I blog del Fatto non esistono

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(No, non esistono nemmeno i blog dell'Unità, se è per questo).

Una merendina non è un'opinione

Per prima cosa vorrei esprimere solidarietà a Dario Bressanini, che si accomiata dal Fatto quotidiano, (via .mau.) prendendosi quella che chiama "pausa di riflessione".
Vi confesso che sono sempre più a disagio nello scrivere qui dentro. Per via della “compagnia” che si è aggiunta nel tempo:  complottisti dell’11 settembre, antivaccinisti, “esperti” di energia che sbagliano le unità di misura, “esperti” di nanoparticelle nelle merendine, teorici della decrescita, omeopati, teologi assaggiatori di vino che concionano di ogm invece di parlare di Barolo o Barbaresco e così via. Io ci metto settimane o mesi a leggermi la letteratura scientifica originale e a scrivere un articolo, mentre a scrivere una cazzata con un copia e incolla ci si mette mezz’ora. E dopo neanche un giorno il mio pezzo è svanito dalla home page, scivolato via nel mischione generale insieme a tanti altri con cui francamente non voglio essere associato. Non vale la pena fare tanta fatica.
Forse no, non ne vale la pena. Dipende soprattutto dal valore del tempo che uno ha. Io ho sempre pensato che valga la pena di scrivere in qualsiasi posto ti chiedano di farlo, per dire se Casapound mi desse uno spazio per me varrebbe la pena di scriverci: ovviamente parlando male di Casapound. Secondo me devono sempre essere gli altri a buttarti fuori. Ma la frustrazione di Bressanini la capisco benissimo. Anche adesso, in calce al suo bel post in cui spiega con dovizia di fonti che gli ortaggi bio non risultano più sani degli altri, c'è un bel link a un altro post del Fatto titolato: "Biologico... gli studi dicono che fa vivere di più e meglio".

Per seconda cosa vorrei cercare di spiegare a Peter Gomez, direttore del Fatto on line, che non può giustificarsi con Bressanini scrivendo, come ha fatto, che "lo spazio dei blog è semplicemente uno spazio libero dei lettori", un modo molto liberale per dire che non ha intenzione di controllare le eventuali imprecisioni e cazzate dei suoi blogger. Non può, non per una questione deontologica - cioè, volendo ne potremmo anche parlare - ma voliamo un po' più basso: la distinzione di Gomez tra "blog" e "spazio a destra del sito" non esiste più, se è mai esistita, nella percezione dei lettori.

Voglio dire che il lettore medio che apre l'home del Fatto, o che carambola sul Fatto da un link condiviso, non coglie nessuna differenza tra blog e "contenuto a destra". Anche perché tra i "blog" a sinistra ci trova tutte le firme più autorevoli del Fatto, e altri personaggi di indubbio spessore: Jacopo Fo, Nando dalla Chiesa, Loretta Napoleoni, e ne dimentico senz'altro di importantissimi. Se poi in mezzo a questi c'è l'esperto di nanoparticelle nelle merendine, non è il caso di nascondersi dietro al concetto di "blog": qualunque lettore capiterà su quel contenuto avrà la chiara percezione di leggere un pezzo del Fatto Quotidiano, scritto da un giornalista o collaboratore del Fatto Quotidiano. Le cui informazioni sono state controllate dalla redazione del Fatto Quotidiano. Anche se non è così.

Parlo per esperienza: tre anni fa ho iniziato a tenere una rubrica settimanale sull'Unita.it, che poi è diventata un "blog" senza che io stesso avessi ben chiara la differenza. Forse perché la differenza non c'è. I commentatori continuano a chiamarmi "giornalista" e sono convinti che io rappresenti la linea del giornale. Ogni volta che provo a spiegare che sono una cosa diversa, e cioè un "blogger", mi sento un po' più ridicolo, quasi che volessi reclamare una verginità che probabilmente non merito. Al lettore non fa nessuna differenza: sulla pagina c'è scritto Unità, fine. E in effetti, l'unica differenza che mi viene in mente è che i contenuti dei blog non sono verificati dalla redazione. Ma il lettore questa cosa non la sa, e nessuno si sta premurando di informarlo.

Gomez me lo ricordo tre anni fa, quando gelò il pubblico di un blograduno annunciando: "abbiamo quattrocento blogger che lavorano per noi assolutamente gratis [...] speriamo che questi quattrocento diventino presto quattromila". Per molti dei presenti fu la campana a morto di ogni speranza di essere pagato per i propri contenuti, ma Gomez era troppo felice per accorgersene: che figata il 2.0, la gente che non vede l'ora di scrivere gratis per te, come una volta erano tutti felici di sfoggiare gli adesivi pubblicitari su automobili e suppellettili. In pratica ospitare dei blog per un quotidiano è questo: offrire gratis la propria testata come un adesivo, da sovrapporre a qualsiasi cazzata. E la gente le legge. Quattrocento blog, almeno 400 contenuti non controllati alla settimana, qualche cazzata ogni tanto scapperà; e la gente le linka, le condivide, crea traffico, genera guadagni, è bellissimo. Qual è l'inconveniente?

Gomez non è un ingenuo, credo che sappia benissimo qual è l'inconveniente: quei 400 blog con l'adesivo del Fatto Quotidiano sono il Fatto Quotidiano. Il lettore li percepisce come Fatto Quotidiano. Se parlano delle nanoparticelle delle merendine, il lettore riterrà di avere letto sul Fatto una notizia sulle nanoparticelle nelle merendine. Non un'opinione: un'informazione. Capisco che un quotidiano consenta opinioni diverse, ma una merendina alle nanoparticelle non è un'opinione. O esiste - e allora mostramela, fuori la fonte. Oppure non esiste. E allora mi stai dicendo una bugia. E se sul tuo post c'è l'adesivo del Fatto Quotidiano, il FQ mi sta dicendo una bugia.

Non esistono blog del Fatto, o blog dell'Unità, o blog di altre testate giornalistiche. Esistono pagine web del Fatto, articoli del Fatto. I lettori non notano la differenza, e fanno benissimo a non notarla. L'unica differenza importante è tra fatto vero e cazzata. Un quotidiano che lascia libero accesso a collaboratori, e che non controlla le potenziali cazzate, ha evidentemente deciso di privilegiare un certo tipo di quantità su un certo tipo di qualità. Magari per ora ha ragione. Io spero che il tempo gli darà torto.
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