In questa pagina ho riportato gli ultimi articoli che ho scritto per il quotidiano ambientalista Terra, il settimanale Carta, Manifesto, per siti come Global Project, FrontiereNews o siti di associazioni come In Comune con Bettin e altro ancora.

Vita di Moussa Diarra ucciso dalla Polfer, oltraggiato da Salvini

VERONA Presidio alla stazione di per ricordare il 26enne del Mali. Gli amici: «Non si risponde con le armi al disagio sociale e psichico»

In tanti si sono recati ieri sera alla stazione di Verona per ricordare con mazzi di fiori Moussa, il 26enne del Mali ucciso. L’episodio è accaduto domenica di prima mattina. Il giovane, in evidente stato di disturbo psichico, avrebbe tentato di aggredire tre poliziotti della Polfer con un coltello, uno dei quali gli ha esploso contro tre colpi di pistola, uccidendolo. Ma se la dinamica dell’episodio, attualmente al vaglio della magistratura, è ancora da chiarire, la politica non ha perso tempo a cavalcare il fatto. A Verona, l’opposizione di destra si è immediatamente scagliata contro i migranti e le politiche, a loro modo di vedere, troppo permissive della Giunta guidata dal sindaco Damiano Tommasi. Non poteva mancare un intervento a gamba tesa di Matteo Salvini che ha scritto sui social: «Con tutto il rispetto, non ci mancherà. Grazie ai poliziotti per aver fatto il loro dovere».

MA CHI ERA, QUESTO ragazzo del Mali che non mancherà al leader della Lega? Moussa Diarra, questo il suo nome, era fuggito dalla guerra che insanguina il suo Paese. Sognava di lavorare nei campi in Italia, come suo fratello. Sbarcato a Lampedusa nel 2016, dopo aver attraversato l’inferno libico, è stato ingabbiato nel Cas veronese di Costagrande, struttura ora chiusa e tristemente famosa per le condizioni in cui tratteneva i suoi “ospiti”. Qui Moussa aveva avviato la trafila per un permesso di soggiorno umanitario e cercare lavoro. Quando l’hanno rimesso in libertà, soffriva oramai di depressione e di disturbi psichici. Ma fuori del Cas, per Moussa, come per tanti altri, non c’è niente.

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Porto di Venezia, sciopero a oltranza contro il bando iper precario

Proteste Operaie La lotta va avanti da quattro giorni. Il testo rischia di fare da apripista per tutte le altre autorità: «A rischio la sicurezza» 


Sciopero, sciopero ad oltranza. Da quattro giorni, i lavoratori del porto di Venezia hanno incrociato le braccia e si sono riuniti in assemblea permanente, fermamente decisi a non tornare sulle banchine sino a quando non sarà ritirato il contestato bando varato dall’Autorità Portuale che determina i parametri del lavoro temporaneo. Uno sciopero proclamato mercoledì 16, dopo l’inevitabile rottura del dialogo col presidente dell’Autorità dell’Adriatico settentrionale, Fulvio Lino Di Blasio, che ha alzato un muro davanti alle richieste dei portuali.


Uno scontro durissimo, come non se ne vedeva da tempo nel nostro paese. Uno scontro che ha visto mobilitarsi tutte le sigle sindacali e occupazionali del porto: Filt Cgil, Fit Cisl, Uilt e la cooperativa Nuova Compagnia Lavoratori Portuali. Uno scontro che non ha come posta in palio solo il futuro occupazionale dei portuali di Venezia. Il nuovo bando infatti è solo un apripista per simili provvedimenti che minacciano di essere varati in tutte le altre realtà portuali d’Italia. Anche per questo, manifestazioni di solidarietà e l’invito a tener duro, ai 120 portuali di Venezia, sono arrivati da tutti gli altri lavoratori dei porti d’Italia, da Ravenna a Monfalcone, da Trieste a Napoli. Gli storici camalli di Genova si sono dichiarati pronti a scendere in agitazione a fianco dei portuali veneziani per fermare il bando.


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In migliaia a Mestre per Giacomo e contro le politiche securitarie di Brugnaro

 

«Riprendiamoci la città» Il Cso Rivolta e tante associazioni hanno ricordato il ragazzo morto il 20 settembre. «Riprendiamoci la città. l sindaco ha tagliato tutti i servizi di welfare a Venezia, noi reagiamo: oggi noi chiediamo una radicale inversione di rotta»

Più di cento sigle tra comitati di quartiere, associazioni cittadine, movimenti, partiti, sindacati, comunità di migranti, hanno aderito all’appello lanciato da «Riprendiamoci la città» e dal Cso Rivolta e si sono date appuntamento nel pomeriggio di ieri davanti alla stazione di Mestre per manifestare dietro al grande striscione con la scritta: «Per Jack, per noi, per tutti: riprendiamoci la città». Il corteo ha sfilato lungo corso del Popolo sino alla cancellata ricoperta di mazzi di fiori del liceo Guggenheim, davanti alla quale, nella notte di giovedì 20 settembre, il 26enne Giacomo Gobbato è stato ucciso e il suo amico Sebastiano Bergamaschi ferito a una gamba nel tentativo di soccorrere una donna aggredita.

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Mestre, la veglia per ricordare Jack: «Non lo userete per campagne d’odio»

Il marciapiede dove Jack ha versato il suo sangue ieri era coperto di fiori. Qualcuno ha appeso alla rete una sciarpa della palestra popolare del Rivolta. 

Dei bambini hanno lasciato dei disegni con grossi cuori rossi. Altri hanno scritto dei pensierini. Il parroco della chiesa vicina, nel pomeriggio, ha radunato i fedeli per una veglia di preghiera. Non è ancora stato stabilito il giorno del funerale perché il corpo del giovane rimane ancora a disposizione degli inquirenti. Identificato invece il presunto omicida fermato dopo il fatto: Serghiei Merjievschii, un 38enne moldavo senza fissa dimora e dipendente da sostanze. Sarebbe stato lui a uccidere Jack e a ferire Sebastiano, intervenuti per difendere una donna da una aggressione in pieno centro di Mestre. Sono proprio i residenti di Mestre a voler ricordare in queste ore il sacrificio del giovane attivista del centro sociale Rivolta. Persone che subiscono tutti i giorni, sulla loro pelle, il degrado in cui la città è stata fatta precipitare. Ho incrociato una anziana signora di Marghera che ha deposto un mazzo di girasoli: «Tutti scrivono male dei ragazzi dei centri sociali ma io che vivo vicino a piazzale Concordia so che sono gli unici, con i dottori dell’ambulatorio che Emergency ha aperto proprio vicino al Rivolta, che mi hanno aiutata quando ho avuto bisogno».

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Giacomo, 26 anni. Morto per non essersi voltato dall’altra parte

VITA DI JACK Mestre, un militante del centro sociale Rivolta accoltellato mentre sventava un’aggressione in pieno centro. Ferito anche un 25enne

C’è anche chi non si gira dall’altra parte. Giacomo Gobbato, o Jack come lo chiamavano gli amici del centro sociale Rivolta, apparteneva a questa seconda categoria di persone. La coltellata al petto ricevuta mentre tentava di difendere una donna da una aggressione, gli è stata fatale. Jack, 26 anni, è morto subito dopo il suo trasporto all’ospedale. L’amico che era con lui, Sebastiano Bergamaschi, 25 anni, se l’è cavata con una ferita alla gamba.

IL FATTO è accaduto poco dopo le 23 di venerdì, nel centralissimo corso del Popolo, la main street di Mestre. Una strada un tempo popolata di vita e di movida. Oggi – dopo la «cura» del sindaco Luigi Brugnaro che ha tagliato tutti i servizi sociali e le strutture di riduzione del danno della città in nome di una idea di «sicurezza» tutta sua fatta di taser, pistole e di vigili palestrati – corso del Popolo è diventata un supermarket regionale dello spaccio e della violenza. Di ritorno da una festa di compleanno, Jack e Seba hanno sentito una ragazza che urlava e che cercava di resistere allo scippo del suo zaino.

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Vicenza, ambientalisti e No Tav in difesa del bosco dei Ferrovieri

La manifestazione. Fino a domenica il Climate camp: dibattiti, spettacoli e musica. E sabato il corteo: salute, ambiente, pace e democrazia per tutti

«È salendo sugli alberi, che possiamo vedere un futuro migliore», si legge nel manifesto del Climate Camp 2024. Gli alberi in questione sono quelli del quartiere popolare I ferrovieri, situato nella prima periferia ovest di Vicenza. Alberi a rischio di abbattimento per far posto a un contestassimo cantiere della Tav: 25mila metri quadrati di verde in mezzo ai quali, sino a metà degli anni Ottanta, sorgevano gli impianti di pettinatura della storica azienda vicentina Lanerossi. Oggi l’area è un polmone verde che regala ossigeno a tutta la città e per difenderla è si è mobilitato l’intero arcipelago ambientalista del Veneto. Wwf, Legambiente, Fridays for Future, Europa Verde e Italia Nostra, hanno solidarizzato con i giovani degli spazi sociali cittadini, come il Bocciodromo e il Caracol Olol Jackson, che lo scorso aprile sono «saliti sugli alberi», per l’appunto, e hanno occupato il bosco, organizzandovi concerti, performance e incontri. Sino a domenica prossima, il bosco dei Ferrovieri ospiterà il Climate Camp, giunto alla sua quinta edizione. Climate Camp che, per l’occasione, si è spostato dal Lido di Venezia per contribuire a difendere il bosco di Vicenza dalle ruspe della Tav.

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Le multe del ragazzo alla tutrice volontaria

Una vicenda paradossale che rischia di costare oltre 20 mila euro di multa ad una tutrice volontaria di Bologna, colpevole solo di aver dato disponibilità al tribunale per l’affido di un minore non accompagnato arrivato nel nostro Paese lungo le rotte migratorie. Una vicenda che, al di là delle specificità del caso, mette in evidenza come le politiche di affido di minorenni non accompagnati ai tutori volontari siano sempre più relegate in secondo piano dalle istituzioni, impegnate, più che a migliorare, a disincentivare il sistema di accoglienza.

La storia risale allo scorso 16 aprile, quando la signora Cosetta Cantaroni di Bologna ha ricevuto per raccomandata due sanzioni amministrative per un totale di oltre 5000 euro che riguardavano violazioni del codice della strada avvenute il 13 gennaio 2024. Le multe riguardavano un minore senza patente di cui era tutrice volontaria. C’è da sottolineare che Cosetta non aveva nemmeno mai incontrato questo ragazzo, ospite di una comunità di minori non accompagnati dell’Emilia Romagna, perché egli si è sempre rifiutato anche solo di incontrare la sua tutrice. Inoltre, secondo la legge istitutiva del tutorato volontario – la cosiddetta legge Zampa del 2017 -, un tutore non può essere considerato responsabile dei danni commessi dal minore tutelato o da sue violazioni penali o amministrative, fatto salvo il caso che i due convivano sotto lo stesso tetto. Situazione che non era certo il caso della tutrice bolognese.

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Venezia, il sindaco indagato difende poltrona e «amici»

L’inchiesta Consiglio comunale straordinario: Luigi Brugnaro respinge le accuse e si commuove. L’unico che scarica è l’ex assessore Boraso, ancora in prigione

San Luigi da Mirano non scende dallo scranno. Come c’era da aspettarsi, il primo cittadino di Venezia ha categoricamente respinto la richiesta di dimissioni avanzata dalle opposizioni ribadendo davanti al consiglio comunale la sua completa estraneità ai fatti contestategli dalla procura. Non senza qualche lacrimuccia di commozione («non è facile per me che sono sempre stato un uomo onesto...»), Brugnaro ha dipinto se stesso come un vero benefattore, un imprenditore che si è dedicato anima e corpo alla città, giungendo persino a rinunciare alla sua identità di sindaco per far risparmiare oltre 400 mila euro al Comune.

INTANTO FUORI della finestra, dietro tre cordoni di polizia, cittadine e cittadini, incavolati neri, urlavano «Vergogna, vergogna». E c’è da dire che San Luigi ce l’aveva messa tutta per farli stare a casa, questi inopportuni contestatori! Costretto, su richiesta delle opposizioni, a convocare un consiglio comunale straordinario ha scelto l’ora più improbabile del giorno più improbabile: le 10 della mattina di un venerdì di mercato, quando le strade attorno al comune sono piene di bancarelle e la viabilità interrotta.

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Nella palude di Venezia, la città in cui tutto si vende

– Mario Di Vito, Riccardo Bottazzo

Il caso Dal blind trust del sindaco fino agli affari con l’imprenditore Ching Chiat Kwong. Oltre l’inchiesta per corruzione, la fu Serenissima ha ormai cambiato volto. In peggio

San Luigi Brugnaro da Mirano. La qualifica celeste al sindaco di Venezia l’ha data in un’intercettazione un suo assessore, Renato Boraso. Perché «senza di lui non si muove nulla». Per ora, comunque, forse in virtù delle supposte qualità paranormali dell’interessato, l’inchiesta Palude vede il sindaco semplicemente iscritto nel registro degli indagati – «A sua tutela», sostiene il procuratore capo Bruno Cherchi -, mentre Boraso è agli arresti.

LA PALUDE di cui parlano gli investigatori, ad ogni modo, è un affresco in cui le varianti urbanistiche si mischiano con una serie di presunte tangenti: così diventa impossibile distinguere gli affari privati da quelli pubblici. Brugnaro, ricco e potente imprenditore con un considerevole numero di affari in laguna, nel 2017 aveva ben pensato a come tirarsi fuori dalle inevitabili accuse di conflitti d’interesse. Primo in Italia, infatti, aveva affidato tutto il suo patrimonio a un blind trust gestito da un avvocato di New York, Anthony Sacks. E però, almeno secondo quanto sospettano gli investigatori, il sindaco, il capo di gabinetto del Comune Morris Ceron e il suo vice Derek Donadini non avrebbero mai smesso di tenere d’occhio gli affari. Anzi, di più, di «occuparsene attivamente e in prima persona».

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Raid razzisti, blitz a Verona: in manette 7 estremisti di destra

INDAGATE ALTRE 29 PERSONE. Gli arrestati sono militanti di Casa Pound e ultrà del Chievo. Tra i reati contestati lesioni, violenza privata, minacce e danneggiamenti

Sette giovani arrestati e altri 29 indagati è il risultato di un blitz della polizia veronese condotto venerdì mattina in seguito ad una corposa indagine sulle organizzazioni di estrema destra della città scaligera. Gli arrestati, sei veronesi e un trentino, hanno tra i 19 e i 27 anni e sono tutti attivisti della sezione locale di Casa Pound e militano nel gruppo ultras «North Side» che sostiene il Chievo Verona.

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