa chi è stato il primo a vincere un'elezione col premio? Mus-so-li-ni. E allora sa cosa le dico, rispettosamente? la sua Camera dei Fasci e delle Corporazioni - pardon, il suo Senato di cooptati dalle regioni, se lo vota lei. Mi dispiace che non è riuscita a reintrodurre gli accademici d'Italia con le loro belle feluche, ma sarà per la prossima volta. Tenga duro, lo sa quanto ci mise Bottai? Ma forse preferisce che le dia del Voi.

Rispettosamente vostro, Eja eja, eccetera.
Comments (5)

No, non siamo la Gran Bretagna

Permalink
Va bene, parliamo della Gran Bretagna - se non oggi, quando?

Perché è vero quello che molti mi hanno fatto presente: in Regno Unito si possono ottenere robuste maggioranze parlamentari anche con percentuali di suffragi molto inferiori al 50%. Non è il caso del governo bicolore di Cameron, ma è stato il caso, ad esempio, di Tony Blair nel '97 (più del 60% dei seggi con appena il 43% dei suffragi), tanto osannato per aver conquistato i voti al centro, anche se il suo New Labour ottenne appena due milioni di voti in più di quello vecchio che perdeva le elezioni con un'astensione più bassa. Gira e rigira si ritorna sempre lì: come facciamo a lamentarci di un premio al 40%, se in Gran Bretagna si può saldamente mantenere la maggioranza parlamentare con percentuali anche inferiori?

Già che ci siamo, spieghiamo come funziona. Non ha nulla a che vedere con l'italicum. Non è proporzionale, non è previsto un premio per favorire la governabilità (che questi premi la favoriscano, peraltro, resta da dimostrare). Il sistema elettorale britannico è un limpido esempio di maggioritario. Oggi si vota in 650 distretti elettorali, e in ogni distretto il candidato che prende più voti viene eletto. Per vincere - questo è cruciale - gli basta la maggioranza relativa. Che significa?

L'ultima volta (il Labour sulle cartine
risulta sempre un po' sottodimensionato
perché tende a vincere in distretti più piccoli
e densamente popolati).
Significa che puoi vincere un seggio col 30% e perderne un'altro col 40%. Significa che - teoricamente - puoi vincere la maggioranza assoluta dei seggi anche se prendi meno voti in percentuale di un altro partito. Significa anche che il tuo voto, se sei un Tory in una città a stragrande maggioranza Labour o viceversa, non vale assolutamente nulla, e questo forse può influire sulla percentuale di astensione, che da loro è storicamente più alta (del resto anche se sei Labour in una città a stragrande maggioranza Labour il tuo voto diventa pleonastico). Nel Regno Unito non ha nessun senso calcolare i voti assoluti in percentuale: contano soltanto il numero di seggi che un partito riesce a vincere. Ed è meglio concentrare gli sforzi sui distretti incerti che perder tempo in quelli relativamente 'sicuri': se in uno stai già vincendo 60-40, è inutile spendere risorse per conquistare altri indecisi, ecc. Questo è l'uninominale secco britannico. A me ovviamente non piace e - se qualcuno mi proponesse di adottarlo - protesterei con veemenza. Ma è il sistema inglese.

E non mi metto a dar lezioni di rappresentanza agli inglesi. È un loro prodotto: se lo sono praticamente reinventato in casa loro, dopo aver iniziato a tagliar teste coronate, già nel Seicento. È lo stesso discorso delle presidenziali americane. Hanno un meccanismo obsoleto con magagne evidenti (vedi la prima elezione di Bush, che prese meno voti di Gore), però funziona da due secoli, puntuale come un orologio, e nel frattempo le tredici ex colonie sono diventate il Paese più potente della terra. Hai voglia a dirgli che potrebbero trovarne uno migliore. È il loro sistema, e ha il prestigio che gli deriva dalla consuetudine - che soprattutto tra gli anglosassoni è la fonte del diritto.

Non è un meccanismo messo insieme dall'oggi al domani da un leader che intende andare alle elezioni appena può e si scrive le regole su misura. Non è stato imposto con un voto di fiducia a un parlamento eletto con un altro sistema dichiarato incostituzionale dalla corte suprema. È Il Sistema; è sempre stato così e i politici si regolano di conseguenza. Non è il sistema ad adeguarsi ai politici.

La nostra democrazia è figlia di un momento storico preciso e convulso. Il '46, il trionfo dell'antifascismo, la guerra fredda. La stessa ossessione per l'alta affluenza proviene da lì: nel '46 e nel '48 la vittoria della Dc era una questione di vita e di morte. Si concesse rapidamente il voto alle donne, si aprirono seggi negli ospedali e negli ospizi. I britannici non ci sono mai passati. Votano da così tanto tempo che non ci fanno neanche più caso, come alle pecore nei pascoli. Il dibattito politico li può occasionalmente appassionare, ma non diventa la sostanza stessa dei talk show televisivi. Ho poi la sensazione che siano in generale più sportivi di noi, più educati a riconoscere le performance degli avversari, e meno inclini al campanilismo che ci trasciniamo dall'epoca dei Comuni - ma è solo una sensazione, non ne conosco abbastanza. La proposta di cambiare il sistema elettorale per evitare le distorsioni dell'uninominale deve suonare un po' stridula, come quella di inserire fotocellule tra i pali negli stadi: magari è utile, ma ne hanno fatto a meno da secoli e se la sono cavata abbastanza bene.

(Tra le altre cose, hanno resistito a Hitler. Che - come Mussolini - era andato al potere col proporzionale e un governo di coalizione. Così abbiamo inverato anche la legge di Godwin, non ci facciamo mancare niente).
Comments (6)

Vuoi più bene all'aritmetica o a Renzi

Permalink


Che dire. Stavolta 1500 caratteri non basteranno, mi dispiace.

In realtà ho già risposto su twitter, e la cosa finirebbe lì, se non avessi notato che questo messaggino è girato molto, non solo sul social network, e magari oltre le intenzioni del suo estensore. Con Costa litigo da anni - come con tutti - ma non ho mai dubitato della sua buona fede, fino a ieri. È il renzismo che ci tira fuori il peggio, evidentemente. Però almeno grazie a lui possiamo parlare di numeri. Che sono l'unica cosa importante.

Costa esibisce una lista di "quelli che governano", come se governassero da soli: chissà se chi ritwitta è consapevole di quel che Costa sa benissimo, ovvero che la Merkel, Cameron e Coelho sono capi di governi di coalizione, di cui fanno parte ministri di altri partiti.

In Germania c’è la Grosse Koalition di cristianodemocratici e socialdemocratici, in Gran Bretagna tories e liberali, ma che ve lo dico a fare, ne sapete più di me (è un po’ questa la cosa grave: Costa ne sa sicuramente più di me). Siccome non hanno raggiunto la soglia del 50%, hanno dovuto allearsi, dopo le elezioni, con altri partiti per formare una maggioranza parlamentare. Nota come questo non abbia precipitato nel caos economico o politico né la Repubblica Federale Tedesca né il Regno Unito, che tra qualche giorno torna alle urne e probabilmente si ritroverà di nuovo in una situazione simile (al punto che qualcuno si domanda se i britannici non siano stanchi del bipolarismo; dopo tre secoli ne avrebbero il diritto).


Quanto a Hollande, ecco. Quel 28% è veramente un colpo basso.

Costa butta lì il numero e poi si allontana fischiettando, come se quindici giorni dopo Hollande non avesse preso il 51,6% a un ballottaggio. Ballottaggio che alle presidenziali francesi scatta a meno che un contendente non si aggiudichi il 50%+1 al primo turno. Quindi per eleggere il presidente serve la maggioranza assoluta degli elettori, non il 28%: e neanche il renziano 40%. Serve più del cinquanta, perché sotto il cinquanta (scusate se insisto su un concetto tanto banale) la maggior parte degli elettori non-ti-vuole.

C’è poi da dire - e non è un dettaglio da nulla - che Hollande non “governa” affatto: è il signor presidente della Repubblica Francese. La differenza è precisamente quella tra una repubblica presidenziale e una, la nostra, ancora formalmente parlamentare (potremmo cambiare la cosa, ma bisognerebbe metter mano alla costituzione, non imporre la fiducia su leggi elettorali a un parlamento, peraltro, eletto con una legge non costituzionale). Ma torniamo in Francia, che è meglio.

Un mese dopo le elezioni presidenziali i francesi hanno votato per la loro Assemblea, e in teoria avrebbero potuto dare la maggioranza persino allo schieramento avverso a quello che aveva espresso un presidente (era una situazione che si è verificata alcune volte prima del 2000, quando il mandato presidenziale era ancora di 7 anni e non coincideva con la legislatura). I socialisti hanno invece preso il 48% e da allora Manuel Valls dirige, anche lui, governi di coalizione. I rimpasti sono abbastanza frequenti, ma nessun governo Valls è stato monocolore. Ha sempre dovuto lasciare qualche dicastero a partiti alleati dei socialisti, perché il 48 è inferiore al 50, non c’è niente da fare. È aritmetica, è uguale in tutta Europa. Persino all'altro capo di questo universo non credo che 100 diviso 2 possa dare risultati differenti.

Siccome Costa tutto ciò lo sa benissimo, una volta messo alle strette non può che invocare Tsipras (lo ha fatto veramente). Effettivamente Tsipras controlla la maggioranza del parlamento anche se ha vinto con poco più di ⅓ dei suffragi, grazie a un premio di 50 seggi a qualsiasi partito arrivi primo. Una legge demenziale: ma garantisce almeno la stabilità di governo? I greci hanno votato tre volte in tre anni. Restano senz’altro un grande modello di democrazia, diciamo, fino a Pericle (V secolo avanti Cristo)

(In realtà anche su Pericle avrei da ridire: magari un’altra volta).

Rimane Rajoy, che dei sei della lista di Costa è quello che più si è avvicinato al 50. La maggioranza assoluta nelle Cortes non l’ha ottenuta grazie a un premio di maggioranza, ma - se ho capito bene - a causa delle distorsioni inevitabili col metodo D’Hondt. Comunque sia, diamo a Costa quel che è di Costa: Mariano Rajoy governa un popoloso Paese europeo senza avere ottenuto la maggioranza assoluta dei suffragi. È così. Ma è l’unico. L’unico argomento di Renzi in Europa. Mariano Rajoy.

Perlomeno, la lista di Costa contiene solo quei nomi. A dire il vero in Europa ci sono altre democrazie popolose: ad esempio la Polonia ha quasi gli stessi abitanti della Spagna, una crescita economica invidiabile e… un governo di coalizione, perché nessun partito ha ottenuto più del 50%. Ma si tratta pur sempre di una democrazia giovane. Vediamo la Svezia. Cosa c’è di più antico e civile della Svezia. Anche lì, proporzionale e governo di coalizione. E i Paesi Bassi? Proporzionale. Hanno tantissimi partiti, votano per innumerevoli livelli locali e interlocali, e molto raramente in qualsiasi di questi livelli riesce a insediarsi un governo monocolore. Attualmente governano in coalizione i due che hanno preso più seggi. Agli olandesi (e agli zelandesi, ai frisoni, ecc) va bene così. Votano dal Seicento, e non hanno mai coniato un termine dispregiativo come “inciucio” per quella normalissima prassi che è il governo di coalizione, che da loro evidentemente non ha funzionato così male.

Solo da noi non può funzionare. Solo in Italia ci condannerebbe all’immobilismo, al caos, l'anarchia, le cavallette, Turigliatto, Mastella. Solo da noi si vive nella necessità fisica, angosciosa, di conoscere il nome del vincitore unico la sera delle elezioni. Persino in Gran Bretagna quella sera vanno a letto e poi con calma nei giorni successivi la regina prende un tè col leader del partito che ha preso più seggi e vedono cosa possono fare. Da noi no, noi dobbiamo assolutamente sapere quella sera, sennò è il patto della crostata, del nazareno, degli spaghetti alle vongole, è l'anarchia. Da noi e in Ispagna. E in Grecia. Fammi pensare che altro abbiamo in comune.

Uno si potrebbe anche chiedere cosa nasconde questa fobia dell'"inciucio": da quali traumi scaturisce, quali spiacevoli ricordi cerca di nascondere. Io una teoria ovviamente ce l'ho, anche se in 1500 caratteri non ci starà mai.

Potrei andare avanti paese per paese, assemblea per assemblea, ma Costa li conosce meglio di me. Si può essere presidenzialisti - una volta lo erano in molti e avevano il coraggio di dirlo. Si può essere renziani in buona fede e ritenere che la maggioranza assoluta in parlamento non sia una condizione necessaria della democrazia. Però in Europa lo è quasi sempre. Truccare i numeri per sostenere che quello che ha fatto Renzi è la prassi in Europa, è qualcosa che abbassa il livello della discussione molto più in basso degli sfottò o degli insulti. L’italicum non è la normalità in Europa: non è necessario essere costituzionalisti per notarlo. L'aritmetica, la banale aritmetica che, lo ammetto, mi è più simpatica di Renzi (e quando gli ha dato ragione non ho avuto difficoltà ad ammetterlo). La libertà di dire che due più due fa quattro, proprio quella lì. Da mesi continuo a chiedere un dibattito non sulle "narrazioni" ma sull'aritmetica; da mesi ripeto: fatemi un altro esempio di una nazione stabilie, civile, che preveda un premio al 54% per chi arriva appena al 40%. Fin qui tutto quello che ho avuto è un tweet di Costa coi numeri sbagliati. Non sarebbe così grave se non sapessi che Costa i numeri veri li sa meglio di tutti, e che gli altri li prendono da lui perché si fidano.

Vorrei tornare a fidarmi anch’io.
Comments (27)

Al 40% non è democrazia (anche se vi piace)

Permalink
L’Italicum è una brutta legge. Ma - domanda Salvati - se invece di Renzi l’avesse proposto Bersani?

Buffa domanda. Per me un premio al 54% al partito che si aggiudica il 40 è indecente; lo sarebbe anche se lo proponesse Gandhi. Ma la domanda di Salvati è più interessante della mia risposta, proprio perché non si cura dei numeri. Come se non fossero l’unica cosa importante.

È vero, come dice, che in passato furono i bersaniani a parlare di un premio di maggioranza; ma hanno mai proposto il 54% per chi si fermava al 40%? È una questione puramente aritmetica che a Salvati (e tanti altri) non interessa. Non importano i numeri, ma i nomi. Invece di analizzare le distorsioni della legge, la si usa come sfondo per un episodio dell’epica renziana: l’ennesima sconfitta del vecchio Bersani. Il prezzo da pagare per lo spettacolo è una brutta legge? Qualcuno infine pagherà, ma ora è tempo di festeggiare il vincitore, dileggiare lo sconfitto.

Io mi chiamo fuori. Se c’è un numero percentuale sotto al quale non puoi più chiamare vino la bevanda che stai imbottigliando, ce ne può essere uno oltre cui la democrazia diventa la sua parodia. Abbiamo tutti desiderato un governo forte di una maggioranza più compatta - anche Mussolini. Se questo non fa di noi dei fascisti, nemmeno ci obbliga ad apprezzare l’Italicum. Ognuno risponde alla sua coscienza, al suo gusto: per me al 40% non è democrazia. Sull’etichetta c’è Renzi o Bersani? Che importa. È proprio che non sento il sapore, mi spiace.
Comments (14)

L'America di Renzi (non esiste)

Permalink
Come Veltroni, Renzi sogna l’America (“Il mio sogno è che in Italia si sfidino due partiti sul modello americano, Democratici e Repubblicani”). Mentre abolisce il bicameralismo perfetto, una delle poche caratteristiche che avevamo in comune con gli USA; mentre fa ingoiare al parlamento un premio di maggioranza al 55% che laggiù, ovviamente, non esiste. Quelli d’altro canto sono presidenzialisti seri, non se ne vergognano; inoltre hanno questa idea curiosa del bilanciamento dei poteri, per cui capita spesso (e anche in questo momento) che la maggioranza il presidente non ce l’abbia affatto, e debba coabitare con un congresso che non va d’accordo con lui. C’è che mentre i nostri statisti sognano l’America, gli americani studiavano Montesquieu.

Renzi auspica l’alternanza di due grandi partiti - e nel frattempo abbatte la soglia al 3%, il che gli consentirà di occupare saldamente il centro dell’offerta politica mentre gli avversari si frammentano in liste e listine in lotta tra loro per la visibilità. Renzi sogna l’America, ma è appunto un’America filtrata dal sogno: una libera prateria dove nessuno potrà dire allo sceriffo cosa deve o non deve fare. La sera delle elezioni tutti scoprono il nome del presidente e il dibattito in sostanza finisce lì: il parlamento garantirà diritto di tribuna a bastian contrari impotenti che troveranno nuovi modi di rendersi ridicoli in favore delle telecamere. Renzi vuol fare l’americano, ma risulta, ineluttabilmente, nato in Italy.
Comments (3)

Il giorno a cui direte a Renzi: No.

Permalink
Certe occasioni capitano una volta sola. Renzi, per esempio, in maggio ha una chance per blindare la legge elettorale e costringerci a votare per lui nel ‘16, nel ‘21 e a seguire. È comprensibile che abbia più fretta di chiudere che voglia di lasciare al Paese un sistema elettorale decente. Gli avversari, fuori e dentro il partito, sono ancora divisi e disorientati; la ripresa, se c’è, troppo debole per reggere una crisi politica: insomma, adesso o mai più. Si va verso la fiducia, e se a Mattarella non piace, pazienza. In fondo anche Mattarella deve tutto al suo grande elettore, e una volta risolta la questione, i suoi pareri non avranno più molta importanza.

È comprensibile che gli esponenti della minoranza Pd non vogliano arrivare a una scissione. Hanno sempre scelto la posizione più ragionevole e responsabile - anche quando era quella che li portava al disastro elettorale. Non sorprende che continuino così, ma prima o poi dovranno prendere atto che sono fuori dal partito. È Renzi che li ha messi ai margini, senza pubblicità ma con determinazione, e adesso si tratta soltanto di scegliere il modo e il tempo per prendere la porta. Ovviamente a nessuno piace trovarsi nel ruolo del guastafeste che riprecipita l’Italia nel baratro della crisi eccetera eccetera. Ma l’Italicum è proprio brutto, e il governo, che cerca di imporlo col voto di fiducia, fuori dalla decenza. Certe occasioni capitano una volta sola, e questa forse è quella per dire a Renzi grazie, ma anche no.
Comments (4)

Dove ti vedi nel 2021, Matteo Renzi?

Permalink
D’altro canto, dicono, potremmo anche provarci. Renzi è uno sbruffone, ma non ha l’aria di un tiranno: vuole semplicemente controllare per 5 anni esecutivo, legislativo e rai. Vuole manovrare liberamente, anche se a fatica arriverà al 40% dei suffragi. Chi siamo noi per negarglielo? Proviamo, in fondo che abbiamo da perdere. Cinque anni.

E poi?

E poi sarà più o meno il 2021; e se l’Italia renzizzata avrà soddisfatto i minimi standard di democrazia occidentale, si verificherà con ogni probabilità l’alternanza: Renzi perderà le elezioni e qualcun altro le vincerà. Quel qualcuno forse oggi non è ancora sceso in campo, oppure è confuso dietro le prime file dei poco credibili avversari di Renzi: Salvini, Di Battista, Fitto... Non ha molta importanza oggi. Ma nel 2021?

Renzi non sarà più la cosa nuova. L’alternativa potrà essere un postleghista alla Salvini, o un postgrillino, o un postfascista, o un postberlusconiano. Se questo post-qualcosa-di-inquietante riuscirà a mettere assieme il 40% di malcontento, controllerà per cinque anni esecutivo, legislativo e rai, e nessuno potrà impedirglielo. Non c’è in Italia nulla di simile alla clausola antifascista che in Francia ha sbarrato la strada per quarant’anni ai Le Pen. Abbiamo già avuto Berlusconi ed ex fascisti al governo, e ne portiamo i segni. Nel 2021 potrà risuccedere: chi ne sarà ritenuto responsabile?

D’altro canto, dicono, potremmo provarci lo stesso. Forse (pensano) il 2021 non arriverà mai. Oppure Renzi vincerà per sempre.
Comments (6)

Tanto poi ci pensa Piripacchio

Permalink
D’altro canto - dicono - l’italicum sarà anche brutto, forse non del tutto costituzionale e neanche tanto democratico, però… è pur sempre qualcosa, no? Si poteva fare di meglio? Certamente. E però il meglio è nemico del bene. Come dice l’intellettuale: “Un paese riformista è un paese che fa un sacco di cose insufficienti”! Il riformismo pare funzioni così: si scrivono leggi brutte che sono sempre meglio che niente, e poi… e poi al massimo se davvero sono scritte così male le miglioreremo. Facciamo sempre in tempo a migliorarle, no?

Senza dubbio, che fretta c’è.

Mettiamo che Renzi l'anno prossimo vinca col 40%... ma perché proprio Renzi, sembra quasi che ce l'abbia con lui. Mettiamo che l’anno prossimo un signor Piripacchio vinca col 40%. In parlamento avrà una maggioranza solida per cinque anni, composta per una buona parte da persone nominate direttamente da lui. Agli altri partiti non resterà un po' di spazio tra parlamento e media per il talent-show in cui chi strepita di più sarà eletto anti-Piripacchio: l’unico che avrà qualche chance di raggiungere il ballottaggio alle elezioni successive. Nel frattempo Piripacchio governerà indisturbato, controllando tra l’altro tutte le emittenti di Stato. Per cinque anni.

Ecco, in questi cinque anni io me lo immagino proprio, il signor Piripacchio, mentre pensa: certo che la legge elettorale che mi ha così indegnamente favorito… era proprio scritta male. Aspetta, aspetta che la miglioro un po’. Aspetta, aspetta, certo, certo.
Comments (16)

Il sogno di Almirante

Permalink
L'Italia non si è ritrovata repubblica parlamentare per caso. A monte di questa scelta, l’orrore per ciò a cui ci aveva portato la mistica dell'uomo forte. La sospensione dei diritti civili; la stagnazione economica; le sciagurate avventure coloniali; le leggi razziali; la folle idea di entrare in una guerra mondiale salendo sul carro armato del vincitore. A lungo nessuno osò più parlarne, fuorché Almirante e i suoi nostalgici. Più tardi Craxi pensò che gli italiani si fossero lasciati alle spalle i fantasmi e fossero pronti ad apprezzare un po’ di decisionismo leaderistico. Sbagliò tempo (di poco).

La fiaccola presidenzialista passa a Berlusconi, che - constatata la difficoltà di far passare una riforma tanto radicale - è il primo a proporre presidenzialismi camuffati. La riforma Calderoli (2005) obbliga le coalizioni a scrivere sulla scheda il candidato premier. Un’evidente forzatura della costituzione: spetta al presidente della Repubblica nominare il capo del governo, dopo aver consultato il parlamento che rappresenta gli italiani senza vincolo di mandato. Abbiamo poi scoperto che era una legge incostituzionale.

E l'Italicum? I cittadini voteranno Renzi, e la mattina Renzi salirà a ricevere l'incarico da Mattarella. Un atto dovuto che renderà pleonastico lo stesso Mattarella, e la cerimonia seguente con cui deputati scelti su liste stilate da Renzi voteranno la fiducia al governo Renzi - nel caso in cui vinca le elezioni: il che, viste le alternative, è persino augurabile.
Comments (7)

Perché non lo chiami presidenzialismo, Matteo Renzi?

Permalink
Ancor prima del contenuto dell'Italicum, a infastidirmi è il pacchetto. Ovvero: se Renzi dichiarasse: “Sai che c’è? La repubblica parlamentare ha stancato, passiamo al presidenzialismo!” almeno ne apprezzerei la sincerità. E potrei obiettare che condivido la diffidenza dei padri costituenti nei confronti dell’uomo solo al comando. D’altro canto di repubbliche presidenziali ne esistono tante, e per lo più non si tratta di Stati totalitari. Alla Francia è già successo di passare da parlamentare a presidenziale, e il risultato non è stato catastrofico. Quindi se Renzi pensa che una cosa del genere possa andare per l’Italia, potrebbe dirlo.

Invece si guarda bene dal chiamare presidenzialismo il pacchetto che ci sta vendendo. Come Berlusconi prima di lui, che si contentò di stampigliare il suo nome sul simbolo del partito, e sostenere (non a torto) che la gente votava per lui e non per il partito. Renzi vuole a tutti i costi che gli elettori conoscano il nome del vincitore la sera delle elezioni: il parlamento avrà un ruolo pleonastico, e comunque sarà in buona parte composto da persone scelte da lui. Da cui il sospetto: ma se il presidenzialismo è davvero un prodotto così buono, perché non lo chiami col suo nome? È anche una questione di rispetto. Se ha il collo di una giraffa, le orecchie e le zampe di una giraffa, perché non ammetti che mi stai vendendo una giraffa? O mi credi un cretino o... non mi vengono alternative, mi sa proprio che mi credi un cretino.
Comments (34)

La democrazia, ovvero comanda Renzi

Permalink
Voglio credere che la polemica di Bersani sulla legge elettorale sia più di un pretesto, come sostiene Renzi. Provo a riassumere in 1500 caratteri: c’era una volta una cosa chiamata democrazia parlamentare, che prevedeva grosso modo che il governo fosse espressione di una maggioranza di parlamentari, a loro volta espressione di una maggioranza di elettori. Poi arriva Matteo Renzi, con l’entusiasmo dei neofiti, e propone una nuova idea di democrazia che prevede che il governo sia l’espressione di Renzi, a prescindere da quanti voti prenda. I sondaggi dicevano 35%? Nella prima bozza il premio di maggioranza era a 35. Poi i sondaggi sono migliorati ed è salito a 37. Alle europee ha vinto col 40, e ci ha fatto questa grande concessione per cui ci governerà solo se mantiene il 40 (sennò si fa un tie-break col secondo arrivato, un Salvini o un Di Maio, ahah).

Non si nega che dal 35 al 40 ci sia un bel passo avanti, e però si continua a protrarre questo equivoco per cui la democrazia non sarebbe il governo della maggioranza, bensì di Renzi (e se qualcuno ottenesse un po’ di voti in più di lui, cavalcando il malcontento? Questo dev'essere inconcepibile per Matteo Renzi, che comunque en passant intende avocare a sé il controllo della RAI).

Tutto questo Bersani non lo accetta. Può darsi che covi rancore (sappiamo quanto sia umano, anche troppo) ma forse semplicemente è uno all'antica: questa cosa che nel 100 il 40 valga più del 60 non gli entra proprio in testa. Neanche a me, confesso.
Comments (2)

Beppe Grillo cosa pensa di te?

Permalink
ABBIAMO RACCOLTO LE FIRME
PER MODIFICARE LA COSTITUZIONE
PER INDIRE UN REFERENDUM
CHE SE LO VINCESSIMO
FORSE CI LASCEREBBERO USCIRE
DALL'EURO!
#VITTORIA! 
Vabbe', riproviamoci. Caro elettore o attivista Cinque Stelle, come va?
Io e te non siamo andati molto d'accordo, anche in quest'anno 2014.
Abbiamo senz'altro idee molto diverse; e ci fidiamo di gente molto diversa. Decisamente. Però vorrei che ti fosse chiara una cosa. Io non credo che tu sia un coglione. Io.

Beppe Grillo, invece.
- Non fraintendere, lo so che ne pensi ancora un gran bene, è solo che -
Ti chiedi mai cosa pensa, di te, Beppe Grillo?

Beppe Grillo che convoca una conferenza stampa e accusa Napolitano di non aver permesso ai m5s di formare un governo, l'anno scorso, visto che avevate vinto le elezioni.
Ora, caro elettore Cinque Stelle, so che l'argomento è spinoso. Io te lo devo dire: non credo che voi l'anno scorso abbiate vinto le elezioni, tecnicamente. Ma lasciamo perdere quel che ne penso io.

Tu credi davvero alla storia che Beppe racconta? Napolitano avrebbe dovuto dare un mandato esplorativo a Crimi, o a Di Maio, o a qualche altro sconosciuto, per cosa? C'era una qualche maggioranza nel parlamento del 2013 per un governo Cinque Stelle?
Sai benissimo che non c'era.
Che un mandato esplorativo sarebbe stato soltanto una perdita di tempo.
Che tempo ne perse già abbastanza Bersani, nel tentativo di portare qualcuno di voi dalla sua parte - mentre Grillo e Casaleggio erano contrari già il mattino dopo le elezioni. Dunque di che parla Beppe adesso? Cosa si sta raccontando? A chi pensa di farla bere questa storia? A te?
Cosa pensa di te?

Ha convocato una conferenza tutto allegro perché avete raccolto firme contro l'euro. Cinquantamila in un fine settimana, wow. No, non è una grande impresa raccogliere cinquantamila firme. Per un movimento che due anni fa vinceva le elezioni è quasi il minimo. È anche vero che il tempo passa e questo dicembre è così umido, per cui wow. Le firme contro l'euro.
Servono a uscire dall'euro?

No, non esattamente. Servono a presentare una legge di iniziativa popolare in parlamento.

È un sistema - previsto dalla Costituzione - grazie al quale tutti i cittadini possono presentare proposte di legge in parlamento. Anche quelli che non hanno rappresentanti in parlamento.

Anche quelli che non hanno rappresentanti in parlamento.

Ma il Movimento Cinque Stelle ha un sacco di rappresentanti in parlamento. Eletti dal popolo italiano. La legge potevano ben presentarla loro! Probabilmente hanno pensato che con cinquantamila firme (pochine a dire il vero) la proposta di legge abbia più speranze di essere presa sul serio, e quindi ben venga la raccolta di firme.

Ora la proposta verrà calendarizzata, e quando il parlamento riterrà giusto discuterne, ne discuterà. È sempre il parlamento del 2013, quello dove i Cinque Stelle non hanno la maggioranza, e mai l'hanno avuta, anche se Beppe racconta di aver vinto le elezioni. Insomma le speranze di trasformare quella proposta di legge in una vera legge sono abbastanza poche. Ma ipotizziamo pure che anche gli altri euroscettici del parlamento vi appoggino (anche se non hanno nessun interesse a farlo, dal momento che vogliono soffiarvi gli elettori). Immaginiamo che la proposta di legge di iniziativa popolare sia discussa, approvata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Vittoria! No, aspetta.

È una legge che ci fa uscire dall'euro?
Non esattamente.

È una legge che modifica la Costituzione e introduce i referendum consultivi. C'è persino un precedente: nel 1989 una simile legge costituzionale fu emanata per consentire ai cittadini italiani di esprimersi in un referendum che chiedeva di trasformare la Comunità Europea in Unione Europea, e all'europarlamento di redigere una proposta di eurocostituzione. Il sì stravinse (88%), ma forse non sapevamo quello che stavamo facendo. Mettiamola così.

Invece adesso lo sappiamo, e se la legge di iniziativa popolare diventasse mai una legge costituzionale, noi non usciremmo dall'euro - non ancora - ma avremo finalmente la possibilità di votare per decidere se restare o uscire dall'euro. Mediante un referendum consultivo.

Cioè?

Cioè un referendum che chiede un parere ai cittadini.
Un parere vincolante?
No.

Quindi, in sostanza, Grillo ha convocato una conferenza stampa per annunciare di aver raccolto le firme necessarie a presentare in parlamento una legge per modificare la costituzione affinché si possano raccogliere altre firme per indire un referendum consultivo grazie al quale i cittadini potranno esprimersi sull'euro.

Non suona molto bene, vero? Quindi forse su qualche blog o quotidiano in giro avrai letto che Grillo ha convocato una conferenza stampa per annunciare di aver raccolto le firme necessarie a presentare in parlamento una legge per modificare la costituzione affinché si possano raccogliere altre firme per indire un referendum consultivo grazie al quale i cittadini potranno esprimersi sull'euro per uscire dall'euro.

Così funziona meglio.
D'altro canto, chi te la racconta così, cosa pensa davvero di te?

Tu probabilmente dall'euro vuoi uscirci davvero. Io no, io credo che l'Italia abbia problemi un po' più complessi, e che prendersela con l'euro sia un po' come prendersela con il sistema metrico decimale - non è colpa del metro se sei basso, non è colpa del chilo se sei pesante, non è colpa dell'euro se la tua economia ha difetti strutturali.

Non sei d'accordo? Va benissimo, anch'io non sono affatto sicuro che le cose stiano così, soprattutto finché i tedeschi continuano questa politica del rigore davvero molto ottusa, e finché gli altri governanti europei non riescono a opporsi.

Mettiamo che io abbia torto e tu ragione, e la cosa migliore sia davvero uscire dall'euro. Cioè svalutare. Anche se tu ritieni che sia necessario, sai benissimo che non sarà indolore. Perdere il venti o il trenta per cento del potere d'acquisto in pochi mesi non è una cosa da ridere. Certo, sei convinto che l'economia ripartirebbe, e presto tutto sarebbe un ricordo lontano. Però le prime settimane sarebbero uno choc, questo lo sai benissimo anche tu.

Uscire dall'euro è qualcosa di mai tentato prima. Anche ammesso che sia possibile, richiede una certa destrezza onde evitare crisi di panico e derive speculative che non credo neanche tu ti auguri. L'ideale  - lo dicono gli economisti, anche quelli anti-euro - sarebbe uscirne all'improvviso, un venerdì, evitando il più possibile una fuga di notizie.

Prendi Tsipras, per esempio.

Non so se ci hai mai fatto caso, ma ogni volta che glielo chiedono davvero - in caso di vittoria di Syriza, la Grecia uscirà dall'Euro? Lui risponde: no. Ecco, a me eurista spaventa molto più Tsipras, perché è il classico cane che non abbaia.

Grillo invece abbaia tanto. Perché?
È un coglione? No che non lo è.
Certo, si è preso un paio di tegole in testa negli ultimi due anni. Ma non è un coglione.
Allo stesso tempo, non si sta comportando come uno statista che vuole uscire dall'euro. Abbaia troppo. Vuole che tutti ne discutano.
Raccoglie le firme. Per uscire subito? No, per modificare la costituzione.
Per uscire subito? No, per raccogliere altre firme per indire un referendum.
Per uscire subito? No, un referendum consultivo.

E allora, davvero, Grillo vuole uscire dall'euro? o vuole soltanto parlarne?

Caro elettore m5s, caro attivista m5s:
anche quest'anno abbiamo litigato molto, però vorrei che ci abbracciassimo, almeno a Natale. La pensiamo in modo diverso su quasi tutto. Tu credi che il M5S abbia vinto le elezioni del '13, io no. Tu credi che l'euro sia una maledizione, io penso che sia un'unità di misura come un'altra. Magari hai ragione tu, è possibile. Non sono un esperto, non riesco a vedere bene tutti i lati delle cose. So che tu ne vedi uno molto diverso dal mio, e ne trai conclusioni diverse. Ma le tue conclusioni sono probabilmente logiche quanto le mie - è che tu hai dati diversi dai miei, e chissà chi ha quelli veri. Io non credo di essere più intelligente di te; e non credo che tu sia un coglione.

Beppe Grillo, invece.
Cosa pensa di te?

Buon Natale, felice anno eccetera.
Comments (5)

Peccato che sia incostituzionale

Permalink
Facciamo un esempio, uno tra tanti: nella nuova bozza della riforma, a Palazzo Madama sono ritornati i sindaci dei capoluoghi di regione: i sindaci che qualche collaboratore assennato di Renzi era riuscito a un certo punto a depennare - rieccoli là:

Art. 57. Il Senato delle Autonomie è composto dai Presidenti delle Giunte regionali, dai Presidenti delle Province autonome di Trento e di Bolzano, dai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione e di Provincia autonoma...

Embè, direte voi? Che c'è di male se un sindaco di capoluogo di regione si ritrova ogni tanto a Roma per partecipare a una seduta del Senato delle Autonomie? Tanto non deve mica discutere e approvare tutte le leggi (tutte no: ma le riforme costituzionali, quelle sì). Non deve mica votare la fiducia al governo. E il tempo libero il sindaco di capoluogo di regione lo trova sicuramente, per dire Renzi faceva il sindaco nel capoluogo della Toscana, e a tempo perso è diventato presidente del Consiglio... Bisogna proprio essere degli arcigni difensori dello status quo; bisogna veramente odiare Renzi, anzi coltivare una vera e propria allergia nei suoi confronti, la chiamerebbe Menichini, per non capire la straordinaria novità di un Senato delle Autonomie composto pure dai sindaci dei capoluoghi di regione. Già.

Peccato che sia incostituzionale.

E non ci vuole un Rodotà o uno Zagrebelsky. Prendete una cartina dell'Italia politica. Noterete che le regioni sono venti. Ne consegue che i sindaci in questione sono venti. Ventuno in realtà, perché Bolzano e Trento non si son mai messe d'accordo. Molto bene. I ventuno sindaci in questione, nel futuro Senato delle Autonomie, chi rappresenteranno? I cittadini di ventuno città. Alcune molto grandi (Roma), altre di media grandezza (Perugia), altre davvero piccine (Aosta).

I cittadini di tutte le altre città d'Italia, chi le rappresenterà? E i cittadini delle province?

Prendi i cittadini di Pescara. Non è Pescara una degna città, peraltro più popolosa del suo capoluogo di regione? Sì. Però gli aquilani manderanno al Senato delle Autonomie un sindaco, i pescaresi no. Perché? Perché a Renzi piace così, e a chi non piace così non piace Renzi, e se non vi piace Renzi avete in odio la modernità, voi arcigni difensori dello status quo. Aveva ragione Ciccio Franco a Sbarre: e dire che al tempo la battaglia per il capoluogo di regione sembrava una cosa assurda, a metà tra il medioevo e il Risiko. E invece adesso ottantamila catanzaresi avranno un sindaco che li rappresenta nel Senato delle Autonomie; e i reggini (che sono appena in centomila in più), i reggini no. Perché? Perché a Renzi garba così. Lui deve assolutamente vincere le elezioni, ma per vincerle deve cambiare il sistema elettorale; ma per cambiare davvero il sistema elettorale in modo da vincere deve abolire il Senato (o meglio: le elezioni del Senato), e per abolirle ha deciso di fare così e ci si gioca tutto! Ci mette la faccia! E voi arcigni difensori dello status quo che cosa avete contro la nobilissima faccia di Matteo Renzi? Se lui vuole dare un rappresentante in più al Senato ai triestini, e uno in meno agli udinesi, chi siete voi per giudicarlo?

Gli abitanti dei 20 capoluoghi di regione + Bolzano, messi assieme, non superano i dieci milioni. Gli altri cinquanta milioni di italiani non saranno rappresentati in Senato da un sindaco di capoluogo. È davvero un peccato che un piccolo articolo, seminascosto, della Costituzione del '48, reciti... cosa recita? "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge"... normale che uno se lo dimentichi, è soltanto l'articolo tre. Occorrerà modificarlo prima che qualche pedante professorone lo impugni davanti a una Corte Costituzionale; tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, ma i cittadini di Venezia sono rappresentati nel Senato delle Autonomie dal loro sindaco: quelli di Verona no. Perché? Perché ci garbava così, se non ci seguite non prendetevela, noi andiamo veloci, noi siamo il futuro.

Per intenderci: quando si sostiene che la riforma di Renzi, che le riforme di Renzi, siano scritte male e pensate peggio, si intendono situazioni di questo genere. Fosse solo questa. Ma no, ce ne sono tante altre così. La genialata di Delrio che per risparmiare un'elezione ha deciso che d'ora in poi il sindaco metropolitano della provincia di Bologna lo farà il sindaco di Bologna. Molto bene. E il cittadino di Imola (BO) si troverà amministrato da un sindaco metropolitano che non ha eletto; espresso in elezioni a cui egli non è stato invitato a partecipare; non suona un tantino strano, e anticostituzionale, forse?

Ma dicono che bisogna portar pazienza, che magari qualcosa è scritto male, ma che Renzi ha fretta... ma fretta dove. Ma fretta quando. Io l'idiozia dei sindaci di capoluogo in senato me la ricordo nei cento punti della prima Leopolda. È una delle tante, tantissime cose che mi fece pensare: simpatico, ma non comprerei mai una riforma da lui. Una riforma costituzionale, poi. Si tratta di un'idea irredimibilmente scema, quasi certamente anticostituzionale, che qualche pollo da think tank d'allevamento ha messo in una bozza quattro anni fa: una di quelle che dovevano essere discusse "in rete", dove la discussione si limitò alla possibilità di mettere like con facebook. Dopodiché nessuno se l'è più andata a leggere. Nessuno. Anche solo per capire se le formidabili idee di Renzi fossero davvero così formidabili. Niente. Chi vende un prodotto mica si mette lì a legger gli ingredienti.

Matteo Renzi potrebbe fare meglio di così, se non avesse fretta? È una domanda malposta. Matteo Renzi avrà sempre fretta; avrà sempre un'ottima ragione per tagliar corto e schivare le domande. Matteo Renzi è la sua stessa fretta. Voi invece che lo sostenete, cosa siete? Cosa pensate di una riforma tutta basata sul tempo libero dei sindaci? Vi sembra sensato che in un organo democratico, investito del potere di modificare la Costituzione, un tarantino sia meno rappresentato di un barese? Che un abitante della provincia di Catania non possa scegliere il suo sindaco metropolitano? Che il futuro capo del governo possa avere la maggioranza assoluta di una sola camera con appena il 37% dei suffragi? Tutto questo vi piace o ve lo fate piacere perché avete fretta? E quando vi passerà la fretta?

Comments (64)

Aboliamo subito la Camera delle Autonomie

Permalink
Renzi va veloce. Riforma la legge elettorale, ci alza lo stipendio, saluta Hollande, è già dalla Merkel. Non tutto riesce al cento per cento, ma l'impressione è comunque di una notevole vitalità. Qualche cosa ovviamente finisce per sfuggire all'attenzione generale: ad esempio la settimana scorsa è stato presentato il testo della riforma costituzionale. Sui giornali se n'è parlato, ma non tantissimo; il dibattito sul Jobs Act e sulla relativa copertura ha distolto subito l'attenzione, e comprensibilmente. È comunque un peccato che sia già trascorsa una settimana: Renzi ce ne aveva offerte due per discuterne, dopodiché il testo dovrebbe arrivare in parlamento. Purtroppo, è un testo che lascia tantissimo a desiderare.

Renzi propone di sostituire il Senato con un'Assemblea delle Autonomie. Visto che si va di fretta, propongo di accelerare ulteriormente, e sono già qui per chiederne l'abolizione. Tanto - legge alla mano - quell'Assemblea non servirebbe a molto. Non voterebbe la fiducia al governo, non avrebbe la facoltà di proporre disegni di legge suoi: e allora che farebbe? Bisogna dire che il testo non è molto chiaro, e che certe frasi sembrano messe lì giusto per tenere lo spazio, in attesa che qualche emendamento chiarisca il pensiero dell'estensore: ad esempio è difficile immaginare che questa Assemblea, per quanto autorevole, partecipi "alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi dell’Unione europea" (art. 55): a Bruxelles potrebbero rimanere perplessi di un'Assemblea italiana che improvvisamente si riservi di partecipare alla formazione delle direttive UE. L'assemblea svolgerebbe poi "attività di verifica delle leggi dello Stato e di valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche sul territorio" (art. 55), ma non è ancora chiaro con che strumenti. Avrebbe facoltà di riesaminare qualsiasi disegno legge approvato dalla Camera (art. 70), dopodiché a quest'ultima spetterebbe comunque l'ultima parola: nel migliore dei casi l'Assemblea sarebbe percepita come un organo autorevole, in grado di esercitare una specie di moral suasion; nel peggiore, verrà dipinta come un organo della casta con facoltà di rallentare l'approvazione di leggi non gradite.

Anche perché - e qui sta un po' il punto - l'Assemblea delle Autonomie non sarebbe eletta direttamente dal popolo... (continua sull'Unita.it, H1t#222).

Al suo interno, solo i ventuno presidenti di Regione (più i due delle province autonome di Bolzano e Trento) sarebbero espressi dai cittadini. Gli altri membri dell’Assemblea vi entrerebbero per cooptazione. Ovviamente il testo all’art. 57  non dice così. Dice che saranno ammessi due membri di ogni consiglio regionale, eletti dal consiglio stesso; tre sindaci per regione, eletti da un’Assemblea di tutti i sindaci della regione medesima. Questo è quello che dice il testo della riforma.
Quello che molti cittadini capiranno è: in quell’Assemblea non ci vanno i politici votati da noi, ma i politici votati dai politici. A un politico detestato dai cittadini – per qualsiasi motivo, mettiamo che sia al centro di uno scandalo ambientale anche se è riuscito a scampare condanna e interdizione – basterebbe farsi eleggere in un piccolo comune per diventare poi eleggibile, grazie alla solidarietà dei colleghi, nell’Assemblea. Chi ha scritto questo testo evidentemente sottostima la scarsa fiducia degli italiani nei confronti del proprio ceto politico.
Poi c’è il problema dello squilibrio tra regioni più o meno popolate. Non è una questione da poco. Per ora l’Art. 57 prevede che tutte le regioni siano rappresentate da uno stesso numero di rappresentanti: il presidente della giunta regionale, i due membri del consiglio regionale, i tre sindaci eletti da tutti gli altri sindaci. Fanno sei per regione. Però le regioni italiane sono molto diverse tra loro. Per esempio, la Val d’Aosta fa 128.000 abitanti: all’Assemblea porterebbero un rappresentante ogni 21.000. Non male. In Lombardia ci sono quasi dieci milioni di abitanti; è giusto che siano comunque rappresentati da sei membri, uno per ogni milione e seicentomila lombardi (più di dieci Valli d’Aosta messe assieme)? D’accordo, ho accostato proprio la regione più piccola e la più popolosa; ma se guardiamo il quadro complessivo l’iniquità è comunque lampante, e complessivamente penalizza proprio le più dense regioni del nord (e comunque: perché i calabresi devono avere lo stesso numero di rappresentanti dei siciliani se sono meno della metà?)
Non so se altrove in Europa esistano assemblee democratiche così insensatamente squilibrate. L’unico esempio che mi viene in mente è oltre l’Atlantico: il Senato americano che accoglie due rappresentanti per ogni Stato, che sia desertico o completamente invaso da un tessuto urbano. Non dico che l’esempio statunitense non sia interessante; ma è il complesso risultato di un processo bicentenario che non avrebbe molto senso imitare qui da noi – se ai newyorkesi non interessa essere rappresentati trenta volte meno degli elettori del Wyoming, buon per loro; ma non credo che basterà additare il loro esempio ai veneti per convincerli a contare la metà della metà dei friulani. Siccome non possiamo tutti prendere la residenza in Molise o in Basilicata per dare più peso ai nostri voti, forse è meglio abolire semplicemente l’Assemblea delle Autonomie.
Tutto qui? No, c’è di peggio. Volendo abolire il Senato, Renzi e il suo staff hanno dovuto rassegnarsi a sopprimere anche la figura dei senatori a vita; nasce forse da qui la proposta compensativa di una quota di membri dell’Assemblea nominati direttamente dal Presidente della Repubblica “per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”: non a vita, ma soltanto per un settennato. Non è una bruttissima idea, salvo che la quota-Quirinale è fissata a… ventuno. Lombardi, campani e laziali – venti milioni di abitanti, un terzo degli italiani – esprimeranno diciotto rappresentanti; il Presidente ne potrebbe scegliere fino a ventuno. E forse Renzi e i suoi collaboratori non si rendono conto del ginepraio che stanno seminando intorno al Quirinale, destinato a germinare nel momento in cui si tratterà di scegliere uno scienziato invece di un altro, un artista invece di un altro, un musicista invece di un regista – per non parlare dei letterati (sul serio, non parliamone). È pur vero che si tratterebbe di una carica onorifica e poco più, una specie di feluca dell’Accademia d’Italia. E d’altro canto ventuno voti in più o in meno potrebbero avere il loro peso in una delle non rarissime situazioni in cui l’Assemblea conterà davvero: ad esempio, l’elezione del Capo di Stato. Un Presidente che pensasse alla sua rielezione potrebbe essere tentato a usare il suo pacchetto di feluche in questo senso.
A tutte queste obiezioni, nei prossimi giorni, sentiremo rispondere che comunque l’Assemblea non ha molti poteri (il che sarebbe un buon argomento per chiuderla subito), e soprattutto che costerà poco: e quindi pazienza se vi si accede per cooptazione, e senza rispettare nessuna proporzionalità geografica. Il risparmio è un argomento forte di questi tempi, e tuttavia l’idea di presidenti e sindaci obbligati a viaggiare su e giù per l’Italia almeno una volta al mese, in Frecciarossa, senza indennità, lascia abbastanza scettici. Non hanno tutti la fretta e la buona fede di Renzi. D’altro canto non è nemmeno vero che l’Assemblea sia del tutto inutile: in pochi, determinati momenti, diventerà decisiva. Oltre a votare ogni sette anni per l’inquilino del Quirinale, i membri avranno voce in capitolo al pari dei deputati su tutte le leggi di revisione costituzionale. Il che significa che, una volta istituita l’Assemblea, sarà molto difficile abolirla. Meglio farlo subito, al volo, e non pensarci più. http://leonardo.blogspot.com
Comments (8)

Col tie-break non è democrazia

Permalink
Sondaggio al gusto di democrazia. 

Fino a che punto puoi annacquare un vino e considerarlo ancora un vino? Fino a che punto puoi abbassare la soglia di un premio di maggioranza e chiamarla ancora democrazia? L'altro giorno Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si sono incontrati e hanno deciso che si può abbassare al 35%. In sostanza: puoi vincere le elezioni con poco più di un terzo dei voti totali, ovvero con quasi due terzi dei voti contro. E siccome né Berlusconi, un po' ammaccato, né Renzi, con tutta la sua vocazione maggioritaria, sono sicuri di riuscire a portare dalla loro il 35% degli elettori, è stato necessario trovare un piano b.

Il piano b che hanno elaborato i due statisti non ha, che io sappia, precedenti al mondo: non è mai stato sperimentato, e quindi potrebbe anche trattarsi di qualcosa di geniale - impossibile saperlo finché non lo si sperimenta. Faremo da cavie. Lo hanno chiamato "ballottaggio", ma a differenza di tutti gli altri ballottaggi del mondo è su base nazionale: un referendum tra due partiti, visto che la Costituzione non consente (ancora) il referendum tra i due candidati. E si indovina quanto dispiaccia a entrambi - sarebbe così bello poter distribuire agli italiani una scheda semplicissima: R da una parte, B dall'altra, oppure semplicemente le facce. Maledizione, non si può; e quindi tocca fare lo spareggio tra i primi due partiti. Perché di spareggio si tratta: un tie-break - gli inglesi hanno anche un'espressione più colorita, "sudden death". È ancora democrazia? Non potremmo almeno smettere di chiamarla così? Il latte caldo della macchinetta in ufficio, non so se l'hai mai notato, non si chiama proprio latte, bensì "bevanda al gusto latte". Può darsi che le elezioni col sistema Berlusconi-Renzi siano le uniche possibili, ormai, ma possiamo almeno chiamarle "sondaggio al gusto di democrazia"? Lo so, anche il sistema di Calderoli era una nota porcata. Ma almeno non metteva nero su bianco la soglia psicologica: 35%. Con un terzo dei voti vai al governo. Con due terzi dei voti, i tuoi avversari si fottono. Per cinque lunghi anni. Il meno che si possa dire di chi ha inventato una cosa del genere, è che ha una spaventosa certezza di vincere.

Degno d'interesse è anche il trattamento dei partitini. Altre riforme elettorali avrebbero puntato allo sradicamento di quelli che una volta si chiamavano cespugli. Renzi e Berlusconi sono più concilianti: i partitini possono andare, se si comportano bene e si apparentano con quelli grossi. In questo caso abbassiamo la sbarra al 5% e li facciamo entrare in parlamento. Se invece vogliono fare i duri e i puri, addio: la sbarra si rialza all'8%. Inoltre devono essere genuini: saranno presi provvedimenti contro le liste-civetta, chissà come si farà a capire cosa è civetta e cosa no. Una cosa del genere non ha nessuna spiegazione logica che esuli dalla gestione dell'esistente: i partitini esistono, tanto vale preservarli, coccolarli, proteggerli nel loro habitat in modo che tutti possano vederli durante le gite fuoriporta. La spiegazione ufficiale è che ci tiene Alfano. Purtroppo io non sono tra quelli che crede nell'esistenza di Alfano in sé; e siccome lo considero nient'altro che un piede che Berlusconi tiene nel governo Letta fin tanto che gli conviene, non mi resta che concludere che Berlusconi rivuole la Lega in parlamento. Quanto a Renzi evidentemente con tutta la sua vocazione maggioritaria non esclude di federarsi con Vendola o con Ichino o qualche altro relitto lì in mezzo. Non è per questo che lo hanno votato alle primarie, ma del resto alle primarie aveva anche promesso di farla finita coi listini bloccati. Vabbe', mal che vada farà le primarie, e le farà anche Grillo on line. Magari anche Berlusconi col televoto.

Questo è l'"italicum" che Renzi ha congegnato con Berlusconi e poi esibito alla direzione del PD, che non si capisce cosa abbia votato, visto che Renzi aveva già deciso per tutti ed era un prendere o lasciare. Addirittura Cuperlo voleva il referendum tra gli iscritti, che roba, come se gli iscritti non avessero appena firmato una delega a Renzi ad accordarsi su Berlusconi su qualsiasi sistema elettorale, foss'anche il più demenziale al mondo, perché non lo spareggio di Dodgeball? Comunque la direzione con 111 voti e 34 astensioni ha detto ok, Renzi, buona questa bevanda al gusto di democrazia, andiamo pure avanti. Ora si tratta di conquistare il cuore del Paese. Calcolando un'astensione al venti per cento, quel maledetto 35% si abbassa a un più ragionevole 28%, ehi! ce l'abbiamo fatta, abbiamo vinto! Questa sì che è una vocazione maggioritaria.

Se poi tra un annetto ci dovesse capitare di scegliere al tie break tra Grillo e Berlusconi, beh, sono infortuni di percorso. E poi probabilmente a quel punto la corte costituzionale si sveglierà all'improvviso e ci farà sapere che ehi, non si può governare il paese rappresentando soltanto un terzo degli elettori, ma siete matti? E saremo daccapo. Ma almeno ci saremo divertiti, non si può dir di no. A settantasette anni, fuori dal parlamento, debungabungizzato, il grande piccolo vecchio continua a tirar fuori delle idee incredibili. Il premio al 35% e il tie-break, neanche X Factor ce li ha. Dilettanti.
Comments (20)

L'uninominale morbido

Permalink
Oggi non ho ancora dato un'occhiata a un quotidiano, ma sono sicuro che sui più prestigiosi ci sono schede approfondite su tutti e tre i sistemi elettorali proposti da Renzi, con un'analisi attenta dei pro e dei contro. Qui invece trovate il sistema elettorale che proporrei io, se avessi una qualsiasi voce in capitolo. Potrebbe anche essere più bello di così, ma questa è la versione che potrebbe passare senza necessità di revisioni costituzionali (credo. Poi magari dopo dieci anni la corte costituzionale si accorge che non va, son cose che capitano).

Il sistema è già apparso su questa pagina un mese fa, ma avevo appena iniziato a pensarci (no, in realtà ci penso da una vita). Ho anche approfittato di qualche suggerimento dei lettori.

1. Ancora bicameralismo perfetto, per ora. (così non dobbiamo modificare la Costituzione, poi si vedrà). Si divida la popolazione italiana in 630 circoscrizioni elettorali per la Camera dei Deputati e in 315 circoscrizioni per il Senato.

2. Le primarie sono raccolte di firme. Su ogni scheda si trovano tre nomi - non necessariamente associati a simboli di partito (ma aiuta ai fini del raggiungimento del premio di maggioranza, come vedremo). Sono i tre cittadini che sono riusciti a raccogliere più firme autenticate dei cittadini di quella circoscrizione nel mese precedente all'apertura dei seggi. Ogni cittadino può firmare soltanto per un candidato alla Camera e per un candidato al Senato. Gli elenchi delle firme sono pubblici, ma contengono dati sensibili, nello spirito della normativa sulla privacy. (In soldoni: un magistrato può chiedere di sapere per chi hai firmato, un giornalista no).

3. L'uninominale morbida. Sulla scheda a dire il vero compariranno i tre nomi due volte: la prima in grande (prima scelta), la seconda in piccolo (seconda scelta). L'elettore può:
  • esprimere sia la prima che la seconda scelta (purché su due candidati diversi)
  • esprimere soltanto la prima scelta (la seconda scelta sarà considerata voto nullo)
  • nel caso (piuttosto bizzarro) in cui un elettore esprima soltanto la seconda scelta, il voto sarà conteggiato come prima scelta. Magari gli scrutatori possono metterlo a verbale: in ogni caso non è possibile esprimere soltanto la seconda scelta.
  • scheda bianca o nulla, come da che mondo è mondo.
4. Il primo spoglio. Al termine della consultazione, gli scrutatori rovesciano le urne e cominciano a conteggiare le prime scelte. Se uno dei tre candidati supera il 50%+1 dei suffragi, è eletto senza riserve. 

5. Il secondo spoglio. Se nessuno dei tre candidati supera il 50%+1, il candidato che ha ottenuto il numero inferiore di prime scelte viene "eliminato". Le schede che lo indicavano come prima scelta vengono ri-spogliate, ma stavolta vengono assegnate ai candidati indicati in seconda scelta. Il candidato che in questo modo ha ottenuto più suffragi viene eletto "con riserva". 

6. Se un partito ha superato il 55%. Se un partito ha ottenuto più del 55% degli eletti, ovvero 346 deputati e 173 senatori, non scatta alcun premio di maggioranza: lo spoglio è finito, un partito ha vinto le elezioni e gli altri hanno perso. 

7. Il premio di maggioranza... se invece, come è molto probabile, nessun partito arrivasse al 55%, le cose si complicherebbero un po', vista la difficoltà di far convivere il premio di maggioranza con l'uninominale. Al senato poi c'è il problema del regionalismo che complicherà ulteriormente le cose (e in ultima analisi è responsabile della suinità della legge Calderoli). Ma vediamo alla Camera. Se nessun partito dovesse arrivare a quota 346, il partito che è comunque arrivato primo totalizzandone almeno 283 (il 45%) ottiene i seggi necessari ad arrivare a 346. A chi li toglie? A chi era stato eletto con riserva, ricordate? conteggiando la seconda scelta degli elettori. 
Facciamo l'esempio peggiore: il primo partito (PP) ha 'vinto' soltanto in 283. Gli devono essere attribuiti 63 seggi. 
  • Si prendono in esame le circoscrizioni in cui il primo spoglio non ha dato nessun vincitore.
  • Si trovano le 63 circoscrizioni in cui il candidato del PP aveva ottenuto il risultato migliore, pur senza raggiungere il 50%+1.
  • Si attribuiscono questi seggi ai candidati del PP. 
La filosofia è la seguente: nei casi in cui i cittadini di una circoscrizione non sono riusciti a mettersi d'accordo in prima battuta, la scelta viene demandata alla collettività, che premia il partito che ha preso più voti a livello nazionale.
Se nessun partito arriva a 283 (45%), scatta un premio inferiore, che porta il primo partito a 316 (50%+1), e si fa un governo di coalizione.

8. E in Senato?
In Senato sarebbe bello se si potesse fare l'identica cosa che alla Camera, con gli sbarramenti e i premi alle stesse percentuali. Temo che non si possa a causa della riforma pseudo-regionale che già rese bizantina la legge Calderoli. In sostanza o si cambia la Costituzione o si applica il premio su base regionale. Ci devo ancora lavorare.

Difetti:
- Il clientelismo si trasferirà dal voto alla firma: dal voto di scambio alla firma di scambio. Ma almeno le firme sono tracciabili (però non pubblicabili). Diciamo che sarà più facile notare i fenomeni di clientelismo: con un sistema elettorale mica li si combatte, al massimo li si fa emergere.
- Alcuni candidati che sembravano eletti (con riserva, conteggiando la seconda scelta degli elettori) avranno l'impressione di essere scalzati. E però non è che avessero vinto davvero: per vincere bisognava prendere il 50%+1 della prima scelta, o far parte del partito che è arrivato primo su base nazionale.
- Forse i posteri giudicheranno con severità la violenza che facciamo alla democrazia infliggendo premi e sbarramenti (oppure ci chiameranno pazzi per via che facevamo votare gli analfabeti e gli ottuagenari). Però cercate di capirci, posteri, di governi instabili non ne possiamo più. Se ne riparla dopo che qualcuno riesce a finire una legislatura normale.

Devo dire che più mi addentro in questa follia, più capisco come deve essersi sentito Calderoli. 
Comments (5)

Inventa anche tu il tuo sistema elettorale!

Permalink
Update: ho abolito il doppio turno e l'ho sostituito con la preferenza alternativa, adesso è ancor più fichissimo e la posterità me ne sarà grata per legislature e legislature

Butto lì il mio. Collegi uninominali, con tre soli candidati: quelli che riescono a portare più firme autenticate in municipio.
A ogni cittadino è fatto divieto di firmare per più di un candidato.
I candidati possono dichiarare la propria militanza in un partito, ma non è necessario (anche se è molto utile, come si vedrà).
Update: sulla scheda si esprime la preferenza "piena" e la preferenza "alternativa", o seconda scelta, quest'ultima opzionale.
Se nessuno dei tre prende più del 50%+1 (ma facciamo anche il 55%, vah), delle preferenze piene, viene eliminato il terzo classificato, e vengono conteggiate le preferenze alternative dei suoi elettori. Una preferenza alternativa lasciata in bianco viene assegnata al primo classificato.

Alla camera e al senato (che prima o poi andrebbero fusi, ma servirebbe una costituzione nuova), un premio di maggioranza per il partito che ha vinto più collegi: vengono ripescati alcuni secondi classificati (quelli che pur arrivando secondi hanno ottenuto il maggior numero di preferenze "piene"+"alternative"). Quanti? Dipende.
- Se il partito ha già il 55% dei seggi sia alla Camera che al Senato, non scatta nessun premio.
- Se il partito ha almeno il 45% dei seggi alla Camera o al Senato, si ripesca un numero x di senatori e deputati necessario a ottenere il 55% dei seggi in entrambi i rami.
- Se nessun partito arriva al 45% dei seggi in almeno uno dei due rami, i primi due partiti ottengono entrambi lo stesso numero x di senatori e deputati, tale che la somma dei primi due partiti dia il 60% in entrambi i rami. Questo propizia un'alleanza tra i due partiti, senza renderla obbligatoria: uno dei due potrebbe anche riuscire a superare il 50% alleandosi con un terzo o quarto partito.
Nota che il numero dei deputati e dei senatori potrebbe variare di molto: se questo è incostituzionale, o comunque inopportuno, i ripescati del premio di maggioranza per numero di preferenze piene+relative possono sostituire i vincitori dei loro collegi (in sostanza la governabilità vince sulla volontà popolare espressa dal ballottaggio, sì, proprio così).

I pregi
- Non assomiglia a nessun altro sistema elettorale di cui avete letto in giro, l'ho inventato io (ok, è un pregio soltanto per me, ma per me è un gran pregio).
- Lunedì sera ci si mette lì con una calcolatrice e nel giro di un'ora in linea di massima si sa chi governerà per cinque anni.
- Se necessarie, sono ammesse e incentivate coalizioni.
- Forte personalizzazione e responsabilizzazione del candidato.
- Forte responsabilizzazione del cittadino-militante (il voto è segreto, la firma è registrata; anche se la considererei un dato sensibile).
- La frammentazione partitica è disincentivata senza sbarramenti (il premio va al partito, no alla coalizione).


Difetti
- Il clientelismo si trasferirà dal voto alla firma: dal voto di scambio alla firma di scambio. Ma almeno le firme sono tracciabili (però non pubblicabili). Diciamo che sarà più facile notare i fenomeni di clientelismo: con un sistema elettorale mica li si combatte, al massimo li si fa emergere.
- Il doppio turno è un po' una palla. Però il partire subito da tre candidati lo ridurrà parecchio. Update: tolto!
- I premi di maggioranza sono un po' bizantini, e non garantiscono la governabilità al cento per cento (nessun sistema ancora un po' democratico lo potrebbe fare).
- Se (e solo se) si decide di mantenere fisso il numero dei parlamentari, qualcuno che vince un ballottaggio dovrà cedere il posto a chi l'ha perso che ha ottenuto più preferenze relative dovrà cedere il posto a qualcuno che ne ha prese meno (comunque un candidato che ha preso più del 40%, non uno sconosciuto).

Più tante altre magagne di cui ti accorgi soltanto quando il sistema va a regime. Non mi resta che conquistare una nazione e fare l'esperimento, ciao.

Che ne dite, vi fa schifo? Scrivetemi i vostri sistemi elettorali preferiti!
Comments (32)

La corte è incostituzionale

Permalink
Il 2013 è stato, tra le altre cose, l'anno in cui un papa ha deciso - solo lui può deciderlo, in quanto infallibile - che non era più in grado di fare il papa - quindi non era più infallibile; quindi potrebbe anche essersi sbagliato. D'altro canto, se si fosse sbagliato, sarebbe tuttora il Papa, quindi infallibile... Nello stesso periodo il presidente della repubblica diceva in giro di non voler fare il presidente. Poi è stato riconfermato, ma adesso c'è un problema. Il parlamento che lo ha riconfermato è stato eletto con un sistema elettorale incostituzionale.

Non può nemmeno cedere il posto al Quirinale al presidente precedente - sé stesso - visto che anche nel 2006 era stato nominato da un parlamento eletto con lo stesso sistema elettorale. D'altro canto, chi è che ne afferma l'incostituzionalità? La corte costituzionale. E tuttavia la Corte è nominata per un terzo dal parlamento in seduta comune, e per un altro terzo del presidente della repubblica. Almeno sei membri della Corte sono espressione di un parlamento eletto in modo non conforme alla costituzione, o di un presidente della repubblica espressione di un simile parlamento. Insomma la corte costituzionale, che nel suo campo come Ratzinger era infallibile, ha infallibilmente ammesso di non essere del tutto legittima. Se non è legittima, la sua sentenza sull'incostituzionalità del sistema elettorale è impugnabile? Ma da chi?

Sono sicuro che esiste una scappatoia pragmatica a questa deriva escheriana. Per esempio, Ratzinger dal Vaticano non esce più. Lo tengono lì. Metti che un giorno si sveglia e si rende conto di essersi sbagliato, di essere ancora il Papa - d'altro canto se fosse il Papa non avrebbe potuto sbagliarsi, e così via. Il 2013 è un sogno bislacco da cui non riesco a svegliarmi.
Comments (17)

Il semibluff

Permalink
C'è un motivo molto semplice per cui il presidenzialismo potrebbe diventare davvero nei prossimi mesi il nuovo obiettivo del PD, chiunque lo dirigerà: un motivo che non coincide con il solito entusiasmo veltroniano, né con una supposta volontà di arrivare a un compromesso col maledettissimo alleato, Silvio Berlusconi. Il PD potrebbe diventare presidenzialista perché solo col presidenzialismo, forse, il PD potrebbe per una volta vincere. Forse. Meglio largheggiare coi forse. Ma non è una coincidenza che di presidenzialismo e doppio turno si riparli dopo il risultato sorprendente del primo turno alle amministrative: un partito che a livello nazionale sembra aver sbagliato tutto, perdendo elezioni già vinte e subendo l'umiliazione di un connubio con Berlusconi che dovrebbe alienargli la simpatia dei suoi elettori più fedeli, a livello locale continua a vincere. Cosa fa la differenza? Lo sappiamo tutti: i candidati.

Il PD ha dei candidati credibili. Non sempre, ma abbastanza spesso da trovarsi in vantaggio. Il PdL ne ha di meno: il suo fondatore non si è mai posto il problema di selezionare o formare personaggi di reale spessore (che avrebbero potuto eclissarlo). Quanto al M5S, ne fa orgogliosamente a meno e rivendica il dilettantismo dei suoi candidati, che spesso restano sconosciuti anche ai concittadini che li dovrebbero votare: e non sempre un comizio di Beppe riesce a metterci una pezza, né Beppe può continuare a comiziare dappertutto. Alla fine votare un candidato PD è in molti comuni d'Italia un gesto assai meno faticoso che votare il PD in sé, come entità astratta e ormai piuttosto astrusa, sulla scheda delle elezioni legislative. Il PD ha tanti difetti, ma può contare su facce né troppo nuove né troppo impresentabili. Se solo si potessero votare, anche a livello nazionale, le facce e non gli stemmi... Se poi ci fosse il doppio turno, il candidato PD potrebbe profittare della volatilità dell'elettorato a tendenza M5S, che se costretto con una pistola a tempia a scegliere tra un candidato PdL e uno (non troppo d'apparato) del PD, nella maggioranza dei casi sceglierebbe il secondo. O si asterrebbe, ma l'astensione non è una protesta, è una resa. (Continua sull'Unita.it).

Tutto questo porta quasi necessariamente il PD verso un’idea presidenzialista (o semipresidenzialista, non fa tutta questa differenza) che storicamente proviene da tutt’altra direzione: per molti anni la sostenne solo il Movimento Sociale di Almirante, in isolamento non troppo splendido. Poi piacque a Craxi, e Berlusconi la portò in bicamerale, contentandosi alla fine di scrivere semplicemente “Berlusconi” sullo stemma del suo partito con tanti nomi e una faccia sola. Parte dello scetticismo, a sinistra, è ancora di scuola antifascista: la nostra costituzione non sarà la più bella del mondo, ma la centralità del parlamento ha impedito che un altro uomo solo si ritrovasse al potere. Non ha impedito l’ascesa di Berlusconi, ma in un qualche modo è riuscita a contenerlo: anche per la fortunata circostanza che portò al Quirinale, nel ventennio berlusconiano, tre inquilini non berlusconiani (sarebbe potuto andare molto peggio). Se Berlusconi avesse vinto un’elezione presidenziale in quegli anni – e i numeri per vincerla li aveva – si sarebbe trovato investito di un potere assai maggiore di quello che esercitò tra il 2001 e il 2006 e tra il 2008 e il 2011. È difficile immaginare che si sarebbe dimesso da solo due anni fa, nel furibondo autunno dello spread.
Ci sono poi ovviamente presidenzialisti seri, che hanno sostenuto questa idea in tempi non sospetti, e con argomenti non banali. È vero che un parlamento ‘liberato’ dalla necessità di sostenere il premier potrebbe diventare un luogo più produttivo. Ma è difficile immaginare in Italia un cosa come la coabitazione, che anche in Francia è passata di moda da quando si è fatto coincidere il mandato presidenziale con quello parlamentare. Nei fatti un presidente già dotato di grandi poteri, e legittimato da un’elezione diretta (sebbene a doppio turno) potrebbe contare anche su un parlamento compiacente. È un’idea che può affascinare solo chi ha la sensazione di poter vincere, nel momento in cui le personalità del M5S sono ancora allo stato larvale e Berlusconi sembra un po’ spompato – ma è dieci anni che sembra spompato, ed è già sopravvissuto a tre segretari PD. È quasi un bluff: il PD le ha sbagliate quasi tutte, ma se si gioca la carta carisma, forse Renzi (o Letta) possono ribaltare il tavolo. Forse. Forse. Ma è una tattica a cortissimo termine, che nel lungo periodo rischia di lasciarci un sistema fortemente squilibrato, fin troppo adatto alle pulsioni populiste degli italiani, alla loro tormentosa ricerca dell’Uomo Forte. Se almeno fossimo bravi a trovarlo, quest’Uomo: ma da Crispi a Mussolini, da Craxi a Berlusconi a Grillo, sembriamo sempre più affascinati da personaggi che in altri Paesi avrebbero fatto carriera giusto nell’avanspettacolo.http://leonardo.blogspot.com
Comments (8)

Tre argomenti contro il presidenzialismo (in Italia, almeno)

Permalink








Non è tanto l'atavica passione per l'Uomo forte. È proprio che non sappiamo sceglierceli, 'sti uomini, sembrano tutti presi a nolo da una compagnia di avanspettacolo.
Comments (42)

Il Popolo si è espresso

Permalink
La democrazia diretta, come pensano che funzioni alla Casaleggio e Associati:


(Secondo me Paint bastava e avanzava per rendere il concetto, ma se uno più bravo di me, ad es. chiunque, vuole fare un grafico più professionale, io questo lo cancello anche subito).
Comments (47)

Un pastrocchio con nomi e cognomi

Permalink
Tra tante cose discusse e discutibili che troveremo nella nuova legge elettorale, c'è una clausola che rischia di passare inosservata, mentre forse è la chiave di volta della repubblica che ci attende (la terza? la seconda? Abbiamo perso il conto). Le prossime elezioni del 2013 saranno elezioni "quasi" presidenziali. Non sceglieremo più una coalizione (d'altro canto si è già visto che le coalizioni non sempre reggono), ma sulla scheda troveremo i nomi che ogni partito candiderà alla presidenza del consiglio. In fondo si tratta di formalizzare qualcosa che i principali partiti facevano già: sulle schede del 2008 si leggevano molto evidenti i nomi "Berlusconi", "Veltroni", "Casini", "Di Pietro", stampigliati nei rispettivi bollini. Eppure oggi non siamo governati né da Berlusconi, né da Veltroni. La caduta di Berlusconi ha provvisoriamente interrotto il tentativo di trasformare la repubblica parlamentare in semipresidenziale, senza modificare la Costituzione formale (perché il tempo e il consenso non si trovano mai), ma semplicemente truccando le schede. Un tentativo più che mai berlusconiano, non solo perché Berlusconi ne era tra i fautori (del resto anche a sinistra l'idea non dispiaceva a tutti), ma soprattutto per il metodo: cambiare la Costituzione è troppo complicato? E allora cambiamo il bollino: se modifichi la forma, prima o poi anche la sostanza si adegua (continua sull'Unita.it, H1t#119)

Quando però la prassi del nome diventerà ufficiale sarà difficile continuare a parlare di Repubblica parlamentare. Sul piano formale, la nomina del Presidente del Consiglio continuerà a spettare al Capo dello Stato; sul piano sostanziale, al termine di mesi di campagna elettorale ovviamente personalizzata, gli elettori avranno la sensazione di avere eletto il loro presidente. Anche in una situazione di crisi, un governo tecnico di fine legislatura come quello di Monti diventerà praticamente impossibile: la legislatura legherà il suo destino a quello del premier ‘eletto’ dal popolo. Non sarà nemmeno necessaria la maggioranza assoluta dei consensi: chi riuscirà a farsi crocettare almeno una scheda in più, Alfano o Bersani che sia, sarà autorizzato a formare qualsiasi governo con qualsiasi coalizione, senza tradire nessun mandato elettorale né formale né sostanziale. Si capisce che la cosa possa piacere sia ad Alfano, sia a Bersani, sia all’UDC che come ago della bilancia potrebbe veder raddoppiato il suo potere contrattuale: specie se Lega, SeL e IdV (e 5 Stelle) non riuscissero a superare lo sbarramento.
E in caso di emergenza? Quando un leader non riesce più a governare e la situazione economica o geopolitica rende rischioso il ricorso a elezioni anticipate? Non è un caso così impossibile, come abbiamo visto negli ultimi due anni. E dunque sappiamo che il capo di un governo senza più maggioranza né consenso nel Paese ha davanti a sé due strade. Può tirare a campare, forte del sostegno degli italiani che hanno crocettato il bollino col suo nome, comprandosi letteralmente la fiducia di parlamentari eletti in altri schieramenti: è quello che ha fatto Berlusconi tra gli autunni 2010 e 2011, un intero anno buttato via a inseguire i capricci di Scilipoti e compagnia. Oppure il premier può farsi da parte e lasciare che una maggioranza diversa prenda forma ed esprima un governo diverso. Direi che i fatti hanno mostrato quale delle due vie dia risultati e quale sia quella fallimentare. Ecco, dal 2013 questa potrebbe diventare l’unica praticabile. Come se dagli errori i nostri statisti non riuscissero a imparare nulla. Forse soltanto come commetterne più spesso, e più grossi ancora. http://leonardo.blogspot.com
Comments

Riforme costituzionali nella notte di San Lorenzo

Permalink
L'hai vista?


Bravo, adesso esprimi anche tu la tua riforma costituzionale. (Il pareggio di bilancio non vale, l'ha già detto Frau Angela). Il pezzo è sull'Unità.it (H1t#85) e si commenta laggiù.

Le 21 notti proseguono a breve, con l'eliminazione del primo candidato. Tenete duro!

“Va bene, la notte è quella giusta, il clima è perfetto, abbiamo scelto l'altura più adatta, ci siamo portati binocolo e telescopio, e poi...”
“Non prendertela, dai” 
“...con questa luna non si vede niente”. 
“Non è detto, bisogna aspettare”. 
“Io però tra un po' m'addormento, te lo dico”. 
“No. Parliamo. Senti, tu che ti tieni informato, mi spieghi cos'è questa storia che vogliono mettere nella Costituzione il pareggio del bilancio?” 
“Ma niente, è un pallino dei tedeschi. A quanto pare la loro costituzione è molto rigorosa su questa cosa del bilancio”. 
“E quindi?” 
“Ecco, devono aver pensato che il problema di noi italiani è che non abbiamo una legge altrettanto rigorosa in materia. Appena l'avremo, ovviamente la rispetteremo, tutti se ne renderanno subito conto e si rimetteranno a comprare i nostri bond, insomma il ragionamento dev'essere più o meno questo”.
“Geniale”. 
“Trovi?” 
“Sì, cioè... potevamo pensarci prima, no? Sai quanti problemi in meno?”
"Quindi sei favorevole”. 
“Assolutamente. Però se proprio dobbiamo mettere mano alla Costituzione, già che ci siamo potremmo risolvere altri annosi problemi, tipo, che so, la disoccupazione”. 
“La disoccupazione? E come la risolvi?” 
“Alla tedesca: aggiungiamo un articolo sulla Costituzione che dica che il lavoro è un diritto, e che lo Stato deve fare il possibile perché tutti possano averne uno... ovviamente si dovrebbe formulare un po' meglio...” 
“Qualcosa del tipo: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo dir... eccola!” 
“Cosa?” 
“Una stella cadente, la in fondo”. 
“Me la sono persa. Senti, già che ci siamo si potrebbe anche fare qualcosa per la ricerca scientifica, no?” 
“Giusto! Senti questo: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.” 
“Mettici anche qualcosa sul paesaggio, così risolviamo il problema dell'inquinamento”. 
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione... eccone un'altra”. 
“Questa l'ho vista anch'io... senti, la butto lì, ma... un bell'articolo sui diritti civili? Qualcosa, non so, che desse pari diritti e dignità a musulmani e cristiani?” 
“Eh, vabbe', qua stiamo sognando”. 
“Perché no, in fondo è la notte di San Lorenzo”. 
“Allora diciamo così: Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano”. 
“Ecco, adesso aspettiamo che ne cada una grossa. Ma grossa davvero”. 
“Sì, non riesco a immaginare qualcuno in questo parlamento disposto a votare per un articolo così”. 
“Vendola?” 
“Che in parlamento non c'è. Ehi, l'hai vista questa?” 
“L'ho vista. Adesso senti questa: aboliamo la guerra”. 
“Ma dai...” 
“Anzi, la ripudiamo. Senti qui: L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. 
“Va bene, allora adesso fammi una legge costituzionale che costringa i nostri governanti a soccorrere seriamente i profughi sui barconi”.
“Dunque... Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica”. 
“Ah! Pazzesca! Questa non passerebbe mai. Adesso fammene una che tolga di mezzo i finanziamenti alle scuole private”. 
“Vediamo... Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. 
“Mi piace”. 
“Sì?” 
“Sì, è elegante”. 
“Peccato che non se ne vedano più, di stelle cadenti”. 
“Già, peccato”. 
“Era un bel gioco”. 
“Sì. Torniamo a casa?” 
http://leonardo.blogspot.com
Comments