Pensavo di aver chiuso con Billy

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[Dieci anni fa, quando è nato questo blog, bla bla bla, non c'erano un sacco di cose, bla bla. Altre invece c'erano già, come, per esempio, l'Ikea, che io continuai a frequentare almeno fino al maggio 2004, quando mi slogai qualche arto cercando di montare un Antonius in un bagno. Mi vendicai scrivendo queste righe, grazie alle quali il mito ikea è del tutto tramontato e infatti adesso al posto dei punti vendita ci sono delle palestre di lotta libera].

Avendo sentito dire che adesso noi blog siamo i trendsetters (ma forse è già troppo tardi), volevo approfittarne per rifarmi delle mie frustrazioni sull’uomo più ricco di Gates: per annunciare, insomma, che Ikea è definitivamente Out. E mi sembra che siamo tutti d’accordo.

Allora potrei tirare la mazzata finale, e aggiungere: non è mai stato In, e credo che vi troverei ugualmente d’accordo, ma direi una bugia, e voi sareste contenti di credermi. No, c’è ancora in giro qualche portaciddì, qualche cassettino portaspezie in compensato. No, la lavagnetta magnetica resta sempre un oggetto simpatico. No, c’è stato un periodo in cui trovavamo a casa degli amici la mensola per libri paraboloide e pensavamo: però, figata. Insomma, un conto è il trendsetting, un conto è il revisionismo. Quello i blog non lo fanno… ehm, beh, almeno stasera a me non va di farlo. Perché insomma, io certe cose le ho viste. Ho visto i cassettini in compensato in casa di gente rispettabile, laureati, laureandi, architetturandi, e sarà stato il 1998, massimo 1999. Ho visto Fight Club, nel 1999, e ho sogghignato quando Ed Norton sfoglia il catalogo Ikea al gabinetto, l’allusione masturbatoria colpiva sul vivo. E poi ho visto anche i famosi bastimenti in fiamme dalle parti di Orione, ma da vicino, sapete, non furono un granché, preferisco concentrarmi sull’Ikea. Fu un grande fenomeno di fascinazione collettiva, vi sentite di negarlo? Non vendevano truciolato, chiunque è in grado di venderti truciolato, loro vendevano stile di vita (sapessero fare i mobili come fanno i cataloghi). E noi abbiamo comprato.

A volte, bisogna dirlo, abbiamo comprato perché non avevamo scelta. Quando arrivò in Italia, Ikea puntò tutto sulla liberazione del Giovane e della Giovane. il cartello che a quei tempi andava per la maggiore era una duecavalli in camporella (giornali sui finestrini). Titolo: Non è ora di andare a vivere da soli? Probabilmente già allora la risposta di molti ventenni italiani fu: “No, perché?” Ma per altri era ora, decisamente. Quando io uscii di casa, non pensavo davvero ai mobili Ikea, non perché mi fossi accorto di quanto fossero brutti, ma perché credevo di non potermeli permettere. Pensavo di dover volare più basso, genere mercatoni di provincia. Ma nel giro di un mese mi resi conto di una cosa: solo Ikea capiva i miei problemi.

Se la mia stanza era lunga 1mt.60 x 3, era impossibile farci stare un letto e una scrivania, per tacer dell’armadio. Ergo, serviva un letto a soppalco, ma singolo. Adesso non so, ma vi garantisco che nel 1999 non li vendeva nessuno. Solo l’Ikea. Gli altri avevano letti a castello per bambino: perfetto, esco da casa dei miei e mi ritrovo nel reparto infanzia del mobilificio. Era come fare la spesa da single: umiliante.

E allora, quello che trovai da Ikea non era il fascino per il compensato svedese. Non ero così idiota, nemmeno nel ’99, e neanche voi. Quello che trovai a Casalecchio era rispetto. Rispetto per la mia situazione di ventenne-e-qualcosa-single-andato-ad-abitare-in-un-cesso-di-un-metro-e-mezzo-per-tre. Gli altri avevano solo sorrisi di commiserazione e lettini della Barbie. L’Ikea aveva un letto a soppalco singolo, grigio, anonimo, alto il giusto per non sembrare infantile. E ce l’ha ancora, esposto con tutto l’occorrente per trasformare lo spazio sottostante in uno studiolo, un guardaroba, un harem con tappeti e cuscini, una palestra da bodybuilding, un loft. Presi un giorno di malattia per andarlo a prendere con la macchinina, e quando arrivai scoprii che non l’avevano, e piantai una grana finché non me lo diedero lo stesso, e bestemmiai in svedese per farlo stare dentro la macchinina, e ripartii sgommando e cantando

I think I’m on another planet with you, with you

Ce l’avevo fatta. Ero autonomo. Avevo un letto tutto mio. Io, e il mio soppalco, non avevamo più bisogno di nessuno (anche se avessimo avuto bisogno, di qualcuno, non ci sarebbe più stato spazio, né sulla macchinina, né nella stanza, né sul soppalco). Eravamo liberi, indipendenti, autonomi, automuniti.

Giunto a casa, l’amara delusione. Il foglio delle istruzioni – sapete come sono fatti, no? Niente parole, solo disegni – mostrava chiaramente due persone che montavano il letto. Un ragazzo e una ragazza – per colmo dell’umiliazione. Bussai alla Fra’.
“Fra’”
“Sì?”
“Fra’, io pensavo di farcela da solo, ma nel disegno…”
“Che c’è?”
“C’è anche una donna, vedi”.
“Una donna?”
“Ha i capelli lunghi”.

In due riuscimmo a montare il soppalco, anche se demolimmo tutto il resto della stanza. Su quel soppalco ho passato gli anni più assurdi della mia vita. Al mattino, quando suonava la sveglia, mi alzavo – le grucce appese sotto la rete mi salutavano gnigolando – e mi sembrava di essere il capitano di un vascello in rotta verso l’ignoto. Perché ero lì? Ero saggio? Ero responsabile? Ero un idiota? Se lo sarà chiesto mille volte anche Cristoforo Colombo.

Allora, chi lo sa, forse il motivo per cui oggi Ikea non ci piace più, è che la generazione che è uscita di casa alla fine dei Novanta ormai ha passato il guado, si è sistemata, e ha bisogno di mobili più solidi, più personali, meno giovanili, che ne so? Ora a Casalecchio mi pare che puntino di più sugli adolescenti che vogliono rifarsi la cameretta. E mi pare giusto. Ikea è una specie di evoluzione del lego: ti monti le cose da solo, le ricombini, poi ti annoi, smonti tutto e compri un’altra scatola. Va bene.
Una cosa che invece non capisco è il laminato bianco, che quest’anno va molto. Io ho sempre odiato il laminato bianco, ma perché? Ne ho parlato con due miei amici, e condividevano. Poi ci siamo resi conto di una cosa: avevamo in comune un’infanzia in una zona industriale.
Probabilmente in Svezia queste cose non se le immaginano neanche. Devono avere tutto lo spazio per mettere le fabbriche da una parte e le casette dall’altra, tutte belle col loro giardino e il tetto spiovente per la neve. Ma in Emilia è successo tutto in modo così convulso. La gente si è messa a costruire fabbrichette, capannoni in cemento, e sopra, o di fianco, ci ha costruito il suo appartamento. Così si teneva il lavoro in casa. E in casa, per evitare confusione, mobili di noce massiccio. Invece giù, nell’ufficio, schifezze di laminato bianco.

Noi siamo cresciuti giocando col lego, ma anche con le scrivanie di laminato bianco, digitando numeri assurdi sulle calcolatrici da tavolo di papà, e a volte partiva il rullo della carta e non si fermava più. Poi, crescendo, può darci che ci torni un po’ di nostalgia per il lego, come per i cartoni giapponesi: ma il laminato bianco è il rovescio della medaglia, il mondo brutto che vorremmo esserci lasciati alle spalle per sempre, anche se ci ha dato da mangiare per così tanto tempo.

D’altro canto, al noce massiccio non ci siamo senz’altro arrivati, e forse non abbiamo intenzione di arrivarci mai.
E allora – dove siamo? (Ammiraglio, d’accordo, una terra l’abbiamo trovata. Ma che terra è?)
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Suppose I should hate it so

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(Mi bastano i primi dieci secondi e sono di nuovo lassù, santamargherita terzo piano, seduto su un'ustione da turista della domenica, a tradurre cartelle alla disperata, deve sembrare tutto finito entro il trenta luglio, ché il primo agosto forse mi fanno un contratto. Davanti al ventilatore una bottiglia di ghiaccio. Il passato sciocco che mi tocca rimpiangere).
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Adesso è buffo pensarci, ma il proposito per il 2001 era di scrivere una poesia al giorno. Questa era la prima:

Stasera, sul finire del millennio
Un angelo (nero) mi ha visitato
Mi ha cercato a tutti i campanelli
per dirmi: Buana, ti portano via
la macchina.

Io (che ho un bell’anonimato da difendere
qui tra scuri chiusi sigillato
per risparmiare sul riscaldamento
e concentrarmi sull’ultimo concorso),
io penso sia il pappone della tipa
che abitava qui sopra quest’estate,
ospite di un sardo allucinato.
Il pappa diceva d’essere il fratello
di lei: ma non somigliavano per niente.

E giusto per sfatare questa storia
che s’assomiglino tutti, pure lei
da un mese all’altro mutava le forme.
A volte era più alta, direi somala,
a volte tracagnotta nigeriana
sbuffante con la spesa sui gradini
che poi scendeva agile, tigrina,
con tacchi da suicidio.

Vennero su due agenti a ferragosto
a chiedere se per caso era un bordello
il nostro condominio.
Ma perché pensare male di qualcuno
solo per i suoi orari? Certe volte
io e lei ci incrociavamo sul portone
(diciamo alle quattro e mezza del mattino).
“Sei stato a ballare?”, domandava,
io rispondevo e non chiedevo niente.

E – un po’ perché il sardo andava giù di testa,
e pare avesse ucciso già qualcuno
da giovane – un po’ perché l’angelo nero,
già conosceva il mio parcheggio fisso,
(e poi certo, per mancanza di prove)
non dissi niente neanche con gli agenti.

Perché, sia chiaro, io vivo qui per caso
com’è un caso finire qui il millennio
nel mezzo di un bel niente.
In piazza un carro attrezzi sgomberava
per i festeggiamenti, e la mia opel
(che mi somiglia ormai) non cooperava:
stava tra i piedi a tutti.

Concilio e mi tolgo dal disturbo
(non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo)
Buon anno angelo nero e niente grazie
È stato solo uno scambio di favori.


Un proposito per il 2002 potrebbe essere: lasciar perdere tutto, in particolare i buoni propositi.
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Ritorno all'alba
Ieri sera eravamo ancora persi nelle circonvallazioni di Barcellona, litigando a ogni svincolo, e stamattina siamo qui: stanchi, puzzolenti, molto simpatici. Un soggiorno in Catalogna, un breve viaggio nel tempo, ai giorni beati e ignoranti delle gite scolastiche. Complice il clima: nuvole grigie, grevi e sensuali, ci hanno accompagnato per tutto il viaggio, regalandoci a tratti quei violenti acquazzoni così caratteristici delle gite liceali. (Gli stessi barcellonesi rabbrividivano increduli. Mai un primo maggio così freddo).
Bella Barcellona. Bravo Gaudì. Buono pasteggiare a paella tutti i giorni. Eppure qualcosa ci mancava. La campagna elettorale, per esempio, con quel crescendo ormai quotidiano di colpi di scena. Per dirla breve, chissà quante cazzate di Berlusconi in presa diretta ci stavamo perdendo. Cose che poi a raccontarle in differita perdono sapore, come scoprire i risultati delle partite soltanto il giovedì.
E dire che sarebbe bastato sbirciare in qualche edicola (sono aperte 24 ore), per trovare non dico la Repubblica, ma El Pais o El Mundo, gettare fango sul nobile candidato. E questa definizione dell'"internazionale della spazzatura", immaginosa davvero… ("Compagni dai campi e dai cassonetti / Spalate la merda e insozzate il sistema", etc.).
Poi, il ritorno in Italia. Non tutto d'un colpo, come in aereo e anche in treno, ma gradatamente, in autostrada. L'Italia autostradale si afferma per gradi – comincia a manifestarsi verso Marsiglia. Gli autogrill diventano via via più sporchi e più umani, il caffè si restringe sempre più, le distanze di sicurezza si accorciano, le corsie si stringono, la velocità aumenta. Ma l'Italia vera esplode a Piacenza, quando ti immetti sulla A1, che alle cinque del mattino è più trafficata del tratto Barcellona-Montpellier al tramonto. E vai, tra due file di tir, dritto verso l'alba.
Giunti a casa, una gradita sorpresa. In un anonimo cellophane indirizzato a Elisa, un regalo per tutti noi. Una Storia Italiana.
Ma allora ci siamo anche noi, nel target del Cavaliere! Io non ci contavo più. In fin dei conti non mi sentivo interpellato da nessuno dei suoi slogan. "Un buon lavoro anche per te"? Grazie, ora meglio di no. "Pensioni più giuste"? Sì, quelle che ci toccherà pagare ai nostri genitori. "Città più sicure"? Così magari ci aumentano l'affitto. Berlusconi aveva un pensiero per tutti, ma per noi no. Girava voce che "Una Storia Italiana" sarebbe stato distribuito a tutte le famiglie. Per l'appunto, noi non siamo una famiglia. Siamo tre simpatici ragazzi tra i venti e i trenta che indugiano ancora nei locali studenteschi e nelle gite scolastiche. Gente marginale, comunque. E invece no! Anche noi siamo elettorato da convincere! Grande! E dire che abbiamo rischiato di fissare la gita intorno al 13 maggio…
La Storia non l'ho ancora potuta guardare. Elisa ci si è praticamente addormentata sopra, e io intanto dovevo farmi una doccia e presentarmi al lavoro. Spero che sarà molto divertente. Questi giorni sono stati molto divertenti. Speriamo duri il tempo. Questa nuvolaglia grigia… mi porta bene.
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Diman tristezza e noia / Recheran l'ore, ed al travaglio usato / Ciascun in suo pensier farà ritorno...

Sorpresa nel dì di festa
A casa mia le feste sono tristi. Di solito resto solo a domandarmi perché. Potevo farmi un giro al mare, ai monti, a Roma, a Vienna. D'altro canto non è saggio partire nei giorni di transumanza turistica, né è prudente uscire col brutto tempo (puntuale a ogni fine settimana). Infine, mi secca partire da solo.
E allora, un pranzo dai genitori! Ci si strafoca, si sprofonda sul divano… c'è un gran premio, si aspetta la partenzzz… Con un po' di allenamento, ci si riesce a svegliare con un soprassalto nei pit-stop. Poi ci saranno i risultati, i gol, intanto il lunedì si approssima, (e con lui il travaglio usato), un mese passa dopo l'altro, tra dieci anni ne avrò quasi quaranta… Chi verrà a reclamare le domeniche che ho perso?
Meglio forse stare in casa, pulire il bagno, dare lo straccio. Sistemare appunti e incartamenti. La settimana ripartirà col piede giusto
Così era il lunedì dell'angelo, in cui Gesù risorto fa una sorpresa alle pie donne. La radio mi confortava con notizie di lunghe code autostradali, sotto pioggia battente, magari anche neve. Non aspettavo nessuno, nessuno mi aspettava, quindi cosa ci facevo qui? Era davvero il mio posto? Come c'ero arrivato? Dove mi ero sbagliato? E tutto questo tipo di discorsi, grattandomi sul divano. La casa, la tavola imbandita di qualche sera prima, urlava puliscimi maiale, ma perché? Per chi? Stavo comunque pensando di andare almeno a dar la caccia alle formiche che fanno sortite da certi loro rifugi dietro le piastrelle della cucina, quand'è suonato il campanello. Pareva fosse Glauco. E vabè.
Invece era Elisa che tornava dall'Angola dopo dieci mesi senza aver detto niente a nessuno, che saliva dalle scale come niente fosse, con due borse e una specie di scudo di paglia: "Ciao, come va?"
Alle sorprese ognuno reagisce come può. Le pie donne ammutoliscono e s'inginocchiano. Io ho pensato alla tavola imbandita, alle piccole operaie che dilagavano sotto il nostro cesto della spazzatura, e mentre lei già dentro esclamava "che bella questa casa!", ho fatto la scena della casalinga del missionario "ma potevi dirmi qualcosa, no? Davo l'aspirapolvere".
Le sorprese sono piacevoli, per chi le riceve, e piacevolissime per chi le fa. Dunque c'era chi da giorni si aspettava d'incontrarmi, questo lunedì. Va bene, bastava dirmelo. Mi sarei messo il cuore in pace (e la casa in ordine). Fuori pioveva, veniva il sole, non si riusciva a capire. Ma ormai la festa era riuscita.
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L'inaugurazione della sede di "Forza Nuova" c'è stata, preceduta da una pacifica manifestazione della sinistra giovanile. Forze di polizia impegnate in massa, ma del loro intervento non c'è stato bisogno. Nemmeno quando in via Ramazzini, fino a ieri agli onori delle cronache per la presenza di uno degli stabili di "Palazzopoli", ora per quella di una sede dell'estrema destra - ma il segretario provinciale dell'Uni, Unione nazionalisti italiani, Paolo Andreoli, che ha messo a disposizione l'immobile, si è all'ultimo dissociato - è arrivato l'ispiratore ed idelogo del movimento, Roberto Fiore.
[…] Alle 10,30 la scorta Digos precede il Freelander di Roberto Fiore che imbocca la via dalla parte del Foro Boario. [Gazzetta di Modena di oggi]

Manifestazioni
Io abito in centro, ma siccome non ho la residenza devo parcheggiare fuori, e non è sempre facile.
Però, se fossi l'ideologo di Forza Nuova, potrei circolare liberamente per le rue e per i calli, con un bel fuoristrada, e con la scorta dalla Digos che mi trova il parcheggio e mi custodisce la macchina. Mah. Devo pensarci.

Forza Nuova ha un immaginario territoriale. Per i suoi aderenti l'Emilia Romagna è un "territorio rosso" (come una casella di Risiko con carri armati e bandierine rosse) e riuscire a metterci piede, anche solo per una mattina, una sventolata di bandiere e una mano alzata, è già una vittoria. Incursione riuscita, torniamo alla base. (La stessa cosa, in grande, è successa a Bologna un anno fa).
L'effetto è aggravato dalle forze di polizia, che danno tutta l'impressione di proteggere gli aderenti di forza nuova. Pare che ci fossero sette camionette. Non stiamo un po' esagerando? Se quattro gatti fascisti sono una provocazione, cinquanta poliziotti cosa rappresentano?
A volte mi dispiace di non conservare ritagli, perché sulla Gazzetta (o sul Carlino?) di sabato mattina c'era un'intervista esilarante a questo Andreoli, presentato più o meno come il responsabile modenese di Forza Nuova, che nell'intervista negava persino di essere iscritto. Scopriamo infatti che lui è il segretario dell'"Unione nazionalisti", un'associazione pacifica e democratica (perché, forza nuova invece è violenta e antidemocratica? Ma va'?), che ha prestato gli ambienti, dissociandosi immediatamente. Spiegherà più tardi che si trattava soltanto di un'"inaugurazione simbolica", e che Forza Nuova dovrà trovarsi un'altra sede. Tanto i soldi non le mancano, ma era proprio il caso di farsela addosso, camerata? Un minimo di responsabilità per le proprie azioni…

Qualcuno ha visto Bomper Stomper?
È un film sui naziskin australiani, molto cattivi, molto ideologizzati, che però a furia di stuzzicare i cinesi si fanno menare a sangue, in virtù del numero. Ecco, pensando che via Ramazzini è a due passi dalla Pomposa, mi è venuto in mente anche questo.
Potevano almeno farlo parcheggiare in Foro Boario, Fiore, no? Così entrava in centro a piedi, come ogni buon cittadino, si faceva una bella passeggiata, dava un'occhiata all'Aedes Muratoriana, che in fondo è un luogo sacro dell'identità nazionale. E sì, è proprio lì dalla Pomposa. Camerata! Un po' di coraggio! Sempre all'ombra di zia polizia. Hai paura che ti mangiano, i modenesi? Che t'infilzino nel kebab?

Un altro caso interessante è quello della manifestazione organizzata contro i magistrati anti-pedofili. Anche qui non ho ritagli, ma ricordo che il Carlino riportava con una certa indignazione il fatto che la Digos schedasse i pacifici dimostranti.
In realtà schedare dimostranti di qualsiasi specie è prassi comune della Digos. Forse la novità è che il Carlino simpatizzi con una manifestazione. O che i manifestanti possano essere rispettabili cittadini, padri di famiglia e dignitosi rappresentanti del Ceto Medio.
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Il futuro è fattorino
Di questi tempi, quando ho il frigo vuoto, difficilmente trovo il tempo per andarlo a riempire. Non credo che in futuro le cose andranno meglio, per quanto riguarda il tempo; in compenso credo che sarà la tecnologia ad aiutarmi.
Infatti tra un paio d’anni, recessione permettendo, stimo di poter iniziare a fare la spesa on line. Andrò sul sito della coop (o della conad, a seconda dei prezzi, della grafica, delle politiche ambientali) e selezionerò i prodotti, invierò una mail, e un fattorino verrà a recapitarmi le sporte a casa (non sarà più umiliante abitare al terzo piano senza ascensore). Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.
Rimarrà la fatica di controllare cosa manca nel frigo.
Ma tra cinque-sei anni, penso che anche questa fatica mi sarà evitata da un frigorifero intelligente che mi avverta da solo sulle scadenze delle merci, sulle carenze (se manca il latte), sulle eccedenze (troppi pomodori, poi vanno a male), sui gusti dei famigliari (le sottilette non vanno mai via), ecc.. Il frigorifero mi manderà una mail e io farò l’ordine ai fattorini. Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.
Infine, tra meno di dieci anni, se non si sovrappongono crisi, calamità, pestilenze, se insomma la civiltà occidentale resiste, la tecnologia mi doterà di un frigorifero non solo intelligente, ma anche affidabile, il quale manderà direttamente le mail ai fattorini, senza chiedermi il permesso. Al massimo sarò io a chiedergli di tanto in tanto più o meno gelati, a seconda di come me la passo. Ma col tempo il frigorifero imparerà a conoscere i miei cicli e stati d’animo, non dovrò più dirgli nulla, arriverò a casa la sera con la cena già bella e recapitata dai fattorini, e avrò più tempo da dedicare al mio lavoro.
Il quale lavoro consisterà, se le mie previsioni non sono errate, nel fare il fattorino, sgobbando dodici ore al giorno per strada e su per le scale, a portare la spesa a un sacco di persone come me che non hanno il tempo di farla, perché anche loro fanno i fattorini.

(Questa forse è una metafora della nostra società postmoderna).
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Piccolo test di geografia
Nei giorni del concorso ho studiato un po’ di geografia fisica, questa cenerentola tra le materie. Per esempio, ho re-imparato come funziona la dinamica astronomica delle stagioni, l’influsso dell’inclinazione dell’asse terrestre, etc.. È una nozione che mi tocca recuperare da capo diciamo ogni cinque-dieci anni, tutte le volte a prezzo di un enorme sforzo di astrazione.
In geografia le cose più difficili sono quelle più scontate. Per esempio: la luna ruota o no su sé stessa? Voi cosa ne dite? Io e F. ne discutiamo spesso, di solito di notte e coi bicchieri mezzi vuoti.
Ed eccone un’altra ispirata dal cielo di oggi, perfetto cielo limpido di febbraio con le nevi del Cimone sullo sfondo… siete pronti? Bene. Perché sulle montagne fa più freddo?
Questo, per esempio, sul mio manuale di geografia (per le superiori) non c’era. Probabilmente è considerata una nozione troppo elementare. Dovrebbe far parte di quella ‘cultura di base’ geografica che dovremmo già avere assunto… dove? Alle elementari? Dal seno materno? In uscita con gli scout?
Bene, io so benissimo che sulle montagne fa più freddo, ma non credo di sapere esattamente il perché. Ho alcune teorie, ma mi piacerebbe sentire le vostre. (Qui a fianco ho aggiunto un link per scrivermi). Per ora nessuno mi ha risposto con la perentorietà di una nozione assunta una volta per tutte.
Vorrei poter dimostrare come in realtà la maggior parte di noi non sappia perché sulle montagne faccia freddo, anche se crede di saperlo.
E cioè: quello che noi chiamiamo cultura è ciò che noi crediamo (o facciamo finta) di sapere…
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