San Luigi è uguale a noi (più o meno)
20-06-2024, 00:29cristianesimo, santiPermalinkConsacrazione di San Luigi, patrono della gioventù (Goya) |
Una cosa bella del cristianesimo è che per la prima volta ha messo all'ordine del giorno l'uguaglianza. Non tanto il fatto che ci fosse un Dio – quello si pensava già prima – ma che davanti a questo Dio risultassimo tutti uguali, come... come davanti alla legge, salvo che questa idea di essere tutti uguali davanti alla legge non esisteva, prima che postulassimo di essere tutti uguali davanti a un Dio. Pensate alla Dichiarazione d'Indipendenza Americana, 1776: "Noi riteniamo certe verità autoevidenti: che tutti gli uomini siano stati creati uguali", insomma se avessimo chiesto a Thomas Jefferson, sì, ma perché dovrebbero essere tutti uguali? Lui non avrebbe avuto altro argomento che puntare verso il cielo, o verso il Vangelo (ne aveva una copia tutta ritagliata a piacere): siamo uguali perché Dio ci ha creato così, è autoevidente. Questo magari spiega l'importanza che ha Dio nella società americana, e le difficoltà che incontrano quando provano a farne meno: come se fosse ancora la chiave di volta di un edificio settecentesco che nessuno in seguito ha ritenuto di ricostruire.
Dunque se qualche autorità ci considera ancora tutti uguali lo dobbiamo a Gesù Cristo... senonché forse questa idea non è nemmeno sua: almeno in qualche passo del Vangelo dà là sensazione che Egli pure facesse qualche differenza, ad esempio tra ebrei e non circoncisi. Il postulato dell'uguaglianza nasce un po' più tardi, forse perché il cristianesimo si stava diffondendo tra gli schiavi e agli schiavi serviva una religione che rimettesse in discussione le gerarchie sociali. Quando iniziate a vederla in questo modo, è una specie di rivoluzione copernicana: Cristo ci avrà messo qualche idea (e il suo sacrificio), ma di messia e di religioni in giro ce n'erano tanti. Il cristianesimo ha vinto perché piaceva agli schiavi, e raccontava una storia di giustizia che serviva agli schiavi. E forse davvero ha messo in crisi la società antica perché gli schiavi erano troppi ed erano stanchi di sentirsi inferiori. Non è che il cristianesimo ha liberato gli schiavi, come si raccontava una volta. È la schiavitù che ha inventato il cristianesimo per liberarsi. Un messaggio di speranza, ma anche di giustizia. Molto bene. Viene quasi voglia di battezzarsi, se uno si era sbattezzato (in realtà lo sbattezzo non funziona).
Poi guardi il calendario, 21 giugno, San Luigi Gonzaga, e ti sale un po' la rogna. Un nobile figlio di nobili fatto santo dai nobili. Cos'ha fatto di importante nella vita? Non tantissimo, è morto quasi subito. Ma è morto Gonzaga, e i Gonzaga ad avere un santo ci tenevano.
Lo so che non ha senso prendersela, perché se c'è un luogo dove per secoli la povertà è stata apprezzata e valorizzata, questa è proprio la Chiesa. C'è fior di poveracci sul calendario cristiano: poveri nati e poveri per scelta. Però, certo, c'è anche un sacco di bella gente, principi conti e regine, perché anche il martirologio è diventato uno status col tempo, come qualsiasi cosa.
Non so dove l'abbia trovata Cattabiani (Santi d'Italia, Bur, 1993), ma una leggenda dice che Luigino Gonzaga, a quattro anni, fu portato da papà Ferrante alle esercitazioni militari per l'imminente spedizione contro i turchi. Luigino vestiva "una corazza in miniatura, un archibugetto a tracolla e un ciuffo di piume bianche", e questo abbigliamento una sera avrebbe confuso le guardie della polveriera, o più probabilmente dormivano, sicché Luigino riuscì a sgraffignare abbastanza esplosivo da caricare una spingarda e ustionarsi, "per fortuna leggermente, mani e guance". Ora, per quanto ai tempi i bambini potessero crescere più velocemente, è difficile immaginare un monello di quattro anni che se ne va in giro di notte da solo per un accampamento. E però se fosse successa davvero, questa che è l'unica bravata mai commessa da San Luigi, non sarebbe senza un senso. Da una disavventura del genere Luigi avrebbe potuto trarre una grande lezione: qualsiasi cazzata avesse fatto nella vita, non importa quanto grande e pericolosa, l'avrebbe fatta franca; perché imbecille o meno era pur sempre un Gonzaga, e i Gonzaga fanno quello che gli pare. Anche quelli dei rami cadetti, come Ferrante suo padre che era marchese, sì, ma di Castiglione delle Stiviere; e però era Gonzaga pure lui, e i Gonzaga hanno parenti in Austria e in Spagna, in cielo e sottoterra. Ecco, forse mentre piagnucolava e le lacrime gli salavano le ustioni sulle guanciotte, Luigi capiva questo: che non c'era nessun gusto nel fare birichinate, quando nessuno ti giudica; e così non ne fece mai più. Il resto della sua breve vita si potrebbe interpretare così: una sfida al bieco familismo del neofeudalesimo rinascimentale. Luigi evade dal suo destino di signorotto impunito nell'unico modo che la società gli consente: trovando Dio. Quattro anni dopo, quando Ferrante torna dalla guerra, constata con orrore che il suo primogenito, oltre alla tubercolosi, ha contratto una spaventosa vocazione religiosa: del resto un cugino della madre era un Dalla Rovere, vescovo di Torino.
Ci fa caso anche il cardinale Carlo Borromeo, che passando da Castiglione scopre che il novenne Luigi si confessa già da tre anni (chissà di che peccati), e decide, potendo deciderlo, di impartirgli subito il sacramento della prima comunione. Forse in Luigino il cardinale si era riconosciuto: anche lui aveva sofferto il dissidio tra vocazione religiosa e il ruolo imposto dalla primogenitura (dopo la morte del fratello maggiore). Il padre però non molla, forse anche perché il secondogenito, Rodolfo, non gli sembra una cima. Nel 1582 la famiglia è ospite a Madrid di re Filippo II; Luigi e Rodolfo hanno l'onore di essere convocati come paggi di un infante di Spagna, ma quando non è impegnato dai doveri mondani, Luigi studia metafisica e teologia. Studiando si avvicina a un ordine di recente formazione, la Compagnia di Gesù, che ha un approccio moderno ma anche rigoroso, a metà tra l'università degli studi e la caserma. Papà Ferrante cerca ancora in vari modi di recuperarlo alla vita mondana; lo manda ospite in tutte le corti dei parenti (Mantova, Parma, Torino, Ferrara), magari sperando che qualche cugina impietosita provi a sedurlo, ma è tutto vano; Luigi ha fatto voto di castità a dieci anni e ormai ha deciso che sarà gesuita. Alla famiglia non resta che raccomandarlo al generale dei gesuiti, a Roma. Luigi arriva con un sontuoso corredo 'da gesuita' di cui si disfa ben presto, preferendo gli abiti comuni: sembrava avercela fatta, tra i gesuiti non era più un Gonzaga, ma un uomo tra gli uomini. A Roma, Luigi resterà dal 1585 in poi, salvo un soggiorno a Napoli per curare la tubercolosi, e uno a Castiglione nel 1589 per risolvere un contenzioso tra il fratello Rodolfo – che aveva ereditato il feudo del padre alla morte di quest'ultimo – e il cugino Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova, che reclamava Solferino.
Luigi riesce a riappacificare i cugini, ma a questo punto scopre un'altra gatta da pelare: lo zio Alfonso Gonzaga preme perché Rodolfo sposi la sua unica figlia, quest'ultimo fa impazzire la famiglia opponendo un netto rifiuto. Luigi scopre che Rodolfo non può sposarsi perché è... si è già sposato, con la figlia di un artigiano della zecca di Castiglione di cui si era invaghito quando lei aveva quindici anni. Cosa faceva un signorotto del Cinquecento neofeudale quando si affezionava alla figlia di un dipendente? Rodolfo era un Gonzaga, faceva quello che gli pareva, e in questo caso l'aveva rapita e messa incinta. Però poi l'aveva sposata, ufficialmente la storia dice questo, anche se non osava dirlo in giro. Luigi riuscì a forzarlo a un imbarazzante coming out e grazie alla sua intercessione, la madre accettò in casa nuora e nipote. Rientrato a Roma, Luigi si tuffa anima e corpo nell'assistenza ai malati dell'epidemia di tifo, svolgendo incombenze decisamente non indicate a uno che aveva già i polmoni tormentati dalla tbc. In questi casi viene il sospetto che il santo abbia inconsapevolmente voluto anticipare i tempi della sua dipartita. Sulla terra, non importa quanti sacrifici e opere di bene, sarebbe rimasto per sempre un Gonzaga, un privilegiato. Solo davanti a Dio siamo tutti uguali, perlomeno in teoria.
In pratica forse no, perché una volta passato all'altro mondo, Luigino fu di nuovo oggetto di un trattamento di riguardo. Una prima richiesta formale di canonizzazione partì da un sinodo convocato a Mantova nel 1604; ora secondo voi come si chiamava di cognome il vescovo di Mantova che aveva convocato il sinodo? esatto, Gonzaga, Francesco Gonzaga, quanto è piccolo il mondo. L'anno dopo Luigino era già proclamato Beato, quattro anni prima del fondatore del suo stesso ordine, Ignazio di Loyola. Canonizzato definitivamente nel 1726, tre anni più tardi Luigi fu proclamato patrono della gioventù cattolica, e in quanto tale era un santo molto popolare ancora per la generazione di mio padre: almeno per lui "San Luigi" era una data importante, un pretesto per far festa. Ma immagino che prima di dar via alle danze il parroco ci tenesse a esortare i giovani fedeli a vivere santamente come San Luigi, che potendo scegliere tra fare il signore e il santo aveva scelto correttamente, meritandosi la santità. Perché il cattolicesimo è meritocratico, a modo suo.
La scelta di Teresa
09-08-2023, 00:00cristianesimo, ebraismo, memoria del 900, nazismo, santiPermalink(Come ho iniziato a) capire Nerone
30-06-2023, 01:13catastrofi, Chiesa, cristianesimo, Roma, santi, StoriaPermalink30 giugno: Primi martiri della Chiesa di Roma (64)
Col tempo purtroppo cominci a capire chiunque, perfino Nerone. Il quale Nerone, è possibilissimo che non abbia gestito al meglio il grande incendio del 64; del resto era fuori città quando fu appiccato, e anche una volta accorso non è che potesse fare miracoli. Il fuoco dilagava in dieci quartieri su quattordici, comportandosi in modi imprevisti che i Romani non avevano mai avuto occasione di osservare. Non c'era mai stato un incendio così grande in città, e la città stessa non era mai stata così grande. Col tempo ho cominciato a capire come reagiscono le persone di fronte a fenomeni che non hanno mai avuto occasione di osservare: improvvisano. Trasformano i sospetti in realtà indiscutibili, confondono i sintomi con le cause, se durante un'alluvione vedono il fiume in piena portare tanti tronchi decidono subito che l'alluvione è colpa dei tronchi, perché il Potere non pulisce i fiumi dai tronchi? È chiaro che il Potere è in combutta coi tronchi per causare alluvioni che poi costano un sacco di soldi allo stesso Potere, ma se lo fa ci sarà un motivo. Piove per mesi? È colpa degli aeroplani che lasciano le scie, chi li ha messi in cielo tutti quegli aeroplani, eh? Le epidemie sono sparse dal Potere in virtù del malvagio protocollo Tachipirina E Vigile Attesa. I terremoti si potrebbero prevedere, ma il Potere non lo vuole, insomma il Potere passerebbe il tempo a tramare alle nostre spalle, e non un complotto solo ma tanti complotti diversi, come se ogni mattina si svegliasse indeciso sulla sfiga da somministrarci: che faccio stavolta, gli mando un'inondazione, un terremoto, un'epidemia?
Una pagina del Laurenziano 68,2 |
L'apostolo dietro le quinte
11-06-2023, 02:55Bibbia, Chiesa, cristianesimo, santiPermalink11 giugno: San Barnaba, apostolo e fundraiser (I secolo)
Paolo e Barnaba a Listra vengono scambiati per Hermes e Zeus (Nicolaes Pietersz) |
Barnaba è quel tipo di personaggio che vive tra le righe: in un libro non vengono quasi mai nominati, eppure senza di loro la trama non andrebbe avanti. Il libro in questo caso sono gli Atti degli Apostoli di Luca evangelista, in cui Barnaba viene nominato una ventina di volte, che non sono poi così poche. È uno dei rari personaggi che compare sia nella prima parte (ambientata a Gerusalemme, racconta la nascita di una setta basata sulla fede negli insegnamenti e nella resurrezione di Gesù di Nazareth), sia nella seconda, quella che racconta dei viaggi e della predicazione di Paolo di Tarso. Barnaba è il trait d'union: fu uno dei primi aderenti (e contribuenti) della comunità di Gerusalemme, e poi fu il mentore e il compagno di Paolo nei suoi primi viaggi. Di lui non viene riportato nessun discorso diretto: a differenza di Pietro e di Paolo, non è davvero importante quello che dice. L'importante è sempre quello che fa: le persone e le comunità che sceglie di appoggiare, nonché i soldi; sin dalla prima volta in cui compare, Barnaba si trova coinvolto in questioni di soldi. L'ipotesi è che l'economia fosse il suo campo specifico: altri parlavano, Barnaba decideva quanti soldi raccogliere, quanti soldi riscuotere. Pietro e Paolo erano star, Barnaba il loro procuratore? È solo un'ipotesi perché Luca, quando si parla di soldi, si muove sempre un po' a disagio e tende a riportare ricostruzioni improbabili. Altri avrebbero semplicemente rimosso l'argomento; in fondo se stai raccontando la nascita di un culto a chi vuoi che interessi l'economia? E invece a noi, duemila anni dopo, un po' interessa.
La lettera agli Ebrei, attribuita da Tertulliano a Barnaba |
Quando nelle sue lettere Paolo parla di queste raccolte fondi, lo fa con un certo disagio – più che comprensibile in un teologo che preferirebbe toccare argomenti più alti. Si capisce che le ritiene necessarie, che non può esimersi dal sollecitarle, ma anche che non vorrebbe essere preso per il destinatario delle offerte o peggio, per un mero riscossore. Può darsi che a occuparsi più concretamente delle collette fosse il suo collega Barnaba, e questo spiegherebbe il senso del suo soprannome: l'"esortazione" riguarderebbe l'invito evangelico a donare tutto ai poveri, o almeno qualcosa (a proposito: ricordate che mestiere faceva Matteo-Levi prima di incontrare Gesù? Il riscossore, esatto).
Che fine ha fatto Domitilla
06-05-2023, 22:09Chiesa, cristianesimo, Roma, santi, StoriaPermalink7 maggio: Santa Flavia Domitilla (I secolo), nobildonna in disgrazia
L'ultimo patriarca, il primo papà
19-03-2020, 17:53cristianesimo, repliche, santiPermalinkLo sapevo, tutto sua madre. |
[2012]. Giuseppe, dice il messale romano, è l'ultimo patriarca della Bibbia. Buffo, lui che era padre solo in senso lato. Però pensando ai suoi predecessori – Noè che ubriaco si fa ridere dietro da Cam e lo maledice; Abramo che quasi sacrifica Isacco; Isacco che benedice Giacobbe ma solo perché è travestito da figlio maggiore; Giacobbe che ha 12 figli ma sembra curarsi solo di Giuseppe e Beniamino; il profeta Samuele che quasi adotta Saul, lo unge re e poi lo tratta da mentecatto; Saul che quasi adotta Davide e poi cerca di farlo fuori... la lista potrebbe continuare, ma insomma in fondo alla sequela di tutti questi padri e patrigni arrabbiati o distratti, talvolta paranoidi, schizzati, tutte proiezioni di un Dio padre geloso e irascibile... Giuseppe sembra fin troppo tranquillo: un intruso.
In realtà non conosciamo quasi nulla di lui; anche nel suo caso molte cose che crediamo di sapere sono incrostazioni di leggende e chiose che non hanno fondamento nella lettera dei Vangeli. Per esempio ci piace raffigurarcelo come un tizio avanti negli anni ("i vecchi quando accarezzano" cantava De Andrè, "hanno paura di far troppo forte"). L'anzianità di Giuseppe è un dettaglio che diventa sempre più nitido man mano che si chiarisce, nel corso dei primi secoli, l'altro dettaglio fondamentale della verginità di Maria: immaginare il marito anziano era il modo più spiccio per allontanare il sospetto di intimità tra i due sposi.
In realtà i pochi versetti che ce ne parlano hanno dato filo da torcere a chi voleva saltare a certe conclusioni. Di Giuseppe parla soprattutto Matteo, l'evangelista più legato al mondo ebraico dove Gesù era nato e vissuto; Luca, come abbiamo visto, è più liberal, scrive subito in greco e mette donne e proletari in primo piano, il suo Giuseppe è un semplice custode di Maria: è lei che viene visitata dall'angelo, è lei che acconsente, è lei che intona il Magnificat, che medita le cose nel suo cuore, Giuseppe è una semplice scorta. Matteo tratta il marito con più considerazione: nel suo vangelo è lui a ricevere più volte istruzioni dall'angelo. Il problema è che proprio in Matteo (1,25) c'è una parolina maledetta, che anche San Girolamo a malincuore dovette tradurre con "donec", "finché": Giuseppe "non ebbe con lei rapporti coniugali finché Maria non ebbe partorito un figlio".
Non vi dico le arrampicate sugli specchi dei padri della Chiesa per dimostrare che quel finché in realtà non è quel che sembra, e che Maria restò vergine anche in seguito. Arrampicate rese ancor più disagevoli da quel che Matteo combina nel capitolo 13: mette per iscritto una lista di fratelli di Gesù, nientemeno. Hanno tutti nomi familiari. C'è da dire che a parlare è la folla, e si sa, la folla è sempre male informata. Ma comunque:
Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda?Anche qui si sono spesi in centinaia per dimostrare che "fratelli" non vuol dire proprio "fratelli", che al tempo di Gesù si diceva "fratelli" anche ai cugini, agli amici, ai conoscenti, come no, la Galilea era una specie di Bronx dove tutti si dicevano Hey Bro. Giusto per mettere il dito sulla piaga, anche Luca negli Atti degli Apostoli e Paolo nella Lettera ai Galati menzionano un personaggio importante della prima comunità di Gerusalemme chiamandolo Giacomo, "il fratello del Signore". Un'altra spiegazione è che i fratelli fossero in realtà fratellastri, e che Giuseppe avesse sposato Maria da vedovo. Ecco un'altra buona ragione per immaginarlo vecchietto incanutito (ma è anche un tizio che quando l'angelo gli dice in sogno: adesso prendi su con la tua sacra famigliola e ti rechi in Egitto per tot anni fino a nuovo ordine, lui lo fa; non era proprio un viaggetto di piacere da raccomandare a un pensionato).
Il versetto sopra è fondamentale anche per determinare la professione di Giuseppe: falegname. Di questo almeno siamo sicuri, o no? No, nemmeno di questo.
Intanto la parola greca (tekton) è più vaga: un tekton lavorava con materiali duri, senz’altro con il legno, ma poteva essere anche carpentiere o muratore. Persino impresario di cantiere, e in questo caso cadrebbe la tradizione di San Giuseppe artigiano e patrono dei medesimi. Ma c’è di più. Se leggiamo il versetto corrispondente in Marco (6,3), ci accorgiamo che è un po’ diverso
Non è questi il falegname, il figlio di Maria, e il fratello di Giacomo e di Iose, di Giuda e di Simone? Le sue sorelle non stanno qui da noi?
Dai che ti fai buon sangue |
Qui ci sono delle sorelle, addirittura… ma notate: non c’è più il padre. Marco non parla mai del padre. C’è la parola falegname (che in realtà è tekton), e poi la parola figlio. Qui è Gesù a essere chiamato tekton: ma magari suo padre non lo era, chi lo sa? Va bene, quel che sappiamo della mobilità del lavoro nella Galilea del primo secolo ci autorizza a immaginare che Gesù abbia fatto gavetta come tekton semplicemente perché era il mestiere del patrigno. Di quest’ultimo Marco non parla forse perché nel suo breve vangelo ci tiene a sottolineare la vera, divina, paternità di Gesù, e il patrigno diventa un’inutile distrazione. Viceversa Matteo scrive per gli ebrei del suo tempo, che nel perplesso ebreo Giuseppe potevano riconoscersi. Ovviamente non ci siamo mai messi d’accordo su quale dei due vangeli sia stato scritto per primo.
Nell’ultimo episodio evangelico in cui compare Giuseppe, Gesù ha 12 anni. Dopo aver festeggiato la Pasqua a Gerusalemme, come si conviene, la Famiglia è ripartita per la Galilea. Che Gesù fino a quel momento fosse stato un figlio modello lo dimostra il fatto che papà e mamma si facciano un giorno di viaggio senza nemmeno domandarsi come mai Gesù non si faccia sentire, non si lamenti che vuole fare la pipì o comprare un pupazzetto all’autogrill. Solo verso sera si accorgono che non è più nella carovana, e questa è la Sacra Famiglia, figuriamoci quelle ordinarie. Il mattino dopo ripartono per Gerusalemme. Lo cercano per tre giorni, che sembrano un’esagerazione: alla fine lo trovano al tempio che si fa interrogare da scribi e dottori della legge e dà i punti a tutti. A quel punto parla Maria, perché l’evangelista è Luca (2,48); però parla anche per conto del padre, che in tutto il Nuovo Testamento non dice una parola. Forse è davvero un falegname e in mezzo a tutti quei dottoroni si vergogna; oppure è un padre sanguigno, di quelli che se inizia a parlare poi esplode, e Maria sta cercando di contenerlo; oppure è solo triste, come certi padri che non sanno bene come si fa, ci provano tutti i giorni ma non esistono ancora i manuali, insomma Giuseppe tace e frigge, e Maria parla per lui:
Secondo me, sbaglierò, proietterò, mio padre è un artigiano e quando mi laureai era un po’ a disagio, però secondo me in quel momento a papà, volevo dire a Giuseppe, si spezza il cuore: e poi scompare. Lasciamo stare le leggende medievali, se sia stato o no assunto in cielo, sì, d’accordo, glielo auguriamo tutti, però se restiamo alla lettera dei vangeli da lì in poi nessuno ne parla più. Solo i nemici di Gesù per screditarlo, taci tu che sei figlio del tekton. L’evangelista Marco nemmeno lo nomina. Alla fine di tutti i padri padroni della Bibbia, Giuseppe è il padre che non minaccia, che non maledice, che non disereda e non cospira, è il padre che si lascia cancellare così: dopo avere sposato una vergine, dopo averne accudito il figlio, dopo averlo nascosto in Egitto, riportato in Galilea, magari insegnato un mestiere, quando non ha avuto più nulla da dare al figlio suo, lo ha lasciato andare. L’ultimo patriarca, il primo papà.«Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena». Ed egli disse loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?»
Lo sai che si dice dei cattolici
23-01-2020, 00:21cantare, cinema, coccodrilli, cristianesimo, fb2020, traduzioniPermalinkmormoni, islamici e sikh.
Ci son Testimoni e battisti,
ma io... io non sono così.
Son tra i cristiani cattolici,
ci sono da sempre, e lo sai
che c'è di bello a esser cattolici?
Vai bene così come sei.
Non serve essere alto e prestante,
o un nobile o un genio, perché
cattolico sei dall'istante
in cui tuo padre è venuto per te.
Infatti...
Ogni sperma è sacro,
ogni sperma è santo.
Se sprechi lo sperma
Dio si altera alquanto.
Lascia gli infedeli
tristi a sgocciolare:
ogni goccia persa
Dio la sta a contare.
Ogni sperma è santo,
ogni sperma è sacro.
Se sprechi lo sperma,
Dio sa che è un massacro.
Indù, ebrei, taoisti
spruzzano qua e là,
ma Dio salva soltanto
chi si conterrà.
Ogni sperma è santo,
Dio ce l'ha donato.
Ogni sperma è una risorsa
per il vicinato.
Ogni sperma è santo,
ogni sperma è buono.
Ogni sperma è utile,
ogni sperma è un dono.
Lascia che i pagani
innaffin monti e mare:
ogni goccia persa
Dio la fa pagare
Ogni sperma è sacro,
ogni sperma è santo.
Se getti lo sperma,
Dio si arrabbia,
tanto.
Every Sperm Is Sacred, musica di André Jacquemin e David Howman, testo di Michael Palin e Terry Jones (1942-2020).
(Ho sempre pensato che sarebbe stato giusto averne una traduzione cantabile in italiano, non importa quanto inferiore all'originale).
Madonna Povertà, Sorella Morte
05-09-2019, 17:51cristianesimo, repliche, santiPermalink(Chissà se è lei davvero) |
Prima dell’India, prima dei poveri, prima della dottrina sociale della Chiesa, prima di qualsiasi altra idea o concetto, nella nostra memoria involontaria Madre Teresa evoca un’immagine precisa: le rughe. Non c’è una Teresa di Calcutta senza rughe. Cercatela su google: non si trova. Avrete miglior fortuna digitando il nome secolare, Anjeza Gonxha Bojaxhiu (nata a Skopje, a quel tempo Kossovo ottomano, poi Regno di Jugoslavia, poi Federazione Jugoslava, poi Repubblica Ex Jugoslava di Macedonia, oggi Macedonia del Sud). Sin dai primi suoi timidi passi sulla ribalta mondiale (più o meno 1969: stava per compiere 60 anni) Teresa ha sempre mostrato quella faccia vizza che le persone della mia generazione erano abituati a identificare in pochi decimi di secondo. Prima di cambiare canale.
Perché nessuno guardava volentieri Madre Teresa. Di lì a poco di solito l’obiettivo si sarebbe allargato e intorno a lei sarebbero comparsi bambini denutriti o lebbrosi e mosche e tutto il resto, e da questa parte del televisore era quasi sempre ora di pranzo o cena. Madre Teresa è l’unica celebrità internazionale davanti alla quale veniva spontaneo abbassare lo sguardo. Questo, paradossalmente, potrebbe essere stato il segreto del suo straordinario successo. Senza dimenticare il velo delle missionarie della Carità, con quella banda di un bell’azzurro su bianco, sobria ed elegante, in mancanza del quale forse non avremmo mai riconosciuto davvero Madre Teresa di Calcutta. Le sue rughe in fondo non sono quelle di una qualsiasi signora di una certa età? Se oggi incontrassimo una Teresa vestita in abito civile, mentre chiede la carità in qualche luogo pubblico, la scambieremmo abbastanza facilmente per una mendicante abituale. E faremmo esattamente la stessa cosa che facevamo con la Teresa originale: scapperemmo via, magari lasciandole in mano una cifra qualsiasi, consapevoli che quello che stiamo facendo non servirebbe a nulla, né a distenderle le rughe né a salvare o cambiare la vita di qualcuno, e nemmeno ad alleviare un nostro senso di colpa o un semplice fastidio. Si tratta semplicemente di svincolare il prima possibile da una presenza sgradevole.
Questa situazione non è frutto di un caso, ma il risultato di accurate ricerche di mercato che i mendicanti fanno da millenni, al termine delle quali si è capito che infastidire il passante è meglio che commuoverlo: il passante commosso potrebbe fermarsi più del dovuto, preoccuparsi, mettersi a discutere, ostruendo così il passaggio e facendo perdere tempo al mendicante, che non è mica lì per raccogliere confidenze e consigli (sta lavorando). Si è scoperto altresì che il mendicante macilento rende più di quello sano; discorsi fatalisti e professioni di fede in entità superiori sono di gran lunga più redditizi che accuse circostanziate verso nemici identificabili; e che certi dettagli funzionano meglio di altri: le rughe, per esempio. A Teresa non sono mai mancate.
Il mio primo giorno di lavoro, finito il turno nel reparto donne andai ad aspettare fuori dal reparto uomini il mio ragazzo, che assisteva un ragazzino di quindici anni in fin di vita, e una dottoressa americana mi disse che aveva cercato di curarlo: aveva un problema renale relativamente semplice che era andato peggiorando sempre più perché non gli avevano somministrato antibiotici. Aveva bisogno di essere operato. Non ricordo quale fosse il problema, ma la dottoressa me lo disse. Era arrabbiatissima, ma anche molto rassegnata, come capita a molte persone in quella situazione. Disse: “Be’, non vogliono portarlo all’ospedale”. E io: “Perché? Basterebbe chiamare un taxi e portarlo all’ospedale più vicino, e chiedere che venga curato. Farlo operare” Lei rispose: “Non lo fanno. Non vogliono. Se lo fanno per uno, devono farlo per tutti”. Allora pensai: ma questo ragazzino ha quindici anni. Tenete presente che le entrate complessive di Madre Teresa bastano e avanzano per attrezzare svariati ambulatori di prim’ordine nel Bengala". (Hitchens, 1995).
Con Michèle Duvalier (la moglie del dittatore haitiano). |
Teresa questa cosa la capiva, e accettava il denaro senza giudicare, provenisse da Lady D o dal dittatore di Haiti, o da Reagan, o dall’accademia di Svezia, o da me o da te. Tutta gente unita dalla necessità di sgravarsi la coscienza, ma anche dall’urgenza di pensare ad altro, perché i poveri e i lebbrosi sono veramente brutti da guardare ed è quasi sempre ora di pranzo o cena. Anche su questo senso di urgenza, sulla necessità di distogliere in fretta lo sguardo, faceva affidamento Madre Teresa, mentre raccoglieva soldi in tutto il mondo, per metterli dove?
“Il denaro non era impiegato male”, racconta Susan Shields (ex suor Virgin); “per la maggior parte non era impiegato affatto. Quando ci fu una carestia in Etiopia, molti assegni arrivarono con la causale “per gli affamati in Etiopia”. Una volta chiesi alla sorella che era responsabile dei fondi se dovevo mettere da parte tutti quegli assegni e spedire il totale in Etiopia. Lei mi rispose: ‘No, noi non spediamo soldi in Africa’. Però continuai a inviare ricevute ai donatori intestate ‘Per l’Etiopia’” (Wüllenweber, “Stern”, 1998).Dove siano finiti i soldi, ancora non è chiaro. Nessuno, nemmeno il laicista più esasperato, si è mai spinto fino a immaginare che Teresa e le sue Missionarie abbiano una doppia vita dissoluta, in cui scialano le offerte che piovono dal mondo intero. E quindi, considerato che i sanatori da loro gestiti restano luoghi poverissimi dove i malati muoiono a volte senza antibiotici (figurarsi gli antidolorifici), e che persino la presenza di un frigorifero o di un ascensore è maltollerata; considerato che è inverosimile che possano buttare via molti soldi le suore che usano gli stessi aghi ipodermici più volte, sciacquandoli nell’acqua fredda, e che somministrano vaccini molto oltre la data di scadenza… non resta che immaginare un enorme pozzo senza fondo in cui vanno a finire tutti i vaglia – poco importa se questo pozzo esiste davvero o è una metafora per lo IOR. Può darsi semplicemente che Teresa abbia reinvestito ogni soldo che le è arrivato nell’apertura di nuovi sanatori senza frigorifero, ascensore e aria condizionata, dato che la sua priorità non è mai stata la salute o il benessere dei suoi pazienti. Mai. Anche se noi viandanti infastiditi abbiamo spesso dato per scontato che lo fosse: che a Calcutta e altrove Teresa combattesse contro il dolore e la disperazione e la morte. Niente di più sbagliato, e non possiamo nemmeno prendercela con lei, che non ha mai fatto finta di essere diversa da quello che era.
A San Francisco fu messo a disposizione delle suore un convento a tre piani con molte stanze spaziose, lunghi corridoi, due scaloni e uno scantinato immenso. […] Le suore non esitarono a sbarazzarsi dei mobili indesiderati. Tolsero le panche dalla cappella e strapparono via tutta la moquette dalle stanze e dai corridoi. Buttarono grossi materassi dalle finestre e spogliarono l’edificio di tutti i divani, di tutte le sedie e di tutte le tende. La gente del quartiere stava sul marciapiede a guardare sbalordita. Quel magnifico edificio fu reso conforme allo stile di vita che doveva aiutare le sorelle a diventare delle sante.
Spaziosi soggiorni furono trasformati in dormitori stipati di letti. […] I riscaldamenti rimasero spenti per tutto l’inverno nonostante la casa fosse umidissima. Nel periodo in cui vissi là molte sorelle contrassero la TBC (Hitchens, 1995).
Con GP2, che faccia fa. |
Col crescere della sua fama, la fondatrice dell’ordine divenne in qualche modo consapevole dell’equivoco su cui si basava il “fenomeno Madre Teresa”. A un certo punto scrisse alcune parole che fece appendere fuori dalla sede dell’ordine: “Dite loro che non siamo qui per fare un lavoro; siamo qui per Gesù. Siamo prima di tutto religiose. Non siamo assistenti sociali, né insegnanti, né medici. Siamo suore” (Wüllenweber, 1998)Nata e maturata sulle soglie del Terzo Mondo, Anjeza Gonxha Bojaxhiu ha trovato negli slums indiani l’habitat ideale per conservare un cristianesimo arcigno, refrattario a ogni progresso medico e scientifico, che in Occidente era già in crisi un secolo fa. Da Calcutta lo ha poi diffuso in giro per il mondo, trovando il sostegno di un Papa molto più simpatico, ma che in fin dei conti condivideva la stessa concezione: no a qualsiasi forma di contraccezione efficace, no al controllo delle nascite, i poveri e i sofferenti sono più vicini a Dio e quindi è giusto farne nascere sempre di più, e offrire la loro sofferenza a Dio. Bastava prestare attenzione ai loro discorsi, ma di solito avevamo meglio da fare.
L’equivoco di Madre Teresa si nasconde in quelle rughe balcaniche, tanto simili a quelle di chi ci tende agguati ai semafori per insaponarci il parabrezza in cambio di un euro, e se ci rifiutiamo abbiamo sempre paura che ci sputi addosso. Le abbiamo dato il Nobel, tutti i soldi che ha chiesto, e gliene avremmo dati di più: eravamo disposti a considerarla una benefattrice, una taumaturga, un’operatrice di pace, pur di non vederla per quello che era davvero: Madonna Povertà, la piccola Morte sdentata che ci aspetta fuori di casa, con la sua faccia vizza, e il suo occhio antico che mai vorremmo fissare, mai vorremmo che ci fissasse.
La beata che sfidava i nazisti (a crocefissi?)
30-03-2019, 17:54cristianesimo, memoria del 900, miti, nazismo, repliche, santiPermalink"Tu sei il Male, io sono l'Anestesista" |
[2012] Uno potrebbe anche pensare che i tempi ruggenti dell'agiografia siano finiti per sempre - quei secoli, hai presente, in cui c'eri solo tu, in un monastero perso nel nulla, con un po' d'inchiostro e della vecchia cartapecora raschiata, e ti chiedevano: "Oggi è Sant'Albano d'Ungheria, dai raccontaci la storia di Sant'Albano d'Ungheria". "Ma io mica la so, manco so cosa sia, l'Ungheria". "E inventa". Al limite si poteva sempre scrivere: martire sotto Diocleziano (Diocleziano andava sempre bene, Diocleziano li aveva fatti fuori tutti, Diocleziano pasteggiava a carne di martiri e brindava a sangue di vergini, Diocleziano probabilmente in certi eremi andava forte anche come criptobestemmia: ma Dio cleziano! Quel porco! E il priore non poteva dirti nulla).
Ma oggi che ci sono biblioteche in ogni piazza, google in ogni tasca, oggi non puoi più inventarti niente, o no? Per esempio il 30 marzo si celebra tra le altre la memoria di una Beata novecentesca, Maria Restituta. Su di lei ci sarà ben poco da inventare, penserai. In effetti ci sono i documenti. Sappiamo che è nata Helen Kafka, nel 1890 a Brno, prima impero Austro-Ungarico, poi Cecoslovacchia, poi Protettorato di Boemia e Moravia sotto il Terzo Reich, poi di nuovo Cecoslovacchia, oggi Rep. Ceca. Che prese i voti nell'ordine delle francescane della Carità, diventando suor Maria Restituta (detta "Resoluta" per i modi spicci) e che si distinse per la dedizione e la professionalità con cui esercitò la professione di infermiera e anestesista. Sappiamo che è morta a Vienna nel 1943, decapitata dai nazisti per alto tradimento. L'ha beatificata Giovanni Paolo II nel 1998, che l'unica suora decollata dai nazisti non poteva proprio perdersela. E tutto questo è Storia, voglio dire, abbiamo pure le foto. Non ci puoi ricamare, su Helen Kafka: con tutte le monografie che si saranno su di lei, nelle biblioteche, su internet, insomma, se improvvisi ti sgamano. O no?
Ecco, no.
Una delle cose fantastiche che scopri studiando i santi è che il medioevo, quello fiabesco delle leggende dipinte sulle vetrate, è a portata di clic. Me ne stavo infatti leggendo la scheda di Famiglia Cristiana, quando mi capita di inciampare sulle ultime due righe. Leggi anche tu:
E in faccia agli assassini, prima che il carnefice alzi la mannaia, suor Restituta dice al cappellano: "Padre, mi faccia sulla fronte il segno della Croce".Tutto abbastanza verosimile tranne... la mannaia? Va bene, lo abbiamo visto, dei nazisti si può raccontare tutto e nessuno si lamenterà - i nazisti sono un po' il nostro Diocleziano moderno. Ma ce le vedete le SS che tagliano la testa di una suora con la mannaia? Non suona un po' anacronistico? In effetti basta sfogliare un po' di Internet in altre lingue per rendersi conto che suo Maria fu decapitata, sì, ma mediante ghigliottina: il vecchio trabiccolo illuminista con cui i nazisti a Vienna avevano sostituito la tradizionale forca austriaca così tristemente nota ai nostri patrioti. E la mannaia? Un ricamo di Famiglia Cristiana. Uno solo? Vien voglia di dare un'occhiata più da vicino.
Visito quattro o cinque biografie in inglese, francese e tedesco (quelle in tedesco non le leggo, guardo solo le parole, al liceo a volte funzionava). Sono tutte molto brevi – in effetti cosa ti aspetti dalla vita di un’anestesista, ancorché provetta? Riprendo in mano la scheda di FamigliaC. Mi cade l’occhio su queste altre due righe:
E quando i nazisti tolgono il Crocifisso anche dagli ospedali, lei tranquillamente lo va a rimettere, a testa alta, sfidando comandi e comandanti.Ecco, magari sarà una coincidenza, ma questa notizia del crocefisso (nemmeno inverosimile) l’ho trovata solo nelle biografie italiane. Da qualche parte ho letto che suor Restituta riuscì a ottenere che fosse esposto il crocefisso nell’ala nuova di un ospedale, appena costruita, dove le autorità naziste non lo avevano previsto. Tutto lì. Solo su Famiglia Cristiana l’esposizione del crocefisso diventa una sfida “a testa alta”, peraltro l’unica sfida esplicita tra la suora e i nazisti: sicché al lettore vien fatto di pensare che la suora sia caduta in disgrazia perché continuava a rimettere i crocefissi dove i nazisti li toglievano. E invece no, mi è parso di capire che l’accusa vertesse su due documenti critici nei confronti del Reich, scritti dalla suora stessa: la wikipedia francese li chiama “poemi satirici”, ma non sono riuscito a leggerli.
Però, insomma, la suora scriveva. Criticava il nazismo in forma scritta. È una notizia che Famiglia Cristiana non dà. L’unica forma esplicita di critica al nazismo che interessa a Famiglia Cristiana è la lotta per rimettere al loro posto i crocefissi. Ripeto: è un’informazione che ho trovato solo lì e in un’altra breve scheda biografica in italiano, sempre pubblicata in Santiebeati.it, che sembra per molti versi debitrice di quella di Famiglia Cristiana. Guarda per esempio come il tema del crocefisso viene sottoposto a un’ulteriore rielaborazione, un’ulteriore ricamatura:
Il crocifisso nelle stanze e nelle corsie dell’ospedale diventa invece quasi una questione personale: Suor Restituta, risoluta come sempre, si prende l’incarico di personalmente andare a rimpiazzarli là dove sono stati tolti: sa di rischiare parecchio con quel suo gesto provocatorio, ma intanto più crocifissi vengono eliminati e più lei ne risistema.
Non era la musona che tutti credono |
Chi è la Samaritana?
21-03-2019, 02:36cristianesimo, Cristo, santiPermalinkC’è questo ministro leghista che va a una conferenza sulla famiglia e dice che “ama il prossimo tuo come te stesso” vuol dire “ama quello in tua prossimità”, insomma per questo ministro Gesù col comandamento dell’amore voleva invitarci a voler bene ai vicini di casa. Ora. I vangeli sono senz’altro testi suscettibili di molteplici e divergenti interpretazioni: non avrebbero avuto tanto successo se non fossero, come tanti altri testi sacri e no, abbastanza spugnosi da imbeversi di tutti i significati che vogliamo trovarci. Però, accidenti, come si fa a ricordare il comandamento dell’amore senza pensare che nel Vangelo di Luca (10,25-37) il “prossimo” viene immediatamente identificato con il buon samaritano?
Un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui…Ogni volta che i giornali pubblicano la storia eroica di un immigrato che salva sulla spiaggia un bambino che sta annegando, o sventa una rapina, o soccorre un vecchietto con un malore, e noi progressisti ci commuoviamo… perché ci commuoviamo? Perché troviamo il soccorso dello straniero più commovente dell’autoctono? Forse perché una certo settore del nostro immaginario morale è stato plasmato da una paginetta vergata 2000 anni fa dell’evangelista Luca. Oppure Luca è stato uno dei primi a capire come funziona quel certo settore del nostro immaginario. Fatto sta che il buon samaritano ci conforta: ci fa sentire che una certa legge morale è universale, e che ovunque ci trovassimo nei guai, qualcuno completamente diverso da noi per lingua, cultura e religione, si sentirebbe comunque tenuto a soccorrerci (oltre a farci un po’ vergognare per aver anche soltanto per un istante diffidato di lui: è il retrogusto amarognolo che fa meglio digerire ogni precetto morale).
Dei quattro evangelisti, Luca è il più vicino alla nostra moderna sensibilità progressista: quello che più offre la ribalta a donne, poveri e altri emarginati. È il vangelo di Maria di Nazareth, quello della natività coi pastori (Matteo ci mette i re Magi, tutt’un’altra idea di presepe): il vangelo che corregge la parabola dei talenti dividendo il budget in parti uguali tra i servi. Luca collaborava con Saul/Paolo, e ne condivideva evidentemente le idee ecumeniche, il progetto di evangelizzare anche i non circoncisi. Bisogna ammettere però che persino lui, per definire il concetto di “prossimo” non andò a pescare un personaggio così straniero per lingua, cultura e religione. Avrebbe potuto farlo, senza forzare più di tanto la verosimiglianza. La Palestina del primo secolo era già un crogiuolo, dove Gesù incontra senza andarseli a cercare centurioni romani, donne siro-fenicie e re idumei. Ma il prossimo della parabola è un samaritano, e i samaritani sono ebrei, a modo loro. Non riconoscono il tempio di Gerusalemme, ma offrono sacrifici sul monte Garizim. Sono ebrei scismatici? Dal loro punto di vista, ovviamente, gli scismatici sono tutti gli altri. L’ipotesi tradizionale è che discendano dagli abitanti del regno di Israele che non furono deportati dagli Assiri nel 722 aC, mescolati con altre popolazioni pagane che gli Assiri avevano deportato lì. Anche ai tempi però le sostituzioni etniche funzionavano fino a un certo punto: dai documenti assiri sappiamo che gli emigrati coatti furono poco più di ventimila. Gran parte della popolazione era rimasta lì, conservando leggi e tradizioni di matrice mosaica, anche se sensibilmente diverse da quelle rielaborate dai giudei che vivevano un po’ più a sud, deportati a Babilonia intorno al 600. Eppure quando settant’anni dopo i discendenti di questi ultimi ritornano nella Terra Promessa, lo scontro di culture in principio non sembra inevitabile. La Torah samaritana non differisce moltissimo da quella ebraica (anche se è scritta in un alfabeto più simile al fenicio), il che oggi fa pensare agli storici che in un primo momento la situazione tra le due comunità e le due narrative fosse più fluida. A un certo punto però avviene un irrigidimento, ed è forse l’evento raccontato nel Libro di Esdra: i matrimoni misti vengono annullati, le mura di Gerusalemme ricostruite imponendo una gerarchia precisa tra capitale e contado, che gli autoctoni samaritani rifiutano.
Cinque secoli più tardi, samaritani ed ebrei sono sudditi della stessa provincia romana, ma danno ancora l’impressione di non parlarsi volentieri. Il samaritano di Luca, più che uno straniero in terra straniera, è davvero il vicino di casa che suscita diffidenza: perché lo conosciamo poco o perché temiamo che ci conosca fin troppo bene? In un altro versetto di Luca, però (17,18), è Gesù stesso a chiamare “straniero” un samaritano, l’unico di dieci lebbrosi da lui miracolosamente guariti che si fermi a ringraziarlo:
Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».La fede salva anche gli stranieri. Quando mette in bocca a Gesù questa battuta, Luca forse ha in mente l’episodio dei vangeli di Marco (7,24-30) e Matteo (15,21-28) in cui Gesù risponde all’insistenza della Cananea che gli supplica di guarirne la figlia: “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri”. La Cananea è una straniera, molto più di quanto non lo sia un samaritano. Marco, l’evangelista più stringato e meno a suo agio coi riferimenti geografici, la definisce “greca di origine siro-fenicia”, ovvero un’abitante della regione di Tiro e Sidone (oggi Libano). In un primo momento Gesù nemmeno le risponde: per ottenere una reazione, la donna deve tallonarlo per un buon pezzo, esasperando gli apostoli che alla fine intercedono: “Mandala via, perché ci grida dietro”. Gesù allora obietta di non avere giurisdizione su di lei: “non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele”. Aggiunge poi una metafora dal sapore quasi razzista, che non stona del tutto in bocca al Gesù del vangelo di Marco, regale e un po’ sprezzante, ma che Luca non avrebbe mai messo in bocca al suo: “Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini”.
Un samaritano sotto una sukkah (un tipo di capanna che ricorda il transito degli ebrei nel deserto del Sinai durante l’esodo) fatta di frutta, vicino alla città di Nablus
Lo stesso Marco però registra la risposta straordinaria della straniera, che riesce addirittura a modificare l’atteggiamento di Gesù. “Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. In entrambi i vangeli l’episodio arriva dopo un duro confronto coi farisei sul tema delle impurità rituali. Ma è soprattutto in Matteo che esso suona come la riproposizione di un leitmotiv: Gesù era venuto per il suo popolo, il suo popolo non l’ha riconosciuto, non resta che rivolgersi agli stranieri. È il senso della Parabola del banchetto di nozze (22,1-14): visto che gli invitati rifiutano di venire, anzi uccidono i servi che portano le partecipazioni, il padrone ne manda altri ai crocicchi di strada, affinché invitino chiunque passa, “buono o cattivo”. (Luca, con quel gusto un po’ radical chic per gli emarginati, si diverte ad aggiungere “poveri, storpi, ciechi e zoppi”).
Gli stranieri dei vangeli di Matteo e di Luca rispecchiano un dibattito che deve avere animato i cristiani della prima generazione. Matteo non condivide l’entusiasmo ecumenico di Luca. Il suo Gesù, almeno in un primo momento, aveva chiesto ai suoi discepoli di “non andare fra i pagani e non entrare nelle città dei Samaritani”, ma di “rivolgersi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele” (10,5-6). Più che l’apertura agli outsider, cagnolini avidi di briciole, imbucati a una festa, lo anima la vergogna per i correligionari che non hanno riconosciuto il Messia.
Il vangelo di Giovanni arriva un po’ più tardi (verso il 100) e rispecchia una situazione già molto cambiata. Il rapporto con gli altri tre testi è abbastanza complesso: Giovanni sembra volerli quasi ignorare, e allo stesso tempo se ne nutre. Matteo e Luca avevano attinto a Marco come a una fonte (o viceversa): Giovanni, negli altri vangeli, cerca qualcosa di meno definito, una specie di sfondo, di background. Ad esempio riutilizza i nomi: Marta di Betania in Luca serviva a un rapido scambio di battute: in Giovanni diventa un vero e proprio personaggio. Suo fratello, Lazzaro, in Luca era un poveraccio protagonista di una parabola: in Giovanni diventa amico fraterno di Gesù. Qualcosa di simile accade anche alla figura del Samaritano: quello che in Luca era l’evanescente protagonista di una parabola, Giovanni lo trasforma in un personaggio a tutto tondo, che dialoga con Gesù. Non solo, ma Giovanni lo contamina con la Cananea di Matteo, così che le due figure evangeliche dello straniero diventano una sola: la Samaritana.
Gesù la incontra presso il pozzo di Giacobbe a “Sicar” (oggi Nablus), e già da questo dettaglio si comprende che l’episodio è completamente simbolico: il pozzo deve alludere alla vecchia alleanza, che Gesù è venuto a soppiantare; il dialogo con la Samaritana si sviluppa intorno all’equivoco tra la banale acqua del pozzo e Gesù, vera acqua di vita eterna.
«Chiunque beve di quest’acqua avrà sete di nuovo; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna». La donna gli disse: «Signore, dammi di quest’acqua, affinché io non abbia più sete e non venga più fin qui ad attingere».La reazione della Samaritana somiglia a quella del Pietro giovanneo, che non capisce perché Gesù gli vuole lavare i piedi, ma quando il Maestro gli risponde che sono funzionali alla vita eterna, chiede che gli si lavino anche viso e mani. La Samaritana, come Pietro, non capisce di cosa si stia parlando: non può capire, la salvezza le è preclusa, finché Gesù non ricorre alla sua arma segreta: il Segno. I miracoli del vangelo di Giovanni si chiamano così, “segni”, e non funzionano come quelli degli altri vangeli. In Matteo, Marco e Luca sono una specie di accessorio della divinità a cui Gesù è quasi costretto a ricorrere, spesso di malavoglia, inseguito da folle adoranti ma anche esigenti. In Giovanni i “segni” sono il principale strumento con cui Gesù manifesta la propria divinità: li usa deliberatamente, talvolta in modo teatrale. Per esempio quando alla Samaritana dice di andare a prendere suo marito, e lei obietta maliziosa “non ho marito”, Gesù risponde:
Hai detto bene: “Non ho marito”; perché hai avuto cinque mariti; e quello che hai ora, non è tuo marito; in questo hai detto la verità».Non è un miracolo così strabiliante, per i suoi standard: ma alla Samaritana tanto basta per riconoscere in Gesù “un profeta”. Molti commentatori traggono dal versetto la conclusione che la Samaritana, oltre a essere straniera, sia anche peccatrice: ma su sei uomini, almeno cinque la Samaritana li avrebbe pure sposati legalmente, magari in ottemperanza alla legge mosaica che costringeva la vedova senza eredi a risposare il cognato più giovane. Nel dettaglio immaginoso dei “cinque mariti” Giovanni infatti rielabora un altro spunto trovato in Luca: l’antiparabola della donna dai sette mariti (20,27-38). Nel vangelo di Luca la storiella era narrata dai Sadducei a Gesù nel deliberato tentativo di mettere in crisi il concetto di resurrezione: se una donna ha (legalmente) sposato sette mariti, di quale marito dovrebbe essere moglie nel Regno dei Cieli? (Nell’occasione la risposta di Gesù non è delle sue più convincenti, bisogna dire). Anche in questo caso, quello che in Luca era il protagonista di un breve racconto-nel-racconto, in Giovanni ottiene la dignità di personaggio reale, che interagisce con Gesù: e questo a prezzo della verosimiglianza, perché anche ai tempi una vedova di cinque o sette mariti doveva essere un caso eccezionale. È come se Giovanni leggendo Luca non voglia o non riesca a percepire la differenza tra i personaggi storici (Gesù, i Sadducei) e quelli fittizi delle parabole e degli apologhi (il povero Lazzaro, la sposa di sette fratelli), e questo è un argomento abbastanza pesante a favore di una datazione più tarda. I primi tre vangeli sono rielaborazioni sommarie di persone che magari non avevano assistito ai fatti, ma avevano conosciuto personalmente i testimoni: il quarto somiglia più a una rielaborazione fantastica. Una volta convintasi che Gesù è il Messia (è stato sufficiente che quest’ultimo le indovinasse lo stato civile), la Samaritana arriva in paese e si mette a fare apostolato, convertendo in breve diversi correligionari. Gesù si ferma per due giorni e poi riparte. Siccome è diretto in Galilea, ma il suo destino lo attende in Giudea, dalla Samaria (che è in mezzo) dovrebbe essere ripassato almeno una volta: ma Giovanni non ne parla più. Tradizioni molto più tarde le assegnano un nome greco, Fotina, e un martirio romano, probabilmente ottenuto quando qualcuno la confuse con una cristiana omonima martirizzata nell’Urbe il 20 marzo di un anno imprecisato, insieme con “Giuseppe e Vittore suoi figli, e così pure Sebastiano capitano, Anatolio, Fozio, Fotide, Parasceva e Ciriaca”.
I samaritani invece esistono ancora: vivono in due comunità, una proprio a Nablus nei pressi del loro monte sacro, un’altra a Holon, ormai periferia di Tel Aviv. Secondo i censimenti israeliani sono poco più di 700 persone, discendenti di un popolo talmente sventurato che persino gli ebrei, almeno ai tempi di Gesù, li guardavano con sufficienza. Tra rivolte e persecuzioni avrebbero avuto almeno 2000 anni di tempo per disperdersi o essere assorbiti da qualche altra religione o popolazione più grande. In un qualche modo, non è ancora successo.
Rinnega Cristo (e fatti un bagno caldo)
09-03-2019, 18:29cristianesimo, repliche, santi, vita e mortePermalinkÈ anche il nome di una porta monumentale di Treviso (e di una casa editrice lì nei pressi). |
C’è un accappatoio azzurro. Fuori piove un mondo freddo. |
Prima dell’esecuzione, i Quaranta hanno il tempo per dettare le ultime volontà al più letterato di loro, tale Melezio: un accorato invito ai confratelli cristiani a non rinnegare, a non disperdersi, a seguire il loro coraggioso esempio. La lettera contiene una richiesta di essere sepolti in una tomba collettiva, che fu prontamente disattesa: i loro resti furono bruciati e le ceneri sparse al vento, forse nel tentativo (vano) di sventare il merchandising delle reliquie. Una volta immersi nello stagno, i 40 si dimostrano compatti e disciplinati soldati di Cristo, morendo assiderati senza esitazione, tutti.
Tutti tranne Melezio: Basilio ci informa che l’unico a tradire e chiedere a gran voce il bagno caldo fu proprio il letterato, che figura. Il suo posto fu immediatamente preso da un custode delle terme, commosso dal coraggio dei 39: gridando “sono cristiano anch’io!”, si tuffò nello stagno, permettendoci di ripristinare il numero tondo. Melezio invece si fece il bagno caldo e… morì immediatamente, ancora prima degli altri, proprio a causa dello sbalzo di temperatura. Ben gli sta. Ma perché doveva essere proprio il letterato a cedere? Perché a chi ha la pazienza di scrivere non deve essere concesso il coraggio di resistere sulle proprie posizioni?
Santiquaranta è anche il nome italiano di Sarandë, ridente località portuale albanese, dal 1940 al 1944 nota anche come Porto Edda (sì, Edda Mussolini in Ciano). |
JLB, pimpami la cattedra
22-02-2019, 01:21arti figurative, cristianesimo, pontefici, Roma, santiPermalinkÈ anche impossibile da fotografare, non ci sta tutta e comunque non rende l’idea. |
Un Papa può decidere che non è più in grado di fare il Papa? Certo che può (lo prevede anche il Diritto Canonico): è infallibile. Ma un Papa che dice di non essere più infallibile, ammette di potersi sbagliare; e quindi potrebbe anche sbagliare quando dice di non essere più in grado di essere il Papa, cioè infallibile… ma può essere infallibile anche quando annuncia di non poter esserlo più? Se non è più infallibile, forse si sbaglia anche quando dice che non è più infallibile… non se ne esce. Ma è solo un passatempo per sofisti. E poi: chi l’ha detto che il Papa è infallibile?
Mi fa sempre venire in mente l’Avvocato del Diavolo, il film, lo so, non c’entra niente. |
Zitto, muto, fermo, ci ho tante di quelle idee in testa che un’eternità non mi basta guarda. |
Una riproduzione della cattedra originale: dai temi delle formelle si deduce che è quella donata da Carlo il Calvo. |
“Non mi posso più sedere su una cosa del genere, che figura ci faccio coi patriarchi”, disse dunque Alessandro VII. “Non potresti pimpare la mia cathedra?”
Potrei sbagliarmi, eh? Ma non ci ho mai visto seduto nessuno, secondo me non c’è neanche una scala dietro. |
Pier Damiani e l'annoso problema della sodomia
21-02-2019, 08:41cristianesimo, omofobie, pedofilie, preti parlanti, santiPermalinkCosa fareste per recuperare quel documento?
Ma cos'è che avevo scritto quella volta |
Avete messo sottosopra gli scaffali, rivoltato i cassetti come calzini. Tutti i dischi rigidi, tutte le chiavette, avete portato dai cinesi quel laptop che si è spento per sempre cinque anni fa. E più cercavate, più quel documento diventava interessante, necessario, fondamentale, unico. Perché è l’unico che non si trova più. Il che non è possibile; voi non buttate mai nulla. Probabilmente è nel posto sbagliato, archiviato col nome sbagliato, dove lo ritroverete quando sarà troppo tardi. Oppure lo avete prestato a qualcuno, sì: qualcuno sembrava curioso e vi siete fidati senza tenervi una copia, pazzi! A nessuno bisogna prestare i propri documenti, di nessuno ci si può fidare. Neanche di un papa. Non è un modo di dire, per esempio San Pier Damiani si fidò di un papa, e lo sapete come andò a finire, no? In effetti forse no.
Pier Damiani il dottore della Chiesa, Pier Damiani l’inflessibile, l’incorruttibile, l’uomo che in teoria riusciva a vivere soltanto in un eremo appartato, circondato dall’algido affetto dei suoi confratelli, Pier Damiani che invece per un motivo o per un altro era sempre in giro per Sinodi o a Roma a lobbizzare con questo e quel pontefice; Pier Damiani un giorno scrisse una lettera stranissima a due cardinali, una lettera matta in cui si prendeva gioco del papa in carica, proprio lui! Pier Damiani, il riformatore: ce l’aveva con Alessandro II. Stia attento, scriveva: che un papa di nome Alessandro c’è già stato e fu frustato a sangue. Ma che aveva fatto il secondo Alessandro per meritare anche solo un vago riferimento al supplizio inflitto ai ladri? Cosa poteva aver mai fatto un pontefice per meritare un’accusa infamante e neanche tanto velata da parte di Pier Damiani? Indovinate: non gli restituiva un manoscritto.
Glielo aveva chiesto per farsene una copia: e doveva averglielo chiesto in termini piuttosto perentori, se Pier confessa che altrimenti non glielo avrebbe dato. Quando era tornato a riprenderlo, niente: il documento non c’era più. Ma che c’era mai scritto, in quell’unico fascicolo autografo tra mille che Pier non poteva più andarsi a rileggere? Magari niente d’importante. Lui stesso protesta che era poca roba, nulla per cui valesse la pena litigare o perdere il favore di un pontefice. E invece era proprio quello che stava facendo: aveva aperto un contenzioso col vicario di Pietro. Non riusciva a contenersi, Pier Damiani il continente. Ma perché Alessandro non rendeva il malloppo? L’ipotesi banale resta la più verosimile: magari aveva perso tutto. Basta appoggiare il quinterno sull’angolo sbagliato della tua Cattedra; magari qualcuno viene a mettere a posto, con le migliori intenzioni del mondo lo infila nello scaffale sbagliato delle biblioteche vaticane, e bye bye Inedito del Dottore della Chiesa, vallo a ritrovare se ci riesci. Possono passare anni. Secoli.
Mi era venuto così bene quella volta maledizione |
Beh, è una specie di pietra miliare. Mettiamola così: sapete che la Chiesa ha questo problema dei preti pedofili, no? Ogni tanto se ne parla. Ecco: da quand’è esattamente che se ne parla? Quando è cominciato lo scandalo, o almeno quando la Chiesa ha iniziato a percepirlo come scandalo? Sono stime difficili da fare per uno storico. Di solito. Ma in questo caso no, in questo caso si può mettere una data quasi precisa: il primo a denunciare il fenomeno, in un latino ecclesiastico semplice ed elegante, fu Pier Damiani, nel Liber Gomorrhianus, indirizzato a papa Leone IX più o meno nel 1051. Quando si dice che il tal problema è annoso, pensate che questo specifico problema sta per compiere mille anni.
E prima non esisteva? Pier ne parla già come di una malattia morale ben nidificata. Più che i peccatori gli preme denunciare chi li copre: tutta una spaventosa rete di complicità sulla quale intende fare luce. In effetti chi voglia affrontare il Liber come se si tratti davvero del primo trattato di sessualità del medioevo rischia di restare deluso. Pier parla pochissimo dei peccati che denuncia; si capisce che ne prova un ribrezzo genuino. La sua casistica è limitata all’essenziale: secondo Pier ci sono quattro tipi di atti esplicitamente denunciati dalla Bibbia come contro natura. In ordine crescente di gravità: masturbazione solitaria, masturbazione reciproca, coito interfemorale e rapporto anale. Sono comunque tutti peccati mortali: chi li commette, secondo Pier, deve essere sollevato dall’incarico ecclesiastico. E la pedofilia? Pier ci arriva per gradi, esprimendo una riprovazione particolare per i presuli che iniziano al peccato i giovani che sono loro affidati. Oltre alla sodomia, in questo caso Pier intravede l’incesto, dal momento che il maestro è un padre spirituale, e il vincolo spirituale è più importante di quello carnale. In ogni caso, la soluzione è la stessa: chi pecca contro la natura e contro il vincolo famigliare deve perdere il suo incarico; gli deve essere impedito di confessarsi e ricevere l’assoluzione da un complice nel peccato (Pier aveva la sensazione che la cosa succedesse spesso). Ne va della salute morale della Chiesa, il papa deve assolutamente recepire la gravità del fenomeno e intervenire con severità. Il papa ringraziò, recepì, e qualche anno dopo fece sparire il manoscritto del Liber. Il primo caso di dossier sugli abusi del clero insabbiato dal clero. Notevole. Fin troppo.
Ma dove l’ho scritto accidenti, qui non c’è |
Quanto a Leone, sappiamo che il Liber gli era sostanzialmente piaciuto: che aveva definito la foga inquisitoria di Pier come “santa indignazione”, benché non intendesse recepire al 100% le proposte di Pier. “Noi agiremo più umanamente”, aveva scritto (“nos humanius agentes“). Leone in effetti intendeva degradare soltanto gli ecclesiastici non coinvolti in attività sodomitiche “da lunga abitudine o con molti uomini”. Ma la disponibilità papale a chiudere un occhio sulle scappatelle occasionali o sugli errori di gioventù non sconfessava affatto l’impianto accusatorio di Pier Damiani – si trattava anche di un gioco delle parti, tra due intellettuali consapevoli: a Pier toccava la parte del poliziotto cattivo, del magistrato inquisitore che chiede una pena di vent’anni per ottenerne cinque con la condizionale. Era una parte che doveva riuscirgli particolarmente congeniale: siamo tutti particolarmente spietati con i vizi che non condividiamo, e a Pier, tra tanti vizi che possono capitare a un povero cristiano, questo proprio non lo aveva. È sempre difficile parlare di sesso senza tradire una minima curiosità, una minima partecipazione: Pier non si tradisce perché davvero l’argomento non lo appassiona. Che si tratti di una pratica solitaria o di un rapporto anale con un minore, per lui la questione è molto semplice: la Bibbia dice che è male, Onan morì sul colpo, Sodoma e Gomorra furono incenerite, amen. È vero che la Chiesa non prese il suo Liber alla lettera, ma cominciò a porsi un problema dove prima non c’era nemmeno il problema. Per trovare un documento che proibisse agli stupratores puerorum di ricevere la comunione in punto di morte, Pier nel 1050 era dovuto risalire a un concilio del 305. In mezzo, settecento anni di silenzio. Dopo Pier invece qualcosa si mise in moto, anche se con la tipica prudenza dell’istituzione ecclesiastica, che vista da vicino sembra immobilismo. I sodomiti sarebbero stati esplicitamente espulsi dal clero e scomunicati solo nel secolo seguente, col Concilio Laterano III. Quanto al problema della pedofilia, c’è voluto qualche altro secolo, ma adesso se ne parla. Diciamo.
Il cast di Spotlight, un film del 2016 sul problema denunciato nel 1051 da Pier Damiani. |
Un giorno – più facilmente una notte – avete perso un documento. All’inizio non vi sembrava una grande perdita, ma ora che non lo trovate più vi rendete conto che era perfetto. A dire il vero queste cose ormai succedono sempre meno, ora che tutto è sulla nuvola. Per dire, a me capita di ritrovare cose che credevo perdute e bellissime, articoli che avevo scritto per magazine on line che un giorno sono andati offline senza preavviso e figurati se l’Internet Archive si è fatta una copia: poi un bel giorno mi viene in mente una data o una stringa e bingo! Li trovo proprio sull’Internet Archive.
E fanno schifo.
Non riesco nemmeno a leggerli, buon dio, bisognerebbe chiedere all’Internet Archive di cancellarli. Chissà che schifezza aveva scritto Pier Damiani, che papa Alessandro non gli voleva restituire, e che gli sembrava un capolavoro soltanto perché non poteva più rileggerla. Io per dire qualche ora fa ho cancellato senza volere le dieci righe che servivano a finire questo pezzo e ora mi dispero, sono convinto che non troverò mai più un finale altrettanto bello e necessario, e intanto prendo tempo raccontando inezie al lettore. Era tutta una digressione finale sulla Chiesa Cattolica come prodigiosa macchina celibe, ma proprio per questo condannata ad avanzare nei secoli guidata da un’esplosiva miscela di uomini (selezionati e svezzati nei collegi): omosessuali e asessuali (ancora oggi secondo il New York Times i sacerdoti USA di inclinazione omosessuale potrebbero essere il 40% – qualche ecclesiastico col gay radar particolarmente sensibile parla del 70%). Con questa fondamentale controindicazione, che gli asessuali proprio non capiscono gli omo, e quindi questi ultimi devono in tutti i modi nascondersi ai primi attraverso tutta una serie di ipocrisie e codici di comportamento e regole che ti spiegano perché devi metterti le scarpine porpora anche se a te francamente basterebbero due sandali e via che si va. E che comunque la macchina, con qualche strappo e qualche panne ogni tanto sarebbe potuta andare avanti ancora per molto, non avessimo chiuso quasi tutti i collegi. Ecco, il pezzo diceva più o meno questo, ma lo diceva molto meglio di così. Magari se facessi control+Z per mezz’ora ritroverei quelle righe, ma quante altre ne perderei che immediatamente dopo troverei più necessarie. Quindi niente, stanotte il pezzo finisce così, chiedo scusa.
(Per scrivere un pezzo su Pier Damiani ho letto diverse cose, non tutte capendole e molte dimenticandone; in particolare lo spunto del manoscritto sottratto da papa Alessandro l'ho trovato in un articolo di Irene Zavattero, "Il Liber Gomorrhianus di Pier Damiani").
La libertà di Onesimo
15-02-2019, 00:27cristianesimo, santi, StoriaPermalinkIl frammento conosciuto più antico del testo della Lettera a Filemone risale circa al 200. |
D’altro canto, perché inventarsi una lettera così breve, così limitata? Se qualche falsario avesse avuto in mente di affibbiare all’apostolo qualche idea rivoluzionaria o almeno progressista sulla questione degli schiavi, avrebbe dovuto scrivere ben altro. Ma Paolo, ogni volta che si tratta di parlare di schiavi, ribadisce che si devono comportare bene e rispettare i loro padroni. Naturalmente anche i padroni devono essere gentili con gli schiavi, come Filemone sarà gentile con Onesimo. Tutto qui: fine della dottrina sociale di Paolo.
Paolo detta una lettera a Onesimo |
"Prega il tuo Dio, Anassameno!" |
Non proprio le parole di un liberatore: né aveva senso aspettarsi qualcosa di più estremo da lui. Paolo non aveva nessuna intenzione di liberare il mondo dalla schiavitù: senz’altro gli interessava liberare una risorsa umana, Onesimo, che gli sarebbe stata molto utile come collegamento con tutta una serie di comunità di lingua greca e fede cristiana. Questo gli premeva, in vista del Giorno del Giudizio: quanto a ribaltare la società, senz’altro no; non ci pensava, non c’era tempo. Tutte le sue lettere, anche le più teologiche e sistematiche, sono sempre testi occasionali, studiati per determinate comunità in determinati momenti. Il vero fondatore della Chiesa non ha mai scritto un trattato per spiegare in generale come la vedeva, questa Chiesa. Niente libri: solo lettere, messaggi, comunicati, circolari. Forse non ha fatto in tempo; eppure la fine quando arrivò non fu esattamente imprevista. Forse non se ne riteneva capace, forse per lui i libri importanti erano quelli scritti dai colleghi, che portava con sé e magari stava ispirando, i Vangeli e gli Atti. E forse semplicemente Paolo di Tarso non pensava che ci fosse tutto questo tempo per dare ai suoi insegnamenti un impianto sistematico. Non era solo Paolo ad avere poco tempo: era il mondo a essere agli sgoccioli.
Per capire Paolo dobbiamo capire questa cosa: lui era realmente convinto di vivere nell’imminenza della fine, in un istante protratto in cui è senz’altro segno di saggezza continuare a comportarsi compostamente, rimanendo ai propri posti nella società (guai a chi smetteva di lavorare o lasciava la famiglia), ma senza darsi troppa pena di indagare sul perché quella società fosse fatta proprio così: dopotutto stava per finire. Ancora poco e non ci sarebbero più stati né padri né figli, né padroni, né schiavi, né lavoratori né lavori: quindi perché perdere tempo a protestare su queste sciocchezze? In una delle ultime pagine degli Atti, Luca lo descrive a bordo di barcone alla deriva nel Mediterraneo, proprio nei luoghi dove oggi Ong e Guardia costiera soccorrono i migranti. Il ritratto è così nitido che ci sembra impossibile che Luca non fosse a bordo con lui. Paolo non sa nulla di navigazione, ma a un certo punto decide che la nave si salverà e che l’equipaggio sarà risparmiato: e da quel momento prende il controllo. Esorta marinai e passeggeri a non mollare, a nutrirsi quando è il momento. Lui sa che ce la faranno, ha fatto un sogno. Alla fine il barcone arriva proprio Malta, isola di indigeni ospitali: Luca perlomeno li ricorda così. L’episodio è straordinariamente realistico, ma lo possiamo leggere anche come una riflessione sul ruolo dell’apostolo. Paolo non è un leader politico, non è un teorico, non spiega ai marinai il proprio mestiere né ha una rotta da consigliare. Paolo è un passeggero come gli altri che ha una sola cosa da dire: ci salveremo, tenete duro, non smettete di mangiare e ognuno resti al proprio posto. Lo schiavo faccia lo schiavo, il comandante faccia il comandante, quanto a me sono il tramite con Dio e Dio vi fa sapere che ci salverà, Gesù sta arrivando.
Qualche tempo dopo Paolo è morto, Gesù non è arrivato, e duemila anni dopo stiamo ancora usando le istruzioni sui biglietti che Paolo ci ha lasciato per la gestione provvisoria – come se uno lasciasse detto ai figli bagnatemi i fiori e ogni due giorni vuotate la cassetta del gatto, e dopo duemila anni ancora i pronipoti bagnano i fiori e vuotano la cassetta per timore che gli antenati si arrabbino, il gatto non c’è ovviamente più ma nel sacro biglietto c’era scritto così, il cristianesimo è un piano per un emergenza che non scatta mai.
Il poliziotto buono di Cristo
29-01-2019, 17:01autoreferenziali, cristianesimo, internet, santiPermalinkVoi l’avete mai preso un treno solo per andare a litigare? Io almeno una volta il biglietto l’ho fatto. Ufficialmente andavo a fare la pace, perché andiamo, on line è normale trascendere, ma basta vedersi in faccia per capire che quel che ci divide non è in realtà così importante. In realtà per tutto il tempo non smettevo di ripassare i miei argomenti, nel tentativo di schierarli nel modo più tagliente possibile, oh sì, io a Roma ci stavo andando a fare il culo a un tizio, avevo intenzione di entrare nella sua tana e prenderlo alle spalle. L’effetto sorpresa è tutto in queste cose, si sa.
Lo sapeva bene anche Francesco di Sales, vescovo di Ginevra che a Ginevra non poteva entrare, perché era la città di Calvino e i sacerdoti cattolici rischiavano la galera o peggio. Ma Francesco non era tipo da abbattersi, anzi Ginevra l’aveva scelta proprio come il cavaliere sceglie la dama più inaccessibile. Quando si era reso conto che ai ginevrini era fatto divieto anche soltanto di ascoltare le sue prediche domenicali, aveva iniziato a stamparle su volantini e a infilarle sotto le porte: un espediente inedito nel Cinquecento, che gli è valso il titolo di patrono dei giornalisti. Ginevra restava off limits, ma nella provincia circostante (il Chiablese), Francesco poteva contare sulla protezione del duca di Savoia, che era determinato a recuperare la sua popolazione al cattolicesimo con le buone o con le cattive.
Francesco era, essenzialmente, il poliziotto buono, quello che racconta le storielle argute e che si intristisce quando vede che non vuoi collaborare. Era anche un intellettuale raffinato, una penna gradevole, e insomma farsi convertire da lui era molto più elegante che farsi confiscare le proprietà dal duca, sicché verso il 1597 qualche notabile del Chiablese cominciò a farsi battezzare.
A Ginevra ci rimasero male. Calvino era morto da un pezzo, senza lasciare eredi all’altezza. L’intellettuale di spicco era Antoine de La Faye, il quale quando seppe che il signore di Avully si era convertito grazie alla predicazione di Francesco, sbottò: io prima o poi gliela faccio vedere, a quello lì. Lo vado ad aspettare a casa sua. Il guaio è che sbottò proprio davanti ad Avully, che benché si fosse convertito manteneva una posizione di riguardo in città e da lì in poi cominciò a tormentare La Faye: e allora, quando ci andate dal vescovo? Ho scritto a Francesco, lui vi aspetta, non vede l’ora di conversare con voi a proposito della predestinazione e del libero arbitrio. Ma ecco, risulta che La Faye, di andare ad Annecy non avesse tutta questa voglia dopotutto.
Francesco invece di voglia bruciava. Ci fosse stato un treno l’avrebbe preso all’istante. Arrivò invece a cavallo, vestito in borghese per non farsi fermare alla frontiera. Arrivò coi suoi collaboratori, un cugino, e quel giuda di Avully. Ma insomma, senza preavviso, un bel giorno il suo servo bussò alla porta di Antoine de La Faye: è arrivato Francesco di Sales, vorrebbe discutere con voi. Un'imboscata in stile Iene, a fine Cinquecento. Del resto l’effetto sorpresa è tutto, in queste cose.
La Faye e Sales si conoscevano già, nel modo astratto in cui si incontravano i polemisti nella rete sociale di allora, tutta fatta di carta e inchiostro ma già straordinariamente faconda e litigiosa. Quando il vescovado aveva innalzato una croce sulla costa del Lago, per rammentare a quegli iconoclasti dei ginevrini il simbolo della divinità, La Faye aveva scritto un libro intero per rifiutare l’idolatria della croce: il che aveva consentito a de Sales, trentenne, di reagire scrivendo il suo primo libro, la Difesa dello stendardo della Santa Croce. A quei tempi si faceva così. Per esempio Lutero scriveva un libro, Tommaso Moro ne scriveva un altro per confutarlo, un protestante inglese ne scriveva un altro ancora per confutare la confutazione, Tommaso Moro lo identificava e gli faceva tagliare la testa, nel frattempo re Enrico VIII litigava col papa e faceva tagliare la testa a Tommaso Moro, il fatto che fossero dispute scritte non le rendeva meno pericolose, anzi.
Anche Sales, quel giorno a Ginevra, rischiava qualcosa. Ma era sicuro che La Faye non si sarebbe ritirato senza tentare di difendersi con le armi regolamentari della retorica e della teologia; e così fu. Arrestare il vescovo non sarebbe servito a niente, anzi: nel momento in cui il duca di Savoia e il Cantone di Berna trescavano contro i ginevrini, rischiava di essere controproducente. Ma sconfiggerlo nel suo campo, quella sì che sarebbe stata una vittoria. Purtroppo La Faye non riuscì a procurarsi un testimone che la certificasse.
Sales, per contro, aveva lasciato a casa la tonaca ma non si era scordato la claque, e non è un caso che tutti i resoconti che sono riuscito a trovare attestino il trionfo del vescovo cattolico su un calvinista ottuso e ringhiante. Verso la fine, ormai consapevole della batosta, La Faye sarebbe addirittura passato al turpiloquio e alle insolenze, l’equivalente dialettico di portarsi a casa il pallone e farsi assegnare uno 0:3 a tavolino. Sono tutte versioni cattoliche, ovviamente: ma il fatto che non esistano resoconti di parte calvinista lascia sospettare che per La Faye sia stata davvero una batosta. Quanto al turpiloquio, c’è da dire che Sales è quel tipo di polemista che davvero ti cava gli schiaffoni dalle mani: sempre sereno, sempre sorridente, con l'aria di chi ha una verità ben cacciata in fondo alla tasca e magari un giorno te la farà vedere, ma perché proprio oggi? Un bluffatore incallito, come tanti apologeti cattolici dalla Controriforma in poi. Davanti agli ingenui calvinisti, persuasi di avere semplicemente ragione, anzi, che la ragione sia stata creata da Dio proprio per darla in dono a loro, Sales è il controriformista dal volto umano, quello che nemmeno ci prova ad aver ragione invece che torto: la sua strategia è attirarti nella zona grigia, mimetizzarsi tra i chiaroscuri, anestetizzarti con storielle da canonica, evocare il Terribile Dubbio e trasformarlo in una simpatica Scommessa pascaliana, dai, su, convertiti e credi al Vangelo, che ti costa? Viene da insultarlo anche a me, figuriamoci a un ginevrino riformato.
Io comunque una domenica lo presi davvero, un treno, per litigare. Avevo con me una borsa piena di argomenti e di compiti da correggere. C’era un centro sociale, a due passi dalla stazione Termini, sapevo che il tizio aveva una riunione proprio lì. Pensavo di cavarmela in un paio d’ore, in tempo per riprendere il treno e ritrovarmi in classe lunedì. Credevo che all’inizio, certo, si sarebbe molto incazzato, perché questo ti fa l’effetto sorpresa: tu non ti aspetti che il nemico ti venga in casa a spiegarti le sue ragioni. Mi avrebbe senz’altro preso a male parole. Ma non mi avrebbe cacciato, per il solito motivo che un nemico che caccia la testa nella tua tana è troppo allettante. Dovevo soltanto fingermi un agnellino, per qualche minuto: giusto il tempo di fargli alzare la coda, e poi zac! in quel posto gliel’avrei messo, a quello stronzo. Il piano era perfetto. Arrivai a Roma che imbruniva. Entrai nel centro, nessuno mi chiese chi ero.
Lui non c’era.
Giocava la Roma.
Non mi ricordo neanche più come si faceva chiamare – gestiva un sito che è stato sequestrato, no, non li ho neanche denunciati io. E d’altro canto, beh, il fatto che siano dispute scritte non le rende meno pericolose, cioè se spali merda per anni prima o poi te ne può anche arrivare addosso, sono i casi della vita. Dovunque egli sia, vorrei poterlo raggiungere per dirgli che non gli serbo rancore. Vorrei potergli dire che mi sono dimenticato chi dei due avesse ragione e chi torto, e che a distanza di tanti anni tutto alla fine sembra così assurdo e ridicolo. Vorrei potergli dire così.
Anzi adesso vado proprio a cercarlo negli archivi, e se riesco a capire come si chiamava davvero prendo un altro treno per andargli a dire in faccia, a quella maledetta testa di cazzo, che lo perdono, sì sì, vedrai come ti perdono brutta merda, ormai col Tav in quattro ore arrivi sei a Termini e in un certo senso è un peccato, vorrei che esistessero ancora certi interregionali scrausi e puzzolenti per poter passare mezza giornata in uno scompartimento a rimuginare certi vecchi screenshot di siti che mi sono stampato per ripassare alcuni punti che voglio poi appallottolare e ficcarti ben compatti nel [dissolvenza].
Il papa che successe a sé stesso
16-01-2019, 00:53cristianesimo, pontefici, religioni, repliche, santiPermalinkNulla, non c'entra assolutamente nulla. |
Dell'imperatore Diocleziano, delle sue sanguinose persecuzioni, su questo blog ci siamo spesso presi gioco. Il fatto è che già a poco più di un secolo di distanza (quando il cristianesimo era diventato religione di Stato), Diocleziano aveva già assunto le dimensioni dell'orco sbrana-cristiani, a capo di un esercito di torturatori efferati e un po' frustrati: a Santa Cecilia cercano di tagliare il collo e la lama rimbalza, Santa Lucia cercano di portarla nel bordello ma è troppo pesante, a Sant'Agata tagliano i seni e le ricrescono, eccetera. E però tutto questo grand-guignol di leggende inventate dai monaci per distrarsi un po' nell'ora di refettorio non deve farci dimenticare che un Diocleziano ci fu davvero, e che di cristiani ne fece uccidere più di qualsiasi altro imperatore: quanti? Difficile dire. Migliaia, forse più – Gibbon semplicemente non ci credeva, ma era un uomo del Settecento, quando anche le battaglie campali sembravano figure di minuetto. Gli storici del penultimo secolo, familiari coi concetti di pogrom e di purga, non escludono che un imperatore deciso a fondare un culto della personalità non possa aver messo in cantiere uno sterminio, anche se il body count rimane piuttosto prudente (tremila o un po' di più in tutto l'impero). Pochi, tutto sommato, per una religione che nelle città era ormai un fenomeno di massa.
Evidentemente molti cristiani cercarono di sfangarla venendo a patti con l'autorità costituita: alcuni bruciando incenso agli Dei (turificati), altri sacrificando animali agli stessi Dei (sacrificati), altri, non volendo scannare nessun animale, corrompendo qualche autorità per procurarsi un certificato che attestasse che lo avevano sacrificato (libellatici). Infine c'erano i peggiori di tutti, i traditores, che all'inizio significava semplicemente "consegnatori": erano i sacerdoti che avevano consegnato i libri sacri ai magistrati - e magari anche qualche registro di battesimo coi nomi degli affiliati, gli infami. Tutto questo poteva salvarti la vita terrena, ma quella eterna? I sacrificati, i turificati, i libellatici e i traditores non erano più ammessi in chiesa. Erano i cosiddetti lapsi, "scivolati", quelli che avevano avuto un'occasione buona per diventare protagonisti di una sanguinosa leggenda di martiri e se l'erano giocata. Il dibattito sulla riammissione dei lapsi era già scoppiato ai tempi dell'imperatore Decio, e riprese subito vigore. In certe comunità venivano riammessi soltanto dopo una pubblica cerimonia di pentimento: insomma dopo aver ritrattato il cristianesimo davanti ai magistrati dovevano ritrattare la ritrattazione davanti ai sacerdoti, e farsi consegnare una ricevuta, un libellus che dimostrasse che erano di nuovo cristiani a tutti gli effetti. Ovviamente se i magistrati imperiali mettevano la mano sul libellus potevano ri-imprigionarli, e così via.
Si dice che il cristianesimo crebbe annaffiato dal sangue dei martiri. È una mezza verità: le piante hanno bisogno di liquidi ma anche di letame. Senz'altro i martiri ci misero il sangue, ma se il cristianesimo sopravvisse a Diocleziano fu grazie ai lapsi. Questo però non si può dire - tranne che sul Post - perché molti lapsi furono probabilmente traditores, nel senso moderno del termine: molti di loro probabilmente si conquistarono la libertà vuotando il sacco davanti al magistrato, spifferando nomina e cognomina di tutti i cristiani del quartiere. Poi alla fine se ne tornavano alla catacomba e chiedevano pure di essere riammessi al culto, che facce toste. Il cristianesimo che sopravvive alla persecuzione dioclezianea deve affrontare quel senso di colpa collettivo che attanaglia i superstiti di qualsiasi disastro: perché gli altri sono morti e io no? Aggiungi che in certi casi la risposta è insostenibile: sono morti gli altri perché tu li hai traditi. Gli altri sono santi, e ne leggiamo le leggende: tu sei il peccatore, tu dovrai espiare. La realtà probabilmente era molto più sfumata, vedi il caso di San Marcellino Papa.
Da non confondere con San Marcello Papa, che è il santo che si festeggia oggi, e di cui dovrebbe essere il predecessore. Il nome può sembrarvi buffo, ma è uno di quei tipici nomi tardoromani: si chiama Marcellino anche uno degli scrittori più interessanti del quarto secolo, un ex soldato dalla prosa cupa e marziale che non ti aspetteresti in un'antologia, alla voce Ammiano Marcellino. "Marcellino" è la terza derivazione del nome Marco, che a sua volta deriva dal dio Marte: all'inizio Marco significa "di Marte". Marcello, invece, significa "di Marco": può sancire un'adozione o forse un passaggio di proprietà di schiavi che poi una volta liberati mantengono il nome. "Marcellino", a sua volta, potrebbe essere un figlio di Marcello, o uno schiavo venduto e poi liberato. I nomi dei primi secoli erano brevi: Lucio, Mario, Claudio. Verso il terzo secolo abbiamo Marcellino, Claudiano, Valentiniano (←Valentino ←Valente), Costantino (←Costanzo ←Costante) eccetera. L'impero continua a essere retto da uomini duri e violenti, ma hanno nomi derivativi, sempre meno originali, sempre più involontariamente pucci, fino a quel Romolo Augustolo che chiude miracolosamente il cerchio. Non fossero arrivati i barbari, oggi ci chiameremmo Marcelliniancelliniano? In un certo senso i barbari dovevano arrivare, era un'esigenza sentita a tutti i livelli, persino nell'onomastica.
La chiesa di San Marcello al Corso (da wikipedia) sorge nell'antico sito della stalla (far lavorare un papa, che barbarie). |
A dire il vero il suo nome nel Cronografo c'è: ma è associato al diciottesimo giorno alla Calenda di Febbraio, cioè oggi, 16 gennaio, e non al 26 aprile. E tuttavia deve trattarsi di una svista: il 16 gennaio non è la festa di Marcellino, bensì di Marcello, il suo successore: un papa integerrimo che si oppose al facile recupero dei lapsi, e insistette sulla necessità che facessero penitenza e mostrassero contrizione per i loro tradimenti. Tanta intransigenza lo portò in rotta col successore di Diocleziano, Massenzio, che lo condannò a lavorare nelle stalle imperiali (ma questa forse è una storia messa in giro dal proprietario di una stalla che credeva nelle opportunità del turismo religioso e sperava di attirare i pellegrini con una storiella). Il lavoro in stalla era molto pesante e Marcello ne sarebbe morto, martire, il 16 gennaio, perlappunto. Ora, non è così strano che un papa Marcello subentri a un Marcellino (non era ancora invalsa l'abitudine a cambiar nome una volta varcato il soglio): ma che cadano entrambi martiri lo stesso giorno, è una cosa che lascia perplessi. Al punto che Mommsen riteneva che il secondo non fosse un vero papa: piuttosto un vicario, un facente funzione. In effetti la situazione poteva essere molto delicata: magari Marcellino aveva perso la carica di pontefice nel momento in cui aveva temporaneamente abiurato la fede in Cristo. Poi ci aveva ripensato, ma a quel punto era da considerarsi ancora pontefice a tutti gli effetti? Chi poteva deciderlo, se non lui stesso? Un falso storico del sesto secolo ci mostra proprio un concilio-processo in cui i vescovi lo interrogano, ne ottengono una confessione, ma non lo condannano, perché "la prima sede non può essere giudicata da nessuno".
Un'altra possibilità è che Marcellino se ne sia tornato bel bello a fare il pontefice, dopo l'abiura, senza chiedere scusa a nessuno. Qualche secolo dopo un cronista avrebbe potuto trovare la cosa imbarazzante, e dividerlo in due: un pontefice un po' tremebondo che viene perseguitato, abiura ma poi si pente e muore martire nel 305, e un altro tutto d'un pezzo che ostenta tolleranza zero per i lapsi e i traditori, e muore anch'esso martire in una stalla il 16 gennaio 309. La scelta di chiamare il doppione di Marcellino "Marcello" potrebbe essere stata dettata da scarsa fantasia o (più verosimilmente) dalla necessità di non alterare troppo i documenti originali. Dei due, quello probabilmente inventato è il più eroico e intransigente. Non sorprende.
Parlo di teologia, io?
09-01-2019, 20:49cristianesimo, razzismi, repliche, santiPermalink[2016].
Anche oggi c'è gente che, come quei famosi ateniesi, non trova di meglio da fare che discutere di argomenti inediti od originali. Braccia rubate al mercato o al cantiere che si improvvisano maestri di teologia: avanzi di schiavitù da prendere a mazzate, che d'un tratto ci filosofeggiano con solennità di cose incomprensibili.
Lo sapete di chi stiamo parlando: la città ne è piena. Le strade, i crocicchi, i fori, i parchi... venditori di tappeti, cambiavalute, friggitori ambulanti. Tu chiedi di scambiare una moneta, ti rispondono disquisendo sulla natura del Generato e dell'Ingenerato; vuoi sapere quanto costa una pagnotta, “Il Padre è il maggiore”, ti dicono, “e il figlio gli è soggetto”: domandi se ai bagni l'acqua è calda, e ti informano che il Figlio ha origine dal nulla...
Padri cappadoci, Nissa è (forse) quello con la barba lunga. |
Certe citazioni ormai galleggiano nel vuoto, non siamo nemmeno sicuri del libro da cui sarebbero ritagliate. Hanno maturato significati diversi da quelli previsti in partenza; diventano meme, parole di un linguaggio nuovo, incomprensibile ai non iniziati. Tra i miei amici di facebook non è infrequente rimproverarsi di parlare di astrofisica. Citiamo ovviamente la battuta di un regista frustrato, protagonista di un film di Nanni Moretti - no, non l'ultimo - neanche il terzultimo - forse il terzo? Lamentandosi della mania che hanno tutti di parlare di cinema senza mai aver studiato l'argomento, gridava: parlo di astrofisica io?
Molti anni prima dell'invenzione del cinema, e della stessa astrofisica, il problema era già avvertito dagli intellettuali. Non potendo citare Moretti, ripiegavano su San Gregorio vescovo di Nissa, che nel IV secolo scrisse in mezzo a un migliaio di pagine fitte di patristica l'esilarante bozzetto che ho tradotto sopra un po' liberamente. È un brano famoso in senso molto relativo: ci ho messo anni a rintracciarlo. Poi mi sono reso conto che lo cercavo nel volume di patristica sbagliato, perché tutti questi professori che si lamentano dell'incompetenza popolare... sbagliano quasi sempre a segnalare la fonte della citazione, attribuendola a un amico di famiglia di Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo. Anche lui vescovo in Cappadocia e padre della Chiesa, per cui non è così difficile confondersi.
È un errore illustre, condiviso dallo stesso Hegel; lui del resto non aveva perso tempo a sfogliare i padri cappadoci, ma si era fidato di Gibbon che nel suo best seller Declino e caduta dell'Impero Romano aveva a sua volta citato il Gregorio sbagliato, mutuando l'errore da un teologo dei suoi tempi, tale John Jortin che nelle note del suo volume aveva fatto confusione tra i due Gregori ed era morto prima di correggere le bozze. Che storia affascinante. Morale: non si è mai abbastanza competenti.
Va bene, ma di che stava parlando Gregorio esattamente? In quel frammento dell'orazione Sulla divinità del Figlio e dello Spirito Santo, 46esimo volume della Patrologia greca, il vescovo di Nissa si distrae per un attimo dal problema trinitario, e si volta a dare un'occhiata a quel che succede nella grande città: Costantinopoli. Quando mi imbattei per la prima volta nei due Gregori, a metà anni Novanta, in società si parlava più che altro di calcio e politica. Tutti ne erano esperti, tutti ritenevano di avere pareri interessanti, giuro, non è una frenesia nata con facebook: Zuckerberg ci ha fornito soltanto un impietosissimo specchio. A volte mi mancava l'aria e così frequentavo lezioni strane, ad esempio Storia del Cristianesimo Antico.
Scoprivo che secoli prima, gli abitanti di una lontana metropoli, dovendo pur trovare qualcosa su cui litigare in attesa dell'invenzione del calcio, si scannavano intorno alla teologia. Il dibattito sulla Trinità, e sulla generazione del Figlio, era uscito dai capitoli e dai sinodi e circolava sulle bocche di tutti, pizzaioli e rigattieri. Venivano alle mani spesso, e a volte ci scappava il morto. L'altro Gregorio - non quello di Nissa - fu quasi linciato nella sua stessa cappella privata, perché era stato ordinato vescovo niceno di Costantinopoli, in un periodo in cui in città andavano per la maggiore gli ariani. Questi ultimi credevano che il Padre avesse creato il Figlio in un secondo momento; i niceni invece credevano in un Figlio generato, non creato, della stessa sostanza del Padre. I niceni avevano già vinto un Concilio nel 325, e col tempo avrebbero prevalso, massacrato gli ariani e distrutto i loro libri. Ma in quel periodo erano un po' in crisi: gli imperatori, dopo averli favoriti, se ne erano stancati e a volte sponsorizzavano apertamente gli avversari. Il bello di studiare queste cose, quando sei giovane, è che ti chiedono la stessa sospensione dell'incredulità di una saga fantasy - pensateci, si accapigliavano per stabilire se il Figlio fosse stato "creato" o "generato" dal padre. Un dibattito che oggi non interessa più nemmeno i cristiani. Già. Oggi parliamo d'altro. Ma, ecco, di che parliamo?
A quel tempo ero una specie di marxista, a mio modo ovviamente – in sostanza credevo che gli uomini si potessero dividere soltanto in classi sociali. Questa era l’unica classificazione che avesse un senso economico, e quindi l’unica che avesse un vero senso. Tutti gli altri insiemi – i cosiddetti “popoli”, le cosiddette “religioni” – erano fenomeni sovrastrutturali. Non è che non esistessero, ma venivano elaborati dagli uomini a mo’ di paravento, sovrastruttura, per occultare la ripartizione fondamentale, quella tra profittatori, aspiranti profittatori e lavoratori. Tutte queste cose non so se Marx le abbia mai scritte davvero, avrei più difficoltà a spulciare il Kapital che la Patrologia, però ci credevo e forse ci credo un po’ persino adesso. Dunque diffidavo della versione di San Gregorio, perché davvero, che può interessare a un cambiavalute della Generazione del Figlio? Però da altri accenni si capiva che gli ariani erano la fazione più popolare (lo stesso Ario, racconta Filostorgio, una volta cacciato dalle chiese ufficiali, si era messo a comporre i suoi sermoni sulla musica delle canzonacce dei marinai e dei mulattieri). I niceni invece avevano già quella sfumatura benpensante che li identificava come organici della borghesia – e i Costantini giocavano a metterli gli uni contro gli altri, appoggiando ora questa ora quella fazione, per strategia o per capriccio.
Due secoli più tardi sarebbe successa la stessa cosa coi tifosi delle due più importanti scuderie delle corse di bighe, gli Azzurri e i Verdi. I primi erano i popolari (ma appoggiati dall’imperatore Giustiniano), i secondi aristocratici e monofisiti. Entrambi giravano coi coltellacci legati alla gamba, e si pettinavano all’Unna, lasciandosi crescere le creste per spaventare gli avversari. Vedi come lo stesso fenomeno (una guerra tra bande di delinquenti per le strade di una metropoli) si può leggere in tre modi: (1) guerra di tifosi: è il modo più superficiale, come se qualcuno fosse davvero disposto a morire per i colori di una squadra; (2) guerra di religione, monofisiti contro ortodossi; (3) lotta di classe. A me ovviamente interessava solo il terzo piano, quello di cui nessuno vuole mai parlare. Fanno tutti una gran confusione, parlano di bighe o quadrighe o di natura divina e umana del Figlio, perché non vogliono parlare di salari e di libertà degli schiavi… Però alla fine Azzurri e Verdi si stancarono di ammazzarsi per il sollazzo del Cesare, gli assediarono il palazzo contiguo al Circolo e chiesero le dimissioni del prefetto del pretorio, ritenuto responsabile dell’iniqua tassazione. (Le ottennero, ma in seguito Giustiniano, consigliato dalla moglie Teodora, riuscì a dividerli e li sterminò).
(Milletrecento anni più tardi, in una difficile città di mare dall’altra parte dell’Europa, ci si rimise ad ammazzare tra “verdi” e “azzurri”. I primi tifavano il Celtic Glasgow, erano immigrati irlandesi e cristiani cattolici. I secondi sostenevano i Rangers, ostentavano lealtà alle maestà britanniche e fedeltà alla chiesa protestante. Risse da ubriachi, guerre di religione, indipendentismo e identità celtica: dipende anche da storia vuol leggere la gente il mattino dopo).
Seduta di autocritica maoista in Bobocandia ("O Marx O Lenin O Mao Mao"). |
Nello stesso periodo in cui studiavo i padri cappadoci, avevo messo le mani su certi vecchi fumetti di un francese geniale e irregolare, Gérard Lauzier. La sua prima storia era ambientata in un’ex colonia francese di fantasia tra jungla e savana. Gli abitanti della savana erano diventati il Fronte Bobocalandese di Liberazione – trotskisti – mentre la tribù della giungla si era convertita al marxismo-leninismo di marca cinese, fondando il Fronte di Liberazione Bobocalandese. Dopo il tramonto conducevano lunghe sessioni di autocoscienza politica davanti al fuoco, cantando O Lenin O Mao O Mao al suono dei tamburi. Negli anni Settanta Lauzier passava per un autore di destra, e in effetti disegnava ancora gli africani coi labbroni e i dentoni. Si rifiutava a vedere il progresso nella decolonizzazione: era tutta una farsa, una tribù resta una tribù anche se coi fucili le vendi il libretto rosso. Il libro è fuori commercio in Italia, trovarlo è stato più difficile che rintracciare la citazione giusta nella patrologia.
Mi capita spesso di ripensare alla vignetta della tribù marxista, ultimamente, e ai venditori di tappeti di Gregorio di Nazianzo, pardon, Nissa. Sono contento che è finito Natale, quest’anno più del solito. Al mercato, in piazza, in sala insegnanti, per un mese non s’è parlato che di identità cristiana, e soprattutto di presepe. Chiedevi il prezzo del pane, ti rispondevano presepe. Domandavi che fine aveva fatto la programmazione monodisciplinare, ti mettevano al corrente del grosso rischio che stavamo passando di non poter più sentire le zampogne a causa degli immigrati musulmani. L’Amaca di Michele Serra appesa dappertutto. Il punto di riferimento del ceto medio riflessivo progressista che verso la fine del 2015, fidandosi di qualche notizia distorta, si è convinto che i musulmani ci stessero togliendo il presepe. Il presepe. Tra due secoli qualcuno ritroverà un fondo di Michele Serra nel fondo di una valigia, leggerà e si domanderà nella sua lingua sconosciuta: ma sul serio? Parlavano di questo all’inizio del millennio? Di presepe? Non del riscaldamento globale, dell’instabilità economica europea o delle migrazioni nel mediterraneo; parlavano del presepe? Era così tanto importante per loro? O c’era dietro qualcos’altro che non volevano dirci. Cioè: cosa intendeva davvero questo Serra per “presepe”?
Poi i sauditi hanno ammazzato un imam – i sauditi ammazzano chi vogliono più o meno come l’Isis, e più o meno per gli stessi motivi, ma sono nostri alleati, quindi è ok – salvo che per una settimana è stato tutto un fiorire di esperti di teologia islamica. Ci hanno spiegato che tutte le tensioni del Medio Oriente – tutte – si possono spiegare con la religione, l'eterna rivalità tra sunniti e sciiti. Perché, credevate che fosse il petrolio? I sauditi che lottano per imporre una supremazia regionale, che l’Iran gli contende? La Russia che reagisce all’accerchiamento Nato? Le irrisolte questioni curde e palestinesi? No. «Braccia rubate al mercato o al cantiere», avrebbe detto il nostro Gregorio, ci hanno avvertito che tutto dipende da uno scisma di mille anni fa. E infine si è scoperto che a Colonia a capodanno c’erano un sacco di maschi molesti, e i redattori hanno subito deciso che si trattava di stranieri, anzi immigrati, probabilmente clandestini, magari islamici e Bruno Vespa ha twittato:
Le nostre donne. Forse siamo sempre stati così, forse la novità è che Internet ha moltiplicato gli specchi per guardarci. Io una volta pensavo che Bruno Vespa fosse organico a una determinata classe sociale che imponeva la sua visione dei fatti a tarda sera su Rai 1. Ultimamente lo vedo più come uno stregone che balla al ritmo del tamtam, cantando parole che non conosce, “religione”, “valori”, “cultura”. Ma quel che vuole dire è quello che i capotribù hanno sempre detto in questi casi: straniero vuole venire e rubarci le donne.
Forse i posteri saranno più indulgenti. Spulciando un enorme archivio troveranno l’amaca di Serra o i tweet di Vespa, e capiranno che “presepe”, “religione”, “valori”, “bande di immigrati”, in realtà volevano dire una sola cosa: abbiamo paura. Il mondo cambia troppo alla svelta, un sacco di gente arriva qua e mette in discussione tutto quello in cui abbiamo sempre creduto – comprese quelle cose in cui non credevamo di credere davvero (il presepe?) ma erano insomma parte di un paesaggio. Difendo il mio presepe dai musulmani, quarant’anni fa difendevo la mia famiglia dai cosacchi. La mia quarta sponda dagli inglesi. La mia Patria dallo Straniero. Il mio Dio dall’infedele. La mia bandiera, qualsiasi colore abbia, perché è proprio questo il punto: non importa il colore. Non importa il Dio, non importa la Patria, né la famiglia né il presepe. Sono valori arbitrari che fissiamo di volta in volta. L’importante è l’aggettivo: mio. Tracciamo una linea qualsiasi e guai a chi la oltrepassa. Sul serio non moriremmo per il colore di una squadra? Non è l’unica cosa per cui moriamo, alla fine dei conti?
Gregorio nacque in Cappadocia, che oggi è lo zoccolo duro della Turchia rurale e islamica, ma nel suo secolo produceva santi cristiani e padri della Chiesa a un ritmo impressionante. Gregorio può vantare in calendario una nonna, Santa Macrina l’Anziana; due fratelli (San Basilio Magno e San Pietro di Sebaste) e una sorella (Macrina la Giovane). Lui si venera il 10 gennaio.
Garantita contro il colera e l'ateismo
31-12-2018, 12:16cristianesimo, madonne, malattia, repliche, santiPermalinkDisponibile anche in italiano |
Farà settemila morti in due settimane, diciannovemila entro l'anno. L'unico rimedio conosciuto e raccomandato dalle autorità è un bagno caldo con aceto, sale e mostarda. Anche linciare repubblicani bonapartisti e legittimisti può servire; non è escluso che siano loro ad avvelenare i pozzi. Alunna di una centralissima scuola elementare in Place du Louvre, la piccola Caroline Nenain è l'unica della classe che sembra avvertire i sintomi. Le suore della Carità scoprono che è anche l'unica a non avere ancora indossato la Medaglia Miracolosa raffigurante la madonna com'era apparsa alla consorella Catherine Labouré, due anni prima. Fortunatamente le sorelle hanno ampie scorte di medaglie, sono loro che le distribuiscono: Caroline guarirà non appena se la sarà messa al collo. È l'inizio di un successo mondiale che farà della medaglietta il gadget più diffuso dell'Ottocento. Si calcola che ne siano state distribuite almeno un miliardo.
Una da qualche parte devo avercela anch'io, in qualche cassetto abbandonato in un trasloco. Potete facilmente procurarvene una anche voi, facendo domanda su un sito che non vi linko, ma è a portata di google. Non costa niente, però ve la mandano con un bollettino da compilare. "...non è una fattura, si tratta di un suggerimento per una possibile offerta libera e del tutto volontaria che aiuterà a portare avanti questa campagna di diffusione della Medaglia Miracolosa". Dicono sempre così, e poi magari cominciano a mandarti il giornalino una volta al mese, e chissà, magari vendono i tuoi dati a frate Indovino, o al messaggero di Sant'Antonio, o San Giuseppe, appena scoprono che sei uno di quelli che compila i bollettini c'è mezzo paradiso pronto a invadere la tua buca delle lettere.
Nella primavera del 1832 la medaglia era appena stata coniata dall'orafo Vachette (quai des Orfèvres 54), sulla base delle indicazioni di padre Jean-Marie Aladel, confessore di Catherine, che al tempo era ancora una novizia. Aladel conosceva già da mesi le visioni della ragazza, e per molto tempo era rimasto scettico; solo quando Catherine lo aveva informato che "la vergine era dispiaciuta" si era deciso a chiedere udienza al vescovo di Parigi per chiedere l'autorizzazione a forgiare la medaglietta che Catherine descriveva nelle sue visioni. Il vescovo da parte sua aveva altre preoccupazioni: dopo la rivoluzione del 1830 la sua posizione era piuttosto precaria. La medaglietta avrebbe potuto aiutarlo, purché i miracoli arrivassero in fretta: nel frattempo non era il caso di divulgare le visioni di Catherine, altrimenti sarebbe stato necessario fare un processo per omologare la visione, mandare tutto a Roma, e a Roma sono lentissimi su queste cose. All'inizio insomma la medaglia sembrò spuntare dal nulla.
L'iconografia non era poi così originale: sul verso appaiono, riconoscibili a ogni cristiano di media cultura, due sacri cuori. Quello di Gesù si riconosce dalla corona di spine, quello di Maria dalla spada che, come le aveva annunciato Simeone, "ti trafiggerà il cuore" (Luca 2,35). Sopra c'è una M che sorregge una croce, un rebus abbastanza facile. Il tutto contornato di dodici stelle che, per dirla col lessico giornalistico, sono un vero giallo: benché infatti anche in questo caso il riferimento alle scritture sia molto chiaro (la corona delle dodici stelle della donna "rivestita dal sole", in Apocalisse 12,1), Catherine non sembra aver mai parlato di stelle. Forse sono un'aggiunta di padre Aladel, forse l'orafo sentiva semplicemente il bisogno di un motivo che incorniciasse l'ovale. La scelta avrà una conseguenza enorme e imprevista, se è vero che il giovane disegnatore Arsène Heitz stava proprio leggendo un libro sulla medaglia miracolosa nel periodo in cui disegnava bozzetti per la bandiera del Consiglio Europeo; ne propose diversi, ma alla fine la giuria laica e inconsapevole scelse proprio la corona di dodici stelle in campo azzurro, che poi fu ripresa dagli altri organismi europei e oggi è la bandiera della UE che gli ucraini nei cortei sventolano con allegro coraggio e i forconi italiani strappano rabbiosi dai pennoni degli edifici pubblici (non si potrebbe semplicemente fare uno scambio? i forconi per tre mesi in Ucraina, gli ucraini al loro posto in Italia, vediamo chi cambia idea su cosa). Gli euroburocrati non se ne erano resi conto - e continuano a smentire - ma hanno messo un simbolo mariano sulla bandiera federale: se aggiungi che la scelta fu presa proprio un otto dicembre, festa dell'Immacolata Concezione... però tutte queste cose le racconta Vittorio Messori, e forse andrebbero ricontrollate una per una.
Catherine, con i suoi gadget |
La cornice sul recto della medaglia non è stellata, ma reca l'iscrizione "O Marie, conçue sans péché, priez pour nous qui avons recours à vous": o Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ci affidiamo a voi. Così aveva udito Catherine, e così fu inciso nella medaglietta: sfidando l'autorità ecclesiastica, che non aveva ancora definito il dogma dell'immacolata concezione. D'altro canto il modello per la medaglietta fu una statua dell'Immacolata (opera settecentesca di Edmé Bouchardon) esposta nella chiesa di Saint Sulpice, insomma, l'immacolata non era esattamente un concetto originale. Il successo della medaglietta però ebbe l'effetto di sbloccare l'antico stallo tra maculisti e immaculisti e a ridare vigore a questi ultimi: il papa Gregorio XVI concesse la festa dell'otto dicembre, ma a decidersi una volta per tutte e a proclamare il dogma fu Pio IX nel 1854. Per la prima volta un dogma veniva dichiarato da un papa e non da un concilio: dunque il pontefice si considerava infallibile? La cosa avrebbe richiesto un altro concilio, ma nel frattempo a troncare la discussione intervenne la Madonna stessa, che apparendo nel 1858 all'ignara Bernardette Soubirous, le si presentò in perfetto occitano: "Que soy era immaculada concepciou". Ora uno degli argomenti che si sentono spesso, a favore di Bernardette, è che non fosse culturalmente in grado di inventare quello che stava raccontando: era una pastorella analfabeta, non aveva mai sentito parlare del dogma dell'immacolata concezione. Sarà. Però al collo aveva una medaglietta miracolosa in cui Maria era definita "concepita senza peccato", ovvero immaculada. Certo, Berardette era analfabeta. Magari nessuno le aveva spiegato cosa stava scritto in quella medaglietta. Ma insomma di apparizioni mariane poteva aver già sentito parlare, visto che ne portava al collo un'effigie. Dal canto suo, suor Catherine non appena seppe di Bernardette e delle apparizioni di Lourdes dichiarò: "È la stessa".
L'altro miracolo importante a cui è associata la medaglietta è la conversione dell'avvocato Alphonse Marie Ratisbonne durante una gita a Roma nel 1842. Professando un orgoglioso ateismo, il giovane di belle speranze accetta la sfida di un'amica di famiglia, che le propone di indossare la medaglietta e di recitare una preghiera di San Bernardo. La notte stessa nella sua camera d'albergo vede una croce, ma al risveglio l'ha già dimenticata. Il giorno dopo, mentre cerca affannosamente di vedere il papa (è l'ultimo desiderio prima di lasciare l'Urbe), segue incautamente l'amico nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte: lì ha una visione mariana che gli cambia la vita per sempre. Doveva lasciare l'Italia, salpare per l'oriente, vedere un altro po' di mondo prima di tornare a casa e sposare una nipote; decide lì per lì di battezzarsi e farsi monaco. Non c'è neanche bisogno di catechizzarlo perché all'improvviso conosce tutti i dogmi della fede cristiana. Alla conversione miracolosa verrà date ampia risonanza anche perché Alphonse Marie (fino a quel momento Alphonse Tobias) era di origine ebraica: e poche ore prima di infilare la medaglietta fatale aveva visitato il ghetto di Roma, scandalizzandosi per le condizioni in cui vivevano gli ebrei della città. Poi gli appare la madonna e da lì in poi tutto gli è chiaro, compresa la segregazione.
Ratisbonne dopo la cura |
Tutto insomma contribuisce a proiettare la figura dell'ateo devoto: quel tipo di persona che, con la scusa di ribadire che non esiste, ha in bocca dio continuamente. Sono i più facili da convertire, di solito stanno soltanto aspettando la spinta giusta. La signora che gli mise al collo la medaglietta conosceva il suo pollo, per così dire. Ma ancora oggi è abbastanza facile tracciarli, gli atei così. Sono loro stessi che escono allo scoperto, con lunghi discorsi che all'orecchio annoiato dell'esperto suonano come un semplice grido: convertimi convertimi! non subito, ma presto! Il resto del tempo stanno spiegando la religione ai papi o la scienza agli scienziati, o viceversa, a un certo livello è uguale. C'è poco da fare ironia, magari siamo tutti così. È piuttosto plausibile che una certa tensione verso l'assoluto, una certa ansia di sottomissione a una divinità, siano eredità ancestrali, genetiche magari: poi subentra l'educazione, e soprattutto in certi contesti si tende a reprimere anche queste inclinazioni: non si rutta a tavola e non si pensa a Dio. Prima o poi, però, come sappiamo, salta fuori tutto; alcuni riescono a sublimare dedicandosi ad altre speculazioni metafisiche: la filosofia, la matematica magari. Altri non ce la fanno. Rimane in loro questo vuoto pazzesco e non sanno come gestirlo. Potrebbe capitare a chiunque. Se almeno si potesse capire per tempo se siamo quel tipo di persone... forse un giorno basterà un analisi del dna... ma nel frattempo. Nel frattempo potreste replicare l'esperimento di Alphonse: accattatevi la medaglietta su internet, ripetete la preghiera di San Bernardo, vedete come va. Se non avete allucinazioni nel giro di una settimana, forse non siete quel tipo di persone. Magari un giorno ci provo anch'io. Appena trovo la medaglietta. Da qualche parte deve pur essere, non butto mai via niente. In ogni caso non c'è fretta, come diceva quello [2013].
Senza macchia o senza scelta?
08-12-2018, 00:53cristianesimo, madonne, pontefici, repliche, santiPermalinkMaria di Nazareth si venera con tante feste diverse, per tanti motivi diversi. Nei prossimi giorni assisteremo a un trittico fortuito e fantastico: oggi è l'Immacolata, l'esito ultimo di una diatriba teologica durata più di mille anni; il dieci sarà Santa Maria Aviatrice, alias la Madonna di Loreto; e il 12 dicembre tenetevi pronti per la Madonna più bizzarra ed esotica di tutte, quella azteca della Guadalupe. Il primo gennaio festeggeremo Maria in quanto madre di Dio (anche lì i teologi litigarono non poco, ci furono morti e dispersi); in seguito avremo l'Annunciazione, l'Assunzione, il Carmelo, il Rosario, Lourdes, Fatima, la Madonna della Neve. Inoltre l'otto settembre, tra nove mesi esatti, sarà il suo compleanno.
Francesco Podesti, musei vaticani. Gli affreschi della sala dell'Immacolata sono l'ultimo kolossal pittorico romano, prima del grigio diluvio democratico. |
In tutti questi giorni, se uno vuole, può venerare la vergine. Ma non c'è una vera festa della Vergine in quanto tale. La possiamo considerare in quanto assunta in cielo, o immacolata, o comparsa a Lourdes o altrove. Ma un giorno per riflettere sulla sua misteriosa verginità pre- e post-puerperale non c'è. Questo è singolare, anche per il modo in cui sono nate molte di queste feste: per gemmazione più o meno spontanea, molti secoli prima che un concilio o un papa ratificasse ex cathedra il dogma. L'Assunzione, per dire, si festeggiava mille anni fa, ma è stata omologata da Pio XII nel 1950. Anche l'Immacolata concezione, un concetto che circolava sicuramente sin dai tempi di Agostino, ha dovuto attendere il 1854. Quanto alla nascita verginale di Gesù, è un dogma sin dal 553 e non era molto controversa nemmeno prima: le Scritture lì parlano abbastanza chiaro. Un altro paio di maniche però è sostenere che la Madonna abbia continuato a essere vergine anche dopo il parto, e non abbia concepito col suo legittimo sposo altri fratelli (malgrado nei vangeli li si chiami per nome). Questa sorta di postulato al quinto dogma è uno degli articoli di fede più refrattari alla contemporaneità: una divinità che decida di incarnarsi in un uomo e sacrificarsi per i suoi peccati può sembrare bizzarra, ma una donna che resta vergine dopo un concepimento e dopo un parto è qualcosa di irrimediabilmente buffo: non si capisce come se ne possa discutere restando seri, e in effetti i teologi se possono evitano l'argomento. Ma si tratta in qualche modo di un effetto ottico, un difetto nella nostra prospettiva. Quando parliamo di corpo, noi abbiamo sempre in mente quello contemporaneo, misurabile, raffigurabile, sezionabile, fotografabile addirittura. Se non siamo storici - e non lo siamo quasi mai - ci è facile commettere l'errore di guardare al medioevo o all'epoca antica senza cambiare il nostro paradigma: per noi si è vergini o no a seconda di una cosa che si chiama imene, che siamo tutti convinti di sapere cos'è e dove si trova (sbagliandoci). La verginità è diventata un puro fatto fisico, tant'è che oggi "rifarsi una verginità" ha smesso di essere un paradossale modo di dire: esistono chirurghi che ti rifanno l'imene. Siccome ai tempi di Maria di Nazareth questo tipo di chirurgia era impossibile, ne deduciamo che il quinto dogma sia un'assurdità, pura propaganda che ha fatto il suo tempo. Siccome capiamo soltanto quello che possiamo osservare e misurare, l'unica caratteristica della Madonna che ci interessa davvero non è l'immacolata concezione o l'assunzione o la maternità di Dio, ma il suo imene.
Non ci viene quasi mai il sospetto che la parola "verginità" possa avere avuto un significato diverso, in un'epoca diversa, in cui ogni corpo aveva una dimensione morale inscindibile da quella fisica. I cattolici, per primi, mostrano una certa difficoltà a relativizzare. Se un concilio nel VI secolo ha detto "vergine", dovremmo credere che intendeva "vergine" nel senso che ha il termine su un manuale di anatomia del XXI secolo. Il problema dei dogmi è tutto qui: non puoi che fissarli a parole, ma le parole cambiano significato continuamente. L'unica è smettere di usarle: e infatti più che della verginità - concetto sempre più scabroso, man mano che la morale sfuma e la corporeità viene messa sempre più a fuoco - i cattolici amano parlare di immacolata concezione. Lì sì che la teologia si può sfrenare senza attriti col mondo fisico: non ci sono imeni che tengono, si tratta di stabilire se la Madonna non sia mai stata macchiata dal peccato originale. Siccome ha procreato Cristo che è Dio, carne della sua carne, se ne deduce di no, fine del dibattito - eh no, troppo comodo. Solo Cristo ci ha liberato dal peccato originale, quindi come poteva la Madonna esserne libera prima? L'obiezione è di Tommaso d'Aquino, mica l'ultimo arrivato: però già Agostino aveva messo in dubbio la categoria del tempo, forse il "prima" e il "dopo" per Dio non hanno il senso che hanno per noi. C'è poi la questione del libero arbitrio: Maria di Nazareth ha scelto o no di concepire il Cristo? Ci piacerebbe pensare di sì; ma se Dio l'aveva già creata senza peccato, la scelta non era in un qualche modo già pilotata?
Un po' sì, gli somiglia. |
Oltre a essere un neo-aristotelico di razza, Scoto è francescano, e questo avrà ripercussioni importanti, perché la storia della Chiesa è anche una storia di lotta fra bande. Con lui i francescani diventano (quasi tutti) immacolisti, ovvero difensori dell'Immacolata concezione; e i loro rivali di sempre, i neri domenicani, fedeli alla summa del loro San Tommaso, macolisti.
La polemica esplode negli anni Ottanta del Trecento al Quartiere Latino: il tomista domenicano Giovanni Monzón accusa di eresia gli scotiani; gli rispondono Giovanni Duval e Andrea di Novocastro - è il caos alla Sorbona, blocco delle lezioni, già allora ogni scusa era buona per far filotto. Viene convocata una corte di trenta teologi che si guarda bene dal deliberare in materia (servirebbe un concilio) ma condanna il Monzón. Quest'ultimo si appella al Papa: niente da fare. In linea di massima chi parla bene della Madonna vince sempre, anche se le battaglie sono lunghe ed estenuanti. Gli immacolisti sembrano spuntarla al concilio di Basilea (1438), ma il decreto che condanna i macolisti e impone a tutti i cattolici la credenza nell'Immacolata concezione diventa lettera morta: il papa Eugenio IV nel frattempo ha deciso di trasferire il concilio a Ferrara. I vescovi riuniti a Basilea si rifiutano di scendere in Italia, lui li scomunica e ne convoca degli altri (aprendo agli ortodossi), loro nominano un altro papa - un classico scisma del Quattrocento. Negli anni Ottanta papa Sisto IV, francescano, introduce a Roma la festa dell'otto dicembre che - come l'Assunzione - in oriente era antichissima. Gli ortodossi però si limitavano a festeggiare la Concezione di Maria: Sisto almeno in un documento la chiama "Immacolata concezione" (i successori depenneranno l'aggettivo), richiamando nel frattempo macolisti e immacolisti al rispetto reciproco: il primo che accusa l'altro di eresia lo scomunico. I pittori ne approfittano per dipingere le dispute dell'immacolata, sacre conversazioni dove i santi per una volta conversano davvero: macolisti da una parte, immacolisti dall'altra, gli uni mostrano un libro, gli altri puntano il dito sulla Madonna stessa, è un talk show che i papi disciplinano ma si guardano bene dall'interrompere.
Questo è il Pordenone. L'anoressico che pesta un libro è senz'altro Girolamo, ma gli altri, mah, potrei sbagliarmi. |
Nel 1848 Pio IX è appena tornato da Gaeta, dove si era rifugiato in attesa che Napoleone III gli restituisse Roma sloggiando quei democratici petulanti, Mazzini e l'altro pirata barbuto. L'Immacolata è ormai una presenza rassicurante nel calendario, ma i teologi più in vista gli sconsigliano ugualmente di ufficializzarla con un dogma: son cose delicate, e poi bisognerebbe convocare un concilio... Pio IX preferisce procedere nominando commissioni, per poi pubblicare un'enciclica, la Ineffabilis Deus, nella quale per la prima volta un pontefice afferma una verità di fede senza il sostegno di un'assemblea conciliare di vescovi: è una prova di forza del papa-re che da lì a poco avrebbe perso tutte le guerre; l'anticipo di quel Concilio Vaticano I che ratificherà l'infallibilità papale e si scioglierà alla chetichella mentre i bersaglieri sbrecciano Porta Pia. I dogmi non portano fortuna.
Oggi a pranzo, se qualche parente si mette a ironizzare sul fatto che si festeggi la verginità della madonna, potete spiegargli con serenità che l'imene non c'entra nulla, e che si tratta viceversa dell'esito finale di una disputa secolare intorno ai concetti di grazia e di libero arbitrio. Sennò si può parlar d'altro; ci sono i sorteggi della coppa del Mondo, il campionato, mal che vada le primarie del PD (CIVATI).
[Quindi è un pezzo del 2013].
Questo pezzo ti farà incazzare (se sei contrario al crocefisso a scuola)
04-08-2018, 10:07cristianesimo, Cristo, scuola, TheVisionPermalinkCome se ce ne fosse bisogno – lo sai quanto mi piacerebbe, per una volta, scrivere un pezzo che ti desse ragione? Che le immagini religiose devono essere tolte da tutti i luoghi pubblici e in particolare dagli edifici scolastici, dove turbano senz'altro la sensibilità degli alunni che non si sentono cattolici, e che da un simbolo del genere possono ricevere il messaggio peggiore, ovvero quello identitario (in Italia veneriamo il crocefisso e se non ti va bene l'Italia non è il posto tuo)? I crocefissi dovrebbero essere tolti, anzi non dovevano nemmeno essere appesi, e Salvini è un sovranista che soffia sul fuoco dell'intolleranza mentre tira a campare mediaticamente: i rincari alla benzina non può evitarli, il crocefisso può appenderlo, anzi in molti casi non c'è neanche bisogno, è già lì. Tutto ciò ha perfettamente senso, ma non è quello che scriverò in questo pezzo che ti farà arrabbiare (come se ce ne fosse bisogno).
In questo pezzo magari scriverò che Salvini è un sovranista, certo, che soffia sul fuoco dell'intolleranza, sì, e che se ora tu prendi fuoco dall'indignazione stai assolutamente facendo il suo gioco. È quello su cui contava: infiammare un po' di progressisti laici, metterli contro i cattolici: proprio nel momento in cui l'argomento del giorno sono, come ogni estate, i profughi sui barconi; e proprio nel momento allo schieramento allarmista-xenofobo che chiede respingimenti a oltranza, se ne contrappone uno pietista che va dalla sinistra progressista laica ai cattolici e a Papa Bergoglio.
In questi momenti da qualche parte è come se suonasse un arrugginito campanello d'allarme, lampeggiasse una vecchia lucetta rossa non ancora del tutto opacizzata dagli anni: ALLARME CATTOCOMUNISMO! In questi momenti, da vent'anni chi è a destra tira fuori lo strumento d'emergenza: il crocefisso. Non è davvero un trucco originale, Salvini l'ha imparato da Berlusconi che ha avuto i suoi buoni maestri. Brandisci per una mezza giornata il crocefisso ed ecco fatto, lo schieramento avverso implode, i laici si incazzano perché non l'hanno ancora tolto dalle pareti delle scuole, i cattolici fanno presente che la figuretta di un morto appeso coi chiodi è un'immagine di pace, di tolleranza, addirittura se lo guardi bene un crocefisso è un abbraccio, no? Beh insomma il poveraccio hanno dovuto inchiodarlo perché tenesse le braccia così, comunque certo, ogni simbolo può rappresentare qualsiasi cosa. È un simbolo di morte, è un simbolo di vita, è il figlio di Dio, è un ebreo morto ammazzato, eccetera. Nel nostro caso diventa soprattutto il simbolo dell'inimicizia perenne tra cattolici e laici: i primi l'hanno messo a parete, i secondi non saranno soddisfatti finché dalle stesse pareti non sarà schiodato. L'inimicizia in realtà ha ragioni storiche ben più profonde, e muove da visioni della vita forse davvero inconciliabili (su aborto e su eutanasia un accordo non ci sarà mai): però il crocefisso s'impugna più comodamente, specie d'estate.
Questo pezzo ti farà incazzare perché ti vorrebbe suggerirti, caro laico, di non cascarci. Ci sono ottimi motivi per litigare coi cattolici; il crocefisso non è solo il meno interessante; è anche l'unico in cui leggi e sentenze ti danno torto. In effetti, quando Salvini chiede di appendere un Cristo alla parete di una scuola pubblica, non fa che chiedere che sia applicata una legge dello Stato. È vero, si tratta di due Regi Decreti, roba degli anni Venti. È vero, i medesimi decreti impongono di esporre a fianco del crocefisso l'effigie di Sua Maestà il Re, il che ci potrebbe indurre a ritenerli superati dalla prassi. Ma pare che non funzioni così con le leggi, e non lo sto dicendo io: lo hanno scritto, in diverse sentenze, il Tar del Veneto, la Corte Costituzionale e il Consiglio di Stato. Che altro si può fare, a questo punto? Denunciare lo Stato Italiano alla Corte europea dei diritti dell'uomo perché espone un simbolo religioso in un luogo pubblico frequentato da minori? Due genitori di Abano Terme, Massimo Albertin e Soile Lautsi, nello scorso decennio ci hanno provato, e in primo grado la corte di Strasburgo ha pure dato loro ragione. A quel punto però, cos'è successo? il capo del governo, Berlusconi si è fatto fotografare con un cristone enorme in mano, ha annunciato che lo Stato avrebbe fatto ricorso, subito appoggiato da alcuni esponenti del principale partito di opposizione (si chiamava PD) e dall'autorevole parere del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano; alla fine il ricorso si fece e... il crocefisso lo vinse. (Continua su TheVision).
Se quindi stai pensando che sia ora di condurre una battaglia di laicità su tutti i fronti per staccare un simbolo confessionale da pareti laiche, questo pezzo ti farà incazzare perché ti rivelerà che la battaglia è già stata combattuta, e persa: persa al Tar, persa alla Consulta, persa al Consiglio di Stato, persa a Strasburgo. Questa è la dimostrazione che esiste un fronte pro-crocefisso che dalla destra identitaria arriva fino alla sinistra. Grazie alla pur ammirevole testardaggine di Albertin e Lautsi c’è una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che non riconosce l’esistenza di “elementi che attestino l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo religioso sui muri delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni.” Ti fa incazzare? T’avevo avvertito.
Potrai chiederti come mai, caro lettore incazzato, in quasi ottant’anni di Repubblica, nessun laico ha mai voluto affrontare la questione con la determinazione dei due genitori di Abano. C’è gente che si è fatta arrestare per ottenere il diritto all’aborto, che ha lottato per il divorzio, o l’eutanasia. Insomma di battaglie ne hanno fatte, i laici italiani: perché il crocefisso no? Domanda interessante.
Questo pezzo ti farà incazzare perché ti porrà la questione più o meno come se la deve essere posta Mussolini: se ci tengono davvero così tanto, a quei due legnetti, se li tengano. Vale la pena, per due legnetti, litigare con una parte cospicua del Paese? C’è il rischio di saldare una destra reazionaria, per la quale il crocefisso è un simbolo d’identità, con un centro moderato e solidale, per il quale rappresenta invece la pietà. A Salvini certo non dispiacerebbe, a noi tocca inventarci qualcosa di diverso.
Io un’idea ce l’avrei: se i cattolici e gli identitari ci tengono tanto al crocefisso, adottiamolo anche noi. Facciamolo nostro, tanto quanto è loro: i simboli sono di tutti, non c’è nessun marchio registrato. Portiamolo in giro per i cortei, gay pride inclusi. Raccontiamo che il Cristo in Croce è un simbolo di apertura al diverso, di pace, di democrazia, di qualunque cosa. D’altronde, è cristiano ma anche ebreo, e questo è certo; ma è anche un po’ musulmano (artificioso, ma plausibile) e buddista, jainista e indù, che tanto quelli riciclano tutto. E anche laico, perché no: dopotutto, quando gli chiesero se bisognava pagare i tributi a Cesare, Gesù rispose “Date a Cesare quel che è di Cesare”, senza chiedere esenzioni fiscali. E se anche non lo avesse detto non importa, non è che bisogna per forza citare i vangeli. Facciamo quello che fecero i cristiani coi simboli pagani: quelli che non riuscivano a distruggere, li assorbivano. Trasformarono sorgenti sacre in sorgenti miracolose, templi a Iside in battisteri, rune solari in crocefissi. Il Dio Sole vinceva le tenebre tre giorni dopo il solstizio d’inverno e loro decisero, senza preoccuparsi di consultare i vangeli, che anche Gesù era nato proprio quel 25 dicembre: che straordinaria coincidenza. Insomma, se il crocefisso non ci piace, facciamocelo piacere. Evitiamo che sia usato per isolarci, mescoliamo le acque, tentiamo un’infiltrazione.
È solo una proposta, e probabilmente ti ha fatto incazzare. Va bene così. Incazzati con me, magari ti servirà a trovare una soluzione al problema, qualcosa che fin qui non era ancora venuto in mente a nessuno.
Il selfie di Gesù
11-07-2018, 18:44arti figurative, cristianesimo, Cristo, fotografia, santiPermalinkGrazie Gesù (e chi ti smacchia più) (Mattia Preti). |
Una fotografia, diremmo noi.
La Veronica di Hans Memling (1475, notate le due punte della barba). |
È forse la prima volta nella storia della fantasia occidentale che la fotografia viene non inventata, ma almeno immaginata: e per essere una fantasia è già sorprendentemente nitida. C'è già l'idea del ritratto, e soprattutto dell'istantanea, dello scatto, ovvero la cosa che più distingue la pittura dall'arte fotografica molto al di là da venire (anche dopo l'invenzione della camera oscura e del dagherrotipo, ci vorrà ancora parecchio tempo prima di ottenere immagini istantanee). È un'idea straordinaria, che nasce nelle terre dell'Impero d'Oriente, in una situazione storica molto particolare, ma alla Chiesa d'occidente non è andata sempre a genio: e così nella Via Crucis approvata da Roma, Veronica dovette limitarsi a raccogliere sangue e acqua, senza ricavarne nessun'immagine miracolosa. I predicatori confondevano volentieri Berenica/Veronica con un'altra comparsa femminile dei vangeli, l'emorroissa guarita da Gesù. La leggenda però non era sparita del tutto e ogni tanto qualcuno riportava dalle terre d'oriente una santa veronica. Il telo era meno richiesto della scheggia della Vera Croce o della Vera Lancia, ma comunque anche per gli asciugamani col volto di Cristo c'era un mercato. Non si doveva nemmeno dimostrare che fosse la veronica originale: i fedeli si sarebbero accontentati di una copia il più possibile conforme.
Il Volto di Vienna. |
La Veronica di Roma |
Fuori dall'Italia i libri sacri anticostituzionali, dai
28-02-2018, 09:56come diventare leghisti, cristianesimo, elezioni 2018, Islam, razzismi, religioni, TheVision, TViPermalinkEsatto, ho appena dato ragione a Matteo Salvini.
Applicare il Corano alla lettera sarebbe senz’altro un atto di violenza. Basta leggere qualche versetto, per esempio quelli sulla condizione femminile. È un libro che comincia con Allah che dice alla prima donna: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (GE 3,16). In un’altra sura si legge: “Dalla donna ha avuto inizio il peccato: per causa sua tutti moriamo” (SI 25,24); “se non cammina al cenno della tua mano, toglila dalla tua presenza” (SI 25,26). Non è certo tra queste pagine che troveremo anche la minima ispirazione all’emancipazione femminile: (“Motivo di sdegno, di rimprovero e di grande disprezzo è una donna che mantiene il proprio uomo”) (SI 25,21).
Persino nella preghiera comune le donne sono ghettizzate: “Non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in pubblico” (CO I 14,34-35). Da queste pagine nasce anche il barbaro costume del velo: “L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Allah; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli” (CO I 11,5-10). Il profeta: non concede “a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo […] Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia” (TI I 2,12-15).
Se, malgrado tanta modestia e tante barriere, un uomo riuscisse comunque a vederla e a desiderarla, il consiglio del Profeta è dei più drastici: “Vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi organi, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna” (MT 5,28-29). Che altro dire? Il Dio del Corano è un Dio della guerra (“Non sono venuto a metter la pace, ma la spada”), determinato a portare la sua jihad fin dentro all’istituzione famigliare (“Sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera”). Un libro del genere, se applicato alla lettera, non può che ispirare atti di violenza e di prevaricazione.
Quindi Salvini ha ragione. Bastano anche solo i versetti che ho citato per dimostrarlo.
Salvo che... (continua su TheVision)
Infedele negli anni Ottanta
11-08-2017, 17:55Bob Dylan, cristianesimo, musicaPermalinkBird fly high by the light of the moon,
Uo-o-oh, oh, oh, Jokerman
(Quando finalmente il regista riesce a inquadrarlo con gli occhi aperti, non riesce più a staccarsene: Dylan ripreso da vicino è uno spettacolo, fa un sacco di smorfie molto espressive. Puoi capire perché a Hollywood dopo tanti fiaschi qualcuno fosse ancora disposto a dargli una chance per un film).
In realtà Infidels è meno rappresentativo del Dylan'80 di quanto appaia a prima vista. Per alcuni aspetti rappresenta un'eccezione: il più appariscente è l'improvvisa scomparsa dei cori femminili, che Dylan aveva cominciato a usare in Self Portrait e di cui non si separava dai tempi di Street-Legal. E siccome i cori erano diventati il marchio di fabbrica del periodo gospel, la decisione di farne a meno introduce un segno di netta discontinuità, che ai tempi dovette fare ben sperare (e invece no, Dylan tornerà presto sui suoi passi). Soltanto la voce di Clydie King fa capolino in Union Sundown: Dylan, che forse aveva già avuto una relazione con la futura moglie Carolyn Dennis, a questo punto faceva coppia quasi fissa con la King, con la quale aveva inciso poco prima un intero album di duetti che la Columbia non riteneva commerciabili e non sono ancora saltati fuori (pensate a che roba è saltata fuori: i duetti con la King ancora no). Alla base della decisione di Dylan di avvalersi dei cori c'era tutto un nodo di motivazioni religiose e sentimentali difficili e imbarazzanti da districare, ma prima ancora una relativa sfiducia nei propri mezzi vocali, che BD nutriva dalla fine degli anni Settanta e si eclissa miracolosamente durante le sessioni di Infidels; sarà una coincidenza, ma in Infidels Dylan canta come non cantava da anni. È sicuro, è intonato, è espressivo, non sbaglia un colpo. E in Jokerman ci regala qualcosa che forse non avevamo mai sentito: un vocalizzo nel ritornello. Uo-o-oh, uo-o-o-o-o-o-oh, Jokerman. A proposito di anni '80. Pensate a che cosa strana è lo Zeitgeist. Nessuno si aspetta che BD debba seguire la moda del momento, anzi. Eppure persino a mille miglia dalla sala d'incisione, nel 1983 sul suo trealberi Dylan finisce per comporre il suo ritornello più anni Ottanta, qualcosa che di lì a poco avrebbe potuto cantare Cyndi Lauper.
Una botta d'amore (per Dio)
04-08-2017, 10:12Bob Dylan, cristianesimo, musicaPermalink(Vedi alla voce: Crimini contro l'umanità che Bob Dylan ha reso possibili).
C'è da mettersi a piangere... (continua sul Post)
Il disco che Bob Dylan fu creato per comporre
29-07-2017, 09:09Bob Dylan, cristianesimo, Cristo, musicaPermalinkComunque, si dà il caso che io legga un sacco la Bibbia, e la Bibbia dice alcune cose precise di cui sono diventato consapevole solo di recente, e alle università c'è gente che tipo ha un'istruzione superiore, sapete, gli insegnano diverse cose come... le filosofie, così studiano tutte quelle filosofie, come quella di Platone e... chi altro? Beh, mica posso ricordare tutti quei nomi, non so, Nietzsche, gente così... Ma insomma, la Bibbia dice cose precise... nel Libro di Daniele, nell'Apocalisse, si parla di cose che potrebbero proprio riferirsi ai nostri tempi. Dice che ci saranno presto delle guerre - non saprei dire esattamente quando, ma comunque presto. In quel tempo, beh, cita un Paese all'estremo nord, che ha come simbolo "l'orso". E si scrive R-O-S-H. Nella Bibbia, ora, è un libro che è stato scritto un bel po' di anni fa. Beh, non può che riferirsi a una nazione che io sappia... se voi sapete di un'altra nazione a cui si potrebbe riferire... magari voi ne conoscete un'altra, io no".
Siete al posto che vi è stato assegnato?
Quando vi vedrà, Egli vi riconoscerà
O dirà: "Allontanatevi da Me"?
e a caricarmi la croce?
Mi sono arreso alla Sua volontà
o sto ancora facendo il boss?
Da un punto di vista tecnico, descrivere Saved come un buco nell'acqua è abbastanza semplice: si tratta di un disco inciso in fretta, nel posto sbagliato: certo, questo non ha impedito in altre occasioni a Dylan di produrre capolavori, ma a quanto pare non è il caso di Saved. In questa fase del resto Dylan pensa più all'apostolato che al prodotto finito: sta perfezionando uno show tutto gospel, senza un solo brano del vecchio repertorio, con un sacco di inediti. Vuole addirittura farne un film. A metà tour la Columbia gli propone di incidere un disco: lui non fa una piega e torna in Alabama da Jerry Wexler, il mago della Stax che aveva levigato così bene l'album precedente. È una mossa sensata: produttore che vince non si cambia. Ma nel frattempo è cambiato Dylan, come al solito: in fondo non gli è ancora riuscito di incidere due dischi con lo stesso team, neanche quando ci si è impegnato. In questo caso i brani arrivano in Alabama già arrangiati e perfezionati dalla band che sta seguendo Dylan in tour: non c'è più spazio per aggiungere un granché. Per Wexler è un ritorno alle origini: come ai tempi in cui Ray Charles gli telefonava e gli diceva: "tieniti pronto tra tre settimane, facciamo un disco". Stavolta le settimane di preavviso sono ancora meno, e Dylan quando arriva è un po' giù di voce (ma se ne frega) (tanto la fine dei giorni è vicina). I brani sono quasi tutti gospel traboccanti di emozioni, e Wexler quelle emozioni in studio non riesce a ricrearle; neanche ci prova. A lui piacciono i suoni puliti, è un cesellatore; farlo lavorare con un pasticcione come Dylan era stato un esperimento interessante, ma come molti esperimenti la seconda volta il risultato è meno convincente. I brani più trascinanti, come Saved e Solid Rock, ringhiano come leoni in gabbia.
Persino Dylan deve essersene conto, al punto di proporre alla Columbia un piano B: un disco con lo stesso materiale inedito, ma registrato dal vivo, da pubblicare col film. Probabilmente alla sola parola "film" i commerciali della Columbia devono averci visto rosso - Dylan aveva appena finito di pagare i debiti di Renaldo & Clara. Ci credeva talmente da proporre di inciderlo a sue spese: niente da fare. Anche il film, girato a Toronto, uscirà dai cassetti solo abusivamente. Si trova su Youtube ed è film-concerto completamente privo dei fronzoli artistoidi del Renaldo. Ed è... strepitoso (continua sul Post)
Gesù è giusto dietro la curva
22-07-2017, 00:32Bob Dylan, cristianesimo, Cristo, musicaPermalink"Eh? Chi ha parlato? Chi sei?"
"Chi vuoi che io sia? Sono Gesù Cristo: la Via, la Verità, la Vita".
"Ma Gesù, sei sicuro? Io... sono Bob Dylan!"
"Nientemeno".
"Sono ebreo!"
"Perché, io no?"
"In effetti".
"Cosa c'è che ti angustia, Bob? A me puoi dirmelo".
"Non lo so neanch'io... credo di essere stanco, soprattutto".
"Stanco di cosa".
"Non lo so. Di essere me, forse".
"Troppi concerti?"
"I concerti sono ok. Mi piace suonare. Se solo non dovessi suonare tutte le volte quelle cazzo di canzoni di Bob Dylan".
"Insomma non ne puoi più di Dylan".
"Puoi capirmi?"
"Altroché. La celebrità è una vera tortura, sai. Ti costruiscono un personaggio e pretendono che tu ci aderisca perfettamente... poi lo innalzano davanti a tutti e..."
"Ti crocifiggono, Gesù".
"Non dirlo a me".
"Ma quindi tu saresti il Messia?"
"E certo, non hai visto i segni? I ciechi tornano a vedere, i sordi ci sentono, Van Morrison ha fatto un bel disco con me, Patti Smith ha dedicato una canzone a Papa Luciani... Sto tornando..."
"Stai tornando?"
"...di moda".
"E io? Cosa vuoi che io faccia? Vendere tutto e seguirti?"
"Non esageriamo. Niente che non ti suggerisca già il buon senso. Datti una ripulita, bevi meno, basta coca. Puoi perfino continuare a uscire con le coriste..."
"Whew".
"Magari una sola alla volta, ecco".
"Ci proverò. Tutto qui?"
"Beh, naturalmente dovrai suonare per me".
"Un disco?"
"Un disco sono buoni tutti, cioè se tu fossi Neil Young mi accontenterei, ma stiamo parlando di Bob Dylan, il rocker più sputtanato del decennio, qui c'è bisogno di un investimento a medio termine".
"Ma Gesù..."
"Tre dischi in tre anni, prendere o lasciare".
"Tre dischi in tre anni? Gesù, sei peggio di Grossman".
"Ehi, pensavi che la Via la Verità e la Vita venissero via con lo sconto? Stiamo parlando di convertirsi, Bob. Rinascere. Tu non hai idea di cosa si scatenerà là fuori tra un po' - il punk è solo un avvertimento, sai".
"L'Armageddon?"
"L'Armageddon sarà una passeggiata al confronto, stanno per iniziare gli anni Ottanta. Il Rock - questo gigante dai piedi d'argilla - sarà rovesciato dal trono, e in suo luogo regnerà prima l'empio Pop, poi il suo nipote degenere, Hip-Hop! E poi bestie ancora più immonde..."
"Non capisco. Stai annunciandomi che la fine è vicina?"
"Oh, la fine! La implorerete, la fine!, mentre nell'aere risuoneranno campionamenti e scratch. Hai bisogno di un altro rifugio nella tempesta, povero Bob. E io ne ho uno".
"Non lo so... sono appena uscito da una storia difficile, forse non dovrei subito impegnarmi..."
"E pensa a un'altra cosa. Pensa a Blowin' in the Wind..."
"Gesù, ormai la odio quella canzone".
"Appunto. Non dovrai suonarla più".
"Sul serio? Ma il pubblico".
"Non dovrai più piacere a loro. Dovrai piacere soltanto a me. Molto più semplice. Basta vecchie canzoni. Mr Tambourine, Knockin', Rolling Stone: puoi smettere di suonarle. D'ora in poi canterai solo le mie lodi".
"Ma per rifarmi un repertorio ci metterò degli anni!"
"Dici? Ma non puoi fare come negli anni '60? Eri molto prolifico al tempo, mi pare di ricordare".
"Eh ma allora era più facile. Bastava suonare il blues".
"Blues, perfetto, adoro il blues".
"Gesù, sei sicuro?"
"Perché? Non crederai mica anche tu a quella storia della musica del diavolo, eh? Basta con le superstizioni".
"Se lo dici tu".
"Ah, e poi voglio più professionismo in sala d'incisione. Ultimamente registravi un po' da schifo, ecco, non deve più succedere. Lavori per Gesù, adesso".
Cristo.
che tu abbia ogni droga, e ogni donna al tuo comando;
che tu sia un uomo d'affari, o un ladro d'alta società;
che ti chiamino dottore o che ti chiamino Maestà...
tu devi servire qualcuno.
Potrà essere il diavolo, o potrà essere il Signore, ma devi servire qualcuno.
Dio è morto, il Giappone è una palude, e Scorsese sta benissimo
27-01-2017, 18:3021tw, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivo, cristianesimo, fb2020PermalinkSilence, (Martin Scorsese, 2016).
Verso il 1650 cominciò a girar voce che Sawano Chūan, già conosciuto come Cristóvão Ferreira, fosse morto: e prima di morire avesse ritirato la sua scandalosa apostasia, e proclamato a gran voce davanti all'inquisitore del Giappone la sua fede in Cristo, che 15 anni prima aveva rinnegato. Per questo era finalmente stato condannato al supplizio del pozzo: sospeso a testa in giù e dissanguato lentamente. La solita propaganda dei gesuiti: chi andò a controllare scoprì che Sawano-Cristóvão aveva avuto un funerale buddista, presso il tempio che aveva scelto conformemente alle leggi dello shogunato. Il suo nome giapponese si legge ancora sulla lapide. Forse in segreto continuò a credere nel dio cristiano per tutto quel tempo: ammesso che si possa credere a un Dio in segreto. C'è chi non lo ritiene possibile.
Un vero fumie: il volto di Gesù è consumato dalle centinaia di piedi che lo hanno calpestato |
Eppure Silence non è il film che il pubblico si aspetta da lui - men che meno i giurati dell'Academy, che in fondo hanno sempre diffidato di questo corpo esterno, questo seminarista fallito e riconvertito al cinema. Il film sembra concepito per confondere e tradire gli spettatori che abbiano una fede superficiale nel suo cinema. Scorsese li attende silenzioso al termine di un lungo viaggio in un Giappone antipittoresco, e dopo due ore e mezza non ha ricompense da offrire a chi lo trova: solo silenzio. Può darsi che non sia il suo migliore film. Neanche tra i suoi primi dieci film. Ma anche quando tace e prega, può tranquillamente dare lezioni di cinema e vita a chiunque sia disposto a imparare. Più che con altri suoi film, trovo inevitabile confrontarlo con quello che passano gli altri conventi: per esempio giusto un anno fa stavamo tutti applaudendo per Revenant. Anche quello un film lungo e senza compromessi, anche quello ambientato in un paesaggio naturale alieno, ostile, e ispirato a un fatto vero.
È un confronto impietoso (continua su +eventi!).
Un crocefisso abusivo, nascosto dietro la schiena di un Budda |
Sbarrando gli occhi durante la visione di Revenant riesci a vedere un regista milionario sul suo patio che si domanda cosa allestire per il pubblico bue e ai giurati degli Oscar: una storia di vendetta? Però nel finale bisogna ricordarsi che la vendetta è brutta, al massimo va subappaltata al buon selvaggio che resta buono anche quando scalpa un potenziale ladro di terra. Silence è un film che parla a ogni persona che ha cercato Dio e non l'ha trovato, o l'ha perso nel silenzio: è il regalo umile e superbo di un gesuita mancato che passa il tempo a tormentarsi: se soltanto fossi nato in tempi più semplici, con meno tentazioni in giro, meno droghe e meno macchine da presa... che gran cristiano che sarei stato.
Andrew Garfield oscilla continuamente tra l'imitazione di Cristo e la sua parodia: desideroso di seguire i suoi maestri, precipita in un sadico vangelo al contrario dove i buoni forse sono buoni per il motivo sbagliato, e i cattivi molto più ragionevoli, ma spietati proprio per questo. Cristo è un amico immaginario che ti porta davanti al baratro fra tortura e dannazione e ti lascia lì senza spiegarti niente, devi cavartela da solo. Scorsese non ha risposte, o non ce le vuole dire, e se le porterà con sé fino all'ultimo giorno.
Silence è alla Sala Polivalente di Piasco (21:10) e al Cinema Italia di Saluzzo (20:30).
Ratzinger a Ratisbona (non ha detto quel che pensi tu)
24-03-2016, 16:23cristianesimo, Islam, pontefici, preti parlanti, scienzaPermalinkLa questione che pone Ratzinger nel discorso di Ratisbona dieci anni fa è una questione centrale. Dice Ratzinger all'Islam fondamentalmente: dovete fare i conti con la ragione così come ce li ha fatti il cristianesimo. Il cristianesimo è passato attraverso quella temperie: è stato in grado di fare i conti, e fare i conti con la Ragione e fare i conti con la Ragione non vuol dire abbassare le ragioni della fede. Vuol dire stare insieme: fides et ratio. L'Islam ha degli elementi in cui questo passaggio diventa complesso.Si deduce da queste poche parole che Mario Adinolfi non ha mai letto la Lectio. (O non l'ha capita, o fa finta: decidete voi cos'è peggio). Per pensare che Ratzinger a Ratisbona abbia "detto all'Islam" "dovete fare i conti con la ragione così come ce li ha fatti il cristianesimo", Adinolfi non deve solo aver frainteso un discorso di otto pagine in cui Ratzinger non si rivolgeva mai a nessuna autorità islamica, a nessun credente musulmano. Bisogna anche far finta di non aver letto le successive puntualizzazioni con cui il Vaticano rispose al putiferio di reazioni (anche violente), che ne seguirono. Bisogna per esempio aver dimenticato:
- la dichiarazione del segretario di Stato Bertone che appena quattro giorni dopo, citando un documento conciliare, ricordava che "La Chiesa guarda con stima i musulmani, che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini";
Quanto al giudizio dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, da Lui riportato nel discorso di Regensburg, il Santo Padre non ha inteso né intende assolutamente farlo proprio, ma lo ha soltanto utilizzato come occasione per svolgere, in un contesto accademico e secondo quanto risulta da una completa e attenta lettura del testo, alcune riflessioni sul tema del rapporto tra religione e violenza in genere e concludere con un chiaro e radicale rifiuto della motivazione religiosa della violenza, da qualunque parte essa provenga. (Il grassetto è nel testo).
- le scuse e le precisazioni che lo stesso Ratzinger pronunciò appena ebbe tempo di affacciarsi alla finestra: "desidero solo aggiungere che sono vivamente rammaricato per le reazioni suscitate da un breve passo del mio discorso nell’Università di Regensburg, ritenuto offensivo per la sensibilità dei credenti musulmani, mentre si trattava di una citazione di un testo medioevale, che non esprime in nessun modo il mio pensiero personale" (Castel Gandolfo, 17 settembre 2006).
Insomma Ratzinger fu il primo ad ammettere che a Ratisbona (Regensburg) aveva commesso una gaffe. Prima di ogni altra cosa, la Lectio fu un disastro di comunicazione che pesò come un macigno sul magistero del papa teologo. Quando persino il presidente iraniano Ahmadinejad si scomoda per difenderti e per spiegare che sei stato mal compreso, ecco, è evidente che qualcosa non abbia funzionato. Più drastico di Ahmadinejad suonò il responsabile del dialogo con l'Islam per la Compagnia di Gesù: "Penso che utilizzando un autore mal informato e carico di pregiudizi come Manuele II Paleologo il Papa abbia seminato mancanza di rispetto nei confronti dei musulmani. Noi cristiani dobbiamo ai musulmani delle scuse". Ratzinger si scusò subito, e oggi al suo posto c'è un gesuita. Magari è una coincidenza.
Chi tira fuori ancora oggi Ratisbona in funzione anti-islamica, infatti, ha in mente soltanto la famigerata citazione dell'imperatore Manuele II Paleologo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava",e deve fare un notevole sforzo per ignorare tutto il resto. (Apro una parentesi: usare come campione del cristianesimo il cosiddetto imperatore Manuele è una cosa ridicola in sé. Il tizio governava un territorio non molto più grande di una signoria italiana, e almeno all'inizio del suo complicato regno era sostanzialmente un vassallo del sultano, a cui pagava regolare tributo. Addirittura a un certo punto agli ordini del sultano espugnò Filadelfia, città anatolica di fede ortodossa che formalmente si considerava ancora parte dell'impero romano d'oriente. Certo, a scuola leggiamo che l'impero bizantino finisce nel 1453, e questa idea che cinquant'anni prima un "imperatore" di Costantinopoli fosse un lacchè dei turchi ci mette un po' a passare. Poi da est arrivò Tamerlano, gli ottomani andarono a loro volta a rotoli, e la storia si fece ancora più complicata - ma in sostanza l'aggressività di Manuele nei confronti di Maometto è quella di un combattente che si è misurato con l'Islam per tutta la vita, in guerra e in pace. Chiudiamo la parentesi).
Anche oggi tutti teologi
11-01-2016, 02:53cristianesimo, razzismi, santiPermalink(Questo pezzo si legge tutto intero qui).
"Anche oggi c'è gente che, come quei famosi ateniesi, non trova di meglio da fare che discutere di argomenti inediti od originali. Braccia rubate al mercato o al cantiere che si improvvisano maestri di teologia: avanzi di schiavitù da prendere a mazzate, che d'un tratto ci filosofeggiano con solennità di cose incomprensibili.
Lo sapete di chi stiamo parlando: la città ne è piena. Le strade, i crocicchi, i fori, i parchi... venditori di tappeti, cambiavalute, friggitori ambulanti. Tu chiedi di scambiare una moneta, ti rispondono disquisendo sulla natura del Generato e dell'Ingenerato; vuoi sapere quanto costa una pagnotta, “Il Padre è il maggiore”, ti dicono, “e il figlio gli è soggetto”: domandi se ai bagni l'acqua è calda, e ti informano che il Figlio ha origine dal nulla...
Padri cappadoci. Nissa dovrebbe essere quello con la barba lunga e nera, ma è davvero facile confonderli. |
Certe citazioni ormai galleggiano nel vuoto, non siamo nemmeno sicuri del libro da cui sarebbero ritagliate. Hanno maturato significati diversi da quelli previsti in partenza; diventano meme, parole di un linguaggio nuovo, incomprensibile ai non iniziati. Tra i miei amici di facebook non è infrequente rimproverarsi di parlare di astrofisica. Citiamo ovviamente la battuta di un regista frustrato, protagonista di un film di Nanni Moretti - no, non l'ultimo - neanche il terzultimo - forse il terzo? Lamentandosi della mania che hanno tutti di parlare di cinema senza mai aver studiato l'argomento, gridava: parlo di astrofisica io?
Molti anni prima dell'invenzione del cinema, e della stessa astrofisica, il problema era già avvertito dagli intellettuali. Non potendo citare Moretti, ripiegavano su San Gregorio vescovo di Nissa, che nel IV secolo scrisse in mezzo a un migliaio di pagine fitte di patristica l'esilarante bozzetto che ho tradotto sopra un po' liberamente. È un brano famoso in senso molto relativo: ci ho messo anni a rintracciarlo. Poi mi sono reso conto che lo cercavo nel volume di patristica sbagliato, perché tutti questi professori che si lamentano dell'incompetenza popolare... sbagliano quasi sempre a segnalare la fonte della citazione, attribuendola a un amico di famiglia di Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo. Anche lui vescovo in Cappadocia e padre della Chiesa, per cui non è così difficile confondersi.
È un errore illustre, condiviso dallo stesso Hegel; lui del resto non aveva perso tempo a sfogliare i padri cappadoci, ma si era fidato di Gibbon che nel suo best seller Declino e caduta dell'Impero Romano aveva a sua volta citato il Gregorio sbagliato, mutuando l'errore da un teologo dei suoi tempi, tale John Jortin che nelle note del suo volume aveva fatto confusione tra i due Gregori ed era morto prima di correggere le bozze. Che storia affascinante. Morale: non si è mai abbastanza competenti.
Va bene, ma di che stava parlando Gregorio esattamente? In quel frammento dell'orazione Sulla divinità del Figlio e dello Spirito Santo, 46esimo volume della Patrologia greca, il vescovo di Nissa si distrae per un attimo dal problema trinitario, e si volta a dare un'occhiata a quel che succede nella grande città: Costantinopoli. Quando mi imbattei per la prima volta nei due Gregori, a metà anni Novanta, in società si parlava più che altro di calcio e politica. Tutti ne erano esperti, tutti ritenevano di avere pareri interessanti, giuro, non è una frenesia nata con facebook: Zuckerberg ci ha fornito soltanto un impietosissimo specchio. A volte mi mancava l'aria e così frequentavo lezioni strane, ad esempio Storia del Cristianesimo Antico.
Scoprivo che secoli prima, gli abitanti di una lontana metropoli, dovendo pur trovare qualcosa su cui litigare in attesa dell'invenzione del calcio, si scannavano intorno alla teologia. Il dibattito sulla Trinità, e sulla generazione del Figlio, era uscito dai capitoli e dai sinodi e circolava sulle bocche di tutti, pizzaioli e rigattieri. Venivano alle mani spesso, e a volte ci scappava il morto. L'altro Gregorio - non quello di Nissa - fu quasi linciato nella sua stessa cappella privata, perché era stato ordinato vescovo niceno di Costantinopoli, in un periodo in cui in città andavano per la maggiore gli ariani. Questi ultimi credevano che il Padre avesse creato il Figlio in un secondo momento; i niceni invece credevano in un Figlio generato, non creato, della stessa sostanza del Padre. I niceni avevano già vinto un Concilio nel 325, e col tempo avrebbero prevalso, massacrato gli ariani e distrutto i loro libri. Ma in quel periodo erano un po' in crisi: gli imperatori, dopo averli favoriti, se ne erano stancati e a volte sponsorizzavano apertamente gli avversari. Il bello di studiare queste cose, quando sei giovane, è che ti chiedono la stessa sospensione dell'incredulità di una saga fantasy - pensateci, si accapigliavano per stabilire se il Figlio fosse stato "creato" o "generato" dal padre. Un dibattito che oggi non interessa più nemmeno i cristiani. Già. Oggi parliamo d'altro. Ma, ecco, di che parliamo? (continua sul Post)
Possiamo convivere con gente così?
08-12-2015, 00:03Bibbia, Corano, cristianesimo, Islam, razzismi, religioni, replichePermalinkQuando 11 anni fa Vittorio Feltri pubblicò il Corano in dispense su Libero - vi giuro, 11 anni fa Vittorio Feltri pubblicò il Corano in dispense su Libero - io scrissi questa recensione per Macchianera, che al tempo era uno dei blog più letti in Italia. Ci cascarono in parecchi - incredibilmente, un sacco di commenti sono ancora on line. È passato tanto tempo e siamo ancora convinti di parlare di qualcosa di attuale, di interessante).
Possiamo convivere con chi crede nel Corano? No
24 novembre 2004.Ogni giorno è buono per imparare qualcosa, e io temo di avere imparato qualcosa da Vittorio Feltri. Sì, proprio lui, l'esegeta del Corano.
L'avevo preso sottogamba, sapete. Credevo che valesse la pena di comprarlo per dedicargli uno sfottò, una di quelle cose che piace a noi frustrati di sinistra. Ebbene.
La tesi di Feltri è scontata: il Corano è inconciliabile con l'Occidente. Si tratta di un pregiudizio? Magari. No, Feltri si è documentato, ha studiato il Corano, ed è giunto a conclusioni che sono inoppugnabili. Cioè, io ho anche provato, a oppugnarle. Ma quando uno ha ragione ha ragione, e stavolta devo dare ragione a Vittorio Feltri. Il Corano è inconciliabile coi principi della nostra Costituzione. Chi crede in quel libro non dovrebbe rimanere a lungo sul suolo italiano. Mi dispiace, ma è così. Giudicate voi:
Le donne? Per Maometto sono inferiori
di Vittorio Feltri
Il Corano che cosa pensa delle donne? C'è un versetto molto chiaro. Sura II [detto della "vacca"], 228: «Ma gli uomini sono un gradino più in alto». Usa proprio questa formula il Libro Sacro: i maschi sono superiori. Non è una frase suscettibile di interpretazioni.
[. . .]
Questa inferiorità è strutturale, ed essa è la chiave di volta su cui è costruita la società. Insomma, la donna non è vittima di qualche incidente di percorso, per cui basta un ritocco qua e là delle leggi o della mentalità. No, è minorata per volontà divina, ed anzi la vita comune si regge su questo principio. Il resto discende come conseguenza: nessun ruolo direttivo, nessuna possibilità di organizzare per sé un minimo di vita individuale. La schiavitù è sancita e benedetta. Non sono teorie religiose, ma sono diventate immediatamente leggi politiche dove l'Islam è al potere, e pratiche familiari dove sono (per ora) in minoranza. Non illudiamoci: gli ayatollah imporranno a tutti questa visione del mondo appena potranno, perché per essi non c'è distinzione tra sfera spirituale e politica, tra morale cranica e legge dello Stato. Si pone un'altra questione seria. Le comunità musulmane presenti in tra noi possono trattare così le donne in barba alle nostre norme e consuetudini?
La risposta sarebbe scontata (no), ma lo sapete, io sono il solito malfidato, mica potevo fidarmi del primo versetto che mi citavano.
Così sono andato a prendermi la mia copia del Corano, ché sapevo bene di averne una da qualche parte su una mensola alta (il Libro va sempre posato in alto). E ho iniziato a sfogliare. Ero convinto che avrei trovato subito qualche versetto che ribaltava la faccenda. Beh.
Mi sono dovuto ricredere. Più andavo avanti, più era peggio. Ragazzi, c'è poco da essere politically correct. Quel libro è veramente misogino. Tutte le volte che compare la parola "donna", da qualche parte lì intorno c'è anche la parola "sottomessa". Non ci credete?
Si parte dalla Sura "della Genesi" (3,16): è Allah che dice alla prima donna:
"Verso tuo marito sarà il tuo istinto,
ma egli ti dominerà".
Tanto per mettere subito le cose in chiaro. Ma cos'ha fatto, la donna, di male? Lo spiega a chiare parole la Sura "del Siracide" (25,24):
Dalla donna ha avuto inizio il peccato,
per causa sua tutti moriamo.
Per cui il minimo che possa fare è restare sottomessa. E infatti: Se non cammina al cenno della tua mano, toglila dalla tua presenza (Siracide 25,26)
E poi ci lamentiamo se le loro donne rimangono segregate in casa? Finché continueranno a credere in un Libro che ragiona così…
Motivo di sdegno, di rimprovero e di grande disprezzo
è una donna che mantiene il proprio uomo (Siracide 25,21)
…non c'è da aspettarsi che escano a cercarsi un lavoro. Né che partecipino a qualsiasi tipo di attività sociale. Perfino nella preghiera sono emarginate:
Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea. (Sura "dei Corinti I", 14,34-35)
Nella stessa Sura si motiva anche l'uso femminile del velo (e del burqa, eventualmente):
L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli. [… ] Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo scoperto? Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo. Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine […] (Sura "dei Corinti I", 3,7-16)
Notate la grazia della chiusa finale: se qualcuno vuole contestare… noi non abbiamo questa consuetudine. Tante grazie. Noi sì, però. Come la mettiamo?
E ancora:
Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie […] (Sura "degli Efesini" 5,22-23;
Ugualmente voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti perché, anche se alcuni si rifiutano di credere alla parola, vengano dalla condotta delle mogli, senza bisogno di parole, conquistati considerando la vostra condotta casta e rispettosa. (Sura "di Pietro I", 3,1)
Per finire con questa botta:
"Di più! Dobbiamo cagarci addosso di più, perdio!" |
Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo… e poi pretendiamo che abbiano rispetto per le nostre insegnanti? No, mi dispiace, io credo di essere una persona di aperte vedute e tollerante, ma ci sono dei limiti.
E che nessuno venga a dirmi che questi versetti vanno interpretati, inseriti nel loro contesto, mediati… interpretare cosa? Mediare cosa? È tutto chiaro qui, tutto nero su bianco: dalla donna ha avuto inizio il peccato, la donna stia sottomessa all'uomo, punto. E questo credo che non dovremmo tollerarlo. Mi dispiace, ma su questo sono più feltriano di Feltri: chi crede in questo Libro non ha il diritto di rimanere nel nostro Paese, dove vige una Costituzione che prevede per uomo e donna pari diritti.
Perciò, cari amici musulmani, aria.
[Continua domani]
Il Natale è solo relativista culturale (rassegnatevi)
30-11-2015, 19:39cristianesimo, feste, non ho voglia di tuffarmi in un gomitoloPermalinkVedo l'asino, vedo le pecore, ma dov'è il bue? |
Per contro, quei signori che vogliono prendere la festa del bambino galileo nella stalla giudea, e trasformarla in un Vessillo dell'Occidente da sventolare in faccia ai nuovi arrivati, ecco, siccome non sono i primi che ci han provato, per loro credo di avere una cattiva notizia.
Non funziona. Magari per qualche anno, ma più probabilmente no. Vi si sgonfierà il pandoro, vi cascheranno gli angeli dalla stalla del presepe. Lo spumante saprà di tappo e anche quest'anno nessuno vi porterà il regalo che avevate chiesto. A chi lo avevate chiesto, poi: al Dio che chiude la porta in faccia ai forestieri?
Perché i cristiani non ammazzano gli abortisti (quasi mai)?
29-11-2015, 08:00aborto, cristianesimo, Islam, limbo, pontefici, preti parlanti, terrorismoPermalinkSe ci pensate, è curioso.
Un tizio negli USA entra in una clinica dove si programmano aborti, e si mette a sparare; uccide un po' di personale medico ma da noi non fa quasi notizia. D'altro canto in Kenya hanno ammazzato una cooperante italiana, in Turchia un avvocato dei curdi, è un periodo difficile. Ci sono apprezzabili motivi storici e geografici per cui oggi in Italia possiamo aver paura più del terrorismo di matrice islamica che di quello antiabortista che da noi per ora non esiste. Peraltro, chi volesse approfittare di un fatto tanto estremo per attaccare gli antiabortisti italiani, si tirerebbe la zappa sui piedi: per quanto sia gente odiosa, non va in giro a sparare a medici o infermieri.
A me però un giorno piacerebbe discutere proprio di questo: perché gli abortisti italiani non vanno in una clinica e fanno una strage? Non per polemica, credo che sia una domanda interessante e meno retorica di quanto potrebbe sembrare.
Credo che ogni religione abbia una sua logica, che funziona magari solo se la osservi dall'interno - il che significa, per esempio, che in teoria potresti catechizzare un robot. Ma appunto, se a un robot spieghi che
1. La vita ha inizio dal concepimento
2. A chi muore prima del battesimo è negata la grazia di Dio, e di conseguenza il paradiso
"Genocidio o scelta?" |
Per il cristiano però l'aborto è ancora più grave: non soltanto strappa alle sue vittime la vita terrena (una proprietà, per i cristiani, trascurabile), ma pregiudica anche la felicità nella vera vita, quella eterna. Non è solo un infanticidio di massa - che già sarebbe grave - ma è uno sterminio di anime. Anche se su quest'ultimo punto si annida un po' di provvidenziale bruma teologica. Forse la decisione del penultimo papa di eliminare l'"ipotesi" del Limbo nasce proprio dalla volontà di stemperare i toni: si trattava di una regione liminare dell'inferno dove i bambini non battezzati bruciavano a fuoco lentissimo ("damnatione omnium mitissima", diceva Agostino), ma comunque bruciavano. Io a una cosa del genere mi rifiuterei di credere, ma se ci credessi non avrei alternative a farmi esplodere in un consultorio: come potrei sopportare di convivere con un'umanità che permette che dei bambini non nati brucino in eterno? Se però decidiamo di non porre limiti alla misericordia di Dio, il pensiero dell'infanticidio diventa un po' più sopportabile. Ma pur sempre infanticidio resta.
Ecco, quando discutiamo del cosiddetto "islam moderato", e ci sembra una contraddizione in termini, (come si possono "moderare" certi dettami del Corano?) forse potremmo fare un confronto con una situazione del genere: uno dei principi più strenuamente difesi dal cattolicesimo moderno - non quello medievale, tomista, no: quello post-conciliare - è la sacralità della vita dal concepimento. È un principio che non ha nulla di "moderato", il famoso "valore non negoziabile": chi abortisce è un'assassina, chi l'aiuta è complice di strage. La "moderazione" non interviene sul piano ideologico, ma su quello pragmatico. Cioè, nella teoria un cattolico non può non pensare che Emma Bonino sia una stragista dichiarata. Nella pratica, se la incontra in chiesa durante un rito funebre non si sbigottisce; addirittura può domandarsi come mai non la facciano salire sul pulpito per dire due parole. Questa ci sembra "moderazione", ci sembra "buon senso", ma se fossimo un po' più estranei alla situazione potremmo anche chiamarla "doppiezza", o "ipocrisia". Come quando accusiamo i rappresentanti dell'"Islam moderato" di non raccontarcela giusta, di fingere di non vedere i passi più violenti del Corano che pure sono attualmente messi in pratica nelle teocrazie e nelle repubbliche islamiche.
Quando poi capita che un tizio entri armato in un consultorio e faccia fuoco su dei dottori, lo chiamiamo "matto". Non ci attraversa nemmeno per un istante l'idea di accusare il Papa, o qualche pastore protestante, di averlo ispirato. Eppure.
Un articolo disgustoso (ma non abbastanza)
27-10-2015, 19:25antisemitismo, autoreferenziali, cristianesimo, giornalisti, giustizia, preti parlanti, santiPermalinkCosì ha aperto un procedimento a carico di Luca Sofri.
Violazione della deontologia professionale e vilipendio della religione cattolica.
Per fortuna è finito tutto bene (ho cancellato i nomi).
Postilla inutile: San Massimiliano Kolbe fu canonizzato il 10 ottobre 1982, il giorno in cui nel mio paese nacque un gruppo scout cattolico, che lo elesse immediatamente suo patrono. Anche per questo motivo è un santo che mi è caro in un modo particolare. Il pezzo più o meno disgustoso che scrissi su di lui doveva avere un finalino in cui la Madonna in sogno mi compativa per non aver mai scelto nessuna corona, né bianca né rossa né a pois: vedi cosa ti è successo? Avevi paura a scegliere e non sei diventato niente. L'ho cancellato - mi sembrava un po' troppo personale - e adesso non riuscirei a riscriverlo. Lo segno qui per ricordarmene, non ho molti altri spazi a disposizione.
Il mondo dei non-ancora-nati
25-08-2015, 11:52cristianesimo, La grande gara di spuntiPermalink"Ci penso".
"Libro XI".
"Il viaggio nel mondo dei morti".
"Bravo".
"Beh, è l'Odissea, la sanno tutti".
"Lui per esempio no".
"Non conosceva l'Odissea?"
"Sì, ma non ricordava che libro fosse. Diceva che nel suo mondo di libri come l'Odissea ce n'erano tantissimi e non c'era tempo per ricordarseli a memoria. Diceva così. Comunque, nell'Odissea c'è un vivo che viaggia nel mondo dei morti".
"Sì, ma è una storia, cioè anche i Greci mica ci credono, la raccontano per divertirsi".
"Non importa. Immaginati la cosa. Immagina che un vivo possa viaggiare nel mondo dei morti. L'hai immaginato?"
"Certo".
"Adesso pensa al contrario".
"Un morto che viaggia nel mondo dei vivi?"
"Sì. Cioè no. Non proprio. Prova a pensare a tre mondi invece che due. I morti, i vivi e..."
"E cosa? O si è morti o si è vivi".
"I non-ancora-nati".
"Ma non esistono".
"Neanche i morti per quel che sappiamo. Li hai visti?"
"Ma..."
"Hai mai forse visto Giasone? Giuda Maccabeo? Tuo trisnonno? Non ci sono più. Puoi immaginare che siano in un altro mondo, ma in questo non ci sono più, d'accordo? Quindi, se puoi immaginare un mondo dove esistono, puoi anche immaginarne uno in cui esistono quelli che non sono ancora nati, no? Non è poi così difficile".
"Che sia esistito Giasone non saprei; sul Maccabeo ho già meno dubbi, quanto a un mio trisnonno, deve essere esistito per forza. Ma quelli che devono ancora nascere, nessuno li ha mai visti, nessuno li ricorda, come posso..."
"Ti devi fidare, perché lui veniva da là. Dal mondo dei non-ancora-nati, quelli che i latini chiamano posteri".
(Questo pezzo è il seguito di Lo spaziotempo in aramaico, che si è qualificato ai quarti di finale della Grande Gara degli Spunti. Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
"Cioè il Nazareno... non è ancora nato?"
"Verrà tra mille e più anni".
"Eppure è già morto".
"Viveva in quel mondo, ed è venuto nel nostro. Sperava di riuscire a tornare indietro, ma non è stato possibile".
"E questa cosa l'ha detta solo a te?"
"No, l'ha detta a tutti, migliaia di volte, nelle pubbliche piazze. Ma nessuno capiva, lui si scaldava, ma niente da fare. Più cercava di spiegarla, più si metteva nei guai. Lui cercava di fare esempi concreti, ma aveva questa difficoltà, che mentre è facilissimo citare una persona illustre già esistita, non esistono posteri già famosi tra noi. Per dire, se fosse venuto dal mondo dei morti, avrebbe potuto proclamare: io vengo dal medesimo luogo di Giasone! o del Maccabeo! Li conosco! Ecc. Ma venendo dal mondo dei non-ancora-nati, chi poteva citare?"
"Una sola persona".
"Certo che tu capisci al volo".
"Il Messia degli ebrei".
"È l'unico non-ancora-nato che tutti si aspettano. L'unico concetto che si avvicina a quello che lui chiamava "futuro""
"Così un bel giorno deve aver detto..."
"Io non sono di questo mondo. Vengo dal mondo donde viene il Messia!"
"E qualcuno ha equivocato".
"A quel punto l'equivoco faceva già comodo a molti. Aggiungi che lui il Messia diceva di averlo conosciuto".
"Ah sì?"
"Non di vista, no. Dice di essere vissuto almeno un millennio più tardi, ma che ai suoi tempi il Messia è adorato come un Dio, e su di lui sono stati scritti nuovi libri della legge".
"Interessante. E... non gli è mai venuto in mente di sostituirsi a lui?"
"Che cosa?"
"Di dire e fare le cose del Messia, in anticipo su di lui. Di rubargli il posto, insomma".
"È quello che tu avresti fatto al suo posto, immagino".
"A chi non verrebbe in mente, andiamo".
"Lui era diverso. Il suo piano originale era aspettare che il Messia si manifestasse e farlo fuori".
"Per sostituirsi a lui?
"No, per evitare che il Messia facesse proseliti. Diceva che a millenni di distanza, nel mondo dei posteri, la gente soffriva ancora a causa di quello che aveva fatto il Messia".
"Voleva contrastare la volontà di Dio?"
"Non credeva in Dio... non nel nostro, perlomeno".
"E allora come poteva credere nel Messia?"
"Questa era la tipica domanda che lo faceva infuriare. Stolto, ma è possibile che non capisci, non hai orecchie per intendere? Era insopportabile certe volte. Ci trattava tutti come se fossimo bambini".
"Mentre era il contrario".
"Cosa?"
"Stavo pensando. Se lui veniva dal mondo dei non-ancora-nati, noi eravamo tutti molto anziani per lui, e lui era il bambino. Avrebbe dovuto trattarvi con infinito rispetto",
"Lui non la vedeva così. E ormai troppa gente gli stava attorno, e non importa cosa dicesse o facesse: credevano in lui. A un certo punto si mise a dire e fare cose assurde, e quando gliene chiedevo il senso, mi rispondeva: visto che mi credono il Messia, sto facendo il contrario di quello che faceva lui. Per esempio, lui si farà chiamare figlio di Dio, ebbene, io dirò a tutti che sono solo il Figlio dell'Uomo".
"Ma al Sinedrio l'hanno accusato proprio di farsi chiamare..."
"Lo vedi? Era inutile. Da un certo momento in poi smise di guarire la gente. Scappò nel deserto, la gente lo seguiva anche lì. Allora se ne tornò a Gerusalemme. Voleva farla finita. Una volta mi pregò di ammazzarlo".
"E tu l'hai esaudito".
"È più complicata di così".
Se vuoi sapere quanto è complicata, puoi continuare a sostenere questo spunto, che oggi se la gioca contro Fiume 1920. Puoi fare le solite cose: mettere Mi piace su facebook, o esprimerti nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto.
Lo spaziotempo in aramaico
17-08-2015, 13:34cristianesimo, Cristo, La grande gara di spuntiPermalinkQuanto a me, ne avevo avuto abbastanza di queste stronzate. Con quel po' di argento messo da parte avevo aperto un'attività ad Arimatea, giusto un banchetto. Prestavo a un buon tasso, accettavo pegni, ma non raccoglievo imposte. Troppo rischioso. Non volevo dare nell'occhio e fino a quel momento credevo di esserci riuscito. Ma il piccoletto aveva un accento strano e nell'occhio la luce di chi ha trovato il suo uomo.
"Sei ebreo?"
Si finse sorpreso prima di rispondermi. "Se sono qui..."
"Non vuol dire niente. Io presto anche ai gentili".
(Questo pezzo è il seguito di Gesù è il mio crononauta e partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
"E allora perché me lo chiedi?"
"Hai un accento curioso. Da dove vieni?"
"Dalla Cilicia".
"E fin qui sei arrivato, prima di trovare qualcuno disposto a prestarti denaro?"
Affettò un sorriso. "Non cerco esattamente denaro".
"Allora sei nel posto sbagliato".
"Ne ho più di quanto me ne serva".
"Buon per te, ma sei nel posto sbagliato".
"Cerco una persona".
"Sei nel posto sbagliato".
"Giuda, si chiama".
"Buona fortuna, siamo in Giudea".
"Iscariota".
D'istinto lo avrei preso per il collo e appeso al muro, intimandogli di non ripetere mai più quel nome. Ma se era una spia dei Romani torcergli un capello mi sarebbe costato molto più caro di quanto potessi sostenere in quel momento. Così rimasi a sentire la mia lingua che diceva:
"Quell'uomo è morto impiccato".
"Così dicono".
"Io peraltro non lo conoscevo".
"Certo".
"Fu qualche anno fa, la sera in cui Romani crocifissero..."
"Quel tipo di Nazareth".
"Certo che in Cilicia ne sapete di cose".
"Ci teniamo informati. Per esempio, so che il corpo non è mai stato trovato".
"Trafugato dalla tomba, dicono. Ma i suoi discepoli vanno dicendo in giro che è risuscitato dai morti e..."
"Non mi riferivo al nazareno".
"Ah no?"
"Ma all'Iscariota. Secondo alcuni non si è impiccato affatto".
"Ah sì?"
"Secondo alcuni coi soldi del sinedrio ha messo su un banchetto da usuraio ad Arimatea".
"Dunque i Romani sanno questo".
"I Romani sanno tutto".
"E allora che altro vogliono da me? Io sto filando dritto".
"C'è qualcosa che non torna. Tu hai fatto tradito il tuo amico, per una certa somma in argento".
"Non era mio amico".
"Il sinedrio dice di non averti pagato".
"E voi gli credete? Avranno usato fondi in nero..."
"Dicono che i soldi te li avrebbe dati lo stesso Gesù".
"Ne ho abbastanza di queste stronzate".
"Ti ha davvero pagato perché tu lo tradissi?"
"Non posso spiegarti".
"Credo che dovresti sforzarti".
"E certo, spiegare lo spaziotempo in aramaico a un tizio del primo secolo dopo Cristo, che ci vuole".
"Cos'è il primo secolo dopo Cristo?"
"Partiamo bene".
Se volete continuare a dare speranza a questa idea poco originale che mi era venuta e che avrebbe dovuto perdere facile contro David Bowie venuto dal futuro, dovete mettere Mi piace su facebook, o esprimervi nei commenti.
Gesù è il mio crononauta
01-08-2015, 19:58cristianesimo, La grande gara di spunti, raccontiPermalink"Il messia, dai".
"Buon uomo, di messia ne nascono tutti gli anni, non potrebbe essere un po' più preciso?"
"Eh, purtroppo sono sempre stato una schiappa a catechismo, comunque è un tizio che... dovrebbe essere nato qualche anno fa, a occhio... sua madre si chiama qualcosa come Maria, Miriam".
"È il nome più diffuso in Giudea".
"E suo padre Giuseppe, Iosef, Yussef".
"Andiam bene".
"Nato a Betlemme..."
"Ma non era di Nazareth?"
"Più o meno la stessa cosa, no?"
"No, straniero, non è affatto la stessa cosa, e tu evidentemente vieni da molto lontano".
"Ah, non sai quanto. Comunque si tratta di un tizio che tra qualche anno comincerà a far parlare di sé come il Messia..."
"Capirai".
"...il re dei Giudei..."
"Ehi ehi ehi, calma. Hai detto re dei Giudei?"
"Proprio così".
"Io sono il re dei Giudei".
"Ah sì? Buffo".
"E dici che è nato a Betlemme? Ma quando?"
"Qualche anno fa... non è che per caso è passata una cometa, qualcosa del genere..."
"È cascata una stella quattro anni fa".
"Bingo! Allora a questo punto ha quattro anni e... dovrebbe essere in Egitto, sì, questa me la ricordo".
"L'Egitto è da quella parte, straniero".
"Grazie per l'accoglienza!"
"Ma figurati, e grazie per i doni".
Appena lo straniero esce, Erode ordina alla sue guardie di ammazzare tutti i nati a Betlemme quattro anni prima, ché non si sa mai.
(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui).
In realtà lo straniero non è che ci tenesse così tanto a incontrare Gesù. L'idea originale era uccidere Hitler o qualche altra banalità, ma i viaggi nel tempo non sono precisi come l'ascensore ché sai sempre esattamente a che piano ti porta. Diciamo che il margine di errore oscilla intorno ai 2000 anni, e lo straniero non è stato fortunato. Si è ritrovato nel bacino del Mediterraneo sotto l'imperatore Tiberio, ma era una schiappa anche in Storia antica e quindi l'idea di prendere il posto di Seneca e manovrare un paio di imperatori non lo ha nemmeno sfiorato. Il personaggio che ritiene di conoscere meglio di tutto il periodo è appunto Gesù, e così si è incamminato per la Palestina, con tutto l'oro che è riuscito a portarsi con sé nel cronotrasferimento, e che gli serve per le spese di ogni tipo (cibo, pernotto, battello, lezioni di lingua). Non potendo uccidere Hitler, ha deciso di uccidere Gesù e vedere cosa succede. (Lo straniero ha fatto l'asilo in un collegio di suore sadiche, da cui un giudizio abbastanza netto sull'essenza del cristianesimo). Gesù però è introvabile.
http://infinivert.com/2013/04/jesus-christ-time-traveler/ |
Da quel momento, alcuni discepoli di Giovanni cominciano a seguirlo. Lui per allontanarli comincia a raccontare storie senza senso, a fare il matto... niente da fare. Nel frattempo Giovanni viene arrestato per sedizione, e in Galilea molti cominciano a guardare allo Straniero come al suo naturale successore - non fosse per i minimi accorgimenti coi quali gli capita di confortare i malati che incontra, sterilizzando le infezioni e usando un minimo di buon senso per tranquillizzare i malati mentali. Siccome non ha nessuna voglia di farsi notare da Erode, scappa nel deserto. Lo vanno a prendere, lo portano su un monte e lo mostrano a una folla. Lui non sa bene cosa dire, si arrangia con quel poco che si ricorda del vangelo. Sta cominciando ad accettare il fatto che Gesù Cristo è lui. D'altro canto - ragiona - se io sono Gesù, per farla finita col cristianesimo basta che mi faccia ammazzare, no? Facile! No, non sarà così facile. Per sapere come andrà a finire, dovete votare per Gesù è il mio crononauta. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
Un'altra #croce, un altro #bluff
21-05-2015, 10:001500 caratteri, aborto, cristianesimo, giornalisti, omofobiePermalinkLa pastorella e la Bella Signora
14-04-2014, 02:22cristianesimo, Francia, madonne, pontefici, religioni, santiPermalink16 aprile - Santa Bernadette Soubirous (1844-1879), pastorella e mistica di Lourdes
[Il pezzo intero è qui]. La Madonna è contagiosa, chi la conosce lo sa. Chi la vede, di solito, ha già sentito parlare di altri che l'avevano vista. Proprio come le malattie infettive, il fenomeno è particolarmente evidente nei collegi. Un'allieva intravede Nostra Signora in fondo a un corridoio; lo dice a un'amica; la vede anche lei; il resto della camerata le prende in giro; nel giro di un mese l'hanno vista tutte. È successo in più casi. Da bambino mia zia ogni tanto andava a Medjugorje, molti anni prima che Paolo Brosio si accorgesse delle potenzialità mediatiche del fenomeno. Però non è che ci si potesse recare così spesso in quel Paese relativamente lontano che ancora si chiamava Jugoslavia (la Madonna spesso sceglie nazioni sulla via del disastro: in quegli anni si faceva vedere anche in un collegio in Ruanda). Così a volte si contentava di Fossoli di Carpi, perché tra i cultori locali di Medjugorie si era diffusa questa storia, che la Madonna stesse apparendo anche a Fossoli, poco distante dal vecchio campo di concentramento. E un giorno, in effetti, mentre una folla pregava da qualche parte a Fossoli, si sentì una voce ben distinta dall'alto che diceva: peccatori, pentitevi. Non era esattamente Nostra Signora, come si vedrà.
La natura virale delle apparizioni mariane è un grande argomento in mano agli scettici: chi vede la Madonna in realtà sa già cosa deve vedere. È stato, per così dire, istruito da una tradizione secolare. Questo spiega il perché la madre di Dio frequenti di preferenza contrade cattoliche: altrove, del resto, può capitare che ti curino a elettroshock, o ti recludano finché non confessi che ti eri inventato tutta la storia, prima per prendere in giro i compaesani e poi per non deluderli (così accadde per esempio alla giovane Margarethe Kunz nel 1878, appena qualcuno cominciò a parlare di una "Lourdes tedesca" a Marpingen, nel Saarland). Anche i veggenti in buona fede non farebbero che riprodurre, nelle loro allucinazioni, un immaginario cattolico condiviso da secoli.
A questa obiezione i credenti rispondono col modello della Pastorella, di cui la piccola Bernadette è l'incarnazione più famosa. Se è abbastanza naturale che una collegiale o una suora sogni le madonne e i sacri cuori che si vede intorno dappertutto, come la mettiamo con le pastorelle? Sono ignoranti, analfabete; frequentano cappelle disadorne; non riconoscerebbero la Madonna nemmeno se la vedessero, e nel caso di Bernadette andò proprio così: non la riconobbe. La chiamava "aqerò" ("quella là" in dialetto occitano); la descriveva come una piccola, bellissima signora biancovestita con una cintura blu e una rosa gialla su ciascun piede. Chiunque a quel punto penserebbe, se non a uno scherzo, a Maria di Nazareth; ma bisogna concedere che il vestito biancoazzurro non era così diffuso: entrò nell'iconografia standard proprio dopo le apparizioni di Lourdes. Nostra Signora dal suo canto ci mise più di quaranta giorni, e sedici apparizioni, prima di presentarsi con quelle fatali parole, que soy era immaculada concepciou, che, a detta di tanti lourdologi, Bernardette sarebbe stata troppo ignorante per capire: come poteva una pastorella sapere che appena quattro anni prima papa Pio IX aveva dichiarato dogma di fede l'Immacolata Concezione di Maria, al termine di un dibattito che aveva messo contro per secoli il fior fiore dei teologi? Anzi, se Bernadette riuscì a riferire la curiosa espressione allo scettico abate Peyramale, fu soltanto perché nel tragitto non smise di ripeterla sottovoce: quesoyeraimmaculadaconcepciou, quesoyeraimmaculadaconcepciou, quesoyeraimmaculadaconcepciou. Padre! Ho rivisto la bella signora! Mi ha detto di dirle quesoyeraimmaculadaconcepciou.
Per il povero parroco fu un bel colpo. Sei sicuro che ti ha detto così? Ma lo sai cos'è... lo sai chi è l'immaculada eccetera? No, certo che non lo sai, poveretta. Fin lì l'abate aveva diffidato della pastorella allucinata. Quando era venuta a riferirle la pretesa della bella signora di costruire un santuario nella grotta, aveva preteso un segno: di' alla tua signora che faccia fiorire il roseto lì sotto. Chissà se aveva in mente il miracolo della Vergine della Guadalupe a Città del Messico.
Il roseto non rifiorì. In compenso la fonte che Bernadette aveva trovato scavando lì sotto con le unghie cominciava ad attirare i malati. Era stata un'amica della pastorella, Catherine, a immergere per prima un braccio paralizzato e a trarne, diceva, un subitaneo giovamento. Non poteva certo immaginare di essere la prima di settecento milioni di visitatori, nonché di una settantina di guarigioni ritenute inspiegabili e pertanto miracolose - una ogni dieci milioni, percentuale tutto sommato ragionevole. Fu l'acqua benedetta a fare di Lourdes la Madonna più famosa del mondo: le altre si limitavano a sorridere e sussurrare segreti angosciosi a pastorelli perplessi, ma quella della grotta ti guariva. O perlomeno ti lasciava un segno tangibile, imbottigliabile: un sorso d'acqua pura - a patto di intercettarla molto vicino alla fonte, perché qualche metro dopo il miracolo è non prendersi il colera, con tutti quei malati intinti nella fanga.
Se l'acqua rese famosa la Madonna di Lourdes, la dichiarazione raccolta da Bernadette (quesoyeraimmaculadaconcepciou) la rese canonica: Pio IX riconobbe ufficialmente le apparizioni quattro anni dopo (1862) un record. Per dire: i veggenti di Medjugorje stanno aspettando lo stesso riconoscimento da trentaquattro anni. E d'altro canto l'apparizione a Bernadette era stata straordinariamente tempestiva. Proclamando l'immacolata concezione nella sua enciclica Ineffabilis Deus, il pontefice aveva sfidato i suoi stessi vescovi: era la prima volta che un papa proclamava un dogma senza consultarli in un concilio. Parecchi probabilmente borbottavano, specie quelli di formazione domenicana che avevano osteggiato il concetto di immacolata concezione sin dai tempi di Tommaso d'Aquino. Per metterli a tacere, niente di meglio che un intervento della diretta interessata, anche nel dialetto dei Pirenei. Quando alla fine il concilio si farà - nel 1870 - Pio IX ne profitterà per farsi dichiarare infallibile ex cathedra. Notevole prova di forza per un pontefice che stava per perdere l'ultimo brandello di Stato della Chiesa. Bernadette per quanto possibile, gli aveva dato una mano, recapitando un messaggio dal Cielo con la sua voce pura, immune da contaminazioni culturali e intellettuali. Perlomeno la tesi è questa: Bernadette era troppo ignorante per essere stata anche solo imbeccata da qualcuno meno che santo.
È una tesi che trasuda malafede (continua sul Post...)
Canonizzato in direttissima
24-03-2014, 23:50cristianesimo, Cristo, religioni, santiPermalink25 marzo - San Disma, il ladrone buono.
One of the thieves was saved. It’s a reasonable percentage. (Waiting for Godot)
Il vangelo di Marco, forse il più antico, parla in effetti di due ladroni: uno a destra e uno a sinistra di Gesù. Così si avvera tra l'altro una profezia di Isaia: "È stato messo tra i malfattori". Dopo Marco, Matteo riprende l'episodio, ma è più ricco di particolari e aggiunge quello degli insulti a Gesù: anche i ladroni sulla croce lo scherniscono. Nessun accenno a un pentimento da parte di uno dei due. È Luca a mettere loro in bocca le parole: "Non sei tu Messia?", dice il primo, "salvati da solo e salva anche noi". E il secondo, con un po' di buon senso: ma lascialo stare. Non ce l'hai un po' di timor di Dio? Io e te ce la meritiamo, ma che ha fatto lui di male? Bellissime parole che Luca, cronista di razza, potrebbe aver recuperato da un testimone orale (Maria di Nazareth, ad esempio: Luca sa molte più cose di lei degli altri tre evangelisti). Ma potrebbe anche anche essersele inventate per dare più colore alla storia.
E però Luca è bravo e sa dove fermarsi prima di trasformare la cronaca in leggenda: il ladrone non rinnega la sua vita di peccato, non chiede a gran voce perdono: si comporta in modo semplicemente umano, rifiutandosi di passare le ultime ore della vita a ingiuriare un innocente compagno di sofferenze. Si potrebbe persino sostenere che ad avere più fede sia l'altro ladrone, quello che non si rassegna e si aspetta un miracolo in extremis - da un Messia è il minimo. Sarà stato senz'altro molesto, come molti disperati prima di morire, ma il Cattivo non fa che chiedere a Cristo quello che tutti si aspettano che Cristo faccia: staccati dalla croce e sàlvati, e già che ci sei salva anche noi. Il Buono però soggiunge:
"Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno".
Tutto qua e tanto basta: In verità ti dico, gli risponde quegli, oggi sarai con me in paradiso. Il processo di canonizzazione più rapido della Storia: l'unico a cui per ora Gesù Cristo ha partecipato direttamente e non mediante vicari facenti funzione. La semplificazione burocratica è tale che secondo alcuni il Buono è già assunto in cielo in carne e ossa, uno dei pochissimi a non dover aspettare la fine dei tempi affinché il corpo si ricongiunga con l'anima (è la condizione di Maria, forse di Giuseppe, di altri non si sa). La Chiesa non si è mai pronunciata ufficialmente, ma la credenza è così diffusa e radicata che non esistono reliquie del Ladrone Buono: neanche un ossicino, un dente, nulla. La croce, viceversa, è spezzata in varie schegge, la più grande custodita a Roma presso la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, che come dice il nome è una specie di parco a tema gerosolimitano che custodisce anche frammenti della Croce di Gesù, più alcune spine, il cartiglio di Ponzio Pilato, il dito dell'apostolo Tommaso e tanti altri souvenir della Terrasanta. Il Cattivo, per contrappasso, sarebbe stato inghiottito direttamente dall'inferno, attraverso una voragine che metterebbe tuttora la collina del Golgota in comunicazione con il fuoco eterno (continua sul Post...)
L'imene è irrilevante
08-12-2013, 03:27cristianesimo, madonne, pontefici, santiPermalink8 dicembre - Immacolata concezione della vergine Maria, dogma di fede
[Si legge tutto intero qui].
Maria di Nazareth si venera con tante feste diverse, per tanti motivi diversi. Nei prossimi giorni assisteremo a un trittico fortuito e fantastico: oggi è l'Immacolata, l'esito ultimo di una diatriba teologica durata più di mille anni; il dieci sarà Santa Maria Aviatrice, alias la Madonna di Loreto; e il 12 dicembre tenetevi pronti per la Madonna più bizzarra ed esotica di tutte, quella azteca della Guadalupe. Il primo gennaio festeggeremo Maria in quanto madre di Dio (anche lì i teologi litigarono non poco, ci furono anche morti e dispersi); in seguito avremo l'Annunciazione, l'Assunzione, il Carmelo, il Rosario, Lourdes, Fatima, la Madonna della Neve. Inoltre l'otto settembre, pensate, e il suo compleanno.
In tutti questi giorni, se uno vuole, può venerare la vergine. Ma non c'è una vera festa della Vergine in quanto tale. La possiamo considerare in quanto assunta in cielo, o immacolata, o comparsa a Lourdes o altrove. Ma un giorno per riflettere sulla sua misteriosa verginità pre- e post-puerperale non c'è. Questo è singolare, anche per il modo in cui sono nate molte di queste feste: per gemmazione più o meno spontanea, molti secoli prima che un concilio o un papa ratificasse ex cathedra il dogma. L'Assunzione, per dire, si festeggiava mille anni fa, ma è stata omologata da Pio XII nel 1950. Anche l'Immacolata concezione, un concetto che circolava sicuramente sin dai tempi di Agostino, ha dovuto attendere il 1854. Quanto alla nascita verginale di Gesù, è un dogma sin dal 553 e non era molto controversa nemmeno prima: le Scritture lì parlano abbastanza chiaro. Un altro paio di maniche però è sostenere che la Madonna abbia continuato a essere vergine anche dopo il parto, e non abbia concepito col suo legittimo sposo altri fratelli (malgrado nei vangeli li si chiami per nome). Questa sorta di postulato al quinto dogma è uno degli articoli di fede più refrattari alla contemporaneità: una divinità che decida di incarnarsi in un uomo e sacrificarsi per i suoi peccati può sembrare bizzarra, ma una donna che resta vergine dopo un concepimento e dopo un parto è qualcosa di irrimediabilmente buffo: non si capisce come se ne possa discutere restando seri, e in effetti i sacerdoti se possono evitano l'argomento. Ma si tratta in qualche modo di un effetto ottico, un difetto nella nostra prospettiva. Quando parliamo di corpo, noi abbiamo sempre in mente quello contemporaneo, misurabile, raffigurabile, sezionabile, fotografabile addirittura. Se non siamo storici - e non lo siamo quasi mai - ci è facile commettere l'errore di guardare al medioevo o all'epoca antica senza cambiare il nostro paradigma: per noi si è vergini o no a seconda di una cosa che si chiama imene, che sappiamo tutti più o meno cos'è e dove si trova. La verginità è diventata un puro fatto fisico, tant'è che oggi "rifarsi una verginità" ha smesso di essere un paradossale modo di dire: esistono chirurghi che ti rifanno l'imene. Siccome ai tempi di Maria di Nazareth questo tipo di chirurgia era impossibile, ne deduciamo che il quinto dogma sia un'assurdità, pura propaganda che ha fatto il suo tempo. Siccome capiamo soltanto quello che possiamo osservare e misurare, l'unica caratteristica della Madonna che ci interessa davvero non è l'immacolata concezione o l'assunzione o la maternità di Dio, ma il suo imene.
Non ci viene quasi mai il sospetto che la parola "verginità" possa avere avuto un significato diverso, in un'epoca diversa, in cui ogni corpo aveva una dimensione morale inscindibile da quella fisica. I cattolici, per primi, mostrano una certa difficoltà a relativizzare. Se un concilio nel VI secolo ha detto "vergine", dovremmo credere che intendeva "vergine" nel senso che ha il termine su un manuale di anatomia del XXI secolo. Il problema dei dogmi è tutto qui: non puoi che fissarli a parole, ma le parole cambiano significato continuamente. L'unica è smettere di usarle: e infatti più che della verginità - concetto sempre più scabroso, man mano che la morale cessa il passo all'anatomia - i cattolici amano parlare di immacolata concezione. Lì sì che la teologia si può lanciare senza freni fisici: non ci sono imeni che tengono, si tratta di stabilire se la Madonna non sia mai stata macchiata dal peccato originale. Siccome ha procreato Cristo che è Dio, carne della sua carne, se ne deduce di no, fine del dibattito - eh no, troppo comodo. Solo Cristo ci ha liberato dal peccato originale, quindi come poteva la Madonna esserne libera prima? L'obiezione è di Tommaso d'Aquino, mica l'ultimo arrivato: però già Agostino aveva messo in dubbio la categoria del tempo, forse il "prima" e il "dopo" per Dio non hanno il senso che hanno per noi. C'è poi la questione del libero arbitrio: Maria di Nazareth ha scelto o no di concepire il Cristo? Ci piacerebbe pensare di sì; ma se Dio l'aveva già creata senza peccato, la scelta non era in un qualche modo era già pilotata? (continua sul Post...)
Il papa che non voleva morire
22-10-2013, 04:11cristianesimo, pontefici, santiPermalink22 ottobre - Beato Giovanni Paolo II, superpapa (1920-2005)
A un certo punto della mia, della sua vita, io devo aver pensato che Karol Wojtyla, in arte Giovanni Paolo II, non sarebbe morto mai. Forse per mancanza di fantasia, dopo vent'anni la prospettiva di un altro papa, con un nome diverso, un diverso numero, mi sfumava nell'inverosimile. Un altro dopo di lui, ma chi? E perché? Del resto, bastava notare i progressi della scienza medica per farmi intravedere la singolarità: la vita media si allungava sempre più, sempre più organi e tessuti diventavano rigenerabili, certo sarebbe servito denaro ma per uno come GPII il denaro non era un problema. Invece il problema per un papa come lui era dire di no all'accanimento terapeutico: avrebbe potuto mai dire una cosa semplice, banale come "lasciatemi morire?" Non poteva, era GPII, le sue più profonde convinzioni lo condannavano a vivere per sempre. Sublime ironia: mentre la gente lo acclamava santo in vita, lui si sarebbe autoinflitto un esilio in terra; si sarebbe lasciato alimentare coi sondini finché tutto l'apparato nervoso non sarebbe diventato replicabile in laboratorio (ovviamente senza fare male a nessun embrione). Se poi col tempo fosse scivolato in una condizione di coma vigile, nessuno avrebbe potuto arrogarsi di scegliere per lui a ogni bivio tra la morte e una nuova terapia per conquistare qualche mese di vita: e così sarebbe sopravvissuto per millenni, ieratico e immortale vicario di Cristo, pronto a riaprire gli occhi e staccare le flebo nell'alba del giorno del giudizio. Alla Chiesa cattolica, raccolta in preghiera intorno al suo capezzale in terapia intensiva permanente, non sarebbe rimasto che nominare un vicario del vicario. A un certo punto io pensavo che sarebbe realmente finita così. Lo scrissi anche da qualche parte, per fortuna non mi lesse nessuno.
Dato che ovviamente mi sbagliavo. Un giorno qualsiasi, GPII sussurrò davvero l'inimmaginabile frase "lasciatemi tornare alla casa del Padre", e ci lasciò. La sua missione, abbracciata 35 anni fa - accompagnare la Chiesa nel terzo millennio - era abbondantemente compiuta. Ora magari verrà qualcuno esperto a spiegare, con dovizia di argomenti, perché quella sommessamente domandata da GPII e più recentemente dal cardinale Martini non sia da considerarsi un'eutanasia, mentre quella di Piergiorgio Welby sì. Mi si perdoni se qui la taglio un po' più corta: un sovrano non è soggetto alle stesse leggi dei sudditi, e GPII è stato la cosa più vicina a un sovrano che abbiamo avuto in Italia dal Quarantasei in poi - ma forse anche da prima. La sensazione che sopra ogni confusione e disastro, ci fosse comunque Lui, il sole indifferente che anche quando è nuvolo c'è: basta aspettare e prima o poi farà capolino da qualche parte nel cielo, ci farà sapere cosa pensa, pubblicherà un'enciclica, beatificherà un reggimento, stringerà le mani a qualche leader politico discutibile, dirà due paroline dal balcone contro la guerra o la fame... Anche chi malsopportava la Chiesa, Wojtyla non riusciva a odiarlo. Senza mai diventare quel tipo di papa piacione collaudato da Giovanni XXIII, ritentato da Giovanni Paolo Primo e ora rispolverato da Papa Francesco, GPII da un certo punto in poi divenne semplicemente troppo grande perché ci si potessero appendere le nostre polemiche quotidiane. Quel punto fu probabilmente il 13 maggio 1981, l'attentato a Roma, festa della Madonna di Fatima.
Fino a quel momento Wojtyla era stato un papa simpatico, coi suoi errori di pronuncia, persino un po' mondano, coi suoi voli transatlantici e la sua fissa per il nuoto. Un intellettuale, comunque, uno che ha studiato sul serio, e che si era ritrovato nel partito di Dio in uno dei pochi Paesi al mondo in cui era un partito d'opposizione, osteggiato dal regime. La più famosa vignetta di Andrea Pazienza fotografa quel momento particolare: un giovane papa a bordo piscina sorseggia un drink e si domanda: e se esistesse veramente? Ih! Mavvedi cosa vado a pensare. Qualche anno dopo una vignetta così sarebbe stata inimmaginabile. Il Wojtyla che avrebbe stretto la mano a Pinochet sarebbe stato vittima di scherzi anche più feroci, ma nessuno l'avrebbe più immaginato nell'atto di dubitare.
Ali Ağca cambiò le cose per sempre, anche se non nel mondo che aveva voluto lui (ma non sapremo mai cosa voleva davvero Ali Ağca). (Continua sul Post...)
Ignazio, che voleva farsi masticare
17-10-2013, 03:42cristianesimo, santiPermalink17 ottobre - Sant'Ignazio di Antiochia (35-107), martire divorato.
In seguito, a dar letta alle leggende, i leoni non avrebbero sempre pasteggiato volentieri coi cristiani; più volte avrebbero rifiutato di morderli (a gran scorno dei persecutori), come i loro antenati di Babilonia, i leoni che nella fossa avevano tenuto compagnia al profeta Daniele. Ma con Ignazio fu diverso. Ignazio, terzo vescovo di Antiochia, era il primo cristiano condannato ad bestias, e benché il guinness dei primati fosse molto in là da venire, a essere dilaniato pubblicamente dalle bestie del circo ci teneva in modo particolare. Lo scrisse anche in una lettera: muoio dalla voglia di morire masticato. Beh, no, non scrisse esattamente così. Però scrisse Sono il frumento di Dio, devo essere macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo, e così via. Dopo una preghiera del genere, i leoni non potevano che sbranarlo di gusto - sai che figura sennò.
Il desiderio di diventare "pane puro", e addirittura "ostia per il Signore" in altri secoli avrebbe destato più d'un sospetto d'eresia: va bene imitare il Cristo, ma di transustanziazione ce n'è una sola (la transustanziazione è la conversione dal pane al corpo e dal vino al sangue: per i cattolici ovviamente solo il corpo e il sangue di Cristo sono nella condizione di transustanziare). Ma a Ignazio si può concedere qualche incertezza nella messa a fuoco dei dogmi cattolici: è un pioniere. Forse allievo di San Giovanni evangelista, secondo successore di Pietro al soglio di Antiochia, Ignazio è il martire più famoso tra i "padri apostolici", quelli della generazione successiva agli apostoli, di cui non conosciamo granché. I bigliettini che indirizzò a varie comunità cristiane mentre lo portavano in catene a Roma sono un documento prezioso: in essi per la prima volta compaiono le parole "cattolico" e "cristiano". Un'ulteriore conferma della centralità di Antiochia, terza o quarta metropoli dell'Impero Romano, prima vera capitale del cristianesimo (oggi è una città turca ai confini della Siria). Sempre ammesso che i bigliettini siano autentici, e non siano stati scritti un po' dopo da qualche falsario di talento che voleva tappare i buchi.
Il dibattito sull'autenticità di Ignazio e delle sue lettere è annoso e irrisolvibile. Certo la Chiesa che Ignazio descrive sembra già un'organizzazione strutturata, con rapporti gerarchici abbastanza chiari tra vescovi presbiteri e diaconi. Forse era un po' troppo presto. Inoltre il martirio di Ignazio è un caso piuttosto isolato. Dopo la grande persecuzione di Nerone in occasione dell'incendio del 64, storicamente attestata da Tacito e Svetonio, non abbiamo martiri riconosciuti per quasi mezzo secolo. Sappiamo che il cristianesimo continua a essere mal visto da imperatori e prefetti; conosciamo lo scandalo del 95, quando l'imperatore Domiziano per liberarsi di alcuni famigliari che forse congiuravano contro di lui li accusa di ateismo, o secondo alcuni di cristianesimo (o secondo altri di ebraismo), ma è un episodio più simile a una purga dinastica che a una persecuzione di massa. Finalmente, nel 107, quarantatré anni dopo il martirio di Pietro e Paolo a Roma, a Gerusalemme viene crocifisso San Simeone e a Roma sant'Ignazio si fa masticare dai leoni, con soddisfazione che immaginiamo reciproca (continua sul Post...)
Che v'ha fatto Rosy B.
19-03-2013, 01:03cristianesimo, omofobie, Pd, ponteficiPermalinkA questa character assassination, come dicono gli inglesi, ha collaborato certo l'allegro tesoriere Lusi, ma nell'ultimo anno ci ha messo del suo anche la Bindi, che messa sotto pressione non ha reagito sempre nel modo migliore. Nel momento in cui il dibattito interno nel PD è diventato la rottamazione, pardon, la questione generazionale, la Bindi (senza essere affatto anziana) con alcune sue reazioni non compostissime ha dato diversi argomenti ai rottamatori. Però il mobbing collettivo nei suoi confronti parte da prima. E prosegue.
Anche ieri stavo pensando alla Bindi, quando ancora ignoravo l'exploit della parlamentare m5s che si vantava su Facebook di averla trattata con maleducazione in parlamento. Stavo discutendo con un commentatore che mi invitava a considerare quanto bene abbiano già fatto i m5s: senza di loro invece di Grasso e della Boldrini a presiedere le camere avremmo gente come D'Alema o la Bindi, t'immagini? D'Alema o la Bindi. Quando uno vuole esprimere in sintesi quanto male abbia fatto il centrosinistra in Italia, cita D'Alema o la Bindi. Io ero a tanto così da mettermi a spiegare distesamente perché entrambi sarebbero stati ottimi nomi, magari non simpatici ma molto competenti; senz'altro più di Grasso, che è un'ottima scelta ma dovrà presiedere un Senato senza nessuna esperienza in Senato. Per fortuna avevo di meglio da fare che difendere una causa persa. Giusta, magari, ma persa.
Su D'Alema tagliamola corta. Non mi è mai stato simpatico, non ci ha neanche provato. Ma non avrebbe potuto mai essere candidato a Camera o Senato, siccome non è stato eletto (non si era nemmeno candidato). Altro discorso il Quirinale, da cui però lo allontanano le nomine di due presidenti di centrosinistra. E infatti Grillo sta già chiamando a raccolta ai suoi contro la spaventosa eventualità: così se non si verificherà (come è probabile) potrà cantare vittoria e dimostrare la coesione dei suoi. Del resto, per come stanno le cose MD'A potrebbe farsi monaco, anche Zen, spararsi nello spazio con o senza capsula, seppellirsi in un letto di calcestruzzo sotto la fossa delle Marianne, non ha nessuna importanza. Qualche giornalista o blogger con l'aria saputa continuerebbe a spiegarci che dietro qualsiasi strategia del PD c'è dietro lui, un diabolico piano per diventare sempre più potente, come Goku, e fare dispetti a Vegeta, pardon Veltroni. È il modo in cui hanno scelto di raccontarcela e non sarà mica la realtà a farli cambiare idea, ci mancherebbe. D'Alema in realtà è stato un bravo ministro degli Esteri, ma ha comunque fatto tanti errori nella sua carriera (veramente troppi, considerate la sua intelligenza e la sua competenza) e se a questo punto la gente lo detesta non val la pena di spezzar lance, è andata così. Ma Rosy Bindi?
(Via Giornalettismo) |
Non solo gli abitanti della grillosfera, che alla maleducazione istituzionale sono stati, per così dire, pazientemente rieducati. Perché una persona x che vuole additare un piddino biasimevole, una volta su due sceglie l'ex ministro che varò la riforma della sanità, la politica cattolica che, in splendido isolamento, parlava di diritti alle coppie di fatto nel 2006? Ichino è una vittima del terrorismo perché una volta due tizi in una conversazione intercettata fantasticavano di dargli fuoco; la Bindi giovanissima rischiò la vita nell'attentato a Vittorio Bachelet, e di ciò non frega nulla a nessuno. Ce l'hanno tutti con Rosy Bindi. Ma non da tantissimo tempo: è una cosa degli ultimi anni, prima il personaggio godeva anche di una certa simpatia. Allora io purtroppo ho una teoria - meno di una teoria, diciamo un pregiudizio. Nulla mi leva dalla testa l'idea che dietro a questa aggressività sempre meno latente (se ormai spunta anche a Montecitorio), dietro a questo bullismo trasversale, ci sia dietro il solito maschio Alfa: Silvio Berlusconi.
È lui che ha iniziato. I bulletti odierni ovviamente non lo sanno - sono appena arrivati, e poi "non guardano la tv" - però si sa come vanno le cose nei corridoi: se sputano a Rosy come a una vecchia insegnante stronza è perché hanno visto i più grandi prima di loro sputare alla maestra stronza. E i più grandi, qualche anno fa, erano più piccoli e seguivano il Capo. È come con Angela Merkel, la culona inchiavabile. Che risate quando saltò fuori il bigliettino. Che indignazione, anche. Però... che risate. E poi col tempo, e con l'aggravarsi dello spread, anche chi fingeva di prendersela ha cominciato a convenire, nei banchi di dietro, che la tizia tanto chiavabile non fosse. Ahah. Silvio è il Bullo Primo: ridono tutti di lui, però alla fine lo copiano. All'inizio è insopportabile, poi ti ci abitui, poi lo trovi divertente, poi fa tendenza, poi governa per un ventennio, poi ti ritrovi bombardato ed è tutta colpa sua, noi non è che ci credessimo, noi, stavamo soltanto scherzando, noi.
Angela |
Ma quello è un altro discorso - la guerra tra la Bindi e i LGBT. L'aggressività di quest'ultimi, censurata pure da Ivan Scalfarotto, si potrebbe in parte scusare - dopotutto quella dei diritti civili è una battaglia sacrosanta - se qui non prevalesse la vecchia abitudine a giudicare le azioni dai risultati, e per ora l'unico risultato concreto di costoro è avere offeso Rosy Bindi, fine. Offendendo Rosy Bindi non hanno conquistato alla causa nessun cattolico, il che potrebbe essere un problema in un Paese in cui un Papa, qualsiasi Papa, gode di una luna di miele almeno biennale qualsiasi cosa faccia o dica, compreso Buonasera e Buon Pranzo. Se poi tra un Buona Notte e un Arrivederci ci infila anche un Niente Adozione ai Gay che Comunque Vanno All'Inferno, nessuno se la prenderà troppo. Del resto ora che il PD ha perso le elezioni, del fondamentale dibattito sui diritti civili non frega più niente a nessuno, visto che dei gay in Italia non frega niente a nessuno: l'unico servizio che rendono è mettere in difficoltà il partito ex comunista ed ex democristiano ogni volta che rischia di vincere le elezioni. Se poi Bersani o qualcun altro riuscirà a mettere in piedi un governo, senz'altro l'argomento tornerà d'importanza vitale: ma soltanto finché serve a creare tensioni in un partito che malgrado la robusta componente cattolica ha cercato faticosamente di mettere in agenda il problema.
Rosy Bindi è stata, nel 2006, la cattolica più coraggiosa d'Italia: ha messo il suo nome su una proposta di legge che ben pochi cattolici si sarebbero sentiti di controfirmare. Se la proposta fosse passata nel 2007, oggi le coppie omosessuali sarebbero riconosciute per legge. Non sarebbe stato tutto, ma sarebbe stato già qualcosa, e sarebbe successo sei anni fa. Oggi un eventuale dibattito partirebbe da posizioni molto più avanzate. Quel che è successo invece è che Rosy Bindi è diventata la vittima designata di un tiro al piccione, promosso da attivisti e da leader che piuttosto di procedere faticosamente per gradi, un po' per calcolo un po' per istinto (bullistico istinto) hanno preferito arroccarsi nel Tutto o Nulla, sperando che prima o poi le conquiste ottenute altrove in Europa vengano estese all'Italia per contagio. Va bene, è un calcolo.
A volte, non so, mi sembra più intelligente che bella. |
C'è una frase in particolare che ha consegnato la Bindi alla riprovazione universale, che ovviamente è possibile ritrovare sulla pagina di Wiki a lei dedicata (dove non c'è traccia del lungo affaire Di Bella, per esempio):
Il desiderio di maternità e di paternità un omosessuale se lo deve scordare. [...] Non sarei mai favorevole al riconoscimento del matrimonio fra omosessuali: non si possono creare in laboratorio dei disadattati. È meglio che un bambino cresca in Africa [che in una famiglia di omosessuali].La maggior parte dei cattolici la pensa così. Il Papa la pensa così - però è un tizio simpatico, vuol bene ai poveri e tifa anche una squadra di calcio, mica te la puoi prendere con lui poverino. Rosy Bindi, unanimemente condannata per aver considerato gli omosessuali genitori peggiori degli africani, ha solo messo la sua faccia sotto questo pensiero così scandalosamente non-contemporaneo. E per questo pagherà, sta già pagando. Da quel che mi sembra di ricordare il paragone tra gay e africani era stato proposto dall'intervistatore: il razzismo della risposta riflette quello della domanda. Per noi contemporanei, che riteniamo i gay assolutamente normali proprio in quanto gay (e cioè determinati dalla loro identità di genere), non ci può essere dubbio: l'Africa è un brutto posto, l'Europa un luogo migliore (dove infatti i diritti dei gay sono riconosciuti), e quindi dire, o anche solo pensare che un bambino africano possa vivere meglio in Africa che in una famiglia gay, è blasfemo. La pensiamo così (anch'io tutto sommato la penso così), è la nostra religione.
Rosy Bindi non la condivide. Per lei si può vivere una vita piena in Europa come in Africa; la differenza non la fa il PIL pro capite, la speranza di vita media, né il rispetto di cui godono le minoranze. I cattolici credono in una vita eterna, e subiscono il mito sempre vivo delle missioni, dove si vivrebbe una fede più pura. Insomma hanno altri parametri, tra cui c'è l'avere un padre e una madre, anche poveri, anche africani; per la Bindi è meglio. La pensa così. E lo dice. Milioni di persone in Italia la pensano così. Se vogliamo ottenere qualcosa, dovremo chiederlo a quei milioni di persone, attivare un dialogo - o aspettare che invecchino, ma salta invece fuori che si riproducono di buona lena. A questo dialogo Rosy Bindi era disponibile. Non avrebbe mai concesso matrimonio e diritto di adozione, ma intanto riconosceva il problema, e ci mise la faccia. L'ha persa.
Alla fine non è così difficile capire perché ce l'hanno con lei. È sola. Rappresenta un progressismo cattolico ormai scomparso dalle parrocchie. Gli altri cattolici non la riconoscono quasi più tale. I non cattolici non capiscono che senso abbia discutere con lei. Probabilmente non ha davvero più senso, è rimasta isolata, in ostaggio di progressisti che a loro volta sono circondati da reazionari. La gente questa cosa non la capisce, la gente la fiuta. Sente l'odore della preda facile, si eccita e accorre in frotta. Siamo fatti così, nasciamo così e a quanto pare abbiamo il diritto di comportarci così.
Rosy Bindi ha anche fatto cose giuste e importanti, ma ormai non ha senso ricordarle. Non ha senso perder tempo a spezzar lance, se ci tieni alla carriera. È spacciata. Per intestardirsi a difenderla bisogna essere dei cagacazzo di bastian contrari senza arte né parte, che non hanno mai capito come si salta sul carro giusto. Presente.
Ma sentiamo adesso la nostra amica stragista
14-01-2013, 17:40aborto, cristianesimo, preti parlanti, religioniPermalinkNon solo. A differenza di tanti banali esecutori, la Bonino non ha eseguito ordini che provenivano da qualche autorità superiore, ma tutti quegli omicidi li ha commessi in piena coscienza, rivendicandoli a testa alta, al punto di auto-accusarsi all'autorità costituita, quando abortire in Italia era illegale ma lei aveva già fondato il Centro di sterilizzazione e di informazione sull'aborto. In seguito abortire ha smesso di essere un reato, anche grazie a lei, ma i cattolici non hanno cambiato idea e non c'è nessun motivo al mondo per cui la debbano considerare con occhi diversi da quelli con cui la guardavano nel 1975: una lucida assassina seriale che non si è mai pentita, anzi che rifarebbe esattamente tutto. Per questo immaginarsi un prete che accolga Emma Bonino nella sua chiesa durante le esequie di Mariangela Melato, e che le ceda il microfono per un breve discorso, è una di quelle fantasie che possono venire soltanto a uno che in Italia ci venga di passaggio ogni tanto, e sia convinto che gli edifici coi campanili siano una cosa folkloristica gestita da impiegati comunali con buffi abiti tradizionali.
Chi in Italia viceversa ci abita davvero, e con gli italiani ci discute un po', persino coi preti, non è che possa sorprendersi più di tanto: sul serio, questa cosa dell'aborto=omicidio non è uno scherzo, una boutade che si dice ogni tanto per darsi un tono: non mi è mai capitato di sentire un cattolico che non ne sia convinto. Quelli che smettono di crederci di solito smettono anche di essere cattolici, perché da trenta, quarant'anni a questa parte l'opposizione a qualsiasi forma di aborto è diventata un cardine della dottrina pratica della chiesa. Sarebbe interessante discutere del perché sia successo questo, dato che nelle Scritture di aborto non si parla e anche i Padri della Chiesa per lo più se ne disinteressano; a mo' di curiosità si potrebbe ricordare che per secoli il filosofo ufficiale della Chiesa è stato Tommaso d'Aquino, per il quale la vita non aveva inizio col concepimento: sarebbe interessante e qui ogni tanto si tenta di farlo, ma oggi prevale la sorpresa per l'unanime sdegno con il quale si commenta la notizia: non hanno fatto parlare Emma Bonino in una chiesa! Ma perché, povera Emma, cos'avrà mai fatto di male. Ecco, a mo' di ripassino citerei il blog di un consigliere pidiellino del Lazio:
Se ogni politico nasconde qualche scheletro nell’armadio, Emma Bonino cela un cimitero di 10 mila bambini non nati e da lei spesso personalmente eliminati con una indifferenza orgogliosa e agghiaccianteSiete liberi di trovare la cosa assurda; ma di stupirvi francamente no. I cattolici queste cose le dicono a voce alta, da parecchio tempo: se non siete d'accordo magari non sposatevi in chiesa, e chiedete che il vostro corteo funebre non parta da una chiesa. Io in coscienza non ritengo che l'aborto sia equiparabile a un omicidio; non mi sono sposato in chiesa e quanto al mio corteo funebre chi ci sarà farà un po' come gli pare, io quel giorno avrò altri impegni. Ma scandalizzarsi del fatto che un'organizzazione privata (la Chiesa) non lasci parlare dai suoi microfoni una persona che ritiene sua feroce avversaria (Emma Bonino) è secondo me indizio di una certa confusione su cosa la Chiesa sia. Non è un ente governativo, non gestisce edifici pubblici, gli officianti non sono pubblici ufficiali; perlomeno non dovrebbero esserlo, e chi è laico dovrebbe preoccuparsi vivamente che nessuno faccia confusione. Proprio perché si ritiene che la Chiesa debba essere trattata come un soggetto privato, e che debba pagare tutte le sue tasse esattamente come qualsiasi altra organizzazione privata, senza trattamenti di favore. Gli edifici di culto appartengono ai preti: decidano loro chi è ben accetto e chi no, chi può parlare e chi no, esattamente come a casa nostra entra e parla solo chi invitiamo noi. E in cambio di questa riconosciuta autonomia, la libera Chiesa paghi al libero Stato tutte le sue tasse - comprese quelle che servono a finanziare consultori e a continuare l'opera intrapresa da Emma Bonino nel 1975: visto che nel frattempo anche grazie a lei noi cittadini italiani abbiamo deciso a maggioranza che abortire non è una colpa, non è un reato, e che si deve essere liberi di farlo nel modo meno doloroso possibile, senza le pompe da bicicletta che la Bonino era costretta a usare.
Dico un'ultima cosa. Proibendo a Emma Bonino di parlare, il prete le ha reso onore: ribadendo la coerenza della Chiesa, ha riconosciuto anche la coerenza dell'attivista pro-aborto. Molto più di tutti quelli che in queste ore si stanno stracciando le vesti non si capisce esattamente in base a quale sistema di valori, forse di un generico Volemosebbène che dovrebbe scattare ogni volta che muore qualcuno, e ci togliamo i nostri panni ideologici e ci abbracciamo tutti in un'unica grande chiesa da Che Guevara a madre Teresa. Vaffanculo, no, questa cosa non esiste: per i cattolici chi pratica gli aborti va all'inferno e ci resta. Tenetevelo un po' in mente, e fatevi seppellire di conseguenza.
Buon anno col prepuzio o senza
01-01-2013, 12:59anniversari, Bibbia, corpo, cristianesimo, Cristo, ebraismo, feste, religioni, santiPermalinkFingiamo di lavorare in una cancelleria un trentun dicembre del millequattrocentoquarantanove - quasi millequattrocentocinquanta. Il vostro principe si sposa e voi dovete mandare biglietti di inviti a tutte le corti d'Europa. La data - il primo marzo - dovrebbe corrispondere in tutto il continente; non è ancora arrivata la riforma gregoriana a complicare le cose. Ma l'anno qual è? Eh. Dipende.
Se scrivete a qualche signore di Firenze, o a un pari d'Inghilterra, è ancora il primo marzo del '49: da loro il capodanno si festeggia il venticinque marzo. In fondo ha un senso, visto che gli anni si celebrano dalla nascita di Cristo, e per i cristiani la vita comincia col concepimento... Se però invitate anche qualche dignitario di altre città toscane, come Pisa, attenzione: da loro è già il primo marzo 1450. Pure a Pisa capodanno è il 25 marzo, ma dell'anno prima: anche questo se ci pensate ha un senso, se Gesù nasce il 25 dicembre, deve essere concepito nove mesi prima, non tre mesi dopo. Anche per i veneziani sarà già il 1450, non potete sbagliare: loro festeggiano il capodanno proprio quel giorno lì, il primo marzo. Per i bizantini, i pugliesi e i sardi invece è ancora il '49, e continuerà a essere il '49 fino ad agosto - e anche questo, se ci pensate, ha un senso, anzi forse nel torrido mediterraneo è la cosa che ha più senso di tutte: l'anno vero comincia il primo settembre. In Spagna è già il '50, con loro tutto sommato non si sbaglia mai, basta ricordare che l'anno comincia una settimana prima, il 25 dicembre. Il vero problema è se scrivete ai reali di Francia. In Francia infatti gli anni si contano dalla Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore, e anche questo potrebbe avrebbe un senso (ma non bisognerebbe detrarre 33 anni al computo?) non fosse per la complicazione che ogni anno la Pasqua cade in un giorno diverso. Che razza di casino. Perché? Possibile che per arrivare a sincronizzare i capodanni dell'Europa Occidentale abbiamo dovuto aspettare fino al Settecento? Come potevano resistere i nostri antenati, a tutta questa confusione e incertezza?
Resistevano benissimo. Avevano altre priorità: la maggior parte di loro nasceva viveva e moriva nello stesso luogo; la necessità di intendersi con i forestieri su curiosità come la numerazione dell'anno in corso non li toccava. Siamo noi a vivere l'ossessione della simultaneità, a sentirci obbligati a festeggiare tutti negli stessi giorni se non negli stessi minuti e secondi, con dirette sincronizzate da orologi atomici. L'incubo dell'Anno Mille come ce lo racconta Carducci, con le folle terrorizzate dall'arrivo del primo gennaio manco fosse l'apocalisse maya, "raccolte in gruppi silenziosi intorno a’ manieri feudali, accosciate e singhiozzanti nelle chiese tenebrose e ne’ chiostri", è una bufala ottocentesca: la maggior parte degli europei non aveva la minima idea di che anno fosse. Era il tot anno dalla nascita del tal re o imperatore o papa o figlio maschio o vacca da latte; per sapere quanti anni fossero passati dalla nascita di Gesù bisognava chiedere al prete, lui teneva il conto. Forse.
Comunque già alla fine del Seicento la diffusione del nuovo calendario gregoriano portò la maggior parte delle corti europee a uniformarsi (Venezia si arrese soltanto un secolo dopo, con Napoleone) e adottare il calendario che comincia il primo gennaio, secondo quello che è chiamato "stile della circoncisione". Infatti se assumiamo che Gesù sia nato il 25 dicembre, il primo gennaio è il giorno in cui secondo la legge ebraica sarebbe stato circonciso. Dunque noi non contiamo gli anni dalla nascita di Gesù (25/12) né dalla sua procreazione/incarnazione (25/3), ma dal momento in cui è diventato a tutti gli effetti un ebreo. Il primo gennaio è poi diventato ben presto anche il giorno della festa di Maria madre di Dio, ma il sospetto è che sia stato un espediente per dissimulare una verità ovvia quanto imbarazzante: Gesù era un ebreo. Circonciso.
I cristiani invece non sono circoncisi - la maggioranza, almeno (continua sul Post, buon anno a tutti col prepuzio o senza, e anche chi il pene proprio non ce l'ha. Che non è che si perdano 'sta gran cosa, diciamocelo).
Stefano il saccente
26-12-2012, 14:17cristianesimo, ebraismo, religioni, santiPermalink[Si legge completo qui].
O poesia della festa di Santo Stefano, fragrante di panettone secco e citrosodina. Festa di cinture slacciate, di avanzi riscaldati, di cartacce che frusciano sul pavimento - appena ieri erano involucri preziosi, contenevano la Magia del Natale, adesso aspettano il camino o la differenziata. Eppure testimoniano che qui passò una Festa di quelle importanti, di quelle che ti servono a segnare il tempo, per sempre il 2012 sarà quell'anno in cui a natale lo zio rovesciò lo champagne sul vestito nuovo della tua fidanzata ma non importa, è Santostefano, chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, anzi no ci sono ancora degli antipasti da ieri, qualcuno vuole degli antipasti? E sbafiamoci pure questi volovòn - no, aspetta, ci stanno le cozze. Nessuno poi si ricorda cos'ha fatto a Santostefano.
Che forse è il giorno più bello dell'anno, proprio per questo. Un giorno di crapula, postumi e oblio. È andata, non dovrai più preoccuparti di pacchetti e pensieri e presenti, e certi parenti molesti non si ripresenteranno più almeno per altri 364 giorni. Da qui in poi è in discesa - è vero che bisogna ancora sorpassare quella notte incresciosa in cui bombardano i cassonetti - ma il più è fatto. Eppure l'anno nuovo coi suoi fardelli sembra ancora lontano, lontano, quasi una settimana di distanza; e se sei ancora uno studente la Befana è lontanissima, c'è tutto il tempo per farsi venire la nausea da playstation. Santostefano, secondo me, per la maggior parte di chi lo festeggia non esiste, non sanno nemmeno che si chiama così. Non hanno mai smesso veramente di mangiare, magari allo stesso tavolo, oppure stanno videogiocando ininterrottamente da venti ore, in tv fanno ancora roba natalizia, e chi sarebbe 'sto Stefano poi.
Un piantagrane, un classico martire saccente, di quelli che vogliono spiegare tutto a tutti e presto o tardi si mettono nei guai. Nel suo caso prestissimo: Stefano è il primo martire in assoluto. Subito dopo Gesù, forse appena un anno dopo, tocca a Stefano, che potrebbe non averlo mai conosciuto, ma si fa comunque ammazzare in suo nome. La maggior parte dei laici in hangover natalizio semplicemente lo ignora, ma anche i veri praticanti - e da poche cose li riconosci come dal fatto che hanno messo la sveglia per andare a messa pure a santostefano - restano talvolta un po' perplessi. Hanno ancora nelle orecchie gli inni di Natale, gli angeli e i pastori e la mangiatoia (e i Magi non sono ancora arrivati), e invece il 26 è tutta un'altra storia, dal sapore tipicamente pasquale, un processo al sinedrio, un martirio... una piccola pasqua, all'indomani del Natale. Non è chiaro esattamente come mai sia andata così. Né il Natale, né il martirio di Santo Stefano sono date storiche: Iacopo da Varazze ricorda che in un primo momento la passione del Santo si festeggiava nello stesso giorno dell'"invenzione", cioè del ritrovamento delle reliquie (3 agosto); poi si decise di spostarla in dicembre, anche per separare la commemorazione dello Stefano storico da quello prodigioso che, disseminato in mille santuari (tra Venezia e Roma dovrebbero esserci almeno due corpi, in tutto cinque braccia se si aggiunge quello custodito a Capua), aveva ovunque sbalordito con miracoli spettacolari.
Lo Stefano del ventisei dicembre invece è probabilmente un ragazzino meno prudente dei suoi compari, che si fa beccare mentre dice cose molto blasfeme sulla religione degli ebrei (a Gerusalemme, in quegli anni, non era veramente il caso). Condotto al tribunale religioso, il Sommo Sinedrio, invece di rimangiarsi i suoi discorsi su Gesù Cristo distruttore di templi e sovvertitore di costumi, conferma ogni cosa, ma con dovizia di citazioni bibliche allo scopo di dimostrare che Gesù è il Cristo, che in ebraico sta per Messia. Ora, vuoi far arrabbiare un ebreo? Mettiti a spiegargli la Torah. Quelli impazziscono di rabbia, nei modi molto teatrali in cui era necessario farlo all'epoca: digrignano i denti, si tappano le orecchie, prorompono in grida altissime. Ma non si stracciano le vesti. Con Gesù si erano stracciati le vesti, con Stefano no, forse si era capito che l'eresia gesucristiana rischiava di durare parecchio e non ci si poteva permettere una veste nuova a ogni processo. (continua sul Post)
Il Santo che sapeva leggere, persino
07-12-2012, 13:46cristianesimo, lingue morte, santiPermalink[Si legge intero qui]
In certe giornate di giugno, non potendo fare diversamente, mia madre mi caricava in macchina e mi portava con sé al lavoro, nella scuola materna che pochi anni prima avevo frequentato anch'io. Ero già più alto e robusto dei suoi alunni, e disponevo di tutto il necessario per sbulleggiarli, tranne l'inclinazione. Me ne stavo per lo più seduto su una panca, o un gradino, o un'altalena, a leggere qualcosa - era incredibile quanti libri ci fossero in un istituto per non alfabetizzati, ed era tutta roba di qualità, i classici, Rodari Lodi Calvino. A volte leggevo ad alta voce ai bimbi che me lo chiedevano peffavore, altre volte uno di loro veniva a chiedermi cosa stessi facendo, senza nessuna ironia: perché me ne stavo impalato davanti a quelle pagine senza leggerle? Dopo il mio iniziale stupore, mi ero rassegnato a spiegare ogni volta l'arcano.
"Sto leggendo con gli occhi".
"Eh?"
"Non c'è bisogno di parlare quando si legge. Si può fare anche solo con gli occhi".
"Cioè tu stai leggendo?
"Eccerto".
"Non ci credo. Dimmi cosa c'è scritto qui".
"Schiaccia il piede Cipollone / al gran principe Limone".
"Ma come fai?"
"Ma niente, è facile, alle elementari lo insegnano anche a te vedrai".
"Ma la maestra..."
"Anche la maestra sa leggere con gli occhi se vuole. Usa la bocca solo per leggere le fiabe a voialtri analfabeti".
"MAESTRA! TONDELLI MI A DETTO ALFANABETA!"
Giuro, mi chiamavano Tondelli già all'asilo.
Quando penso ad Ambrogio mi vengono sempre in mente quelle giornate di giugno in cui per la prima volta mi sentivo un grande in mezzo ai piccoli; uno che sa fare senza difficoltà qualcosa che loro nemmeno riescono a immaginare. Forse Ambrogio si è sentito così tutta la vita, l'unico adulto di tutta Milano, di tutto l'impero. Nelle sue Confessioni Agostino riporta, sbalordito, un dettaglio illuminante: Ambrogio sapeva leggere senza parlare, senza nemmeno muovere le labbra! Ma perché faceva così? Forse, riflette Agostino (certo non l'ultimo arrivato, anzi un famoso docente di retorica, uno specialista della parola orale e scritta), forse era un modo per non affaticare le corde vocali, stressate dalle continue prediche e orazioni. Si direbbe che al più grande intellettuale e scrittore del quinto secolo sfugga la semplice evidenza che leggere con gli occhi è il modo più spiccio. Quindi, insomma, i contemporanei di Agostino e Ambrogio non sapevano leggere in silenzio. Forse non era sempre stato così, per esempio Plutarco rappresenta sia Alessandro Magno sia Giulio Cesare nell'atto di leggere in silenzio almeno dei brevi biglietti. Magari verso il quarto secolo la qualità delle scuole era calata drasticamente: non possiamo saperlo perché non c'erano ancora le ricerche Ocse o Invalsi (continua sul Post)
Odino + Turchia = Babbo Natale
05-12-2012, 18:42cristianesimo, feste, miti, santiPermalink6 dicembre - San Nicola vescovo (270-343), taumaturgo, portatore di doni, icona postmoderna
Il santo più popolare del calendario non è Pietro. Lui ha solo la basilica più grossa, e in molte vignette fa il portiere, ma diciamo la verità, non lo invocano in tanti San Pietro. Anche Paolo, e sì che tutta la baracca del cristianesimo in fondo l'ha messa in piedi lui, ma i teologi non sono mai veramente popolari. Non è padre Pio, perlomeno non ancora; Wojtyla il suo quarto d'ora l'ha già avuto; il santo più popolare del calendario, a pensarci bene, dovrebbe essere la Madonna: cioè non c'è gara, pensa solo a quante feste e quante apparizioni, e icone, statue, quadri e tondi - ma proprio mentre sto per dichiarare chiuso il televoto, mi assale un dubbio: la Madonna sarà pure la diva di Lourdes e Loreto, ma quante letterine riceve? C'è un santo che ne riceve tutti gli anni da ogni angolo del mondo, un santo venerato persino dove i cattolici non hanno mai veramente preso piede - in Russia, negli USA, in Turchia - un santo che i bambini imparano a pregare e ad aspettare assai prima di frequentare catechismo. Un santo che da solo nel 2006 riceveva il 90% di tutta la posta recapitata in Finlandia, non male per uno che in Finlandia non c'è mai veramente stato. Quel santo è, ovviamente, Babbo Natale. Cioè Santa Klaus, Sinterklaas, San Nicola. Il vescovo di Myra (Licia), nato a Patara (Licia). Ma dov'è la Licia? Oggi è in un angolino della Turchia in basso a sinistra, ma per molto tempo ha fatto parte del mondo greco, poi romano, poi bizantino. Il modo in cui un vescovo dell'epoca costantiniana sia diventato, in seguito a un complicato sovrapporsi di immagini e racconti, il testimonial della Coca-Cola e il portatore di doni più famoso di tutti i tempi, meriterebbe un libro a parte. Che probabilmente è stato già scritto. Facciamo finta di averlo letto e tracciamone un agevole riassunto.
Antefatto. Nelle lunghe, lunghissime notti antecedenti al solstizio d'inverno, i barbari dell'Europa centrosettentrionale intrattengono e blandiscono i bambini raccontando di Odino, il Dio guercio che cavalca nella notte in testa al suo corteo di demoni. Di uscire di casa quindi non se ne parla, ma se si lascia qualche carotina sul davanzale per Sleipnir, il cavallo a otto zampe di Odino (sulla cui origine incestuosa è meglio sorvolare), e poi si va a letto presto senza fare capricci, Egli lascerà qualche leccornia, o un regalino: balocchi di legno intagliato, noccioline, calze di lana, roba del genere. Le farà passare dal camino. Ma bisogna dormire o almeno tenere gli occhi ben chiusi, Odino mai e poi mai vorrebbe essere sorpreso mentre si intrufola nel nostro camino. Tutto chiaro fin qui? Ora cambiamo drasticamente latitudine.
Dà la vertigine pensare che, a differenza di altri santi popolarissimi, Nicola è realmente esistito, in un mondo diversissimo dal nostro, un mondo senza coca-cola e panettone, ma un mondo non immaginario. Eppure è abbastanza probabile che ci sia stato un vescovo, contemporaneo dell'imperatore Costantino, che si distinse per la condotta irreprensibile, lo zelo con cui difendeva i bisognosi, e perché no, i regali. Era probabilmente il rampollo di una locale famiglia facoltosa, e la carica di vescovo se l'era guadagnata a suon di donazioni. L'impero romano era una formidabile macchina militare e burocratica senza nessun welfare state, niente mutua, niente assicurazioni, la pensione solo ai militari. La Chiesa nasce anche per colmare questa lacuna: i cristiani più ricchi donano del loro alla collettività, e ricevono in cambio ruoli e titoli di prestigio.
In uno dei miracoli di più antica circolazione, Nicola salva tre fanciulle bellissime che il padre, ridotto in miseria, aveva ormai destinate al meretricio. Il metodo con cui Nicola risolve il problema è degno di nota: nottetempo getta attraverso le finestre dei sacchetti pieni d'oro, e scompare. Da buon cristiano non cerca ricompensa sulla terra per le buone azioni che commette. Dei tanti aneddoti riferiti a lui, non è solo il primo riportato nella Legenda Aurea (libro un po' noioso, la maggior parte dei lettori si ricorda solo le prime pagine di ogni capitolo), ma è anche il primo in cui a Nicola sono associati dei sacchi. Al terzo lancio il padre delle ragazze, rimasto sveglio per curiosità, riuscirà finalmente a sorprendere lo strano ladro all'incontrario. Il vescovo gli ordinerà di non fare il suo nome, i regali devono restare un segreto (qualcosa non deve essere andata per il verso giusto, visto che 1700 anni dopo siamo ancora qui a parlarne) (continua sul Post, Ho! Ho! Ho!)
Il cardinale e la patata (e la peste)
04-11-2012, 03:22cristianesimo, preti parlanti, santiPermalinkSan Carlo scampa all’attentato (Giovanni Battista della Rovere, detto il Fiammenghino). |
Nella notte del 26 ottobre 1569, mentre è assorto in preghiera nella cappella dell'arcivescovado, Carlo Borromeo ode un improvviso fragore, e sente all'improvviso una percossa in un osso del filo della schiena. Qualcuno ha appena cercato di ammazzarlo con un colpo di archibugio alle spalle: eppure il medico subito accorso non trova nessuna ferita. Le decine di testimoni presenti alla scena non sono in grado di fermare il tizio vestito di nero che, di tutti i luoghi pubblici in cui si poteva appostare, ha scelto quel piccolo luogo raccolto, la tana del lupo. C'è da dire che gli archibugi del sedicesimo secolo non sono precisi come i fucili che abbiamo in mente noi; che caricarli è un'impresa complicata e rumorosa, tanto quanto è difficile prendere la mira in un'oscurità appena attenuata dalle candele; e tuttavia per mancare da così vicino le possenti spalle del cardinale ci voleva davvero un colpo di sfortuna, o se preferite un miracolo. Il trentunenne Borromeo era alto un metro e ottanta, un discreto armadione in un secolo di comodini. Fino a quel momento lo avevano chiamato santo solo i beghini del suo nutrito entourage; da lì in poi i milanesi cominciarono a crederci. Direi, ma posso sbagliare, che il Borromeo sia il primo santo scampato a un attentato con arma da fuoco, cinque secoli prima di Wojtyla. Se ancora oggi non siamo sicuri dei mandanti di Ali Ağca, figuriamoci quante certezze possiamo avere su un attentato di 500 anni fa, in un periodo in cui tutte le inchieste erano falsate dall'abitudine a torturare i sospetti finché non confermavano le tesi dell'accusa. Chi poteva desiderare la morte di Carlo Borromeo?
Un po' tutti. I protestanti italiani rifugiati in Isvizzera, a cui il cardinale - che chiamavano "Lupo Borromeo" - dava una caccia spietata, bruciandone un po' a ogni cosiddetta visita pastorale. Gli abitanti della Valle delle streghe, nei Grigioni, purificata con un rogo collettivo in cui il suo luogotenente ne gettò tra le fiamme almeno undici. I canonici di Santa Maria alla Scala, che per difendere le prerogative reali si erano appena difesi da un attacco dei fedelissimi del cardinale sguainando le spade. Il governatore spagnolo, il primo dei tre che il Borromeo esasperò, scavalcandoli in continuazione, scomunicandoli di tanto in tanto, forte degli amici a Roma e a Madrid. Gli ebrei di Milano, per i quali, prima di espellerli dalla città, il Cardinale aveva proposto un sistema di riconoscimento molto avanti coi tempi, un contrassegno giallo da portare dappertutto. I milanesi qualunque, a cui il Cardinale aveva tolto una gran quantità di divertimenti anche innocui, come sbirciare le ragazze in chiesa, dividendo le navate con alti paraventi. Qualche altro cardinale senza scrupolo, ansioso di fare un po' di spazio tra i più probabili candidati al Sacro Soglio. A pensarci bene, ci poteva essere la fila quella sera in arcivescovado per sparare alle possenti spalle del cardinale. Di tutti i possibili attentatori, però, quelli che avevano più da perdere - e da far guadagnare alla Curia - erano gli Umiliati (continua sul Post...)
Come molti alti prelati, il Borromeo era secondogenito. Nei resoconti biografici il fratello maggiore Federico rischia sempre di passare per un coglione. Diciamo che Federico (da non confondere dal più giovane cugino Federigo, quello dei Promessi sposi) non fece in tempo a realizzare le proprie potenzialità, mentre già a vent’anni il fratellino lo esautorava di fatto, contrastando in vece sua l’occupazione spagnola della rocca di Arona, proprietà di famiglia. Chi dei due fosse l’eminenza grigia era insomma già chiarissimo quando nel ’59 lo zio Giovan Angelo Medici viene eletto papa col nome di Pio IV. Entrambi, tuttavia, vengono immediatamente chiamati a Roma a godere della cuccagna. Federico si sposa quasi subito con la duchessa d’Urbino; al secondogenito, fresco di laurea in diritto, tocca invece come d’uso la carriera ecclesiastica: viene praticamente nominato cardinale prima ancora di essere ordinato sacerdote. Non lo era ancora diventato nel 1562, quando la dolce vita si interrompe bruscamente: il fratello muore di una banalissima febbre, lasciando una vedova diciottenne che, a detta di tutti i parenti e i sodali, a questo punto dovrebbe risposarsi con Carlo. Lo stesso papa sembra considerarla la situazione più logica, salvo che Carlo proprio non vuole. Più che la responsabilità di portare avanti la famiglia, più che la perdita di un collegio cardinalizio e del bel zuccotto di porpora, è forse la duchessa diciottenne a bloccarlo. Per tutta la vita si vanterà di non avere mai rivolto la parola a una donna in assenza di testimoni. Cominciò a digiunare, per quanto gli permetteva il fisico non esile; smise di ostentare le proprie ricchezze, licenziò ottanta servitori in una botta, creando probabilmente una crisi occupazionale. Fece il possibile per dimostrare di avere la stoffa da santo, e in pochi mesi la spuntò: nel 1563 lo zio papa lo consacrò definitivamente cardinale e prete. Aveva 26 anni, e in nome dello zio stava portando a termine i lavori del Concilio di Trento.
Il Borromeo per la verità fece qualcosa di più che aprire e chiudere le ultime sessioni: le mise in pratica. In particolare la penultima, che rafforzava i privilegi (ma anche i doveri) dei vescovi e istituiva la pratica delle visite pastorali. Non era la prima volta che la Chiesa romana si dava nuove regole chiare e definite; non era la prima volta che regole del genere rimanevano lettera morta. Ma una volta terminati i lavori, il Borromeo si ricordò che lo zio lo aveva nominato arcivescovo di Milano. Era un titolo come tanti, come principe di Galles per Carlo, nessuno si aspetta che lui viva davvero in Galles, e nessuno si aspettava che il nipotino del Papa a Milano ci andasse davvero. Erano decenni che la città campava senza un arcivescovo stanziale, e nessuno sembrava lamentarsene. Ma Carlo aveva capito che il suo posto era là, in quella metropoli padana che in venti secoli non è mai riuscita a essere capitale di niente di definito, e che ogni tanto forse per ripicca riscopre un’anima arcigna, teocratica. All’opposto di Roma, che si era fatta cattolica per continuare a essere in un qualche modo il capo dell’universo mondo, per Milano tornare a Dio significa chiudersi al mondo e riscoprire in profondità sé stessa, nelle vecchie ossa dei suoi martiri misteriosi, Gervasio e Protasio, tornare agli anni di gloria in cui Ambrogio regnava e non faceva entrare nemmeno l’imperatore Teodosio. Un santo non poteva regnare a Roma, a Milano sì. A Milano Carlo Borromeo arriva nel ’65: forse la prima cosa che vede è un’incisione oscena che campeggia su porta Tosa (oggi Vittoria), una donna che lo accoglie a gambe divaricate: una prostituta? La moglie di Federico Barbarossa ritratta a pube rasato per spregio? Le leggende si sprecano, l’unica cosa certa la scoprì il Borromeo ordinandone l’immediata rimozione: era stata scolpita su una pietra tombale romana. A essere deposto col fregio della Tosa è tutto un medioevo carnascialesco e beffardo, che la Controriforma sta mettendo definitivamente in cantina. Il cardinale castissimo si adopera affinché preti frati e religiose osservino finalmente, se non la castità, almeno il celibato; introduce le grate perforate nei confessionali, innalza barriere tra navate maschili e femminili nelle chiese, fa il possibile per contrastare balli, giuochi a carte e a pallone; più volte mostra di ignorare la separazione tra Stato e Chiesa, incarcerando chi gli pare, per esempio con l’accusa di adulterio e concubinato; e in mezzo a tutto ciò si conquista la fiducia di milanesi e brianzoli, donando a piene mani quello che nel frattempo rosicchiava da qualcun altro – dagli Umiliati, per esempio.
In giro per Milano, sotto un cielo sempre nero.
La peste di Milano è l’esempio più efficace della difficoltà che abbiamo, a cinque secoli di distanza, a dare un’immagine coerente di San Carlo. Siamo prigionieri di due narrazioni di parte: per i beghini, anche di spessore, Carlo diede in quell’occasione la dimostrazione di cosa deve fare un uomo di Chiesa e un vescovo in particolare: donare e donarsi, sprezzante dei rischi personali, con abnegazione ma anche con organizzazione, gestendo gli aiuti e sostituendosi allo Stato che in certe situazioni, guarda caso, non c’è mai, chissà perché. Ma per fortuna c’è la Chiesa, per fortuna c’è Carlo che provvede. È quella che i teocrati milanesi di oggi chiamano “sussidiarietà”: dove lo Stato non arriva ci pensa la Compagnia, per cui è una fortuna che lo Stato non arrivi quasi mai a combinare nulla di concreto. Nel caso della peste lo Stato si adopra così poco, e Carlo così tanto, che l’epidemia viene onorata del suo nome, e ancora oggi la si chiama “peste di San Carlo”.
Tanto è forte la carità! Tra le memorie così varie e così solenni d’un infortunio generale, può essa far primeggiare quella d’un uomo, perché a quest’uomo ha ispirato sentimenti e azioni più memorabili ancora de’ mali; stamparlo nelle menti, come un sunto di tutti que’ guai, perché in tutti l’ha spinto e intromesso, guida, soccorso, esempio, vittima volontaria; d’una calamità per tutti, far per quest’uomo come un’impresa; nominarla da lui, come una conquista, o una scoperta.
Avrete senz’altro riconosciuto don Lisander. Per i suoi detrattori, la peste merita ugualmente di essere chiamata di San Carlo perché senza di lui probabilmente sarebbe durata molto meno: senza la sua mania di convocare oceaniche processioni, formidabili occasioni per la diffusione del morbo, ci sarebbero state assai meno vittime, assai meno occasioni per dimostrare l’abnegazione del cardinale. Va bene, per l’epidemiologia era ancora molto presto, ma l’osservazione che le adunate di popolo facilitavano il contagio era già condivisa da dotti e sapienti, e Borromeo se ne fregava: aveva il suo Sacro Chiodo da far sfilare, tra i mucchietti di vittime del giorno; e se non avesse funzionato, si poteva pure bruciare qualche untorella.
Quando con l’inasprirsi della carestia tutte le famiglie abbienti, già gravate da pesantissime imposte, si dissanguano per sfamare migliaia di miserabili affluiti a Milano dalle inaridite campagne, l’esentasse san Carlo, l’uomo più ricco della città, volta la schiena all’esterrefatto messo comunale incaricato della colletta, che bruscamente riaccompagnato alla porta dai valletti arcivescovili, annota sulla lista tramandataci, fittissima di nomi e cifre, sotto il nome di Carlo Borromeo: “Non diè del suo“. (Da un’opera assai più oscura, ma non priva di interesse, e soprattutto di riferimenti bibliografici)
“Polpettine e patatine croccanti”.
Carlo Borromeo morì a quarantasei anni (1584) durante una visita pastorale intorno al suo lago Maggiore. I digiuni, lo stress per gli impegni e i viaggi continui, erano riusciti dove l’archibugio aveva fallito. Canonizzarlo fu relativamente semplice, ma durante il processo vennero fuori miracoli piuttosto bizzarri. Uno è troppo buffo per non essere apocrifo: Carlo avrebbe guarito una ragazza da un dolore alla mammella succhiandone il latte. Dove è facile intendere come il vero miracolo per lui fosse toccare una tetta: la repulsione per le forme femminili faceva già parte della sua leggenda. Carlo muore relativamente giovane, prima di potersi mettere in discussione, ma anche prima di essere corrotto dal potere, prima di accettare viaggi premio ai tropici e ammettere abbinamenti arditi nel suo guardaroba. I milanesi lo ricorderanno sempre per quella peste in cui a un certo punto nell’ospedale mancarono i lenzuoli bianchi e lui offrì quel che gli era rimasto: e per un po’ i malati dormirono in panni color porpora, prerogativa cardinalizia.
Essendo vissuto nei cinque decenni centrali del sedicesimo secolo, proprio quando la pianta fa il suo timido ingresso tra le coltivazioni europee, il pur frugale Carlo Borromeo non ha mai mangiato una patata in vita sua. Tre e secoli e mezzo dopo la sua morte, nei dintorni di una chiesetta a lui intitolata, in via Lecco 18, un rosticciere ha l’idea non del tutto originale di friggere, tra le altre cose, delle patate in sottili sfoglie. Distribuite ai forni della zona, le “patatine croccanti” diventano presto una specialità richiestissima. Dopo quattro anni, per far fronte alla domanda, il forno deve spostarsi, mantenendo però l’antica denominazione “San Carlo”. Ecco risolto l’enigma che tormentava i lettori non milanesi sin dall’inizio di questo lungo pezzo. Sì, perché, non ce ne vogliano gli abitanti dell’inclito capoluogo, nel resto del mondo di rito non ambrosiano San-Carlo è essenzialmente il nome di un sacchetto di patatine fritte, che certo, ha rovinato l’appetito di milioni di bambini, ma non ha mai mandato al rogo o alla forca nessuno. Sic transit gloria coeli – voi comunque che preferireste? Dare il nome a una patata o a una peste?
Fa ch'io t'ami sempre +
16-10-2012, 04:14cristianesimo, Francia, santi, simboliPermalink16 ottobre - Santa Marguerite-Marie Alacoque, veneratrice del Sacro Cuore di Gesù.
Nell'autunno del 1870 Parigi è assediata, la Francia è fottuta. Appena nominato comandante di una delle legioni di volontari formate nel tentativo, ormai disperato, di spezzare l'assedio prussiano, il colonnello Athanase de Charette riceve la visita di un Monsieur Dupont qualsiasi, che viene da Tours a portargli il dono più prezioso: uno stendardo con il Sacro Cuore di Gesù, recante il motto Cuore di Gesù, salvate la Francia. Era stato l'abate di Musy a concepirlo, e a farlo cucire dalle suore di Paray-le-Monial. In origine era previsto che Dupont lo portasse al comandante della piazza di Parigi, ma la città era ormai irraggiungibile. Mentre cercava un sistema per passare, Dupont incocciò nei volontari di de Charette, e l'incontro gli parve provvidenziale. Tra loro vi erano 300 zuavi che avevano appena difeso (male) Roma dall'attacco sabaudo: fuggiti dopo la breccia a Porta Pia, nel giro di un mese erano già sul fronte francoprussiano, pronti per una nuova sconfitta. Prima però accettarono di farsi consacrare al Sacro Cuore di Gesù, "l'unico vero re di Francia". La Francia per la verità era appena ridiventata una Repubblica (la terza), dopo la fuga di Napoleone III e l'ingloriosa fine dell'Impero (il secondo). Ma la situazione era un caos, a Parigi incubava lo spettro della prima rivoluzione comunista, che sarebbe scoppiata di lì a pochi mesi, tutt'intorno i prussiani dilagavano, e più indietro ancora i legionari accanto al tricolore sventolavano il Sacro Cuore. Di Gesù. Un muscolo cardiaco raffigurato solitamente con un certo realismo, avvolto in un rovo spinoso, e sormontato da una croce. Che razza di brand. Chi lo aveva inventato? (continua sul Post...)
Il cadavere che nessuno guarda
14-09-2012, 15:24cristianesimo, Cristo, santiPermalink14 settembre - Esaltazione della Croce
C'è la mamma di Daniele Luttazzi che si fa il segno della croce con un dito. Il papà la vede e le dice: "sei fortunata che non l'hanno impalato, sennò..." Di questa battuta, che ovviamente deve essere completata da un gesto preciso della mano destra, Luttazzi andava (va?) particolarmente fiero. "Mi piace", diceva, "il fatto che da questo momento in poi non riuscirete più a guardare un crocefisso senza pensarci". Qualche anno fa ci fu un caso un po' penoso di cui forse avete sentito parlare: Luttazzi dovette riconoscere che molte battute di cui si arrogava la paternità non erano farina del suo sacco. Il Cristo impalato però continuò a rivendicarlo, ignorando forse che qualche anno prima Paolo Poli era stato molto più sintetico e brutale: "Se Gesù fosse stato impalato, i Santi dove le avrebbero le stimmate?" Che Luttazzi possa non aver conosciuto la battuta di Poli è quasi probabile; difficile che ignorasse quella (già parecchio diversa) di uno dei suoi numi tutelari, Lenny Bruce: "Se Gesù fosse stato ucciso venti anni fa, i bambini delle scuole cattoliche porterebbero intorno al collo delle piccole sedie elettriche". Dove non è chiaro se Bruce ce l'avesse più coi cattolici o più con la pena di morte, ma questo era forse il bello di Bruce. Il quale a sua volta magari pescava da Heinrich Böll: "È una fortuna per gli esteti che la croce fosse lo strumento di morte abituale in Palestina, altrimenti dovrebbero appendere in camera da letto una ghigliottina o una forca". Böll a sua volta non poteva veramente ignorare quel famoso frammento del Discorso veritiero dove il filosofo Celso (II secolo dopo Cristo) scrive:
E dovunque da loro troverai l’albero della vita, e la resurrezione della carne dall’albero: questo, credo, perché il loro maestro fu inchiodato alla croce ed era di professione carpentiere. Così, se per caso egli fosse stato buttato giù da un dirupo, o spinto in un burrone, o strangolato con un capestro, o fosse stato ciabattino oppure scalpellino o fabbro, al di sopra dei cieli vi sarebbe un... dirupo di vita? O un burrone di resurrezione? O una corda di immortalità, o una pietra beata, o un ferro d’amore, o un cuoio santo? Ma quale vecchia intenta a canticchiare una fiaba per ninnare un bambino non si vergognerebbe di sussurrare cose del genere?Il salto bimillenario tra Celso e Böll è dovuto - oltre alla mia ignoranza - dal fatto che in mezzo c'è stato un periodo in cui in Europa davvero, scherzare sul crocefisso non era molto consigliabile - meno di quanto lo sia oggi satirizzare su Maometto, la sua barba, i suoi costumi sessuali. Lo stesso Celso non ha avuto molta fortuna: la sua opera ha circolato liberamente finché i cristiani non hanno preso il possesso delle biblioteche, poi è rapidamente scomparsa. I frammenti che ci sono rimasti li ha salvati il suo miglior nemico, Origene, che per confutarlo scrisse un intero trattato, in cui non poteva evitare di citarlo. Se solo la Chiesa avesse avuto più apologeti alla Origene, e meno censori e raschiatori di codici antichi... ma raschiare è un risparmio, confutare è faticoso, insomma, è andata così.
Dai che un po' vi manca. |
Le pere del male
28-08-2012, 03:31cristianesimo, filosofia, religioni, santi, StoriaPermalinkEravamo in seconda elementare, quando in mezzo a noi comparve questa bambina nuova, inspiegabile. Perché prima non c'era e adesso sì? Era stata bocciata? Non risultava bocciata. Però a scuola andava male. Da dove veniva, era straniera? Non era straniera, anche se aveva un nome diverso dagli altri. La sua famiglia non la conosceva nessuno, e lei raccontava storie incoerenti, di parenti ricchissimi o poverissimi, a seconda della piega che prendeva la trama di Candy Candy in quella settimana. Io non la sopportavo, per nessun motivo al mondo. Non mi aveva fatto nulla di male, ma per esempio respirava. Durante le lezioni la sentivo respirare con un certo affanno e m'innervosiva, mi distraeva, le dicevo Smettila. Notavo sulle sue guance dei capillari blu, non mi sembravano normali. Un giorno stavamo tutti al nostro posto, aspettando la maestra che aveva avuto un contrattempo. Eravamo una classe tranquilla: per ingannare l'attesa giocavamo a passaparola. Un messaggio passava da orecchio a bocca a orecchio, facendo il giro dell'aula, finché non arrivava a me, che ero il penultimo. Dopo di me c'era la bambina nuova, a cui io avrei dovuto passare il messaggio che mi arrivava. Ma non lo facevo. Ricevevo il messaggio e lo riconsegnavo a un'altra compagna, dall'altra parte dell'aula, e così il giro ricominciava, ignorando la bambina nuova. Nessuno mi aveva detto di fare così, era una mia iniziativa. Nessuno mi aveva corrotto o minacciato, e la bambina non mi aveva mai fatto nulla, salvo respirare. Il male che stavo facendo non aveva nessuna origine al di fuori di me: nasceva in me, e avrebbe causato probabilmente rabbia, dolore, e altro male. Ma a monte di tutto il dolore e la frustrazione c'ero io, un bambino di otto anni a cui nessuno aveva fatto niente.
Scrivere di Sant'Agostino non è come raccontare di un qualsiasi santo tardoantico di cui ci rimane il nome di battesimo e tre dettagli pittoreschi. Non è una leggenda, Agostino: è una delle persone del mondo antico che conosciamo meglio. Forse troppo per affezionarci. Ci si affeziona ai personaggi letterari, che hanno vite avventurose ma comunque ordinate secondo una traiettoria. Che Agostino sia un uomo vero, e non il personaggio di un romanzo, lo si capisce dal racconto della sua conversione, lungo, estenuante, proprio come sono lunghe e tortuose e un po' insensate le traiettorie delle nostre vere vite, tanto più complesse dei romanzi quanto meno belle da raccontare. Agostino non cade di cavallo, non vede roveti ardenti o segni in cielo, Agostino arriva al cristianesimo (o meglio vi ritorna, visto che aveva lo aveva succhiato col latte materno) al termine di un lungo assedio intellettuale; quando si direbbe che ceda per stanchezza.
E dire che il momento è storico: Agostino è stato uno dei più grandi acquisti della Chiesa. Se fosse rimasto alla concorrenza, se il guru manicheo Fausto di Mileve si fosse impegnato un po' di più con lui, oggi forse invece che cristiani non potremmo non dirci manichei, o più probabilmente il nostro cristianesimo avrebbe una forte componente manichea. Ma i manichei avevano il difetto tipico di molte dottrine new age, l'ansia di voler riempire i buchi della conoscenza, di spiegare tutto con teorie, magari per pochi iniziati, ma onnicomprensive. Agostino era un intellettuale, competente di Platone e di Aristotele; non poteva mandare giù l'astronomia for dummies degli opuscoli manichei, un cumulo di favolette che non reggevano il confronto con lo sferragliante ma efficace sistema tolomaico. Cominciò a farsi domande, a porle ai correligionari, e l'unica cosa che gli sapevano rispondere è: aspetta Fausto, lui sa tutto. Ti risponderà su tutto. Fausto però era sempre in tournée, Agostino lo attese nove anni, al termine dei quali si rese conto che aveva aspettato un conferenziere amabile ma abbastanza ignorante, che di astronomia nulla sapeva e lo ammetteva con candore. La fede di Agostino si dissolse in quell'esatto momento, di fronte all'inadeguatezza dell'ennesimo maestro. Se mi permettete la psicologia da strapazzo, anche stavolta Agostino non era riuscito a trovarsi un padre all'altezza. Dev'essere dura rendersi conto di essere il tizio più colto e intelligente in circolazione, proprio mentre ti rendi conto che alla fine non sai quasi nulla, e non c'è nessuno in giro in grado di rispondere alle tue domande. L'Impero Romano stava per rovinare, c'era da ripensare tutta la filosofia della Storia, trovare un nuovo modello, un nuovo senso a tutto quello che sarebbe successo di lì in poi, e Agostino non aveva nessuno che gli mostrasse una strada. Solo la madre (Santa Monica) in un angolo a sgranare paternostri (continua sul Post...)
Il gigante e il portachiavi
25-07-2012, 02:45auto, cristianesimo, miti, santiPermalink"Wof".
"Ciao Cristoforo, qual buon vento! Erano secoli che..."
"Taglia corto. Voglio vedere il capo".
"Il... il capo non riceve, mi dispiace".
"Cosa vuol dire che non riceve. Non ha senso. Io gli devo parlare. Adesso".
"Adesso no, Cristoforo, adesso è in... in riunione".
"Ecco. Parliamo di queste riunioni. Cosa sta succedendo là sotto, me lo vuoi spiegare? Cosa stanno combinando?"
"Ma niente... rimettono a posto il calendario, cose che capitano, d'altronde ogni tot secoli una riforma è necessaria, devi pensare che arriva gente nuova in continuazione, e così..."
"E io che c'entro? Forse che ho fatto qualcosa che non va?"
"Ma no Cristoforo, non c'è niente che non vada, però..."
"È vero che mi tolgono il patronato degli automobilisti? Perché? Forse che non li ho protetti?"
"Hai fatto quel che hai potuto, ma..."
"E poi se li tolgono a me a chi li danno, scusa".
"A Sant'Antonio, pare".
"Antonio? L'eremita?"
"Noo. Quello nuovo, il francescano... Antonio di Padova".
"Il ragazzino? E che ha fatto, scusa, che c'entra lui cogli automobilisti".
"L'hanno visto col Bambino in braccio, miracolo attestato in un processo di canonizzazione".
"Col Bambino in braccio? E io allora? Non ce l'ho un affresco col bimbo in spalla in tutte le cattedrali d'Europa?"
"Cristoforo, eddai..."
"In braccio. Quel francescano smagrito. Ma vuoi mettere. Gesù si tiene sulle spalle. Seduto comodo, in posizione frontale, come un automobilista, appunto. Sennò vabbe', capirai, il bimbo in braccio... allora diamolo pure alla Madonna, il patronato degli automobilisti. Ma chi è questo Antonio. È appena arrivato e già fa le scarpe agli anziani".
"È qui da sette secoli, ormai..."
"Appunto. Una matricola. Io lo sai che sono qui da quando hanno messo in piedi la baracca".
"Forse anche da prima".
"Esatto".
"È un po' questo il problema, Cris. Tu sei veramente un po' antico".
"Arf! Che male c'è?"
"Basta vedere gli affreschi più vecchi, il bambino sembra minuscolo sulle tue spalle".
"Sono un gigante, e allora? Cosa c'è di male?"
"C'è che i giganti non esistono, Cristoforo".
"Che ne sai tu. Una volta, magari..."
"Una volta, una volta. Adesso queste cose si sanno. C'è la paleontologia, l'archeologia. I giganti non sono mai esistiti".
"Magari ero un Neanderthal".
"Eddai Cristoforo, non fare il furbo. È saltata fuori questa cosa imbarazzante della cinocefalia".
"Wof, di che parli?"
"Nelle raffigurazioni più antiche avevi la testa di un cane, Cris" (continua sul Post, con Anubi ed Ermete Psicopompo).
E staccati, su
23-07-2012, 11:24cristianesimo, Cristo, santiPermalinkNon sarò mai la tua Maria Maddalena (però tra qualche anno io e te fondiamo gli Enigma e svoltiamo sul serio). |
Di solito scrivere un'agiografia, trasformare un peccatore in un santo, consiste nel prendere la vita di un uomo o di una donna, enfatizzare le buone azioni e levare le magagne più grosse. Con Santa Maria Maddalena, che pure è un personaggio di primo piano, la cosa è andata in un modo diverso: è da duemila anni che la consideriamo una ex prostituta, e semplicemente non è vero. Cioè, basta tornare ai vangeli: in nessun punto vi è scritto che Maria di Magdala facesse quel mestiere. C'è poi qualche 'peccatrice', nei vangeli, con le quali Gesù si mostra piuttosto tollerante, ma non è chiaro se siano prostitute o semplicemente adultere. C'è quella che lava i piedi a Gesù con le sue lacrime, glieli asciuga coi capelli (portare i capelli sciolti nella Giudea del tempo era già un segno eloquente di vita non irreprensibile), e forse è la stessa che lo unge davanti a tutti, in quella che un fariseo del tempo avrebbe potuto prendere per una caricatura di un'unzione regale. Il vangelo di Giovanni, che è il più tardo, ma come vedremo ha un rapporto particolare con la figura di Maddalena, chiama questa peccatrice "Maria", e soggiunge che era la sorella di Marta e Lazzaro. Vale la pena di ricordare che il nome "Maria" ("Miriam", la sorella di Mosè) era già al tempo il più diffuso nella zona: basandosi sulle incisioni funerarie, gli archeologi hanno calcolato che il 25% della popolazione femminile portasse quel nome.
Nei vangeli di Marie ce ne sono parecchie, in realtà è impossibile contarle perché è chiaro che gli stessi evangelisti - già piuttosto elusivi sui nomi e i ruoli degli apostoli - semplicemente non ci si raccapezzano. Questo è un dettaglio verosimile: chi si metteva a scrivere dopo decenni di narrazioni orali poteva facilmente confondere le figure femminili che dalla morte di Gesù non avevano più avuto molto peso nel movimento dei cristiani, e stavano invecchiando da qualche parte in Palestina o altrove. Per prima c'è la madre di Gesù (che non in tutti i vangeli è chiamata "Maria"); poi la Maddalena, che non necessariamente si prostituisce ma sicuramente viene esorcizzata da Gesù, che le toglie dal corpo "sette demoni", fa parte del suo entourage più ristretto ed è testimone oculare della resurrezione (il nome forse deriva da un paese sul lago di Tiberiade, Magdala appunto, forse dall'ebraico migdal, "torre", "fortezza"); c'è poi la sorella di Marta e di Lazzaro, detta anche Maria di Betania; e ancora un'altra figura dell'entourage apostolico, Maria madre di Giacomo (il quale a sua volta potrebbe anche essere il fratello di Gesù...) A un certo punto a papa Gregorio le tre Marie non madri devono essere sembrate troppe, visto che si permise in un'omelia di ridurle a una sola; poi, siccome almeno una delle tre, in almeno un Vangelo, era chiamata "peccatrice", se ne dedusse che oltre a una e trina la Maddalena dovesse pure essere prostituta. Più che un venticello, la calunnia è un virus.
D'altro canto è stata una calunnia con qualche conseguenza positiva. Pur restando per tutta l'era antica e il medioevo, fino ai giorni nostri, ai margini della società, le prostitute hanno potuto contare su una protettrice di primo rango, una che a Gesù dava del tu. E il fatto che Cristo risorto preferisse apparire per primo a un'ex puttana, piuttosto che agli undici patriarchi della Chiesa Apostolica, rende il cristianesimo una religione un pelo meno maschilista ed elitaria di altre (anche se l'immagine di un Gesù gioviale frequentatore di meretrici è un'altra proiezione; non le lapida, ma le perdona, purché "non pecchino più"). Nel frattempo i pittori hanno potuto raffigurare, nelle crocefissioni e deposizioni e apparizioni, almeno una donna coi capelli sciolti. Molto presto hanno deciso che doveva averli rossi. La riduzione di una sodale di Gesù a prostituta potrebbe avere avuto semplicemente questo senso: più basso era il peccato, più orribile il mestiere, più gloriosa appariva la redenzione. Un Dio che perdona le puttane è uno che davvero può salvare chiunque, non fa una grinza. Però forse c'è dell'altro. C'è che se le togli quella patina di peccatrice, Maddalena diventa un personaggio un po' più difficile da gestire, per una Chiesa gestita dai maschi.
Alcuni dettagli sono imbarazzanti (continua sul Post, con Dan Brown, James Cameron, Umberto Eco, Martin Scorsese, i merovingi e l'eterno femminino, ma soprattutto con Yvonne Elliman).
Maria 12 ci perdona, tutti.
06-07-2012, 09:19cristianesimo, essere donna oggi, miti, santiPermalink5 luglio - Santa Maria Goretti (1890-1902)
La modernità è una crosta sottile, ha scritto qualcuno, in cui vivono solo alcuni di noi, e solo in alcuni momenti del giorno; altre ere, anche arcaiche, sono a portata di mano, letteralmente: afferri il telecomando, accendi la tv al pomeriggio, e non sei più nella modernità. Sei da qualche altra parte, molto prima o molto dopo, comunque altrove. Vedi cose che in altre ore del giorno non capiresti: ad esempio, le file per entrare ai processi. Anche d'estate, col caldo che fa, c'è gente che a certi processi vuole proprio assistere, e alla sbarra di solito non c'è lo speculatore che si è giocato i loro risparmi coi bond tossici; più spesso si tratta di un tizio che forse ha ammazzato qualcuno di cui non sono nemmeno parenti. Ma in quel momento del pomeriggio - sarà che hai caldo anche tu - sei in un'altra era e capisci che il concetto di parentela è relativo, chi è mia madre? chi è mio parente? Se i parenti sono le persone che vediamo tutti i giorni, ormai Sarah Scazzi è nostra cugina.
Possibile persino che ce la sogniamo di notte. Prima o poi qualcuno verrà a riportare un miracolo commesso da Yara Gambirasio, una grazia ricevuta da Ylenia Carrisi. Non credo che diventeranno sante: il calendario della Chiesa cattolica e quello della cronaca nera sono trasmessi ormai su due frequenze diverse. Però su quelle frequenze si trasmettono cose non dissimili, e forse all'inizio la frequenza era una soltanto. Poco prima del bivio, dello switch, c'è Maria Goretti: l'ultima santa antica, la prima protagonista moderna di un fatto di cronaca nera. Le sue eredi non sono più protagoniste di lunghe cause di canonizzazione; però i fiori, e gli altarini, dopo pochi giorni crescono già, abbarbicandosi ai cancelli delle case, spontaneamente. Dopo un po' arrivano anche i primi biglietti, i primi rudimentali ex voto. La modernità è una crosta sottile, se scavi un po' ti accorgi che sotto c'è ancora un Seicento vivo e pulsante che se la cava benissimo. Non teme la tecnologia, anzi: è cablato, ha le antenne, le parabole, tutto quello che gli serve a produrre e vendere devozione. Evidentemente c'è chi compra.
Di Maria Goretti si sa tutto e niente, nel senso che quel tutto più volte scandagliato da agiografi e giornalisti è comunque poca cosa: è nata; è vissuta in un contesto di miseria profonda, in questo contesto ha resistito tre volte alle avances di un uomo (oggi lo chiameremmo ragazzino) che viveva nella sua famiglia allargata; la terza volta è stata trafitta con un punteruolo; è morta soffrendo orribilmente e perdonando il suo assassino, anzi, perdonando tutti. Siccome la storia era tutta lì, la si poteva gonfiare di ideologia come un palloncino. Maria poteva diventare il simbolo della purezza cristiana, la sua storia si prestava a racconti imbastiti sulla stessa trama delle antiche leggende di santi: uomo cattivo, vergine pura, punteruolo, perdono, resurrezione. Fin troppo facile (eppure il processo di beatificazione andò per le lunghe). Al punto che il palloncino a un certo punto qualcuno lo sgonfiò e lo rivoltò dall'altra parte, e Maria Goretti diventò il simbolo di come la Chiesa opprimeva le donne, attraverso la diffusione di figure sottomesse e sessuofobe come la bambinella illetterata. È il palloncino che abbiamo visto più volte sventolare a sinistra, ma non è sempre stato così: fino agli anni Cinquanta la Goretti poteva ancora passare come una figura protofemminista. Sì, la bambina che difende il suo corpo dalla prepotenza dell'uomo fu persino raccomandata da Togliatti come modello alle ragazze comuniste. Secondo un'altra fonte fu un giovane Enrico Berlinguer a proporla, insieme a un altro recentissimo prodotto mitologico, la partigiana sovietica Zoya Kosmodeminskaja: la lotta contro il nazismo e contro la prepotenza maschile erano evidentemente da intendersi sullo stesso piano (continua sul Post...)
Il Cristo gay e il Grande Inquisitore
10-06-2012, 05:00cristianesimo, Cristo, dialoghi, omofobie, preti parlanti, raccontiPermalinkVoi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa...
“Dunque, la scena comincia così: immaginati una processione, in una città medievale, oscurantista... facciamo Bologna”.
“Bologna, via, così oscurantista poi...”
“Bologna è perfetta, ci stanno i domenicani, quindi l'Inquisizione. Immaginati una di quelle processioni medievali coi flagellanti, no? E proprio durante questa processione, chi ti compare?”
“Chi mi compare?”
“Un Cristo gay”.
“Un Cristo gay”.
“È quel che ho detto”.
“Non so, Ivan, abbiamo già diverse polemiche in corso, se magari riusciamo a evitare di offendere cristiani e gay in un botto solo io preferirei...”
“Nonò fidati, un Cristo gay che appena compare, tutti all'improvviso capiscono che è lui, la folla si apre per lasciarlo passare, tutti lo seguono in silenzio, senza osanna, senza alleluja, tanto ovvio è che lui è Cristo”.
“E che è gay”.
“È un Cristo gay”.
“Ivan questa cosa però spiegamela meglio, perché io posso anche capire un Cristo a Bologna nel medioevo, cioè se sono in Strada Maggiore e all'improvviso vedo un ebreo con la corona di spine più o meno ci arrivo che è Cristo, ma spiegami come faccio a capire che è pure gay”.
“In effetti anch'io mi sono posto il problema”.
“Cioè non gli possiamo mica mettere l'aureola arcobaleno”.
“Perché no”.
“Perché è il medioevo a Bologna, cosa vuoi che ne sapessero dei colori del movimento LGBT”.
“Va bene, ci pensiamo dopo. L'importante è che sia evidentemente gay”.
“E tutti lo seguono”.
“Per forza, è un Cristo gay. Tu non lo seguiresti? Anche solo per curiosità?”
“E poi che succede?”
“Succede che a un trivio si devono fermare per dare la precedenza al cocchio, e il cocchio è ovviamente una cosa kitschissima, tutti intarsi e intagli e lacche in oro zecchino”.
“Nel medioevo? Non è un po' presto?”
“Il cocchio però invece di sfilare inchioda, e dalla finestrella spunta il volto arcigno di un vecchio Inquisitore, sormontato da un tricorno fucsia molto chic”.
“Questa cosa finisce malissimo, vero?”
“Non abbiamo neanche iniziato. Anche l'Inquisitore ovviamente capisce subito chi ha davanti, ovvero...”
“...un Cristo gay”.
“Un Cristo gay, e gli basta un cenno perché gli uomini della sua scorta lo prendano in consegna. Ovviamente gli uomini della sua scorta sono maschiacci nerboruti e sudaticci, muniti di alabarde un po' falliche”.
“Questi particolari sono tutti necessari?”
“No, però sono divertenti. Dunque l'Inquisitore si fa portare il Cristo gay nel suo palazzo, e dopo una sobria cena e un sobrio intrattenimento, decide di scendere nelle segrete per interrogarlo. Senza testimoni”.
“Ci mancherebbe”.
“La scena vera comincia adesso. Dunque l'Inquisitore entra nella cella, squadra il suo uomo a lume di candela e gli dice: taci”.
“Come taci, scusa, ma che interrogatorio è”.
“È un interrogatorio molto interessante. Gli dice, taci, non c'è bisogno che tu mi dica chi sei, e non c'è nulla che tu possa aggiungere per modificare la tua posizione. Non so cosa sei venuto a fare sulla terra una seconda volta”.
“Ma come non lo sa, scusa...”
“...ma non m'interessa, hai avuto una vita per parlare e adesso ti tocca ascoltare. Lo sai in che guaio ci hai messo? No che non lo sai. Ci hai dato la libertà, come credi che l'avremmo usata, se non per mangiarci a vicenda? Lo sai in che disastro ci hai mollati? E sai quanto ci abbiamo messo a pulire? Mille anni ci abbiamo messo. C'è toccato persino allearci col tuo nemico, sai, Satana. Abbiamo una joint-venture, adesso. Non lo sapevi? Vedi che in questo interrogatorio hai qualcosa da imparare. Non è che ne andiamo fieri, ma cos'altro potevamo fare? Siamo gay, perdio, quanti credi che siamo in tutto? Il dieci per cento della popolazione mondiale? Il quindici?”
“No, dai, il quindici no”.
“Che male ci sarebbe?”
“Mi sembra esagerato, via, il quindici”.
“Ma fosse anche il venti, è pur sempre una minoranza, lo sai cosa vuol dire?”
“Vuol dire che dovranno lottare affinché alle minoranze siano riconosciuti i loro diritti”.
“Ecco, lo vedi? Il classico ragionamento da Cristo gay. Ma non funziona così”.
“E perché non funziona così?”
“Perché l'umanità è una cosa un po' meno nobile di come la raccontava lui, perché homo homini lupus e tutto il resto, e insomma non importa che sia una razza o un'identità di genere o una preferenza sessuale o il colore dei capelli: la minoranza sarà sempre angariata dalla maggioranza. Sempre”.
“Ma no dai, sempre no”.
“Sempre, te lo dico io. Cioè no, te lo dice il Grande Inquisitore Gay”.
“Ah, perché anche il Grande Inquisitore è...”
“Lo aveva appena detto. Quindi mettiti nei nostri panni, continua il Grande Inquisitore Gay, infilati nei nostri soffici ermellini. Se almeno fossimo stati una minoranza, che so, etnica. Potevamo sempre sperare di diventare una maggioranza da qualche parte, con guerre o complotti. Ma siamo gay. Non possiamo diventare una maggioranza, per definizione”.
“E perché no?”
“Perché siamo gay, stupido. Non siamo prolifici”.
“Ah già dimenticavo. Ma potevate adottare”.
“In effetti pensammo subito a questo. Ma come potevamo riuscirci? Tu che avresti fatto? Una bella campagna per il diritto della coppia gay all'adozione durante l'impero romano?”
“Beh, forse i tempi sarebbero stati un po' prematuri”.
“Ah, perché invece nell'Alto Medioevo...”
“Quindi insomma niente da fare”.
“Al contrario. Ci siamo riusciti alla grandissima, spiega il Grande Inquisitore Gay (da qui in poi GIG). Siamo in assoluto la comunità che adotta di più. Abbiamo uomini in tutti gli orfanotrofi, anzi gli orfanotrofi li costruiamo direttamente noi. Non è stato difficile. Sai come abbiamo fatto?”
“Come avete fatto”.
“Abbiamo fatto coming in”.
“Coming in... cosa?”
“È un neologismo che ho inventato io, spiega compiaciuto il GIG. Ci siamo nascosti. Certo tu avresti preferito che noi vivessimo in mezzo alla gente fieri dei nostri costumi. Certo tu, caro Cristo gay, avresti preferito che il sale della terra rimanesse nella terra, e che la lucerna non restasse occultata sotto il moggio... ma ne abbiamo parlato con Satana e lui è stato molto più convincente. Ci siamo nascosti perché era l'unico modo per sopravvivere nei secoli, capisci. Noi non siam come te, che vieni, predichi tre anni e poi ciao ciao, fate i bravi, ci vediamo alla fine dei tempi. Noi abbiamo da pensare a sopravvivere per millenni, non possiamo accontentarci di qualche oasi di tolleranza qua e là, noi sappiamo che gli olocausti sono sempre dietro l'angolo e dobbiamo corazzarci”.
“Così insomma i gay ci sono sempre stati, ma si sono nascosti per sopravvivere”.
“Certo, continua il GIG, e lo sai dove ci siamo nascosti?”
“Non so, in qualche confraternita immagino”.
“Nella confraternita più esclusiva e allo stesso tempo più universale e più potente e allo stesso tempo più capillare dell'universo, sai qual è? La domanda la faccio a te, col Cristo gay non ce n'è bisogno, lui la sa già”.
“E quindi insomma...”
“Ma non hai capito? Hai davanti un Grande Inquisitore Gay, con lo zuccotto fucsia, l'ermellino, le scarpette di Gucci, eddai... dove vuoi che si siano nascosti”.
“No dai Ivan per favore”.
“Nella Chiesa cattolica! Siamo tutti qui, continua il GIG. Da secoli siamo qui, e ce la spassiamo! Prolifici quanto mai, abbiamo in mano gli orfanotrofi, le scuole, i precettori nelle case private, se da qualche parte nasce un ragazzino o una fanciulla tendente all'omoerotico, fidati che lo troviamo all'istante, e ci preoccupiamo di lui per tutta la vita! Questo facciamo”.
“La Spectre gay”.
“Abbiamo inventato la Confessione, ti rendi conto? Non c'è mai stata in tutta la storia dell'uomo un età così fortunata per i gay”.
“Ivan, sei sicuro?”
“Altro che lottare per i diritti civili e la tolleranza e tutte queste menate. Noi non vogliamo la tua patetica tolleranza, dice il GIG a Cristo. Noi vogliamo il potere, e lo abbiamo. Siamo o non siamo stati bravi. Da secoli una congregazione di gay regna sull'Europa, così ben organizzata che gli etero ancora non se ne sono accorti, ed è meglio così, no? Per il loro bene”.
“Perché voi non ce l'avete con gli etero”.
“Ci sono indispensabili, poveretti. Lavorano, ci pagano le decime. E soprattutto sono prolifici, loro”.
“Qualcuno lo deve pur essere”.
“Finché non inventeremo l'inseminazione artificiale, l'utero artificiale, magari la clonazione, ecco, ma la scienza è ancora indietro, indietro...”
“Potreste provare a bruciare meno scienziati”.
“Comunque ci vorrebbero secoli, il nostro sistema è molto più efficiente. Ora capisci perché la tua libertà è solo una scemenza? Capisci perché non hai diritto di parlare con me, che sono l'esponente di un sapienza millenaria, veramente incarnata nel sangue vivo e putrescente dell'uomo? Tu sei solo il figlio di Dio, che ne sai? Uno si fa una passeggiata sulla terra, due o tre prediche e una morte in croce, e poi è convinto di aver capito, ma cosa hai capito, cosa? Non esiste la libertà, se non per piccoli periodi. Non esiste la tolleranza. Nel medio-lungo termine esiste solo il potere, esiste solo la sopraffazione, e noi gay perché dovremmo essere meglio degli altri? Perché? Perché non dovremmo anche noi tentare di prendere il potere e usarlo per abusare dei deboli e degli indifesi? Perché ce lo chiedi tu con quegli occhioni azzurri incongrui in un mediorientale? Adesso sai che faccio? Ti processo e poi ti brucio come pederasta. Gli stessi che ti hanno osannato stamattina, saranno lì a raccontare di quando molestavi i loro figli nel cortile. Io queste cose le so, io lo so come è fatto l'uomo. Adesso parla pure se ti va. Ma il Cristo gay non parla”.
“Lo sospettavo”.
“Non dice niente. Solo fa un passo avanti verso il GIG, e per miracolo le catene si sciolgono, le manette sadomaso si aprono con un clac. Il GIG spaventato si ritrae, ma il Cristo Gay lo abbraccia”.
“E lo bacia”.
“Ovviamente”.
“Avremo i troll cattolici e quelli LGBT per sei mesi, Ivan...”
“Sarà divertente”.
“Si baciano a lungo?”
“Quanto basta. Poi il GIG, sconvolto, apre la porta della cella e dice Vai Via! Vai Via e non tornare mai più”.
“E poi? Fa coming out? Denuncia la sporcizia annidata nella Chiesa?”
“No, macché. Torna nel castello in tempo per la finale del torneo canoro dei castrati Ma quel bacio, quel bacio continua a bruciargli nel cuore”.
Tre bicchieri mezzi pieni
15-05-2012, 02:35aborto, cristianesimo, ho una teoria, omofobie, Pd, scoutismoPermalinkÈ il solito discorso del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: se davvero c'interessa che le cose cambino, un po' di ottimismo aiuta. Ne abbiamo bisogno molto più noi che i connazionali di Obama. Prendiamo il caso dell'onorevole Mariapia Garavaglia (PD), che all'alba di venerdì risultava ancora nell'elenco degli aderenti alla Marcia per la vita di Roma. Guardiamo al bicchiere mezzo pieno: domenica, nello stesso elenco, non c'era più. Non che abbia cambiato idea: probabilmente è ancora convinta che l'aborto sia un omicidio, anzi un genocidio. (Continua sull'Unita.it, H1t#127, ma lascio i commenti aperti anche qui).
Il terzo segreto di Fatima +1
14-05-2012, 09:00catastrofi, cristianesimo, pontefici, santiPermalink(Questo pezzo fa parte della top10 delle madonne più incredibili della cristianità! clicca qui per ricominciare dall'inizio).
31 anni fa oggi, a Piazza San Pietro Mehmet Ali Ağca sta per sparare il terzo colpo (o il quarto), quando una suora e un addetto alla sicurezza del Vaticano lo atterrano. Stacco. Dieci giorni prima, un monaco trappista dirotta un Boeing 737 in Normandia e minaccia di dar fuoco all'aeroplano se non gli viene rivelato il Terzo Segreto di Fatima. Stacco. Il Papa Buono dietro una scrivania tiene in mano una busta. C'è scritto, in portoghese: per ordine di Nostra Signora aprire nel 1960. La mano trema. Stacco. Una folla radunata in un villaggio: siamo nell'ottobre 1917, quindi le immagini sono in bianco e nero, tranne che all'improvviso il sole esplode in una supernova arcobaleno. Stacco. Karol Wojtyla parla dal balcone, la sua voce fuori campo annuncia: "gli oceani annegheranno intere sezioni della terra... da un momento all'altro milioni di persone periranno... però non abbiate paura". Dissolvenza incrociata: la statua della Madonna di Fatima, zoom sulla corona, una voce fuori campo: "Perché il Papa non ci volle consegnare la terza pallottola? Oggi magari sapremmo che Ağca non era il solo killer". Zoom sulla corona dorata, ehi, ma quella... sembra proprio una pallottola! Dissolvenza incrociata. Un uomo in bianco sale su una montagna cosparsa di cadaveri, dispensando benedizioni con fare allucinato. Una voce simile a quella di Joseph Ratzinger, fuori campo, dice: "Chi leggerà con attenzione... resterà presumibilmente deluso o meravigliato". Titolo: IL QUARTO SEGRETO DI FATIMA. PERCHÉ LA CHIESA NON VUOLE RIVELARLO? Ecco. Io una puntata di Voyager sulla Madonna di Fatima la lancerei così. E voi probabilmente avreste già cambiato canale da un pezzo. Va bene, ricominciamo.
Il terzo segreto di Fatima è stata l'apocalisse Maya della mia generazione - il solo nominarlo causava a preadolescenti di educazione cattolica autentici brividi di terrore. Considerate le coincidenze: Ali Ağca (in seguito noto anche col nome di "Gesù Cristo il Messia") sceglie per sparare a Papa Wojtyla, di tutti i giorni possibili, il 13 maggio, anniversario della prima apparizione della Madonna ai bambini di Fatima. Un anno dopo (12/5/1982) il Papa, salvo per miracolo, si trova appunto a Fatima, quando il sacerdote spagnolo don Juan María Fernández y Krohn tenta di trafiggerlo con una baionetta. Per don Juan, Wojtyla era un agente di Mosca. Per molti ancora oggi l'uomo di Mosca era Ali Ağca - con o senza intermediazione bulgara. I russi, ma anche la CIA, i Lupi Grigi, i cardinali invidiosi, qualsiasi ente tirato in ballo da Cristo-Ağca nelle settecento versioni che ha fornito. Tutte dotate di qualche grammo di verosimiglianza: i Lupi Grigi erano terroristi laici, senza pregiudiziali, che per soldi potevano far lavoretti per chiunque. Per conto loro avevano messo su un fiorente traffico di stupefacenti che li aveva messi in contatto con tutte le criminalità organizzate d'Europa.
La guerra fredda, nella sua fase finale: il rush della corsa agli armamenti, gli euromissili sepolti sotto le nostre biolche di onesti coltivatori padani, puntati anche verso la Bulgaria. Per chi cresceva negli anni Ottanta, l'apocalisse nucleare era un'opzione. Non dico che ci pensavi tutti i giorni, ma ci pensavi. A scuola ti mostravano The Day After. A catechismo ti parlavano della Madonna di Fatima. Dei meravigliosi doni che aveva fatto ai tre pastorelli portoghesi: per esempio, aveva mostrato loro l'inferno. E consegnato informazioni riservate sulla fine del mondo, con una speciale attenzione per l'Unione Sovietica. Poi li aveva richiamati a sé, due su tre, facendoli morire ancora bambini durante un'epidemia, in modo piuttosto doloroso. La terza viveva semisepolta in qualche convento iberico, e conservava l'immagine specchiata di cose di là da venire.
Ma personalmente la cosa che mi agghiacciava di più era il matto che aveva dirottato il Boeing 737. Si era cosparso di benzina ed era andato a trovare i piloti con un accendino in mano. All'inizio aveva chiesto di farsi scaricare in Iran - era un volo Dublino-Londra, figuratevi, il posto più vicino all'Iran a disposizione era il primo aeroporto di qua dalla Manica. Quando atterra, ai negoziatori chiede che gli sia rivelato il Terzo Segreto, quello che solo pochi alti prelati conoscono. Dieci ore dopo i francesi mandano le teste di cuoio. È facile immaginare che nel frattempo fosse stata consultata la Santa Sede, la quale doveva aver risposto: meglio di no. Cosa c'era di così orribile in quelle quattro paginette scritte a mano, da rischiare piuttosto l'esplosione di un Boeing 737 pieno di passeggeri? È chiaro che un ragazzino di quell'età si fa subito venire in mente cose orribili. Poi crescendo uno all'apocalisse smetta di pensarci tutto il tempo - si diventa razionali, direte voi - in realtà no, il contrario, a un certo punto gli ormoni cominciano a pompare e dei dieci anni successivi ho vaghi ricordi, mi sembra di aver pensato al sesso tutto il tempo. Quando hai 16, 17 anni, anche se ti dicono "fine del mondo", tu non pensi più agli euromissili e al segreto di Fatima, tu pensi Dai, è la volta che si scopa. Cioè, se non stavolta vuol proprio dire che mai.
Questa fase diciamo endocrinosofica della mia esistenza era già in gran parte terminata quando nel 2000 fu finalmente svelato il segreto che mi aveva terrorizzato da bimbo. Come aveva previsto Joseph Ratzinger (allora prefetto della Congregazione per la Difesa della Fede) rimasi deluso. Ma neanche tanto, in fondo è come vedere Belfagor da adulti, o ritrovare lo scivolo altissimo che ti terrorizzava all'asilo, in tutti i suoi due metri di orrido splendore. Tutti i brividi che hai provato ti lasciano giusto una punta di malinconia, come sentire il freddo sotto un'antica otturazione. Ormai sei grande, se ti dicono "fine del mondo" pensi Dai, allora stasera non correggo i compiti... Il terzo segreto di Fatima è il seguente.
Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l'Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”. Vari altri Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c'erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio.Tutto qui? Tutto qui. Per carità, c'è di che stare in ansia: massacri, martiri, un Papa assassinato, innaffiatoi di sangue. E allora perché non fa più paura? (continua sul Post...)
(Clicca invece qui per conoscere, finalmente, la Madonna più spaventevolmente incredibile di tutta la cristianità).
James the Less (not the Least)
03-05-2012, 10:26Bibbia, cristianesimo, Cristo, pontefici, santiPermalink(Rubens) "Ma perché in questa Bibbia tedesca non c'è la mia lettera?" |
Giacomo, detto il Minore, detto il Giusto, detto il fratello del Signore, contiene in sé almeno tre enigmi: (1) davvero era fratello di Gesù?;
1. Era il fratello di Gesù?
I fratelli di Gesù compaiono in tre vangeli su quattro. L’unico a non parlarne è proprio Luca, il più mariano di tutti: quello dell’arcangelo Gabriele, a cui la Madonna risponde “non conosco uomo!” All’idea di una Maria vergine prima durante e dopo la nascita di Gesù i cristiani si affezionarono presto: rimane questo piccolo problema, che di fratelli si parla in tre vangeli su quattro. Per i cattolici non sono proprio fratelli, è solo un modo di dire. Saranno cugini, amici, semplici conoscenti. Eppure la parola greca è proprio αδελφοι, adelphoi; certo, in tanti altri passi del Nuovo Testamento compare in senso figurato, ma sia in Matteo che Marco il contesto sembra riferirsi a una famiglia ristretta, con la quale il Messia ha quel classico rapporto conflittuale che si può avere con i consanguinei: lo prendono per matto (Mc 3,21); lo vengono a prendere, ma lui li rinnega (Mc 3,32-35).
Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».
Hai voglia a prenderli per cugini. Se la cavano meglio gli ortodossi, che immaginano dei fratellastri: Giuseppe, già vedovo, li avrebbe portati alla sacra famiglia in dote. Le due liste di fratelli, contenute in Marco 6,3 e Matteo 13,55, non combaciano perfettamente (Marco parla anche di “sorelle”, Matteo accenna a un padre “carpentiere”): ma in entrambe Giacomo è il primo. Ma è lo stesso Giacomo di Alfeo che compare in tutte le liste degli apostoli? Dopo una scenata così plateale come quella sopra citata, quante possibilità aveva un fratello o fratellastro di Gesù di essere ammesso nei Dodici? I cattolici considerano Giacomo il minore figlio di Alfeo, zio paterno di Gesù, e di Maria di Cleofa, una delle due o tre Marie che ruotano in modo non chiaro intorno agli apostoli. Di lui i vangeli non raccontano nient’altro: è un apostolo di seconda linea, nulla di paragonabile al Giacomo Maggiore, fratello di Giovanni evangelista, evangelizzatore della Spagna, le cui reliquie faranno la fortuna di Santiago di Compostela. Diventerà invece importantissimo (a patto che sia lui e non un omonimo) dopo la morte e resurrezione di Gesù.
(Su google trovi tutto, anche il Concilio di Gerusalemme in versione Lego).
A questo punto si è capito che per i cattolici Giacomo è una figura scomoda. Non solo è presentato come fratello di Gesù: ma leggendo gli Atti degli Apostoli e le lettere di Paolo si ha la sensazione che il vero capo della comunità cristiana di Gerusalemme sia lui. E Pietro? Pietro è senz’altro la figura di spicco tra gli apostoli in un primissimo momento, quando, come abbiamo visto, non sembra più nemmeno lui: parla scioltamente in tutte le lingue del mondo, si fa incarcerare senza battere ciglio, impone ai seguaci la comunione dei beni, ammazza i fedifraghi con lo sguardo… Ma è una fase di breve durata, che negli Atti termina più o meno in coincidenza con l’imporsi di un nuovo predicatore, Paolo.
Paolo, come si è visto, ha tutto un altro stile, e pur essendo anche lui ebreo preferisce rivolgere la sua predicazione ai gentili. Fino a quel momento il cristianesimo era sostanzialmente un’eresia ebraica, praticata da giudei che continuavano a seguire le prescrizioni rituali della Torah. Per Paolo tutto questo è roba vecchia, zavorra che impedisce alla buona novella di decollare tra i gentili. Pietro è meno estremo, e sappiamo che non cesserà di colpo l’osservanza dei vecchi precetti, ma il sogno che ha fatto in Atti 10,9-16 lo ha spinto sulle stesse posizioni di Paolo. Quindi, se Paolo e Pietro sono d’accordo, chi è che non ci sta? Chi è che li convoca a Gerusalemme, al cosiddetto primo Concilio, per trovare un accordo? Giacomo il Giusto. Il contesto rende chiaro che Giacomo è il rappresentante della comunità ebraico-cristiana; l’ultima parola, seppure conciliante, spetta a lui (At 15,19-21):
Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani, ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue. Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe.Paolo, che pure è il rappresentante dell’istanza opposta, ha un profondo rispetto per Giacomo. Nella lettera ai Galati, dove racconta tutto il dibattito dal suo punto di vista, lo chiama “apostolo” ma non sembra considerarlo uno dei dodici originali. Lo definisce, invece, “fratello del Signore”, (Ga 1,19), e “colonna della Chiesa” (2,9):
…e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi.Notate l’ordine delle colonne: Giacomo, Cefa (=Pietro) e Giovanni. Giacomo è di nuovo il primo della lista. Paolo parla di Giacomo anche nella prima lettera ai Corinzi, nominandolo tra coloro a cui è apparso Gesù risorto (anche in questo caso il suo nome è separato da quello degli dodici apostoli). Pietro non parla di Giacomo nelle sue lettere (ne ha scritte molto meno), ma sempre da Paolo sappiamo che doveva avere una certa soggezione per il personaggio: quando alcuni seguaci di Giacomo arrivano ad Antiochia, lui si rimette a osservare i precetti ebraici. Paolo se ne accorge e s’infuria – ecco, Paolo s’infuria con Pietro, mai con Giacomo.
Che Giacomo il Giusto fosse un personaggio di primo piano lo si capisce anche da alcuni testi del primo secolo. Papia di Ierapoli chiama Giacomo vescovo di Gerusalemme. Nel vangelo di Tommaso (uno degli apocrifi più antichi, non le favolette dal secondo secolo in poi) Gesù lo nomina capo della Chiesa. Invece il vangelo apocrifo che gli è attribuito è una classica fanfiction del secondo secolo, con leggende che partono dalla nascita di Maria. Gli storici della Chiesa, a partire da Egesippo, elaborano da queste poche informazioni la figura di un ebreo-cristiano onorato e stimato da tutti, tanto che il sommo sacerdote che ordina di lapidarlo (o di gettarlo dal tetto del tempio) cade in disgrazia anche presso gli ebrei. Di lì a poco Gerusalemme viene devastata dai Romani (70 dC): della comunità ebraico-cristiana si perdono le tracce, la Chiesa che sopravvive è quella de-giudaizzata di Paolo (e Pietro). La figura di Giacomo perde consistenza. Di lui, come abbiamo visto, resta una manciata di versetti in tutto il Nuovo Testamento. E una letterina, ammesso che l’abbia scritta davvero lui. Però anche quella letterina, a ben vedere, è una bomba. Con una miccia molto lunga: per far esplodere l’Europa ci metterà millecinquecento anni, più o meno.
Max Weber era Max Weber. |
Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in sé stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede.A me è sempre piaciuta tantissimo, quell’esortazione ai limiti della sgarberia: hai fede? Mostramela. Io non so se ce l’ho, ma guarda le mie opere: quelle esistono, si possono toccare. Qualcuno ha voluto trovare in questi versetti una critica neanche velata alla dottrina di Paolo sulla salvezza per mezzo della fede. Per Paolo gli uomini (tutti, non solo gli ebrei) erano peccatori, finché Cristo non li aveva salvati: bastava credere in lui, bastava avere fede, e tutto sarebbe andato a posto. Inoltre i tempi stavano per finire, quindi non aveva molto senso occuparsi di cose troppo terrene. Per la verità Paolo era tutto meno che un guru ieratico e sfaticato (continuava a mantenersi fabbricando tende), e lui stesso talvolta si lamentava dell’inerzia di alcune comunità cristiane.
Giacomo ha la stessa preoccupazione: si fa presto a dire fede, ma di cos’è fatta la fede? Puoi mostrarmi la tua fede senza neanche un’opera? Possiamo pensare che in un contesto ebraico le “opere” consistessero soprattutto nel rispetto formale di una serie di precetti, ma col tempo il testo ha assunto un valore universale: la fede si esprime attraverso le opere di bene. Niente opere, niente fede. Lutero non ci voleva credere. “Lettera di paglia”, la chiamava. Al di là dei suoi scrupoli da filologo, basta conoscerlo un po’ per capire che si trattava per lui della paginetta più indigesta del Nuovo Testamento. Dopo che Paolo ha insistito, per più di una dozzina di lettere, nella giustificazione mediante la fede, cosa viene a dirci questo cosiddetto Giacomo? Che la fede si mostra attraverso le opere? Ma a chi la dobbiamo mostrare? L’unico a cui interessa è Quello che ce l’ha donata. E quindi quali opere: l’obolo di San Pietro? Vogliamo costruire chiese sempre più grandi e addobbate? Vogliamo coprire di un altro po’ di ori e di argenti i sacerdoti della grande Babilonia? Vogliamo mettere all’incanto un altro po’ di indulgenze? Lutero tolse la lettera dal suo canone. Robaccia buona a far ingrassare i papi e i papisti.
Qualche secolo più tardi Max Weber, cercando di capire perché il capitalismo sia nato in certe zone dell’Europa (i Paesi Bassi, l’Inghilterra) giunge a un’ipotesi arcinota, anche se contro-intuitiva: è stato il protestantesimo, la dottrina della giustificazione mediante la fede. Nella sua versione hard, quella di Calvino, secondo il quale il cristiano è predestinato alla nascita. Io perlomeno la trovo contro-intuitiva perché la prima volta che ne ho sentito parlare ho pensato che essere calvinisti fosse una pacchia: Dio ti ha già salvato, quindi puoi fare quel che ti pare, compreso un bel niente. Dove si vede che è inutile versare il calvinismo in una botte cattolica. Oppure Weber si sbaglia (tuttora se ne discute): se Calvino invece di Ginevra avesse predicato a Milazzo, non ne avrebbe comunque cavato fuori nessun embrione di capitalismo. Chi lo sa.
Però la sua ipotesi è quantomeno ingegnosa. I calvinisti, spiega, si ritrovano soli davanti a Dio, senza nessun intermediario: chi assicura loro di essere i prescelti? Il segno della grazia è il successo professionale, che si raggiunge attraverso il duro lavoro. Fin qui nulla di nuovo, anche la borghesia italiana sin dal medioevo dei comuni aveva trovato nel lavoro una strada verso l’auto-affermazione. E infatti in Italia il capitalismo moderno stava quasi per nascere. Cosa lo aveva bloccato? La necessità di mostrare le opere. Il mecenatismo. La beneficenza. Ma anche soltanto il lusso, lo sfoggio dei propri beni, la corsa verso l’alto delle famiglie che aveva portato cittadine ancora minuscole a coprirsi di inutili torri. Opere. Bisognava fare opere. Senza le opere, non sei nessuno. C’è scritto nella Bibbia. La Bibbia dei cattolici.
Nelle Bibbie dei protestanti no, non c’è scritto. I calvinisti lavorano duro, ma che se ne fanno dei loro guadagni? Il mecenatismo è una distrazione da papisti decadenti. La beneficenza è ok, finché è un modo di mostrare la propria perfezione cristiana, ma col rischio sempre incombente di mantenere i poveracci, che sono poveracci perché Dio non li ha scelti, pussa via. Il lusso viene da Satana. E quindi, insomma, Dio ci benedice con somme sempre più alte di liquido, ma dove le mettiamo? Le reinvestiamo. Non abbiamo scelta, tutti i sistemi per spenderlo sono demoniaci, non ci resta che… inventare il capitalismo moderno. Per Weber, perlomeno, le cose erano andate così. La sua ipotesi è stata smontata più volte. Ma resta una bella storia da raccontare, proprio come le misteriose vite dei Santi. Alla prossima.
Ma i cattolici progressisti esistono?
02-05-2012, 14:19autoreferenziali, cristianesimo, ho una teoria, pontefici, preti parlantiPermalinkHo iniziato a chiedermelo qualche giorno fa, mentre leggevo delle suore americane che con le loro prese di posizione stanno mettendo in serio imbarazzo la Congregazione per la Dottrina della Fede. E, come tanti, ho pensato: forti, però, queste suore americane. Avercene. Ovviamente stavo già facendo un confronto con le religiose nostrane, di cui non si sente mai parlare (ce l'hanno, loro, un'associazione che le rappresenti?) Ma poi mi sono reso conto che non era una questione di ordini religiosi femminili. E nemmeno maschili. Quand'è l'ultima volta che ho sentito una voce di dissenso all'interno della Chiesa cattolica italiana? L'unica che mi viene in mente negli ultimi anni è quella di Don Gallo. Padre Zanotelli è ancora una figura universalmente rispettata a sinistra, ma onestamente non conosco le sue posizioni sulle questioni che hanno messo nei guai le suore americane (aborto, eutanasia, omosessualità). I cattolici poi non sono soltanto preti e suore: ci sono anche i 'laici', i semplici praticanti. Così come è naturale pensare che ce ne siano di tradizionalisti, di moderati, di reazionari, penso che da qualche parte dovrebbero essercene anche di progressisti, no? Ma com'è che non li sento mai?
Eppure ho l'empirica certezza che i cattolici progressisti sono esistiti, almeno fino al 1981. (Continua sull'Unita.it - H1t#125)
Perché non avete orecchie
25-04-2012, 22:12Bibbia, cristianesimo, Cristo, santiPermalinkUn profeta grida nel deserto e battezza i peccatori nelle acque del Giordano; tra di loro vi è un nuovo giocane predicatore, che dopo una quarantena nel deserto si mette a proclamare una buona novella, attraverso parabole enigmatiche e profezie di sventura. Gli va meglio con le guarigioni miracolose: usa sistemi un po' singolari, (fango, sputi), ma tutto sommato funzionano. Un paio di volte si ritrova a dover moltiplicare pani e pesci per le folle che si radunano ad ascoltarlo. Quel che dice però non è sempre chiaro, nemmeno ai dodici collaboratori più stretti, che a volte hanno troppa soggezione per chiedere spiegazioni. In seguito il predicatore viene accusato di sedizione, arrestato e fatto uccidere. Ma il terzo giorno le donne trovano nel sepolcro, al posto del corpo, un ragazzo vestito di bianco che parla di resurrezione, e scappano impaurite. Questo è in sostanza il Vangelo di Marco, che se non si trovasse mimetizzato in mezzo agli altri risulterebbe un testo abbastanza inquietante: c'è un Gesù senza Natale e senza Pasqua, sempre un po' arrabbiato perché la gente non capisce. Alla fine di diversi episodi, miracoli o parabole, c'è quel classico versetto alla Marco, come “E si meravigliava per la loro incredulità”, “Chi ha orecchie per intendere intenda”. Solo i bambini lo smuovono un po' dal suo sempiterno cipiglio (“a chi è come loro appartiene il Regno di Dio”). Insomma è un tizio burbero, con un cuore che lascia vedere solo a sprazzi:
Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era greca, di origine siro-fenicia. Ed egli le disse:“Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. Ma essa replicò: “Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli”. Allora le disse: “Per questa tua parola va', il demonio è uscito da tua figlia”.L'episodio c'è anche in Matteo, dove Gesù concede anche un complimento (“Donna, davvero grande è la tua fede!”). In Marco si limita a dire “va'”, e poi passa ad altro. Non è così difficile mettersi nei panni degli apostoli, sempre timidi e vagamente terrorizzati, “stupiti in sé stessi” “Essi però non comprendevano, e avevano timore a chiedere spiegazioni”. Marco è l'evangelista del leone, e il suo Gesù sembra davvero un re leone nella gabbia di un'umanità che non lo capisce. “O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?” (9,19). L'unico Vangelo che suggerisce al lettore che Cristo sulla terra abbia avuto fretta di andarsene.
Ragioni per cui amo Wikipedia. |
Scherzando col Magog sbagliato
10-04-2012, 15:38Bibbia, Bush, cristianesimo, ebraismo, guerra, Israele-Palestina, medio oriente, santiPermalink[Il prezzo si legge intero e ampliato qui] Si parlava di Maya. A me non fanno nessuna impressione. Invece, sapete cos'è che mi dà qualche brivido? Il profeta Ezechiele. C'è poco da scherzare. Stiamo parlando di uno degli scrittori più influenti della storia. Ebrei, musulmani e cristiani di tutte le confessioni lo venerano come uomo di Dio; persino gli ufologi lo apprezzano molto per quella pagina in cui si ritrova al cospetto della gloria divina su una specie di carro alato che è la cosa più simile a un'astronave aliena che sia possibile trovare nella Bibbia; non solo, ma persino il processo di pace in Medio Oriente (e quindi nel mondo intero) dipende non in minima parte dall'interpretazione di alcuni suoi versetti oscuri - non sto scherzando, e non è il solito complotto rettiliano, è tutto alla luce del sole purtroppo.
È curioso, ma non del tutto inappropriato, che a tanta fama Ezechiele sia arrivato senza essere un grande scrittore: lo schiaccia soprattutto il confronto con gli altri due profeti maggiori della Bibbia, Isaia e Geremia, che lo precedono nel canone biblico. A Ezechiele manca l'afflato lirico del primo, e il pathos rancoroso del secondo; ma forse è proprio per compensare le sue carenze stilistiche che è costretto lavorare con gli effetti speciali, inventando un nuovo stile visionario e teatrale a base di mostri, oggetti volanti, battaglie titaniche, morti che risuscitano... già qualche esegeta ebreo storceva il naso, considerandolo un contadino al cospetto del nobile Isaia, eppure le sue allucinazioni avranno un enorme successo. Postumo, ovviamente, perché i grandi profeti biblici in vita sono quasi sempre inascoltati e sbeffeggiati. Nemmeno l'aver azzeccato la caduta di Gerusalemme e la deportazione nella Babilonia di Nabucodonosor II gli guadagnerà la stima dei contemporanei. Con Ezechiele però comincia la letteratura apocalittica, quella che descrive un futuro imminente o remoto a base di visioni allegoriche e oscure. Alle sue macchine volanti e alle sue battaglie finali si ispireranno gli autori del Libro di Daniele e dell'Apocalisse di San Giovanni. Ma il contributo di Ezechiele alla storia del mondo non si conclude certo lì.
Siamo nei primi mesi del 2003. L'invasione angloamericana dell'Iraq è ormai data per certa: si tratta soltanto di definire i dettagli, capire chi abbia voglia di dare una mano (Berlusconi, in quel momento, pochissima). Jacques Chirac è all'Eliseo che sbriga le sue faccende quando gli passano il telefono più importante che hanno, non so se all'Eliseo ci siano i telefoni colorati come una volta alla Casa Bianca, ma è un dettaglio che ci possiamo anche inventare e non farà sembrare la storia meno verosimile. Insomma, dall'altra parte del filo c'è George W. Bush. Chirac quando prende in mano la cornetta si immagina già cosa il tizio più potente del mondo vorrebbe da lui: l'appoggio francese alla Coalizione dei Volenterosi. E tuttavia Bush riesce ugualmente a sorprenderlo. Le Président non riesce a capire di cosa stia parlando: non è un problema linguistico, c'è senz'altro un interprete in mezzo, ma i ragionamenti di Bush sono talmente sconnessi che farfuglia anche l'interprete. Ci sono due tizi, Gog e Magog, operativi in Medio Oriente... una profezia biblica si sta per compiere e una nuova era sta per giungere, et toute cette sorte de conneries. Chirac si mantiene sul vago, le faremo sapere, e poi chiama il suo staff: si può sapere chi sono questi Gog e Magog, e perché io non ne sapevo niente? Che figure mi fate fare in società? (Continua sul Post...)
Vorrei una festa immobile
08-04-2012, 21:59cristianesimo, feste, PasquePermalinkAnche quest'anno Cristo è risorto e voi siete in ritardo |
I quartodecimani erano cristiani d'oriente, per lo più della Siria e dell'Asia Minore, che festeggiavano la Pasqua tutti gli anni lo stesso giorno: il 14 del mese ebraico di Nisan, punto. In pratica celebravano la festa nello stesso giorno degli ebrei, fraintendendone però il significato: gli ebrei festeggiano Pesach, il passaggio nel mar Rosso, dalla schiavitù alla libertà (oggi la festa dura una settimana e comincia il 15); i cristiani quartodecimani erano convinti che Pasqua derivasse da πάσχειν, "patire", e che consistesse nel ricordo della passione di Gesù. Altrove la celebrazione si era ormai legata alla ricorrenza settimanale della domenica, e al momento della resurrezione (il passaggio dalla vita alla morte alla vita); inoltre questa cosa di festeggiare insieme agli ebrei non andava giù a molti. I sostenitori della domenica e i quartodecimani litigarono per parecchio, senza trovare una soluzione, ma nemmeno senza arrivare a uno scisma; nel frattempo c'era anche la solita corrente new age che voleva tagliare la testa al toro e festeggiare l'equinozio di primavera: a un compromesso si arrivò soltanto col Concilio di Nicea, e come molti compromessi, era arzigogolato e probabilmente scontentava un po' tutti. In effetti, quand'è che si festeggia la Pasqua? (Continua sul Post)
Crocifissi contro il Nazismo (1x)
30-03-2012, 23:10cristianesimo, memoria del 900, miti, nazismo, santiPermalink"Tu sei il Male, io sono l'Anestesista" |
[Questo pezzo si legge intero e corretto qui].
Uno potrebbe anche pensare che i tempi ruggenti dell'agiografia siano finiti per sempre - quei secoli, hai presente, in cui c'eri solo tu, in un monastero perso nel nulla, con un po' d'inchiostro e della vecchia cartapecora raschiata, e ti chiedevano: "Oggi è Sant'Albano d'Ungheria, dai raccontaci la storia di Sant'Albano d'Ungheria". "Ma io mica la so, manco so cosa sia, l'Ungheria". "E inventa". Al limite si poteva sempre scrivere: martire sotto Diocleziano (Diocleziano andava sempre bene, Diocleziano li aveva fatti fuori tutti, Diocleziano pasteggiava a carne di martiri e brindava a sangue di vergini, Diocleziano probabilmente in certi eremi andava forte anche come criptobestemmia: ma Dio cleziano! Quel porco! E il priore non poteva dirti nulla).
Oggi ci sono biblioteche in ogni piazza, mal che vada c'è google, oggi non puoi più inventarti niente, o no? Per esempio il 30 marzo si celebra tra le altre la memoria di una Beata novecentesca, Maria Restituta. Su di lei ci sarà ben poco da inventare, penserai. In effetti ci sono i documenti. Sappiamo che è nata Helen Kafka, nel 1890 a Brno, prima impero Austro-Ungarico, poi Cecoslovacchia, poi Terzo Reich, poi di nuovo Cecoslovacchia, oggi Rep. Ceca. Che prese i voti nell'ordine delle francescane della Carità, diventando suor Maria Restituta (detta "Resoluta" per i modi spicci) e che si distinse per la dedizione e la professionalità con cui esercitò la professione di infermiera e anestesista. Sappiamo che è morta a Vienna nel 1943, decapitata dai nazisti per alto tradimento. L'ha beatificata Giovanni Paolo II nel 1998, che l'unica suora decollata dai nazisti non poteva proprio perdersela. E tutto questo è Storia, voglio dire, abbiamo pure le foto. Non ci puoi ricamare, su Helen Kafka: con tutte le monografie che si saranno su di lei, nelle biblioteche, su internet, insomma, se improvvisi ti sgamano. O no?
Ecco, no. Una delle cose fantastiche che scopri studiando i santi è che il medioevo, quello fiabesco delle leggende dipinte sulle vetrate, è a portata di clic. Me ne stavo infatti leggendo la scheda di Famiglia Cristiana, quando mi capita di inciampare sulle ultime due righe. Leggi anche tu:
E in faccia agli assassini, prima che il carnefice alzi la mannaia, suor Restituta dice al cappellano: "Padre, mi faccia sulla fronte il segno della Croce".Tutto abbastanza verosimile tranne... la mannaia? Va bene, lo abbiamo visto, dei nazisti si può raccontare tutto e nessuno si lamenterà - i nazisti sono un po' il nostro Diocleziano moderno. Ma ce le vedete le SS che tagliano la testa di una suora con la mannaia? Non suona un po' anacronistico? In effetti basta sfogliare un po' di Internet in altre lingue per rendersi conto che suo Maria fu decapitata, sì, ma mediante ghigliottina: il vecchio trabiccolo illuminista che gli Asburgo, per altri versi così diffidenti, avevano importato a Vienna, e che nel 1943 era ancora il supplizio ufficiale per i colpevoli di Alto Tradimento. E la mannaia? Un ricamo di Famiglia Cristiana. Uno solo? Vien voglia di dare un'occhiata più da vicino. (Continua sul Post)
Figure di Pietro
22-02-2012, 22:55cristianesimo, pontefici, santiPermalinkSì, inoltre oggi è anche il mercoledì delle ceneri, l'inizio della Quaresima, polvere eravamo polvere ritorneremo eccetera. Ma quella delle ceneri è una ricorrenza mobile, che oscilla nel calendario e quest'anno coincide - ambigua ironia - con la festa che celebra la cattedra del più glorioso dei Santi, il primo degli Apostoli e fondatore della Santa Sede, San Pietro primo Papa. La coincidenza ci suggerisce di buttare un po' di cenere su tanta gloria: dopotutto Pietro è un uomo come noi, e tra i suoi primati ce n'è uno in particolare che ce lo rammenta: siamo al cospetto del più grande gaffeur dei Vangeli. Proprio così. Nessuno fa tante figuracce come lui, anzi è discutibile che nei Vangeli altri a parte lui facciano figuracce. Sembra proprio che sia il suo specifico: a volte è come se a Gesù servisse una spalla comica. L'esempio più estremo è in Giovanni (13,8-9), l'evangelista filosofo, che però quando si tratta di Pietro è capace di montare dei veri e propri siparietti:
PIETRO: Tu lavarmi i piedi? Giammai.Altre volte l'impressione è che a Gesù serva semplicemente un tizio ottuso, di quelli che si incontrano spesso nei dialoghi filosofici, e servono semplicemente a far rifulgere meglio la sapienza dell'interlocutore; quando replicano il più delle volte lo fanno soltanto per permettere al Maestro di prender fiato e molto spesso in realtà non dicono niente, se il dialogo fosse una videointervista li vedresti annuire in controcampo. Il classico esempio di battuta di dialogo che può toccare a Pietro è "spiegaci la parabola": come il dottor Watson, il più delle volte Pietro non ha capito bene, non ha capito niente, e questo oltre a essere funzionale a introdurre nel racconto una spiegazione, ce lo rende immediatamente simpatico. L'esatto opposto di Paolo di Tarso, che ha capito tutto senza neanche conoscere Gesù: Pietro viceversa c'era sin dai tempi della Galilea, e sin d'allora non si raccapezzava, chiedeva spiegazioni, continuava a non raccapezzarsi, rimediava figuracce. Non è un caso che Pietro sia uno dei pochi Santi su cui si è sempre potuto scherzare, dal folklore popolare (cfr. Jovine, Signora Ava) alle vignette fino alle pubblicità del caffè. Pietro è uno di noi.
GESÙ: Se non ti lavo, non avrai parte alcuna con me.
PIETRO: Ah, allora anche le mani e la testa, grazie.
Quando conosce Gesù, e si rende conto dei suoi poteri, gli si getta ai piedi e lo supplica: "allontanati, perché sono un peccatore". Però poi lo segue: Lui solo ha parole di vita eterna (e all'occorrenza sa come si combina una pesca miracolosa). Sul monte Tabor ha l'incredibile privilegio di vedere il suo Maestro trasfigurato nella gloria, tra Elia e Mosè: la sua reazione è la più pedestre che si possa immaginare. "Maestro, qui si sta proprio bene, restiamo? Posso fare tre tende": il pescatore si preoccupa che le apparizioni bibliche possano prendere freddo. Nell'orto degli ulivi è un disastro ambulante: vuole vegliare su Gesù ma invariabilmente si addormenta; quando arrivano le guardie del Sinedrio sfodera la spada, stacca un orecchio a un servo, finché non è lo stesso Gesù a calmarlo. L'istinto barricadero, già ribadito poche ore prima a cena ("se anche gli altri ti abbandoneranno io non ti abbandonerò!", "Ti seguirò anche in prigione e fino alla morte!") gli passa d'un tratto nella portineria del sommo sacerdote, quando Pietro rinnega il Maestro tre volte prima che il gallo canti, senza bisogno di torture, di minacce e nemmeno di giudici: Pietro si fa mettere sotto torchio da una serva. L'episodio è uno dei pochi a essere ricordato in tutti e quattro vangeli, il che ci lascia capire che non esiste, nemmeno nella Chiesa primitiva, una corrente che cerchi di addolcire, di profumare in un qualche modo le fecali figure di Pietro: Pietro è un rodomonte che in tutto il suo romanzo tira un solo colpo di spada e stacca l'orecchio a un poveretto senza colpe; il classico duro-e-puro che alla prima minima difficoltà nega tutto e se la dà a gambe: costui è Pietro già nei primi racconti ancora non scritti, ovvero quelli che probabilmente ha messo in giro lo stesso Pietro. Il quale probabilmente aveva nel repertorio numeri simili a quelli di certi predicatori che raccontano sempre di quando vivevano nel peccato e nell'ignoranza di Gesù: probabilmente l'ex pescatore faceva qualcosa del genere, deliziava il suo pubblico raccontando tutte le sue figuracce in presenza del Dio vivente. ("Ehi, raccontaci ancora di quando hai provato anche tu a camminare sulle acque e a momenti affogavi").
Se Pietro è così umano, troppo umano, cosa ci fa sulla cattedra più importante della Chiesa? Ma sono proprio i suoi difetti a renderlo, oltre che simpatico, una prova vivente della grazia di Dio che esalta gli umili e arricchisce i poveri in ispirito. In realtà sul primato di Pietro si discute da millenni: i cattolici si basano sull'interpretazione metaforica di Matteo 16,18: "Tu sei una roccia e su questa roccia edificherò la mia Chiesa". Pietro prima si chiamava Simone: da lì in poi prenderà il nome di Cefa, "Roccia" in aramaico, "Pierre" in francese: l'italiano "Pietro" perde un po' di significato nel passaggio dal latino. Simone ottiene il prestigioso nomignolo in una delle rare volte in cui risponde correttamente a un'interrogazione del Maestro: "Chi voi credete che io sia?" Simone "the Rock" risponde: "Il Cristo, il figlio del Dio vivente". Per i protestanti la vera "roccia" sulla quale Gesù voleva fondare la sua Chiesa non è la persona fisica di Simone, ma la verità che lui per primo riconosce: che Gesù, appunto, è il Messia. Un'altra possibilità, poco accreditata ma non del tutto improbabile, conoscendo i due personaggi, è che Simone abbia preso l'ennesima topica e che Gesù se ne stia prendendo gioco: oh, ancora con questa storia del Cristo, ma sei duro eh, sei proprio un sasso, d'ora in poi ti chiamerò Sasso. Poi si sa, alla gente piace interpretare e fa ancora più casino. (Continua...)
26 croci
06-02-2012, 22:33cristianesimo, santiPermalinkOggi era la festa del gesuita giapponese Paolo Miki, e dei suoi 25 compagni crocifissi a Nagasaki nel 1597. A me anche solo l'immagine fa un po' effetto, ma forse nella loro cultura è normale.
Nel 1943, lungo la tristemente famosa “ferrovia della morte” che l’esercito giapponese stava costruendo tra Birmania e Thailandia, tre prigionieri di guerra australiani accusati di furto di bestiame furono condannati a morte e crocifissi. Legati a tre alberi con del filo spinato, picchiati con una mazza da baseball e lasciati lì ad agonizzare. Due non sopravvissero. Quando il terzo, Ringer Edwards, riuscì a liberare un braccio, gli aguzzini lo riagganciarono all’albero facendo passare il filo attraverso la carne della mano. In un qualche modo i compagni di prigionia riuscirono a passargli acqua e cibo, e dopo 63 ore fu deposto, ancora vivo. È morto nel 2000, in Australia. Oggi i giapponesi oggi non crocifiggono più i prigionieri.
Il nostro uomo a Damasco
25-01-2012, 20:20cristianesimo, ebraismo, santiPermalinkSul Post si parla della Conversione di San Paolo, un giorno che ha cambiato la vita di tutti noi, in particolare dei prepuzi di tutti noi. Non mi sembra un particolare da nulla.
…i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. (Atti 7,58)
Perché non sapete il giorno e l'ora
28-09-2011, 18:02cristianesimo, segnalazioniPermalinkLa blogpalla italiana non sarebbe così male, se solo non fosse quel nido di ateismo, laicismo e agnosticità che tutti ben conoscete. Forse è tempo di emendarsi e aggiungere, in mezzo a tante stridule voci di laicisti esasperati, la voce flebile ma giocosa del viandante nella fede.
Questione di giorni, ormai. Vegliate dunque!
Mentre il Santo Padre "dorme"
02-05-2011, 10:11cristianesimo, ho una teoria, pontefici, vita e mortePermalinkIl paradosso del Papa in coma (H1t#73) è on line sull'Unità.it e si commenta laggiù (sì, in realtà doveva chiamarsi Paradosso del Papa in Stato Vegetativo Persistente) (non suonava così bene).
Stavolta, più che una teoria, ho un paradosso. Cosa succederebbe se un Papa, non un Papa che conosciamo, un Papa qualsiasi da qui all'eternità, in seguito a un incidente o a una malattia, cadesse in uno stato vegetativo persistente?
Crux desperationis
19-03-2011, 11:28cristianesimo, Cristo, cultura, deliri, repliche, scuolaPermalinkIl Calvario quotidiano
Io un crocefisso l'ho già tolto.
Due settimane fa, nell'intervallo. Stavo dando un'occhiata ai traffici loschi in zona distributore di merendine, quando vengono in due a dirmi che in Seconda è caduto Gesù. Mi reco immediatamente sul luogo del misfatto e interrogo i testimoni oculari. Chi è stato? Silenzio. Proiettili, elastici, palline di carta? Negano tutti, del resto non mi pare l'abbiano mai considerato un bersaglio; hanno una certa soggezione. Forse una vibrazione del pavimento, qualcuno che saltella o che va a sbattere contro la parete, una porta chiusa di scatto: sia come sia, sembra caduto da solo. Ne traggo auspici non buoni.
Ma in quanto insegnante ostento razionalità e pragmatismo. Do un'occhiata al Cristo in questione: è caduto per l'ultima volta. Frattura completa del polso sinistro, il destro era già partito mesi fa. O anni fa. Anche il chiodino sotto i piedi è sparito da molto. A questo punto mi spiace, ma finché qualcuno (chi?) non stanzia nuovi fondi, il crocefisso se ne resta nel cassetto in fondo.
Oggi l'ho rivisto in corridoio, però a grandezza naturale. Sanguinava copioso. Subito ho pensato a una rissa in IIC, poi mi sono accorto della corona di spine e della croce che portava in spalla, quindi, insomma, era Lui.
“Domine, quo vadis?”
“E non parlare latino, che tu sappia io ho mai saputo il latino?”
“No, che io sappia no”.
“Mi dà anche un po' ai nervi”.
“In effetti è comprensibile. Ma insomma, Signore, dove vai?”
“Dove vado, dove vuoi che vada. A farmi crocifiggere un'altra volta, vado”.
“Ma no, dai, Maestro...”
“...visto che la prima non è bastata”.
“Non te la prendere, ti prego. A scuola succede, le cose cadono, si rompono... ho dovuto metterti nel cassetto, ma ti giuro che...”
“Ma non ce l'ho con te, cosa c'entri te. Sei anche tu un povero cristo”.
“Grazie, Maestro”.
“Ce l'ho con i farisei, per prima cosa”.
“Aaah, i farisei”.
“Hai capito, no?”
“Beh, magari un aiutino...”
“Quelli che mi hanno preso per un simbolo della cultura, della tradizione. Una bandierina, praticamente. Aho', ma stiamo a scherzare?”
“Però anche la tradizione ha la sua importanza...”
“Cioè secondo voi io mi sono fatto inchiodare mani e piedi per rappresentare una tradizione? Cioè, siamo a questo? Babbo Natale, la Befana e Cristo in Croce? Magari vi aspettate che vi porti anche i regali?”
“Ma no, non dico questo, però...”
“Però niente. Li vedi questi chiodi qua? Li vedi?”
“Ehm, sì”.
“Sono autentici, va bene? Non sono un simbolo, sono una rappresentazione realistica. Duemila anni fa i ribelli li uccidevano così. Li esponevano su un trespolo finché non morivano soffocati. Perché fossero da esempio. Tutto molto razionale, ma anche molto teatrale, ma anche violentissimo, Dio Me! Io rappresento questo, va bene? Rappresento un supplizio capitale! Rappresento la crudeltà dell'uomo e la ribellione dell'uomo! Rappresento la Morte! Rappresento il...”
“Ehm, Maestro... forse sarebbe meglio abbassare un po' la voce”.
“Il Martirio!”
“Ssssssssssssh!”
“Cos'è, hai paura?”
“Maestro, in effetti sì. Siamo nel 2009, è pieno di bambini musulmani qui, e quella parola...”
“Quella parola è italiana, ha radici nel latino che ti piace tanto, è il fondamento della tua cosiddetta tradizione, sepolcro imbiancato che non sei altro”.
“Sì, sì, Maestro, è vero... d'altronde...”
“D'altronde?”
“Non puoi negare che suoni po', come dire... scandalosa”.
“E che m'interessa a me? Guarda che io non sono mica un santone indiano peace and love! Io non sono venuto a portare la pace, ma la spada”.
“Matteo Dieci Trentaquattro”.
“Appunto. Io sono lo Scandalo! Sono pornografia, non so se è chiaro! Un uomo trafitto da chiodi che grida dai vostri muri, che chiama al combattimento per la salvezza! Io sono questo, mica l'albero di Natale”.
“Ecco, Maestro, in effetti, se mi ci fai pensare, sì. Tu sei molto scandaloso. Molto più di quanto io quotidianamente possa sopportare”.
“Tuo problema, non mio”.
“Però succede un po' come con tutti gli spettacoli disgustosi... all'inizio non riesci a guardarli, ma se ti abitui a darci un'occhiata tutti i giorni, dopo un po' non ci fai più caso... diventi parte di uno sfondo familiare”.
“Ah, dici che è così? Va bene, allora toglietemi immediatamente”.
“Ma poi i Vescovi...”
“Tiratemi fuori solo ogni tanto, quando i fedeli meno se lo aspettano. Io non voglio passare sullo sfondo, io voglio spaventarvi”.
“Se la metti così...”
“E aggiungo una cosa. È proprio sulla mia consistenza di carne e sangue e ossa e chiodi che è fondato il realismo europeo, è chiaro? Se avete avuto Giotto Caravaggio e Mapplethorpe lo dovete solo a me! Esclusivamente a me!”
“Adesso, Mapplethorpe...”
“Adesso niente. Rileggiti Auerbach. Che se era per gli ebrei o per Maometto, con le loro menate filosofiche sulla non rappresentabilità del divino, a quest'ora eravate ancora lì a eccitarvi sui triangoli e gli ottagoni. Dario Argento deve tutto a me. Che dico. Tinto Brass...”
“Piano, Gesù, piano!”
“E adesso salta fuori che sono solo una tradizione. Il mandolino è una tradizione. La pizza è una tradizione. Appendete i mandolini e non rompete, io sono Gesù Cristo morto in croce, non ci credi?, vuoi toccare?”
“No, no, no, mi fido”.
“No, ma guarda, tocca”.
“Maestro, sul serio, io...”
“No, tu adesso tocchi. Il cristianesimo si tocca, va bene? Non è una menata filosofica: è carne e sangue, pane e vino. E i farisei lo sai che fine fanno. Finiscono in vomito”.
“Apocalisse Tre Quindici”.
“Precisamente. E poi ce l'ho anche coi Sadducei”.
“I sadducei”.
“Hai capito, no?”
“Ehm”.
“Ma perché perdo tempo con te. Matteo Ventidue Ventitré”.
“Quelli che non credono nella resurrezione”.
“Ecco. Non ci vogliono credere? Va bene. Che problema c'è? Nessun problema. Voi non ci credete, io non vi risorgo. Non esisto nemmeno, per voi. Facciamo che sono un pezzo di legno”.
“Quindi?”
“Quindi cos'è questa storia che mi denunciate a Strasburgo? Cosa posso aver fatto, se sono un pezzo di legno?”
“Dunque, se ho ben capito la sentenza, la tua presenza sul muro, in quanto pezzo di legno... impedirebbe ai loro figli di crescere secondo i principi dei genitori”.
“Vabbè, siamo alle comiche. Ma che principi hanno questi genitori, si può sapere?”
“Beh, presumo che si tratti dell'illuminismo, del razionalismo...”
“Non conosco, ma dev'essere un pensiero molto debole, se si cancella appena fissi un pezzo di legno. Cos'è, sono un totem, adesso? Se mi fissi ti faccio dimenticare la lezione? Mi volto un attimo e mi tornate all'età della pietra?”
“Maestro, ci vuole tolleranza...”
“Ma tolleranza di che. È come quelli che si sbattezzano. In teoria non credono nel battesimo. In pratica però hanno paura di restare segnati per sempre da uno schizzo d'acqua. Va bene, allora a questo punto chiamiamo Wanna Marchi che vi fa le carte e vi vende i numeri del lotto, a proposito, di che segno sei?”
“Maestro, ci vuole rispetto...”.
“Che poi, spiegami. Il genitore ha il diritto che il figlio sia educato secondo i suoi principi? Non suona un po' totalitario? E quindi ti cresci un piccolo a tua immagine e somiglianza, che creda solamente nelle cose in cui credi in te, e poi la prima volta che lo lasci libero nel mondo, lui vede due legnetti appesi al muro che non corrispondono al suo sistema di credenze e va in confusione? Corte dei diritti dell'uomo, intervieni immediatamente! Il pezzetto di legno sta fissando il mio bambino! Ma come li tirate su questi ragazzi?”
“Facciamo quel che possiamo”.
“Il mondo è pieno di cose. Per dire, ci sono i semafori e non sempre segnano verde. I bambini lo devono sapere. Ci sono persone nel parco che offrono caramelle e non sono tutti buoni. Poi ci sono i pezzetti di legno e non tutti corrispondono alle cose a cui crede mamma o papà. Vogliamo abolirli a scuola? E quando li incontreranno nella vita, come si comporteranno?”
“Quindi Maestro, in conclusione, dobbiamo riappenderti o no?”
“Ma fate quel che vi pare, tanto comunque sia non avete capito. Mi sembra tutto così poco serio. Il fariseo che mi pianta come una bandierina, il sadduceo che vede la bandierina e si sente leso nei suoi diritti umani, è l'umanità? Sembra un pollaio. Non ci sono cose più serie? A scuola, poi. Che io nelle scuole ci vado, lo so quali sono i veri problemi”.
“Eh, immagino”.
“No, non puoi neanche immaginare, fidati. Sai quante non sono a norma? Sai quante non rispettano la 626? Sai quanto costerebbe metterle tutte in sicurezza?”
“Ecco, Maestro, questi sono effettivamente problemi seri...”
“Sai che mancano i sostegni? I corsi di recupero? Sai che la scuola assomiglia sempre meno un luogo educativo e sempre più a una casa di detenzione? Parliamo di questo!”
“No, Maestro, appunto. Proprio perché sono problemi seri, è meglio non parlarne”.
“E perché?”
“Perché, perché... perché a parlarne non si risolvono, e allora ci si deprime soltanto. Siamo in crisi, tutti vorrebbero scuole più belle, ma votano il primo che gli promette una tassa in meno, quindi...”
“Vi consolate chiacchierando di bandierine”.
“Sì. I problemi veri sono deprimenti. I problemi identitari invece, come dire, sono sexy. Tutti possono dire la loro senza impegno... ieri le bandierine, domani i dialetti...”
“Oggi i Cristi in croce...”
“Maestro, sì. Ma non devi prendertela”.
“No, no, non me la prendo. Adesso però vado. Mi aspettano in sala mensa”.
Chi se ne andrà per primo
25-01-2011, 23:22beatles, cristianesimo, Cristo, dialoghi, futurismi, musica, replichePermalinkPiù grandi di J.
DAL NOSTRO INVIATO - SILVABUL, 10 APRILE 3754.
Gsaui Rradoc, il più famoso lennonologo 'laico' del nostro semisfero, autore del controverso Intervista su Jesus mi accoglie nella sua confortevole cella di rigenerazione. Quando gli racconto delle ultime dichiarazioni di Ganesh XXVI, le rughe intrecciate sul suo volto sussultano; è il suo modo di ridere.
“Cos'è che avrebbe detto, l'elefantino?”
“Ganesh XXVI, il Dio vivente del Punjab, ha dichiarato ai giornalisti di essere diventato più grande di Lennon. È stato il suo modo di festeggiare la quarantesima settimana in testa alla top 20 Divinità”.
“Ah, già, la top 20. Beh, io non m'intendo molto di queste cose...”
“Si calcola che in media GXXVI richiami venti milioni di fedeli alle sue celebrazioni settimanali. È in effetti un record con pochi precedenti nella Storia recente”.
“Beh, se la mettiamo su questo piano, sì, non credo che Lennon facesse numeri del genere, ma vede, è sulla distanza che si vedono queste cose... non so se si ricorda T-re§”
“Vagamente. Faceva uno show coi serpenti...”
“L'incantatore di rettili transessuale di Ganimede. Fece il botto quindici anni fa, milioni di fedeli in tutto il sistema solare, anche a lui a un certo punto scappò detto di essere più grande di Lennon. E poi che fine ha fatto?”
“Che fine ha fatto?”
“Pare abbia aperto una concessionaria di condizionatori su Plutone. Vede, Jesus Lennon resta il più grande predicatore della Storia, non per i milioni di contemporanei che ha portato dalla sua parte; ma per il solo fatto che a duemila anni di distanza stiamo ancora parlando di lui. Tra dieci, vent'anni, arriverà qualche nuovo fenomeno da baraccone – una donna con dodici mani, un dio-lucertola, che ne so – e di loro, scommetto, nessuno dirà che sono “più grandi di Ganesh XXVI”. Diranno che sono più grandi di Lennon”.
“Gli Dei passano, Jesus Lennon resta. Come mai?”
“Il tempo è dalla sua parte, come recita un suo inno (per la verità di incerta attribuzione). Essere vissuto due millenni fa, nell'oscuro medioevo prediluviano, lo mette al riparo dalla luce troppo invadente dei riflettori. Di lui in effetti non sappiamo poi molto”.
“Chi era veramente Jesus?”
“Dopo duemila anni di rielaborazione mitologica è difficile rispondere a una domanda come questa. Ma almeno viviamo nel semisfero dove possiamo porcela senza temere di essere crocifissi da qualche inquisitore troppo zelante”.
“Profeta o figlio di Dio?”
“Io preferisco pensare a lui laicamente, come a un grande musicista. Per molti secoli questo aspetto della sua biografia è stato tralasciato; ci si concentrava sui contenuti degli inni, senza riprodurre la musica (che comunque era molto lontana dalla nostra sensibilità). Ma io resto convinto che non sarebbe diventato il più grande predicatore della Storia se non avesse avuto l'idea geniale di musicare le parabole e trasformarle in canzoni. Penso a certi inni immortali, come Stairway to Heaven o God Save The Queen. Figlio di Dio... mah, senz'altro nei suoi inni il padre è visto come un'entità lontana; è possibile che Lennon fosse orfano di padre, o comunque avesse sperimentato l'abbandono durante l'infanzia”.
“Falegname o chitarrista?”
“Le due cose potrebbero andare assieme; abbiamo trovato in vari siti archeologici esemplari di chitarre interamente lignee; può darsi che il giovane Jesus abbia svolto un breve apprendistato musicale in una bottega di falegnameria”.
“Fino all'incontro, che gli sconvolge la vita, con Elvis il Battista”.
“Su questo i Vangeli concordano: la predicazione di Lennon ha inizio solo dopo che Elvis lo battezza nel Giordano. È un evidente passaggio di consegne; il Battista è nella fase calante della sua carriera; i seguaci gli hanno voltato le spalle, lui stesso si considera Vox Clamans in Las Vegas”
“Eh?”
“È latino. Voce che chiama nel deserto”.
“Ah”.
“Nel frattempo in Galilea Jesus raccoglie i primi discepoli, gli Scarabei”.
“Questi li so, li so. Luca, Matteo, George e Ringo”.
“Così secondo i Vangeli, che sono attribuiti a loro. Ma gli storici tendono a escludere George, che nei documenti più antichi è visto indossare una chitarra lignea”.
“Ma non era lo strumento di Lennon?”
“Appunto. La tesi più accreditata è che gli Scarabei fossero quattro in tutto, e che Lennon fosse uno di loro; San George sarebbe stato aggiunto al racconto un millennio più tardi, durante le crociate, quando diventa il patrono dei crociati e poi dell'Inghilterra.; probabilmente un soldato inglese reduce dalla prima crociata in Terrasanta, che tornando nel Merseyside riscuote un incredibile successo spacciando per sue le canzoni di Lennon, e trasformandosi in una vera e propria reincarnazione di Lennon in una terra tanto lontana da quella che aveva assistito alle esibizioni del quartetto originale”.
“Quindi lei non ammette l'ipotesi che Jesus Lennon e gli Scarabei d'Argento abbiano vissuto gran parte della loro vita in Inghilterra”.
“È una deformazione medioevale, quando fioriva il mercato delle reliquie e ogni nazione si inventava luoghi santi in cui avevano vissuto... pensi che un culto di Lennon sopravvive anche nelle isole del Pacifico Orientale, dove rappresenta il Sole, contrapposto al Dio Luna Yoko...”
“Ma la Sindone mostra i lineamenti di un inglese biondo, capellone...”
“La Sindone è una reliquia medievale. Potrebbe essere effettivamente il sudario di un crociato, chissà, magari proprio George. Ma il Lennon storico deve avere avuto lineamenti molto diversi da quelli con cui viene raffigurato di solito. Tratti somatici mediorientali, carnagione olivastra...”
“Niente capelli biondi, quindi. E niente occhialini”.
“Nella Palestina romana? No”.
“Già, i Romani. Sono stati davvero loro a ucciderlo?”
“Anche questo ovviamente non è chiaro. Lennon viveva in un periodo turbolento, in cui molti predicatori sobillavano alla rivoluzione. All'inizio però la sua posizione è ambigua. C'è un inno, Revolution, di cui si conoscono due versioni. In una dice “You can count me in”, che in aramaico significa “Includetemi, anch'io voglio fare la vostra rivoluzione”. In un'altra dice l'esatto contrario: “You can count me out”, tenetemi fuori”.
“Probabilmente una delle due è apocrifa”.
“Sì, ma è praticamente impossibile determinare quale; entrambe le versioni sono antichissime, al punto che alcuni ipotizzano che lo stesso Lennon fosse indeciso sulla strada da prendere, e che abbia inciso la canzone in due versioni. In ogni caso all'inizio non si considerava un predicatore politico nel senso che diamo oggi all'espressione. La sua figura era più simile a quella che oggi chiameremmo artista”.
“Jesus Lennon, un artista?”
“Nei primi anni di predicazione con gli Scarabei, Lennon non sobilla nessuna rivoluzione. È soltanto un musicista ispirato che richiama folle ovunque si esibisca, in Galilea, Giudea, e nella misteriosa Bolla degli Olivi”.
“È il periodo dei miracoli: dà la vista ai ciechi, risuscita i morti...”
“La tradizione dei miracoli è probabilmente un equivoco linguistico. Quante volte ci capita di dire che la tal cosa “risuscita i morti”. È un'espressione enfatica che sottolinea la grande potenza espressiva delle parabole musicali di Jesus”.
“Quindi Lennon non risuscitava i morti”.
“Solo in senso figurato”.
“Non tramutava l'acqua in birra”.
“Probabilmente i birrai in sua presenza preferivano spillare birra vera e non la solita broda annacquata”.
“E il grande miracolo di Woodstock?”
“Su Woodstock ci sono diverse teorie. Tutti gli studiosi concordano che fu un disastro logistico, e che migliaia di persone rimasero in mezzo al fango senza nulla da mangiare”.
“Finche Lennon non moltiplicò i pani e i pesci”.
“È indimostrabile, ovviamente. Il vero miracolo di Woodstock sono le sue parole, il cosiddetto discorso della montagna, sul quale è fondato il lennonismo occidentale: "Beati i miti perché erediteranno la terra, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia..." peccato che di questa canzone si sia persa la musica. Comunque i Romani non avevano nulla da temere da un fenomeno musicale-religioso di questo tipo. Gran parte dei riferimenti delle sue canzoni (il divino Tricheco, la Lucia nel Cielo di Diamanti, i Perpetui Campi di Fragole) erano oscuri già allora”.
“E allora perché lo crocifiggono?”
“A un certo punto qualcosa cambia. Lennon è accusato di avere frequentazioni scandalose: pubblicani, prostitute, spacciatori, artisti concettuali. Gli Scarabei d'Argento si sbandano”.
“Forse il successo gli stava dando alla testa”.
“È la tesi forte del Vangelo di Ringo, che però è il più tardo dei quattro. In realtà i suoi inni del periodo post-Scarabei sono i più politicizzati. È possibile che a un certo punto Lennon si sia veramente trasformato in oppositore al regime di occupazione romana che, non dimentichiamocelo, era fondato sulla violenza e sulla prevaricazione. Anche nell'ultimo periodo Lennon rimane comunque un pacifista; non inneggia alla lotta armata, al contrario. Ma è possibile che il suo antimilitarismo desse ugualmente fastidio. Era il periodo in cui l'Impero reclutava legionari anche nelle province per difendersi dalle incursioni Sovietiche e Persiane”.
“Tradito dal suo manager, Lennon viene arrestato e condannato alla morte sulla croce”.
“Il resto è leggenda”.
“Una leggenda comunque miracolosa, per aver resistito tutti questi secoli”.
“Chissà quanti altri cantanti e predicatori infiammarono i cuori per una breve stagione e poi furono dimenticati. Lennon ha potuto contare su uno dei più grandi PR della Storia”.
“Si riferisce a Paul McTarso?”.
“Il buffo è che probabilmente i due non si sono mai conosciuti di persona. Paul aveva ricevuto un'educazione musicale classica, e all'inizio non aveva assolutamente orecchio per le composizioni di Lennon. Anzi, con le sue prime ferocissime recensioni Paul dà inizio a una vera e propria campagna di persecuzione contro il lennonismo e i suoi seguaci”.
“Poi succede qualcosa... Un incidente, mi pare”.
“Sull'autostrada Damasco-Liverpool. Paul vede una luce abbagliante, sbanda ed esce di strada. Viene soccorso, ma rimane temporaneamente cieco, muto, e apparentemente sordo. Ma è evidentemente una sordità selettiva. Immerso nel silenzio, Paul sperimenta una vera e propria epifania. Può ascoltare le composizioni di Lennon senza pregiudizi culturali. La sua conversione fa scalpore e getta le basi per il successo del credo lennoniano in tutto il bacino del mediterraneo”.
“C'è anche chi dice che il vero Paul sia morto nell'incidente”.
“È una leggenda durissima a morire. Ma ce ne sono di più interessanti. Secondo alcuni è Paul il vero inventore del lennonismo moderno: molti ritornelli degli inni lennoniani sarebbero suoi. In effetti è difficile pensare che la stessa persona possa aver scritto composizioni musicalmente così diverse tra loro come Helter Skelter o Yesterday. Alcuni si spingono ad affermare che Lennon non sarebbe che una figura mitica, un musicista biondo e capellone studiato a tavolino per rendere più appetibili le composizioni dello stesso Paul. Come vede, c'è una teoria per tutti”.
“Non c'è proprio niente di cui possiamo essere sicuri?”
“Io sono ragionevolmente sicuro di un paio di cose. La prima è che tra un millennio o due ci sarà ancora qualcuno, come lei o come me, che ha voglia di discuterne. La grandezza di Lennon è questa”.
“E la seconda cosa è...”
“Anche l'invidia non cesserà mai. Ci sarà sempre qualche Messia o Avatar pronto a dichiarare di essere diventato Più Grande di Lui. Guardi questa, è la riproduzione di un antichissimo ritaglio giornalistico. Come sa, gran parte dei documenti originali dell'epoca lennoniana non ci sono arrivati, perché gli archivi erano stati digitalizzati nei decenni precedenti al diluvio, e non abbiamo mai capito come si leggono i loro supporti magnetici. Di loro ci è rimasta solo la carta stampata che si erano dimenticati di riciclare. Vede? Questo è un antichissimo ritratto fotostatico di Lennon, molto sbiadito. La scritta in basso è in aramaico. Sa cosa dice?”
“IGGER THAN JESUS LENNON CLAIMS. Ovviamente no”.
“La traduzione più accreditata è: Qualcuno afferma di essere più grande di Jesus Lennon. Evidentemente Lennon veniva attaccato dagli emuli già in vita. Eppure loro sono passati, lui no. La sua musica era semplicemente migliore”.
“Io in realtà non ne ho ascoltato molto”.
“Venga, le faccio sentire un pezzo rarissimo”.
“Ma veramente... non m'intendo molto di musica classica, sa...”
“Quando è buona musica, non è classica né moderna: è eterna. Sente?”
“Sento solo rumore”.
“Deve abituarsi un po'. Vede, in questo pezzo Lennon chiede all'ascoltatore di ascendere, di immaginare un luogo meraviglioso dove qualsiasi cosa è possibile”.
“Le parole dicono questo?”
“Le parole dicono: Portami laggiù, nella Città Paradisiaca, ove l'erba è verde e le fanciulle sono leggiadre”.
“Molto bello. Si è fatto tardi, devo andare”.
Attraverso la loro musica quei quattro ragazzi di Liverpool, splendidi e imperfetti, sono stati capaci di leggere e di esprimere i segni di un'epoca che a tratti hanno persino indirizzato, imprimendovi un marchio indelebile. Un marchio che segna lo spartiacque tra un prima e un dopo. E dopo, musicalmente, nulla è più stato come prima
L'Osservatore Romano, 10/4/2010.
John Lennon, 1965.
La novantanovesima pecorella
13-10-2010, 18:56cristianesimo, Dio, l'educazione religiosa, religioniPermalinkContinua da qui. Per farla breve: Saul è un tizio che ha succhiato la religione dal seno materno.
L'aver, per così dire, succhiato la religione dal seno materno, ha messo Saul in una condizione particolare. Diciamo che credere in Dio non gli costa nessuna fatica: nessun “investimento emotivo” (direbbero gli psicoterapeuti). Come se fosse stato impostato “cattolico” di default (direbbero gli ingegneri). Una specie di aristocratico della sua religione: l'ha ereditata alla nascita e sarebbe pronto a lasciarla invariata agli eredi. Non ha bisogno di chiedere segni al suo Dio, che è roba da generazioni malvagie (Lc 11,29): nessuna necessità di roveti ardenti o madonne piangenti, anzi; a tutte queste ha sempre visto con una certa diffidenza. Sin da bambino. Di tutte le fole che gli raccontò la catechista, un'anziana signora con un certo talento narrativo, quella che ricorda più volentieri è l'avventura di un esorcista locale, che indagava su un'apparizione mariana. Insomma, c'era questa persona che si dichiarava visitata dalla Madonna, che le spirava tante parole buone e dolci, ma l'esorcista non ne era convinto, e continuava a interrogarla, finché... finché il demonio (perché era il demonio alla fine!), spazientito da tutti questi colloqui, non diede di matto e cominciò a ispirare sapidi bestemmioni; e mentre l'invasata veniva condotta via in una probabile camicia di forza , l'esorcista, placido perrymason, si gustava il tuo trionfo: “L'avevo sempre saputo”. Il demonio vestito da vergine, come il lupo della favola, che s'infarina le zampe per farsi aprire la porta dalle pecorelle...
Sono un gregge i cattolici, è vero: ma contrariamente all'immagine che gira negli ultimi tempi, non è che aprano la porta alla prima madonna che si presenta. Sanno essere diffidenti, persino scettici, a modo loro. Non come certi che magari si professano agnostici e poi fanno le corna o leggono l'oroscopo: le pecorelle della chiesa cattolica credono in tante cose, ma si definiscono anche per le cose in cui non credono. Soprattutto fino a qualche anno fa, quando Wojtyla non era ancora l'anziano rimuginatore dei segreti di Fatima. Per dire, la Madonna di Medjugorje non è tuttora omologata. Lo stesso Padre Pio ha dovuto sanguinare parecchio per farsi accettare nel club. E anche la Sindone è un'optional: ci credi se ti va, ma nessuno ti obbliga.
Apparente controsenso di una religione fondata da visionari invasati dallo Spirito Santo, ma poi appaltata nei secoli a generazioni di anziani scettici e prudenti. Saul capisce che dietro c'è, appunto, il senso di appartenenza a un'aristocrazia della fede. C'è chi per credere ha bisogno di vedere segni nel cielo, sangue nei costati, Madonne che piangono, e, chissà perché, devono piangere sangue. Tutto questo è ammesso; in determinate epoche (non le migliori) è persino incoraggiato, ma in definitiva resta un atteggiamento infantile, roba da pastorelli, da... parvenus. Saul non ne ha bisogno, e in un'altra epoca probabilmente avrebbe fatto carriera come inquisitore di provincia, torturando più o meno psicologicamente gli invasati finché non sputano bestemmie. Tuttora, se c'è qualcosa che malsopporta è proprio lo zelo dell'ultimo arrivato, il belato entusiasta della centesima pecorella, Giuliano Ferrara che gli spiega i dogmi di fede, Paolo Brosio che gli mostra la Madonna, dico, Paolo Brosio. Certe volte Saul vorrebbe veramente disporre delle risorse di un inquisitore seicentesco, e andarli a trovare. Perché questa gente è snervante, incontra sempre Dio proprio nel preciso istante in cui la vita li ha messi spalle al muro, e zac! Colpo di fulmine. Saul con Dio ci ha passato la vita intera, e sa che è tutto molto meno romantico di quanto si dica in giro: portarsi Dio a scuola, a far la spesa, in vacanza, un fardello mica da ridere. E questi dilettanti cosa vogliono? Chi li ha invitati? Ecco, questo è quello che definirei approccio aristocratico alla fede. C'è un piccolo problema.
La sua religione è la meno aristocratica in assoluto.
Sei cristiano da una vita? Dio se ne frega. Ti giudica alla stessa stregua di quello che si è appena convertito. Controlla pure sul Vangelo, vedrai che le cose stanno così. La Chiesa sarà anche gestita da anziani scettici. Ma i sacri testi mostrano chiaramente una predilezione populista per i matti, i visionari, insomma, i parvenus. I convertiti dell'ultima ora, che sono i più fanatici e pericolosi di tutti. Gesù preferisce sempre gli ultimi arrivati ai banchetti (Matteo 22,1-14); se gestisce una vigna, paga l'operaio stra-ritardatario con lo stesso salario di quello che è arrivato puntuale (Matteo 20-1,16). Le 99 pecorelle tranquille lo annoiano, lui passa la notte a cercare quella smarrita (Matteo 18,12-14). E poi il figliol prodigo. Le prostitute, i pubblicani, insomma, cani e porci. Nel Vangelo gli unici a fare una brutta figura sono proprio le caste sacerdotali, gli anziani sicuri e tranquilli della loro fede ereditaria, scribi farisei e sadducei. Gesù non li sopporta. San Giovanni non li trova né caldi né freddi, quindi li vomita (Apocalisse 3,15-17). Il Cristianesimo ha qualcosa di schizoide: se ti senti un buon cristiano, probabilmente non sei davvero un buon cristiano. Ma quando lo capisci (di non essere un buon cristiano), forse sei sulla buona strada... purché non te ne accorga, altrimenti siamo daccapo...
Nascere nella fede non ha fatto di Saul un santo. Piuttosto una comparsa nella Leggenda Santa di qualcun altro: Saul è la 99ma pecorella, il fratello senza gloria che rimane col padre a lavorare, il primo che sarà l'ultimo. È cresciuto in una parrocchia. È stata la sua seconda casa per molti anni. Ha visto la vigna del prete segata e asfaltata, la canonica rifatta, la chiesa restaurata, mentre lui si alzava di qualche centimetro (non di molti), e intorno a lui roteava un vortice di gente che andava e tornava. Lui restava lì, suonava la chitarra. Molti se ne partivano, delusi o semplicemente annoiati. Alcuni ritornavano, o arrivavano da fuori, convertiti di fresco. Molto spesso sulla loro strada c'era qualche sfiga, un incidente, un congiunto morto, e nonostante questo avevano tutti l'umore più alto di Saul. Perché portavano in dono alla comunità una Fede nuova di zecca, una fede pazzesca, da spostare le montagne (alcune montagne furono in effetti spostate), una fede che Saul ammirava, ma sinceramente non invidiò mai. Si ricordava della favola della sua vecchia catechista, ed era programmato alla nascita per diffidare dell'entusiasmo dei neofiti, e dell'entusiasmo in generale. Alcuni erano talmente pervasi che si fermavano in zona solo un po', diretti a qualche eremo o verso una carriera sacerdotale. Saul li faceva passare, dalla sua postazione laterale al presbiterio: lui suonava la chitarra, e lentamente vedeva questi roveti ardenti bruciare e consumarsi. Più rapida e forte era la fiamma, meno ci metteva a bruciare il combustibile. Saul amava paragonarsi a un ceppo tignoso e anche un po' umido, più fumo che fiamma, ma ben disposto a durare tutta la notte. In realtà non è andata esattamente così.
Questo in effetti è solo un lato della storia. C'è un altro motivo per cui Saul diffida dei roveti ardenti. È che da piccolo ha avuto anche lui il suo. Le apparizioni, sì, l'estasi e il tormento, tutta questa specie di cose. Ci è passato. (Continua, fino all'esaurimento dei lettori).
Prete, sposa te stesso
15-03-2010, 16:31cristianesimo, ho una teoria, pedofilie, preti parlantiPermalink(R: un prete pedofilo sposato).
In effetti c'è una buona dose di ingenuità nel considerare il matrimonio una soluzione al problema della pedofilia. Molti dei 'mostri' che la cronaca ci ha messo davanti negli ultimi anni erano regolarmente sposati, con mogli che non sospettavano o che a volte erano complici (come nel memorabile caso di Marcinelle). Se è vero che i preti che hanno commesso abusi sono una percentuale straordinariamente alta (quasi il 4%, secondo il cardinale Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero), è anche vero che per il bambino c'è sempre un posto meno sicuro del seminario: la propria casa. Gran parte degli abusi sessuali su minori vengono commessi entro le mura domestiche, da genitori, parenti, amici di famiglia.
Chi propone di risolvere il problema sposando i preti non fa che sostituire un'istituzione forse in crisi (il celibato sacerdotale) con un'altra (il matrimonio) che in crisi è sicuramente. Un prete sposato sarebbe al riparo dalle “tentazioni” (per usare il gergo cattolico), o dalle pulsioni devianti (per usarne uno laico). Basta guardarsi intorno per rammentare che purtroppo le cose vanno diversamente. Il matrimonio è un impegno che si contrae con la propria coscienza. Proprio come il voto sacerdotale. Chi viola il secondo, perché dovrebbe sentirsi obbligato dal primo?
Gli esponenti del Clero cattolico che in questi giorni si lamentano di essere il bersaglio di un “sensazionalismo mediatico” hanno insieme torto e ragione. Hanno torto, perché i numeri da loro stessi ammessi sono veramente sensazionali: quattro preti pedofili su cento non sono pochi, sono un'emergenza. Hanno ragione, perché circoscrivere alla Chiesa cattolica il problema degli abusi sessuali è riduttivo, e forse dipende da una scelta editoriale deliberata. Nei Paesi dove altre confessioni cristiane sono radicate come il cattolicesimo in Italia o in Irlanda, la percentuale di pastori protestanti accusati dei medesimi abusi è altrettanto alta, anche se (lamentano i vescovi), fa meno scalpore... Può darsi che la struttura piramidale della Chiesa cattolica renda in un qualche modo più spettacolari le accuse ai membri di quest'ultima: un oscuro pastore di provincia scoperto ad allungare le mani resta una triste storia di provincia; un pretino cattolico trovato nella medesima situazione evoca la complicità di Benedetto XVI (tanto peggio se poi quest'ultimo ha un fratello che dirigeva un coro in modo un po' manesco).
I sacerdoti – cattolici, protestanti, ortodossi – sono evidentemente una categoria a rischio. Una percentuale non irrilevante è portata a commettere abusi sessuali sui minori. Non a causa del voto di celibato (che protestanti e ortodossi non osservano), ma perché, banalmente, la loro vocazione consente loro di interagire con molti bambini, in una posizione di potere, e godendo della fiducia delle famiglie e della comunità. Questo era vero soprattutto fino alla metà del secolo scorso, quando alle Chiese era ancora appaltata in blocco l'istruzione, anche attraverso quel luogo concentrazionario che era il collegio. Lì è probabile che l'abuso sessuale venisse praticato in modo sistematico: che fosse impartito e vissuto come un trapasso di potere e di coscienza. Questo spiegherebbe anche il fatto che la maggior parte delle accuse riguardino fatti avvenuti ormai più di venti anni fa. Quindi l'emergenza è già in via di soluzione? In un certo senso sì. Ironicamente (secondo questa mia teoria) ciò che tirerà fuori dai guai la Chiesa è proprio un suo nemico giurato: l'istruzione laica, che mettendosi tra i preti e i bambini forse non ha messo i secondi al sicuro, ma almeno ha messo i primi al riparo dalle tentazioni. Non è un caso che oggi i 'mostri' che più spesso arrivano in prima pagina siano educatori o insegnanti (anche se quasi mai le accuse nei loro confronti si rivelano fondate... ma questo è un altro discorso).
In hoc signo perdes
05-11-2009, 23:33contro l'identità, cristianesimo, preti parlantiPermalinkÈ buffo che molti (quasi tutti atei) abbiano preso il mio pezzo di ieri per una critica alla sentenza di Strasburgo. È buffo perché il pezzo aveva come protagonisti un insegnante che aveva appena deposto un crocefisso e un Gesù che diceva “Toglietemi immediatamente”. Più di così.
Il pezzo ironizzava, è vero, con quei sadducei moderni che ritengono pericolosa l'esposizione dei figli a un legnetto. Detto questo, io la sentenza di Strasburgo non mi metto neanche a leggerla: mi fido. Sono convinto che sia ponderata, ragionevole, e che lasci scarsi margini a un appello. La logica è stringente: se in Italia non c'è una religione di Stato, esporre il simbolo di una sola fede è evidentemente una prevaricazione. Radicata nella consuetudine bla bla bla, ma resta una prevaricazione.
E allora perché non gioisco per la vittoria laica? Beh, per il semplice motivo che non è una vittoria. Facciamo che sia la presa della Bastiglia: bene, ma si tratta di capire chi la spunterà a Waterloo. Quando tra qualche mese o anno sarà tutto finito, in Italia ci saranno più o meno cristi alle pareti? E se anche fossero spariti, siete sicuri che si sarà trattato di una vittoria laica? Le guerre, oltre a cominciarle, bisogna anche saperle vincere. Sennò si fa il gioco del nemico.
Ripeto: non discuto la sentenza. Ma l'idea che la parola di un giudice chiuda la questione mi sembra indizio di un razionalismo piuttosto ingenuo. Se si trattasse di una società di robot asimoviani, potremmo procedere a togliere dalle pareti i crocefissi anche domani mattina: sentenza razionale dice x, robot razionale rispetta sentenza. Viceversa, ho la sensazione che molti genitori e studenti che fino a ieri non ci facevano caso cominceranno a lamentarsi da domani: perché il cristo non c'è più? Si è rotto? E chi l'ha rotto? e se fosse stato il compagno musulmano?
Passare dal razionalismo al pragmatismo per me significa accettare di vivere nella società degli uomini, che non essendo robot non hanno sempre comportamenti razionali. Per esempio: hanno paura. Un meccanismo non teme di essere spento o riprogrammato. Invece un uomo reagisce spesso col rifiuto a chi mette in discussione le sue abitudini. Anche se, da un punto di vista razionale, sono sbagliate. E non basta dirgli: stai sbagliando, correggiti. A volte in questo modo ottieni solo il risultato di farlo impuntare.
Mi sembra esattamente quello che sta succedendo in queste ore: quello che fino a ieri era un pezzetto di legno inoffensivo sta diventando il simbolo di un popolo, di una civiltà, e quant'altro. È sciocco, però succede. Ed era abbastanza prevedibile, visto il Paese in cui viviamo.
Stato laico un cazzo. La costituzione scritta dalle zecche comuniste non ha alcun valore e presto sarà cambiata. L’Italia è uno Stato Cristiano per tradizione ultra-millenaria. Chi tocca il Crocefisso (ma anche solo chi mette in discussione la cosa), Polonio-210 subito. La cagna finlandese è e RESTA finlandese: altro aspetto della costituzione che verrà cambiato. Non è con un timbro che si diventa Italiani. Blut und Boden! gli islamici c’entrano sempre.Si tratta di un Paese in crisi economica, che per sfogarsi va in crisi d'identità. Si trova pencolante sul confine tra Nord e Sud: confine incerto e percorso da milioni di persone che fa sempre più fatica ad assorbire. Di solito un Paese del genere è il brodo di cultura ideale per xenofobie e razzismi. In una situazione del genere, anche un pezzo di legno può essere utile per rafforzare un sentimento identitario che finora non è mai stato molto ben definito. Dopodiché, La Russa resta un meschino rimestatore: purtroppo è un rimestatore che dà ordini ai generali e intercetta applausi da una base sempre più estesa.
Io non so in che Italia viviate, ma nella mia anche il partito che fino a qualche anno fa ostentava un'identità 'celtica' e paganeggiante è sempre più in prima fila nel baciare le pile ai vescovi. Nella mia, tre ore dopo la sentenza di Strasburgo il pluripeccatore Berlusconi era già stato davanti ai fotografi con un crocione in mano. Nella mia, il discorso “li lasciamo venire qui e loro pretendono di toglierci la croce” lo fanno anche i bambini di undici anni: li ho sentiti con le mie orecchie. Fino a ieri il pezzettino di legno era buono nel cassetto, oggi è già diventato un simbolo di identità. Che serve poi a fomentare lo scontro tra chi lo vuole e chi no. È questa la guerra che desiderate? A me non piace. E poi secondo me la perderete. Quante divisioni corazzate avete? Gli altri hanno il numero, la forza dell'interesse, l'inerzia della tradizione e il fantasma dell'identità. Voi cosa avete? La sentenza di una corte europea. Non dico che sia poco, eh.
Ma non è abbastanza. Qualcuno ha evocato Rosa Parks. Quella a dire il vero mi sembra una lotta più concreta: non per un simbolo, ma per la stanchezza di una signora. Comunque Rosa Parks non vinse in tribunale. Le battaglie che cambiano i costumi non si combattono in procura, ma nell'agone politico. Quando un giudice impose all'università dell'Alabama di ammettere studenti neri, Kennedy dovette nazionalizzare la Guardia Nazionale dello Stato, perché finché prendeva ordini dal Governatore non sarebbero mai entrati. L'Alabama era uno Stato razzista in una federazione di cinquanta che credevano (quasi tutti, ormai) nell'uguaglianza; l'Italia è piccola e confusa, e per quanto mi sforzi non riesco a vedere, nei prossimi anni, un Kennedy italiano che mandi i carabinieri a deporre i crocefissi.
Mi riesce più verosimile il seguente scenario: la Gelmini andrà in appello, lo perderà. A quel punto però il governo si sarà esposto. Nel frattempo CEI e il Vaticano continueranno a lamentare l'insidiosa e strisciante campagna cristianofoba. È la cosa che gli riesce meglio, il chiagn-e-fotti. Il crocefisso verrà saldamente piantato nella piattaforma programmatica di PDL, Lega e UDC: tanto più che non costa niente, non bisogna neanche appenderlo, è già lì sulle pareti (il sogno bagnato di ogni politico, una promessa realizzabile a costo zero).
Non sarebbe la prima volta che il parlamento manda avanti una leggina in palese violazione di una sentenza: un bel lodo-Pilato, et voilà, avremo la prima legge nella Storia d'Italia che mette nero su bianco quello che prima era una semplice consuetudine: crocefissi nelle classi. Il bello è che in tante aule non c'è più da un pezzo: quando cade nessuno lo raccoglie. Io ho insegnato in una dove credo non ci sia mai stato: bene, ce lo metteranno.
E se scattasse una procedura di infrazione? Ne scattano tante: pagheremo, addirittura saremo fieri di farlo, ne va delle nostre radici cristiane... oppure no, forse alla fine la spunterà Strasburgo. Magari alla fine li toglieremo davvero, i dannati pezzi di legno. Ma siete sicuri che quello sarà un bel giorno per la causa laica? Avrete solo ottenuto il risultato di riunire una maggioranza silenziosa dietro a un simbolo confessionale. E di innervosirla. Certo, a quel punto magari la Uaar avrà qualche migliaio di tesserati in più.
Io credo che faccia benissimo Bersani a tentare di disinnescare la questione: non solo perché parla a nome di un partito che ha origini cattoliche. Un laureato in Storia del Cristianesimo credo sappia benissimo che a fare la guerra contro i simboli perdi sempre. A meno che tu non ne abbia di più potenti da proporre, e non è questo il caso. A dire il vero lo sanno anche i vecchi comunisti: a proposito, quand'è che il PCI divenne un partito di massa? Quando bisognava sparare agli stranieri che ci venivano in casa. La gente andava in montagna e lì ci trovava formazioni organizzate con la stella nel berretto. Alcuni quel berretto non se lo sono più tolto. Non avevano mai letto Marx e non lo lessero mai, ma nel momento del pericolo si sono impossessati di un simbolo. Io non vorrei che i nostri figli s'impadronissero della croce nello stesso modo: non vorrei che diventasse per loro un giorno la cifra di un'identità italiana, bianca, latina. Ma è quello che vedo succedere progressivamente davanti ai miei occhi, giorno dopo giorno. E non mi piace.
Ultima cosa. Io gli italiani cerco di vederli per quel che sono, ma questo non significa che non abbia rinunciato a cambiarli. Io tutti i giorni penso all'Italia, come dice Fibra; e non è uno scherzo, è proprio così: a volte mi sveglio che ci sto già pensando, e vado a letto che ancora l'ho in mente. Tutti i santi giorni provo a cambiarla, per il poco che posso: sul posto di lavoro, qui, dovunque ci sia un margine io mi ci misuro. E quando dico che togliere i crocefissi non è la strategia giusta in questo momento, vorrei che voi credeste, se non alla mia piccola esperienza, almeno alla buona fede. Atei o agnostici che siate, avete tutti frequentato almeno una scuola che esponeva una croce: coraggio, se ce l'avete fatta voi, possono farcela anche i vostri figli. Non dico che sia giusto, tecnicamente non lo è: però nella società degli uomini la giustizia è un punto di arrivo, non un diritto acquisito.
- gesù, giuseppe, maria e
31-10-2006, 21:24cristianesimo, feste, repliche, Sacripante!, santiPermalinkGiorni di vacanza. Tanto più che qualcuno a caccia di dolcetti è riuscito a scovare pure il nostro citofono.
Così la redazione si allinea al sentimento comune e festeggia Ognissanti con un pezzo di repertorio: I Santi del Mese. E' stato scritto in gennaio per Sacripante!, e doveva essere il primo di una lunga serie di pezzi buffi sui protagonisti del nostro calendario. In seguito però la pregiata rivista on line ha interrotto le pubblicazioni (voglio sperare che Ruini non c'entri per nulla). Devo dire che un po' mi dispiace. Devo anche dire che ero in ritardo cronico con le consegne.
Rileggendolo, ho voluto cambiarlo un po', e così l'ho riscritto. Spero che non ci siano problemi di copyright (sennò lo tolgo).
Santa Brigida di Kildare (1 febbraio)
Appena dico "Santa Brigida", vi sento già sbuffare: "Massì, lo sappiamo, patrona di Svezia e d'Europa: ebbe otto figli, fondò una settantina di monasteri e riempì otto volumi di visioni estatiche". Tutto questo è vero, e anche di più, ma il primo febbraio ricorre un'altra Santa Brigida. Quella di Kildare (Irlanda). Perché l'Irlanda non è solo San Patrizio, sapete.
Ora, questa santa a me sta assai simpatica. Non ebbe molte visioni estatiche, è vero – e di monasteri ne fondò uno solo – ma nell'isola ancora si parla di quella volta che nel Meath “spillò birra da un solo barile per diciotto chiese, in quantità tale che bastò dal Giovedì Santo alla fine del tempo pasquale” (Breviario di Aberdeen). Perciò gli irlandesi la ricordano con una preghiera che dice:
I would like a great lake of beer
for the King of Kings.
I would like to be watching Heaven's family
drinking it through all eternity.
(Vorrei un lago di birra
per il Re dei Re.
Vorrei guardare la famiglia celeste
che ne beve per l'eternità)
Questa visione del paradiso come un pub dove la famiglia degli angeli e dei santi trinca per l'eternità, la dobbiamo a Santa Brigida di Kildare, che Dio l'abbia in gloria. E quando il giorno verrà, che si apriranno le saracinesche del cielo, fa che sia Santa Brigida ad attenderci al bancone celeste. E se la Madonna vorrà offrirci il vino di Cana, noi le diremo: "Tuo figlio ci ha messo l'acqua", ma solo per scherzo, e Brigida spinerà una scura anche per lei, e i protestanti sciacqueranno i bicchieri in cucina, dove sarà pianto e stridore di piatti in eterno nei secoli dei secoli, amen.
Sant'Agata (5 febbraio)
Avete presente quel tipo di sante martiri che presentano le proprie mutilazioni su un vassoio – vengono i brividi solo a pensarci. Santa Lucia, per dire, ci tiene un paio d'occhi – quelli che le cavarono i pagani. A Sant'Agata (patrona di Catania e dei pompieri) è andata, se possibile, peggio. Quelle due cose rosa sul vassoio sono… i seni, esatto.
Aveva solo 15 anni, quando il proconsole di Sicilia Quinziano le mise gli occhi addosso: giovane, pura, consacrata a Cristo. Sulle prime la affida a una cortigiana, tale Afrodisia, che cerca di rieducarla ai costumi pagani: festini, banchetti, orge… niente da fare. "Ha la testa più dura della lava dell'Etna", dice Afrodisia, rispedendola al mittente.
Si passa alla tortura. Le stirano le membra, la lacerano con pettini di ferro, la scottano con lamine infuocate. Lei resiste; allora le strappano i seni con enormi tenaglie. Verrà più tardi Gesù bambino a fargliele ricrescere. Infine l'empio Quinziano decide di farla alla brace, ma il suo velo rosso (simbolo di verginità) resiste al fuoco. È il primo tessuto ignifugo della storia. I catanesi lo usano ancora per fermare le eruzioni di lava. È la Santa da invocare in un incendio (ora lo sapete).
Nella chiesa del mio paese c'è un bel quadro di Sant'Agata, col vassoio cancellato da un maldestro restauro ottocentesco. Da ragazzino non mi dispiaceva, pur trovandola un po' piatta. Quando ho saputo, mi sono sentito una merda.
Santi Cirillo e Metodio (14 febbraio)
Oggi, 14 febbraio, mentre tutto il mondo pensa a scambiarsi sciocchi e futili pegni d'amore, i linguisti si segregano in casa, e ricordano i loro Santi, i loro eroi.
I fratelli Cirillo e Metodio evangelizzarono gli Slavi contro tutto e tutti. Quelli non è che non sapessero semplicemente "leggere e scrivere". Non avevano l'idea stessa di scrittura – l'alfabeto. Cirillo e Metodio presero quello greco, lo pasticciarono un po' e lo trasformarono in quell'alfabeto ancora oggi usato da Belgrado a Vladivostok e nelle Stazioni spaziali: il cirillico!
Evangelizzare un popolo barbaro partendo dall'alfabeto dev'esser dura. Ma forse fu peggio convincere i pecoroni delle curie greche e latine che quello che stavano facendo era buono e giusto. Gesù deve parlarti nella tua lingua! Altrimenti che si è fatto uomo a fare?
Per aver alfabetizzato ed evangelizzato un popolo, rischiarono l'eresia. Dovettero combattere fino all'ultimo giorno per veder riconoscere il paleoslavo come lingua liturgica, accanto al latino e al greco.
Cirillo e Metodio sono i patroni dell'Europa, degli ecumenismi, e di tutti i linguisti di buona volontà, osteggiati dall'ottusità umana che ovunque impone regole inutili e lingue morte. Se il vostro partner è un/a linguista, forse avete capito perché oggi non vi ha ancora fatto un regalo ed è così pensoso/a. Vogliategli/le bene.
San Policarpo di Smirne (23 febbraio)
Nella pratica l'occupazione dei Santi in cielo è definibile come intermediazione: si tratta di ricevere le richieste dei devoti e scremarle; inoltrarle all'Autorità competente… un lavoraccio.
Certo, non è che tutti abbiano il daffare di, poniamo, Sant'Antonio da Padova: c'è gente che ha molto più tempo libero, come per es. San Policarpo.
Già l'esser Santo protettore di tutti i Policarpo del mondo non dev'essere un mestiere a tempo pieno. In più, Policarpo viene da Smirne, che nel I sec. poteva anche brulicare di cristiani, ma oggi ci abitano i turchi: quindi, insomma, chi lo conosce? A parte gli agiografi e i compilatori di calendari; chi è che si inginocchia davanti a Policarpo? C'è il santino? Avranno smesso di ristamparlo da un pezzo.
Ne consegue che nel suo ufficio celeste, Policarpo non sa che fare. Una partita a freccette con Sebastiano? Due tiri di scherma con Paolo? Alla lunga deve essersi creato una fama di fancazzista che non merita – in fin dei conti è un Martire, e di quelli tosti. Salì sulla pira di sua sponte, senza farsi nemmeno legare. Insomma, non merita tanta disattenzione.
Un compito per il 23 febbraio: trovare qualcosa da chiedere anche a San Policarpo di Smirne. Era un Santo coraggioso e tenace: non dite che non potrebbe anche lui aiutarvi in qualche cosa. E con lui non dovrebbero esserci i tempi di attesa di San Padre Pio. Santo, santissimo, ci mancherebbe. Ma da lui c'è sempre fila.
- Limbo lower now
10-10-2006, 03:39cristianesimo, ponteficiPermalinkThe Limbo FAQ
1.Sono un cattolico praticante. Non rubo, non uccido, non faccio sesso inutile, ormai non commetto neanche più i peccati di omissione. Insomma, se c’è un paradiso cattolico dovrei avere un posto prenotato. L’abolizione del limbo avrà qualche ripercussione sulla mia eventuale vita eterna?
R. Altroché, caro il mio perfettino. Probabilmente pensavi a un paradiso stile Correggio, tutti belli biondi a mostrare le loro
2. Cinesi? Perché proprio i cinesi?
R. Se per questo, anche indiani, nigeriani, indonesiani. Considera solo che ogni anno mancano all’appello migliaia e migliaia di neonate cinesi: ti sei mai chiesto dove vadano a finire? Ebbene, da oggi lo sai: nel paradiso dei cattolici.
3. E vabbè, saranno una minoranza…
R. Minoranza sarai tu. Stiamo parlando di tutta la mortalità infantile asiatica dalla preistoria ad oggi. Si tratta di un numero incalcolabile di anime, di fronte al quale la comunità di persone che hanno ricevuto il messaggio di Gesù e han persino provato a metterlo in pratica scompare letteralmente. Senza parlare di Africa, America, Oceania, e degli uomini pii che anche senza aver ricevuto il Vangelo si sono comportati bene. Miliardi e miliardi. Insomma, con l’abolizione del Limbo, il tuo club – il paradiso dei cattolici – diventa il meno esclusivo in assoluto. Pensaci bene.
4. Ma i protestanti…
R. Niente di neanche lontanamente paragonabile. La maggior parte dei club protestanti ti fa entrare solo dietro Predestinazione – per dire, uno può leggere il Vangelo e comportarsi bene per tutta la vita, ma se non ha la Fede, sta fuori. Figurati se fanno entrare un aborto clandestino cantonese. Insomma, se il tuo aldilà ideale prevede angeli biondi cogli occhi azzurri, fatti presbiteriano.
5. Hai parlato di aborti. Non vorrai mica sostenere che…
R. Per Benedetto XVI (e i suoi predecessori) l’embrione è già vita, e la vita è un dono di Dio. Di conseguenza, fino all’altro giorno il Limbo era perlopiù il luogo deputato agli embrioni mai battezzati, che senza aver commesso alcun peccato (cosa puoi fare di sbagliato nel sacco amniotico?), portano comunque su di sé il peccato originale commesso da Adamo ed Eva. Ma se davvero il peccato originale non è così grave da impedire l’accesso al paradiso, direi che non c’è nessun divieto teologico alla definitiva santificazione degli embrioni e degli aborti.
6. Quindi abortire diventa meno grave?
R. Direi di no, anzi. Non solo resta un omicidio bello e buono, ma Benedetto XVI sta timidamente cominciando a proporre la santificazione delle vittime. Che sono parecchie centinaia di milioni, ti ricordo. Le persecuzioni degli imperatori romani sono un episodio, al confronto.
7. Ma davvero un Papa può spalancare così tanto i cancelli del cielo? E i papi venuti prima non erano infallibili anche loro?
R. In realtà nessun Papa ha mai parlato ‘ufficialmente’ di un limbo (e neanche Benedetto, per ora). La Commissione teologica internazionale avrà buon gioco a dimostrare che si è trattato solo di un’"ipotesi teologica". Insomma, di limbo si è parlato per secoli, ma non è mai stato messo in nero su bianco, come dogma, articolo di fede. Il cattolicesimo è una religione molto formale: si può discutere fino a una certa ora, ma alla fine carta canta.
8. Se il Limbo non è mai stato un dogma ufficiale, perché io, che son cattolico, ero così convinto che esistesse?
R. Perché come tutti i cattolici italiani, il catechismo te lo sei dimenticato a tre mesi dalla Cresima, ma l’Inferno di Dante ti è rimasto lì, non ti va più via. E questo la dice lunga, sulle nostre radici cristiane: molti concetti che crediamo facciano parte della nostra fede religiosa, in realtà appartengono alla nostra letteratura. Il Limbo in cui credi in realtà è l’invenzione di un grande poeta – che si considerava anche un profeta, ma che non è mai stato preso sul serio dalla Chiesa. Altrimenti l’avrebbero bruciato.
9. Bruciare il sommo Poeta?
R. La chiesa ci ha fatto il favore di considerarlo semplicemente un poeta. Ma un tizio che sostiene di aver visitato l’Oltretomba e di conoscere esattamente l’ubicazione di centinaia di anime morte (tra dannati, purganti e beati) è evidentemente un eretico. Comunque sulla lunga distanza ha vinto lui. Soltanto grazie a lui possiamo proseguire questa infinita discussione su un luogo che non c’è mai stato.
Continua (se vi va; se no, amen).