Antiabortisti, è primavera

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Anti abortisti, non siate così tristi, 
c'è tanta vita fuori, nei prati tanti fiori,
nei parchi tanti amori.
Ma che ci andate a fare,
nei consultori?

Scegliete la vita,
mangiatevi una pita, 
o un gelato, non è un peccato.

Ballate forte, sentite il ritmo, nella notte
Lasciate i dubbi, guardate in alto, toccate il cielo,
Ascoltate il cuore, splende il sorriso, è un nuovo giorno.
Muovete i passi, al suono dei tamburi, vibra l'amore.
Danze nel vento, girate in tondo, l'eco del tempo,
Celebrate la vita, tra note e risate, in ogni angolo.

Antiabortisti, non siate così tristi,
lasciate le polemiche, nessuno ama le prediche, 
là fuori il mondo è in fiore, provate a far l'amore,
se non ne siete esperti, beh
i consultori sono tutti aperti.
I consultori sono ancora aperti.
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Litigare con le femministe

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Qualche giorno fa, quando ho espresso la mia opinione sulla gravidanza surrogata, affermando che ogni donna è libera di gestire come vuole il suo corpo, e quindi anche di concedere il proprio utero affinché nasca un bambino che altri alleveranno come un figlio, qualcuno mi ha fatto notare che le femministe non sono d'accordo. In discussioni come questa, evocare l'opinione delle femministe equivale a scatenare l'inferno col napalm perché, insomma, chi è che ha voglia di litigare sull'utero con le femministe? Pare che ne abbia voglia io.


Non avessi niente di meglio da fare. Diciamo che potendo eviterei - infatti quando posso lo evito - però è innegabile che le mie modeste opinioni siano a volte, come dire, in frizione con quelle di alcune femministe. Ho detto 'alcune', e indovino già l'obiezione: stai tentando di dividerci. Sì. Le femministe sono tante, e non la pensano tutte allo stesso modo. Lo si è visto anche in questo caso: ci sono le femministe di Se non ora quando che fanno appelli contro la maternità surrogata; c'è Michela Murgia che risponde con obiezioni, a mio avviso, puntuali ed esaurienti - per cui se siete alla ricerca di un discorso serio, andate pure di là.

Tra i tanti femminismi, mi è comodo sintetizzarne un paio e immaginarmeli divergenti, se non proprio opposti. Il primo è libertario e pragmatico: quando dice "l'utero è mio" non intende un'idea platonica di "Utero" e un'altra idea platonica di "Mio", ma si riferisce in concreto all'utero che si ha in grembo, di cui si reclama l'immediato possesso. Una donna che ha il diritto di fare ciò che vuole col suo corpo, non potrà liberamente scegliere di metterlo a disposizione di una coppia che per vari motivi non può avere un bambino? Io dico di sì (altri dicono di no: impossibile che una scelta del genere sia "libera". Dev'essere per forza condizionata dalla miseria). Offrire in "affitto" una parte del proprio corpo non sarà sfruttamento? Se ne può discutere, ma questo vale per ogni prestazione lavorativa: non c'è una frattura mistica tra la mano che uso per lavorare alla fresa e l'utero che posso usare per dar vita a un bambino: entrambi sono sottoposti a usura, entrambi possono guadagnarmi da vivere, e in entrambi i casi il salario può essere da fame e configurarsi come sfruttamento.

Invece, sapete quando possiamo essere abbastanza sicuri che ci sia sfruttamento? Quando tutto avviene nell'illegalità perché una legge proibisce lo scambio. E questo a mio avviso è l'argomento finale contro il divieto - contro gran parte dei divieti: il proibizionismo non funziona. Non funzionò con l'alcol, non funziona con la droga, non risolve il problema dell'aborto, non si vede in che modo possa arginare il fenomeno delle gravidanze surrogate. Possiamo decidere di assisterle o normarle o possiamo chiudere gli occhi, definire il tutto immorale, e lasciare che chi può permetterselo corra qualche rischio in più. C'è un tipo di femminismo che preferisce questa seconda opzione. Un femminismo benpensante - possibile?

Tutto è possibile. Si parlava sopra del proibizionismo: è abbastanza antipatico ricordarlo, ma fu uno dei risultati dell'allargamento del voto alle donne (prohibition movements in the West coincided with the advent of women's suffrage). L'atteggiamento benpensante nasce di solito dall'impossibilità di adeguare il proprio mondo ideale alle cose che effettivamente accadono. In questo caso c'è un femminismo che reclama l'utero non come parte del corpo, ma come urna sacra della femminilità. Quel che accade lì dentro, spiegano, è una cosa che non può essere paragonata a nient'altro (e non è che abbiano tutti i torti: qualsiasi paragone è difettivo: ma in questi casi hanno l'aria di considerarlo una bestemmia). Le donne potranno anche cedere l'uso delle mani, degli occhi, dei piedi; ma l'utero è su un altro piano. Ci sono donne che consentono liberamente, senza compenso? Impossibile. Ci sono donne che volontariamente scelgono, in cambio di denaro? Sono state obbligate. Nessuna cifra, del resto, potrebbe valere una gravidanza. Sostenere il contrario sarebbe neoliberismo.

Le esponenti di questo tipo di femminismo, di solito, hanno una concezione abbastanza tortuosa del diritto all'aborto. Benché abbiano lottato per l'interruzione di gravidanza, non cessano di ricordare quanto essa sia traumatica, un male magari necessario, ma un male. E si capisce: se santifichi l'utero, poi non puoi ammettere che esista gente che abortisce semplicemente perché le fa comodo. No, devono tutte abortire tra le lacrime. Ora, sono il primo a incazzarsi quando leggo le puttanate del Foglio sulle tizie che abortiscono per andare in vacanza. Però l'idea che ogni donna debba sempre sentire ribrezzo per l'aborto è una proiezione morale. Ci saranno anche donne che hanno abortito senza grossi patemi, che non l'hanno vissuta "come tutta ‘sta tragedia che pare necessario continuare a raccontarsi". Dobbiamo far finta che non esistono?

Corriere.it

Col tempo ho trovato un altro parametro che mi sembra ormai infallibile. Di solito le femministe con cui vado d'accordo hanno un'idea abbastanza piana del fenomeno della prostituzione: sebbene in molti casi sia una forma di sfruttamento, reprimerlo non avrebbe senso. Peraltro se è un diritto della donna (e dell'uomo) disporre del proprio corpo come vuole, questo diritto contempla anche la possibilità di prostituirsi. Occorrerà quindi aiutare le vittime dello sfruttamento e sostenere i diritti delle sex-workers.

Invece per le femministe con cui non vado d'accordo è tutto un racket. Non esiste una prostituta libera: sono tutte sfruttate. Sempre. Una volta mi spiegarono che anche oggi, in Italia una qualsiasi donna libera che volesse tentare l'esercizio della prostituzione senza far parte di un racket sarebbe stata immediatamente raggiunta dagli emissari del racket medesimo, e fatta schiava. Perché non si dà prostituzione senza sfruttamento e schiavitù. Chi potrebbe mai acconsentire liberamente a pratiche così intime in cambio di denaro? La prima volta che ho sentito un discorso così ho alzato le spalle, vabbe', si vede che viviamo in due universi paralleli. Poi mi è caduto l'occhio sulla legislazione repressiva di alcuni paesi che eravamo abituati a considerare fari di civiltà - che so, la Svezia - paesi in cui un certo tipo di femminismo aveva avuto un po' di voce in capitolo. Anche in quel caso, si punisce il cliente perché non si ritiene una donna in grado di scambiare liberamente sesso in cambio di denaro. Qualsiasi cliente acceda a una prostituta la sta adescando, la sta corrompendo, la sta sfruttando. Affermare il contrario - affermare che una donna possa liberamente scegliere di affittare parti del corpo in cambio di denaro - significa cedere a una mentalità economicista, neoliberale.

Potrei obiettare, e l'ho già fatto, che l'economia almeno esiste, è un modo di descrivere gli scambi tra le persone: mentre questa mistica della femminilità, tra il romantico e il pagano, secondo me si adatta molto meno a descrivere il mondo in cui vivo. Ma devo anche confessare un sospetto. L'economia non è che spieghi tutto, ma potrebbe spiegare anche il fenomeno di un gruppo di donne che non sopporta l'idea che altre donne scambino sesso in cambio di denaro; né l'idea, ancora più estrema, che una donna possa dietro compenso mettere a disposizione il proprio utero. Quella che chiamate barbarie, altri potrebbero definirlo dumping.
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Il giorno che hanno fatto santo l'utero

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Non so se è successo anche voi, di svegliarvi un mattino e scoprire che affittare un utero era diventato peccato mortale.

D'accordo, la pratica è relativamente moderna; di sicuro non potevano parlarne i padri della Chiesa o i cardinali al concilio di Trento; e nessuno nega di poter trovare discutibile, l'offerta di una facoltà del proprio corpo in cambio di denaro - ma allora, chi di mestiere usa le mani, i piedi, la testa? Non le sta in sostanza "affittando" a un utente in cambio di denaro? E chi si vende un rene? Quello non è affitto, non ti torna più indietro, perché nessun cardinale sembra aver notato lo scandalo della cosa? Perché nessun cattolico alza la voce contro trasfusioni o trapianti? Perché sempre solo in quella zona del corpo? Sono domande interessanti, ma io non le farei a voce troppo alta. C'è il rischio che qualcuno si ponga il problema davvero, e magari domani oltre ai manifestanti contro il mercimonio dell'utero avremmo quelli contro la compravendita dei reni. Perché è così che funziona.

Chi accusa la Chiesa di rimanere attaccata alle proprie tradizioni, non si accorge che la Chiesa le tradizioni le stravolge continuamente: per San Tommaso la vita non cominciava dal concepimento, per papa Francesco sì. Non c'è stata nessuna precisazione dello Spirito Santo, nel frattempo. Ma a un certo punto la modernità è arrivata, ha notato un problema - i costi sociali e umani degli aborti clandestini - ha proposto di risolverli depenalizzando gli aborti, e la Chiesa ha detto di no. Perché?

- Perché la vita comincia dal concepimento.
- Ma chi l'ha detto?
- Noi adesso.
- Funziona così?
- Funziona così.
- Comodo però.
- Vero?

In modo analogo, a un certo punto la modernità ha deciso che l'omosessualità non era una malattia, una tara. Bisogna dire che è stata convincente, se oggi persino molti uomini di Chiesa hanno imbarazzo a trattare i gay da handicappati. Quindi come si fa a negare loro il diritto a sposarsi? Se sono persone come gli altri... ma no, guarda, è facile. Basta ricordare che il matrimonio è finalizzato alla procreazione, e quella Dio l'ha donata soltanto alle coppie etero. Lo dice il Catechismo.

- Veramente il Catechismo dice che "I coniugi ai quali Dio non ha concesso di avere figli, possono nondimeno avere una vita coniugale piena di senso, umanamente e cristianamente. Il loro matrimonio può risplendere di una fecondità di carità, di accoglienza e di sacrificio" (1654). Cioè in pratica se sposo una persona del mio stesso sesso potrei persino adottare, "risplendere di una fecondità di carità, di accoglienza e di sacrificio", c'è scritto così...
- No.
- Perché no?
- Perché se ti sposi con una persona del tuo sesso tu sai già benissimo che Dio non ti concederà di concepire figli.
- Quindi bisogna togliere il diritto di sposarsi a quelli che sanno già di essere sterili?
- Loro possono sperare in un miracolo.
- E un gay non può?
- No.
- Chi lo stabilisce?
- Io in questo momento.
- Non stai ponendo limiti alla misericordia di...
- Sii serio, su.
- Ma insomma, niente fecondazione niente matrimonio?
- Niente matrimonio.
- Senti, mettiamola su un altro piano. Se io fossi cieco, e volessi vedere, e la tecnologia mi consentisse di farlo, Dio si opporrebbe?
- In quel caso la tecnologia sarebbe un dono di Dio.
- Perfetto. Invece sono un gay che vuole avere bambini.
- Cioè smettere di essere gay.
- No. Sono un gay. Non c'è niente di male a essere gay. Ma Dio mi ha dato anche il desiderio di avere un bambino.
- Allora non è più un dono di Dio. È un capriccio.
- Ma la tecnologia mi consente di averlo.
- Allora la tecnologia è immorale.
- Cosa c'è di immorale nel desiderare di avere bambini?
- Ci devo pensare su, ma c'è senz'altro qualcosa... trovato. Devi usare un utero non tuo.
- Embè?
- Lo devi pagare.
- Non necessariamente, ma se anche fosse?
- È un orribile mercimonio.
- Lo hai deciso adesso, vero?
- Creerà un discrimine tra chi si può permettere un utero e chi no.
- Ma anche un sacco di opportunità di lavoro.
- Non è lavoro, è un orribile mercimonio.
- Perché metti a disposizione una parte del tuo corpo? E allora chi lavora con le mani? Con gli occhi? con le corde vocali?
- L'utero è su un altro piano.
- C'entra il sesso, vero?
- Che orribile gioco di parole.
- Alla fine è tutto lì. Non vi piace il controllo delle nascite, e vi inventate l'umanità dell'embrione - tra l'altro a quel punto vi tocca riempire l'inferno di embrioni non nati e quindi non battezzati.
- Abbiamo abolito il Limbo.
- Lo avete fatto l'altro ieri.
- È così che funziona.
- Poi ai gay vien voglia di avere una famiglia, e a quel punto scatta tutta una serie di proposizioni che ci conducono alla sacralità dell'utero. Non fate prima a dire che i gay sono orribili peccatori?
- Mi stai offendendo, io non discrimino nessuno. Ho a cuore gli uteri dei poveri e tutti gli embrioni del mondo. Che hanno il diritto di crescere con un padre e una madre.
- E gli orfani?
- Anche adottati. Ma da un padre e una madre.
- E i figli di separati?
- Eh, fosse stato per noi...
- Senti, non è scritto da nessuna parte che è un diritto.
- Lo scrivo io adesso.
- No. No. Non funziona così.
- E come funziona, sentiamo.
- Dovresti dimostrare che... senti, partiamo da un punto su cui siamo d'accordo. I bambini hanno diritto a crescere nel modo migliore.
- Cioè con una madre e un padre.
- Come fai a essere sicuro che sia il modo migliore?
- È quello naturale.
- Per favore, dai. La natura.
- La natura.
- Anche la peste bubbonica è naturale. I terremoti sono naturali. Non mi vorrai mica dire adori la natura. Che sotto lo zuccotto porti treccine da sciamano.
- Si è sempre fatto così.
- Lo dissero anche a Semmelweis quando si lamentava che le infermiere non si lavassero le mani tra obitorio e maternità. "Si è sempre fatto così", e le donne morivano di parto. Le cose cambiano.
- Certe cose no.
- La famiglia naturale è quella che ha cresciuto miliardi di psicotici. Il luogo dove tuttora avvengono più abusi.
- Chi lascia la vecchia via per la nuova...
- Eh?
- È un proverbio.
- Lo so che è un proverbio, mi hai preso per scemo? Questo è un dibattito tra la Modernità e la Chiesa su temi di bioetica, potremmo citare filosofi e teologi e tu mi citi un proverbio scemo?
- È che alla fine tutto si riduce a questo. Io la vecchia via la conosco. So che produce tot psicotici, tot abusi, tot risultati accettabili. E mi sta bene. Tu invece, la tua via, lo sai a cosa porta?
- ... (Continua) (Sul serio).
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Perché i cristiani non ammazzano gli abortisti (quasi mai)?

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Se ci pensate, è curioso.

Un tizio negli USA entra in una clinica dove si programmano aborti, e si mette a sparare; uccide un po' di personale medico ma da noi non fa quasi notizia. D'altro canto in Kenya hanno ammazzato una cooperante italiana, in Turchia un avvocato dei curdi, è un periodo difficile. Ci sono apprezzabili motivi storici e geografici per cui oggi in Italia possiamo aver paura più del terrorismo di matrice islamica che di quello antiabortista che da noi per ora non esiste. Peraltro, chi volesse approfittare di un fatto tanto estremo per attaccare gli antiabortisti italiani, si tirerebbe la zappa sui piedi: per quanto sia gente odiosa, non va in giro a sparare a medici o infermieri.


A me però un giorno piacerebbe discutere proprio di questo: perché gli abortisti italiani non vanno in una clinica e fanno una strage? Non per polemica, credo che sia una domanda interessante e meno retorica di quanto potrebbe sembrare.

Credo che ogni religione abbia una sua logica, che funziona magari solo se la osservi dall'interno - il che significa, per esempio, che in teoria potresti catechizzare un robot. Ma appunto, se a un robot spieghi che

1. La vita ha inizio dal concepimento
2. A chi muore prima del battesimo è negata la grazia di Dio, e di conseguenza il paradiso

"Genocidio o scelta?"
Questo robot non potrebbe che dedurne che ammazzare i medici abortisti è cosa buona e giusta, così come sarebbe stata cosa buona e giusta ammazzare Hitler prima che iniziasse a sterminare disabili, ebrei, rom, eccetera. Lasciatemi per una volta usare proprio il consuntissimo paragone col fuehrer, perché i numeri me lo consentono; se crediamo che la vita abbia inizio dal concepimento (e i cristiani ci credono!) quello che i parlamenti di tutto l'occidente hanno progressivamente legalizzato dal dopoguerra in poi è un vero e proprio sterminio di massa, degno di figurare accanto a quelli più o meno professionalmente organizzati da Mao o Stalin o altri.

Per il cristiano però l'aborto è ancora più grave: non soltanto strappa alle sue vittime la vita terrena (una proprietà, per i cristiani, trascurabile), ma pregiudica anche la felicità nella vera vita, quella eterna. Non è solo un infanticidio di massa - che già sarebbe grave - ma è uno sterminio di anime. Anche se su quest'ultimo punto si annida un po' di provvidenziale bruma teologica. Forse la decisione del penultimo papa di eliminare l'"ipotesi" del Limbo nasce proprio dalla volontà di stemperare i toni: si trattava di una regione liminare dell'inferno dove i bambini non battezzati bruciavano a fuoco lentissimo ("damnatione omnium mitissima", diceva Agostino), ma comunque bruciavano. Io a una cosa del genere mi rifiuterei di credere, ma se ci credessi non avrei alternative a farmi esplodere in un consultorio: come potrei sopportare di convivere con un'umanità che permette che dei bambini non nati brucino in eterno? Se però decidiamo di non porre limiti alla misericordia di Dio, il pensiero dell'infanticidio diventa un po' più sopportabile. Ma pur sempre infanticidio resta.


Ecco, quando discutiamo del cosiddetto "islam moderato", e ci sembra una contraddizione in termini, (come si possono "moderare" certi dettami del Corano?) forse potremmo fare un confronto con una situazione del genere: uno dei principi più strenuamente difesi dal cattolicesimo moderno - non quello medievale, tomista, no: quello post-conciliare - è la sacralità della vita dal concepimento. È un principio che non ha nulla di "moderato", il famoso "valore non negoziabile": chi abortisce è un'assassina, chi l'aiuta è complice di strage. La "moderazione" non interviene sul piano ideologico, ma su quello pragmatico. Cioè, nella teoria un cattolico non può non pensare che Emma Bonino sia una stragista dichiarata. Nella pratica, se la incontra in chiesa durante un rito funebre non si sbigottisce; addirittura può domandarsi come mai non la facciano salire sul pulpito per dire due parole. Questa ci sembra "moderazione", ci sembra "buon senso", ma se fossimo un po' più estranei alla situazione potremmo anche chiamarla "doppiezza", o "ipocrisia". Come quando accusiamo i rappresentanti dell'"Islam moderato" di non raccontarcela giusta, di fingere di non vedere i passi più violenti del Corano che pure sono attualmente messi in pratica nelle teocrazie e nelle repubbliche islamiche.

Quando poi capita che un tizio entri armato in un consultorio e faccia fuoco su dei dottori, lo chiamiamo "matto". Non ci attraversa nemmeno per un istante l'idea di accusare il Papa, o qualche pastore protestante, di averlo ispirato. Eppure.
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Un'altra #croce, un altro #bluff

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Adinolfi non è mai riuscito a essermi antipatico come dovrebbe e vorrebbe. Anche a causa della stazza, l’ho sempre assimilato a quei personaggi che a scuola capiscono di non poter recitare altro ruolo che quello del bersaglio, e invece di interpretarlo con rassegnazione, vi si spendono con voluttà. Dopo tanto aver penato tra democristiani e democratici; dopo aver cavalcato la battaglia generazionale prima d’altri, ma con minor fortuna; dopo aver venduto i segreti di giocatore d’azzardo (i vincitori di solito se ne guardano bene), Adinolfi s’è ritrovato come al solito da solo: abbastanza solo da giocare la carta del bigottismo antigender, che a dispetto della pubblicità che gli fanno gli avversari, è una nicchia assai piccola: certo, a un passo c’è l’enorme bacino dei cattolici mediamente omofobi, che se prospetti lezioni di omosessualità a scuola, magari si spaventano e ti comprano il giornale… no. Ci ha provato, non ha funzionato. Ma probabilmente lo sapeva dall’inizio. Fu già Ferrara 7 anni fa con la sua lista pazza antiabortista a dimostrare quanto sia poco sensibile a queste novità il ventre molle del cattolicesimo italiano: La Croce era un progetto fallito in partenza, ma fallire è sempre meglio di non esistere. Avrebbe potuto aprire un blog, ma non glielo avrebbe pagato nessuno: lo ha stampato di carta per qualche mese, e adesso ha un argomento per vendervi un abbonamento on line. Contenti voi. D’altro canto, fidarsi di uno che vendeva consigli su come vincere a poker.
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Come stai vecchia stragista

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Non è commovente che papa Bergoglio telefoni a Emma Bonino per chiederle come sta? Un po’ sì. Però è assurdo.

Non mi considero molto radicale, ma stimo la Bonino; nemmeno così cattolico, ma rispetto Bergoglio. Gran parte della mia considerazione per loro, tuttavia, poggia sul fatto che non possano andar d’accordo, e nemmeno rispettarsi. La Bonino ha combattuto in prima linea la lotta non violenta ma acerrima per la legalizzazione dell’aborto. In un anno si autoaccusò di avere aiutato diecimila madri ad abortire. Non se n’è mai pentita e che io sappia non ha mai rivisto la sua posizione. Il papa dirige l’organizzazione che nel mondo ha più osteggiato la legalizzazione dell’aborto.

Se per Bergoglio la vita inizia col concepimento, e interrompere una gravidanza equivale a interrompere una vita, non si vede come Emma Bonino possa essere per lei altro che un’assassina seriale, e della peggior specie: non avendo lei ucciso per passione o convenienza, ma perché lo riteneva giusto e legalizzabile. Il capo di una religione che costringe le donne ad abortire di nascosto e un’assassina seriale di feti cos’hanno da dirsi di gentile al telefono? Onestamente non lo capisco.

L’unica ipotesi che mi riesce è che sia un gioco delle parti: e che a questa storia dell’aborto-assassinio persino il papa creda fino a un certo punto. Un’iperbole retorica, che si mette via quando è ora di telefonare a una brava persona e chiederle come sta. Ma ai suoi fedeli sta bene? Non ci trovano niente da ridire?
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Soffia sulle candeline

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(Oggi Giuliano Ferrara compie 63 anni, a dar retta a wiki. Tanti auguri).

Soffia sulle candeline (G.Giacobetti/V.Savona/B.A.Stardo)


Tanti auguri per te,
tanti auguri per te,
Mille giorni felici.
Tanti auguri per te.

Se compi un anno stringi forte le manine,
prendi fiato a più non posso e soffia, soffia innanzi a te:
soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

Se son due anni e già le prime paroline
tu sai dire alla mammina, prendi fiato insieme a me:
soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

E se invece gli anni sono tre,
un brindisi puoi fare... ma non rompere il bicchier.
A quattr’anni puoi già far da te:
tagliar la torta a fette e darne un poco pure a me.

A cinque anni coi bambini e le bambine
una festa tu farai dedicata tutta a te!
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

Se son sei anni già ricevi cartoline
mentre il nuovo sillabario si fa leggere da te:
soffia sulle candeline! ecc.

Se son sette già raccogli figurine
dei campioni del pallone che gareggiano per te:
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

Quando invece otto anni avrai,
ti senti già Pioniere e i giardinetti esplorerai.
Anni nove: vuoi fare il ballerin
e balli l'hully gully con la figlia del vicin.

A dieci anni, che passione per il cine!
Entusiasta dei cow boy, cosa mai potrai temer?
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

A sedici anni vuoi già fare il Sessantotto
a Valle Giulia un poliziotto
sta inseguendo proprio te.[51]
Soffia sulle candeline! ecc.

A vent'anni metti incinte ragazzine
che abortiscon clandestine
per non dar fastidio a te[43].
Soffia sulle candeline! ecc.

A ventuno sei già ben retribuito[3],
con un posto nel partito
che papà trova per te.
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te.

A ventotto ti trovi migliorista
ti candidi a Torino e hai il primo posto nella lista[6].
Quando invece i tuoi trent'anni avrai
per Sabra e per Shatila i tuoi piedini pesterai[10].

A trentacinque hai una rubrica sul Corriere,
cosa mai potrai temere?
Craxi veglia su di te.
Soffia sulle candeline! ecc.

A quaranta che passione per la tele
ci conduci trasmissioni che si scrivono per te...
Soffia sulle candeline! ecc.

A quarantadue vuoi fare per davvero
prima provi un ministero, ma non era adatto a te.
Soffia sulle candeline! ecc

A quarantatré vuoi far l'intellettuale
sopra un foglio originale
che ora stampano per te.
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te!

A cinquanta alla guerra vuoi chiamar
e il drappo d'Israele, eroico, in piazza sventolar.
Cinquantotto - e hai già un'altra passion:
diventi antiabortista e salvi tanti, tanti embrion.

Su questa torta rilucente di perline,
dopo sessanta candeline altre cento aspettan te.
Soffia sulle candeline! Tanti auguri, tanti auguri per te.

Tanti auguri per te,
tanti auguri per te!
Mille giorni felici,
Tanti auguri per te.
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Come dar ragione alle Sentinelle

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Trentino - Corriere delle Alpi, 5 ottobre
È molto difficile immaginare ormai come sarebbe la mia vita senza social network - senz'altro più piena, più soddisfacente, e chissà quanti libri avrei letto in più eccetera - in particolare credo che questa settimana non avrei sentito parlare delle Sentinelle, un gruppo non particolarmente numeroso o interessante di attivisti pro-life e anti-gay, che a quanto pare si ritrova nelle piazze a legger libri. Svanito l'effetto novità, un tipo di manifestazione del genere è destinato a scivolare nelle pagine locali dei quotidiani, dove senz'altro non me lo sarei andato a cercare: e probabilmente a questo punto me le sarei anche dimenticate, le Sentinelle. 

Invece è da sabato che sento soltanto parlare di Sentinelle sui social network, il che è molto interessante dal momento che come tutti tendo a selezionare, più o meno consapevolmente, i contatti che condividono con me informazioni e sensazioni. Chi continua a farmi sapere quanto siano fasciste le Sentinelle, intolleranti le Sentinelle, stupide e ignoranti le Sentinelle, è una persona che più o meno la pensa come me su tante cose. Nello specifico, considera l'aborto un diritto, e il matrimonio pure, e ritiene che finché quest'ultimo non sarà esteso anche ai gay, essi saranno vittima di una grave discriminazione. Io perlomeno la penso così, e così più o meno la pensa la nuvola di contatti che mi circonda sui social. Ed è da tre giorni che gran parte di questi contatti mi sembrano scandalizzati, piccati, in alcuni casi persino arrabbiati, perché un gruppo di attivisti che non la pensa come loro sta manifestando in alcune piazze nel modo più pacifico possibile.

È come se l'abitudine di circondarsi di persone che la pensano come noi ci stesse in un qualche modo disabituando a convivere con un dato di fatto: là fuori c'è un mondo, che molto spesso (quasi sempre) non la pensa come noi. In particolare l'omofobia delle Sentinelle, per quanto penosa, si attesta probabilmente intorno alla media nazionale: che è poi il banale motivo per cui in altri Paesi i gay si sposano tranquillamente da anni, ormai, e da noi i politici fanno ancora un po' di fatica a parlarne. Però con le Sentinelle avviene una curiosa inversione: quando sento parlarne sui social, mi sembra quasi che la minoranza siano loro. Insomma, tutti gli danno addosso. Tutti li prendono in giro. Li trovano ridicoli, irridono le loro fisionomie e i libri che leggono, li paragonano a nazisti o mullah, eccetera. Un'altra caratteristica dei social, proprio perché formano comunità più o meno lasche di individui, sono le dinamiche di branco; non importa quanto siamo in pochi, c'è da qualche parte in rete uno spazio in cui siamo la maggioranza, la pensiamo tutti uguale, e quindi possiamo infierire sulla pecora nera. Con le Sentinelle il meccanismo scatta fin troppo facilmente, anche perché pur muovendo da premesse fasciste e omofobe, ostentano in piazza l'atteggiamento più passivo possibile. Si mettono lì in piedi e leggono un libro (va bene uno qualsiasi). Troppo facile prenderli di mira, no? Appunto. Così facile che basta rifletterci appena un po' per fiutare il trabocchetto. Il tizio che va in piazza, e nemmeno ha uno slogan da comunicare; nemmeno prova a convincerti; si mette lì impalato e sfoglia un libro, che altro sta facendo se non offrirsi proprio al tuo sdegno? E se ti sdegnerai, come in fondo è normale che sia se solo accetti di dargli un po' della tua attenzione, non gli starai per caso facendo un favore?

Si fanno chiamare Sentinelle, ma funzionano da esche: si mettono in mostra affinché li odiamo, e in breve riescono a invertire il quadro. Non sono più espressione di una maggioranza silenziosa omofoba o antiabortista, ma eroici difensori di una minoranza perseguitata, vilipesa, e sbeffeggiata. Poi, sì, restano omofobi; ma con poca fatica sono riusciti a dimostrare che sono gli altri a odiarli: gli altri, la maggioranza succube dell'"egemonia omosex". E per farlo è sufficiente passare una mezza giornata in piedi. Non male per un gruppo né particolarmente numeroso né molto interessante. A volte davvero basta avere l'idea giusta. 

Io credo che irridere i propri avversari non faccia avanzare di un passo la lotta per difendere o estendere i diritti civili, e che insomma la migliore risposta alle Sentinelle sia ignorarle. Non mi stupisce che a Bologna si sia fatto l'esatto opposto: nello stemma ideale dei movimenti bolognesi è ormai iscritto il motto "sbagliamo tutto dal '77". Reagire al loro silenzio con un silenzio incomparabilmente superiore: mi rendo conto quanto sia difficile, nel momento in cui pure io sto buttando giù 5000 battute sull'argomento. Da una parte c'è la loro esigenza di trasformarsi in vittime, dall'altra il nostro bisogno di sentirci più intelligenti, più liberi, ma anche più tosti - avrete fatto caso a come una certa goliardica arroganza sia il vestito di ordinanza in ogni comunità che prenda forma su un forum o un network. Ma insomma questi arrivano coi loro libriccini e le loro idee sceme, in sostanza ti supplicano di detestarli - e noi siamo troppo furbi, troppo splendidi per non cascarci a piedi pari. 
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Il giorno che Hitler si disse: ho esagerato

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L'unico ordine scritto di Hitler
riguardo l'Aktion T4: Al capo della 
Cancelleria del Reich Bouhler e al dottor 
Brandt viene affidata la responsabilità 
di espandere l'autorità dei medici, che 
devono essere designati per nome, perché 
ai pazienti considerati incurabili secondo 
il miglior giudizio umano disponibile 
del loro stato di salute possa essere 
concessa una morte pietosa.
24 agosto 1941 - Adolf Hitler ordina (forse) di interrompere l'Aktion T4, il programma di soppressione delle persone affette da malformazioni e malattie incurabili più o meno genetiche. Si stimano tra le sessanta e le centomila vittime in quattro anni. Ma la cosa più incredibile non è nemmeno questa. 

La cosa incredibile è che si interruppe. Hitler si fermò. Forse. Non ne siamo sicuri. Non esistono ordini scritti, un documento in cui si possa leggere "sospendete l'Aktion fino a nuovo ordine". Peraltro la strage continuò, in cliniche e ambulatori dove la cigolante catena di comando tedesca lasciava evidentemente a medici e funzionari un ampio margini di discrezionalità; alla fine della guerra le vittime erano intorno alle duecentomila unità, e crebbero ancora per un po'. Il fuehrer non amava lasciare tracce troppo evidenti che collegassero il governo a un programma che pure era stato preso per sua diretta iniziativa, e affidato a collaboratori fidati che scavalcarono il ministero della sanità. Non firmò neppure una delle bozze di legge che gli proposero sulla cosiddetta eutanasia di Stato. Eppure era una sua idea; l'aveva messa nera su bianco nel Mein Kampf; non aveva esitato a metterla in pratica appena le circostanze gli erano sembrate favorevoli; ma sapeva di non poterne andare fiero, almeno per una generazione.

La purificazione della razza ariana necessitava di una buona dose di lavoro sporco che si poteva svolgere soltanto durante una guerra: i dettagli più repellenti sarebbero stati occultati dopo la vittoria. Hitler era probabilmente pronto a sterminare milioni di connazionali imperfetti, ma non intendeva passare alla Storia per averlo fatto. Persino la "Soluzione finale della questione ebraica" (stabilita nei dettagli a quanto pare solo a Wannsee, qualche mese dopo l'archiviazione dell'Aktion T4) sarebbe stata, per quanto possibile, occultata agli storici. I tedeschi del futuro di Adolf Hitler avrebbero vissuto in una grande e purificata Germania, e non avrebbero mai saputo quali crimini erano stati necessari per forgiarla. Poi le cose hanno preso una piega diversa, lo stato di guerra totale necessario alla realizzazione di questi e altri progetti si è dimostrato un po' difficile da proseguire nel lungo periodo; Hitler si è sparato e col suo cognome oggi si spacciano le obiezioni più banali nei dibattiti sulla bioetica: ah, tu vorresti che qualcuno avesse il diritto di decidere fino a che punto è ammissibile soffrire; vorresti che nascessero meno persone affette da malattie genetiche? Sai chi la pensava come te? Adolf Hitler. E magari ti piacciono pure le verdure.

C'è naturalmente, in questo tipo di scambi, un equivoco immenso.
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Ma sentiamo adesso la nostra amica stragista

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A costo di suonare banale, al limite del lapalissiano, vorrei ricordare a tutti i lettori (e specialmente a quelli scandalizzati del fatto che Emma Bonino non possa tenere un discorso in chiesa) che i cattolici definiscono la propria posizione nella società attraverso princìpi che chiamano, non a caso, valori non negoziabili; che tra questi valori c'è la difesa della vita umana, e che la vita umana, secondo loro, comincia dal concepimento, e quindi se ne deduce, davvero con molta facilità, che un aborto è un omicidio, ed Emma Bonino un'assassina. Ma non un'assassina qualunque, perché di aborti non ne ha praticati due o tre, ma 10141 nel solo 1975: quindi una stragista, una genocida.

Non solo. A differenza di tanti banali esecutori, la Bonino non ha eseguito ordini che provenivano da qualche autorità superiore, ma tutti quegli omicidi li ha commessi in piena coscienza, rivendicandoli a testa alta, al punto di auto-accusarsi all'autorità costituita, quando abortire in Italia era illegale ma lei aveva già fondato il Centro di sterilizzazione e di informazione sull'aborto. In seguito abortire ha smesso di essere un reato, anche grazie a lei, ma i cattolici non hanno cambiato idea e non c'è nessun motivo al mondo per cui la debbano considerare con occhi diversi da quelli con cui la guardavano nel 1975: una lucida assassina seriale che non si è mai pentita, anzi che rifarebbe esattamente tutto. Per questo immaginarsi un prete che accolga Emma Bonino nella sua chiesa durante le esequie di Mariangela Melato, e che le ceda il microfono per un breve discorso, è una di quelle fantasie che possono venire soltanto a uno che in Italia ci venga di passaggio ogni tanto, e sia convinto che gli edifici coi campanili siano una cosa folkloristica gestita da impiegati comunali con buffi abiti tradizionali.

Chi in Italia viceversa ci abita davvero, e con gli italiani ci discute un po', persino coi preti, non è che possa sorprendersi più di tanto: sul serio, questa cosa dell'aborto=omicidio non è uno scherzo, una boutade che si dice ogni tanto per darsi un tono: non mi è mai capitato di sentire un cattolico che non ne sia convinto. Quelli che smettono di crederci di solito smettono anche di essere cattolici, perché da trenta, quarant'anni a questa parte l'opposizione a qualsiasi forma di aborto è diventata un cardine della dottrina pratica della chiesa. Sarebbe interessante discutere del perché sia successo questo, dato che nelle Scritture di aborto non si parla e anche i Padri della Chiesa per lo più se ne disinteressano; a mo' di curiosità si potrebbe ricordare che per secoli il filosofo ufficiale della Chiesa è stato Tommaso d'Aquino, per il quale la vita non aveva inizio col concepimento: sarebbe interessante e qui ogni tanto si tenta di farlo, ma oggi prevale la sorpresa per l'unanime sdegno con il quale si commenta la notizia: non hanno fatto parlare Emma Bonino in una chiesa! Ma perché, povera Emma, cos'avrà mai fatto di male. Ecco, a mo' di ripassino citerei il blog di un consigliere pidiellino del Lazio:
Se ogni politico nasconde qualche scheletro nell’armadio, Emma Bonino cela un cimitero di 10 mila bambini non nati e da lei spesso personalmente eliminati con una indifferenza orgogliosa e agghiacciante
Siete liberi di trovare la cosa assurda; ma di stupirvi francamente no. I cattolici queste cose le dicono a voce alta, da parecchio tempo: se non siete d'accordo magari non sposatevi in chiesa, e chiedete che il vostro corteo funebre non parta da una chiesa. Io in coscienza non ritengo che l'aborto sia equiparabile a un omicidio; non mi sono sposato in chiesa e quanto al mio corteo funebre chi ci sarà farà un po' come gli pare, io quel giorno avrò altri impegni. Ma scandalizzarsi del fatto che un'organizzazione privata (la Chiesa) non lasci parlare dai suoi microfoni una persona che ritiene sua feroce avversaria (Emma Bonino) è secondo me indizio di una certa confusione su cosa la Chiesa sia. Non è un ente governativo, non gestisce edifici pubblici, gli officianti non sono pubblici ufficiali; perlomeno non dovrebbero esserlo, e chi è laico dovrebbe preoccuparsi vivamente che nessuno faccia confusione. Proprio perché si ritiene che la Chiesa debba essere trattata come un soggetto privato, e che debba pagare tutte le sue tasse esattamente come qualsiasi altra organizzazione privata, senza trattamenti di favore. Gli edifici di culto appartengono ai preti: decidano loro chi è ben accetto e chi no, chi può parlare e chi no, esattamente come a casa nostra entra e parla solo chi invitiamo noi. E in cambio di questa riconosciuta autonomia, la libera Chiesa paghi al libero Stato tutte le sue tasse - comprese quelle che servono a finanziare consultori e a continuare l'opera intrapresa da Emma Bonino nel 1975: visto che nel frattempo anche grazie a lei noi cittadini italiani abbiamo deciso a maggioranza che abortire non è una colpa, non è un reato, e che si deve essere liberi di farlo nel modo meno doloroso possibile, senza le pompe da bicicletta che la Bonino era costretta a usare.

Dico un'ultima cosa. Proibendo a Emma Bonino di parlare, il prete le ha reso onore: ribadendo la coerenza della Chiesa, ha riconosciuto anche la coerenza dell'attivista pro-aborto. Molto più di tutti quelli che in queste ore si stanno stracciando le vesti non si capisce esattamente in base a quale sistema di valori, forse di un generico Volemosebbène che dovrebbe scattare ogni volta che muore qualcuno, e ci togliamo i nostri panni ideologici e ci abbracciamo tutti in un'unica grande chiesa da Che Guevara a madre Teresa. Vaffanculo, no, questa cosa non esiste: per i cattolici chi pratica gli aborti va all'inferno e ci resta. Tenetevelo un po' in mente, e fatevi seppellire di conseguenza.
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Tre bicchieri mezzi pieni

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Il nove maggio - data storica - il presidente della prima potenza mondiale, Barack Obama, ha dichiarato di aver cambiato posizione sul matrimonio gay: le discussioni coi familiari, ma anche il confronto coi politici dei due schieramenti, lo hanno convinto che "alle coppie dello stesso sesso dovrebbe essere consentito sposarsi". La strada verso il riconoscimento legale del matrimonio nei 50 Stati è ancora lunga: quella di Obama non è una proposta di legge federale, ma un'opinione personale, seppure espressa in campagna elettorale dall'uomo più potente del mondo. Io credo che nessuno che abbia a cuore la parità dei diritti si sia trattenuto dal festeggiare il nove maggio; immagino che nessuno abbia perso tempo a rimproverare Barack Obama di avere avuto, fino all'otto dello stesso mese, una posizione ambigua, se non reticente o retrograda. Meglio tardi che mai, meglio adesso che poi.

È il solito discorso del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: se davvero c'interessa che le cose cambino, un po' di ottimismo aiuta. Ne abbiamo bisogno molto più noi che i connazionali di Obama. Prendiamo il caso dell'onorevole Mariapia Garavaglia (PD), che all'alba di venerdì risultava ancora nell'elenco degli aderenti alla Marcia per la vita di Roma. Guardiamo al bicchiere mezzo pieno: domenica, nello stesso elenco, non c'era più. Non che abbia cambiato idea: probabilmente è ancora convinta che l'aborto sia un omicidio, anzi un genocidio. (Continua sull'Unita.it, H1t#127, ma lascio i commenti aperti anche qui).

 In fondo questa è la linea della Conferenza Episcopale, e la Garavaglia non ha mai fatto mistero del suo allineamento con la CEI. Se alla fine non s’è presentata, è perché sostiene che la marcia è stata ‘strumentalizzata’ dagli estremisti, e vabbe’. Guardiamo il bicchiere mezzo pieno: il movimento pro-life italiano è ormai stato colonizzato dalla destra meno presentabile, la retorica dei bambolotti-feti incollati ai crocefissi non è fatta per conquistare le simpatie dei moderati. Non possiamo fare molto per cambiare le idee della Garavaglia (non possiamo neanche fare un granché per evitare di votarla, se insistiamo a voler votare PD e il meccanismo elettorale resta l’orrore che è), ma certe posizioni la Garavaglia fa sempre più fatica a spacciarle per moderate, sempre più fatica a esternarle. Alla fine è un buon bicchiere mezzo pieno, secondo me.
Nei giorni scorsi sui giornali e in rete si è parlato molto di scout cattolici e omosessualità. Più precisamente: la più grande associazione di volontariato cattolico giovanile, l’AGESCI, ha fatto notizia per il suo dibattito interno sull’omosessualità, e in particolare sull’opportunità che gli eventuali educatori omosessuali facciano coming out. Per molti che hanno commentato questa notizia, il bicchiere era più che mezzo vuoto, vuotissimo: le posizioni espresse dai relatori di un convegno (spacciate su Repubblica per “linee guida dell’AGESCI”) sono state denunciate come retrograde e omofobe. E lo erano.
Ma la vera notizia è che centinaia di educatori dell’AGESCI le considerano tali. Lo mostrano le quasi cinquecento firme in calce a un documento stilato il 6 maggio - una data meno storica del 9, ma che vale comunque la pena di festeggiare: nel documento si prendono nettamente le distanze dalle relazioni del convegno, e tra le altre cose si legge: “Crediamo fermamente che non si possa concepire, né tantomeno si possa ascrivere al nostro modo di pensare, che l’inclinazione sessuale, come l’omosessualità o l’eterosessualità, sia intrinsecamente e di per sé una discriminante per essere dei buoni capi educatori, né tantomeno per essere degli uomini e donne di valore a questo mondo. L’inclinazione sessuale di per sé non determina l’intenzionalità educativa, cuore pedagogico e operativo del nostro servizio”. Possono sembrare affermazioni ispirate al semplice buonsenso, ma per i membri di un’associazione cattolica italiana rappresentano una posizione impegnativa, al limite della sfida esplicita alla linea ufficiale della Chiesa. I firmatari del documento non rappresentano l’associazione, ma meritano di fare notizia molto più di tre relatori di un convegno: e mostrano come si sta evolvendo una delle realtà più importanti del cattolicesimo italiano.
Il bicchiere insomma mi sembra anche più che mezzo pieno. C’è qualcosa che si muove nelle parrocchie. Si muove lentamente, ma la direzione è quella del riconoscimento di pari dignità e pari diritti. Non abbiamo tutti la stessa fretta, non abbiamo tutti la stessa pazienza, ma non è una gara: a certe decisioni dobbiamo arrivarci assieme. Sarà ancora lunga: tanto vale assaporare i bicchieri mezzi vuoti che troviamo lungo la strada. http://leonardo.blogspot.com
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La festa dei feti

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Era ieri, Santi Martiri Innocenti. Martiri di che? Di Erode?


Ma siamo tutti un po' Erodi dentro, in Italia dal 1978. E ancor di più dal 2007, quando Benedetto XVI ha chiuso il Limbo. Se ne parla sul Post, speriamo bene.

28 dicembre - Santi Martiri Innocenti (1-1).


Racconta Matteo nel suo Vangelo (2,1-16) di come Erode, all'arrivo dei Magi a Gerusalemme,  cascasse dalle nuvole: cercano un bambino? Che da grande farà il re dei Giudei? Interessante. Provate a cercare a Betlemme, secondo i miei scribi potrebbe trovarsi là. Andate, andate, però poi se lo trovate venite a dirmelo che interessa anche a me, il futuro re dei Giudei. I Magi vanno e trovano effettivamente Gesù, ma vengono avvertiti in sogno di non ripassare da Gerusalemme, ché quell'Erode - se proprio non l'hanno capito da soli - non è animato da buone intenzioni. E infatti quando Erode si rende conto del bidone, fa spallucce e decide di massacrare tutti i bambini di Betlemme e dintorni sotto i due anni. Una strage?

Per più di mille anni i pittori la descrissero così, trasferendo spesso sulla tela il ricordo dei massacri di cui erano stati testimoni (assolutamente da brividi, per esempio, Bruegel il Vecchio, che invece della solita montagnola di bambolotti sgozzati mostra un drappello di mercenari che devasta un villaggio, e tu sai, lo capisci benissimo, che Bruegel il Vecchio quei mercenari li ha visti davvero da giovane, in azione). Negli ultimi secoli tuttavia si comincia a minimizzare, una strage, via, quanti bambini sotto i due anni vuoi che ci fossero a Betlemme, il capoluogo più piccolo della Giudea? Secondo Giuseppe Ricciotti più o meno una ventina, meno delle vittime di una banale influenza stagionale in quei millenni senza paracetamolo. Insomma, sì, una strage, però una come tante, niente di eccezionale.

Non è come credete, non c'è nessun complotto massonico o giudaico in corso per rivalutare la figura di Erode il Grande, che - su questo giudei e gentili sono concordi - era soprattutto un grande pezzo di merda. Per prima cosa non era ebreo, ma idumeo: la differenza è sottile, ma in sostanza non poteva che essere detestato dai giudei di Gerusalemme e in particolare dal partito fariseo, il Likud del tempo. In compenso era sostenuto dai Romani, sì, ma erano tempi difficili anche per i collaborazionisti: Cesare batte Pompeo e allora ti metti con Cesare, poi lui muore e ti metti con Marco Antonio, ma in Egitto c'è Cleopatra che vuole farti fuori e ci riesce quasi, poi ad Azio Marco Antonio e Cleopatra vanno a picco e tocca farsi amico Ottaviano. Nel frattempo ci sono i Parti che spingono da Est, gli Arabi da sud. I figli da strangolare prima che diventino troppo ambiziosi. E un terremoto. Mancava giusto un Re bambino in una mangiatoia. No, per essere riuscito a regnare per più di trent'anni in quella terra di matti, Erode doveva essere davvero un grande stronzo. Su questo le fonti (che poi si riducono a Flavio Giuseppe, ebreo latinizzato) concordano. A Roma i cesari si raccontavano barzellette: preferiresti essere il figlio di Erode o il suo maiale? Preferirei essere il maiale, almeno sarei sicuro che non mi mangerebbe, ah ah, che antisemiti quegli antichi Romani (continua...)

Insomma, nessuno vuole bene a Erode. Quando morì, per essere sicuro che si piangesse al funerale, fece rinchiudere un po' di giudei importanti in un ippodromo e ne ordinò il massacro. Flavio Giuseppe ci racconta cose del genere, abbastanza inverosimili, ma che ci fanno capire quanto poco gli fosse simpatico: com'è possibile che si dimentichi invece un episodio succoso come la strage degli innocenti di Betlemme? I casi sono due: o Matteo si è inventato tutto (scopiazzando per altro una leggenda rabbinica sull'infanzia di Mosè, in cui l'orco ammazzabambini era il Faraone)... o la strage degli innocenti doveva essere passata inosservata: una stragetta, via, un eccidio. Vogliamo dire una dozzina di neonati? Comunque abbastanza per comporre un quadro agghiacciante. Il capolavoro resta quello di Guido Reni (lo trovate alla pinacoteca di Bologna) la composizione triangolare dovrebbe avere ispirato Guernica.

Ma stanotte ho scoperto altre due perle: un Duccio di Boninsegna davvero struggente, con le madri dolenti che abbracciano i bambolotti insanguinati. Ecco da Duccio non me lo sarei mai immaginato, per me è sempre stato uno di quei senesi ieratici e antipatici, e invece la sua strage è triste davvero, piangono anche gli assassini. E poi sul Sacro Monte di Varallo, che è una specie di Terrasanta in Miniatura, c'è una composizione di terracotta del Cinquecento con dei soldati ad altezza naturale che conficcano delle spade vere in neonati a grandezza naturale, e in un angolo sul trono c'è pure il lascivo re Erode che approva: ho visto solo una foto, ma il risultato ha un che di morboso che lo rende inquietante. È vero che mi emoziono con poco, ultimamente.

La festa degli Innocenti era, nei secoli passati, un piccolo bis del Natale, in cui si praticava un simpatico rito purtroppo messo da parte nell'ultimo Concilio: presbiteri e diaconi scambiavano i loro seggi coi chierichetti, in pratica la Messa la dicevano i bambini. L'orrore della strage veniva ampiamente superato dall'immediata santificazione dei neonati. In realtà ci sarebbe un problema teologico: come fanno quei coetanei di Gesù a salire subito in cielo, se nessuno li ha battezzati? Non portano con sé il peccato originale, quello di Eva e Adamo? Naturalmente c'è sempre la scappatoia: quando Gesù passa dal regno dei morti a prelevare i patriarchi, può anche aver prelevato questa ventina scarsa di neonati frignanti. A vederla da questo punto di vista, morire neonati ammazzati da una guardia di Erode si rivela un autentico colpo di fortuna: tre chilometri più in là magari si moriva di lebbra e si finiva all'inferno senza condizionale... o no? Dove finiscono i bambini non battezzati?


Annoso problema, che tormentò più di un padre della Chiesa. Sappiamo tutti come veniva risolto più o meno ai tempi di Dante: gli innocenti non battezzati (ma anche gli uomini savi e virtuosi vissuti prima di Giovanni Battista e di Gesù) finivano nel Limbo, un'oltretomba a parte: né paradiso né purgatorio né inferno, anche se Dante per una questione di ordine la infila in quest'ultimo, ma in una sezione priva di supplizi di sorta. In pratica è l'Ade greco-romana, un non-luogo di ombre dove non si è né felici né tristi, perché in sostanza non si vive. Come soluzione non era forse il massimo dell'eleganza, ma salvava capra (l'importanza assoluta del battesimo) e cavoli (che razza di Dio ti sprofonda nell'inferno perché un tuo avo ha mangiato una mela di nascosto?) Il limbo tuttavia non è mai stato un dogma ma, come abbiamo saputo solo di recente, un'ipotesi, mai particolarmente apprezzata dal cardinale Ratzinger e respinta definitivamente nel 2007 sotto Papa Benedetto XVI da una Commissione Teologica Internazionale nel documento "La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo":
...vi sono ragioni teologiche e liturgiche per motivare la speranza che i bambini morti senza Battesimo possano essere salvati e introdotti nella beatitudine eterna, sebbene su questo problema non ci sia un insegnamento esplicito della Rivelazione.
La mossa di Benedetto XVI, oltre a spalancare le porte del paradiso cattolico a una moltitudine immensa di morti di parto, crea la cornice per la vera strage degli innocenti postmoderna, in confronto alla quale re Erode il Grande non può che apparire un serial killer di provincia: l'Aborto. Esatto, sì, se ogni embrione è Vita e ogni vita senza battesimo è comunque suscettibile di essere introdotta nella beatitudine eterna... i nostri aborti sono già in Paradiso che ci guardano e scuotono la testolina. Non poteva che finire così, la tradizione del limbo mal si conciliava con l'ossessione della Chiesa contemporanea per l'embrione. Gli aborti sono diventati i martiri della legge 194. E il paradiso è molto cambiato.


Non solo è diventato un'enorme nursery - se ammettiamo che i morti di parto siano salvabili, non possiamo immaginare che Dio faccia differenze tra epoche e razze, e quindi dobbiamo pensare a una moltitudine di feti e neonati di ogni etnia, ma perlopiù (statistiche alla mano) indiani e cinesi. Esatto, anche lì. Tu nasci in Italia, ti fai battezzare, ti comporti il meglio che puoi, ricevi tutti i tuoi sacramenti, poi muori e ti ritrovi in mezzo a una moltitudine di monelli orientali che non ha la minima idea di come ha fatto a trovarsi lì, è successo tutto in un attimo, e cos'è questo odore? Pollo al curry? Anche qui? Soprattutto qui? Per l'eternità? Vedi che nel medioevo non avevano tutti i torti, vedi che alla fine quell'ipotesi del limbo aveva un senso. Ma ormai è troppo tardi. La globalizzazione, sì. Anche in paradiso.
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Povera piccola infanticida

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Aborto aborto, sentimento e ipocrisia... 

In questi giorni sono successe tante cose incredibili, tra cui una che può essere passata inosservata: il direttore della rivista della diocesi di Trento, Marco Zeni, ha dichiarato di comprendere la decisione di una sedicenne che (su pressante invito dei genitori) ha interrotto una gravidanza. E non parlava a titolo personale: parlava per conto della Chiesa, con la C. “La Chiesa non può certo dichiararsi a favore dell'aborto, ma capiamo le difficoltà della famiglia”. A meno che Zeni sappia cose che noi ignoriamo, le difficoltà della famiglia consistono in un fidanzato albanese geloso e manesco.

Io la posizione dei cattolici sull'aborto la capisco. Non la condivido, ma la posso capire, se non altro perché è piuttosto chiara. Per i cattolici la vita comincia dal concepimento: questo non so se si possa considerare un dogma, ma possiamo tranquillamente definirlo un postulato, nel senso che la morale cattolica di oggi si fonda su questo assunto, non dimostrabile e non discutibile: dal concepimento in poi la madre non è sola, c'è un altro individuo con lei che ha gli stessi diritti che ha lei.

Quindi se lei decide di interrompere la gravidanza commette un infanticidio, punto. Il fidanzato manesco e geloso lo puoi lasciare, ma da che pulpito lo giudichi, se nel frattempo mediti di far fuori un bambino? È una posizione che ha almeno il pregio della chiarezza. Puoi contestarla, ma probabilmente stai semplicemente affermando che non condividi un postulato (la vita inizia dal concepimento) partendo da un altro postulato (la vita inizia qualche tempo dopo il concepimento, forse tre mesi, forse boh). Per inciso, io sono convinto che tutti i sistemi morali partano da assunti arbitrari, ma sono sicuro che non v'interessi una mia lunga dissertazione sull'argomento. Stasera a dire il vero non appassiona nemmeno me. Stasera sono solo curioso di capire come sia possibile che il portavoce di un prestigioso vescovado abbia dichiarato di poter capire le ragioni di un'interruzione volontaria di gravidanza. Capire un infanticidio? Al massimo si può perdonare, per esempio a Giuliano Ferrara gliene sono stati perdonati almeno tre; ma bisogna che prima il soggetto si penta.

Ho due ipotesi. La prima è che sotto sotto Zeni, e tutto il mondo intorno a Zeni, non ci creda per davvero, in questa storia della vita a partire dal concepimento. Non è vero che sia un postulato incrollabile; è solo la conseguenza un po' maldestra di un'ideologia che parte da altre premesse. Dalla determinazione della Chiesa a mettersi al centro della cura del corpo, soprattutto: per cui la cosa davvero importante non è che i poveri embrioni abbiano salva la vita, ma che la Chiesa sia consultata sull'argomento, che la Chiesa abbia voce in capitolo. Il vero scandalo della 194 non sta nel fatto che una ragazza possa abortire – come se non fosse mai successo – ma che possa farlo senza chiedere il permesso a un prete, che se magari è in buona, se conosce la situazione... ti può anche capire, via, lo sa anche lui come va il mondo, no? Insomma, tutta questa recentissima dottrina della sacralità della vita dell'embrione potrebbe essere semplicemente una reazione nervosa degli ecclesiastici al fatto di essersi trovati messi in un angolo dalla medicina e dalla cultura laica. Sta bene, però scegliete: o vi tenete la vostra rigida, arbitraria ma chiarissima legge morale, oppure mettete la maschera del padre comprensivo. Ma tutti e due no: non potete gridare 'infanticida!' e poi soggiungere 'povera ragazza'. O è povera o è infanticida, tertium non datur.

La seconda ipotesi mi è venuta molto più grezza: a sentire Zeni sembra che per la Chiesa di Trento nulla sia peggio dell'aborto, tranne una cosa, una sola cosa di fronte alla quale l'interruzione di gravidanza è un male minore: e che questa cosa sia dar figli a un albanese. Decidete voi.
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Nel frattempo ho scritto altre canzoni

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Di lui parlano raramente

- C'è amore e amore. Con alcuni rimani in buoni contatti. Con altri no, è difficile anche spiegare il perché, ad esempio, io Francesco De Gregori cerchi il più possibile di evitarlo: cambio stazione, cambio canale, cambierei pure marciapiede se me lo trovassi di nuovo davanti in viale Indipendenza (mi sembrò un gigante). C'è qualcosa che non gli perdono, ma è stato tanto tempo fa, non ricordo nemmeno cosa. Di certo ha distrutto tante canzoni che mi piacevano, scartavetrandole con una voce che non riesco più a sopportare, ma è colpa sua? Lui ha preso la sua strada, io la mia, da qualche parte c'è una casa più calda, sicuramente esiste un uomo migliore. Francesco De Gregori in ogni caso mi ha cambiato un po' la vita. Sì, lo so, son cose che si dicono. Voglio precisare che questo accadeva in tempi diversi, quando la mia vita cambiava un poco tutti i giorni, come le costellazioni sempre nuove dei brufoli sulla mia faccia prima che mi prescrivessero un farmaco in seguito proibito perché gli adolescenti si suicidavano. Io non mi sono suicidato. Pensavo tanto alla morte, questo sì, ascoltavo i dischi emo del giovane De Gregori. Ma non voglio parlarvi di questo.

Voglio fare una confessione, di quelle pesanti. Io sono stato antiabortista.

Sì, esatto. È successo. Ero giovane. Troppo giovane per votare a qualsiasi referendum o picchettare un consultorio, ma promettevo bene. Ero convinto che l'aborto fosse un omicidio e punto. Tuttora, non escludo che lo sia: voglio dire che non ho sostituito una fede a un'altra; semplicemente si è fatto strada il dubbio. È stato un processo lento. Ogni tanto però la mia coscienza si dava una scrollata, ogni tanto cascava qualche calcinaccio di ortodossia. Non è che mi ricordi tutte le fasi del processo, non tenevo mica un blog. Però un momento me lo ricordo bene, e fu mentre ascoltavo un pezzo di De Gregori con il foglietto del testo in mano – quei foglietti che facevano copertina alle musicassette, avete presente. La canzone non è un granché, da un punto di vista musicale appartiene di striscio a quei tardi anni Ottanta che furono micidiali per le sonorità dei cantautori italiani, e in particolare a quel sottogenere che battezzerei: “fàmolo reggae”, perché dopo la calata di Marley a San Siro ci fu una fase in cui tutti i cantautori dovevano avere un pezzo reggae in scaletta, come se glielo avesse ordinato il dottore; e meno male che c'era Fossati a tirar su la media, ma devo dire che a me piacciono tutti, questi fintissimi reggae italiani anni Ottanta, perfino Nisida di Bennato, sì, persino Voglio andare al mare, tutte le volte che li riascolto mi fanno sentire a Pinarella. Anche il pezzo “fàmolo reggae” di De Gregori sta su un disco che si chiama Miramare, e che non credo che riascolterò mai più. Si intitola Dottor Dobermann, ed è la brevissima storia di un chirurgo obiettore di coscienza, con una bella clinica dove lavora al pomeriggio. E dunque qual è il prezzo, qual è il prezzo, dottor Dobermann? Qual è il prezzo che va pagato? per le cose che ti secca fare in pubblico, ma ti rendono bene in privato? Tanti soldi, niente tasse, e non c'è scandalo: non è nemmeno peccato...

Tutto qui? Tutto qui. Ero giovane, e può darsi che di medici ipocriti, obiettori di coscienza al mattino che ammazzavano a pagamento nel pomeriggio, avessi già sentito parlare. Però De Gregori questa storiella me la rimise davanti, e qualcosa in me cambiò. Non è che il grande cantautore abbia fatto, nell'occasione, nulla di eccezionale: ha preso una storia risaputa e ci ha messo sotto quattro accordi in levare. Non è per questo che lo celebreranno musicologi e critici letterari.

D'altro canto, per me è esattamente quello che deve fare un artista, o un poeta. È anche quello che devo fare io. Devo prendere piccole storie, già sapute, sbatterle in faccia al lettore e provare a fargli cambiare idea. È un progetto folle e dissennato, più ci penso più mi rendo conto. La gente non cambia quasi mai idea, specie dopo i trent'anni. Io però continuo a cercare qua e là le mie storielline, a intonare le mie canzoncine, per chi lo faccio? Il mio target probabilmente è un ragazzetto brufoloso disposto a cambiare idea come si cambiano i gusti musicali, di punto in bianco, quando qualcuno ti propone uno spunto diverso e interessante. Insomma, se è successo a me di cambiare idea ascoltando una canzone, potrà ben succedere a qualcun altro, e io voglio provarci. Non so se sia il motivo per cui De Gregori cantava nell'89 e si ostina a farlo oggi. Però è il motivo per cui io provo a scrivere qualcosa di nuovo tutti i giorni. E lo so che non scriverò mai la Donna cannone, nemmeno ci provo. Sono più che contento se ogni tanto mi esce un Dottor Dobermann. Così buon compleanno, signor De Gregori. Lei è stato molto importante per me.
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Gli aborti non sporcano

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Venite a Riva? Io ci sarò tra sabato e domenica. Sono quello basso con la barba vicino a Enzo. Vi siete ricordati di votare (per me)?

Neologismi da salvare (4): Benaltrismo

Neologismo fino a un certo punto – gli Annali del Lessico Contemporaneo lo attestano nel 1995 (se qualcuno conosce il coniatore, l'autore insomma, per favore, segnalatemelo). Uno di quei figli appena nati di amici che ti volti un attimo e vanno già al liceo. “Benaltrismo” ha anche una buona pagina di wiki, sui vocabolari più recenti di sicuro c'è, ed è una delle migliori prove della vitalità della lingua italiana. Perché a fraintendere gli anglismi (“quoto”) son buoni tutti, e a ripiegare sulle trivialità dialettali (“bimbominchia”) pure. Ma benaltrismo è un'invenzione tutta italiana, oltre che un contributo del lessico giornalistico italiano al mondo: posso sbagliarmi, ma direi che a quindici anni suonati resta ancora un termine intraducibile. Non so se vi rendete conto, ma per esprimere lo stesso concetto gli anglofoni sono costretti a laboriosi giri di parole, ah ah ah! Il petto mi si gonfia come quando un personaggio di Underworld dice a un altro: Ehi, lo sai che gli italiani hanno una parola per questa roba? (in quel caso era dietrologia). Sì, non produciamo più divine Commedie e nemmeno Gattopardi, ma riusciamo ancora a inventare qualche buona parola ogni tanto.

Benaltrismo è, tra le altre cose, di facile comprensione. È un benaltrista colui che, di fronte a un determinato problema, afferma che non vale la pena risolverlo e nemmeno parlarne, perché... i problemi sono “ben altri”. Ciò che rende stuzzicante la cosa è che in fondo siamo stati tutti benaltristi qualche volta: e magari quella volta avevamo pure ragione. In quella matassa di complicazioni che è la vita, saper riconoscere quali nodi vanno districati per primi è una dote tutt'altro che secondaria. Tutto questo mentre la sfera dell'informazione prende a girare sempre più vorticosamente intorno a un calendario di emergenze che non si sa bene chi stia dettando: c'è il periodo delle violenze sulle donne e diventiamo tutti esperti di violenza sulle donne, poi comincia la settimana degli zingari ed eccoci tutti zingarologi, e sembra proprio che non si possa procedere finché non avremo trovato una soluzione per il problema degli zingari. Poi cominciano le sfilate. A volte il benaltrista è semplicemente qualcuno che insiste a difendere le proprie priorità, la propria visione del mondo, quei due o tre problemi che considera davvero emergenze.

Ma a volte, naturalmente, è solo un trombone che del mondo si è abbondantemente stancato; ma siccome lo pagano ancora ha individuato 2-3 argomenti inossidabili (es. “Berlusconi ladro”) sui quali ripiegare quando, sempre più spesso, si ritrova senza nulla da dire (“sì vabbè che Fini ha i suoi scheletri nei suoi armadi, però Berlusconi ladro”). Non potrei trovare un esempio migliore di questo atteggiamento dell'ultimo detto memorabile di Giuliano Ferrara, che nella settimana in cui eravamo appunto tutti zingarologi, ha voluto ribadire che i problemi sono ben altri, e che lui resta un convinto abortologo, scrivendo:

Si può abortire un bambino al mattino e piangere sul destino degli zingari la sera?

Questo esempio funziona anche perché illustra molto bene, a mio parere, come mai l'argomento “aborto” sia diventato così gettonato negli ultimi, diciamo, cinquant'anni: prima non è che se lo filassero in molti. Abortire era un triste affare di soldi e ferri da calza, e i Papi avevano di meglio da pensare: se leggete vecchie encicliche ci trovate transustanziazioni, immacolate concezioni, misteri trinitari, ma che fine facessero gli embrioni non era chiaro. Per qualche periodo si parlò di limbo, ma era più un'indiscrezione che un dogma di fede. Tutta questa enfasi sul diritto alla vita è, se la misuriamo coi ritmi di una comunità millenaria, una relativa novità. A un certo punto preti e similpreti si sono accorti che c'era un genocidio, milioni e miliardi di bambini uccisi negli uteri, e vi si sono tuffati con tutto il loro zelo. Che cos'ha di così affascinante la causa degli aborti? Ci sono secondo me tre aspetti che rendono l'aborto l'arma finale del benaltrismo:

1) L'atto di fede è relativamente leggero. Credere nella trinità è complicato e faticoso, credere nell'immacolata concezione e nella sua beata assunzione ti potrebbe anche esporre al ridicolo in società. Viceversa, credere che un embrione sia vivo nell'attimo del concepimento non è né complicato né ridicolo. Non è neanche necessario offendere la scienza: il confine tra “vita” e “non ancora vita” è un problema linguistico, quindi speculativo, quindi siamo liberi di discuterne, quindi non avremo difficoltà a trovare qualcuno che ci dia ragione. Uno come Giuliano Ferrara, alla sua età, non è che può mettersi immediatamente a credere nella transustanziazione come se fosse la cosa più plausibile del mondo: ma all'embrione sì, non è mai troppo tardi per ravvedersi e vedere la vita nell'embrione.

2) Una volta che hai abbracciato la non troppo scandalosa verità (l'embrione è vita!), sei in possesso dell'ordigno benaltrista di fine-di-mondo. Improvvisamente ti svegli e, dove la sera prima c'erano banalissimi consultori e ospedali, tu vedi un genocidio. Legalizzato! E tu non puoi più fare finta di niente. Di conseguenza, non hai più bisogno di preoccuparti di nient'altro. Cioè, stiamo scherzando? Riscaldamento globale? Crisi energetica? Zingari? Politici corrotti? Imprenditori concussi? Mafia e camorre? Ma sono le normali asperità della vita, il problema è che ci sono milioni di individui a cui la Vita stessa viene negata! Ogni giorno! Quando abbracci la causa degli aborti, non hai più bisogno di preoccuparti di nessun'altra causa al mondo. Tanto più che...

3) Gli aborti non sporcano. Questo è determinante. Non c'è causa che, una volta abbracciata, non lasci brutte tracce sulle mani e altrove. Molte, oggettivamente, puzzano. Prendi gli zingari. È difficile stare dalla loro parte. È difficile sposare le cause degli stranieri, dei poveri, dei malati, dei drogati, dei giovinastri. È tutta gente che poi ti tocca andare a trovare, gente che si sentirà tradita se dopo un po' li trascuri, gente che più di solidarietà chiede monetine, gente che ha usanze e odori che non riuscirai mai a condividere. Ma gli aborti, gli aborti sono fantastici. Non fai in tempo a credere in loro, che essi non esistono già più. La cosa che li rende meravigliosi è che proprio in quanto aborti, essi non ci sono. Non puzzano. Non hanno abitudini imbarazzanti. Non fanno chiassose feste in piazza a cui t'invitano mentre tu vorresti stare a casa a leggere Novalis. Uno zingaro potrà lamentarsi della tua solidarietà pelosa. Un nero prima o poi cercherà di sposarsi tua figlia. Ma gli aborti non disturberanno mai chi li difende. Nessun aborto si alzerà mai per dire che preferisce essere abortito piuttosto di evolversi in Joseph Ratzinger o Giuliano Ferrara.

Insomma, capite la bella invenzione? Un piccolo atto di fede e improvvisamente nel tuo mondo esistono milioni, miliardi di individui che tu puoi difendere gratis. Neanche due spicci per levarteli di torno al semaforo: gratis. Gli aborti, se non esistessero, bisognerebbe inventarli. E in fondo è andata proprio così: a un certo punto ce li siamo inventati.
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Mamma! Mamma!

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Il male banale
(Riveduto e corretto, e sempre attuale).

Monsignore, è un grandissimo onore per me averLa qui.
Prego, s'accomodi.
(Lara, vammi a prendere i ferri buoni. C'è il Monsignore!)

Colgo l'occasione per confessarLe che l'altro giorno ho goduto di un piacere autentico, e d'intensità rara, leggendo l'ultimo intervento del suo caro amico cardinale contro la pillola assassina. Soprattutto là dove dice
la Ru486 banalizza l’aborto perché l’idea di pillola è associata a gesti semplici, che portano un sollievo immediato
Si', quando una citazione mi piace davvero, la imparo a memoria. Adesso apra la bocca, per cortesia.
Mi sono anche permesso di riportarla sul forum della FOdCA, che mi onoro di rappresentare. La conosce? La Federazione Odontoiatriche Cattoliche. Qui è meglio fare una lastra.
(Lara, vammi a preparare una lastra).
Beh, in effetti non è molto conosciuta, la Fodca. Potremmo essere molte di più... sapesse quante professioniste non si attentano a uscire allo scoperto, difendere la loro fede... Ma Lei c'insegna che bisogna dare l'esempio. Adesso stringa. Ma no, non fa male. Appena un po' di fastidio, che sarà mai... Stringa, su. Ecco, abbiamo fatto. Un attimo che il computer rielabora l'immagine.

Vede, io credo che il cardinale abbia colto l'essenza del problema. Invece di tirare fuori la bufala della pillola pericolosa per le madri, una cosa a cui, diciamolo, non crede nessuno... no, il punto è esattamente quello: la banalizzazione. Con la Ru486 abortire non diventerà più pericoloso o meno assassino. Ma sarà una cosa facile, alla portata di tutti, in una parola: banale. E' questo l'abisso morale che si spalanca davanti a noi. Lara, questa immagine arriva o no?

Ah, ecco.
Eh, beh, capisco che le facesse male a masticarci sopra. C'è una carie che si è infiltrata sotto l'otturazione. E ce n'è già un'altra... qui, vede? Sotto il colletto. Ma da quand'è che non ci vediamo?

Monsignore, è un discorso che abbiamo fatto spesso. Caffè, fumo, zuccheri tra un pasto e l'altro... non sono amici dei suoi denti. Poi è inutile che Se la prenda con me. In tre anni è la quarta volta che rivediamo quell'otturazione. Le dico con tutta franchezza che a questo punto la maggioranza dei miei colleghi Glielo avrebbero già devitalizzato - se non cavato via, semplicemente. Ma noi della Federazione Odontotecniche Cattoliche abbiamo una concezione diversa. Lara, per favore, preparami dieci cc di zertyupol.

Monsignore, so che potrà capirmi. Lei ha un problema col Suo dente. Banalizzando, si potrebbe affermare che si tratti di un paio di carie. Ma io e Lei sappiamo che il problema non coinvolge soltanto lo smalto: esso penetra la dentina e il cemento e raggiunge l'essenza, come dire? spirituale del Suo premolare. Banalmente, io potrei raschiarle via l'ennesima macchia scura; molti miei colleghi laicisti lo farebbero, ben contenti di rivederla tornare poi di qui a pochi mesi. Ecco, noi della Fodca abbiamo deciso di lavorare in un'altro modo. Lara, per favore, allaccia le cinghie al Monsignore.

Se ora Lei non avvertirà la solita sensazione di intorpidimento alla mascella, c'è un motivo. Quello che Le ho iniettato non è un sedativo. Viceversa, è qualcosa che L'aiuterà a sentire meglio quello che sto per farLe. Perché alla Sua età, Monsignore, non vorrei mai che perdesse i sensi mentre... apra la bocca, da bravo, ecco. Dicevo, ma può sentirmi? NON VORREI MAI CHE LEI PERDESSE I SENSI MENTRE LE TRAPANO UN PREMOLARE SENZA ANESTESIA. No, non provi a chiudere la bocca mentre ho il trapano in mano. Non ci provi davvero. Si concentri su qualcosa. Su quello che Le sto dicendo, magari. Ora riprendo. C'è parecchio lavoro da fare qui dentro, lo sa.

Vede, quello che è successo a noi dentisti negli ultimi 50 anni, gli enormi progressi fatti in tutte le direzioni, ma soprattutto nella terapia del dolore, hanno in qualche modo degradato l'essenza morale della nostra professione. Noi dentisti sappiamo nell'intimo della nostra coscienza che il migliore nemico della carie è la prevenzione: una dieta corretta, l'astensione dalla nicotina e via dicendo. Ma d'altro canto è molto più lucroso curare i milioni di carie figlie delle cattive abitudini che ci guardiamo bene dal combattere. Tanto più che levarsi una carie, o un dente intero, è diventato sempre più facile e indolore... in una parola: banale. Ora, noi della Fodca abbiamo deciso che non può più essere così. Siamo ancora poche, è vero, ma decise a dare l'esempio. Lara, tieniGli stretta la fronte, così. Ecco, adesso va meglio.

Comincia a vedere le stelline? Non si spaventi, a questo livello è normale. Ma ci pensi bene: ha mai vissuto un'esperienza del genere nella sua vita? Pensa che potrà mai scordarSela? No, non muova la testa, mi risponda roteando le orbite. Bene. Ogni volta che scarterà un cioccolatino, che Si accenderà una sigaretta, lei Si ricorderà di questo dolore. Questa è la vera cura contro le carie, mi capisce? Quella non facile, non banale, quella che coinvolge il paziente anche sul piano spirituale. Noi Odontoiatriche Cattoliche ci crediamo fermamente. Ora se vuole può urlare.

Lara, hai notato che urlano tutti la stessa cosa? Che vorrà dire?
Mamma, mamma, come se il dolore più lancinante fosse un segreto tra noi e chi ci ha dato la vita. O forse è solo la sillaba più facile da pronunciare.
Si sciacqui, Monsignore: abbiamo finito.
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Mamma! Mamma!

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Se tutto è troppo facile

Monsignore, è un grandissimo onore per me averLa qui.
Prego, s'accomodi.
(Lara, vammi a prendere i ferri buoni. C'è il Monsignore!)

Colgo l'occasione per confessarLe che l'altro giorno ho goduto di un piacere autentico, e d'intensità rara, leggendo il suo ultimo pezzo contro la pillola assassina. Soprattutto là dove dice

Rendendo tutto più facile, la nuova modalità abortiva certamente aumenta una mentalità che sempre più induce a considerare l’aborto come un anticoncezionale.
Si', quando una citazione mi piace davvero, la imparo a memoria. Adesso apra la bocca, per cortesia.
Mi sono anche permesso di riportarla sul forum della FOdCA, che mi onoro di rappresentare. La conosce? La Federazione Odontoiatriche Cattoliche. Qui è meglio fare una lastra.
(Lara, vammi a preparare una lastra).
Beh, in effetti non è molto conosciuta, la Fodca. Potremmo essere molte di più... sapesse quante professioniste non si attentano a uscire allo scoperto, dichiarare la loro fede... Ma Lei c'insegna che bisogna dare l'esempio. Adesso stringa. Ma no, non fa male. Appena un po' di fastidio, che sarà mai... Stringa, su. Ecco, abbiamo fatto. Un attimo che il computer rielabora l'immagine.

Vede, io credo che lei abbia colto l'essenza del problema. Fossero tutti come lei... invece di tirare fuori la bufala della pillola pericolosa per le madri, una cosa a cui non crede nessuno... no, il punto è quello che ha trovato lei: la banalizzazione. Con la Ru486 abortire non diventerà più pericoloso o meno assassino. Ma diventerà una cosa facile, banale, alla portata di tutti. E' questo l'abisso morale che si spalanca davanti a noi. Lara, questa immagine arriva o no?

Ah, ecco.
Eh, beh, capisco che le facesse male a masticarci sopra. C'è una carie che si è infiltrata sotto l'otturazione. E ce n'è un'altra... qui, vede? Sotto il colletto. Ma da quand'è che non ci vediamo?

Monsignore, è un discorso che abbiamo fatto spesso. Caffè, fumo, zuccheri tra un pasto e l'altro, non sono amici dei suoi denti. Poi è inutile che Se la prenda con me. In tre anni è la quarta volta che rivediamo quell'otturazione. Le dico con tutta franchezza che a questo punto la maggioranza dei miei colleghi Glielo avrebbero già devitalizzato - se non cavato via, semplicemente. Ma noi della Federazione Odontotecniche Cattoliche abbiamo un'idea diversa. Per noi la vita del dente viene prima di tutto. Lara, per favore, preparami dieci cc di zertyupol.

Monsignore, so che mi capisce. Lei ha un problema col Suo dente. Banalizzando, si potrebbe pensare che il problema consista in un paio di carie. Ma io e Lei sappiamo che il problema non coinvolge soltanto lo smalto: esso penetra la dentina e il cemento e raggiunge l'essenza, come dire? spirituale del Suo premolare. Banalmente, io potrei raschiarle via l'ennesima macchia scura; molti miei colleghi laicisti lo farebbero, ben contenti di rivederla tornare poi di qui a pochi mesi. Ecco, noi della Fodca abbiamo deciso di lavorare in un'altro modo. Lara, per favore, allaccia le cinghie al Monsignore.

Se ora Lei non avvertirà la solita sensazione di intorpidimento alla mascella, c'è un motivo. Quello che Le ho iniettato non è un sedativo. Viceversa, è qualcosa che L'aiuterà a sentire meglio quello che sto per farLe. Perché alla Sua età, Monsignore, non vorrei mai che perdesse i sensi mentre... apra la bocca, da bravo, ecco. Dicevo, ma puo' sentirmi? NON VORREI MAI CHE LEI PERDESSE I SENSI MENTRE LE TRAPANO UN PREMOLARE SENZA ANESTESIA. Non provi a chiudere la bocca mentre ho il trapano in mano. Non ci provi davvero. Si concentri su qualcosa. Su quello che Le sto dicendo, magari. Ora riprendo. C'è parecchio lavoro da fare qui dentro, lo sa.

Vede, quello che è successo a noi dentisti negli ultimi 50 anni, gli enormi progressi fatti in tutte le direzioni, ma soprattutto nella terapia del dolore, hanno in qualche modo degradato l'essenza morale della nostra professione. Noi dentisti sappiamo nell'intimo della nostra coscienza che la migliore terapia contro la carie è la prevenzione: una dieta corretta, l'astensione dalla nicotina e via dicendo. Ma d'altro canto è molto più lucroso curare i milioni di carie figlie delle cattive abitudini che ci guardiamo bene dal combattere. Tanto più che levarsi una carie, o un dente intero, è diventato sempre più facile e indolore... banale, in una parola. Ora, noi della Fodca abbiamo deciso che non puo' più essere cosi'. Siamo ancora poche, è vero, ma decise a dare l'esempio. Lara, tieniGli stretta la fronte, cosi'. Ecco, adesso va meglio.

Non si spaventi se vede le stelline, a questo livello è normale. Ma ci pensi bene: ha mai vissuto un'esperienza del genere nella sua vita? Pensa che potrà mai scordarSela? No, non muova la testa, mi risponda roteando le orbite. Bene. Ogni volta che scarterà un cioccolatino, che Si accenderà una sigaretta, lei Si ricorderà di questo dolore. Questa è la vera cura contro le carie, mi capisce? Quella non facile, quella che coinvolge il paziente anche sul piano spirituale. Noi Odontoiatriche Cattoliche ci crediamo fermamente. Ora se vuole puo' urlare.

Lara, hai notato che urlano tutti la stessa cosa? Che vorrà dire?
Mamma, mamma, come se il dolore più lancinante potesse capirlo solo la madre. O forse è solo la sillaba più facile da pronunciare.
Si sciacqui, Monsignore, abbiamo finito.
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...e il nostro vescovo, Santo

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Venerdì è morto monsignor Santo Quadri, vescovo emerito di Modena. È stato un padre conciliare e un buon vescovo, che non ha mai dato l'impressione (come Biffi a Bologna, per dire) di guidare il vascello della Verità sul gran mare delle blatte comuniste.
È stato anche il vescovo della mia giovinezza, perciò se penso a lui mi vengono in mente soltanto storielle buffe. Per esempio, sin da bambino ho sperato che ci facesse un miracolo (e ancora ci conto). Non perché avessi bisogno di un segno, come questa generazione empia e malvagia (Matteo 12:38), ma semplicemente perché quando fai un miracolo il Papa deve proclamarti Santo, e ve lo immaginate sul calendario, un San Santo da Modena? Santo Quadri, il Santo al Quadrato.

Di quasi-miracoloso aveva le prediche, che raramente sforavano il quarto d'ora. Le sue visite pastorali erano molto attese, specie nella mia parrocchia dove l'arciprete era luuungo: ma la domenica che arrivava il Vescovo si riusciva sempre a mettersi a tavola una mezz'ora prima, sempre sia lodato.
Una volta il mio gruppo scout, uno dei più trasandati della provincia, gli rese la visita, e un paio di noi furono sorteggiati per servir Messa in duomo. A Giovannino toccò di reggergli il pastorale. Giovannino non sembrava particolarmente emozionato, tranne che durante l'omelia svenne, crollando in un solo colpo, tunc! Mentre qualcuno accorreva a soccorrerlo, Monsignor Santo Quadri si voltò di scatto, in un istante si rese conto del problema, e tagliò corto: “Sia lodato Gesù Cristo”. Probabilmente interpretò l'incidente come un segno che aveva parlato abbastanza. Altri vescovi, lo so, avrebbero continuato a concionare per mezz'ora. Mi era simpatico, il monsignore.

Un'altra volta gli capitò di prendere un passaggio in macchina da un mio capo scout (una di quelle persone fantastiche che hanno arricchito la mia vita e che, per inciso, ho incontrato per l'80% in parrocchie di provincia). Non mi ricordo in che occasione, e non ricordo nemmeno che macchina fosse – facciamo una Tipo bianca, va. Il vostro vescovo li prende i passaggi dai fedeli in Tipo bianca? Il mio lo faceva. Bisogna dire però che stava diventando un poco sordo.

Erano gli anni surreali dell'assedio a Sarajevo. Tutto quel carnaio a pochi chilometri da qui, e nessuno che ne capisse niente. Noi facevamo il possibile per essere buoni, guidavamo nella notte furgoni verso i campi profughi in Croazia, ma era come se ci mancasse il quadro generale. In mezzo a tutto questo, il mio capo scout si trovò a dare un passaggio al vescovo, e decise di pungolarlo.
“Monsignore, ma con la Bosnia cosa facciamo?”
“Eh?”
“Con la Bosnia, Monsignore, cosa facciamo?”
“Beh, con l'aborto, adesso, qualcosa stiamo cercando di fare, stiamo...”
“Non l'aborto, Monsignore, la BOSNIA! La BOSNIA!”

Ora magari è nel luogo dove si sente tutto benissimo. E magari si legge bene anche internet laggiù, per cui adesso smetto. Comunque, se mi servisse un miracolo, il primo a cui mi rivolgo è lui.
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Sfonderò i vostri armadietti maledetti

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Un luogo appena un poco più comune

Basta armadietti
È giusto, prima di parlare di un film del genere, che il piccolo recensore confessi le sue idiosincrasie. Perché magari Juno potrebbe essere una pietra miliare del cinema mondiale, tipo Quarto Potere od Odissea nello Spazio, e tuttavia non sarei riuscito ad apprezzarlo appieno dal momento che è un film con gli armadietti e io, quei fottuti armadietti dei licei americani, non li sopporto più, levatemeli dagli occhi.

Non è colpa degli americani – che ci possono fare? Loro hanno gli armadietti, è giusto che li mostrino. E hanno anche le cheerleader e i bibitoni dai colori improbabili, e il ballo di fine anno… è normalissimo e comprensibile che continuino a fare film su queste cose. Si tratta di un problema mio: a un certo punto della mia vita ho iniziato a sentire una voce nella mia testa che mi diceva BASTA COI FOTTUTI ARMADIETTI e questo forse pregiudica la mia capacità di recensire Juno.

Forse ho visto troppi telefilm, fatto sta che a un certo punto il mio immaginario ha sviluppato un’intolleranza agli scaffali grigi lungo i corridoi. L’impressione di conoscere le scuole di laggiù meglio delle italiane, oltre che illusoria, è frustrante, perché in quella italiana ci lavoro, e benché ricopra una mansione di grande responsabilità il mio personale armadietto è largo 40x20cm.: ogni mattina che m’inginocchio per aprirlo, ripenso agli immensi armadietti degli imperialisti americani. Non sono la persona più adatta a parlare di Juno.

Non so se l’ho mai spiegato, ma l’America mi fa paura. Meno della Cina, ma un po’ più del Perù. Si può viaggiare per giorni e giorni e si resta in America. Cambierà il paesaggio (non tanto), ma le città avranno nomi simili, i ristoranti i nomi identici, e nei licei le bionde faranno le cheerleader e le more ascolteranno punk. Tu pensi che sia un luogo comune. Ma l’America è precisamente questo: un immenso luogo comune. Quando esce un film, e tutti dicono che è un film diverso dagli altri, tu ti aspetti precisamente che rovesci il luogo comune. Ma un luogo comune rovesciato è ugualmente comune, come quella canzone che ascoltata all’incontrario suona uguale. Così Juno arriva a scuola, apre il suo armadietto, scambia due scortesie col bulletto di torno, e ci spiega che in realtà ai bulletti piacciono le more postpunk, mentre alle bionde piacciono i professori, avete capito come ragiona Juno? È questo che mi spaventa dell’America. La quantità ti porta a ragionare per categorie. Al massimo riconoscono che le categorie si comportano in modo un po’ più complesso (pensavi che le bionde si filassero i terzini di football? sbagliato), ma questo non toglie che le categorie esistano, e tu ci sia dentro. Hai capito, individuo di una piccola nazione esotica? Tu in realtà non esisti. La tua individualità è una somma di variabili che noi abbiamo individuato e quantificato da tempo. Esistono i nerd, esistono i fighetti, esistono quelli che prenotano la limousine per il ballo di fine anno ed esistono quelli che trovano il ballo una stronzata ma sotto sotto gli rode. Più su esistono i ricchi che vivono tra mobili per ricchi in case da ricchi nei sobborghi da ricchi, e i non ricchi che hanno lo sportello del frigo adorno di cento calamite.
Quello che mi fa più paura in questo modo di pensare, è che probabilmente gli americani hanno ragione. Se prendiamo 200 milioni di persone, e li facciamo vivere in una fascia geograficamente abbastanza omogenea, vedremo che le personalità si allineano lungo determinati standard sociali, e che l’individualità non può essere che un’illusione. Un’illusione che probabilmente è più facile coltivare in una penisola stretta e stretta ricca di paesaggi e climi diversi, dove sulle due sponde dello stesso fiume si parla un dialetto diverso. Comunque io preferisco tenermi la mia illusione di individualità, e voi tenetevi quei fottuti armadietti.

(Qui non parlo più di Juno)
A un certo punto della mia vita ho fatto la pace coi luoghi comuni. Dal momento che esistono, e funzionano, ho capito che devo imparare ad usarli e a non essere usato da loro. Per esempio io ho un blog, non so se ne avete sentito parlare. Su questo blog a volte scrivo dei racconti, li scrivo molto brevi con la scusa che sono per il blog, e siccome non ho spazio per costruire personaggi a tutto tondo (ma avendo lo spazio probabilmente mi mancherebbe la capacità), nella tazzona oversize dei luoghi comuni c’intingo alla grande, e quando i commentatori s’incazzano io sghignazzo. “Ehi, Leonardo, ho letto il tuo pezzo sugli imprenditori arroganti e i benzinai pachistani con la faccia gentile, bella roba, eh? Forse non al livello di quello sugli omosessuali petulanti, ma insomma quando arriva il pezzo sui negri col senso del ritmo?” Tempo al tempo, arriverà anche quello, non fatemi pressione. Siccome non ho pretese di naturalista ottocentesco, né di monologhista interiore novecentesco, ma vorrei semplicemente descrivere la mia società in abbozzi sintetici ed efficaci che arrivino a più gente possibile, io ho da tempo incluso i luoghi comuni nella mia cassetta degli attrezzi, e non credo di falsificare la realtà quando li uso, anzi.

Forse l’ultimo Virzì mi è piaciuto tanto perché ci leggo la stessa premessa: perché darsi pena ad evadere dai luoghi comuni, quando la realtà stessa è ben più macchiettistica del vero? Virzì descrive la realtà abitata da tizi come quel manager della Telecom che incita a vincere come “Napoletone a Waterloo”: l’avete visto tutti. Sembrava o non sembrava un provino di Tutta la vita davanti? Ma probabilmente i critici l’avrebbero trovato troppo caricaturale. E allora non prendetevela con Virzì, l’Italia è questa. Se mai mi piace che Virzì abbia scelto l’opzione della vecchia commedia all’italiana: dati gli stereotipi, carichiamoli finché scoppiano. Il suo è un film dove la gente litiga, impazzisce, imputtanisce, in generale fa male a sé stessa e agli altri. Questo mi piace, tanto più ultimamente al cinema m’imbatto sempre più spesso in film che praticano una via opposta.

(Adesso parlo di Juno, raccontando quasi tutta la trama)
Juno è per l’appunto un rappresentante di questa seconda via, che potrei descrivere così: siccome i luoghi comuni esistono, li diamo per scontati, li accenniamo appena appena, e poi lavoriamo per sottrazione. E quindi, caro spettatore che conosci a memoria tutto lo sfondo umano del liceo americano: ti aspetti che Juno sia una sedicenne irresponsabile e deficiente? Ecco, no, vedrai che non è così irresponsabile e deficiente. Ti aspetti che il suo ragazzo sia nerd e immaturo? Dai, non è così nerd, corre gli 800 metri e si preoccupa dell’alito. Ti aspetti che la migliore amica sia una bionda senza cervello? Scoprirai che ne ha abbastanza per dare a Juno i consigli migliori. Ti aspetti che la matrigna manicure voglia più bene ai cani che a Juno? E invece no, anche lei ha un gran cuore. Forse la madre affittuaria è una donna in carriera maniaca delle creme? Ma al centro commerciale gioca per dieci secondi con una bambina bionda, e quindi probabilmente sarà una brava madre. Forse suo marito è un Peterpan con la crisi dei quarant’anni, pronto a gettarsi su una 16enne incinta di suo figlio? Ehi, ehi, piano, messa così potrebbe sembrare un mostro, e invece vedete che anche lui si ferma subito, capisce il suo errore, chiede il divorzio, naturalmente consensuale e collaborativo perché mostrare un litigio coniugale in un film fa trooooppo anni Novanta, insomma… è un luogo comune.

Il problema è che un luogo comune “impoverito” non è meno comune di prima: è semplicemente appiattito, una versione bidimensionale della realtà (e come tale forse in grado di suscitare un effetto cromatico che solo le ragazze riescono veramente ad apprezzare, il famoso effetto Klimt), dove non ci sono più veri conflitti e tutto è così… carino, ma così carino, che a un certo punto fantastichi di Juno che torna a casa dalle prove del complesso e ci trova Javier Bardem che ha ucciso tutta la sua famiglia con una bombola da enfisema (avete notato che i marciapiedi sono identici? Ma tutta l’America suburbana è così, anche quando la girano in Canada).

Immaginate la storia di Juno scritta e girata da un cultore del conflitto grottesco. La ragazzina scopre d’essere incinta: piange, strepita, poi si mette a cercare dei genitori seri. Perché mai dovrebbe trovarli al primo colpo? Quando mai nella vita è buona la prima? Io mi sarei preso venti minuti almeno di tour nelle case degli aspiranti genitori: madri isteriche, fratelli bulimici, padri passivi aggressivi con uncini appesi al garage, non mi sarei fatto mancare nessun luogo comune, dal momento che tutti questi luoghi comuni sono documentati nella cronaca, sono stramaledettamente veri. Poi avrei fatto litigare Juno con padre e matrigna: so benissimo che esistono genitori che sanno prendere le cose con filosofia, ma che gusto c’è a mostrarli in un film? Io al cinema voglio vedere la gente che litiga, è una cosa che Aristotele chiamava catarsi, e funziona: dopo torno a casa placido come un agnellino e se trovo mia figlia a letto con un cingalese sono io che la prendo con filosofia.
Invece un film carino e pacificato come Juno mi rende nervoso, finisce che litighiamo per una svolta a sinistra, non è certamente questo lo scopo dell’arte. E anche il Peterpan, l’avrei voluto un po’ più stronzo, perché che gusto c’è a mostrarci uno stronzo senza mordente? Siamo tutti stronzi così, ma quando andiamo al cinema vorremo vedere uno stronzo assoluto, qualcuno che prenda su di sé i nostri vizi e li potenzi al massimo, onde farcene realmente vergognare (o al limite darci la consolazione dei vili: sono pur sempre meno stronzo di lui). Un fighetto ex grunge coi sensi di colpa non ci fa neanche arrabbiare, non ci fa nulla, quasi quasi ha ragione lui, genitori non ci si improvvisa. Dateci una vera canaglia. E il ragazzo di Juno, lo vogliamo caratterizzare in qualche modo? Non è troppo nerd, non è troppo atleta, non è troppo niente, gelatina al gusto di gelatina, nessuno si innamora veramente di un tipo così.

I luoghi comuni esistono, ma non diventano più interessanti a smussarne le punte e a ricoprirli di melassa. Ma quel che è paggio è che in questo modo si tradisce l’adolescenza di cui si vorrebbe parlare, che non è – per quel che ne so e che mi ricordo – un’età carina. Ma neanche un po’. È un’età grottesca e piena di conflitti, in cui si urla e si strepita per un biglietto dei Tokyo Hotel – figurarsi per un bambino. È l’età dei brufoli, e Juno non ne ha: questo per me chiude ogni discorso. E poi, scusate, è un’età manichea. Se ti piacciono gli Stooges, non suoni i Moldy Peaches. I Moldy Peaches li mangi vivi e li vomiti nel vaso della matrigna, perché se ti piacciono di Stooges e Patti Smith l’ultima cosa che vuoi dare di te è un’immagine “tanto carina”.

Certo, se facciamo finta che i sobborghi americani (e quelli italiani, di riflesso), siano pieni di ragazze carine e vitali e sotto-sotto-sotto-sagge come Juno, è chiaro che l’aborto diventi una cosa assurda: che bisogno ce n’è? Nove mesi di nausea e poi un bel pianto, in casa tutti capiscono le tue scelte, fuori è pieno di simpatici ricchi che non vedono l’ora di prenotare il pargolo, insomma, per raschiarlo via bisogna essere veri mostri. Così l’estetica “carina” finisce anche suo malgrado per contribuire alla battaglia dei più salottieri degli attivisti pro-life. Anche se… ma quindi i ratzingeriani atei sono favorevoli all’adozione da parte dei single? No, perché non lo sapevo. E Ratzinger lo sa? Forse è anche per quello che non manda nessuno alle loro manifestazioni. Vabbè, si consolino coi pomodori di Bologna, città generosa.
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e chi non c'è, non c'è

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Aborto terapeutico

Mi dispiace per aver creato delle attese, ma dopo l'esito della manifestazione "Aborto no grazie" di sabato 8 marzo, durante la quale Ferretti ha intonato il Te Deum per un pubblico inferiore a quello dei suoi primi concerti punchettoni a Scandiano o Codemondo, ho deciso di sospendere unilateralmente la mia campagna di presa per il culo di Giuliano Ferrara, un uomo solo di fronte al ridicolo.

La mia non è pietà, che riservo ai puri di cuore, o comunque non ai raccomandati storici, ma puro calcolo: a sfottere Ferrara siamo già in troppi (e quasi tutti più bravi di me: Disegni, Guzzanti, Cortellesi, vado a nascondermi). È un accanimento degno di miglior causa. La verità, illustrata dal clamoroso flop di sabato, è che se non fosse per noi che lo prendiamo in giro, di questo signore non parlerebbe nessuno, perché le cose che dice non sono interessanti.

[Per inciso, mi piacerebbe proporre una legge non molto democratica che imponesse l'abbandono della politica a tutti quelli che indicono una manifestazione nazionale e non riescono a raccogliere in un sabato nemmeno mille persone – pensate, in un colpo solo ci libereremmo di Ferrara e Capezzone (e anche Mastella e Boselli, che però sono più furbi e in piazza da soli non si fanno trovare mai)].

La mia sensazione è che la campagna di Ferrara, come il portale di Capezzone, o le campagne elettorali di Adinolfi, o le teorie quantistiche di Gabriella Carlucci, o i gatti bonsai, facciano parte di quell'insieme di cose che esiste soltanto su internet, e magari un po' su La7, ma che se ne parli nel mondo vero la gente ti guarda strano, chi è Adinolfi? La Carlucci non fa la soubrette? E Ferrara è da un pezzo che non si sente più, che combina?

Certo, gli fanno scrivere un giornale: ma non lo legge nessuno (se non per sfotterlo, appunto). Certo, è continuamente in tv per via di una complicata politica di scambio di favori; ma la gente cambia canale. Anche i vescovi, probabilmente.
Rispondendo alle sue provocazioni si finisce per accettare il postulato che il dibattito sulla vita sia prioritario in questa campagna elettorale. Personalmente non ritengo che lo sia, né vorrei che lo diventasse. Non solo, ma tutte queste chiacchiere sventate sulla sepoltura per gli aborti hanno il risultato perverso e non casuale di far apparire Silvio Berlusconi un campione di laicità semplicemente perché queste cose non gli interessano (come non interessano buona parte della società civile o incivile che sia, che di aborto comincia a preoccuparsi soltanto il giorno che la figlia si mette a piangere per il ritardo). È un gioco di sponda, involontario o no: io mi smarco. In questi giorni ho parecchio da fare e forse neanche un minuto al giorno per le farneticazioni di un signore che pur variando i dosaggi dei farmaci non ha ancora nemmeno visto Dio. Evidentemente non è portato: però è un problema suo.
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