Sono felice e poi sono preoccupato e poi boh
01-03-2023, 01:20PdPermalinkÈ da tre giorni che sono contento. Ma poi ci penso su e mi preoccupo, per un istante mi spavento addirittura. Però sono contento lo stesso. Insomma a quanto pare sono vivo. Era da parecchio che non mi succedeva, mi ero anche un po' scordato. Elly Schlein è la nuova segretaria del Partito Democratico, e io sono contento, perché l'ho votata (è dal 2014 che la voto, a quanto pare). Ma ho anche paura, perché non me lo aspettavo. L'ho votata perché, sono un proporzionalista (una fede ancora minoritaria del Pd); per me ancora due giorni fa l'idea era a mostrare ai bonacciniani che esiste una sinistra del partito con un peso rilevante. Salta fuori che la sinistra pesa più di Bonaccini e soci: è una sorpresa per tutti, direi, e ci pone tutta una serie di problemi che almeno non sono i soliti problemi. Anche perché, per quanto possiamo festeggiare, dobbiamo sempre avere in mente l'obiettivo.
Avvenire |
Queste primarie la Schlein le ha vinte con seicentomila voti scarsi (il suo rivale ne ha presi ottantamila in meno). Alle prossime elezioni il Pd deve prendere almeno sette milioni di voti. La Schlein può arrivarci? Devo essere sincero: per quanto io l'abbia votata, per quanto mi ispiri una genuina simpatia, fino a domenica pensavo di no. L'ho trovata, forse la trovo ancora, un personaggio molto divisivo, un bersaglio ideale per gli hater professionisti e dilettanti – prendete quello che hanno scritto e memato su Rosy Bindi e Boldrini e moltiplicatelo per "bisessuale", "origini ebraiche", "Svizzera". Trovavo che facesse un buon contrappunto all'emilianocentricità di Bonaccini, ma se diventa la componente più importante del Pd, non rischia di ridimensionarlo? È probabile, ma d'altro canto forse stiamo prendendo il problema dal corno sbagliato.
Oltre al fatto che la Schlein ha vinto, occorre notare che Bonaccini ha perso. Di poco: ma avrebbe dovuto vincere di molto. Sembrava una candidatura molto più solida, invece non lo era. La sua strategia per arrivare a quei sette milioni era lineare, e non molto diversa da quella che ha funzionato con aa Meloni lo scorso settembre: aspettare. Aa Meloni ha aspettato vent'anni – che Berlusconi invecchiasse, che Salvini si bruciasse – finché davvero doveva toccare a lei, a destra non c'era più nessuno possibile (del resto guardate con che ministri si ritrova). Sull'altra sponda, Bonaccini è sempre sembrato ispirato a un analogo attendismo. Lui stesso sembra essere arrivato a capire di avere delle chance per esclusione: bruciato Bersani, bruciato Renzi, restavano i presidenti di regione. Puglia fuori, Campania improponibile, Lazio è durato tre anni, a chi tocca adesso? Oddio, ma tocca a me.
In controluce il solito errore di prospettiva degli esponenti del Pd, convinti di poter disporre dell'identità del partito senza preoccuparsi – come tutti gli altri politici, al giorno d'oggi – di registrare i nomi e i simboli; tutto il contrario, il Pd per Veltroni doveva essere un partito leggero ma già al tempo si dava per scontato che sarebbe stato il partito di Veltroni: si aprivano le primarie ai non tesserati dando per scontato che avrebbero plebiscitato Veltroni, ma poi si restava perplessi quando un sacco di sconosciuti entravano per votare, comprese persone non esattamente, come dire, bianche. Ma in un qualche modo le due classi dirigenti che si erano fuse nel Pd erano convinte che il partito sarebbe rimasto cosa loro per sempre, e più in generale che uno dei due poli della politica italiana sarebbe stato occupato da loro: un diritto di prelazione basato sull'anzianità. Ne erano talmente convinti che hanno lasciate aperte le primarie ai non iscritti, malgrado fosse chiaro ormai da dieci anni e più che si trattava di una sciocchezza.
Altri si sarebbero preoccupati di individuare un blocco sociale di riferimento, ma Veltroni voleva piacere a tutti e i successori avevano paura di dispiacere troppo a qualcuno; altri si sarebbero preoccupati di mantenere un'egemonia culturale, ma in quel reparto a un certo punto è entrato Franceschini che si è baloccato con le sue piattaforme finché ha potuto. Bonaccini ha continuato a dare per scontato uno zoccolo duro di lettori dell'Unità, anche se nel frattempo l'Unità è fallita tre volte; la Schlein non è che potesse contare su chissà che mediatico fuoco di fila, eppure un po' di passaparola le è bastato per spostare il baricentro di un partito la cui massima aspirazione ormai era rappresentare il buongoverno di alcune regioni d'Italia: neanche tante.
La Schlein in compenso ha tutto quello che serve per apparire la segretaria del partito delle ZTL, il famoso partito metropolitano che non riesce a ripartire dalle periferie. A proposito: chi vi dice che le elezioni si vincono nelle periferie, quasi sempre non sa di cosa sta parlando, è convinto che sia un sinonimo di "provincia". Non è che le periferie non siano importanti, ho molti amici periferici, però quanti milioni di italiani ci vivono? In provincia più della metà, fine della questione. In provincia, molto più che in periferia, il blocco sociale che si riconosce naa Meloni è definito con una certa chiarezza: si tratta della piccola-media impresa. Questo spiega l'importanza che assumono a ridosso delle elezioni questioni tutto sommato non cruciali, come l'obbligo del pos o il tetto del contante. Ma anche il reddito di cittadinanza che impedisce ai poveri ristoratori di sottopagare i camerieri, le rivendicazioni dei balneari, il miraggio della flat tax, e una serie di argomenti che persino aa Meloni non osava più toccare, ma i suoi elettori continuavano a crederci: l'uscita dall'Euro, l'antivaccinismo. La piccola-media impresa non è necessariamente fascista: vota per chi le promette di lasciarla in pace, quindi adesso vota Meloni, prima Salvini, qualcuno ha provato Renzi, ha preso anche una breve sbandata per Grillo; in sostanza chiunque le prometta che c'è ancora qualche margine in un mondo globalizzato che presto o tardi lo rimuoverà. Sotto sotto la Piccola Impresa Italiana lo sa, che non è equipaggiata per fronteggiare l'emergenza climatica, la nuova guerra fredda che allontanerà forse per sempre gli oligarchi orientali dai nostri alberghi e dalle nostre boutique, la smaterializzazione dei servizi, la globalizzazione logistica di Amazon, eccetera. Non sono scemi: sono soltanto disperati e quando si è disperati si sale su qualsiasi barcone.
Ora questo stasera mi preoccupa: non solo la piccola media impresa non troverà motivi per votare la Schlein, ma in lei può individuare facilmente un nemico di classe. La borghese metropolitana che non vuole usare contante, non capisce perché non si possano raddoppiare le licenze dei taxi, e magari vuole tassare chi ha un patrimonio, una seconda casa, una barchetta. Con Bonaccini sarebbe stato diverso? Sì, se Bonaccini avesse dimostrato un carisma che queste primarie non hanno rilevato. Per come stanno le cose, forse questo Pd non ci deve nemmeno provare, e concentrare invece le sue energie sulle classi sociali che da questo Pd si aspettano di essere rappresentate: lavoratori dipendenti, giovani, minoranze. Tutto qua, e Calenda e Conte raccatteranno il resto. Qualcuno se ne andrà – qualcuno se ne sta già andando, ma è un partito aperto, non c'è nemmeno una porta da sbattere. Un'altra scissione sarebbe ridicola, con tutti i partitini che ci sono già, e forse a Bonaccini e co. conviene interpretare l'opposizione ragionevole, il ruolo interpretato con tanto successo da Giorgetti nella Lega.
Se alla fine semplicemente ci troveremo un partito socialdemocratico al 15%, avremo almeno conquistato il diritto di votare per un partito socialdemocratico, che in tutte le altre nazioni d'Europa è garantito e non si capisce perché invece in Italia no. È il partito che può vincere alle prossime elezioni? Dipende molto da quanto aa Meloni avrà deluso – che succeda è sicuro, ma se delude troppo rischia di sgonfiarsi subito e sollecitare l'ennesimo governo tecnico; se invece delude poco ce la potremmo tenere pure dopo il '28? Non ne ho idea. Sono sempre quello che domenica sera era convinto che avrebbe vinto Bonaccini. Invece ha vinto la Schlein e le dico, in bocca al lupo (ma si può dire? Non lo so). Non credevo che vincesse, ma ho votato per lei. Ho votato per lei, ma non ero sicuro che fosse il candidato più adatto. Comunque ha vinto, e ora sarà bersagliata a 360°. Mi stava già simpatica prima, nei prossimi mesi non credo che riuscirò a essere oggettivo nei suoi confronti. Non è paternalismo: la stessa reazione l'ebbi con Bersani. Spero che le vada meglio. Lo spero per tutti noi.
Abbiamo visto primarie peggiori
25-02-2023, 02:20PdPermalinkOgni volta che sento qualcuno lamentarsi che queste Primarie PD sono noiose, che seguono un copione risaputo, che non c'è più quella vitalità di un tempo... ogni volta che sento questa cosa, mi domando se il tizio si ricorda qual è stata l'ultima primaria del PD, e per chi ha votato. Cioè, posso capire che una sfida tra un presidente di regione e la sua ex vice presidente possa apparire un gioco delle parti: ma ve lo ricordate chi c'era a giocare quattro anni fa? Probabilmente no, vi sblocco il ricordo: Zingaretti, Martina, Giacchetti. Almeno di solito su tre candidati c'è qualcuno che gioca per vincere: nel 2019 neanche Zingaretti sembrava molto eccitato all'idea. Per male che vada, chi vincerà stavolta (ovvero Bonaccini) il PD lo governerà davvero, almeno fino alle prossime legislative: è da dieci anni che si prepara.
Allargando lo sguardo, non è difficile rilevare che le Primarie PD sono sempre state un gioco delle parti, tra correnti che sondavano il loro peso ma sapevano già in anticipo chi avrebbe vinto: più una trovata pubblicitaria che una consultazione reale; e del resto le inventò Walter Veltroni, che delle primarie americane aveva un'idea romantica e abbastanza superficiale e voleva cavalcare una specie di onda plebiscitaria che s'infranse sui primi scogli. Chi rimpiange eccitanti testa-a-testa non sta ricordando bene; o forse ricorda le ruggenti consultazioni del 2012, che però furono primarie di coalizione, non di partito (partecipò anche Vendola, un anno prima che il Fatto Quotidiano lo facesse fuori perché ormai intralciava l'egemonia grillina). Persino in quel caso, comunque, la vittoria di Bersani era abbastanza prevedibile, e la sfida con Renzi serviva soprattutto a creare interesse. Funzionò abbastanza bene – anche a dimostrare l'insopportabilità dei renziani a chi aveva occhi per vederla. Le primarie a quel punto richiamavano ancora ai gazebo e nelle sedi PD più di due milioni di persone; domani c'è il grosso rischio di non superare il milione. L'alto tasso di astensione alle ultime consultazioni regionali è un grosso segnale di allarme: non è una semplice disaffezione al voto, c'è proprio un problema di informazione. La gente non è detto che lo sappia, che domani si vota per un partito che apre i seggi a chiunque voglia partecipare (dopodiché si lamentano se qualcuno ne approfitta, un vecchio controsenso a cui ormai mi sono rassegnato). I giornali ne parlano poco e comunque la gente non li legge più, in tv le primarie non riescono ad attirare l'attenzione, sui social la sensazione è che preferiamo parlare di qualsiasi altra cosa – gli hamburger di grilli, ovviamente, e poi di colpo un mattino sono tutti impazziti perché c'è una casa editrice inglese che cambia i testi di Roald Dahl: nota che non siamo in Inghilterra e non siamo neanche dell'età più adatta per apprezzare il pur gradevole Dahl, ma insomma questi sono i problemi che ci tengono attaccati allo smàrfono, altro che il PD. Ah, e poi c'è la guerra. E il lago di Garda è abbastanza a secco, i fascisti menano gli studenti e il ministro se la prende con la preside che se ne lamenta: anche queste cose, pur non interessanti quanto i grilli negli hamburger, attirano più l'attenzione che il dibattito nel PD.
Ovviamente la responsabilità è del PD – un partito che sin dall'inizio ha scommesso su due assunti non dimostrabili e anzi abbastanza discutibili: che (1) l'Italia sarebbe diventata una democrazia bipolare, anzi bipartitica, perché... perché in America è così e l'America è fighissima e (2) che uno di questi poli sarebbe sempre stato il PD. Questo secondo punto all'inizio sembrava ovvio persino a me, perché insomma, se metti assieme quel che resta della Democrazia Cristiana e del Partito che fu Comunista Italiano, è chiaro che il primo partito magari non lo ottieni, ma il secondo almeno sì. Invece salta fuori che la rendita di posizione, in politica, non conta così tanto. Magari nelle regioni sì, ma chi ci va più a votare alle regionali? Per rimanere il Secondo Polo (quello che poi dovrebbe rivaleggiare col Primo), serviva mantenere un presidio culturale, e Veltroni di questa cosa avrebbe pur dovuto essere consapevole, ma nella pratica si stancò subito; chi venne dopo di lui dovette scontrarsi col fatto che mancavano sempre i soldi. Succede nelle migliori famiglie, ma in questo caso succedeva in un partito che lottava per abolire i finanziamenti ai partiti, e se questo non è segarsi il ramo sotto il sedere io non so cos'altro lo è. In un qualche modo i dirigenti pd hanno sempre dato per scontato che metà dell'Italia si sarebbe interessata di loro, compresi i giornali di area progressista che a un certo punto però sono stati comprati da famiglie con altri interessi. È una logica circolare: noi rappresentiamo una fetta importante dell'opinione pubblica, quindi una fetta importante dell'opinione pubblica continuerà a parlare di noi anche se non li possiamo pagare, non riusciamo più a mettere gente brava in Rai e non abbiamo i soldi per i manifesti. Queste primarie potrebbero dimostrare che invece no, non funziona così: la visibilità si paga. Certo, contendenti un po' più interessanti avrebbero aiutato, e lo dico con dispiacere, perché Elly Schlein ci ha provato; io ovviamente voterò per lei. Più che una contrapposizione, quella con Bonaccini mi sembra la delimitazione di un campo nel quale le due principali anime progressiste nei prossimi anni dovranno ricominciare a parlarsi: un dialogo che tra renziani e bersaniani non c'era e di sicuro non c'era tra zingarettiani e... Martina? Chi rappresentava Martina? Onestamente non ricordo. Insomma, per quanto sia messo male il PD, il peggio potrebbe essere passato.
Carcere duro a chi ne vuol parlare
06-02-2023, 19:11giornalisti, giustizia, governo Meloni, PdPermalink(Una modesta proposta)
Io non ho un'opinione forte sul regime carcerario previsto dal 41bis – il pezzo potrebbe finire qui, in effetti. Non ho un'opinione nemmeno così debole, diciamo che è oscillante e che dipende molto da chi mi fa la domanda. In linea di massima posso dire che oscilli tra il punto di vista A ("È tortura") e il punto B ("abbiamo sconfitto Cosa Nostra, insomma è utile"). Su questa oscillazione traballa tutta la mia coscienza democratica, il dubbio di vivere in uno Stato che non sempre riesce a garantire i diritti fondamentali a tutti i suoi cittadini. Mi consolo pensando che almeno non oscillo mai verso il punto C ("Se lo meritano"): lo lascio volentieri aa Meloni e ai suoi garzoni, che in questo caso stanno mostrando tutta l'impreparazione che avevamo largamente previsto.A tal proposito, la linea del(la) presidente mi sembra la più vittimista possibile, il che non sorprende di certo: l'attacco frontale al PD ricorda quasi una certa strategia bannoniana di demonizzazione dell'avversario, che a ben vedere non è che abbia molto giovato alle destre negli Usa e nel mondo. I bannoniani hanno provato a descrivere una moderata come la Clinton in una satanista: nel medio-termine però è la destra bannoniana che si è trasformata in una specie di setta dai comportamenti ingestibili (l'attacco al Campidoglio). Cercare di vendere al proprio pubblico il PD, un partito di mediocri amministratori, come il braccio politico dell'insurrezionalismo anarchico, è una mossa talmente bannoniana che lascia perplessi, insomma è uno schema che fin qui non ha funzionato: e però, e però io sto in Emilia, uno dei pochi posti in cui il PD esiste ancora, puoi vedere gli iscritti in giro per la strada e nemmeno per un istante puoi credere che siano bombaroli; nella maggior parte del territorio ormai è una sigla abbastanza esotica, per cui non è detto che la demonizzazione non funzioni, o che il PD non dovrebbe immediatamente reagire con una prontezza di riflessi che purtroppo non ha (non ha nemmeno un organo di stampa: scommette sulla benevolenza di una classe imprenditoriale che l'ha abbandonato da mò).
Tornando al 41bis, e in particolare al punto A ("è tortura"), ammetto che dipenda molto dal mio temperamento: benché io ami relativamente la solitudine, devo assolutamente trovarmi qualcosa da fare, altrimenti credo di poter impazzire in pochi minuti. Poche cose mi ispirano più orrore dell'isolamento carcerario, e in particolare il pensiero che i reclusi non possano nemmeno leggere mi risulta intollerabile. Non solo ingiusto: intollerabile. Così ho questa proposta: chiunque sostenga di avere un'opinione forte sul 41bis, che passi almeno due settimane in una stanza sempre illuminata, senza libri e materiale audiovisivo e insomma nella stessa condizione in cui vivono per anni i carcerati al 41bis. Quindici giorni, e poi se proprio volete condividere la vostra opinione, vi ascolteremo.
Con questo non m'illudo di cambiare idea a gente che è pagata per avere la più trucida possibile – sparo un nome a caso: Mario Giordano. Probabilmente anche dopo due settimane di carcere duro continuerebbe a dire o scrivere cazzate: ma almeno per due settimane non dovremmo sentire le sue cazzate, un vantaggio collaterale vedete che c'è, e io mi accontenterei. E poi chissà, magari uno o due li troviamo, che hanno la testa meno dura del carcere.
Ma l'autocritica di cosa
06-10-2022, 00:15elezioni 2022, la sinistra perde anche per questo motivo, PdPermalinkUno dei tag di questo decrepito sito, lo trovate molto in basso, recita "la sinistra perde anche per questo motivo": sì, questa idea che la sinistra perda sempre e debba fare sempre autocritica era un luogo comune abbastanza nauseante già vent'anni fa. In seguito abbiamo perso altre volte – si potrebbe dire che abbiamo perso sempre – ma non mi pare sia successo per difetto di autocritiche. Potrebbe anche darsi che ci manchi l'opposto: un po' di autostima. Non tantissima per carità, diciamo quel minimo necessario a non leggere il Foglio come successe a tanti a partire dal povero Veltroni; a non soccombere all'idea del leader carismatico che prima o poi vincerà delle immaginarie elezioni in stile americano – tutta una fantasia di riscatto grazie alla quale ci siamo letteralmente scritti una legge elettorale su misura di Giorgia Meloni e adesso dovremmo anche ascoltare gente che ci spiega che la sinistra ha perso perché non è stata abbastanza di destra. Metto le mani avanti: io il Pd non è che l'abbia votato, e non è che ci sarei rimasto male se avesse perso seriamente (l'ho pure scritto), aprendo magari la porta a una fase costituente eccetera. Ma non è andata esattamente così, guardando i numeri; non sopporto chi parla male del Pd per automatismo, o per una reazione ideologica che non riconosce in sé stesso e denuncia negli altri: e non mi dispiacerebbe che adesso qualcuno dalla base del Pd alzasse un minimo la voce e dicesse: ma autocritica di che? Un partito senza più un leader, con una dirigenza visibilmente raccogliticcia e dimissionaria; senza una direzione e con una strategia perdente; che senza venire da un particolare successo elettorale ha comunque partecipato agli ultimi governi, prendendosi la responsabilità di decisioni responsabili ma pesantissime per la qualità della vita degli italiani; un partito che veniva percepito come quello del rigore e dei sacrifici, abbandonato lungo la strada anche dai quotidiani della sua area, che avevano deciso di sponsorizzare l'ennesimo progetto centrista, l'ennesimo portaborse di Montezemolo; un partito condannato alla sconfitta è andato alle elezioni e si è preso quasi il 20%, quasi un quinto degli italiani lo hanno votato, e adesso dovremmo fare l'autocritica? Per carità, un po' di esame di coscienza non fa mai male, e non c'è dubbio che a contarli mancano quasi un milione di voti. Il M5S ne ha persi parecchi di più ma non sembra che nessuno chieda a Conte una particolare autocritica, anzi ci si complimenta per lui per il notevole risultato e la cosa ha un senso: la fase dei partiti di massa è finita da un pezzo, il periodo in cui si misurava l'insuccesso di un partito da una lieve flessione e un +2% era un terremoto politico è certamente finita. Nessuno poteva aspettarsi da Conte un risultato molto migliore: ma nemmeno da Letta, via. Il motivo per cui dal giorno dopo siamo bombardati da articoli su perché la sinistra perde ha ben poco a vedere con l'oggettiva prestazione elettorale (che io trovo persino sorprendente: voglio dire, Enrico Letta con le mani legate ha fatto il 19%!: chissà se gliene sleghi una, o se magari trovi per il partito di centrosinistra una faccia che non sia quella del nipote di Gianni Letta). Ha più a che vedere con l'inerzia: eravamo tutti convinti che il Pd avrebbe perso e probabilmente molti editoriali erano già nel cassetto assai prima del 25 settembre.
In particolare ho sentito dire che ce n'è uno che spiega che la sinistra deve abbandonare il "politically correct", proprio così, siamo nel 2022 e questo sarebbe il problema, altro che guerra in Ucraina e crisi climatica e pandemia: il politically correct. Avverto che non l'ho letto: non si tratta di snobismo, è dietro il firewall di un quotidiano a cui non intendo dare più un soldo. Siccome non l'ho letto, non lo discuto, perché a dispetto del titolo scemo potrebbe trattarsi di un intervento molto intelligente: non sarebbe la prima volta che il titolista fodera di merda un contenuto di qualità per renderlo annusabile ai suoi lettori ideali, sono cose che succedono, chi è senza peccato scagli il primo titolo intelligente. Preferisco fermarmi al titolo, perché davvero, il problema è tutto lì: chi scrive titoli del genere, non sta partecipando a una sessione di autocritica della sinistra. Chi usa "politically correct" continua a mettere in circolazione una definizione di destra, che serve alla destra per costruire un determinato quadro ("frame") intorno agli argomenti della sinistra. Magari lo fa in buona fede, ma... nel 2022? Sul titolo di un quotidiano nazionale? Naaa. Questo non significa che non si possa discutere di tante cose, a sinistra, e avere un atteggiamento critico nei confronti di un certo tipo di approccio, chiamiamolo woke: vogliamo aprire un dibattito sul linguaggio inclusivo? facciamolo pure, io nel mio credo di averlo aperto più volte. Ma lo chiami, appunto, linguaggio inclusivo. Se lo chiami "politically correct", sei il tizio di destra che vuole spiegarci come essere di sinistra: accetta la cosa, votati il tuo Calenda e levati di torno. La sinistra ha tanti problemi e tu non sei la soluzione. Non sei neanche la sinistra. Forse sei il problema.
Il suicidio programmato del Pd
19-09-2022, 01:53elezioni 2022, PdPermalinkQuesto blog, per quanto ormai catatonico, finché è acceso resta un pungolo – c'è sempre la remota possibilità che qualche discendente lo ritrovi e si domandi: ma insomma, lui dov'era mentre la catastrofe si compiva? Dopo aver dettagliato per mesi e per anni ogni singola sciocchezza di Berlusconi e ogni ingenuità dei suoi avversari, cosa stava facendo quando i nodi vennero al pettine e una legge elettorale scritta dalla sinistra regalò due terzi dei seggi a una destra immorale e immonda? Ascoltava Battiato, compulsava i padri bollandisti, si era rincitrullito? Non aveva niente da dire, come Kraus nel '33? Sì, beh, in parte è così. Il disastro che sta arrivando è così prevedibile, così effettivamente previsto, che non me ne dovete volere se negli ultimi secondi prima della collisione preferisco distogliere lo sguardo: non ho un fetish per questo tipo di spettacolo. La rabbia che provo per tutti gli errori che sono stati fatti, in particolare da chi in teoria mi rappresentava: errori che ho segnalato, al tempo, con tutta la voce che avevo (poca), su tutte le testate in cui mi facevano scrivere (ma non mi leggevano)... questa rabbia non posso non provarla anche nei confronti di me stesso: se davvero avevo tutte queste ragioni, avrei dovuto gridarle più forte, trovare parole più convincenti, unirmi al coro di chi ne aveva di simili. E dovevo farlo qualche anno fa, adesso è tardi.
Tutto quello che sta succedendo, per quanto così nuovo, non è che l'esito di mosse sbagliate che sono state fatte anni fa, al punto che a volte mi domando se la sinistra non abbia perso la partita più o meno nel 2008, se tutta la disfatta non sia alla fine l'eredità che ci lascia Walter Veltroni: una bomba a tempo concepita per decimare il progressismo italiano e magari porre fine alla repubblica parlamentare. Veltroni ovviamente ignorava la reale conseguenza delle sue azioni, quando chiudeva con la sinistra e battezzava quella "vocazione maggioritaria", che come avremmo capito più tardi consisteva nel cercare disperatamente la legge elettorale più adatta a far vincere le destre: quindici anni dopo, Enrico Letta lo avrà capito di essere una specie di esecutore testamentario, il tizio incaricato di staccare la spina? Il fatto che lo siano andati a prendere a Parigi, quando lui ormai faceva tutt'altro, è un indizio molto forte.
Il Pd poi è il partito della ragionevolezza, anche a discapito dei fatti, ed è in effetti ragionevole che ritengano necessario perdere queste elezioni: in fondo fin qui ha funzionato così, il Pd perde e dopo un po' torna al governo lo stesso, quindi perché darsi la pena? E se stavolta il giochetto non riuscisse, perché aa Meloni e compagnia potrebbero dilagare in virtù di una legge elettorale demenziale che Letta non aveva la possibilità politica (ma forse nemmeno la volontà) di cambiare... beh, per i maggiorenti Pd questa non sarebbe tutto sommato una tragedia, bensì una conferma che il sistema maggioritario funziona e ci regala quell'alternanza all'americana che Veltroni tanto sognava. Alla fine la ragionevolezza del Pd, che tanti vantaggi gli ha portato in questi anni, rischia di essere il suo difetto finale, in quanto basato su idee astratte di democrazia e alternanza che i dirigenti democratici tendono a scambiare con la realtà: l'idea tanto veltroniana delle elezioni come disfida leale ad armi pari, oggi vinco io e tra cinque anni vinci tu, li porta a correre verso la disfatta con un entusiasmo accelerazionista: prima perdiamo meglio è, si dicono sottovoce, prima perdiamo prima vinciamo. Che la sconfitta possa essere così pesante da annichilirli, da togliere i pochi spazi che gli sono rimasti, non lo sospettano nemmeno. A ogni tornata perdono pezzi e fanno finta di niente, convinti che prima o poi vinceranno loro e recupereranno tutto, come se le regole del gioco lo prevedessero; e intanto perdono spazio sulla Rai, i quotidiani nazionali piuttosto di tifare per loro si inventano fenomeni discutibili come Calenda e compagnia. Non hanno nemmeno i soldi per i manifesti, e non li hanno anche grazie a Enrico Letta che profittò del breve periodo in cui governava per tagliare i finanziamenti ai partiti e sostituirli col demenziale due per mille: stava segando il ramo su cui si sedeva, al tempo lo scrissi, ma forse non lo scrissi abbastanza bene, non lo scrissi abbastanza forte, insomma non è servito a niente.
Ho scritto anche tante volte a proposito del voto utile, e intendiamoci: non rinnego una parola. Un voto in sé non è che possa cambiare più di tanto le cose, ma non ha altra utilità. Il voto di protesta non protesta un bel niente, così come l'astensione che non ha mai, ribadisco mai, creato le premesse per sollevazioni popolari. Il voto identitario è una sciocchezza, anche solo per il fatto che il voto è segreto: l'identità puoi esprimerla in tanti luoghi reali e digitali, ma quando voti stai semplicemente mettendo un +1 e a nessuno interessa se il tuo 1 è più lungo o più corto: vale comunque 1, cerca di metterlo dove è più utile. Ma che sia più utile continuare a darlo a questo Pd, un partito che ogni volta che ha avuto la possibilità di scrivere le regole le ha scritte favorevoli per l'avversario; ecco, questo è discutibile. Chi da quindici anni non fa che provare a impiccarsi dovrebbe almeno smettere di chiederci la corda in prestito. Può darsi che alla fine io lo voti comunque, semplicemente per la credibilità dei candidati che hanno espresso nella mia circoscrizione: così come in altre circoscrizioni non lo voterei mai, proprio perché non riterrei utile mandare certi candidati alle camere. E forse anch'io di nascosto da me stesso spero che la sconfitta, se proprio sconfitta dev'essere, sia così travolgente da chiarire anche ai sordociechi che il Pd va rifatto da capo, o sostituito con qualcos'altro magari un po' meno ragionevole e un po' più, come dire, furbo. Sempre ammesso che resti qualche spazio, che una destra supermaggioritaria non decida di riscrivere un po' di costituzione, che Corriere e Repubblica non decidano che il progressismo è qualche altro ex portaborse di industriali, eccetera. Comunque vada, ci vediamo di là.
Il Partito-Bomba di Enrico Letta
16-03-2021, 00:40governo Letta, PdPermalinkSono quelle domande che non ha senso porre a un conclave. Magari all'inizio un'idea c'era – ma mancava l'uomo – poi hanno iniziato a far la conta degli uomini e nel frattempo l'idea è sfumata. Nota che in teoria questo dovrebbe essere il grande partito del centrosinistra a vocazione maggioritaria, nota che in teoria dovrebbe essere un apparato leggero, in sostanza il comitato elettorale di un grande leader carismatico, e che proprio per questo motivo lo statuto prevedeva l'acclamazione del segretario mediante primarie. Le facciamo le primarie per acclamare il carisma di Enrico Letta? No, probabilmente siamo ancora esausti dall'entusiasmo con cui abbiamo acclamato il carisma del fratello di Zingaretti, e inoltre un codicillo dello stesso statuto stabilisce che se il Grande Leader Carismatico a un certo punto non se la sente più, la palla passa a un organo nazionale anch'esso in teoria eletto durante le primarie ma ehm, alzi la mano chi si era reso conto che lo stava eleggendo, insomma il paradosso regna: il PD è un partito maggioritario che però appena cade il paravento del leader svela una più sobria e ragionevole carrozzeria proporzionale – Letta lo hanno eletto le correnti, che in teoria non ci sono e in pratica sono l'unica cosa che tiene ancora assieme il PD, come gli odi intestini e le alleanze tra nemici dei nemici sono l'unica cosa che riunisce certe famiglie per le feste comandate. Questo non sarebbe nemmeno un grande problema, senonché è previsto che Letta abbia delle idee, una visione: e questo nonostante nessun elettore del PD abbia previsto negli ultimi cinque anni (ma anche prima...) di affidarsi alle idee e alla visione di Enrico Letta.
Ma poi c'è quella sciocchezza del voto a sedici anni.
Sulla quale io in realtà non ho nemmeno un'opinione così forte – non mi sembra il caso, tutto qui, non ne vedo la necessità; se evitassimo di rendere i licei un campo di battaglia elettorale ci faremmo tutti quanti un favore perché non so se vi ricordate, ma quando Salvini parlava di mettere le videocamere a scuola, non intendeva garantire che nessuna merendina fosse più estorta, ma voleva vigilare sui discorsi degli insegnanti ai ragazzi. Ma il punto non è tanto questo: il punto è che... perché dobbiamo parlarne? Una cosa che non interessava a nessuno all'improvviso deve tornare a essere dibattuta perché è un pallino di un tizio eletto durante un faticoso conclave di correnti? Praticamente abbiamo preso il peggio dal sistema maggioritario (il leader che impone le sue idee) e il peggio del proporzionale (la farraginosità dei meccanismi con cui persone rimaste ai margini tornano all'improvviso alla ribalta, e ci va grassa che Forlani non fosse più disponibile).
Poi c'è il due per mille.
Voi ve lo siete dimenticati, ma io no. Enrico Letta è stato il capo del governo che ha in sostanza abolito il finanziamento ai partiti, trasformandolo in un un obolo che il contribuente può decidere se offrire o non offrire – indovinate cosa sceglie di fare la maggioranza della popolazione. La stessa maggioranza della popolazione che poi si lamenterà dell'inconsistenza del ceto politico e dell'opacità con cui si sostiene. Se un Matteo Renzi non ci vede neanche più niente di male a finanziarsi adulando sovrani sanguinari, è anche merito di Enrico Letta che condivideva questa idea così affascinante nei primi anni Dieci, del politico abile fundraiser che si muove saltellando tra fondazioni e board e consulenze e aiuti degli amici, sempre in teoria trasparentissimi ("è tutto on line!") Nel frattempo il partito vero continua a perdere dipendenti e strutture e non ha neanche i soldi per stampare i manifesti ma non importa, tanto ormai le campagne si fanno coi tweet, perlomeno quelle disastrose. Enrico Letta è l'ennesimo leader convinto che in questa situazione il Pd possa giocarsi le elezioni contro partiti fondati e/o sostenuti da potenti gruppi finanziari: e ovviamente le elezioni devono essere maggioritarie, magari col mattarellum che a Enrico Letta piaceva molto. Invece alla Corte costituzionale risultava incostituzionale, ma cosa volete che ne sappiano. Nel frattempo il parlamento è cambiato, ha perso tantissimi seggi, il che renderebbe la distorsione maggioritaria ancora più sensibile (e disastrosa per il Pd), ma Letta è l'ennesimo leader che da quell'orecchio non ci sente, vien da pensare che li selezionino con un esame audiometrico. Oppure sta già sentendo la bomba ticchettare, sta già pensando quale cavo tagliare per farla finita prima.
Errare è umano, Bettini è diabolico
28-02-2021, 12:57governo Conte, PdPermalinkÈ buffo. Se c'è qualcosa che pensavo di aver capito dell'esperienza di governo di Giuseppe Conte, è che un leader non è poi così necessario. È importante, senz'altro, ma a volte basta trovare una persona mediamente capace, dargli fiducia, circondarlo di collaboratori abbastanza validi, e alla fine un leader salta fuori – anche perché i media hanno sempre bisogno di mettere qualcuno sotto i riflettori. Insomma se ce l'ha fatta Giuseppe Conte – se ce l'abbiamo fatta con Giuseppe Conte – non dev'essere così difficile. Magari con un po' di attenzione nella fase di pre-selezione la prossima volta potremmo incrociarne uno ancora migliore. Questo è quello che pensavo di aver capito io.
Ed è buffo, perché Pd e M5S sembrano aver capito l'esatto contrario, ovvero che Giuseppe Conte è un grande leader, l'uomo del destino che riporterà il Movimento al successo elettorale (secondo Beppe Grillo) e darà una voce e un corpo alla federazione di queste due grandi forze politiche (secondo Goffredo Bettini). Cioè.
Cioè dopo aver scelto un leader a caso, e averne trovato uno alla fine non totalmente incapace, io sarei portato a pensare che alla fine pescare i leader non sia così difficile: Bettini e Grillo il contrario, in sostanza avremmo vinto alla lotteria dei leader. Del resto il tizio continua a occupare un posto importante nelle classifiche di popolarità, e poi sui social prende un sacco di like eccetera. Segno che l'uomo è quello giusto, non come quello dell'ultima volta o della penultima volta. Ma è anche segno che siete disperati. Oppure che non avete capito la solita banalissima cosa: che la Repubblica Italiana è una democrazia proporzionale.
Questo dev'essere particolarmente duro da mandar giù soprattutto per Bettini e chi lo ascolta. Se vogliamo è la tragedia del PD, il partito che doveva costruire un'alternativa a Berlusconi e si è trasformato in una specie di caricatura del berlusconismo in negativo. Se Berlusconi per vent'anni ha illuso gli italiani che fosse possibile una svolta uninominale, presidenziale, i più illusi di tutti sono stati proprio i vertici del PD. Da cui la catastrofica strategia (di cui Bettini è in qualche misura responsabile) di farsi il vuoto intorno e soprattutto a sinistra, con l'obiettivo di diventare l'unico punto di riferimento per quella benedetta metà+1 degli italiani. Strategia che si era dimostrata perdente già con Veltroni, nel 2008; ma niente da fare.
Berlusconi tramontava ma nel frattempo il suo virus presidenziale sopravviveva in quella classe dirigente del PD che ha continuato a fare e disfare leggi elettorali nel tentativo di quadrare il cerchio, ovvero di trovare un sistema per trasformare in presidenziale una repubblica che è parlamentare per costituzione e proporzionale per cultura. Quando Bersani tentò una strada diversa, un'alleanza con la sinistra di Vendola e con un Di Pietro che avrebbe potuto arginare i 5Stelle, i maggioritari appoggiarono Matteo Renzi che invece non voleva allearsi con nessuno (tranne con Berlusconi per il maggioritario), con Matteo Renzi che concepiva ogni elezione come un referendum su sé stesso: non tanto un politico con una mentalità presidenziale, quanto il risultato di quella mentalità. Fu chiarissimo molto presto che un referendum simile Matteo Renzi non poteva che perderlo; che per quanto giovane e simpatico non poteva illudersi di piacere a metà degli italiani: fu chiarissimo molto presto ma gran parte del Pd lo seguì ugualmente nel baratro, perché alla fine il maggioritario è una fede. Tutto questo avrebbe dovuto insegnare qualcosa a qualcuno, ma evidentemente non a Goffredo Bettini che invece è ancora in giro a cercare il leader che salverà la sinistra.
Nel frattempo a Palazzo Chigi c'è un governo che è il trionfo del manuale Cencelli (metto il link per i più giovani), un trionfo della contrattazione proporzionale, dove tutti i partiti in parlamento sono rappresentati secondo il peso effettivo e anche l'unico all'opposizione alla fine ci sta più per dovere d'ufficio (e sarà ricompensato da tante commissioni di vigilanza). Ed è il settimo consecutivo, giuro, il settimo governo consecutivo a non rappresentare una maggioranza uscita dalle urne – cosa che del resto la Costituzione della Repubblica Italiana non prevede – ma la geometria delle forze in parlamento: com'è del resto naturale in una repubblica parlamentare. Contate con me: governo Monti, governo Letta, governo Renzi, governo Gentiloni, governo Conte 1, Conte2, Draghi. Visto che sono sette? Ma nel Pd c'è chi non si rassegna. Verrà il momento in cui le urne incoroneranno il leader. Verrà il momento in cui conosceremo il nostro premier nella notte delle elezioni, e le veglie di Mentana finalmente avranno un senso. In questa cosa non ci crede più nemmeno Silvio Berlusconi ma non ha importanza, la fiaccola presidenziale ormai è passata al PD (prima ce l'aveva un tale Almirante).
Se poi almeno questa fede nell'Uninominale e nell'Uomo della provvidenza servisse a maturare degli autentici leader di partito, ma no: di solito dev'essere un tizio scelto a sorpresa dal geniale kingmaker, perché se a D'Alema andò bene con Prodi non può essere una coincidenza, no? E quindi occhio ai sondaggi di popolarità, è lì che si nasconde il nostro prossimo De Gasperi. Eppure abbiamo già visto quanto ci mise Veltroni a stancare tutti; abbiamo già visto quanto è durato Renzi, e quanto la popolarità di Salvini sia mutevole come il vento. Giuseppe Conte invece no: per qualche misterioso motivo Giuseppe Conte dovrebbe continuare a essere amato e apprezzato come statista anche adesso che non lo è più e le videocamere cominceranno a snobbarlo. È buffo, perché io da tutta questa storia avevo capito l'esatto contrario di quello che sembrano averne capito al M5S o al PD. E siccome loro sono quelli che fanno politica, evidentemente non ho capito nulla. Quindi che ci fate ancora qui?
Cronache dalla campagna
09-01-2020, 21:14campagna elettorale (permanente), come diventare leghisti, Emilia paranoica, PdPermalink– Avrete notato che è da un po' che non ci sono terremoti in zona Cavezzo, né inondazioni dalle parti di Cavezzo; in compenso l'altro giorno è caduto un meteorite nella campagna di Cavezzo. Le possibilità di trovarlo erano abbastanza basse: e invece l'hanno trovato. È una pietra superficialmente molto nera, l'istituto astronomico ha detto che la chiamerà Cavezzo. Qualcosa del genere è probabilmente successo alla Mecca migliaia di anni fa.
– Il giorno dopo Matteo Salvini lascia detto che verrà a Modena, una città dove fin qui ha fatto un po' fatica a entrare. Andrà a prendere una birra in via Gallucci; gli scappa anche il nome della birreria ma forse non si era inteso bene con il suo impresario, qualcuno si era dimenticato di avvisare il gestore e forse nel nuovo cerchio magico manca un certo tipo di know how, sono bravissimi a pigolare su twitter ma non sanno come rapportarsi con gli esercenti modenesi, il che d'altronde non sorprende. La prima reazione del gestore in questione è infatti annunciare sui social: noi non facciamo politica, ma se viene Salvini siamo in ferie. Simpatég, eh? Il gestore, come chiunque non viva almeno tre ore al giorno sui social, sottovaluta il clima della campagna elettorale: dopo essere stato investito da commentatori ostili che minacciano il boicottaggio si ravvede, e alla fine Salvini ce la fa: entra nel locale, si fa un selfie con la birra in mano tra gli avventori – pochi, perché nel frattempo via Gallucci è stata blindata dalle forze di polizia, in stile corteo di Forza Nuova. Poi già che c'è entra anche in un altro pub, storicamente caro a me e a tutta la mia cerchia (ma ho smesso di bere il primo gennaio, quindi neanche posso boicottarlo): e anche qui selfie e sorrisoni coi gestori. Anche passando a Carpi del resto aveva fatto in modo di farsi trovare proprio davanti alle bancarelle della fiera del cioccolato.
– Il fatto che Salvini si faccia molto spesso inquadrare mentre mangia e beve ha fin qui generato più parodie che riflessioni (come qualsiasi altro fenomeno al mondo, sospetto, e questo malgrado sia più facile riflettere che scrivere battute divertenti). È un'intuizione che parte da lontano (anche Renzi veniva talvolta descritto come in preda a un'infantile bulimia) e si affina negli anni passati a fare campagna elettorale e poco altro. Senz'altro è un espediente efficace per ridurre la sua distanza col cittadino medio, ma è anche una conseguenza diretta del fatto che molto spesso la gente è già lì per bere e per mangiare, sennò Matteo Salvini neanche si scomoda. Poi certo, ogni tanto fa pure dei comizi, però in molti casi l'approccio di Salvini alla folla è parassitario: non è lui a radunarli, lui si fa trovare in un posto dove ci sono già, e siccome di solito sono lì per mangiare, Salvini deve mangiare. Nella maggior parte dei casi va tutto bene, al limite c'è da gestire qualche contestatore ma la maggior parte della folla è comunque contenta di trovarsi vicino a una celebrità, proprio come quando passa un calciatore o il tale che ha fatto un reality. A volte qualcosa va storto (a Modena, tipicamente) e allora o si molla l'osso, come a novembre, in cui si riparò fuori dal centro sardinizzato. Oppure si militarizza l'area, perché quel selfie col boccale in mano evidentemente è importante, chissà quanti voti pesa.
– Salvini le elezioni in Emilia-Romagna potrebbe anche vincerle. Lo dico, ovviamente, per dimostrarmi attento alla situazione e consapevole della distanza tra desideri e realtà: è il senso di ogni rituale scaramantico. Ma lo dico anche perché alla fine la possibilità c'è, e non ha a che vedere più di tanto con la fine del cosiddetto modello emiliano, che è in crisi già da anni, per motivi strutturali che sono gli stessi per cui è in crisi il modello padano, e l'Italia, e l'Europa il genere umano l'ecosistema. Salvini le elezioni in E-R potrebbe vincerle banalmente, perché ci tiene davvero, e non ha niente da fare tutto il giorno tranne battere la campagna, e soprattutto ci tengono i suoi fan, polarizzati e nervosi come non mai. Non è che siano la maggioranza (non in E-R, di certo), ma hanno una voglia di andare a votare che schizza da tutti i pori, mentre cinque anni fa il Pd di Bonaccini vinse con un'astensione altissima. Una tornata elettorale sui generis, in una stagione diversa dal solito, senza copertura sui media nazionali rischierebbe di premiare più le minoranze polarizzate che il famoso centro moderato. I salviniani hanno voglia di votare e sanno anche per chi voteranno; i grillini potrebbero davvero, quella domenica, svegliarsi depressi e restare in pigiama; le sardine sono state importanti da un punto di vista mediatico (sono state loro a comunicare al mondo che c'era un'elezione importante in arrivo), ma se da riempitori spontanei di piazze diventano testimonial di un partito preciso, rischiano di bruciarsi. Quanto agli elettori del PD, stanno semplicemente invecchiando. Salvini le elezioni in E-R potrebbe vincerle perché c'è gente che le perde da cinquant'anni e scalpita, e si venderebbe al diavolo purché fosse la volta buona. Dove "vendersi al diavolo" è una simpatica iperbole che temo non renda l'idea. Mettiamola così: è gente che pur di vincere voterebbe per Matteo Salvini.
– Il quale Salvini ormai non ha neanche nulla da promettere – nessuna promessa che non abbia già bruciato nei mesi di governo – toglierà le accise? uscirà dall'euro? chiuderà frontiere che peraltro non erano molto aperte neanche prima e non si sono aperte dopo? Nulla, non ha più nulla da promettere che non sia un altro anno fighissimo che passerà a spararsi selfie e streetfood. Berlusconi almeno era una figura aspirazionale, il milionario fatto da sé; Salvini è una figura tribale, un feticcio, nessuno spera di diventare come lui, è lui che si sforza di diventare come tutti noi. Mette le felpe, guarda i cantieri, mangia i panini, è un Checco Zalone senza ironia, il vicino di casa un po' scemo che mette allegria e anche quando la spara grossa sai che non lo fa per cattiveria, è il suo modo di reagire alle difficoltà, di tenersi a galla. Tutto questo non lo rende veramente un leader credibile, ma se per questo neanche Trump: evidentemente c'è gente disposta a credere a qualsiasi cosa, succede quando le prospettive sono molto brutte. Salvini a livello nazionale in realtà starebbe anche declinando: l'unico evento che potrebbe rimetterlo rapidamente in sella è una storica vittoria in Emilia-Romagna, e questo rende particolarmente surreali queste elezioni invernali – da una parte le forze del Caos, dall'altra Stefano Bonaccini. Che senso ha.
– Non ha nessun senso, io abolirei le regioni. Non si riesce a parlare di politica locale, non si riesce a valutare un'amministrazione, ci si riduce sempre a una specie di Risiko in cui l'importante è conservare o perdere un territorio. Come quella volta di Emilio Fede con le bandierine (quanto sono vecchio dio mio), o Renzi che diceva: dobbiamo vincere otto a due! e non era nemmeno più importante quali fossero le otto e quali le due, il Molise valeva quanto la Puglia, l'importante è il punteggio, la fatica che si fa a interpretare la realtà quando sei abituato per cultura e inclinazione a osservarla come un gioco, le cui regole arbitrarie diventano leggi fondamentali della natura e il Molise da bizzarria statistica si trasforma in ente reale, dotato di volontà politica e diritto a esprimere tot senatori. Salvini potrebbe vincere proprio perché se si tratta di giocare, non c'è avversario più temibile di un ragazzino con tanto tempo libero. Motivi per votare il centrosinistra: dal dopoguerra in poi ha espresso una classe dirigente che ha saputo amministrare il territorio, con alti e bassi, e inevitabili opacità e collusioni che è quello che succede quando per cinquant'anni nessuno ti scalza dalle posizioni di potere. Motivi per votare Salvini: stiamo arrivando! rrrrruspa! vi mandiamo a casa!
– Alcuni ne sono convinti. Ci sono intere categorie che si stanno radicalizzando, non credono nella fine dei tempi o nell'avvento del Califfato, ma nel secondo avvento di Matteo Salvini, con lui la piccola media impresa rifiorirà (pur restando piccola e media) e le partite Iva troveranno nel regno dei cieli un senso al loro lungo patire sulla terra. Non fosse un'elezione decisiva – l'ennesima elezione decisiva, l'ennesima ultima battaglia contro le forze del Caos – verrebbe voglia, davvero, di aprire la diga e amen, volete la bandierina? Tenete la bandierina. Giusto per offrirvi un'occasione in più per scoprire che non succede niente, nessuna diabolica coop rossa viene espulsa dal territorio, le strade rimangono storte e i fiumi non smettono di andare in piena. Che è successo a Parma quando ha vinto il centrodestra? Dopo un po' hanno dovuto commissariare il comune per banali questioni di tangenti, tutto qui. Che è successo a Bologna, a Ferrara? Le partite Iva stanno meglio? La camorra ha smesso di infiltrarsi? I nomadi hanno spostato il campo nomadi dall'altra parte di un canale di confine, il che qui da noi è molto spesso il modo in cui si risolve la terribile emergenza nomadi? Davvero, mi verrebbe da dire, mettiamoli alla prova, vediamo il loro bluff, dopo cinquant'anni sarebbe anche ora. Poi mi ricordo che se vincono stavolta casca il governo, l'Europa è a un bivio, il mondo fronteggia l'estinzione di massa. Nel frattempo mi arriva una notifica, a Cavezzo è caduto un meteorite. E quindi niente, andiamo avanti così. I salviniani d'Emilia e Romagna saranno pure ridicoli nella loro attesa messianica, ma prima o poi chi chiama l'apocalisse ci azzeccherà. Preferirei non essere io, ma
La vocazione (maggioritaria) all'autodistruzione
06-12-2019, 01:43cattiva politica, Pd, TheVisionPermalinkSi chiamano sardine, vabbe’, e da dove vengono? Un po’ da ovunque. Alcune affiorano per la prima volta nello specchio della politica, altre hanno perso la voglia di votare tanti anni fa, altre ancora si sono appena disamorati del movimento che fu di Beppe Grillo (e non hanno nessuna intenzione di ammetterlo). Che cosa vogliono? Tante cose vagamente “di sinistra”: ecologia, solidarietà, antirazzismo, tanti temi difficili da sintetizzare in uno slogan o un programma. Anzi no, non è così difficile: non ne possono più di Salvini e del suo sovranismo razzista e cialtrone. Visto: alla fine serve poco per mettersi d’accordo. Basta individuare un nemico, e Salvini sembra non chiedere di meglio.
Va bene, ma per chi voteranno? Ecco. Senz’altro non Salvini, e molto difficilmente le altre formazioni di centrodestra ormai satellitari alla Lega. Ma da qui a mettere tutti una croce sullo stemma del PD ce ne passa: soprattutto in Emilia-Romagna, dove il PD è considerato il partito dello status quo, e in alcune città governa senza soluzioni di continuità dalla fine della seconda guerra mondiale (pur con nomi diversi, e una classe dirigente ormai completamente diversa per mentalità e cultura). No, non è possibile pretendere che tutte le sardine votino per il PD di Bonaccini – finché c’è ancora un sistema ragionevolmente proporzionale...
La strategia di Zingaretti a questo punto si lascia facilmente decifrare: che bisogno c’è di rifondare un partito di centrosinistra che sappia farsi interprete delle necessità e delle attese della popolazione, quando basta presentarsi come l’unica alternativa valida a Salvini? In fondo basta essere un po’ meno brutti e cattivi di Salvini: non ci vuole molto. Certo, c’è sempre la possibilità di perdere le elezioni. Più che una possibilità, coi sondaggi attuali, è una certezza: gli alfieri democratici del maggioritario sembrano davvero determinati a concedere una vittoria elettorale anche a personaggi inquietanti come Salvini, pur di far piazza pulita dei nemici ‘interni’ del centrosinistra. E in effetti, con un buon sistema maggioritario che polverizzasse i piccoli partiti, il PD resterebbe in parlamento l’unico punto di riferimento credibile dell’opposizione. Questo forse non salverebbe l’Italia dalla deriva sovranista e xenofoba di Salvini e dei suoi alleati, e proprio in un momento in cui l’emergenza climatica richiederebbe misure sempre più drastiche e impopolari.
Ma anche in caso di completa catastrofe politica e ambientale dirigenti del PD potrebbero consolarsi di essere almeno sopravvissuti a Renzi, a Calenda, a Rizzo, ecc.: di aver finalmente estirpato quei perniciosi partitini che ai tempi di Prodi venivano chiamati “cespugli”. Col napalm, e distruggendo l’intera foresta: ma pazienza.
Se da lontano può sembrare una strategia suicida, è perché lo è davvero. Possiamo dirlo senza timore di esprimere un pregiudizio, visto che tutto questo è già successo almeno una volta. In fondo Zingaretti non fa che applicare uno schema che è antico quanto il PD (2007), anzi è in un qualche modo scritto nel codice sorgente del PD, al punto che viene da domandarsi se non sia il destino del PD: diserbare il centrosinistra e regalare le elezioni al centrodestra.
È uno schema tutt’altro che segreto, di cui anzi si parlò per anni prima di metterlo finalmente alla prova. Si tratta della cosiddetta “vocazione maggioritaria”... (continua su TheVision), il tratto che nel 2007 doveva distinguere il nuovo partito dai vecchi che lo avevano tenuto a battesimo, DS e Margherita. L’insofferenza nei confronti dei piccoli partiti nasceva dalla situazione contingente: nel 2006 l’Unione di Prodi aveva ottenuto una risicatissima vittoria elettorale contro il centrodestra di Berlusconi. Ne era nato un governo, il Prodi II, che navigava a vista, sostenuto da una litigiosa coalizione che includeva dieci partiti, alcuni molto pittoreschi e in perenne competizione tra loro (memorabili le risse tra Di Pietro e Mastella, entrambi segretari di mini-partiti personali). Nel fondare il nuovo partito, Veltroni spiegò chiaramente che avrebbe messo fine a quel caos. Il suo obiettivo era “conquistare la maggioranza degli italiani”: e dal momento che la maggioranza degli italiani non sembrava già allora così ansiosa di lasciarsi conquistare da una proposta di centrosinistra (seppure molto annacquata), Veltroni prevedeva già al tempo qualche correzione della legge elettorale “in senso maggioritario”.
Nel frattempo la nascita del nuovo soggetto politico perturbava i fragilissimi equilibri del governo Prodi II, causando una crisi di governo e un’elezione anticipata a cui il PD veltroniano decise di presentarsi senza alleati a sinistra. Il risultato non fu una semplice sconfitta, ma un doppio disastro: il centrodestra di Berlusconi vinse con una larghissima maggioranza, malgrado i tredici milioni di voti raccolti dal PD (un record mai più eguagliato: ma l’Unione di Prodi nel 2006 ne aveva raccolti ben diciannove). I dirigenti del PD potevano però festeggiare di aver fatto scomparire dal parlamento i piccoli partiti d’ispirazione comunista e ambientalista. Una consolazione che già allora appariva piuttosto magra, ma il peggio doveva ancora venire.
Di lì a poco ci saremmo accorti che non bastava eliminare la sinistra antagonista dal parlamento per convincere tutti i suoi elettori a convergere sul PD. Nel 2007 Beppe Grillo aveva già dimostrato di poter riempire le piazze con un programma politico che per il momento si riassumeva in Vaffanculo (anche in quel caso, come per Sardine di 12 anni dopo, Bologna fu l’incubatrice). Il 2008 fu invece l’anno dell’Onda, forse il movimento studentesco più partecipato degli ultimi vent’anni. Mentre nel 2009 ad autoradunarsi nelle piazze fu il Popolo Viola, oggi dimenticato ma concettualmente non troppo distante dai toni e dalle posizioni delle Sardine di oggi, benché al tempo il nemico pubblico numero uno fosse Silvio Berlusconi. In questi e in altri casi, le piazze reali e virtuali hanno reagito a quello che percepivano come un vuoto di rappresentanza politica. Senz’altro il Pd non era il partito adatto a colmare quel vuoto, preso com’era dall’inseguimento di un fantomatico elettorato moderato. Ma era proprio così necessario lottare pervicacemente affinché quel vuoto non venisse riempito da nessun altro?
La parabola del PD tra Veltroni e Bersani dovrebbe essere un esempio di scuola: una volta cacciata Rifondazione Comunista dal parlamento (una Rifondazione peraltro nella sua fase più ragionevole, disposta a votare persino il rifinanziamento delle missioni militari) il PD vi ritrovò un ben più agguerrito Movimento Cinque Stelle che di dialogo non ne voleva sapere. Oggi che il M5S è in crisi, Zingaretti sembra convinto che sia stato soltanto un incidente di percorso, un inciampo lungo il percorso che dovrebbe fatalmente portare la politica italiana verso il suo destino bipolare e bipartitico. E questo malgrado in tutta l’Europa il bipolarismo novecentesco appaia in crisi: persino nel Regno Unito, dove la Brexit ha sparigliato le carte creando un fronte trasversale che divide i partiti principali (il Labour più che i Tories).
Ma è proprio guardando all’Europa che ci accorgiamo quanto sia simile il Pd ai vecchi partiti socialdemocratici che in Spagna, Francia e Germania cercano di contrastare un declino che appare inevitabile (la cosiddetta “pasokizzazione”, da Pasok, il nome del vecchio partito socialista greco divenuto capro espiatorio della crisi ellenica). Alla fine la diffidenza dei democratici nei confronti del movimentismo odierno è più comprensibile dell’ossessione di Veltroni e soci per i “cespugli”. Non si tratta più di ripristinare una governabilità messa in pericolo da partitini litigiosi: i movimenti di oggi sono meno radicati ma possono espandersi all’improvviso come funghi, e altrettanto all’improvviso implodere: poco inclini al compromesso, non si accontentano di qualche fettina di potere ma si fanno portatori di istanze contraddittorie e spesso impraticabili. Tutto questo almeno vale per il Movimento Cinque Stelle, ma anche per chi presto o tardi ne prenderà il posto: probabilmente non saranno le Sardine, ma qualcuno comunque quel posto lo prenderà. Visto che lo spazio c’è, che il PD non lo reclama e la Lega più di tanto non riesce a penetrarlo. Succederà alla faccia di qualsiasi legge elettorale nel frattempo Lega e PD avranno congegnato per impedirlo: succederà perché semplicemente c’è gente che a una logica bipolare non si rassegna. E la storia del M5S si ripeterà di nuovo – non necessariamente in farsa. Anche perché sembra improbabile, più farsesca di così.
In Emilia non sta succedendo niente?
20-11-2019, 11:12come diventare leghisti, Emilia paranoica, PdPermalinkCircolate, non c'è niente da vedere |
Nel centro di una città universitaria, di una provincia con una delle più alte percentuali in Italia di residenti di origine non italiana: e ciononostante, nessuna impennata nella criminalità: un luogo dove anche un opinionista tremebondo alla Rampini la sera non solo non avrebbe paura a circolare, ma diciamolo, si annoierebbe parecchio; che settemila persone si diano appuntamento anche in una serata così fredda e umida è cosa che fa piacere, ma stupisce? Si sa che poi in amore e in campagna elettorale tutto è permesso, e se c'è la possibilità di incorniciare un frame in cui Salvini finalmente diventa l'antipatico rosicone, tanto meglio. A Modena lunedì non è neanche voluto entrare, si è fermato ai margini: meglio così. Ma non significa che in febbraio non possa vincere in Emilia-Romagna, anzi. Dipende da quanta gente andrà a votare, e da questo punto di vista lasciate perdere i sondaggi: si tratta di un vero mistero.
Morisi la sta prendendo bene, da consumato social media manager quale egli è |
Temo che la vera differenza tra il 2014 e il 2019 non abbia molto a che vedere con le istanze del territorio, ma con i cicli della politica italiana che vista da qua sembra una specie di carrozzone che si ferma ogni tanto, un Cantagiro: il 2014 era l'anno di grazia di Renzi, il 2019 è l'anno della caduta di Salvini. Già nel 2014 i politici locali si erano ridotti a chiamare Renzi, per cercare di fare notizia su tv e quotidiani (anche solo di informare gli elettori sul fatto che in novembre si votava). Nel 2019 succede lo stesso, salvo che a fare notizia è Salvini: entra a Modena o si ferma fuori? eccetera. Con Bonaccini che nel frattempo probabilmente si domanda: ma tutta questa attenzione, mi serve davvero? Perché è vero che cinque anni fa vinse col 50% (in realtà un 49%, ma non sottilizziamo), ma lo ottenne con appena seicentomila voti, più o meno la metà di quelli raccolti da Vasco Errani cinque anni prima. Fu quasi una vittoria per abbandono, e avrebbe dovuto far riflettere già allora gli osservatori che sostenevano inevitabile lo sfondamento di Renzi al centro.
Sia alle elezioni europee che alle emiliane di quel magico 2014, Renzi non sfondò esattamente al centro, ma fece una cosa più curiosa: tolse agli elettori di centrodestra la voglia di andare a votare. Che non è un effetto da sottovalutare, anzi. Di fronte a un candidato di centrodestra insipido (e il centrodestra emiliano è sempre riuscito a trovare candidati particolarmente insipidi), l'elettore-tipo di centrodestra si guarda intorno e scopre che comunque il candidato di centrosinistra non solo non mangia i bambini ma ha atteggiamenti e mentalità parzialmente sovrapponibili a quelli del centrodestra (l'ansia per il "decoro", l'ossessione per le "eccellenze"). A quel punto lo va a votare? naaah. Sta a casa. E giustamente: che vinca l'uno o l'altro, che differenza fa per lui? Ha già vinto in partenza.
Questo è più o meno lo schema con cui il PD ha tenuto in Emilia-Romagna, perlomeno fino all'arrivo di Salvini. Qui le cose potrebbero complicarsi, perché l'elettore-tipo di Salvini è un po' meno moderato e ha una serie di istanze che con tutta la più buona volontà il PD locale non può assorbire: no tasse, no euro, no gender, no tutto. A questo punto, se fossi in Bonaccini, spererei che di elezioni in Emilia-Romagna si parlasse il meno possibile: con un po' di culo magari un sacco di gente si sveglierà un lunedì di febbraio scoprendo che bisognava votare il giorno prima. Ma a questo punto arrivano le Sardine e tutti si mettono a parlare delle elezioni in Emilia-Romagna, ahi, qui ora bisogna inventarsi qualcosa. E intanto piove, e i ponti sono chiusi.
Renzi va al centro ma il centro non c'è
18-09-2019, 18:57Berlusconi, Pd, poveri piccoli imprenditori, RenziPermalinkSu Renzi, in particolare, che lascia il PD proprio quando quest'ultimo arriva al governo – e ci arriva grazie a delegazioni parlamentari composte per la maggior parte da uomini scelti da Renzi – insomma proprio nel momento in cui tutto per un attimo sembra volgere al meglio, e basterebbe restare un po' tranquilli per recuperare una centralità ormai data per smarrita – proprio in questo momento lui se ne va, perché è Matteo Renzi, non può stare tranquillo per definizione: zaino in spalle eccetera eccetera. Lasciando a ogni commentatore politico la facoltà di indovinare se si tratta di una mossa geniale o disastrosa, come se appunto si trattasse di una mossa, di qualcosa che Renzi poteva anche scegliere di non fare o fare diversamente.
Io per me continuerei a ripetere che il ragazzo è un missile, ma i missili hanno una vita sola e il grande pregio, una volta esplosi, di togliersi di mezzo, quindi la metafora non funziona più. Allora possiamo buttarla sul sociologico; possiamo notare che Renzi è figlio di un medio-industriale e che non fa altro che riprodurre nell'agone politico la traiettoria esistenziale di questo tipo specifico di figli che, quando ereditano la ditta dal papà, hanno tante idee nuove e amici con idee ancora più nuove e così dopo qualche soprassalto la ditta comincia a colare a picco. A quel punto la rivendono e col cash, anche se avevano giurato Mai Più, ne fondano un'altra dove finalmente faranno di testa loro senza i lacci e i lacciuoli e gli amici sbagliati. E anche in questo caso non si tratta di una mossa, di una scelta: è che altro non sanno fare, in casa scalpitano, in piazza vedono i figli degli altri padroni a cui è andata meglio e non ci durano; e poi non è detto che la seconda volta non funzioni, in fondo fino a qualche anno fa bastava azzeccare un prodotto per camparci di rendita, una generazione almeno.
Per esempio, questa volta Matteo Renzi si è messo in testa di mangiarsi l'elettorato residuale di Forza Italia e non lo nasconde, anzi, lo scrive proprio nel logo: Forza Italia, Italia Viva. È un'idea spudorata, ma ecco, è una cattiva idea? A livello di battuta lo abbiamo sempre detto, che Matteo Renzi è il figlio politico che Berlusconi non ha avuto – anche perché se l'avesse avuto, l'avrebbe divorato come tutti gli altri. Potremmo anche raccontarci che doveva finire così, con un Renzi di centrodestra, e che se ci siamo arrivati in modo tanto contorto è a causa dell'unica vera anomalia politica italiana: la Mediaset. Davvero, non sarebbe filato tutto più liscio se Renzi invece di prendere al bivio la strada del Partito Popolare avesse seguito Buttiglione e fosse cresciuto come amministratore nella Casa delle Libertà, magari vincendo le comunali a Firenze contro un insipido candidato ulivista, un qualsiasi ex centrocampista della Fiorentina? In teoria sì, in pratica sappiamo benissimo che Renzi nel medio termine sarebbe finito come finiscono tutti quelli che rischiano di fare ombra al capo: Casini, Fini, Alfano, Toti, c'è una lunga fila di teste in quel corridoio (notate: sono tutti maschi. Le donne restano). L'unica possibilità di succedere a Berlusconi era tenersi a una rispettosa distanza, e Renzi c'è riuscito, magari senza accorgersene. Così il PD, tra tante incombenze, si è incaricato perfino di costruire la carriera di un futuro leader del centro moderato. In un periodo in cui gli altri partiti diventavano fan club, solo il PD poteva sobbarcarsi il compito di creare dal nulla il suo futuro concorrente, e in particolare è stato il PD di Bersani a non lasciarsi mancare un'occasione, arrivando nel 2012 a indire una consultazione primaria in deroga allo statuto pur di consentire a Matteo Renzi la possibilità di farsi notare.
Se davvero fosse andata così, sarebbe andata male? Di un centrodestra moderato ci sarebbe tanto bisogno. In fondo il vero rischio è che l'elettorato residuale travasi direttamente nella Lega, e se c'è un modo di arginarlo, viva Matteo Renzi che si presta. Sì. Temo però che questa ricostruzione sia viziata dal solito errore: parlare del Centro come se il Centro esistesse: come se racchiudesse non solo leader politici fondatori di minuscoli partitini dalla vocazione maggioritaria, ma anche milioni di elettori che quei partitini prima o poi li voteranno. Sarà anche così, ma allora perché per vent'anni hanno votato Berlusconi? Se erano così moderati, perché quando Berlusconi si è alleato coi leghisti hanno votato la coalizione di Berlusconi coi leghisti? Se sono l'argine al fascismo, perché quando Berlusconi ha spruzzato nelle liste un po' di Forza Nuova e Casa Pound, non si sono trattenuti dal votare una coalizione di Berlusconi coi leghisti e Casa Pound?
Insomma io a questa storia del centro moderato non ci credevo tanto ai tempi di D'Alema che voleva lavorarci, non ci credevo affatto ai tempi di Veltroni che voleva conquistarlo, come faccio a crederci adesso che ci sta provando un missile? I missili una sola cosa sanno fare. Vabbe'. Dipenderà molto da come la prendono ad Arcore, si vedrà parecchio da come lo tratterà la D'Urso in tv. Nel frattempo tutti gli opinionisti di estrema destra che Berlusconi aveva cacciato dopo le elezioni sono più o meno rientrati nel palinsesto, il che mi lascia pensare che tra i due Mattei abbia scelto quello più lombardo e performante (qui poi ci sarebbe un lungo discorso da fare su quanto Salvini sappia fare il suo sporco mestiere di imbonitore meglio di Renzi, ma ne parliamo un'altra volta, una volta in cui mi verrà voglia di fare complimenti a Salvini, magari anche mai).
PD e 5Stelle, separati alla nascita
12-09-2019, 16:375Stelle, avercela con D'Alema, Pd, TheVision, VeltroniPermalinkAmmesso che sia possibile, chissà se ne vale la pena. Pd e M5S potrebbero riallontanarsi tanto velocemente quanto si sono avvicinati. A farli convergere per un istante sarebbero mere considerazioni tattiche, in un tentativo più o meno disperato di resistere a un Salvini trionfante nei sondaggi. Ecco l’unica cosa che avrebbero in comune, gli elettori dem e grillini: il nemico. In politica è normale trovarsi a letto col nemico del proprio nemico, ma non significa che devi andarci d’accordo tutto il giorno. Non resta che stringere i denti e ricordare che Di Maio-Zingaretti è meno peggio di Di Maio-Salvini. Con queste premesse, è chiaro che l’alleanza potrà durare fino a un calo di Salvini nei sondaggi, o il nodo di qualche inchiesta su di lui non giunge al pettine. Dopodiché, o si troverà un altro nemico in comune, oppure addio. Potrebbe anche essere tutto qui.
Oppure democratici e cinquestelle potrebbero approfittare di questo strano flirt estivo per rimettersi in discussione. Per qualche anno si sono odiati e disprezzati, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ma quando è cominciato tutto questo, e chi l'ha deciso?
Quella tra elettori del M5S e del Pd non è la tipica contrapposizione ideologica che separa – per fare un esempio – fascisti e comunisti. Non è nemmeno una nuova forma di lotta di classe: i bacini sociali dei due elettorati sono contigui, forse sono gli stessi. Anche l’interpretazione che va per la maggiore (Pd elitista contro M5S populista) convince fino a un certo punto: il Pd ha molto spesso assorbito spinte populiste (specie nella fase rottamatrice della segreteria Renzi), mentre il M5S sembra essere il partito più votato dai laureati. Fingiamo di essere appena arrivati in Italia da un altro pianeta: di fronte a due partiti che si odiano e si spartiscono gli stessi serbatoi elettorali, non potremmo che concludere che si tratta del risultato di una scissione. Non abbiamo mai pensato di analizzarla da questo punto di vista, ma forse potremmo.
Se non è facile trovare una data per sancire l’inizio dell’odio tra i due soggetti politici, è certo che già nell’estate del 2007 c’era una forte diffidenza reciproca. Nell’ottobre di quell’anno i leader di Margherita e Ds decidono di fondersi in un unico partito, con Walter Veltroni come segretario, eletto durante le prime primarie aperte ai cittadini della storia repubblicana. Fino a quel momento lo schema dei Democratici di sinistra era stato quello dalemiano di coalizzarsi con forze più centriste (le schegge dell’esplosione della vecchia Dc), cercando di arginare Berlusconi. Lo schema era sembrato efficace con l’Ulivo di Prodi nel 1996, ma molto meno con l’Unione di dieci anni dopo. Per Veltroni, apparentemente più bonario, quelle stesse forze andavano attirate e assorbite, eliminando gli elementi meno assimilabili grazie a una legge elettorale che prevedesse una soglia di sbarramento sufficientemente alta. D'Alema non credeva nella strategia di Veltroni ma in un certo senso la preparava; Veltroni era insofferente dei tatticismi di D'Alema, ma in un certo senso li portò a compimento. Perché sia i dalemiani che i veltroniani erano convinti che l'unico modo di vincere le elezioni fosse andare verso il Centro, visto come un'immensa pianura in cui pascolava un abbondante elettorato moderato che non poteva davvero sopportare la volgarità di Berlusconi e prima o poi lo avrebbe abbandonato. Sia D’Alema che Veltroni erano convinti che il futuro della socialdemocrazia fosse una liberaldemocrazia allineata alle direttive di Maastricht, mitigata da alcuni ammortizzatori sociali da decidere poi con calma. Il fatto che la classe media cominciasse a impoverirsi non destava molte preoccupazioni: l’eventualità che la frustrazione degli elettori li portasse a cercare formazioni politiche più estreme sembrava fantascienza. Sia D'Alema che Veltroni erano convinti che la battaglia si sarebbe vinta al centro perché, in sostanza, sia D'Alema che Veltroni erano buoni politici di Centro, e non facevano che tendere a sé stessi. E sia D’Alema che Veltroni non ci arrivarono mai.
Oggi forse si è chiarito il perché... (continua su TheVision)
Oggi forse si è chiarito il perché: quel favoloso centro in realtà non esisteva, non era una piana sconfinata ma uno spazio residuale. Tutt'altro che moderati erano gli elettori del sedicente centrodestra: tutt'altro che moderati i toni con cui Berlusconi li aveva attirati e sedotti, raccontando di un pericolo rosso incarnato persino nelle forme rassicuranti e democristiane di Romano Prodi. Berlusconi non sarebbe stato sconfitto dalla moderazione: se solo qualcuno l'avesse capito prima del 2008. Beh, in realtà qualcuno l'aveva capito.
La scissione avvenne in quel momento, anche se non ce ne accorgemmo subito e forse non ce ne siamo ancora accorti. Eppure sapevamo che la folla accorsa a Bologna per firmare le proposte di legge di Grillo era formata in gran parte da elettori di centrosinistra. Elettori sempre meno interessati ai discorsi moderati di un Veltroni alla vana ricerca di un Centro che alla fine coincideva con sé stesso. Nel 2008 prese comunque 15 milioni di voti (alla Camera), un dato mai più raggiunto dal PD ma inferiore di 4 milioni al risultato dell'Unione di Prodi due anni prima: anche stavolta la conquista del Centro era rimandata. A quel punto si dimise, ci furono nuove primarie e Beppe Grillo chiese di partecipare. Era soltanto una provocazione: stava già iniziando ad approvare liste locali con le cinque stelle nel simbolo.
Giochiamocela a Calenda
29-08-2019, 18:34dialoghi, PdPermalink"E insomma, c'è rimasta una sola Dune Buggy".
"Ce la giochiamo a birra e salcicce?"
"Ho un po' di gastrite".
"Che noioso. Pari e dispari?"
"Mi freghi sempre".
"Ma come faccio a... lascia perdere. Testa o croce?"
"Non ho moneta".
"Neanch'io. Ce la giochiamo a Calenda?"
"E cos'è Calenda?"
"È un gioco fantastico. Dimmi. Ce l'hai presente Carlo Calenda?"
"E come no, è quel ministro... ex ministro mi pare".
"Secondo te Calenda in questo momento è dentro o fuori il PD?"
"E come faccio a saperlo, scusa".
"Tira a indovinare".
"Boh, è quasi giovedì... di solito lui lascia il PD nel fine settimana".
"Nah, non sempre"
"C'è un po' di tramontana, nuvole a sudovest... non ne ho la minima idea".
"Tira a indovinare".
"Vabbe', io dico fuori".
"Ok, per te è fuori e per me è dentro".
"E adesso?"
"E adesso controlliamo e se è dentro ho vinto io".
"Ah, però".
"Carino come gioco, vero?"
"Meglio che pari e dispari. Ehi, qui c'è scritto che è uscito!"
"Fa vedere... ma è un'agenzia di sei ore fa".
"Dici che è rientrato?"
"Non si sa mai, c'è tramontana".
"Controllo meglio".
Renzi, la trattativa, il retroscena, la polpetta
17-02-2019, 22:51giornalisti, Pd, Renzi, TwitterPermalink"Questa è la storia di un governo mai nato, dell’altra strada che poteva prendere questa legislatura, dei protagonisti che hanno fatto nascere e morire, nel giro di una settimana, il governo Fico sostenuto da una maggioranza Cinque Stelle-Pd. È una storia di dominio (quasi) pubblico nei palazzi romani, ma che si tace appena si varca l’uscio e si cammina nel Paese reale, tra gli elettori e i militanti. Un po’ per il rimpianto di quel che avrebbe potuto essere la storia di questi ultimi dodici mesi, se non ci fosse stato il governo gialloverde. Un po’ perché nel frattempo il solco già enorme tra Pd e Cinque Stelle è diventato una voragine. Un po’ perché non tutti i protagonisti di questa vicenda l’hanno raccontata giusta, in quei giorni. Ecco perché questa è una storia senza nomi e cognomi, né virgolettati".Questo è un retroscena di Linkiesta e io non credo a una parola. Niente di personale, non credo mai a nessun retroscena, per principio. È un voto che ho fatto qualche anno fa ed è già impressionante il numero di puttanate da cui mi ha protetto. Per cui se prima potevo avere la vaga impressione che ci fosse stato, verso le idi del marzo scorso, una specie di abboccamento tra dirigenti del Pd e del M5S, ora ci credo già un po' meno. I retroscena sono post-verità fabbricati a posteriori e l'ultima preoccupazione di chi li fabbrica è spiegare davvero cos'è successo ieri. Allora a cosa servono? A far succedere qualcos'altro domani.
Posso sbagliarmi, non sono un esperto, ma l'unico senso di questo retroscena è la campagna delle Primarie PD, che sta entrando nel vivo. Voi magari non ve ne eravate accorti, ma i "protagonisti" che all'improvviso decidono di vuotare il sacco a un giornalista di Linkiesta probabilmente sì. Per una curiosa coincidenza, Renzi non è più il villain che mette i bastoni fra le ruote. Scopriamo oggi che almeno in un primo momento sarebbe stato tentato dal miraggio di approdare alla Farnesina in un eventuale governo Fico: girare il mondo, parlare in inglese a tutti. È un depistaggio verosimile, come tutti i depistaggi professionali. Il punto in cui la verosimiglianza cede è probabilmente quello che sta a cuore del depistatore, ovvero il cancelletto. In un momento tanto critico, Renzi avrebbe avuto paura del giudizio dei suoi stessi sostenitori più fedeli, che alle prime avvisaglie di un accordo col M5S avevano già messo in giro l'hashtag #SenzaDiMe. Insomma, Renzi che si fa dettare la linea da un cancelletto. La beviamo?
Che Renzi sembri in difficoltà, dal quattro dicembre e anche prima, è pacifico. Ma non al punto da confondere una cassa di risonanza, come Twitter, con un luogo reale di elaborazione e condivisione politica. Renzi non ha mai aspettato un cancelletto per prendere decisioni, anche e soprattutto quando erano decisioni che potevano disorientare la sua stessa base (ad esempio la scelta di succedere a Letta a Palazzo Chigi). I cancelletti arrivano dopo: li spingono i suoi sostenitori e riflettono il suo pensiero. E quando un pensiero non c'è, di sicuro non lo producono loro. Mi sembra impossibile che i renziani si siano messi a cinguettare #SenzaDiMe senza che Renzi gliel'abbia chiesto. Ma è esattamente quello che vuole dirci la talpa che ha raccontato questa storiella a Linkiesta: il renzismo come un mostro di Frankenstein che a un certo punto prende il controllo sul suo creatore; un Mr Hyde che a un certo punto lo soggioga e gli impedisce di prendere le decisioni più razionali.
Questo non è un retroscena contro Renzi, ma contro i renziani. Più nello specifico: mi sembra una polpetta sotterranea contro la mozione Giachetti. Io ovviamente non nutro per il personaggio nessuna simpatia; lo trovo anche un po' inquietante, mi sembra il tizio che viene sempre mandato avanti quando c'è da perdere una battaglia, e Renzi ha questa cosa che per tutta una serie di motivi di battaglie ha deciso di perderne parecchie. Invece chi detta questa roba a Linkiesta sembra quasi aver paura che vinca: ecco, questo è piuttosto strano.
Burioni e il futuro del PD (è il futuro del PD?)
24-11-2018, 00:29Pd, scienza, TheVision, TVi, TwitterPermalinkCon una mossa apparentemente pretestuosa, al culmine di un ragionamento un po’ confuso, Corallo ha avuto quel guizzo di genio che gli ha permesso di apparire sulle homepage di più testate nazionali. Anche perché Burioni se l’è presa – ma questa era la cosa più prevedibile di tutte – mettendo in guardia il Pd dalla “tentazione di fregarsene della scienza (e della salute delle persone), per accarezzare il pelo all’ignoranza”.
Vale la pena di spiegare l'equivoco? Corallo ovviamente non proponeva di ”fregarsene della scienza”, ma lamentava che il Pd avesse fatto proprie un insieme di dottrine economiche – più liberali che socialdemocratiche – scambiandole per scienza “esatta” e rifiutandosi di discuterle con gli elettori, così come Burioni si rifiuta di discutere seriamente coi NoVax. È un paragone piuttosto sghembo: i NoVax sono una frangia tutto sommato modesta dell’elettorato (anche se blandita da M5S e Lega); il Pd deve porsi il problema di recuperare un bacino molto più ampio.
Evocando Burioni, Corallo è riuscito a dirottare un po’ di attenzione su di sé, ma il risultato è che ora non stiamo parlando davvero di Corallo: stiamo parlando di Burioni. Malgrado abbia colto l’occasione per ribadire che non intende impegnarsi in politica, è lui il vero vincitore del congresso. Non come candidato, ma come programma politico. Chiunque vincerà le Primarie – Zingaretti o Minniti, la gara non entusiasma – si troverà davanti a un bivio: essere burionisti o rinnegare il burionismo? Il Pd del 2019 sarà il partito delle eccellenze, dei professionisti di successo, o sarà il partito del “99% che non ce la fa”? Sembra che alla fine lo scontro – perché di uno scontro c'è bisogno – sarà questo. In attesa che Renzi si rifaccia vivo (impossibile pensare che non vorrà di nuovo dire la sua); in mancanza di candidati dalla personalità forte; nell’eclissi generale dell’ideologia, il burionismo è almeno un argomento su cui ci si può confrontare.
Ha anche il pregio della chiarezza: il burionismo non è così difficile da definire. È una forma di meritocrazia – parla solo chi è competente, parla solo chi è laureato – che da lontano può somigliare a quel caro vecchio elitismo, quell’attitudine snob che gli avversari della sinistra le hanno sempre imputato. Salvo che una volta la sinistra respingeva la definizione o, quando proprio non poteva respingerla, l’ammetteva con pudore, come una debolezza, un peccato originale; mentre il burionismo oggi rivendica la propria superiorità senza vergogna, anzi con una certa sfacciataggine – e in questo modo, paradossalmente, perde tutta quella patina snob e talvolta finisce per somigliare, nei toni urlati e sprezzanti, ai populisti che combatte: vedi come ha reagito all’intervento di Corallo la fanbase dei seguaci di Burioni su Twitter.
Il burionismo, poi, non poteva che nascere sui social: è una strategia comunicativa che ha senso soprattutto lì. E forse non è un caso che i grandi “blastatori” italiani su Twitter siano quasi tutti professionisti ultracinquantenni, che scoprono il mezzo quando ormai i giorni in cui erano abituati a confrontarsi tra pari sono un ricordo lontano. Paradossalmente è proprio questo approccio verticale a dare spettacolo, quando impatta contro l’architettura democratica dei social network e produce scintille: le “blastate”. La differenza tra il burionismo e il grillismo, o il leghismo 2.0 rifondato su Facebook da Salvini e Morisi non è il mezzo, infatti, ma il fine: il burionismo è arrogante perché deve proteggere la scienza e salvare delle vite. Di questo Burioni è convinto e non si stanca di spiegarlo – anche se non ha ancora i numeri per provarlo: blastare funziona. A chi gli obietta che le umiliazioni e gli insulti non hanno mai convinto nessuno, Burioni risponde che il suo scopo non è convincere i NoVax – per Burioni sono irrecuperabili – ma impressionare il pubblico che assiste agli scambi, e che evidentemente si lascia conquistare più da un blastaggio che da un ragionamento pacato. Il burionismo è uno scientismo cinico: crede nella scienza e solo nella scienza, ma allo stesso tempo non ritiene che la scienza sia comprensibile a tutti. La divulgazione dev’essere semplice, e includere qualche momento catartico-liberatorio in cui l’ignorante viene sollevato dallo spettacolo dell’umiliazione di qualcuno più ignorante di lui.
Questo per sommi capi è il burionismo, e non è detto che non funzioni. Il personaggio c’è, vende libri, va in tv, egemonizza il dibattito del principale partito d’opposizione, e nel frattempo le vaccinazioni aumentano – non necessariamente grazie a lui, ma aumentano. Non è così strano che il nome di Burioni desti più attenzione di quello di qualsiasi concorrente alla segreteria del Pd. Il Pd è reduce da un insuccesso storico; Burioni, per dirlo con le sue parole, è: “Qualcosa di unico sia dal punto di vista social media sia dal punto di vista editoriale, non solo nel nostro Paese”. Ma il burionismo può davvero diventare la base programmatica e la strategia comunicativa del Pd? Burioni diventò famoso quando gli capitò di scrivere che la scienza non è democratica, un’affermazione abbastanza controversa che fece breccia però immediatamente, al punto da alimentare un sospetto: non è che a tanti burionisti la scienza piace proprio perché non è democratica? Un bell’argomento per chi si scopre critico nei confronti del suffragio universale, per chi periodicamente propone di “superarlo”.
Può il Partito Democratico ospitare in sé un punto di vista così poco democratico? E cosa succede – si domandava Corallo – quando dalla scienza “dura” si passa a discipline più controverse, come l’economia, la sociologia, l’ecologia? Come impedire che la fiducia nella competenza si trasformi in dogma, e il burionismo diventi una specie di religione? Ammesso che blastare i NoVax funzioni, possiamo pensare di blastare allo stesso modo i NoTav, fingendo che non abbiano argomenti e obiezioni sensati, basati su osservazioni, calcoli, ragionamenti?
Si sarà capito che per me tutte queste sono domande retoriche. Non credo che si possa essere burionisti e democratici, bisognerebbe scegliere: e in un partito che si chiama ancora “Democratico”, la scelta mi sembra ovvia – sempre che possiamo ancora permetterci di essere democratici. Perché ecco, forse il problema è proprio questo: possiamo ancora permettercelo?
Corallo propone di andare verso il popolo, una proposta fin troppo ovvia per quello che in teoria sarebbe un partito di (centro) sinistra. Ma nella pratica il popolo è già stato opzionato da altri due partiti populisti, che si sono contesi lo stesso bacino elettorale con promesse imbattibili, e attualmente governano insieme. Certo, prima o poi saranno costretti a vedere i loro bluff, prima o poi ogni promessa elettorale rivelerà il suo lato oscuro. Ma potrebbe volerci ancora qualche anno, e a quel punto è persino possibile che gli elettori reagiscano alla delusione cercando qualcosa di sensibilmente diverso. Per un partito politico in crisi la ricerca di un’identità coincide spesso con la ricerca di una nicchia elettorale e con due avversari populisti al governo, il Pd non potrebbe essere popolare e democratico, neanche se ci tenesse davvero (continua su TheVision sempre più menagramo).
Lo Stato deve ricominciare a finanziare i partiti. Seriamente.
18-07-2018, 15:585Stelle, come diventare leghisti, Pd, RenziPermalinkSalvini in effetti si trova in una posizione difficile. La sua linea di difesa è accusare la Lega di Bossi, ma anche in quel partito Matteo Salvini era un dirigente importante, un eurodeputato già primatista per assenteismo. Quando Bossi e il tesoriere Belsito finiscono nei guai, Salvini quatto quatto fonda una nuova Lega indistinguibile dalla vecchia, che si costituisce parte civile nel processo. Salvini si considera danneggiato da chi ha riempito i conti del partito truccando i bilanci: però continua a incassare centinaia di milioni dagli stessi conti. "Ti diffido dallo spendere quanto da te dichiarato corpo del reato", gli scrive l'avvocato di Bossi. Salvini i soldi li ha incassati comunque, e probabilmente li ha anche già spesi. Del resto non si porta un partito dal 4 al 17% in quattro anni gratis.
In tutto questo tempo Salvini non è mai rimasto fermo, anche il suo più acerrimo oppositore glielo deve riconoscere. Si è girato l'Italia in lungo e in largo, mentre a Bruxelles continuano ad aspettarlo invano; a ogni città una felpa diversa, son soldi anche quelli. Ha riorganizzato il partito, ha conquistato la ribalta sulle tv e su internet con campagne virali ed efficaci; tutto questo ha un costo. Il che non significa necessariamente che Salvini abbia speso molto: l'appoggio della Mediaset gli ha senz'altro fornito un grosso aiuto. In generale, poi, tutti i partiti hanno drasticamente ridotto le spese elettorali, e questo può averlo favorito nel momento in cui si trovava un gruzzoletto su un conto e preferiva spenderlo prima che venisse sequestrato. La democrazia italiana è diventata all'improvviso scalabile, e il successo repentino della Lega salviniana e del M5S ne è la prova. Cosa sta succedendo? Perché i partiti hanno smesso di stampare manifesti, organizzare eventi, investire in comunicazione?
Perché mancano i soldi.
Il buco della Lega è solo la punta dell'iceberg. Persino Forza Italia è in difficoltà, Berlusconi non paga più i debiti. Ma prendiamo il PD, erede delle due più radicate tradizioni politiche della Repubblica Italiana: non se la passa bene. Non trova più la sua identità, non trova più la sua unità, ma fa anche una certa fatica a trovare i soldi. Continua a licenziare i propri dipendenti, in un progressivo ridimensionamento che sembra non aver fine. Anche nelle regioni dove è più radicato, le Feste dell'Unità (talvolta ribattezzate "Democratiche") sempre più spesso chiudono in rosso. È il tramonto di un modello che si basava sul volontariato degli attivisti, giovani operai e pensionati, e poi col tempo sempre meno giovani e operai e sempre più pensionati. Era chiaro da almeno vent'anni che le Feste non avrebbero retto il passaggio di consegne a una generazione più precaria e meno attivista: c'era il tempo per trovare nuove forme di autofinanziamento, ma i quadri del PD non sembrano essersene molto preoccupati.
Può darsi che considerassero i ricavi delle feste delle briciole: il grosso delle entrate arrivava dallo Stato, ma ecco: i dirigenti del PD hanno fatto di tutto per ridurre anche quello. Fu il governo Letta, nel 2014, a ottenere dal parlamento la sostanziale abolizione dei rimborsi elettorali. Non era una semplice concessione al pauperismo del Movimento grillino: già in una delle prime Leopolde Renzi sosteneva che il finanziamento pubblico andasse "abolito o drasticamente ridotto". Ma a quel punto dove avrebbe trovato il PD i soldi per fare politica? Guardando alla trionfale campagna di Obama, Renzi chiedeva di favorire il finanziamento privato "attraverso donazioni private in totale trasparenza, tracciabilità e pubblicità". Insomma si immaginava che gli imprenditori gli avrebbero dato una mano contro Berlusconi, che tenerezza – ma in quel momento era in fase crescente, Marchionne si era incuriosito, Farinetti era entusiasta. Sembra passato così tanto tempo (continua su TheVision).
Sì, non ho votato il PD; no, non mi sono ancora pentito
19-06-2018, 11:515Stelle, come diventare leghisti, Pd, Renzi, TheVision, TViPermalinkNo, non sono George Soros. Neanche sul suo libro paga, fammi controllare – no.
Durante gli ultimi vertici internazionali non hai avuto anche tu la sensazione che l'Italia fosse rappresentato da un prestanome imbarazzato che si tinge i capelli e mette a curriculum anche le visite alla fidanzata? No, sul serio, chi ce l'ha messo a Palazzo Chigi un tizio così? Indovina: sono stato io. E così via. Di' un solo guaio successo negli ultimi due mesi: l'ho fatto succedere io. Proprio io.
Che non ho votato il Pd.
Eppure lo sapevo. Me l'aveva pur spiegato un sacco di gente, con ottimi argomenti. Le scorse elezioni non erano elezioni qualsiasi: stavolta era in gioco molto di più. La nostra permanenza in Europa, l'Europa stessa, la democrazia – la nostra umanità. Ricordo molto bene tutti questi discorsi, rivolti a quel bacino di elettori che in passato aveva votato Pd e che questa volta si sarebbe rivolto ad altre creature: principalmente il M5S, ma non solo. Si tratta di discorsi ai quali sono stato sensibile tante altre volte: benché abbia sempre odiato l'espressione "turarsi il naso" o "votare col mal di pancia", più o meno è quello che mi è capitato sempre di fare, salvo stavolta: e proprio stavolta, guarda che casino ho combinato.
Adesso ogni giorno c'è qualcuno in tv o sull'internet che mi suggerisce di fare autocritica. L'altro giorno Virzì, intervistato dal Foglio, mi ha spiegato che i 5stelle sono fascisti, e che avrei dovuto arrivarci prima – no, non ho votato 5Stelle; ma ho comunque fatto perdere il Pd: avrei pur dovuto capirlo che se perdeva il Pd i 5Stelle avrebbero rivelato il loro fascismo latente alleandosi con la Lega. Queste cose si sapevano già. È un lungo discorso che si può mirabilmente riassumere in una vignetta di Staino, nata apocrifa ma poi confermata dall'autore stesso: "Fascisti, razzisti, incompetenti. Com'è stato possibile tutto questo?" "Sai, mi stava sulle balle Renzi". Insomma tutto questo – la catastrofe umanitaria, lo spread, le figuracce internazionali – è successo perché sono antirenziano.
Magari è davvero così.
Faccio parte di un cospicuo insieme di elettori che non si trovava a suo agio, per usare un eufemismo, con molte delle proposte di Renzi. Appena ci fu l'occasione di farglielo capire (il referendum del 2016), ne approfittai. A quel punto Renzi sembrò fare un passo indietro, ma il Pd a quel punto continuò a sembrarmi un oggetto distante. In particolare la dottrina Minniti mi sembrava indifendibile, e così quando si è tornati a votare non ho votato il Pd. Per molti osservatori avrei comunque dovuto scegliere il meno peggio, il voto utile – è un discorso che capisco, ma a quel punto davvero un voto al Pd non mi sembrava più utile: al contrario, mi sembrava un voto perso... (continua su TheVision).
Democratico, troppo democratico
17-04-2018, 08:46elezioni 2018, Pd, Renzi, TheVision, TViPermalinkNon bisogna fare un altro partito ma lavorare per risollevare quello che c'è. Domani mi vado ad iscrivere al @pdnetwork. https://t.co/5Jem2aDZfO— Carlo Calenda (@CarloCalenda) March 6, 2018
Infatti è appena successo nel Pd, onorato all'indomani della sconfitta elettorale dall'adesione via twitter del ministro Calenda. Dopo poche ore Calenda già spiegava al Pd cosa doveva fare e non fare per non perdere la sua preziosa adesione. Provate a immaginare la stessa situazione nella Lega, o in Forza Italia – non ha senso. Nel Pd non è nemmeno la prima volta. Ogni tanto arriva qualcuno, prende la tessera e spiega agli altri cosa deve fare il partito.
Se il PD si allea con il M5S il mio sarà il tesseramento più breve della storia dei partiti politici. https://t.co/JKAloycTFB— Carlo Calenda (@CarloCalenda) March 7, 2018
La stessa avventura renziana, in fondo, è cominciata così: appena otto anni fa anche l'allora sindaco di Firenze era sostanzialmente un outsider. Quel che è successo dopo, a ben vedere, non ha molti precedenti nella storia dei partiti italiani: in una manciata di anni, grazie a un paio di consultazioni di base (le Primarie!), l'outsider si è preso il partito di cui è tuttora, malgrado le dimissioni ufficiali, il leader più rappresentativo. È una traiettoria impensabile in partiti-azienda come Forza Italia o M5S; molto improbabile nella Lega, che ormai è a tutti gli effetti il partito italiano più vecchio in parlamento, l'unico che mostri ancora vagamente una struttura tradizionale novecentesca. Forse è la prova che il Partito Democratico è davvero democratico; di certo è la dimostrazione che è un partito straordinariamente scalabile: che chiunque abbia una visione e un po' di sostenitori – e di finanziatori – può davvero entrare e cominciare a dettare la linea. Gli altri partiti non sono così e gli altri partiti, bisogna ammetterlo, non perdono così tanti voti (più di sei milioni in dieci anni). A questo punto si tratta di capire se quello che doveva essere il punto di forza del Partito Democratico non si sia rivelato la sua principale debolezza: se i segni di vitalità che ci sta mostrando in questi giorni (incontri, dibattiti, correnti che nascono) siano un segno promettente o gli ultimi rantoli di un'entità che non si rassegna al declino. Il Pd non è certo l'unico partito a strutturarsi in correnti, ma è l'unico in cui le correnti diano la sensazione di poter nascere, agglutinarsi, defluire, nel giro di pochi anni o mesi. Matteo Richetti ne ha appena tenuta a battesimo una, "Harambee", affrettandosi a spiegare che si tratta di una parola swahili che non ha un vero e proprio senso: una generica affermazione di volontà e unione, una specie di "daje", "oh issa": non che l'"I care" di Veltroni e il "Big Bang" di Renzi alludessero a significati molto più complessi, ma insomma la sensazione è che siano finiti non soltanto i contenuti, ma ormai anche i nomi per chiamarli.
Se non bombardi sei isolato in Europa, dice il Pd (lo dice davvero)
13-04-2018, 12:40come diventare leghisti, guerra, medio oriente, PdPermalinkL'Italia sulla #Siria rischia di prendere per la prima volta da dopoguerra una posizione isolata dall'Occidente: tutto questo perché c'è un signore che si chiama Matteo Salvini che ha sempre sostenuto persone come Milošević, Hussein o Assad@AndreaRomano9 https://t.co/902dizokdH— Partito Democratico (@pdnetwork) April 12, 2018
Cioè mi rendo conto che "abbaiare" è un po' forte, ma come si fa infilarsi in un guaio del genere? Che Salvini sia stato filoputiniano (come lo era Trump prima di entrare alla Casa Bianca, e tuttora ogni tanto gli sale il riflusso) non c'è dubbio, e forse un buon comunicatore politico a questo punto non sbaglierebbe a farlo notare. Che abbia sostenuto Saddam Hussein è ridicolo, una fake news grossa come una casa, il modo più spiccio per mettersi dalla parte del torto. Ma questo è solo un piccolo dettaglio. Con questa
Ovviamente, poche ore dopo non si è mossa soltanto la cancelliera Angela Merkel, per farci sapere che non ha nessuna intenzione di partecipare a un bombardamento della Siria (e non ci voleva molto a immaginarlo, visti i precedenti: ma ecco, pare che l'esperto di Esteri on. Andrea Romano non li conosca). No, a poche ore da questo fantastico tweet ufficiale del Partito Democratico, il capo del governo Gentiloni ha chiarito che "l'Italia non parteciperà ad azioni militari in Siria". Per dire quanto rischia di restare isolata la posizione di Salvini.
Il quale Salvini fin qui che io sappia ha dichiarato soltanto: "Che qualcuno pensi ad una terza guerra mondiale farneticando di bombe e di missili sulla pelle di donne e bambini è assolutamente impensabile". Notate: non propriamente detto che la Siria non ha usato armi chimiche (ma chi non ci vuole credere penserà che Salvini gli dà ragione). Ha invece senz'altro detto che è impensabile scatenare la terza guerra mondiale per questo. Io penso che Salvini sia il leader di una cricca populista fascista e putiniana: mi addolora molto notare come risulti molto più professionale degli attuali portavoce del Pd. Più misurato, più affidabile, temo persino più responsabile – non che ci voglia tantissimo, eh: basta non precipitarsi a bombardare appena Trump e Macron dicono che è il caso. No, basterebbe pochissimo, ma quel pochissimo il Pd in questo momento non ce l'ha. Ha Andrea Romano.
Osanna Matteo (e addio)
25-03-2018, 10:03Pd, RenziPermalinkEcco l'agnello |
E poi penso a Spelacchio.
L'unico albero di Natale di cui ci ricordiamo ancora a Pasqua. Ma secondo me è un simbolo eloquente. Quando il M5S vinse alle comunali di Roma, si pensava che non avrebbero potuto durare. Al primo disastro la gente avrebbe smesso di amarli. La gente evidentemente non funziona così – non pretendo di capire come funziona la gente, ma insomma guardate com'è andata con Spelacchio. La gente che sceglie il M5S, i disastri li mette in conto, ci si affeziona persino.
Il Pd continua a pensare (Renzi continua a pensare) che un eventuale governo M5S-Lega con Berlusconi jolly esploderà subito disgustando gli italiani, ma perché dovrebbe succedere? Anche se Salvini e Di Maio combinassero dei disastri, la gente ci mette del tempo a disamorarsi. Solo a Gesù è capitato di farsi condannare a morte dalla gente che l'aveva osannato cinque giorni prima. Chissà poi dove aveva sbagliato Gesù. Molti sono convinti che fu quella chiassata coi mercanti del tempio, ma forse c'erano equivoci più profondi, per esempio, riavvolgiamo un attimo il nastro, quella famosa folla osannante alla domenica delle Palme, cosa stava osannando esattamente? Cosa vuol dire "osannare"?
Buffo, non è affatto chiaro. Ovvero: il termine ebraico deriverebbe da un salmo, ma il senso dovrebbe essere "salvami". Nei vangeli diventa un grido di esultanza, ma nell'antico testamento era una supplica. Insomma forse Gesù e i suoi seguaci di Gerusalemme non si capivano. Del resto l'ebraico ai loro tempi era già una lingua morta, e poi si sa che Gesù era un forestiero, chissà che strano accento aramaico si conservava in Galilea. Ecco, la tragedia di Renzi mi sembra quella di un uomo che a un certo punto si è visto portare in trionfo ma non ha capito il perché. Pensava che fosse amore, ma forse gli stavano chiedendo qualcosa e non ha compreso cosa. Se solo si potesse riavvolgere davvero (ma certo che si può, pensa lui).
Eh, ma solo il semo che muore dà buon frutto, credo che la Bibbia dica così, più o meno. |
Oggi è la domenica delle palme e se Renzi va a messa non potrà impedirsi di pensare alla sua storia: osannato nel 2014, fustigato nel 2018, e secondo lui il meglio deve ancora venire. Secondo me no: e mi dispiace, ma se c'era un equivoco è un po' tardi per capirlo. Se invece c'è da fare una colletta per trenta denari, posso anche partecipare. Niente di personale, ma come diceva il sacerdote? è meglio che paghi un uomo piuttosto che tutto un popolo.
Tre partiti in cerca di autore
06-03-2018, 01:03Beppe Grillo, Berlusconi, come diventare leghisti, elezioni 2018, Pd, TheVisionPermalink(Ieri mattina ho trovato in homepage su TheVision un pezzo dal buffo titolo L’ODIO E L’INVIDIA VINCONO SEMPRE SULL’AMORE; ovviamente ho cliccato e ho scoperto che l'avevo mandato io, un paio d'ore prima; era già un po' vecchio e adesso lo è di più).
Com’era ampiamente prevedibile, l’unica cosa che ci è dato sapere dopo queste elezioni è che in Italia non c’è una maggioranza. Non è una novità, anzi: con questa legge elettorale era l’unico risultato possibile. Nel momento in cui scrivo le proiezioni danno il Centrodestra al 37,5% (con la Lega oltre il 17%, record assoluto, tre punti sopra Forza Italia), il M5S quasi al 32% (il che lo porta a essere il primo partito), il Centrosinistra al 23% col Pd quasi al 19%, minimo storico. Dunque malgrado la comprensibile esultanza del M5S, ha vinto il Centrodestra – e all’interno del Centrodestra, la Lega di Matteo Salvini, che in una legislatura ha quadruplicato i suoi voti. Questo è uno dei dati più importanti, forse il più cruciale: Salvini ha ottenuto un successo clamoroso e l’ha ottenuto anche cannibalizzando il suo partner più importante, Silvio Berlusconi. A questo punto, in teoria, il leader di centrodestra è il leghista (c’era un accordo esplicito, tra i partiti della coalizione: il partito più votato avrebbe espresso il candidato premier). Secondo la prassi istituzionale, il presidente Mattarella dovrebbe offrire l’incarico a lui. Ma quante possibilità ha Matteo Salvini, segretario della Lega (ex Nord), di formare un governo?
Forse adesso è più facile capire quel fuori-onda di qualche giorno fa, in cui Salvini affermava di sperare in un Pd al 22%. Salvini in questi anni ha prosperato, vendendo ai telespettatori rabbia e odio. Ha promesso di ruspare i campi rom ; di respingere i barconi; ultimamente ci ha avvertito di voler vietare l’Islam. Tutte queste cose, Salvini non può realizzarle davvero: non solo perché sono in effetti misure disumane e incostituzionali, ma soprattutto perché una volta esaudite queste promesse, Salvini non saprebbe che altro promettere. Probabilmente sperava di poter rimanere il protagonista dell’opposizione (se Berlusconi fosse riuscito ad arrivare al 20% da solo e a trovare un accordo con Renzi); oppure, se il centrodestra fosse arrivato al 50%, avrebbe potuto portare la Lega in un governo, ma in una posizione subalterna, come la Lega di Bossi che chiese per dieci anni a un governo Berlusconi il federalismo fiscale e poi si accontentò di aprire qualche ministero a Mantova. Ma se sale a palazzo Chigi, Salvini deve passare dall’arte di promettere alla scienza del mantenere. E a proposito di promesse: molti suoi elettori si aspettano che ci faccia uscire dall’Euro. L’ha promesso varie volte – sempre meno convinto, va detto – ma è quello che molti suoi sostenitori si augurano. A quel punto però si ritroverebbe in conflitto con lo stesso Berlusconi: una situazione interessante (magari improvvisamente i canali Mediaset smetterebbero di pompare l’emergenza criminalità-migranti, che alla fine ha favorito l’elemento più estremista della coalizione ai danni di chi quei canali li possiede e ci mette i soldi). Potrebbe, certo, proporre un accordo di governo al Movimento Cinque Stelle. In teoria sarebbe la maggioranza più stabile, sia alla Camera che al Senato. Ma solo in teoria.
Nella pratica, il M5S si trova nella situazione speculare a Salvini: anche loro vendono un prodotto, e non è nemmeno un prodotto così diverso; ma non sempre ha senso mettersi d’accordo con la concorrenza. Basta guardare la cartina: non era forse mai successo nella storia della Repubblica che due partiti si dividessero il territorio in modo così netto. La Lega è il partito delle fabbrichette del nord umiliate dalla globalizzazione e dall’Euro; il Movimento è il partito del meridione depresso e disoccupato. La Lega vuole la flat tax, cioè sborsare di meno; il M5S vuole il reddito di cittadinanza, ovvero intascare di più. Possono mettersi d’accordo? Fino a settembre, magari: poi c’è la finanziaria, e ciao. Entrambi vogliono uscire dall’Euro, a parole: nei fatti, l’uno può fornire una comoda scusa all’altro per non realizzare mai nemmeno questa promessa. Basta che Di Maio affermi “mai con Salvini, è un razzista!” e Salvini “mai con Di Maio, è un populista!” ed entrambi possono rimanere padroni dei rispettivi feudi elettorali, senza troppo compromettersi con la realtà. A quel punto però la realtà chi la può gestire? Una coalizione dei disperati, PD + Forza Italia + Fratelli d’Italia + chiunque ci sta? Anche questa sembra una combinazione troppo instabile.
In particolare, ci sono tre partiti che insieme potrebbero costituire una solida maggioranza, e che stanno per perdere la loro identità pre-elettorale: ormai sono anonimi contenitori di parlamentari.
Il primo è Forza Italia, ormai niente più che il marchio privato di un anziano signore che ha ancora un seguito notevole nel Paese, ma residuale. Potrebbe anche essere stata la sua ultima corsa: molti suoi eletti, una volta installati in Parlamento, non potranno che cercare un migliore offerente. In questi casi si privilegia sempre la stabilità, una cosa che Salvini coi suoi contenuti esplosivi non può offrire. Bisogna guardare altrove (continua su TheVision)
Perché a sinistra del M5S c’è il terzo contenitore in cerca di identità: il Pd post-renziano. Quando Renzi lo rilevò, il Pd valeva 10 milioni di voti, che nel 2013 sembravano una batosta. Con lui al timone alle Europee dell’anno successivo volò al 40%, ma si trattò in parte di un effetto ottico: aveva preso appena un milione di voti in più. Per contro forse gli capitò di sopravvalutare la sconfitta al referendum del 4 dicembre 2016, quando comunque più di 13 milioni di italiani votarono sì alle sue proposte di riforma. Il vero crollo è avvenuto nei mesi successivi e oggi l’elettorato del Pd si ferma davvero intorno ai 7 milioni, con intere porzioni dell’Emilia e della Toscana che lo abbandonano. Non si può nemmeno puntare il dito sugli scissionisti di Liberi e Uguali, che ambivano a un risultato a due cifre e non arriveranno al 4%. È tutta la sinistra, dalla più moderata alla più radicale, a essere sconfitta, malgrado i risultati non tutti disprezzabili ottenuti negli ultimi cinque anni. Il problema è che dall’altra parte c’era chi soffiava sulle paure più basilari, chi raccontava di un assedio e di un’invasione: su internet, certo, ma soprattutto in tv (e sui giornali, e sui libri).
In un qualche modo, Renzi pensava che avrebbe ovviato il problema forse soltanto grazie alla sua brillante personalità: in un primo periodo probabilmente fraintese la benevolenza con cui veniva trattato anche dai media berlusconiani, forse lo scambiò per fair play e lo diede per scontato. Renzi non è il primo leader della sinistra a farsi fregare dalla controparte, ma a questo punto sarebbe maramaldesco infierire. Di solito a quest’ora aveva già pronunciato uno di quei concession speech che appassionavano tanto i suoi ammiratori; per come si sono messe le cose faccio persino fatica a immaginare che riesca a restare in Parlamento, dove è stato eletto per la prima volta, ma a far cosa? Ad ascoltare gli altri che parlano? Si annoierà subito. Dopo la sconfitta al referendum, invece di ritirarsi come pure aveva promesso, ha trasformato il Pd nel suo comitato elettorale: ora, senza di lui, anche il Pd non è che un involucro in cerca di identità. Un Pd renziano non potrebbe mai allearsi col M5S: ma un Pd post-renziano, cosa avrebbe da perdere? Di Maio potrebbe limitarsi a imporre l’allontanamento di Renzi – la pelle di un orso già caduto. La base del M5S si lamenterebbe? Si è già visto durante le parlamentarie quanto poco i vertici M5S si preoccupino dei rumori della base e di Rousseau. E persino se ci fosse una piccola scissione, si potrebbe tamponare coi voti dei forzisti post-berlusconiani, anche loro in libera uscita. Tutto questo stamattina può sembrare fantascienza: ma anche un governo Pd + Forza Italia sembrava impossibile all’indomani delle elezioni di cinque anni fa: finché Enrico Letta non giurò al Quirinale. Se cinque anni fa è successo davvero, da oggi può succedere tutto. Almeno viviamo in tempi interessanti.
Chiedo scusa se non uso il tono depresso che è di prammatica, tra persone di sinistra (io sono di sinistra) ogni volta che la sinistra perde (perde anche quando vince, ma oggi perde proprio). Non so neanch’io perché non riesco ad abbattermi, forse ho sofferto troppo una sconfitta precedente e ormai non sento il dolore. Oppure mi ha tirato su il morale Potere al Popolo. È che a un certo punto della maratona notturna, dopo aver intervistato un frignosissimo esponente di Casapound che riusciva soltanto a recriminare di essere stato poco in tv, Mentana ha dato la linea al quartier generale di Potere al Popolo, una lista che ha preso appena il doppio di Casapound – non che il doppio di uno zero virgola sia un granché – ma evidentemente non se lo aspettavano: festeggiavano più loro dei leghisti. È che abbiamo bevuto, ha spiegato la portavoce Viola Carofalo: “e continueremo a bere”. Ecco, beviamoci sopra.
Senza Sinistra Sulle Schede (Si Sopravvive) (Spero)
25-01-2018, 13:26DS, elezioni 2018, la sinistra perde anche per questo motivo, Pd, TheVision, TViPermalinkLo sapete che la sinistra è in crisi? Lo è più o meno da sempre, almeno nella narrazione dei quotidiani. Lo è per definizione: mentre la destra fa paura, sempre sul punto di svoltare, la sinistra è divisa, disorientata, eccetera. Serve un esempio? Questo è appunto il mestiere del commentatore. Trovare ogni tot giorni un esempio diverso.
Lo spunto dell’ultima settimana: pare che sulle schede elettorali, per la prima volta dopo tanti anni (ma quanti?) non vedremo più la parola “sinistra”. In realtà qualche fortunato avrà modo di vederla ancora, nel bollino col quale si presenteranno insieme i principali partiti trotzkisti italiani, che sono appena due. Folklore a parte, le formazioni di sinistra che hanno qualche chance di sbarcare in parlamento (Potere al Popolo, Liberi e Uguali) hanno rinunciato a mettere nel simbolo la parola che comincia per S. Quanto al PD, com’è noto, la “S” l’ha rottamata ben prima che arrivasse Renzi: già nel 2007, quando gli allora Democratici di Sinistra si fusero con i post-democristiani e centristi della Margherita. Risultato: a 22 anni dalle elezioni del ‘96 (in cui il partito più votato in Italia risultò proprio quello dei DS) gli elettori italiani non troveranno “sinistra” sulla scheda. È un fatto grave?
No.
Ma è interessante notare come viene raccontato, con quell’attenzione per il bicchiere mezzo vuoto che è necessaria a chiunque voglia parlare di sinistra (e quindi di crisi). Si dà per scontato che qualsiasi novità debba coincidere con qualcosa di negativo: se non c’è più la parola “Sinistra” ci stiamo senz’altro perdendo qualcosa. Qualcosa che c’era già, e quindi senz’altro è qualcosa di antico, e di nobile. Qualcosa che non riusciamo più a recuperare perché siamo in crisi. Nota: questo modo di pensare è in assoluto l’atteggiamento meno “di sinistra” che si possa immaginare. L’attenzione maniacale alle tradizioni antiche o presunte tali è quello che ci si aspetterebbe dalla destra: ma appunto, in Italia la destra si racconta in tutt’un altro modo. È scaltra, si annida, prolifica nell’ombra e al momento giusto prenderà il sopravvento. Se la destra rinunciasse all’improvviso al suo nome, i commentatori non penserebbero che è in crisi. Sagacemente suggerirebbero che si stia mascherando per ottenere più consensi. Il problema in realtà non si pone, perché la destra ha usato raramente la parola “Destra” sui suoi bollini elettorali. E invece, la Sinistra, l’ha usata poi così spesso?
Neanche tanto... (continua su TheVision)
Al di là del Partito del Piacere
18-01-2018, 15:25Berlusconi, elezioni 2018, Pd, TheVision, TViPermalinkC’è mai stata una campagna elettorale tanto simile a un saldo di fine stagione? Sarà che Berlusconi non ha più niente da perdere; sarà che il M5S ha più voglia di lanciare promesse assurde che di vincere (col rischio poi di doverle mantenere); sarà magari anche la stagione, la depressione post-natalizia; proprio mentre stiamo lentamente elaborando la delusione per non aver trovato sotto l’albero quello che desideravamo, ecco che arriva Di Maio con uno scrigno pieno di Reddito di Cittadinanza. Ma da dietro spunta Berlusconi e promette di togliere tasse per sei anni a chiunque ci assuma a tempo indeterminato, se le elezioni le vince lui. Quanto a Pietro Grasso, lui non vince di sicuro ed è un peccato, sennò potremmo tornare all’università gratis, magari riavere indietro i nostri vent’anni.
Intruppato in mezzo a questi favolosi personaggi da presepe, Matteo Renzi sembra l’imbonitore meno convinto. Si intuisce che anche lui vorrebbe partecipare al gioco; abolirci, che so, il canone in bolletta. Ma si trova inchiodato a un ruolo che non ha mai incarnato volentieri, ma che è il fardello di ogni leader italiano di Centrosinistra: il rappresentante del Principio di Realtà.
Proprio lui, che appena ieri era il più giovane: proprio a lui ora tocca il ruolo antipatico dell’adulto che fa due conti e scrolla la testa: mi dispiace, ma non ce lo possiamo permettere. Salvini vuole la flat tax? Un bel regalo ai ricchi, ma con che soldi? I Liberi e Uguali vogliono l’università gratis per tutti? Non sarebbe poi un’idea così fantascientifica, per esempio in Danimarca qualcosa del genere c’è, ma qui da noi manca la copertura (la Danimarca ci piace solo quando licenzia facile). Il Principio di Realtà, spiegava Freud, non è opposto al più infantile Principio del Piacere, ma ne è per così dire una versione più evoluta, modellata dalle stesse “pulsioni di autoconservazione dell’ego”: è come se per tutti noi venisse una specie di 7 gennaio della vita in cui capiamo che non possiamo alimentarci per sempre a torrone e pandoro. Dobbiamo in qualche modo accettare l’idea che esiste il diabete, esistono i lunedì, le tasse, i debiti e tutte queste cose orrende e insormontabili che compongono la dimensione chiamata realtà. Un momento del genere arriva persino per gli italiani, più o meno ogni otto/dieci anni: è l’unico momento in cui la sinistra ha qualche chance di vincere le elezioni. Peccato che dopo averle vinte non possa fare quasi nulla di sinistra...
È facile ridere dei Liberi (e Uguali)
07-12-2017, 21:59cattiva politica, elezioni 2018, la sinistra perde anche per questo motivo, Pd, TheVisionPermalinkQuando si parla di sinistra non ci si stanca mai di rivangare i dissidi, le scissioni, i partitini che fanno più notizia quando si spaccano di quando si ricompattano. In effetti LeU raccoglie i cocci di tre piccole scissioni del PD: i fuoriusciti di quest’anno che hanno creato il Movimento Democratico Progressista Articolo Uno; i civatiani di Possibile che erano usciti già nel 2015; il gruppo di Fassina, che nello stesso 2015 aveva formato Sinistra Italiana con i vendoliani di Sinistra Ecologia Libertà, partito che a sua volta nasceva da due microscissioni in seno a Rifondazione Comunista e PCdI, e dalla fusione con alcuni ambientalisti – ma a questo punto probabilmente vi siete persi, servirebbe un disegno e su internet ce ne sono di divertentissimi. Il disegno poi si potrebbe prolungare andando indietro nel passato fino al 1989 – ma anche al 1968 – ma anche al 1890, perché il frammentarismo della sinistra ha radici antiche, e al di là delle facilissime ironie è un fenomeno strutturale: se la sinistra è il luogo (mentale) della libertà e del confronto, è abbastanza logico che sia anche il luogo delle divisioni, dei dissidi, degli scazzi – chi preferisce obbedire a un capo può andarsene a destra, dove scissioni e scazzi ci sono comunque, ma fanno meno notizia.
(Ho scritto un pezzo per TheVision, si chiama proprio È TROPPO FACILE FARE IRONIA SU LIBERI E UGUALI).
È facile ridere di Liberi e Uguali, magari facendo notare la contraddizione tra l’impostazione progressista e l’età media degli esponenti più importanti: Pietro Grasso, nominato leader per acclamazione, ha 73 anni. Massimo D’Alema, condannato dal suo personaggio a impersonare l’eminenza grigia della situazione, ne ha 68. Pierluigi Bersani 66. La sinistra non la dovrebbero fare i giovani? Sì, e infatti tra i Liberi e Uguali ci sono anche Giuseppe Civati (42) e Roberto Speranza (38). Il fatto che gli anziani siano più spesso inquadrati è in parte un effetto ottico: i giornalisti discutono più facilmente di e con personaggi che sono già stati a lungo sotto i riflettori. Fino a qualche anno fa questa era la prassi in tutti i partiti dell’arco costituzionale: poi sono arrivati i grillini e i rottamatori renziani, e oggi, guardando un notiziario, è più facile imbattersi in un politico quarantenne che in un sessantenne. Berlusconi è ovviamente un’eccezione, e la sinistra è un’altra – ma quest’ultima è un’eccezione tutt’altro che italiana: Jeremy Corbyn, leader dei laburisti inglesi, ha la stessa età di D’Alema; Bernie Sanders, agguerrito candidato di sinistra alle primarie del Partito democratico USA, ne ha tre più di Pietro Grasso. Anche loro sembravano rispettabili “vecchietti”, con entrambi i piedi nella terza età, prima di svelare un carisma d’altri tempi appena la campagna elettorale è entrata nel vivo: a Grasso potrebbe succedere la stessa cosa? Vedremo. Senz’altro sinistra e giovinezza non sono più sinonimi, ammesso che lo siano mai stati. Se non lo sono in Gran Bretagna o negli USA, non c’è motivo che lo siano in Italia, dove gli elettori da (ri)conquistare hanno un’età media ancora maggiore.
È semplice fare ironia su Liberi e Uguali, non solo insistendo sull’età dei protagonisti, ma anche sui loro trascorsi; con l’importante eccezione di Grasso, che fino a cinque anni fa faceva il magistrato, quello che accomuna D’Alema, Bersani, Civati, Speranza, Fassina e compagnia sono le sconfitte. È gente che ha perso quasi sempre e quasi tutto – a volte con onore, ma a sinistra “con onore” non significa poi molto, contano i risultati. Non parliamo soltanto di sconfitte elettorali (contro Berlusconi in parlamento, contro Renzi nel PD). Parliamo anche di sconfitte strategiche: D’Alema si fece prendere in giro da Berlusconi con la bicamerale del 1997, Bersani si fece prendere in giro dai grillini con il famoso vertice in streaming del 2013; anche Civati deve aver commesso qualche errore se nel 2010 era uno dei leader della Leopolda con Renzi e oggi non è nemmeno più nel PD. E così via. È semplice immaginare Liberi e Uguali come un raduno di rancorosi, ognuno a suo modo animato da un proposito di rivalsa, se non di vendetta. E le cose potrebbero anche essere così: alla fine la politica è fatta dagli uomini, e gli uomini sono fatti anche delle loro debolezze.
Allo stesso tempo, se insistiamo troppo sulle debolezze, rischiamo di perderci molto. Oltre alle mille motivazioni personali che possono spiegare la longevità di alcuni personaggi, alla base della nascita di Liberi e Uguali c’è un ragionamento lineare: a sinistra di Renzi c’è molto spazio da riempire. Quanto? Diamo un’occhiata agli altri Paesi dell’Europa occidentale. In Germania la Linke è quasi al 10% – molti voti li sta erodendo ai Socialdemocratici, che da più di dieci anni scontano l’alleanza elettorale con i Cristiano-Democratici della Merkel. In Francia il partito di sinistra di Mélenchon in Parlamento ha ottenuto appena il 3%: in compenso il suo leader col 19% di voti al primo turno ha mancato di appena due punti percentuali il ballottaggio presidenziale. In Gran Bretagna c’è un sistema elettorale molto diverso, che ha dissuaso la sinistra laburista da qualsiasi tentazione scissionista; il risultato però è che dopo tante sconfitte, oggi la sinistra controlla il partito. In Spagna il successo improvviso di Podemos (che nel 2016 valeva il 20% dell’elettorato) è un caso a parte, forse più affine all’affermazione altrettanto improvvisa del Movimento Cinque Stelle in Italia. In Grecia, anche grazie al super-premio elettorale, Syriza è al governo ormai da tre anni – tre anni di crisi nerissima in cui il primo ministro Alexis Tsipras non si è esattamente potuto permettere una politica antiliberista, ma tant’è. Syriza, per altro, è un bell’acronimo che nasconde all’osservatore distratto una tipica storia di frazionismo di sinistra: la sigla sta per “Coalizione della Sinistra Radicale”, e il suo percorso cominciò nel 2004 con una piattaforma programmatica che mise insieme cinque piccoli partiti marxisti, altermondialisti ed ecologisti.
Insomma, per quanto possano sembrare ridicoli e incerti i primi passi di Liberi e Uguali, bisogna riconoscere che anche le più recenti storie di successo della sinistra europea sono iniziate così: frammenti di esperienze passate che tornano assieme, trovano leader che a volte sono facce nuove (Tsipras, Iglesias) e altre volte decisamente no (Corbyn), e occupano uno spazio esistente. Perché – e questo va sempre ricordato – uno spazio a sinistra esiste ancora, e se non lo occupa Grasso lo occuperà qualcun altro. Anche Di Maio, perché no? Non è un caso che di recente abbia proposto di reintrodurre l’articolo 18. Non sarà l’argomento più trendy, ma c’è una fetta di elettorato che è sensibile esattamente a queste proposte: fanno meno notizia di due o tre bande di esaltati in bomber nero che lanciano fumogeni sotto le redazioni dei giornali o disturbano le assemblee, ma sono pur sempre due, tre, magari quattro milioni di potenziali elettori in più. E non si capisce nemmeno perché dovrebbero diminuire in futuro – soprattutto se il PD di Renzi si dovesse ritrovare costretto dopo le elezioni a un governo di coalizione col centrodestra di Berlusconi: proprio la situazione in cui di solito i voti travasano dal centrosinistra di governo alla sinistra di opposizione. Quanto allo scenario alternativo – un’eventuale alleanza di governo tra il M5S di Di Maio e LeU, fin qui sembra soltanto un bluff pre-tattico: difficilmente l’elettorato grillino potrebbe mandare giù la contiguità con personaggi che Beppegrillo.it addita al pubblico ludibrio da sempre (quando Bersani avverte di essere ancora disponibile allo streaming, rasenta il comico, non si sa quanto involontario). Allo stesso tempo, è bastato annunciare la nascita di un nuovo soggetto a sinistra perché l’articolo 18 tornasse un argomento elettorale anche per i grillini: la politica si fa anche così. Non sempre si vince, anzi, mai, ma a volte riesci a portare i vincitori nel tuo campo. Sarebbe già molto (per la sinistra italiana).
Sarebbe molto meglio dirsi addio
19-02-2017, 10:23Pd, RenziPermalinkStavo pensando a quanto preferirei che i miei politici di riferimento convocassero una conferenza stampa, una sola, in cui spiegano che si sono voluti tanto bene ma si è capito che hanno idee diverse, e soprattutto elettori diversi, e che col proporzionale non c'è proprio nessuna convenienza a restare sotto lo stesso tetto. Anche se fosse un tetto nobile (ma non lo è: son tegole di dieci anni fa appoggiate un po' alla bell'e meglio). E quindi, per quanto doloroso possa sembrare e anche un po' egoista, si è capito che è meglio che ognuno vada per la sua strada. Continueremo a rispettarci, a vedere i bambini secondo i turni che stabiliremo, e ad abbracciarci ogni volta che ci incontriamo, perché ok, ci abbiamo provato, ma siamo persone adulte e sappiamo fare due conti: e i motivi per cui ci siamo piaciuti quindici anni fa sono gli stessi per cui non perderemo la stima reciproca.
Invece di questa infinita manfrina, congresso sì, congresso no, hai detto che lo volevi e adesso non lo vuoi più, lo vedi che sei tu lo stronzo? E tu che avevi promesso che lasciavi la segreteria se perdevi al referendum? Ah ma è stata colpa tua, che non mi hai appoggiato al referendum! Ma perché dovevo appoggiarti se si era capito che andavi a sbattere? Sono andato a sbattere anche per colpa tua! Ma io te lo avevo detto da mesi che sbattevi! Il tutto davanti ai bambini, in streaming, o sulle prime pagine dei giornali che per fortuna nessuno legge perché davvero, se siete convinti che lo scontro D'Alema / Renzi attiri l'attenzione del grande pubblico, non vivete in castelli molto meno fatati di quelli gestiti da Casaleggio Jr.
Quando in realtà è tutto così semplice. Matteo Renzi è una persona con le sue qualità, ma dopo una sconfitta così netta (così tenacemente perseguita) non può più rappresentare una larga fetta dell'elettorato di centrosinistra. Tanta gente che se lo faceva piacere perché vabbè, un po' arrogante, ma almeno vince le elezioni, adesso che ha smesso di vincere non lo sosterrà più. Se i tuoi sgherri tirano fango sulla Cgil un giorno sì e l'altro pure, prima o poi i tesserati voteranno qualcun altro, è un calcolo fin banale: per Berlusconi non era un problema, ma se abiti nel centrosinistra magari sì. E non puoi neanche cambiare atteggiamento all'improvviso: primo perché nessuno ci casca, la fiducia si riconquista in anni e non in mesi; secondo perché non ne sei capace. Ma il bello è che tutto questo Matteo Renzi lo sa: e se vuole ugualmente tenersi il marchio PD, è perché desidera che se ne vadano gli altri. E col proporzionale è meglio così, quindi perché litigare? Che senso ha inacidirsi tutti quanti, col rischio che poi non si riesca nemmeno a lavorare assieme nella prossima legislatura? Che senso continuare a dar benzina sui giornali ai polemisti peggiori, quelli che vivono di litigi e di ripicche come le zecche di sangue? Siamo grandi, sappiamo quanti motivi avevamo per stare assieme, e sappiamo perché adesso non ci conviene più. Abbiamo tutti la nostra parte di responsabilità per quel che è successo, ma non esiste nessuna bilancia per pesarle, nessun giudice che stabilirà chi aveva ragione chi torto. Men che meno i nostri elettori. Andranno con chi credono meglio, e comportarsi da imbecilli davanti a loro non è una buona idea.
L'Unità di Renzi (è più gramsciana di voi)
23-07-2015, 11:47giornalisti, Pd, RenziPermalinkUomo bianco incontra quadrato rosso |
Oh, è proprio il nostro. Mica come quello altrui. |
Che altro dire? Ah già, i contenuti. Beh, qui c'è un paradosso meraviglioso. Chi in questo mese ha criticato l'appiattimento sulla linea di Renzi dovrebbe ammettere che proprio in questo l'Unità renziana si dimostra molto più gramsciana dell'Unità della De Gregorio, di Padellaro, Furio Colombo, perfino quella di Veltroni. Finalmente abbiamo un organo di partito che fa l'organo di partito. Delle sei notizie in cima, una riguarda sempre il caro leader. Non è un quotidiano che comprerei, e non consiglierei a nessuno di leggere soltanto l'Unità (ma c'è qualcuno oggi che legge le notizie di un solo giornale?), però credo che sia giusto che Renzi ne abbia uno. È il segretario del primo partito italiano; trovo sano che possa esprimere le sue idee e dare le sue versioni dei fatti attraverso un quotidiano, invece che coi messaggini "Renzi ai suoi". Farà propaganda? Ha tutti i diritti di farla, ed è appunto uno dei motivi per cui quell'Antonio Gramsci fondò un quotidiano - i saggi sul materialismo storico li pubblicava altrove. La cosa che mi lascia perplesso, a questo punto, è... sempre la solita.
I soldi.
(Chiedo scusa, sono proprio un materialista).
Antonio Gramsci, quanti crimini sotto il tuo nome. |
Non è che andasse a ruba nelle edicole, no. |
Pro Evolution Politics
02-06-2015, 00:31elezioni 2015, Pd, RenziPermalinkCerto ognuno è libero di fare quel che vuole nel tempo libero, e quasi qualsiasi cosa tu faccia nel tempo libero è meglio che guardare le dirette fiume elettorali di Mentana e compagnia. Per dire che non ho niente contro l'oggetto in sé, anzi per una curiosa intermittenza del cuore la play mi ricorda quelle mie sporadiche visite in Federazione, quando in attesa di cominciare un'assemblea i ragazzi della Sinistra Giovanile organizzavano veri e propri tornei - e chi vinceva magari adesso è gente che fa il sindaco, insomma tutto torna, in teoria.
Sarebbe in ogni caso sbagliato trattare la foto da lapsus, quando a divulgarla è stata niente meno che Filippo Sensi. Può Sensi farsi scappare un messaggio sbagliato? Assolutamente no, è un genio della comunicazione e della disintermediazione. Ma metti per assurdo che un giorno facesse un errore persino lui, in fondo è umano; pensi se per errore gli capitasse di associare Matteo Renzi al passatempo da bimbominchia per eccellenza, nella nazione dal bacino elettorale più anziano del mondo. E ribadisco che non ho nulla contro la play, ma chiedi a un cinquantenne in su cosa ne pensa dei videogiochi e degli adulti che ci giocano - e chiedi alle signore. D'altro canto Sensi è un genio, quindi è più semplice pensare che lui abbia capito qualcosa e io no.
Azzardo: vi ricordate di quando Renzi era il Giovane Rottamatore? Ecco, forse Sensi ha pensato che era ora di ricordarcelo perché, sul serio, sembra passato un secolo. E questo a prescindere dai risultati, che tutti si stanno ingegnando a trovare positivi, anche se non sono piaciuti a nessuno. A un secolo di distanza, in cosa è consistita la rottamazione di Matteo Renzi? Nel farsi andar bene Emiliano in Puglia, nel sopportare De Luca in Campania, nel candidare la Paita in Liguria? Ho sentito osservatori autorevoli sostenere che la Moretti era la più renziana dei candidati (è quella che è andata peggio). Ora se per favore mi seguite un attimo nell'universo parallelo in cui Bersani ha vinto le elezioni del '13, ditemi, chi avrebbe gareggiato in questa tornata elettorale per il Pd in Veneto? Alessandra Moretti, esatto. E in Campania? in Liguria? in Umbria? in Puglia? Non c'è nessun candidato alle regionali che non avrebbe potuto correre con Bersani, e nei fatti le percentuali sono più o meno le stesse che prendeva il Pd di Bersani. Ma la musica è cambiata, direte voi. Sì, la musica è cambiata di parecchio. Però gli orchestrali sono gli stessi di prima, il grande Rottamatore sta svelando insospettate doti di riciclatore, e in certi casi ci si domanda se non ci stia mettendo una certa tigna: trasformare la Moretti in renziana di ferro è una specie di scommessa, come trasformare Migliore in un blairiano, come fare sorgere figli di Abramo da queste pietre.
Ora se c'è un'analisi che mi sarei aspettato, tra domenica e lunedì, è quella dei renziani delusi. Perché d'accordo, una classe dirigente non s'improvvisa, in ispecie al sud; del resto i candidati meno vicini a Renzi sono quelli che hanno portato più voti. Però davvero i numeri, tra le tante cose che possono dire, dicono anche che il Pd sta tornando ai valori del '13, e questo forse perché tutta questa ventata di nuovo non è arrivata, s'è fermata molto presto tra Firenze e Roma - già a Bologna si faceva molta fatica a sentire un refe, per tacere di Napoli o Verona. Questo mi sarei aspettato dai renziani, e invece niente. C'è chi festeggia il 5-2, anzi il 17-3, c'è chi pubblica la cartina d'Italia tutta rossa, chi se la prende coi sostenitori di Pastorino ecc. ecc.. Nessuno che si lamenti di quanto poco Renzi sia stato renziano in quest'occasione. D'altro canto come fai a prendertela con lui - sarà colpa dei sottoposti, lui è così giovane, un presidente che gioca alla play ce l'abbiamo solo noi. E oggi è già in grigioverde! Quanto dinamismo.
Veltroni profeta del Renzismo
17-05-2015, 22:03Pd, Renzi, VeltroniPermalinkL'istrionismo del personaggio pubblico WV, il suo eterno baloccarsi tra cinema tv musica e letteratura, rischia di occultare l'importanza del suo ruolo politico, in una fase circoscritta ('07-'08) ma cruciale della storia d'Italia. In quei mesi, e solo in quelli, Veltroni non è il pacioso personaggio al quale in fondo siamo tutti affezionati. Ha una vocazione, una missione, un messaggio: e chi non è con lui è contro di lui. Il renzismo è ancora invisibile all'orizzonte, ma Veltroni lo percepisce e grida nel deserto: dirigite viam Domini. Non è un semplice leader: non propone un programma di governo, ma un nuovo regno di rettitudine che deve esistere, per prima cosa, dentro di noi. L'antiberlusconismo non è negato, come potrebbe sembrare superficialmente, ma trasferito completamente nella sfera della nostra coscienza: è qui che dobbiamo negarlo, rifiutarlo come fonte di ogni male. Se rinunceremo al Berlusconi che è in noi, non vi sarà più Berlusconi sulla terra, e finalmente il bene trionferà. La banale presenza in terra di un Berlusconi in carne e ossa e milioni coi quali può corrompere i senatori è minimizzata: quello non è così importante, è solo un epifenomeno che svanirà non appena ci saremo purificati.
Non è stato il Berlusconi reale a batterci - come avrebbe potuto? È solo mera apparenza, la forma che prende la punizione che ci autoinfliggiamo in quanto peccatori. Non siamo stati sconfitti perché perdevamo le elezioni contro un tycoon che giocava sporco. Siamo stati sconfitti perché siamo un popolo di dura cervice: cattivi, rissosi, indisciplinati, settari (e guardate che non sto negando che siamo stati indisciplinati o settari: ma a partire da Veltroni questa diventa la giustificazione di tutto quello che ci è successo, a prescindere se Berlusconi violi la par condicio o no, vari leggi elettorali anticostituzionali o no, corrompa guardie di finanza o no, eccetera).
Il battesimo che ci propone Veltroni è molto semplice: un nuovo partito (Pd), un nuovo strumento di investitura popolare (le primarie). La via che ci indica è anch'essa abbastanza lineare: come possiamo sopprimere il male che è in noi? Abolendo i partitini. Sono loro che ci hanno condannato all'esilio nel deserto: lasciamoci alle spalle (in ciò Veltroni mostra anche una perversa astuzia: contro Berlusconi forse non può vincere, ma contro i partitini sì).
Ma anche questa è una narrazione insoddisfacente, perché a conti fatti Veltroni non chiuse affatto le porte ai partitini, e anzi le spalancò ai due meno affidabili: Radicali e Italia dei Valori. I secondi li accolse in coalizione, i primi addirittura nelle liste del Pd, offrendo nove collegi sicuri a un gruppetto che non avrebbe avuto i numeri per eleggerne nessuno. Era abbastanza ovvio che appena arrivati in parlamento i radicali avrebbero fatto di testa loro, salvando in un paio di occasioni una maggioranza traballante. Ma con l'IdV andò persino peggio: il partito che nel 2006 aveva espresso De Gregorio, due anni dopo portò in parlamento Scilipoti. Il primo fece cadere Prodi nel 2008, il secondo salvò Berlusconi nei giorni più bui del 2010, quando persino Fini scappò dalla corte dell'amico della nipote di Mubarak. La storia insomma dimostra che i partitini erano davvero inaffidabili, e che Veltroni non avrebbe avuto così torto a sbarazzarsene - ma non lo fece.
"Datti una risposta da solo"
09-05-2015, 21:571500 caratteri, come diventare leghisti, Emilia paranoica, feste dell'unità, PdPermalinkPresidente, so che lei è un po’ meglio di come appare in un video di due minuti dove non sa più rispondere a una cronista che non sa cosa domandare. Quanto le debba suonare paradossale l’accusa di militare in un partito dittatoriale - quando per candidarsi in regione ha dovuto battagliare anche coi renziani compagni di corrente. Però doveva proprio darle un buffetto sulla guancia? E poi. Chiuda gli occhi e si riascolti. So quanto può essere fastidioso riascoltare la propria cadenza modenese, ma ci provi. Si domandi cosa le ricorda. E si dia una risposta.
Presidente, non sarà dittatoriale il suo partito, ma non lo riconosco. M’avessero impacchettato vent’anni fa, e risvegliato oggi, ascoltandola io dedurrei che i leghisti si sono presi pure l’Emilia. Mi sbaglierei? Me lo sono chiesto. E un po’ mi sono già risposto.
Le pippe passano, Orfini osserva
05-05-2015, 21:571500 caratteri, Monti, Pd, RenziPermalinkMa l’Orfini che sostenne indomo Bersani quando guidava il PD; lo stesso Orfini che a due mesi dalla sconfitta elettorale stava già alacremente proponendo Renzi a capo del governo; l’Orfini tutto d’un pezzo che oggi presiede il PD... è la nostra più grande speranza. Perché è vero, il sole di Renzi è allo zenit, ma domani? Se qualcosa andasse storto, se finisse al ballottaggio e lo perdesse, o più prosaicamente la corte costituzionale facesse strame di una legge a occhio non proprio democratica; se il Pd si ritrovasse senza un leader, e Renzi e la Boschi ridotti a osservare il mondo da una panchina, esposti al ludibrio dei passanti - sic transit gloria mundi! - quel giorno solo il prode Orfini saprebbe trovare le parole.
A un convegno qualsiasi, chiacchierando amabilmente, soggiungerebbe: eh, ma si sapeva che erano pippe anche quei due. Next!
Il partito passivo (e aggressivo)
23-03-2015, 19:37PdPermalinkSe c'è una costante nella traiettoria politica di Bersani, da quando ha lasciato la sua tranquilla carriera nell'amministrazione locale, è il trovarsi sempre nel posto più scomodo e nel momento più difficile. Cosa altro dovrebbe fare, se non portare pazienza e mandar giù anche stavolta? Troppo concreto per immaginar scissioni, troppo franco per fingere che il renzismo gli piaccia, Bersani ormai si lancia in acrobazie mirabili ma un po' tristi. Una volta l'ho sentito dire che la riforma costituzionale (da lui votata) andrebbe bene, ma combinata con la riforma elettorale (votata pur'essa) allora no, allora si rischia il totalitarismo o qualcosa del genere. Insomma il renzismo si può accettare un pezzo alla volta, ma tutto insieme fa male. Oppure ci si può lamentare dei modi: Renzi ha i numeri per costringerci a fare di tutto, ma potrebbe farlo più piano.
Tutto questo è imbarazzante? Un po' sì. È evitabile? Non saprei. Ormai mi sono abituato all'idea di un Pd a doppio colore, come le pedine dell'Othello: a seconda della contingenza, del leader e degli avversari, può decidere di essere socialdemocratico o neoliberale, antiberlusconiano o postberlusconiano, salvare la costituzione o farla a coriandoli. Non sono nemmeno sicuro che sia un problema, anzi probabilmente è una delle forze del PD, come della sua grande madre bianca.
Non è una questione di persone diverse, perché il D'Alema che ieri lamentava l'arroganza ai suoi tempi fu il più arrogante di tutti, e ai tempi del correntone i veltroniani gli sfilavano a sinistra. A essere pedine bicolori sono le stesse persone che parlano, discutono, si dividono, si riuniscono. Su Leftwing il presidente Orfini ha fatto sapere che la minoranza ha ragione su un sacco di cose che Orfini ha già detto e scritto, su libri che per adesso restano in alto sulle mensole ma che si potrebbero ripubblicare in qualsiasi momento in cui il renzismo non valesse più il 40% e molte pedine bianche si riscoprissero nere. A questo punto, come chi ha giocato a Othello sa, conviene stare ai bordi e aspettare. La partita si decide in poche mosse e non ha importanza chi ha avuto la maggioranza tutto il tempo: controllare gli angoli, piuttosto.
La gente è stanca anche di essere stanca
25-11-2014, 01:34astensionisti maledetti, Emilia paranoica, PdPermalinkDa una parte, un Renzi ormai prigioniero del suo garrulo personaggio, pronto a esultare per aver "strappato alla dx" una regione come l'Emilia-Romagna, mai governata dalla destra in tutta la sua storia, al punto che ti immagini da un momento all'altro parta la musichetta dello spot: Ti piace vincere facile? Dall'altra, i grandi teorici dell'astensionismo, questo fiume in piena che presto sconvolgerà il sistema. Non stavolta, la prossima volta. È sempre la prossima.
Hanno ovviamente tutti torto, e la ragione non sta nemmeno in mezzo. Renzi non è l'asso pigliatutto che sperava di essere: non l'uomo di una provvidenza che non è che si stia dando tutto questo daffare per noi. Non siamo in uno di quei momenti storici in cui il popolo intravede in un individuo il concretarsi del destino collettivo. Piuttosto in uno di quei secoli bui in cui il potere è un po' di chi se lo piglia, di chi passava nel palazzo in quel momento in cui i pretoriani fanno fuori il Cesare pazzo e nessun altro accetta di farsi acclamare. Se vince è perché intorno non c'è nessuno veramente intenzionato a contendergli il potere: quelle forze che per esempio nel '94 stopparono bruscamente l'avanzata dei Progressisti di Occhetto mobilitando quotidiani, televisioni e confindustria, trent'anni più tardi non sanno veramente che fare, dove piazzare quei due spicci che gli sono rimasti. Di Renzi non è che si fidino un granché, ma all'orizzonte non vedono nient'altro - e del resto, se avessero gli occhi buoni, le squadre di calcio che ancora si comprano non traboccherebbero di brocchi. Se l'unico progetto alternativo diventa quello folkloristico che l'onorevole Borghezio coltiva da una vita - l'alleanza tra leghisti al nord e postfascisti al centrosud col pretesto del no euro - è abbastanza chiaro che la partita è chiusa, bom xibom xi bombombom. E tuttavia seicentomila voti in Emilia-Romagna sono assolutamente scalabili, come erano scalabili gli undici milioni delle europee di maggio. Il fatto che oggi non ci sia un solo centro di potere interessato a coalizzare un po' di consenso contro Renzi e risvegliare milioni di elettori di centrodestra in sonno, non significa che andrà sempre così.
Quanto all'astensionismo: se davvero credete che abbia un significato e che significhi protesta, Renzi ve lo meritate per altri mille anni. In Emilia-Romagna un Pd colluso e appesantito da scandali, in seguito alle dimissioni di un presidente condannato in appello, ha proposto ai suoi elettori un candidato non eccezionalmente brillante, che malgrado lavori in quel partito da una vita è apparso anche stavolta scarsamente a suo agio, come catapultato all'ultimo momento e contro la sua volontà. Se avessero voluto davvero bocciarlo, gli emiliani avrebbero potuto fare molte cose. Andare alle urne e votare il candidato della Lega, o quello del M5S o della sinistra di area Tsipras, o di una lista civica, o persino dell'NCD. Se la maggioranza degli emiliani non ha fatto nessuna di queste cose; se la maggioranza degli emiliani ha preferito stare a casa, forse alla fine non sono così delusi e arrabbiati come voi credete che siano.
Voi magari siete delusi e arrabbiati; la gente che conoscete sui social network vi potrà sembrare delusa e arrabbiata; i talk show che preferite guardare in tv vi rimbalzeranno immagini di gente delusa e arrabbiata; forse vi basterebbe dare un'occhiata ai dati di ascolto per scoprire che nel frattempo c'è un sacco di gente che si guarda la fiction, o il reality, e i video di gatti su facebook (che per inciso sono sempre più belli, e molto più intelligenti di qualsiasi editoriale del Fatto Quotidiano). Un'enorme massa critica di gente che magari se glielo chiedi ("Sei arrabbiato?") ti risponderà di sì, per non ferirti. Ma arrabbiato al punto di alzare il sedere, cercare il tesserino e andare a votare un qualsiasi avversario del Pd, evidentemente, no.
Il Pd peraltro sarà anche quel partito di inquisiti che dite; ma se invece di approfondire la pluridecennale collusione con le cooperative dei costruttori e della grande distribuzione continuate a insistere con scemenze come il rimborso di un vibratore; se davvero credete che l'elettore medio emiliano-romagnolo si scandalizzi per un vibratore - beh, siete molto meno "gente" di quel che credete di essere. Non è che abbiate torto, quando ripetete che la gente non ne può più, che la gente è stanca. È che dovete accettare di essere parte dello stesso quadro, e che la gente a questo punto è stanca anche di voi. Cambia canale e non vi vota. Bon Xibom Xibombom.
E se Renzi non c'entrasse niente (con l'Emilia-Romagna)?
24-11-2014, 04:00Emilia paranoica, Pd, provincia, RenziPermalinkCapisco benissimo che alla maggior parte degli italiani non freghi poi molto di quel che succede in Emilia-Romagna o Calabria, a meno che non coinvolga Renzi; e se c'è stata una frana di affluenza al voto, sarebbe tanto bello riuscire in qualche modo dimostrare che l'ha causata Renzi; che corrisponde a quella frana del consenso nei confronti di Renzi che tutti si aspettavano. La stagione del resto va avanti da un po'; sappiamo tutti che a questo punto dell'arco narrativo Renzi dovrebbe essere in grossa difficoltà; abbiamo tutti seguito con molto interesse la schermaglia con Landini, il Corriere boicotta apertamente e persino la Stampa comincia a lanciar frecciate, insomma è tutto pronto per una pausa natalizia col cliffhanger, il finale a sorpresa. Sarebbe oltremodo antipatico venir qui a dire che no, Renzi non c'entra quasi niente, o che anche se c'entra non è la cosa più interessante.
Facciamolo.
She's often inclined to borrow somebody's dreams 'till tomorrow.
Come tutti sappiamo, ci sono due Pd in costante lotta tra loro, più o meno da quando è nato il Pd. In questo momento stanno vincendo i veltroniani, che hanno trovato in Renzi il loro primo vero campione. L'uomo dei renziani in Emilia-Romagna è Stefano Bonaccini. Prima di loro però il Pd emiliano era saldamente in mano agli ex diessini della ditta bersaniana, capitanata da Stefano Bonaccini. Dunque, se anche volessimo ammettere che la disaffezione al voto sia causata dalla crisi del Pd, di quale Pd staremmo parlando? Bonaccini li rappresenta tutti e due (Bonaccini peraltro ha sempre dato la sensazione di poter perdere anche correndo da solo). Si potrebbe anche accusare Renzi di aver predicato la rottamazione e razzolato avanzi di apparato, proprio nella regione dove la collusione con cooperative e altri potentati è più forte. Se proprio dobbiamo accusare Renzi di qualcosa. Io rimango del parere che chi si stufa di Renzi può benissimo andare al seggio e votare qualcun altro, come stavolta ho fatto io. La maggior parte degli emiliani non ha fatto questo. La maggior parte degli emiliani non è andata a votare. E siccome è sempre stata una delle regioni con le percentuali di affluenza più alte, siccome tra i votanti comunque il Pd tiene, viene da domandarsi: ma gli emiliani lo sapevano, che domenica si votava?
Queste elezioni anticipate, causate dalle dimissioni di Vasco Errani (condannato in appello per falso ideologico), sono le prime regionali emiliane sganciate da qualsiasi altra consultazione. Tutte le altre volte che ci è capitato di votare per il consiglio regionale e il presidente, stavamo anche votando per le province o i comuni. È abbastanza normale che le elezioni comunali siano più sentite: sono quelle più combattute a livello locale. Tutti conosciamo di vista almeno un candidato; in piazza c'è sempre qualcuno con un volantino da lasciarci, ecc. Le elezioni nazionali, e ancor di più le europee, sono meno dibattute in piazza, ma possono contare sull'irradiamento di tv e altri media. Cinque mesi fa, alle europee, gli emiliani furono tra gli italiani che votarono di più, mancando la soglia del 70% di un misero 0,02. Solo gli umbri fecero di meglio (un mezzo punto in più). Agli emiliani piace votare, se sanno che si vota. Stavolta forse semplicemente non lo sapevano. Nessuno aveva molto interesse a farli affluire alle urne, a parte Salvini - ma anche Salvini sta ancora scaldando i motori.
Put on a gown that touches the ground
Float on a river for ever and ever
Emily, Emily...
La tv non ne parlava. I giornali poco, del resto chi li compra più. Notiamo en passant che il Pd aveva due quotidiani di riferimento, L'Unità ed Europa, e li ha lasciati chiudere senza troppi pensieri - tanto c'è twitter. Ma twitter mi tiene in contatto con Roma o New York, mica col mio vicino di casa. Ok, per quello c'è il citofono, e il volantino, e il quotidiano locale o il giornalino super-locale. Ma la regione su questi mezzi urbani non viaggia. È troppo grossa per il volantinaggio, e troppo piccola per interessare la tv. Alla fine ci si riduce a chiamare Renzi perché con Renzi arriveranno le telecamere nazionali, ed è con quelle che speri di raggiungere il tuo elettorato: passando da un satellite e dalla Rai di Roma. Questo magari è un problema più in certe regioni, che hanno un'identità più labile di altre - l'Emilia-Romagna è un insieme di province che storicamente hanno sempre preferito stare per i fatti loro. Magari altrove non è così, ma per un parmense o un ravennate l'idea che molte cose si decidano a Bologna continua ad apparire surreale - e un po' lo è. Aggiungi che c'è la crisi, e che per certe campagne perse in partenza alcuni proprio non hanno più intenzione di aprire la borsa - se ci lamentiamo della disaffezione dei piddini, cosa dire di quella dei forzisti, o degli stessi grillini? La Lega invece va forte, ok, ma sta semplicemente raccattando tutto il disagio sociale a destra di Renzi, M5s compreso. Potrebbe anche andare più forte di così, e invece il Pd tiene.
Una delle prime (e poche) cose che Renzi ha fatto una volta al governo è stata abolire le elezioni provinciali - in realtà no: le ha trasformate in elezioni indirette, di secondo grado: sono i rappresentanti eletti dei comuni a eleggere consiglieri e presidenti provinciali. Così si risparmia qualche soldo e si ha un'occasione in meno per lamentarsi della disaffezione degli elettori. I francesi qualche anno fa hanno fatto l'opposto: sbaraccato le elezioni regionali, trasformandole in consultazioni di secondo grado. Io avrei seguito l'esempio francese: le province mi sembrano insiemi più definiti delle regioni. Ho sempre trovato più sensato votare per un mio rappresentante in provincia, piuttosto che mandare a Bologna qualcuno che sicuramente non conosco. Ma a un certo punto le province sono diventate un simbolo della cattiva gestione della cosa pubblica, e così addio province. In realtà i veri scandali sono sempre scoppiati nelle regioni, e in fondo non è difficile capire il perché. La regione è il punto cieco della politica italiana: noi di solito ci interessiamo degli intrighi di palazzo a Roma, o delle beghe di condominio e di municipio. La regione sta nel mezzo, ci passano parecchi soldi ma non interessa quasi a nessuno. Che si può fare?
In futuro probabilmente capiterà a qualche presidente di regione di dimettersi in anticipo con qualche scusa, per agganciare al volo qualche altra consultazione nazionale e non essere penalizzato dall'astensione. Sempre ammesso che l'astensione li penalizzi: se guardo in questo momento i parziali, non mi sembra che Bonaccini abbia poi così da lamentarsi. Un dato superiore al 45% mesi fa se lo sarebbe sognato, e pazienza se neanche un terzo degli aventi diritto ha votato davvero per lui. Non votare è un altro modo di dire di sì a chiunque vinca le elezioni: chi non voleva davvero Bonaccini, doveva fare il piccolo sforzo di entrare nel seggio e scegliere qualcun altro. Non è andata così, neanche stavolta. Forse per merito di Renzi, forse nonostante lui; ma Renzi o non Renzi, il Pd queste elezioni le ha vinte.
There is no other day
Let's try it another way
You'll lose your mind and play
Free games today
See Emily play
L'Emilia è una regione della mente
21-11-2014, 09:38Emilia paranoica, PdPermalinkL'Emilia-Romagna non dovrebbe essere così difficile da capire. Tutte le regioni (eccetto le isole) sono astrazioni, e l'E-R più di altre; un assortimento di territori che hanno in comune la bizzarria di una conformazione ortogonale, così peculiare in Italia. Quasi al centro di una penisola di golfi e seni e montagne e colline e valli intorte e ricurve, l'Emilia è tutt'un'altra Italia possibile: larga e orizzontale in una penisola stretta e verticale. Ancora prima che i Romani la incasellassero con la centuriazione, fiumi e crinali sembravano assecondare un'idea del territorio euclidea, razionale, che è una contraddizione nei termini, ma anche un progetto interessante. L'E-R peraltro non ha nulla di così bizzarro; diciamo che è tutto il resto dell'Italia a non somigliarle e così le capita suo malgrado di essere la regione alla rovescio - quella dove l'Alto sta a sud e la Bassa a nord, e i comunisti governano da 70 anni, come succede soltanto nelle fiabe di Berlusconi e a Modena e Reggio.
L'egemonia di un partito che sin da Togliatti aveva di comunista poco più del nome ci ha resi appena un po' diversi - diversi in un modo molto più sottile di quello che si immagina oltre il Po e sotto l'Appennino. Non siamo tutti stati "comunisti", neanche nell'accezione molto vaga in cui lo si era da noi. Nemmeno tutti figli di comunisti; a più della metà degli emiliani viventi non è capitato. Ma anche chi non ha mai lavorato per la ditta e si è sempre tenuto lontano dalle feste dell'unità, non poteva mandar giù i tormentoni dell'anticomunismo che altrove hanno invece funzionato così bene. Il PCI non ci ha mai dato da mangiare dei bambini; eppure siamo ingrassati anche noi, e più di altri (e anche noi da un certo punto in poi abbiamo cominciato a dare il benessere per scontato). Le chiese non sono diventate fienili; questi ultimi piuttosto sono diventati abitazioni, polisportive, biblioteche, centri culturali. Essere anticomunista in Emilia era possibilissimo, ma significava misurarsi contro il sindaco della propria cittadina, non contro Stalin: era molto spesso una sfida più difficile perché il PCI credeva più nella buona amministrazione che allo stalinismo, e finché funzionò riuscì a selezionare una classe dirigente di buona qualità - anche e soprattutto nei centri piccoli e medi.
Mezzo secolo di esercizio del potere avrebbe stroncato Pericle, figuriamoci il PCI. Ma anche questo è un carattere peculiare dell'esperienza emiliana. Non è una regione difficile da capire, ma non puoi leggerla, per esempio, con l'autobiografia della nazione che oggi va per la maggiore forte oggi, quella di Piccolo e dei suoi "Tutti". Il comunista da salotto che si affeziona al partito come alla squadra sfigata che vince poco ma quando nessuno se l'aspetta, ecco, questo magari era il PCI ovunque: ma in Emilia no. Da noi il PCI era già Bundesrepublik, un grosso e grasso ingranaggio che macinava giovani virgulti dal ginnasio non per risputarli intellettuali disincantati, ma burocrati noiosi e inossidabili, poco necessari a Roma ma imbattibili nel loro elemento. Il cursus honorum culminava nel Municipio di nascita o di adozione: due mandati da sindaco senza sgarrare, e poi un posto tranquillo in una municipalizzata o al limite nel consiglio provinciale. I nostri comunisti non avevano diversità da marcare o coltivare: li vedevi a cena con gli imprenditori e col vescovo. Non cercavano sconfitte dietro le quali nascondersi: in effetti non perdevano mai, non era previsto.
Poi cos'è successo.
Potrebbe anche non essere stato il muro di Berlino; nell'89, perlomeno, il sistema non registrò particolari squassoni: se fu l'inizio della fine fu un inizio molto lento. Ancora: se non è difficile capire l'imbarazzo di molti comunisti italiani nell'89 (soprattutto dopo il massacro di piazza Tienanmen), e apprezzare il coraggio di Occhetto, bisogna mettersi nei panni di quei particolari italiani che a Bologna, ad esempio, sostenevano il sindaco Imbeni: il muro poteva anche non essere più un muro, e l'URSS squagliarsi in una Comunità di Stati Indipendenti: ma Imbeni restava Imbeni, che c'entrava il muro di Berlino con Imbeni, siamo seri. Siamo pratici. Un mio muretto personale crollò al tempo del suo successore, Walter Vitali. Non saprei dire se sia stato un buono o cattivo sindaco: ma con lui era improvvisamente svanito un timore riverenziale che più che con la politica aveva a che fare con le dinamiche famigliari. Vitali era più giovane di mio padre, forse è tutto qui.
Quel che si è registrato, un po' dopo l'89, non è il crollo di questa o quella ideologia, ma un mancato passaggio di competenze tra due generazioni di amministratori. O forse siamo cresciuti noi e guardandoci attorno abbiamo visto per la prima volta una quantità imbarazzante di mezze pippe arrivate al Municipio o alla Provincia o alla Regione non si sa bene per quale congiunzione d'astri o scambio di favori. La persistenza in regione di Vasco Errani per più di due mandati - contro il buon senso e a un certo punto anche contro la legge - testimonia la difficoltà di una classe dirigente che fino a un certo punto ha saputo trovare e formare i migliori sulla piazza (Errani incluso), e dopo di lui, niente. Il diluvio.
Forse perché era troppo avvinghiata ai poteri che aveva coltivato per mezzo secolo; forse perché l'Italia stava cambiando più velocemente e i vecchi ingranaggi del partito non funzionavano più. Giravano ancora, producevano ancora quadri e amministratori; ma davano spesso l'impressione di girare a vuoto, scaricando sul territorio più detriti che leader.
La soluzione più logica era l'alternanza, ma chi ci ha provato non può in coscienza dirsi soddisfatto. Parma è stata la prima a provare il centrodestra: neanche dieci anni e si è ritrovata la giunta sotto inchiesta e il commissario prefettizio. Il caso di Bologna forse è più deprimente perché dimostra come neanche una sconfitta elettorale riesca a rigenerare un partito. Gli attuali notabili emiliani sono personaggi particolarmente opachi che nemmeno Renzi riesce a far luccicare. Il loro renzismo, peraltro, è sincero; com'era sincero il loro bersanismo, e il veltronismo, e il dalemismo e il togliattismo. È gente pratica, indossa i leader come le cravatte.
Domenica si vota e sono terrorizzati. Hanno paura che la gente non lo sappia. Non che non voti per loro; che non lo sappia. Certo loro non sarebbero stati in grado di far notizia, neanche se ci si fossero provati: hanno dovuto invitare Renzi ai comizi, come se non avesse niente di meglio da fare. La loro mancanza di carisma non sarebbe un dramma, se soltanto fossero buoni amministratori. Ma li conosciamo anche da quel punto di vista: sappiamo quel che hanno fatto fin qui e soprattutto quello che non sanno fare. Nel frattempo il territorio sprofonda, per una serie di abusi e negligenze che loro stessi hanno commesso o visto commettere dai predecessori. Non sono davvero un granché, ma i loro avversari sono talmente pittoreschi che nessuno si può augurare di ritrovarseli nel palazzo della Regione per cinque anni. Il M5S emiliano è quello che ha perso l'occasione più ghiotta di mandare affanculo il suo leader e diventare qualcosa di serio; la Lega, in quanto pallida e velleitaria imitazione di quella al di là del Po, mi pare la peggior Lega possibile.
Queste strane di novembre sono forse un anticipo di come saranno d'ora in poi tutte le elezioni: scarsa affluenza, scarsa attenzione, una scelta secca tra un centrosinistra discutibile e avversari semplicemente impresentabili. La scelta sarà quasi obbligata, ma se stavolta mi riservo di pensarci su non è a causa di Renzi. Renzi, nella crisi emilianoromagnola, c'entra poco o niente. Non è né merito né colpa di Renzi se il centrosinistra si è inceppato in una posizione di potere, dove non riesce quasi più a produrre buona politica, ma nemmeno a consentire ai concorrenti di evolversi e proporre alternative serie. È un problema di inerzia, di povertà di visione, forse di scarso coraggio. Non se ne esce di certo con un voto di protesta; ma in un qualche modo se ne dovrà uscire prima o poi.
L'Emilia mi è sempre sembrata più una regione della mente che della Repubblica: un luogo tranquillo, plasmato da un tetragono buon senso, dove nulla di terribile potrebbe mai accadere; e in generale tutti gli eventi straordinari dovrebbero avere la cortesia di avvisare per tempo. Alla prova dei fatti non è mai andata così. Ormai tutto è possibile ovunque; e come andranno stavolta le elezioni non lo sa davvero nessuno. Potrebbe essere l'occasione per tagliare un cordone ombelicale. Il problema è che forbici pulite in giro non se ne vedono, nessuno ha imparato a sterilizzarle.
Lady-chi?
19-11-2014, 02:00essere donna oggi, PdPermalinkChiedimi la canzone preferita, dai, provaci. |
Ciò premesso, andiamo a verificare la ladylikeness dell'eurodeputata Alessandra Moretti. La videointervista del Corriere è un collage di pochi minuti, che danno l'impressione di essere estratti da un materiale molto più cospicuo. Sembra anche un blob, un'antologia di passi falsi. Intendiamoci: è stata lei che ripetendo tre o quattro volte il mantra brave-intelligenti-belle ha consegnato un tormentone ai giornalisti; ma è difficile che fosse questa la sua intenzione. Voleva soltanto ribadire il concetto, e il montaggio ha fatto sì che lo ribadisse fino al ridicolo. Possiamo chiamarlo un errore di ingenuità: lo definiremmo un errore ladylike?
Una signora non dovrebbe saper giocare d'astuzia coi suoi intervistatori? Alessandra Moretti spreca preziosi minuti a commentare una vecchia gaffe inutile di cui nessuno a parte lei si ricordava ("Massimo Travaglio"), ne commette un'altra ugualmente inutile ("Mimo Reitano no Rino Gaetano") e invece di smorzarla immediatamente con sprezzatura ladylike, ci ridacchia su. Ci rideremmo tutti su se ci capitasse, per l'imbarazzo; ed è uno dei motivi per cui non ci sentiamo molto Lady (nemmeno molto Lord). Una Lady probabilmente avrebbe prevenuto la gaffe rifiutandosi di rispondere alla domanda sciocchina: la mia canzone preferita? ma chi mi sta intervistando? Il Corriere o Cioè? Non abbiamo cose più interessanti da dirci?
Alessandra Moretti riceve i giornalisti con un po' di libri sullo sfondo. Annuncia allegra che "il Veneto è scalabile", e che si candiderà perché Matteo glielo ha chiesto telefonandole all'una del mattino "Io... cioè.... Ale abbiamo bisogno di te". (Matteo sì che sa come si parla alle ladies). Segue un must per tutte le lady moderne ed emancipate: la metafora calcistica, ma mi raccomando: bella grezza e spaccona.
"Quando tu devi vincere una sfida calcistica importante, nella nazionale chi è che mandi? Mandi i migliori".
Un attimo dopo magari si è già accorta di averla detta un po' grossina (in sostanza le elezioni del nordest le vince lei contro Zaia perché è la migliore): e il montaggio, perfido, evidenzia un ripensamento che sembra immediato. Una frazione di secondo dopo aver detto "Mandi i migliori", la Moretti sta già dicendo che
"Io non mi sento la migliore... non mi sento la fatina dalla bacchetta magica che risolve i problemi, attenzione... però credo di essere un'opportunità in questo momento".
Senz'altro c'è malizia nei suoi intervistatori; ma c'è un momento - quando la Moretti enuncia il suo proponimento di andare dall'estetista una volta alla settimana, e senza che nessuno glielo chieda (se lo chiede da sola) precisa che va a farsi "le meches", "la tinta", ecc. - in cui persino loro esitano, come il pesce di fronte a una preda troppo facile: qualcosa non va. "La massacreranno sui social". "Ma chissenefrega", risponde ladylikemente. "Devo venire coi peli? I capelli bianchi?" Tutta invidia. "Più fanno così più continueremo a essere più belle, più elegante, più curate, più brave, più pronte, più tenaci, più coraggiose. Ma che c'hai? Che t'ho fatto? Perché ci ho gli occhi blu?"
Così un'intervista, che nelle intenzioni di chi la concedeva probabilmente doveva essere un atto di solidarietà nei confronti della Madia e dell'indecente trattamento riservatole da Signorini, finisce per echeggiare qualche vecchio e indimenticato tormentone del tardoberlusconismo. Non manca neanche la schiacciata sulla Bindi, prontamente servita, che un'altra Lady avrebbe magari preferito lasciar sfilare a fondocampo: ma poteva la Moretti lasciarsi sfuggire un'occasione per marcare la discontinuità con Rosy Bindi, compagna di partito e, neanche troppo tempo fa, di corrente; per parlare di Rosy Bindi, classe 1951, al passato?
Sarà senz'altro invidia la mia, e nostalgia per altri tipi di femminilità che non saprei. Io credo di avere una certa passione per la bellezza, e un grande rispetto per l'eleganza, senza aver mai posseduto un granché né dell'una né dell'altra: sono contento se Alessandra Moretti è bella e si ritiene tale, e lo considera un'opportunità per sé e per il Veneto. Ma questa cosa di credersi lady, e di riempirsene la bocca, davanti a due emissari del Corriere di cui fraintende evidentemente la disponibilità, ecco questo mi spinge contro ogni convenienza ad aprire la bocca come il bambino alla parata dell'imperatore: no onorevole Moretti, non sei una lady, perlomeno non lo sembri: più una sciampista che parla di calcio e di meches invece che di cose importanti, si fa incorniciare il quadretto dell'oca che prende Reitano per Gaetano; e guarda che ciò non sarebbe nemmeno un male in sé perché agli italiani il genere piace. Ma la sciampista che si crede lady, ecco, è quello che mi preoccupa: la dissonanza cognitiva, chiamiamola così.
Il Partito (Democratico) dei Sogni
30-09-2014, 23:59Pd, RenziPermalinkA cinque mesi dal suo insediamento - non molti in fin dei conti - Matteo Renzi ha ancora la pretesa di non essere giudicato per quel che fa, ma per quel che promette. E promette senz'altro tante bellissime cose: come si fa a dirgli di no? Ora vuole cancellare tutti i contratti precari. Tutti. È senz'altro una promessa coraggiosa, nobile, e non stiamo nemmeno a discutere se sia una promessa di sinistra o di destra, scherziamo? Nelle slide della riforma della scuola non c'è scritto soltanto che assumerà tutti i precari di seconda fascia, ma che in un qualche modo riuscirà a farlo a costo zero, non è meraviglioso? Ci ha già dato ottanta euro in più, nella speranza che la ripresa economica fornisse la copertura - la ripresa non c'è stata e allora adesso ce ne sta promettendo altri cento in più, vi rendete conto - ok, in realtà è il Tfr, vuole mettercelo in busta così ci tiriamo su di morale; ha un po' l'aria dell'ultima raschiata nel barile, ma butta via.
Ma insomma sono tutte promesse fantastiche, e di sinistra senz'altro; lui ce le racconta nei giornali, in tv, come se fosse in campagna elettorale, come se la nostra opinione in merito gli interessasse davvero, come se avesse paura che ci fossimo stancati delle promesse di ieri, e gliene stessimo chiedendo di più grosse, sempre più grosse. E invece noi gufiamo, ci distraiamo; invece di concentrarci sulle promesse ci facciamo antipatiche domande su come Renzi potrà mantenerle. È proprio un atteggiamento old school, fortunatamente ormai minoritario anche nella direzione del Pd. I pochi che ancora richiamano l'attenzione su quella cosa antipatica che si chiama realtà sono vecchi leoni animati dal risentimento. È più interessante dare un'occhiata ai giovani, soprattutto quelli che due anni fa avversavano Renzi e poi si sono spostati, e con loro il baricentro del partito. Stupidi non sono: seguono il pifferaio, ma non hanno l'aria rapita e succube dei topolini. Non è che le loro smorfie di soddisfazione siano insincere, ma tradiscono ancora un'ombra di alterigia dalemiana. Se sanno ancora fare due conti, sanno che dietro le chiacchiere di Renzi non c'è un granché - ovvero, ci saranno altre chiacchiere più grosse, ancora più grosse. Però alla fine se qualcuno andrà a sbattere sarà Renzi, loro in un qualche modo si barcameneranno. Nel frattempo, vento in poppa, quando ci ricapita? Essere svegli in un mondo che dorme, non è fichissimo?
Anche stavolta parlare di sinistra e di destra sembra inadeguato. Come ai tempi di Berlusconi, quando più che una sinistra e una destra c'era un partito del Principio del Piacere (il PdL) e un partito del Principio di Realtà (il centrosinistra - Ulivo). Il progetto del primo era farti sognare: un milione di posti di lavoro, un nuovo miracolo italiano, il federalismo fiscale, la libertà dall'oppressione fiscale, eccetera. Il compito del secondo era svegliarti, dare un'occhiata ai conti, rimettere un po' in sesto i bilanci, farti pagare anche una tassa in più - in attesa di cedere di nuovo la palla ai sognatori. Due poli che apparentemente si opponevano, e nei fatti si completavano. Se ieri alla direzione del PD è successo qualcosa di storico, probabilmente è stato questo: il PD è passato ormai quasi del tutto dalla parte del principio del piacere. Non è che Renzi possa sparare le stesse palle di Berlusconi - i tempi sono cambiati - e però il programma è lo stesso, in versione economica: trascinarsi in giro per l'Italia e per il mondo a sorridere e sprizzare ottimismo, con qualche figuraccia internazionale che fa colore. Per quanto il tizio possa restare antipatico, a questo punto si fa anche fatica a volergliene. È un imbonitore, un venditore porta a porta col suo repertorio di barzellette tristi - è colpa sua se è fatto così? è per questo che lo abbiamo scelto. Perché ebbene sì: lo abbiamo scelto noi. Nessun potere forte ce l'ha imposto (si stanno già chiamando fuori, quei bastardi). Ne avevamo abbastanza dei vecchi saggi che con aria compunta ci dicevano tristi verità, volevamo un uomo che ci facesse ridere. Eccoci accontentati e che dio ce la mandi buona. Dopotutto hai visto mai.
Può anche darsi che non ci sia nessuna rovina dietro l'angolo; che la ripresa sia appena appena un po' più tarda ad arrivare; o che l'Italia possa precipitare in moto rettilineo ancora per anni, decenni, secoli, senza impattare contro nessun muro, contro nessuna apocalisse che magari è solo una proiezione dei nostri capricciosi super-io. Anche la realtà, hai visto mai: magari non esiste. Speriamo bene.
Di Calderoli (non si butta via niente)
24-06-2014, 03:20come diventare leghisti, ho una teoria, PdPermalinkNei mesi scorsi mi è capitato più volte di criticare, dal mio trascurabile punto di vista, le bozze di riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione portate avanti dal governo e dalla ministra Boschi. Sia nella loro versione marzolina - quando il Senato per un po' fu ribattezzato Assemblea delle Autonomie, senza che si capisse bene su cosa avrebbe legiferato e perché - sia quella bozza successiva in cui, siccome la sproporzione tra regioni più o meno popolate non sembrava sufficiente, qualche buontempone aveva deciso di nominare senatori i sindaci dei capoluoghi di regione. Un nonsense completo che sembrava aggiunto apposta per essere cassato in un secondo momento, e infatti è andata così. Il testo che oggi fa ancora discutere, principalmente per la questione dell'immunità, è comunque molto migliorato. Non è il mio testo ideale, ma mi riconcilia col partito che ho votato alle europee. Non fosse che molti di questi miglioramenti si devono al fatto che ci abbia messo le mani Roberto Calderoli.
Proprio lui, il leghista col maialino al guinzaglio. L'unico ministro al mondo a essersi dovuto dimettere per aver causato una sommossa popolare mostrando una maglietta in tv. Pare che sappia scrivere le leggi meglio dei ministri PD. Questa per la verità non è del tutto una sorpresa... (continua sull'Unità, H1t#236).
"Vuoi più bene alla Boschi o a Mineo?"
13-06-2014, 18:56ho una teoria, Pd, RenziPermalinkDunque, se Corradino Mineo, senatore del PD ritiene - come ritengo anch'io, per quel che vale - che quella proposta di legge sia davvero brutta, non solo il suo parere in commissione smette di essere interessante, ma diventa addirittura un tradimento a una volontà che gli elettori avrebbero espresso: "non ho preso il 40,8 per cento per lasciare il paese in mano a Corradino Mineo", pare abbia risposto Matteo Renzi. Onde evitare che il Paese intero rimanesse ostaggio del senatore regolarmente eletto Mineo, quest'ultimo è stato subito sostituito in commissione, con una procedura forse irregolare - ma forse sulla schede delle europee accanto al simbolo del Pd c'era la domanda: vuoi le riforme di Matteo Renzi, o preferisci lasciare il Paese in mano a Corradino Mineo? Io francamente non ricordo di aver letto così, ma forse andavo di fretta... (continua sull'Unita.it, H1t#234)
Ssst, abbiamo vinto
26-05-2014, 04:11elezioni 2014, Euro, Pd, RenziPermalinkCredo che fosse inevitabile, e non escludo che possa succedere anche a voi: ieri guardandomi allo specchio ho visto un tizio coi capelli bianchi che votava la DC perché non sopportava Andreotti e non gliela voleva lasciare.
Il successo di Matteo Renzi - un successo così grande che non se l'aspettava nemmeno Matteo Renzi - così fuori misura che complica anche i suoi piani, allontanandolo da un Berlusconi che non ha più nessun interesse a far passare in senato le sue riforme - il successo di Matteo Renzi, che nessuno si aspettava fino ai primi dati del Viminale, e che in seguito tutti hanno trovato logico e inevitabile - forse era davvero logico e inevitabile, ma alzi la mano chi si aspettava un dato oltre al 40%. Cos'è successo, allora. Chi è uscito dalle catacombe?
Qualcuno che non si è fatto sentire fin qui: che non gridava basta euro nelle gabbie dei talk televisivi o sui social. Qualcuno che non ha lanciato neanche un hashtag. Qualcuno che nessuno contava più, perché la sua voce non si sente più da un pezzo, ammesso che si sia mai sentita. L'imprenditore che non si suicida. Il lavoratore che non ha ancora perso il lavoro - oppure l'ha perso ma non crede che Salvini e Grillo possano farci molto. Il risparmiatore che preferirebbe tenersi i risparmi in euro, dopotutto. Gente che non strilla nei bar, non ti tagga su facebook, e non urla in favore di nessuna telecamera. Probabilmente non risponde neanche ai sondaggi, il caro vecchio shy factor. La vogliamo chiamare col suo nome? Perché ce l'aveva un nome questa gente, ricordate?
Coraggio. Un aiutino: sono la maggioranza. Lo sono sempre stati. Esatto.
La maggioranza silenziosa.
È inutile prendersela con loro: non sono qui, non vi rispondono. Hanno fatto i loro conti e non coincidono coi vostri. Vogliono l'Europa, proprio come trent'anni fa. Oggi va molto di moda domandarsi chi mai l'ha voluta quest'Europa, ebbene, state certi che se loro non fossero stati d'accordo, non si sarebbe fatta mai. A loro andava bene Maastricht e andava bene l'euro. Non c'era bisogno di nessun referendum perché l'avrebbero vinto. Una volta votavano DC, PSI, ma anche PCI, e a parte qualche folata ogni tanto non c'era verso di smuoverli. Molti in seguito hanno appoggiato a lungo Berlusconi, e non c'è modo di sapere se oggi se ne vergognino. Adesso preferiscono Matteo Renzi. Una scelta discutibile, salvo che con loro non si discute mai un granché. Di sport, magari, o di cronaca o di gossip. La politica sembra sempre disinteressarli. E però a votare ci vanno e - sorpresa - l'Italia si riconferma la nazione più europeista d'Europa. Com'è logico che sia, per chi sa che l'unica alternativa è l'Africa. Eppure chi l'avrebbe detto mai.
Chi l'avrebbe detto mai, con quattro formazioni cosiddette populiste a raschiare il barile dell'antieuropeismo: grillini, leghisti, fascisti, residui berlusconiani - attenzione, se si mettessero tutti assieme rasenterebbero il 50. E forse un giorno lo faranno. Nel frattempo però si fanno concorrenza tra loro, hanno capi ringhiosi che non vogliono perdere il controllo - e intanto la maggioranza silenziosa li sta scaricando.
Ed eccoci qui. Una volta ci si chiedeva: moriremo democristiani? Dopo le elezioni dell'anno scorso, qualcuno cominciò a soggiungere, sommessamente: magari. Credo che sia inevitabile, per molti di noi, trasformarsi nei propri padri. Per me ormai era l'obiettivo di massima. Ciao papà.
Io voto PD - senza mal di pancia
23-05-2014, 02:26elezioni 2014, Euro, Pd, RenziPermalinkQuesto pezzo è il terzo e l'ultimo di una riflessione cominciata qui e proseguita qui. Ma i capitoli precedenti si possono tranquillamente saltare - a dire il vero si può saltare anche questo, tanto quel che importa è tutto nel titolo: io domenica voterò il PD alle europee, e lo farò serenamente, senza mal di pancia. Sono anzi molto contento di poter scrivere sulla scheda il nome di Cécile Kyenge, per la battaglia di civiltà che in questi mesi ha saputo portare avanti: una battaglia che per la verità non è ancora vinta, e che Renzi non dà nemmeno la sensazione di voler troppo combattere. Diciamo che ha altre priorità; non sarebbe la prima volta che una promozione a Bruxelles occorre a rimuovere un personaggio divenuto scomodo o ingombrante. Resto convinto che persino in un parlamento agli antipodi, la Kyenge riuscirebbe a dare fastidio ai razzisti italiani. L'europarlamento è molto più vicino: spero che potrà continuare là una lotta necessaria per i diritti civili, anche in nome di quei milioni di residenti in Europa senza cittadinanza che votare non possono.
Poi voterò per Elly Schlein e Andrea Pradi, che da quanto ho capito ricadono nell'area civatiana; perché se è vero che la mia equidistanza tra Grillo e Renzi (e Berlusconi!) è quasi totale, basta sostituire a Renzi il PD nella sua totalità e complessità perché il piattino nella bilancia si abbassi all'istante. Mi pare che il dibattito parlamentare sull'Italicum abbia dimostrato come oggi la migliore opposizione a Renzi - la più costruttiva, perlomeno - sia quella interna: persino nel momento di massimo espansione di Renzi c'è qualcuno che non si allinea, che abbozza un progetto diverso: può sembrare un segno di debolezza, ma è lo stesso che ha consentito a Renzi di succedere prontamente a Bersani. Non credo che un'alternativa sinistrorsa al progetto di Renzi possa nascere altrove che nel PD: lo dico con molto rispetto per chi in questi mesi ha lavorato per la Lista Tsipras, che spero possa oltrepassare lo sbarramento e ottenere un buon risultato. Ma credo che nei prossimi anni il quadro sia destinato a semplificarsi, con la convergenza di quelle correnti di populismo che in Italia oggi si odiano soltanto per questioni di bandiera: ormai Grillo Berlusconi e Salvini, al di là della naturale rivalità tra contendenti, dicono le stesse cose. Che siano proporzionali o uninominali, le elezioni dei prossimi anni rischiano di diventare una sfida tra europeisti e antieuropei. Toccherà farsi piacere l'Europa in blocco, o cedere al mito della piccola patria chiusa e felice. Prima ancora che socialdemocratico, io mi considero una persona razionale: qualsiasi ente sovranazionale imperfetto e corrotto mi sembra preferibile a un piccolo mondo antico che forse non è mai esistito e che comunque non ci sarà verso di far ri-esistere. L'Europa, viceversa, esisterà. Ci metterà più tempo del previsto, ma i nostri figli saranno europei.
Il paradosso delle braghe |
Incidentalmente, voterò anche per Renzi, che senz'altro non si tratterrà dal mettere la sua gioiosa faccia sul mio voto, e di sbandierarlo per dimostrare che la gente è dalla sua e vuole le riforme che piacciono a lui. Tutto questo è senza dubbio fastidioso, ma mi resta pur sempre un blog per ricordare a chiunque interessi che le cose non stanno affatto così. Peraltro la riforma che più di tutte mi preoccupa - l'Italicum - mi sembra ormai destinata ad arenarsi, e di questo devo ringraziare persino la buona tenuta elettorale di Beppe Grillo.
E dunque insomma le cose stanno così: Renzi non mi piace, ma il voto al PD mi sembra l'unico sensato. Il calcolo è stato più complesso del solito, ma una volta terminato la coscienza non registra nessun dissidio interiore. La pancia, in particolare, non prova nessun fastidio; e non capisco nemmeno perché dovrebbe. Sarà perché per me il voto è sempre stato soprattutto un'operazione aritmetica, una banalissima addizione: non un'epifania, o una seduta di autocoscienza, o un modo per esprimere la propria identità più recondita nel chiuso confortevole della cabina elettorale. Prima di fare la mia addizione posso avere un po' di dubbi, ma sono tutti in un certo senso matematici: cosa succederà a y se voterò x? e se votassi z? Eccetera. Dubbi esistenziali non ne ho. La pancia poi sta già pensando ad altro; probabilmente alla scusa da trovare per aprire un pacchetto di pistacchi. Si tratta, ormai l'ho capito, di una pancia atipica rispetto alla media delle pance italiane. Che posso dire: è la mia pancia, non è più raffinata di tante altre pance. Forse è fallata, c'è tutta una gamma di frequenze che non capta e che sono evidentemente indispensabili per capire gli italiani. Io invece sto qui a scrivere, a spiegarmi, quasi come se toccasse agli italiani capire me.
Il Signor G invecchia
12-05-2014, 16:44ho una teoria, Pd, tangentiPermalinkÈ forse più sorprendente rendersi conto che nel nel 1993, quando fu arrestato con l'accusa di aver intascato una tangente da un miliardo e 200 milioni di lire, Greganti non ne aveva ancora compiuti cinquanta. Un giovanotto, diremmo oggi. Un funzionario nazionale del PDS, con un ruolo delicato e responsabilità pesantissime: la sua età nel '93 era una non-notizia. A voler cercare il bicchiere mezzo pieno - arte in cui conviene allenarsi - il suo arresto significa che il passaggio generazionale è ostruito anche tra i tangentari. Ci sbagliavamo a immaginarcelo come un mondo di lupi senza scrupoli, un mondo in cui se chini la testa qualcuno è pronto a staccartela. Evidentemente per costruire il know-how di un G. o di un Bisighini servono decenni di relazioni. Eppure G. e Bisighini (e Scajola) hanno in comune di aver cominciato relativamente giovani. In seguito, evidentemente, nessuno è riuscito a scalzarli.
Ora Matteo Renzi promette una task force (continua sull'Unita.it, H1t#230): succede, in casi come questi, di promettere qualcosa in inglese. L’inglese è più succinto, consente ai giornali di usare un carattere più grosso (task force in italiano sarebbe una commissione straordinaria, non suona davvero altrettanto bene). Speriamo che sia la volta buona; sarebbe bello poter pensare che anche le mazzette siano una questione generazionale, una triste abitudine dei nati negli anni Quaranta e Cinquanta. Renzi è del 1975, forse ne siamo fuori. Io però devo confessare una cosa orribile.
Purgatorio VI, 127-135
13-02-2014, 18:09Dante, governo Letta, Pd, RenziPermalinkdi questa digression che non ti tocca,
mercé del popol tuo che si argomenta.
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio a l'arco;
ma il popol tuo l'ha in sommo de la bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
ma il popol tuo solicito risponde
sanza chiamare, e grida: "I' mi sobbarco".
(Il PD ha tanti problemi: uno abbastanza trascurabile è il citazionismo ginnasiale che assale chiunque salga su quel palchetto, come se uno spettro di Veltroni vi aleggiasse sopra irrassegnabile: per dire oggi abbiamo avuto l'Attimo fuggente, Karl Kraus e altri incarti di cioccolatini di incerta attribuzione. E Dante. Civati ha citato il quinto canto dell'Inferno. Secondo me c'è andato vicino: ha solo sbagliato cantica. Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma [censura]).
In che guaio ti stai cacciando, Matteo Renzi
13-02-2014, 12:40avercela con D'Alema, governo Letta, ho una teoria, Pd, RenziPermalinkD'Alema era diverso - e nessuno sembra avere nostalgia per i suoi tempi: nemmeno D'Alema stesso. Anche a lui capitò, nel '98, di cambiare idea; forse una maggiore esperienza gli suggerì di non strombazzare prematuramente sui giornali "chi me lo fa fare": purtroppo la Storia ci insegna che c'è sempre qualcuno che riesce a farci fare qualcosa, il Quirinale o la Nato o la crisi o la Ue. Le trattative che intavolò in quei giorni con Scalfaro, Ciampi e Cossiga, rimasero quasi del tutto riservate: D'Alema non passò per una banderuola. In compenso non poté più scrollarsi di dosso l'immagine di segreto tessitore di trame. Ecco un rischio che Renzi e Letta non corrono: tra una conferenza stampa e una riunione in streaming, abbiamo finalmente la possibilità di assistere al parto di un progetto politico in diretta. Purtroppo, come tutti i parti non è un bello spettacolo: c'è il sangue, gente che urla e maledice i propri affetti; forse era meglio restare in sala d'attesa a riflettere (continua sull'Unita.it, il sito di un quotidiano che ha compiuto 90 anni, e non li dimostra).
Il giorno che diventai di destra
09-12-2013, 01:50crisi? che crisi?, Pd, RenziPermalinkQuello che provo, quando riconosco tra i rivoluzionari quegli allevatori fotti-e-chiagni del nordest che 15 anni fa lanciavano letame sull'autostrada per rivendicare il loro diritto a fottere l'UE sulle quote latte, spalleggiati dalla Lega - Lega che più tardi si è incaricata di far pagare le multe UE al contribuente, cioè a me - quello che provo non si spiega soltanto con l'europeismo e la speranza nella socialdemocrazia.
Perché quello che provo, quando leggo i comunicati in stile "Viva la mafia", che ottengono anche il risultato di far apparire Grillo un centrista moderato, è qualcosa di molto più profondo e irriconoscibile. Io li voglio tutti in galera entro stasera.
Appena si azzardano a bloccare un'autostrada. Del resto si tratta di un comportamento pericoloso ai limiti del criminale. Insomma io li voglio tutti in galera processati in direttissima per tentata strage. Voglio l'ordine, insomma. Nelle autostrade. Ma anche nelle strade in generale. La disciplina. Voglio un'irruzione nello zoo di 105, le teste di cuoio contro le teste di cazzo, vediamo cosa è più duro.
Ora mi corico, e domattina potrei svegliarmi nel corpo di un borghese quarantenne che elogia il manganello che sodomizza il vaccaro o il massaro. Non sarò più io, ovviamente; sarà un ultracorpo cresciuto dentro di me in tutti questi anni, che ha finito di cibarsi delle mie vestigia progressiste, ma chi saprà riconoscerlo?
Quel che è peggio è che anche Esso sarà convinto di essere sempre stato me, e non un alieno che si è impossessato dei miei ricordi. Guardando al passato, gli sembrerà inevitabile essere giunto al punto in cui una sommossa di disoccupati e padroncini in crisi non può che farlo inorridire. Gli diranno: ma non ti ricordi quando andavi in piazza tu? Esso risponderà: era tutta un'altra cosa, noi avevamo, ehm, cosa avevamo? Un progetto? No, proprio un progetto no. Coscienza di classe? No, quelli non eravamo noi. Un'idea, noi avevamo un'idea. Cioè, non proprio un'idea, diciamo che era un dubbio. Noi pensavamo che la globalizzazione, nelle forme in cui si stava concretizzando, non fosse sostenibile. Che la speculazione finanziaria, l'accumulo di ricchezze a Nord, il crescente divario col Sud, la corsa al consumo di risorse non rinnovabili e inquinanti ci avrebbe messo nei guai. Per inciso, avevamo ragione. Ci stanno dando tutti ragione, adesso. Quindi per favore non paragonateci a bande di camionisti aizzati dallo zoo di 105. E tuttavia.
E tuttavia a volte la Storia ti passa davanti a cavallo. Non sempre purtroppo ha le forme di Napoleone. A volte può essere il cassone di un Tir che ti sbarra il passo. Quel camionista non lo sa, ma sta dando forma a qualcosa che avevamo previsto. La speculazione, la crisi dei bond, la crisi dei mercati, e poi il caos. Che forma pensavi che avrebbe preso il caos? T'immaginavi un pranzo di gala? No, è il cassone di un tir, che ti piomba addosso ai cento all'ora e ti dice che un altro mondo è possibile, ma senz'altro qualcuno si farà male nel processo. Lo sapevi. Lo hai sempre saputo. Ma a un certo punto si sa come vanno le cose, le case, i mutui: ti sei distratto. Hai perso anni in inezie, a litigare su Renzi e Bersani mentre in nordafrica raddoppiava il prezzo dei cereali e i blog che negavano il riscaldamento globale chiudevano tutti alla chetichella. Magari sta veramente per venire giù tutto, e se se n'è accorto persino lo zoo di 105, forse è perché hanno antenne più lunghe della tua. Tu t'incazzi perché Grillo fa il savonarola, invece di prenderlo per quel che è, un segno dei tempi: e domandarti perché all'improvviso torna di moda il millenarismo medievale. T'incazzi con chi crede alle bufale, ai segni nel cielo o alle pietre filosofali: le chiami pseudoscienze e fingi che siano errori di percorso, sacche di resistenza alla modernità, e non i presagi del medioevo prossimo venturo: sei come quei filosofi del secondo secolo che ridacchiavano dei cristiani e delle loro effimere superstizioni. Sei vecchio.
Sei un parassita che si nutre dei ricordi di un tizio che aveva previsto grossi guai e a un certo punto non ha retto il panico. Tu hai molti meno problemi: purché ti si lasci un po' di spazio, un terrazzo illuminato, riscaldamento d'inverno e condizionamento d'estate, sei disposto a votare l'Ordine e la Disciplina, altro che Renzi. Ma finché regge andrà benissimo anche Renzi.
Civati si vota votandolo
07-12-2013, 01:56Pd, primarie 2013, RenziPermalinkLa prendo un po' lunga. Durante il dibattito su Sky - un po' penalizzato dai ritmi ansiogeni, e dire che l'anno scorso la stessa formula sembrava così efficace - a un certo punto si è parlato di matrimonio gay. Si tratta di un argomento importante, non solo in sé (si tratta di riconoscere la parità dei diritti civili a una categoria di persone che non l'ha ancora raggiunta, e allineare l'Italia con le democrazie più evolute), ma perché è in qualche modo il reagente che separa all'istante le due nature del partito, che non hanno mai veramente quagliato: siamo tutti del PD finché non ci parli di matrimonio ai gay: se ce ne parli, ci separiamo immediatamente in cattolici ed ex ds. Così è, e così forse è giusto che sia.
Dunque, di fronte a una domanda sul matrimonio gay, Civati non ha nessuna difficoltà a strappare un applauso dicendo che lo vuole, subito; e lo vuole chiamare "matrimonio", senza tante garbate perifrasi che andrebbero incontro alla timidezza dei cattolici anche più progressisti ("unione alla tedesca"). Renzi no. Non tanto perché cattolico, ma perché ha la vittoria in tasca e sta giocando in difesa, come Bersani l'anno scorso, pensando più a cosa può mantenere che a cosa può ancora promettere. Per Renzi parlare di matrimonio significa tentare una battaglia perdente; lui invece vuole cambiare qualcosa subito, e quindi andrà avanti con la proposta di Scalfarotto, che è quella che ha le maggiori possibilità di ottenere qualcosa nei tempi brevi. A questo punto non è più un confronto tra un cattolico (Renzi) e un progressista (Civati), ma tra pragmatismo e ideale, e quindi io per temperamento dovrei scegliere il pragmatismo, come ho sempre fatto fin qui. Non lo faccio. Un po' perché Renzi è un pragmatista solo quando gli garba: le sue proposte di riforma della costituzione rasentano il grillismo per praticabilità. Ma non è solo questo.
Non lo faccio perché non è il momento: quando si andrà alle urne vere voterò quel che c'è da votare, parlerò di pragmatismo e di tattica e di strategia e continuo in coscienza a pensare che la via più praticabile verso la parità dei diritti sia quella a piccoli passi che sta percorrendo, con una certa fatica, Scalfarotto. (Anche se fino a qualche anno fa, quando si trattava di farsi notare, Scalfarotto la irrideva - solita storia). Ma per una volta che ho finalmente l'occasione di dire cosa voglio, senza sempre sacrificarmi alla tattica e alla strategia, non me la faccio perdere: io, come Civati, voglio che i gay si possano sposare come tutti gli altri; magari non siamo la maggioranza nemmeno nel Pd, ma è importante far vedere che non siamo nemmeno in pochi.
Alle consultazioni primarie di domenica voterò, e voterò Civati. Si tratta di una scelta fatta da tempo, e abbastanza scontata; credo che Renzi si sia già conquistato un ruolo centrale nel partito, con ostinazione e con merito: non mi è diventato più simpatico nel corso del processo, ma ritengo che sia il candidato più credibile che il PD possa avere in questo momento, e quando sarà l'ora non avrò grosse difficoltà a votare per lui; questa però non è l'ora. Per adesso si tratta di far sapere che PD desideriamo, e io lo desidererei banalmente un po' più a sinistra su tante questioni (laicità, diritti, economia). Malgrado la sovraesposizione su social network e blog (ricordate per favore cos'è sempre successo ai fenomeni esplosi sui vostri desktop: Scalfarotto, Giannino, eccetera) non credo che Civati abbia possibilità di vincere: se riuscisse a rosicchiare più del venti per cento e ad arrivare secondo avrà compiuto la sua missione. Voto Civati con lo stesso spirito con cui l'anno scorso consigliavo a lettori e amici di votare Vendola: non vincerà, ma è importante far notare che c'è, e rappresenta un bacino rilevante.
Non so se si è capito, ma più del risultato di domenica, mi preme far notare che il mio non è un voto di bandiera: non voto Civati perché è "contro", non voto Civati perché mi rappresenta, in lui mi riconosco, e balle varie. Credo che in questo momento abbia un valore posizionale; penso che sia stato anche abbastanza bravo ad arrivarci, in questa posizione, che non è sempre stata la sua. Penso che saper trovarsi lo spazio sia una delle qualità del politico: di un'altra abilità fondamentale, quella alla negoziazione, mi sembra un po' carente. Tanto peggio. Lo so che ogni voto è irrazionale, ma se si può in modo anche infinitesimamente irrazionale spostare il baricentro del PD verso la sinistra, credo che lo sforzo valga sempre la fatica e il rischio di un voto in più. Poi succederà quel che deve succedere: ci saranno altre elezioni, le perderemo o le vinceremo male; saremo costretti a nuovi compromessi e compromissioni, ci difenderemo parlando di strategia e lamentandoci della cattiva sorte e degli elettori che si aspettano sempre chissà che. Ci sarà tantissimo tempo per tutto questo: domani c'è un po' di tempo per dire cosa vogliamo davvero. Io il Pd lo voglio più simile a Civati, e spero di essere in buona compagnia.
#ilConfrontoPD #ilritorno
28-11-2013, 16:31Pd, primarie 2013, tvPermalink11. Chi sono i cento che hanno affossato Prodi? Ti sei almeno fatto un'idea? Pensi di tenerli a bordo? Ti fiderai a dare le spalle a qualcuno?
12. Sei contrario al finanziamento ai partiti? Se sì, da dove intendi prendere i soldi?
13. Quali progetti concreti intendi portare avanti per creare un politica economica Europea unica, che ci permetta di combattere uniti contro la crisi e che elimini le disuguaglianze del costo del denaro tra gli stati membri?
14. Intendi fermare la cementificazione del suolo italiano? Se si immagini una legge come in altri paesi che vieti la costruzione di nuovi edifici o strutture in presenza di edifici o strutture inutilizzate?
15. Cosa intendi fare per il problema dei rifiuti che attanaglia moltissime città? Intendi rendere responsabili le aziende che producono o importano prodotti non biodegradabili con una legge che le obbliga come in altri paesi, a prendersi carico del loro smaltimento.
16. Intendi promuovere l'economia a km zero e a rifiuti zero? Come?
17. Cosa intendi fare per promuovere un sistema di trasporti a basso impatto ambientale? Intendi disincentivare l'uso dell'auto? Come intendi favorire forme di carburante diverse dalla benzina?
18. Parliamo di diritti, che non se ne parla mai abbastanza? Qual è il tuo parere su unioni civili, diritti dei migranti, pari opportunità, fine vita?
19. Cosa fare per l'economia di questo paese? Come riportare il lavoro alla centralità della vita economica italiana? Precariato, disoccupazione, crisi della domanda, se foste eletti quali sarebbero le rivoluzionarie decisioni che vorreste fossero prese per il bene dell'Italia?
20. Dal 9 Dicembre lei sarà il segretario del principale partito di governo, che tuttavia ha la maggioranza grazie all'appoggio del nuovo centrodestra, il quale si dichiara alleato del principale partito di opposizione. Quanto dura?
#ilConfrontoPD
27-11-2013, 19:13Berlusconi, Pd, primarie 2013, Renzi, TwitterPermalinkCivati, Cuperlo e Renzi risponderanno a tante domande, e tra queste anche a una che viene dal meraviglioso mondo della Rete, che saremmo noi. In particolare a me e a Luca Conti di Pandemia è stato affidato l'on*re di lanciare la lenza su twitter e di vedere cosa ne salta fuori.
Non ho idea di come funzionino queste cose di solito, ma la mia esperienza assembleare mi sconsiglia di andare semplicemente sul fringuello e scrivere una cosa tipo: #uelà raga come #butta che #domanda si fa a #ilConfrontoPD? Quindi qui sotto metto giù alcune domande - non ho molto tempo - e voi siete liberi di reagire come vi pare e di suggerirne altre. La discussione dovrebbe farsi su twitter (hashtag #ilConfrontoPD; io sono @LeonardoBlog, casomai vi fosse sfuggito), ma se vi sentite più a vostro agio qua sotto nei commenti fate pure.
Alcune domande che io farei a Renzi e agli altri due:
1. Il semestre di presidenza UE lo lasci fare a Letta o preferiresti farlo tu?
2. Uno di voi tre ha già dato un ultimatum a Letta: una nuova legge elettorale o a casa. Spiegaci tu che legge elettorale vorresti e perché.
3. A questo punto della serata avrete senz'altro tutti e tre detto che con Berlusconi e Forza Italia non farete un governo mai più, mai e poi mai, assolutamente mai. Adesso fingete che sia la primavera dell'anno prossimo: ci sono già state le elezioni e i risultati sono più o meno gli stessi di un anno fa. Improvvisate il discorso con cui spiegherete agli elettori che bisogna rifare un governo con Berlusconi.
4. I grillini, un po' ingenuamente, sono convinti che esista un patto occulto tra il PD e Berlusconi, per preservare le aziende di famiglia, e soprattutto i canali televisivi che gli permettono di avere ancora un peso politico enorme malgrado sia fuori dal parlamento. Volete provare a convincerli del contrario, più che con le parole con qualche proposta concreta? O ritenete che la Mediaset debba essere lasciata a disposizione di un condannato che la usa per difendersi dai giudici e dagli avversari politici?
5. Papa Francesco. Che persona meravigliosa. Quanta umana compassione nei suoi appelli alla povertà. Lo vogliamo aiutare? Riusciamo a far pagare alla Chiesa qualche giusta tassa in più? O va tutto bene così?
6. Immagina di essere solo con Angela Merkel. No. Mettiamola così: davanti a un caminetto ci sei tu, Angela Merkel e due interpreti simultanei. Una pioggia incessante picchietta le finestre con ostinazione teutonica. Convincila che l'austerità sta distruggendo l'Europa e che bisogna invertire la rotta al più presto. Con parole tue.
7. Le donne italiane hanno diritto ad abortire, o si tratta di un lusso per chi se lo può permettere? Sbattere fuori dagli ospedali pubblici tutti gli obiettori quanto è in alto nella vostra lista delle priorità?
8. (Questo è un pallino mio). Uno di voi tre l'anno scorso approfittò di questa ribalta per lanciare l'idea di un servizio civile obbligatorio. Buona idea o straordinaria cazzata?
9. L'anno scorso c'era anche una donna lì sopra, anche se diciamolo, era più decorativa che altro. Qual è la prima cosa che farete per le pari opportunità quando e se sarete a Palazzo Chigi?
10. Mentre tutto il mondo comunica su internet, l'Italia è in controtendenza. Che si può fare per convincere gli italiani a sfruttare le potenzialità della Rete? Per favore, non un convegno e neanche un nuovo pool di esperti.
E ora scatenatevi. Pandemia non prevarrà!
Il partito più e meno democratico
03-11-2013, 02:36Beppe Grillo, ho una teoria, PdPermalinkIl primo partito è nato un po' prima dell'altro. Riconosce il diritto dei tesserati a esprimere candidature e proposte, ma nei fatti tutte le decisioni vengono prese dal comitato dei fondatori. Prima di poter prendere parte alla discussione i tesserati devono attendere molti mesi. Il secondo partito, anche per volontà di distinguersi, ha aperto le porte a tutti: chiunque può entrare, aderire e votare immediatamente. Ne risulta un certo caos. Li avete riconosciuti? (continua sull'Unita.it, H1t#203)
Chi ha cambiato idea su Renzi? (Io, no).
14-10-2013, 16:57ho una teoria, Pd, primarie 2012, RenziPermalinkIn ogni altro caso lo voterò, perché le alternative saranno ancora Grillo o Berlusconi (o peggio ancora, un grillino e un berlusconino), e io sono persuaso da sempre della necessità di scegliere il candidato meno peggiore. Purtroppo questa mia disponibilità ad accontentarmi di quello che passa il convento è uno dei tratti del mio temperamento che meno condivido con la maggioranza degli italiani: me ne accorgo tutti i giorni, e mi dispiace. Tutto mi lascia intendere che dovrò ancora difendere in logoranti conservazioni pubbliche un principio banalmente aritmetico (se non voti il meno-peggio, vince il più-peggio). Andrà come dovrà andare. Nel frattempo però vorrei salvare un principio: io sono tra quelli che quando si trattò di votare Renzi alle primarie, votò Bersani. Non solo pensavo che Bersani sarebbe stato un presidente del Consiglio migliore, ma ritenevo che avesse più chances di vincere le elezioni. Forse mi sbagliavo. Ma non ho cambiato idea.
Ritengo ancora che in febbraio Renzi non avrebbe vinto le elezioni; che gli eventuali elettori che voleva intercettare al centro non avrebbero compensato la fuga di quelli che se ne sarebbero andati da sinistra. E più in generale continuo a pensare di Renzi le stesse cose che pensavo un anno fa.
Tutto quello che ho scritto di lui - cose anche un po' cattive - mi sembra ancora più o meno valido. Trovavo il suo giovanilismo un po' irritante (e soprattutto osservavo come questa "irritanza" non fosse solo un'idiosincrasia mia, ma fosse condivisa da molte persone a sinistra). Non è che in seguito il giubbotto di Fonzie abbia modificato questa impressione (continua sull'Unità, H1t#201)
La natura di B. (e la nostra)
30-09-2013, 02:59Berlusconi, governo Letta, PdPermalinkTutto quello che è successo, un istante dopo che è successo, ci è parso inevitabile; e adesso con chi dovremmo prendercela? Con Berlusconi? Ma Berlusconi non poteva che comportarsi così, è la sua natura: come lo scorpione che non può non pizzicare la rana, B. doveva prima o poi affossare questo governo. Potremmo prendercela con Enrico Letta. Ma anche la rana in fondo non poteva che comportarsi così: la sua unica chance era imbarcare lo scorpione e convincersi che sarebbe andato tutto bene. Era il suo ruolo e, per quanto ridicolo, lo ha portato avanti con un certo stile. Letta avrebbe potuto fare più o meno di quello che ha fatto, e tutto questo sarebbe successo ugualmente: lo sapevamo. Magari ignoravamo la goccia che avrebbe sbilanciato i piattini in equilibrio così precario (la sentenza della Cassazione) - ma in coscienza come potevamo sperare che il governo durasse molto di più?
Era nato per cambiare legge elettorale e prendere tempo, in attesa che Berlusconi decadesse o Grillo si sgonfiasse. Grillo si è rigonfiato, Berlusconi sta per decadere, ma ha preso la legge elettorale in ostaggio - e anche questo tutto sommato era abbastanza prevedibile. Nel frattempo il PD avrebbe dovuto prepararsi alla campagna elettorale più difficile, e non è andata così. Lo dico da osservatore parziale, che ha sempre evitato di infilarsi nel coro di chi critica il PD sempre-e-comunque: stavolta possiamo prendercela soltanto con noi stessi. Sapevamo che Berlusconi poteva staccare la spina in qualsiasi momento, e abbiamo perso tempo in una battaglia precongressuale estenuante, alimentando sui quotidiani polemiche inutili, fino alla catastrofe dell'ultima caotica, incomprensibile assemblea del PD. Non potendoci aspettarci lealtà da Berlusconi, o ragionevolezza da Grillo, l'unica cosa che chiedevamo è che il PD reagisse alla batosta rispondendo almeno a un basico istinto di sopravvivenza: tanto più che il candidato ormai c'è, può essere più o meno simpatico ma c'è, e le stesse primarie sarebbero pleonastiche (il che non significa che non possa convenire celebrarle, anche soltanto come cerimonia: però nessun plebiscito ci ha mai fatto poi vincere le elezioni). Niente da fare, a quanto pare: bisognava litigare sulle primarie, sulle convenzioni che nessuno sa cosa siano, sul ruolo del segretario rispetto al ruolo del candidato... intanto domani comincia la campagna elettorale, e il congresso è convocato per dicembre. Berlusconi non ha più niente da perdere e potrebbe persino vincere.
E a questo punto ritorna la vecchia domanda: ma sul serio? Stiamo davvero lasciando che un evasore fiscale milionario si metta a sparare a zero sugli avversari politici attraverso canali televisivi che ha accumulato in plateale violazione delle leggi - finché non le ha lui stesso cambiate? Gli stiamo davvero lasciando la possibilità di raccontare altre bugie a quel quinto di italiani che lo ascolta ancora e che gli è sufficiente per dettare condizioni in parlamento? Che altro deve fare, ancora, Silvio Berlusconi, per convincerci della sua natura di nemico pubblico? Cosa trattiene le istituzioni dal trarre le estreme conseguenze di fatti altrettanto estremi? In Grecia il leader di un partito neonazista è in carcere con l'accusa gravissima di essere il mandante di un assassinio. Berlusconi non è un nazista e non è un violento; in compenso quelle contro di lui non sono semplici accuse: Berlusconi ha corrotto, Berlusconi ha rubato, a Berlusconi non si dovrebbe consentire la libertà di far cadere un governo o addirittura causare la fine di una legislatura. Se questo diritto glielo riconosce in qualche perverso modo la Costituzione, violiamola pure: lo facciamo tutti i giorni quando si tratta di torturare i detenuti comuni o non riconoscere il diritto d'asilo. Inutile prendersela con B., fin tanto che lo lasciamo libero di offenderci: ma perché lo lasciamo libero? Di cosa abbiamo paura? O anche questa disponibilità a lasciarci fottere così, anche questa rientra nella nostra "natura"? Trenta mesi fa, un professore osò scrivere su un quotidiano di sinistra che un'emergenza del genere andava risolta coi carabinieri.
Ciò cui io penso è invece una prova di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall'alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d'emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d'autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d'interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l'Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale.
Insomma: la democrazia si salva, anche forzandone le regole. Le ultime occasioni per evitare che la storia si ripeta stanno rapidamente sfumando.
Lo presero per matto - carabinieri e forze di polizia non godono di molto credito presso quel bacino di lettori. E tuttavia Asor Rosa aveva molto semplicemente ragione: contro i ladri non si mandano i generosi manifestanti; contro i ladri e i nemici della salute pubblica uno Stato, se vuole sopravvivere, si difende con la forza. Ma era già tardi, nell'aprile del 2011.
Il Partito del Mattone colpisce ancora
30-08-2013, 17:21governo Letta, ho una teoria, PdPermalinkProviamo a metterla così: in Italia esiste un insieme vasto di elettori - una volta si diceva "classe sociale", ma suona così retrò - accomunati non dal reddito o dall'ideologia, ma dal mattone. Possiedono case, e spesso nient'altro. Per 40 anni a questi padroncini è stato raccontato che sarebbe andato tutto bene: che la lira poteva svalutarsi a tre zeri, ma il mattone sarebbe rimasto sicuro al suo posto, la vera risorsa aurea della nazione. Per 40 anni hanno messo da parte per i figli non libretti di risparmio, non depositi-titoli, ma villette e appartamenti. Per 40 anni hanno scommesso sul cemento, incoraggiati dalle banche, benedetti dai politici. E adesso è finita. Quello che fino a cinque o sei anni fa sembrava meno plausibile dell'apocalisse Maya - la contrazione del mercato immobiliare - è davanti agli occhi di tutti, e forse il primo ad averlo capito fu Berlusconi, già nella campagna del 2006: quello era il vero centro su cui puntare, non le alchimie terziste di Casini o Rutelli; il ventre molle dei padroncini di case (continua sull'Unita.it, H1t#195)
Tra il Renzi e il fare
13-08-2013, 03:02astensionisti maledetti, ho una teoria, Pd, RenziPermalinkApparentemente è chiarissimo: Renzi da qualche parte deve aver detto che vorrebbe prendere voti anche dai delusi del Pdl. Non è una novità, anzi ormai è una rassicurante tradizione: il Papa dice di pensare ai poveri, Berlusconi dice che è onesto, Renzi dice che vuole prendere voti anche ai delusi del Pdl. Sono ritornelli talmente familiari che ormai non ci riflettiamo più. A stento ci ricordiamo che il quadro da qualche mese è cambiato, che il PdL non è più il partito di più di un terzo degli elettori (il 38% nel 2008), ma al massimo di un quinto (il 22% nel 2013). Nel frattempo l'astensione è molto cresciuta, per cui il dato non in percentuale è ancora più impressionante: da dodici milioni di voti a sette, quasi un dimezzamento.
I "delusi del PdL", insomma, se ne sono già andati, e quasi tutti non hanno scelto il PD: M5S e astensione si sono contesi le fette più grosse. Sì, se Renzi avesse vinto le primarie forse sarebbe andato in un modo diverso; non possiamo saperlo, ma soprattutto, Renzi non ha vinto le primarie. Quasi sicuramente vincerà le prossime; ma il rischio a questo punto è quello tipico dei condottieri di eserciti votati alla sconfitta (e il PD ha l'aria di un esercito del genere, non dite di no): prepararsi sempre alla battaglia precedente. Il PdL era la spugna da spremere sei mesi fa, a questo punto è già strizzata al massimo e non può che decomprimersi: per quante possa averne fatte Berlusconi, è difficile immaginarlo sotto una soglia del 15%. E soprattutto, che bisogno c'è di andare a prendere voti fin lì, con tutti i bacini di voti più vicini e comodi da attingere? C'è l'astensione, sia al centro che a sinistra. C'è Grillo che certi elettori sembra voler fare di tutto per perderli... (continua sull'Unita.it, H1t#193)
Gli eterni messaggiatori al PD
11-07-2013, 15:14Berlusconi, governo Letta, ho una teoria, PdPermalinkDa un punto di vista mediatico è successa una cosa immensa, perché il PdL aveva domandato una sospensione di quattro giorni, un vero e proprio sciopero del parlamento a causa della tempestività con cui la Cassazione aveva fissato una seduta al boss Berlusconi. A parte la pura comicità di un gruppo parlamentare che protesta perché la giustizia sta diventando troppo veloce, la cosa non sta veramente né in cielo né in terra e soprattutto in nessun manuale di Storia di nessuna nazione: il potere legislativo che sciopera contro il potere giudiziario? Che roba è? E che effetto dovrebbe ottenere? Boh. La sospensione era una proposta irricevibile, marziana, e non è stata ottenuta: però per quattro ore comunque la Camera si è fermata e questo è stato interpretato da un sacco di osservatori - sulla mia bacheca, perlomeno - come una concessione del PD al PdL. Cioè è come se i responsabili del PD avessero detto: quattro giorni no, ma quattro ore sì. Non è andata così ma su Facebook mica si raccontano le cose come stanno: si raccontano come la gente le percepisce, e la percezione generale è stata questa: il PD si è inchinato per quattro ore. Questo ci racconta qualcosa più degli utenti Facebook che del PD: la tendenza generale a spiegare ogni evento come fallimento del PD, errore del PD, défaillance del PD, complotto del PD. E a giudicare non tanto il PD dai fatti, ma i fatti in base a quanto ci parlano male del PD. Anche quando, a veder bene, il PD potrebbe persino averne imbroccata una (continua sull'Unita.it, H1t#188).
Elaborare il PD
28-04-2013, 02:25governo Letta, ho una teoria, PdPermalinkNon è vero che abbiamo perso. Per esempio, alla Camera abbiamo vinto noi, guarda che premio di maggioranza che abbiamo. E comunque siamo il primo partito, nella prima coalizione. Certo, ci aspettavamo un risultato migliore, ma considerata la situazione generale, la crisi, l'antipolitica... Non si può proprio dire che abbiamo perso. Altri hanno perso più di noi.
La seconda fase è la rabbia.
Bersani vaffanculo hai sbagliato tutto. Quei giaguari e quei tacchini. Dimettiti! Ah se c'era Renzi. E poi Grillo, ma che vuole, che pretende. È un nazista! anzi peggio, coi nazisti è più facile regolarsi.
La terza fase è la contrattazione.
Aspetta, possiamo ancora metterci d'accordo. Non abbiamo perso finché possiamo metterci d'accordo. I grillini in fondo sono brava gente... (l'elaborazione continua sull'Unita.it, H1t#177).
Ma porcaputtana, ma quelli sono veramente ipnotizzati. Danno solo retta al guru. Non li smuovi, non c’è niente da fare. Non c’è più niente da fare. Adesso si va a votare il presidente della repubblica e rimedieremo l’ennesima figura di merda. E poi? Non c’è più niente da fare. Colpa nostra? Può darsi. Anche loro. Anche di tutti. Ma non importa. Ormai non c’è più niente da fare. Governissimo e fine della sinistra.
Ma quindi ci prova Letta? Beh, mica male. Cioè, per un governissimo davvero niente male, non c’è neanche la Gelmini. E niente leghisti, qualcuno sente la mancanza dei leghisti? Mi ero dimenticato quanto sapevano essere felpati i democristiani, nel fotterti, è una cosa impari ad apprezzare col tempo (ora capisco meglio mio padre). E poi ci sono tante donne, un paio non nate in Italia, la Bonino che sta bene su tutto, ma sai che alla fine mi sta simpatica anche la berlusconiana all’agricoltura? Ma sì dai, in fondo è una di famiglia.
La bad company
24-04-2013, 02:23Berlusconi, cattiva politica, PdPermalinkDalla mia postazione qualsiasi, senza capirne più di chiunque, nella consapevolezza di ignorare alcuni dettagli fondamentali che Napolitano per esempio sa, io continuo a pensare che l'unico modo di saltar fuori da questa montagna di merda è la bad company. Ovvero: il PD farà un governo col PdL e Monti. Lo farà. Era abbastanza chiaro già una settimana dopo le elezioni, a chi non volesse raccontarsi favole. È diventato chiarissimo con quella pagliacciata della trattativa in streaming: il M5S non cercava intese, non le vuole, il M5S vuole che il PD faccia un governissimo con Monti e Berlusconi e il PD lo accontenterà, alla fine il PD accontenta sempre tutti, purché non siano i suoi elettori. Dopodiché il PD morirà, ma non c'è niente di così grave in questo, moriamo tutti prima o poi e nel caso del PD la diagnosi era chiara il giorno dopo le elezioni. Il PD morirà perché non piace agli elettori, e ai pochi elettori a cui piace ha raccontato che non si sarebbe mai alleato con Berlusconi: e diceva la verità, non si sarebbe davvero alleato con Berlusconi. Se avesse vinto.
Ma ha perso.
E siccome ha perso sarà umiliato, sarà abbandonato, svillaneggiato come l'ultima delle zoccole di Berlusconi, che è poi quel che in effetti diventerà.
Ma non tutto.
Non c'è bisogno che vada a finire tutto così. Non è una persona, è un partito: ne puoi staccare un pezzo e trapiantarlo altrove e poi magari ricresce. Quindi: da una parte ci metti il grosso dei gruppi parlamentari, e un altro bel po' di quadri intermedi, che diano l'impressione di una struttura ancora in piedi. Questa è la bad company. Per dirigerla era perfetto Bersani: il più adatto da umiliare, da svillaneggiare, perché era quello in carica quando avete perso. Ma ve lo siete giocati. Stolidamente. E allora servirà un Amato, o un Letta che sembra predisposto per cognome, tutta gente che è già praticamente invotabile adesso. Ma anche qualche giovane, anche qualcuno di loro dovrà sacrificarsi, sennò non la cosa non sarebbe credibile. Costoro perderanno qualsiasi barlume di popolarità entro la prossima settimana; ma continueranno a gestire il marchio del PD per tutta la legislatura breve o lunga che sarà. Immaginiamocela media, due anni e mezzo.
Nel frattempo il partito va rifatto da un'altra parte. Scissione, mitosi, partenogenesi. Qualche deputato, ma pochi! Che all'inizio mica conviene litigare. Però devono votare contro, devono andare all'opposizione. Un'altra struttura, più leggera, che faccia capo a nomi più o meno nuovi, non compromessi con governi precedenti e associabili a successi elettorali locali, che vi immaginate benissimo da soli. Tra due o tre anni poi si rivoterà, ma nel frattempo?
Potrebbero succedere cose molto brutte. Default parziali, prelievi forzosi, chi è al governo sarà ancora meno popolare di quanto non sia adesso, possibile? Lo sarà. Dovrà anche assicurare che Berlusconi e le sue aziende abbiano un trattamento di riguardo, qualsiasi cazzata il boss abbia fatto o rifarà. Per dire, spuntasse in qualche commissariato la nipotina del rais del sarkazzistan, toccherà votare in ordine e compunti per salvare l'onore della nipotina sarcazza. Sarà il governo più odiato e sbeffeggiato del secondo dopoguerra, ma c'è di buono che Berlusconi ci sarà invischiato. Molto di più che col governo Monti. Dovrà metterci i suoi uomini e dovrà difenderli. Quel che più odia è mettere la sua faccia tirata su provvedimenti impopolari. La bad company varerà provvedimenti impopolari e ci metterà anche la sua faccia. Accanto alla faccia di un Amato. Ma Amato non si ripresenterà mai alle elezioni, Berlusconi ancora ci spererebbe. Se ci si muove bene, la bad company può togliergli la voglia.
A proposito, io penso ancora che Cologno debba essere distrutta. Avendo i mezzi, è la prima cosa che farei. In questa situazione, se qualcuno arriva con un piano meno contorto di questo, lo sto a sentire con piacere. Purché non c'entrino in qualche modo i m5s: mi dispiace tanto (sul serio: tanto), ma con quelli non si fa niente. Non collaborano, non gli conviene. Non gli conviene nemmeno vincere le elezioni, non ci guadagnano un granché. Sono venditori di rabbia, non hanno il minimo interesse a farla passare a nessuno.
Quindi, se per una volta nella vita andasse tutto giusto, come nei film, senza incidenti di percorso o qualcuno che ha piani più astuti dei tuoi e informazioni migliori delle tue, magari tra due anni Berlusconi è bollito nel brodo della bad company, mentre la good company vince le elezioni. Quindi.
Quindi Renzi fuori dal PD prima che può, secondo me. Se proprio ci tiene. Ogni minuto che passa è un minuto più tardi. Sono l'ultima persona al mondo qualificata per dagli un consiglio, ma comunque il mio è questo.
Io invece probabilmente resto nella bad company a far scena, avete presente il classico rivoluzionario a vent'anni trombone a quaranta, ecco, collimo perfettamente. Mai pensato di meritare di meglio.
Ma voi ragazzi andate, cazzo ci state a fare ancora qua sotto.
Grillo, o dell'egemonia
22-04-2013, 03:32Beppe Grillo, cultura, ho una teoria, PdPermalinkIl PD - ammesso esista ancora - ha tanti problemi. Quello della comunicazione non è secondario (continua sull'Unita.it)
Twitter ha fatto fuori Bersani?
20-04-2013, 03:21interfacce, internet, la sinistra perde anche per questo motivo, Pd, Quirinali, TwitterPermalinkMa sul serio Twitter può aver fatto fuori Bersani? No, sul serio no.
In un certo senso Pier Luigi Bersani non era più segretario del PD già da qualche settimana, anche se la situazione non gli consentiva di cedere un posto in cui, peraltro, nessuno in questi giorni vorrebbe sedersi. In un certo senso il Pd è già finito a febbraio, abbiamo avuto il tempo per elaborare il lutto. Dopo la sconfitta elettorale Bersani più che segretario era diventato curatore fallimentare, con l'incarico di verificare due possibilità: un accordo col M5S (mandato a monte in una storica e avvilente diretta in streaming), e un compromesso più o meno onorevole col PDL. Quest'ultima possibilità richiedeva l'elezione di una persona non sgradita a Berlusconi; l'accordo quindi era possibile, ma a quel punto qualcuno ha detto no. Cioè, molti hanno detto di no. E pare che l'abbiano detto su Twitter (e su Facebook, certo).
Il primo a scriverlo, con tutte le sue tipiche cautele, è stato Luca Sofri: il modo in cui si è arrivati al boicottaggio di Marini, con i Grandi Elettori terrorizzati da quello che leggevano sui loro feed, è qualcosa di nuovo, che nel mondo pre-social-network non avremmo visto. Poi la discussione si è ampliata, ma nel frattempo pare che Bruno Vespa abbia accusato i Grandi Elettori di essere "tutti prigionieri di questo oggetto qua", indicando un Ipad; Ferrara ha proposto di censurare tutto quanto ecc. ecc. Insomma l'argomento è diventato mainstream, ne parla anche chi non sa bene di cosa si tratti. Non è la solita proiezione autoreferenziale dei venticinque sciroccati che senza i social non saprebbero nemmeno se fuori piove o cosa c'è in tv (presente). Pare che Twitter sia diventato importante. E non ha nessuna importanza che lo spaccato di società che offre ai suoi utenti non sia in nessun modo significativo; basta che ne siano convinti i grandi elettori mentre scrollano i loro iPad.
Può darsi che Twitter abbia funzionato proprio perché, paradossalmente, è ancora uno strumento poco diffuso in Italia, poco rappresentativo, poco penetrante; se nei feed ci fosse realmente tutto il Paese reale, la campagna #RodotàPerchéNo scomparirebbe come una goccia nel mare. Ma Twitter non è ancora un mare, è una pozza dove pastura qualche migliaio di utenti a cui è toccata quasi in sorte quella che una volta chiamavamo egemonia culturale. Come i cinquantamila fortunelli che hanno il diritto di decidere il candidato M5S per tutti gli otto milioni di elettori M5S: non ha nessuna importanza che siano così pochi, l'importante è che tutti si convincano che la scelta è stata condivisa con "la gente". Allo stesso modo in cui lo streaming non serve a rendere davvero trasparenti le decisioni, ma a fornire un simbolo di trasparenza. Magari quando tra sette anni si rieleggerà un presidente sarà tutto diverso, magari l'idea di considerare rilevante il flusso di emozioni di qualche migliaio di follower ci sembrerà di nuovo fuori dal mondo. Oppure sarà il concetto stesso di elezione indiretta del presidente della repubblica a sembrarci fuori del mondo: saremo troppo abituati a esprimere giudizi e condividerli continuamente per sopportare che un Presidente venga espresso da intermediari. Ma sarà già una gran cosa arrivarci, nel 2020.
Già da ieri Bersani era stato sostanzialmente sostituito da un'intelligenza collettiva che aveva deciso di bocciare qualsiasi ipotesi collaborazionista con il PdL esprimendo il candidato meno gradito a Berlusconi: Romano Prodi. Si è visto nell'occasione quanto fosse intelligente l'intelligenza, e quanto fosse collettiva la collettività. A questo punto francamente non so cosa succederà, però tutto sommato non mi sembra che la situazione sia tragica: Rodotà, la Cancellieri, perfino D'Alema, sono ancora buoni nomi; rammento quando nella stessa aula si contavano le schede di Forlani o Andreotti, direi che un progresso c'è. Mi dispiace per Bersani, che paga per errori non solo suoi, per Prodi che aveva il curriculum migliore, e un po' meno per il PD, che si è dimostrato sterile come molti ibridi. Avrei preferito che Bersani curasse il fallimento ancora un po', lasciando ad altri il tempo per mettere in piede qualcosa di nuovo e più credibile. Invece adesso diventa tutto più caotico e con gli anni il caos mi piace sempre meno.
Per esempio, in questi giorni mi sembrate tutti incazzati, eccitati. Stracciate tessere, scrivete "mai più", scommettete, litigate, ecc.. Non è che io non capisca tutto questo - e se devo essere onesto sono preoccupato anch'io. Però non ho tutta questa voglia di tifare. Anche l'altra sera, forse qualcuno si aspettava un proclama "mai con Marini", "no all'inciucio" e tutta questa serie di cose. Io in realtà l'ho scritto, che se fosse stato per me avrei preferito Rodotà; ma l'ho scritto in piccolo, in un inciso, perché le mie preferenze in un'elezione indiretta sono abbastanza secondarie. È che in questi giorni tutti tifano, e io non ho nulla contro chi tifa, ma non ho molta voglia. È proprio un atteggiamento: quando tutti fanno una cosa, a me passa la voglia di farla. Questo non mi rende la persona più simpatica al mondo, ma credo sia il motivo per cui questo blog qualche volta (qualche volta) è interessante: se volete qualcuno che scriva semplicemente "votiamo Rodotà!" "No all'inciucio", là fuori è pieno. Sul serio, ce n'è di molto bravi, non avrebbe neanche senso gareggiare.
Tutto ciò che succede succederà oggi
18-04-2013, 03:46Pd, QuirinaliPermalinkTest: riconosci i tuoi Presidenti? |
In mezzo c'è stata l'esperienza del governo Monti, o "del presidente"; il momento in cui ci siamo tutti accorti che nei casi di emergenza l'inquilino il Colle è tutt'altro che un potere simbolico, ma può fare la differenza. Paradossalmente questo è avvenuto durante la fase finale di un settennato estremamente equilibrato: niente a che vedere con gli estri di un Pertini, le mattane di un Cossiga, le prese di posizione di Scalfaro. La situazione si è poi talmente ingarbugliata che mi è capitato più volte di leggere persone fino a poco tempo fa molto lucide insistere sulla possibilità di prolungare il mandato di Napolitano oltre al compimento del novantesimo anno di età - una pazzia. Ma stiamo un po' tutti impazzendo, forse, e forse non è del tutto colpa nostra.
Per esempio è colpa del Porcellum, che ci ha svuotato la democrazia nelle mani. Ormai ci scandalizziamo del fatto che i leader di coalizione - che pure abbiamo votato - provino ad accordarsi su un nome. Meglio Grillo che fa un sondaggino on line, anche se si pianta appena vota qualche migliaio di utenti, anche se i candidati più votati si scoprono farlocchi, non importa, col sondaggino la gente si esprime. Siamo diventati presidenzialisti in mancanza di niente, e il modo in cui vogliamo eleggere il nostro Presidente è internet: appelli, sondaggi, mail bombing ai parlamentari, ecc. Come tutte le cose su internet, da qui non si capisce davvero se siano davvero importanti o se facciano soltanto parte di una bolla intorno a me che scrivo e voi che leggete: sul mio laptop stanotte è in corso una ferocissima campagna anti-Marini e pro-Rodotà, ma non sono sicuro che al bar qui di fronte ne sapranno mai qualcosa.
Un'altra cosa che è cambiata tantissimo rispetto al 2006 è la finestra attraverso cui ci arrivano le notizie. Parlo per me: al tempo leggevo soprattutto quotidiani (già più on line che carta). Oggi tutto mi arriva già socializzato da facebook e twitter, ed è soprattutto in questi casi che si nota la differenza. È tutto straordinariamente drammatizzato. Nel 2006 non ero il solo a nutrire una notevole antipatia per D'Alema, che in seguito la pochezza di altri suoi colleghi ha stemperato; ma quando il suo nome cominciò a essere incluso nelle rosa dei quirinabili non ricordo folle inferocite di elettori di sinistra. Anche Marini era nella rosa, e già allora non brillava per popolarità, ma non ricordo reazioni lontanamente paragonabili a quello che sta succedendo in queste ore, soprattutto su internet. Da ogni finestra, da ogni spiraglio, stanno arrivando messaggi di sdegno degli elettori del PD per l'orribile scelta di candidare al Quirinale uno dei fondatori del PD, Franco Marini. C'è evidentemente qualcosa che non va.
Può darsi che il problema sia la finestra stessa. Stiamo tutti socializzando troppo, non facciamo che comunicare emozioni. Coniamo slogan, facciamo battute, ci incazziamo fortissimo eccetera. A un certo punto qualcuno comincia a dire "Rodotà" - la terza scelta di un referendum on line a cui hanno partecipato poche migliaia di persone - e ci convinciamo che Rodotà sia una scelta popolare, mentre Marini no. Fosse per me, tra l'altro, Rodotà tutta la vita. Ma la maggior parte degli elettori m5s probabilmente non ne ha mai sentito parlare - così come di Marini non ha sentito parlare la maggior parte degli italiani mai tesserati CISL. Del resto anche Napolitano o Scalfaro non erano esattamente dei Vip. Che insomma ci siano fuori, nelle piazze, milioni di persone disposte a incatenarsi per Rodotà al Quirinale mi sembra abbastanza impossibile. Sono twitter e facebook che ci stanno facendo uscire scemi: se poi Grillo fa un sondaggino on line lo prendiamo per una notizia. Su twitter e su facebook poi tutti danno ormai per scontato che un'intesa su Rodotà potrebbe spalancare le porte a un'alleanza Pd-M5S. Lo ha fatto capire Grillo in un filmatino dal camper, e ci stiamo credendo. Ovviamente Grillo potrebbe rimangiarsi la promessa quando vuole. Ovviamente poi Bersani sarebbe accusato di avere abboccato a proposte improbabili, ecc.
Dall'altra parte della finestra, comunque, c'è una situazione che ci sembrerebbe folle anche se non la vedessimo con le lenti deformate dei social network. Il PD ieri è oggettivamente esploso, anche se non lo guardi dalla soggettiva delle schegge, i tweet dei partecipanti all'Assemblea di ieri sera. Marini rappresenta quell'ala margheritina (ma non prodiana) del PD che esiste ormai soltanto nell'apparato, e non ha nessuna presa sugli elettori. Prova ne è che ogni volta che qualcuno della stessa area fuoriesce (Rutelli, la Binetti) il PD non perde un decimo di voto. Lo sa benissimo Renzi, che viene da lì ma che ha un progetto completamente diverso: Renzi sa che non esiste più un centro moderato, ma piuttosto un centro immaginario, da popolare di trovate mediatiche, un centro anche un po' commerciale, con gli Amici di Maria in sottofondo. Alla fine, se togli tutto il melodramma di contorno, sembra quasi un gioco delle parti: mentre Bersani va verso una esecranda alleanza di respiro cortissimo con il PdL (buona giusto per rifare la legge elettorale, a questo punto ai danni del M5S), Renzi può approfittarne per tirare la volata degli antimariniani. Si va insomma verso lo scorporo del PD: la bad company con Bersani, e quelli che vinceranno la prossima volta con Renzi. Se non sbaglio era lo scenario #121. Beh, poteva andarci peggio. Forse.
Elogio del suicidio assistito
24-03-2013, 14:17elezioni 2013, la sinistra perde anche per questo motivo, PdPermalinkLa questione è tanto semplice da formulare quanto difficile da risolvere: l'Italia ha bisogno di un governo, i tre partiti che hanno pareggiato le elezioni no. Non conviene al M5S sporcarsi le mani e scoprire i suoi bluff; non conviene al PdL consentire ad altre Larghe Intese che con Monti hanno già alienato molti elettori; e non conviene al PD allearsi a Berlusconi. Però si deve formare un governo, anche se qualsiasi governo sarà disastroso per i partiti che acconsentiranno a partecipare e suicida per il leader che ci metterà la faccia. Proprio per questo motivo il candidato più probabile sin dal 26 febbraio era il PD di Pier Luigi Bersani.
Non perché abbia vinto le elezioni - non le ha vinte - ma perché è l'unico dei tre che quando le cose si mettono male ha dimostrato di essere in grado di anteporre l'interesse della collettività al proprio. Lo si è già visto quando, nell'autunno del 2011, in un momento così complicato per i conti pubblici Bersani decise di sostenere un governo Monti invece di andare alle elezioni e (a detta di tanti osservatori che non potranno mai essere smentiti) vincerle. Non gli interessava vincere e governare sulle macerie, disse, e quindi non vinse né allora né poi.
Se ora propone un governo di scopo o di vivacchiamento col PdL - e non ci sono molte alternative - Bersani si suicida: probabilmente lo sa, ma sa anche di non avere molte speranze di vita comunque. La sua parabola politica è in ogni caso al culmine; tra qualche mese ci sarà un congresso e difficilmente lo confermerà; se poi si facessero altre primarie, è implausibile immaginarlo non dico vincente ma persino candidato.
Paradossalmente, Bersani a questo punto è più leggero. Proprio perché il partito non è più il suo, può giocarselo; non ci perde niente e tutto sommato non ci perdiamo molto neanche noi: è un partito che dalla sua fondazione nel 2007 a oggi ha sostanzialmente fallito tutti gli obiettivi a livello nazionale. Mi può costare un po' di fatica ammetterlo, non mi piacciono i partiti che cambiano nomi come le squadre di calcio a ogni turno di sponsor. Per deformazione professionale preferisco i partiti con un lungo passato alle spalle, ma a ben vedere il PD non lo è. È un partito nato pochi anni fa da un'intuizione o da un calcolo che si sono rivelati - facile dirlo col senno del poi, ma comunque va detto - sbagliati. Si sperava di conquistare il cuore del Paese o almeno tenersi un buon 40%, siamo invece ancorati al 25% qualsiasi cosa tentiamo di fare. Non riusciamo a essere di sinistra e cattolici assieme, non ci riusciamo perché il filone del cattolicesimo di sinistra si è sostanzialmente esaurito: è un processo più vasto di noi, a cui avremmo dovuto prestare più attenzione.
Molti dei padri fondatori invece di diventare nomi nobili sono additati al pubblico ludibrio - a torto o a ragione, inutile discuterne, è andata così: c'è un solido blocco in Italia che piuttosto di votare per un centrosinistra europeo è disposto a votare per i batteri del calcare, alcuni dei quali hanno effettivamente partecipato alle parlamentarie di Grillo e Casaleggio. A questo punto un partito di centrosinistra in Italia è da rifondare da capo, meglio senza ancoraggi biografici a quel PCI che ancora tormenta i sonni di una fetta consistente degli elettori italiani. È una cosa che va fatta, prima che ci pensi Renzi, salvo che probabilmente Renzi ci pensa da mesi e quindi la farà lui. Nel frattempo, tanto vale tenersi quel che resta del PD al governo, una specie di bad company del consenso.
Un mese fa, a urne appena aperte, qualcuno aveva già iniziato a chiedere le dimissioni di Bersani e la relativa immancabile sessione di autocritica sugli errori del PD. Il fatto che io nel mio piccolo non abbia voluto partecipare non significa che errori non ce ne siano stati e che un'autocritica non sia opportuna. Il punto è che quello che abbiamo perso il 26 febbraio è qualcosa di lievemente più grave che una leadership di partito: secondo me il partito non ha più possibilità di risollevarsi da una batosta così. Anche l'automatica reazione dei sostenitori di Renzi, per quanto comprensibile, non ha molto senso: se il PD è il partito delle primarie, che ha espresso il suo candidato alle primarie, e se questo candidato è piaciuto così poco agli elettori, forse il problema non è soltanto Bersani. Forse vanno ripensate anche le primarie, perché non hanno mai espresso un candidato in grado di vincere le elezioni - e non si vede come possano riuscirci in futuro. Chiedere le dimissioni di Bersani implica che ci sia ancora qualcosa da cui ci si può dimettere: per me semplicemente non c'è, il PD è nei fatti finito.
Bersani, ho sentito dire da molti, ha fallito la campagna elettorale perché non ha saputo incantare gli italiani. Si è ostinato a dir loro la verità e la verità non è una cosa che ti fa vincere le elezioni. Può darsi che abbiano ragione, però alla fine qualcuno che dica un po' di verità ci deve pur essere. Non possono tutti dire che si possono rendere i soldi delle tasse e non pagare più i debiti. Anche adesso, mentre la situazione comincia a farsi pesante, Berlusconi ha soprattutto in mente i suoi processi, Grillo è su qualche auto a idrogeno sospesa nel blu del cyberspazio, Bersani è sulla stessa terra su cui camminiamo noi. Dovrà fare concessioni disonorevoli, potrà fare qualche riforma sensata di cui anche stavolta gli disconosceranno il merito, ma alla fine non ci resta che lui, e a lui non resta che suicidarsi così. Se poi trovasse qualche altro "tecnico" da mandare al suo posto andrebbe bene lo stesso, ma non si vede chi e per quale motivo gli converrebbe. È un lavoro impossibile, i margini di successo sono ristrettissimi, se non ce la fai sei morto e se ce la fai sei morto comunque. È un lavoro per Pier Luigi Bersani.
Che v'ha fatto Rosy B.
19-03-2013, 01:03cristianesimo, omofobie, Pd, ponteficiPermalinkA questa character assassination, come dicono gli inglesi, ha collaborato certo l'allegro tesoriere Lusi, ma nell'ultimo anno ci ha messo del suo anche la Bindi, che messa sotto pressione non ha reagito sempre nel modo migliore. Nel momento in cui il dibattito interno nel PD è diventato la rottamazione, pardon, la questione generazionale, la Bindi (senza essere affatto anziana) con alcune sue reazioni non compostissime ha dato diversi argomenti ai rottamatori. Però il mobbing collettivo nei suoi confronti parte da prima. E prosegue.
Anche ieri stavo pensando alla Bindi, quando ancora ignoravo l'exploit della parlamentare m5s che si vantava su Facebook di averla trattata con maleducazione in parlamento. Stavo discutendo con un commentatore che mi invitava a considerare quanto bene abbiano già fatto i m5s: senza di loro invece di Grasso e della Boldrini a presiedere le camere avremmo gente come D'Alema o la Bindi, t'immagini? D'Alema o la Bindi. Quando uno vuole esprimere in sintesi quanto male abbia fatto il centrosinistra in Italia, cita D'Alema o la Bindi. Io ero a tanto così da mettermi a spiegare distesamente perché entrambi sarebbero stati ottimi nomi, magari non simpatici ma molto competenti; senz'altro più di Grasso, che è un'ottima scelta ma dovrà presiedere un Senato senza nessuna esperienza in Senato. Per fortuna avevo di meglio da fare che difendere una causa persa. Giusta, magari, ma persa.
Su D'Alema tagliamola corta. Non mi è mai stato simpatico, non ci ha neanche provato. Ma non avrebbe potuto mai essere candidato a Camera o Senato, siccome non è stato eletto (non si era nemmeno candidato). Altro discorso il Quirinale, da cui però lo allontanano le nomine di due presidenti di centrosinistra. E infatti Grillo sta già chiamando a raccolta ai suoi contro la spaventosa eventualità: così se non si verificherà (come è probabile) potrà cantare vittoria e dimostrare la coesione dei suoi. Del resto, per come stanno le cose MD'A potrebbe farsi monaco, anche Zen, spararsi nello spazio con o senza capsula, seppellirsi in un letto di calcestruzzo sotto la fossa delle Marianne, non ha nessuna importanza. Qualche giornalista o blogger con l'aria saputa continuerebbe a spiegarci che dietro qualsiasi strategia del PD c'è dietro lui, un diabolico piano per diventare sempre più potente, come Goku, e fare dispetti a Vegeta, pardon Veltroni. È il modo in cui hanno scelto di raccontarcela e non sarà mica la realtà a farli cambiare idea, ci mancherebbe. D'Alema in realtà è stato un bravo ministro degli Esteri, ma ha comunque fatto tanti errori nella sua carriera (veramente troppi, considerate la sua intelligenza e la sua competenza) e se a questo punto la gente lo detesta non val la pena di spezzar lance, è andata così. Ma Rosy Bindi?
(Via Giornalettismo) |
Non solo gli abitanti della grillosfera, che alla maleducazione istituzionale sono stati, per così dire, pazientemente rieducati. Perché una persona x che vuole additare un piddino biasimevole, una volta su due sceglie l'ex ministro che varò la riforma della sanità, la politica cattolica che, in splendido isolamento, parlava di diritti alle coppie di fatto nel 2006? Ichino è una vittima del terrorismo perché una volta due tizi in una conversazione intercettata fantasticavano di dargli fuoco; la Bindi giovanissima rischiò la vita nell'attentato a Vittorio Bachelet, e di ciò non frega nulla a nessuno. Ce l'hanno tutti con Rosy Bindi. Ma non da tantissimo tempo: è una cosa degli ultimi anni, prima il personaggio godeva anche di una certa simpatia. Allora io purtroppo ho una teoria - meno di una teoria, diciamo un pregiudizio. Nulla mi leva dalla testa l'idea che dietro a questa aggressività sempre meno latente (se ormai spunta anche a Montecitorio), dietro a questo bullismo trasversale, ci sia dietro il solito maschio Alfa: Silvio Berlusconi.
È lui che ha iniziato. I bulletti odierni ovviamente non lo sanno - sono appena arrivati, e poi "non guardano la tv" - però si sa come vanno le cose nei corridoi: se sputano a Rosy come a una vecchia insegnante stronza è perché hanno visto i più grandi prima di loro sputare alla maestra stronza. E i più grandi, qualche anno fa, erano più piccoli e seguivano il Capo. È come con Angela Merkel, la culona inchiavabile. Che risate quando saltò fuori il bigliettino. Che indignazione, anche. Però... che risate. E poi col tempo, e con l'aggravarsi dello spread, anche chi fingeva di prendersela ha cominciato a convenire, nei banchi di dietro, che la tizia tanto chiavabile non fosse. Ahah. Silvio è il Bullo Primo: ridono tutti di lui, però alla fine lo copiano. All'inizio è insopportabile, poi ti ci abitui, poi lo trovi divertente, poi fa tendenza, poi governa per un ventennio, poi ti ritrovi bombardato ed è tutta colpa sua, noi non è che ci credessimo, noi, stavamo soltanto scherzando, noi.
Angela |
Ma quello è un altro discorso - la guerra tra la Bindi e i LGBT. L'aggressività di quest'ultimi, censurata pure da Ivan Scalfarotto, si potrebbe in parte scusare - dopotutto quella dei diritti civili è una battaglia sacrosanta - se qui non prevalesse la vecchia abitudine a giudicare le azioni dai risultati, e per ora l'unico risultato concreto di costoro è avere offeso Rosy Bindi, fine. Offendendo Rosy Bindi non hanno conquistato alla causa nessun cattolico, il che potrebbe essere un problema in un Paese in cui un Papa, qualsiasi Papa, gode di una luna di miele almeno biennale qualsiasi cosa faccia o dica, compreso Buonasera e Buon Pranzo. Se poi tra un Buona Notte e un Arrivederci ci infila anche un Niente Adozione ai Gay che Comunque Vanno All'Inferno, nessuno se la prenderà troppo. Del resto ora che il PD ha perso le elezioni, del fondamentale dibattito sui diritti civili non frega più niente a nessuno, visto che dei gay in Italia non frega niente a nessuno: l'unico servizio che rendono è mettere in difficoltà il partito ex comunista ed ex democristiano ogni volta che rischia di vincere le elezioni. Se poi Bersani o qualcun altro riuscirà a mettere in piedi un governo, senz'altro l'argomento tornerà d'importanza vitale: ma soltanto finché serve a creare tensioni in un partito che malgrado la robusta componente cattolica ha cercato faticosamente di mettere in agenda il problema.
Rosy Bindi è stata, nel 2006, la cattolica più coraggiosa d'Italia: ha messo il suo nome su una proposta di legge che ben pochi cattolici si sarebbero sentiti di controfirmare. Se la proposta fosse passata nel 2007, oggi le coppie omosessuali sarebbero riconosciute per legge. Non sarebbe stato tutto, ma sarebbe stato già qualcosa, e sarebbe successo sei anni fa. Oggi un eventuale dibattito partirebbe da posizioni molto più avanzate. Quel che è successo invece è che Rosy Bindi è diventata la vittima designata di un tiro al piccione, promosso da attivisti e da leader che piuttosto di procedere faticosamente per gradi, un po' per calcolo un po' per istinto (bullistico istinto) hanno preferito arroccarsi nel Tutto o Nulla, sperando che prima o poi le conquiste ottenute altrove in Europa vengano estese all'Italia per contagio. Va bene, è un calcolo.
A volte, non so, mi sembra più intelligente che bella. |
C'è una frase in particolare che ha consegnato la Bindi alla riprovazione universale, che ovviamente è possibile ritrovare sulla pagina di Wiki a lei dedicata (dove non c'è traccia del lungo affaire Di Bella, per esempio):
Il desiderio di maternità e di paternità un omosessuale se lo deve scordare. [...] Non sarei mai favorevole al riconoscimento del matrimonio fra omosessuali: non si possono creare in laboratorio dei disadattati. È meglio che un bambino cresca in Africa [che in una famiglia di omosessuali].La maggior parte dei cattolici la pensa così. Il Papa la pensa così - però è un tizio simpatico, vuol bene ai poveri e tifa anche una squadra di calcio, mica te la puoi prendere con lui poverino. Rosy Bindi, unanimemente condannata per aver considerato gli omosessuali genitori peggiori degli africani, ha solo messo la sua faccia sotto questo pensiero così scandalosamente non-contemporaneo. E per questo pagherà, sta già pagando. Da quel che mi sembra di ricordare il paragone tra gay e africani era stato proposto dall'intervistatore: il razzismo della risposta riflette quello della domanda. Per noi contemporanei, che riteniamo i gay assolutamente normali proprio in quanto gay (e cioè determinati dalla loro identità di genere), non ci può essere dubbio: l'Africa è un brutto posto, l'Europa un luogo migliore (dove infatti i diritti dei gay sono riconosciuti), e quindi dire, o anche solo pensare che un bambino africano possa vivere meglio in Africa che in una famiglia gay, è blasfemo. La pensiamo così (anch'io tutto sommato la penso così), è la nostra religione.
Rosy Bindi non la condivide. Per lei si può vivere una vita piena in Europa come in Africa; la differenza non la fa il PIL pro capite, la speranza di vita media, né il rispetto di cui godono le minoranze. I cattolici credono in una vita eterna, e subiscono il mito sempre vivo delle missioni, dove si vivrebbe una fede più pura. Insomma hanno altri parametri, tra cui c'è l'avere un padre e una madre, anche poveri, anche africani; per la Bindi è meglio. La pensa così. E lo dice. Milioni di persone in Italia la pensano così. Se vogliamo ottenere qualcosa, dovremo chiederlo a quei milioni di persone, attivare un dialogo - o aspettare che invecchino, ma salta invece fuori che si riproducono di buona lena. A questo dialogo Rosy Bindi era disponibile. Non avrebbe mai concesso matrimonio e diritto di adozione, ma intanto riconosceva il problema, e ci mise la faccia. L'ha persa.
Alla fine non è così difficile capire perché ce l'hanno con lei. È sola. Rappresenta un progressismo cattolico ormai scomparso dalle parrocchie. Gli altri cattolici non la riconoscono quasi più tale. I non cattolici non capiscono che senso abbia discutere con lei. Probabilmente non ha davvero più senso, è rimasta isolata, in ostaggio di progressisti che a loro volta sono circondati da reazionari. La gente questa cosa non la capisce, la gente la fiuta. Sente l'odore della preda facile, si eccita e accorre in frotta. Siamo fatti così, nasciamo così e a quanto pare abbiamo il diritto di comportarci così.
Rosy Bindi ha anche fatto cose giuste e importanti, ma ormai non ha senso ricordarle. Non ha senso perder tempo a spezzar lance, se ci tieni alla carriera. È spacciata. Per intestardirsi a difenderla bisogna essere dei cagacazzo di bastian contrari senza arte né parte, che non hanno mai capito come si salta sul carro giusto. Presente.
È tutto On Line, diceva
12-03-2013, 12:11Beppe Grillo, ho una teoria, Pd, RenziPermalinkl'altra sera l'ho sentita chiedere a Bersani di inserire tra gli otto punti l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, cioè in pratica la fine del PD come lo conosciamo (e non è detto che sia un male); l'ho sentita affermare che non sarebbe un atto di demagogia, ma "di serietà". E va bene. Caro Matteo Renzi,
questo tipo di richieste, non sarebbe stato più serio farle dopo avere pubblicato la lista dei finanziatori della sua campagna? Aveva promesso che in 90 giorni sarebbe stato tutto on line; i 90 giorni sono passati, come ha notato Eleonora Franchini sul Fatto, sul suo sito ci sono ancora le briciole, le donazioni sotto i cento euro. I nomi di chi spese, per esempio, più di mille euro per una cena ancora non ci sono, on line; e il tesoriere della Fondazione BigBang ha più o meno ammesso che alcuni non ci andranno mai, on line; perché non hanno dato il loro consenso eccetera eccetera. Quindi, insomma, quando lei diceva che tutto sarebbe andato on line, un po' si sbagliava. Do per scontata la sua buona fede.
Caro Renzi, chi le scrive non è stato molto tenero con lei durante le primarie. Eppure, nel mio piccolo, sono tra quelli che si sono molto ricreduti nei suoi confronti in queste ultime settimane. Dopo le elezioni abbiamo visto ricomparire un partito trasversale di osservatori che ritengono che non ci sia emergenza democratica in Italia che non si possa risolvere con l'ennesima sessione di autocritica del vertice del PD: non erano ancora finiti gli spogli che già chiedevano la pelle di Bersani; sono passate due settimane e non si sono ancora presi una pausa. Nel frattempo Grillo lancia anatemi, Berlusconi si dà malato e manda i peones all'assalto dei tribunali, ma per costoro sono tutti dettagli: l'unica cosa che conta è che Bersani se ne vada. Il fatto che lei, l'unico ad avere sfidato apertamente l'apparato del PD in una consultazione democratica (e ad avere perso), non si sia unito al coro, è una cosa che le fa onore; lei sa - altri fingono di non sapere - che la posta in gioco stavolta non è semplicemente la leadership di un partito; se Bersani non riesce a formare un governo, la sorte del PD sarà l'ultimo dei nostri problemi.
Cerchiamo di restare seri, allora (continua sull'Unita.it, H1t#170).
La situazione è eccellente
26-02-2013, 01:28Berlusconi, elezioni 2013, Pd, RenziPermalinkL'Italia è il Paese in cui vivo; ci ho messo una famiglia e nessuno mi ha costretto. Quindi il pessimismo - che pure mi appartiene - più di tanto non me lo posso permettere. Perciò adesso uscirò su questo blog con la faccia più rilassata che riesco ad avere e dirò che è stata una grande giornata di democrazia, e che sotto a tanta confusione la situazione è eccellente. Tanti partitini del passato non li vedremo più, in compenso vedremo molte facce nuove e questo è comunque qualcosa. Può persino darsi che da un parlamento tanto strano esca fuori il nome di un buon presidente della repubblica; che due dei tre partiti che in questo momento stanno sostanzialmente pareggiando riescano a mettersi d'accordo almeno su una legge elettorale che penalizzi il terzo, il feudo di Silvio Berlusconi. Può darsi che dai rottami del PD, il partito per cui ho votato e che ha definitivamente fallito la sua missione, nasca qualcosa di nuovo e di migliore, o almeno di più interessante per gli italiani. Può darsi che poi si rivada a votare tra qualche mese e la situazione si chiarisca di molto.
Nel frattempo può anche darsi che i mercati decidano di non puntare sul default italiano che Grillo invocava in campagna elettorale; può darsi che lo spread non schizzi in su e che non ci forzi la mano in nessun senso. Può darsi che il caos italiano riesca dove non è riuscita la crisi greca, a richiamare l'attenzione dell'Europa su dove porta la politica del rigore, e a stimolare un cambio di rotta che ci farebbe poi dire che Grillo, ben al di là delle sue intenzioni, ha salvato l'Europa in un momento in cui cominciavano a vedersi le crepe. Tutti questi "può darsi" hanno credo l'1% di possibilità di verificarsi tutti assieme, e ciononostante ci voglio e ci devo credere, non ho altra scelta.
Dopodiché, ok, mi sono sbagliato. Ci siamo sbagliati in tanti. Prendete gli istituti demoscopici. Hanno sbagliato tutti. Si sbagliano sempre, a ogni tornata elettorale ci facciamo caso, e dopo un po' torniamo a fidarci di loro perché non abbiamo scelta. Ma si sbagliano sempre e questo non scusa, ma spiega, gli errori commessi in campagna elettorale. Noi che discutiamo di politica trascorriamo mesi, anni, in una dimensione alternativa costruita da sondaggi che si autoalimentano e che, ogni volta che li vai a verificare, sbagliano sempre. Tante cose che ci siamo detti in questi anni, ad esempio "il PD avrebbe potuto andare alle elezioni nel 2010 e vincerle"; chi lo ha detto? I sondaggi. Magari era vero, magari no; Berlusconi storicamente è sempre sottostimato, sempre. Ci siamo convinti giorno per giorno, proiezione dopo proiezione, che il PD godesse del consenso di una fetta più importante dell'elettorato; magari era vero, ma appena siamo andati a verificare ci siamo accorti di no: ed è sempre così con le elezioni nazionali. Evidentemente il PD ha sbagliato strategia e tattica; facilissimo dirlo adesso; i sondaggi raccontavano cose un po' diverse e non avevamo moltissima scelta: o credevamo a loro o tiravamo a indovinare, colpi alla cieca. Per la verità abbiamo anche fatto qualcosa di più di un sondaggio: le primarie. E non hanno funzionato, come si è visto: Bersani ha vinto le primarie del partito nel 2009, quelle di coalizione nel 2012, e nelle urne ci ha dato il risultato peggiore. Mi dispiace per lui e gli rinnovo la stima, ma le cose sono andate così.
A quelli che ora recrimineranno che con Renzi sarebbe andata in un modo diverso: può anche darsi, statisticamente era molto difficile fare peggio di quanto ha fatto Bersani. Ma soprattutto non c'è modo di avere una controprova, e si sa come funzionano le leggende in questi casi: i migliori imperatori sono sempre quelli che muoiono avvelenati prima dell'incoronazione, loro sì che avrebbero governato in modo retto e pio. Però chi sosteneva che Renzi avesse più possibilità di vincere si basava su dei sondaggi: sondaggi piuttosto falsati, peraltro, visto che calcolavano un milione di elettori in più. Io - basandomi su altri sondaggi, altrettanto fallaci probabilmente - pensavo che Renzi non fosse il candidato più adatto a vincere. Al di là delle spiacevolezze emerse verso la fine della campagna delle primarie, ritenevo che un candidato troppo centrista avrebbe fatto perdere voti a sinistra, in direzione di una cosa che ancora non c'era (Ingroia era in Guatemala), ma che ritenevo potesse essere decisiva per far perdere voti e seggi al PD+SEL. Ho sbagliato soprattutto in questo, perché dati alla mano, alla sinistra di SEL non esiste ormai più niente (anche SEL non esiste tantissimo). Probabilmente ho sopravvalutato la cerchia delle mie frequentazioni. Tutta la frangia che una volta contestava i DS da sinistra è confluita nel Movimento di Grillo e forse questa è una buona notizia, stasera ho deciso che lo è.
Per contro i renziani sostenevano la necessità di cercare voti al centro. Renzi sarebbe riuscito là dove nessun leader di centrosinistra era riuscito, a trovare pepite di consenso nello stagno dove pasturavano Casini e Fini. Nella loro narrativa (che è destinata a diventare la vulgata ufficiale, finché Renzi di nuovo verrà nella gloria), probabilmente Monti non si sarebbe candidato, persino Berlusconi avrebbe evitato di competere, e Renzi avrebbe vinto facile. Io credo che Berlusconi avrebbe partecipato comunque, avrebbe comprato Balotelli comunque e avrebbe spedito la busta "Restituzione dell'IMU" comunque, perché Berlusconi le elezioni non si può permettere di perderle, e infatti non le perde mai. Quanto a Monti, non lo so. Mi chiedo quanti voti siano travasati dal PD a Monti dopo la dipartita del senatore Ichino; secondo me pochissimi. E Ichino non era un semplice renziano: era il simbolo della proposta economica renziana, orgogliosamente rivendicato anche prima del secondo turno delle primarie.
Quindi no, in coscienza non credo che Renzi avrebbe preso più voti al centro. Più in generale, credo che nel cosiddetto "centro" abitino persone che un partito di centrosinistra non lo voteranno mai. Non avrebbero mai votato D'Alema e abbiamo provato Rutelli; non l'hanno votato e abbiamo provato Prodi; niente da fare e vai con Veltroni; ne abbiamo provati tantissimi e il risultato non cambia, anche se Renzi fosse stato il più simpatico non credo avesse molte chances contro Balotelli e la busta dell'IMU. Renzi sarebbe stato costretto a mettere la sua faccia, la cui gradevolezza non sto più a discutere, sul partito della sinistra responsabile. A questo punto secondo me sembra abbastanza chiaro che la gente non voglia la sinistra e non desideri la responsabilità: sta votando per chi promette di non pagare tasse e non onorare i debiti. Per contro Renzi in campagna era arrivato al punto di chiamarli in tedesco, i debiti. Tra lui e una busta di IMU restituita non credo che ci sarebbe stata gara, purtroppo.
Questo però non significa che Renzi non avrebbe potuto fare meglio di Bersani; forse la sua immagine più fresca avrebbe potuto contenere l'emorragia verso il Movimento 5 Stelle. Non lo so, e non credo che i sondaggi ci diranno mai come stanno le cose, perché l'unica cosa che ho capito è che nelle elezioni italiane i sondaggi sbagliano sempre (buffo, è un'osservazione statistica). Se qualche renziano qui sotto vuole recriminare ne ha il diritto, non è una cosa molto anglosassone ma stanotte vale tutto. Ripeto: l'unica volta che invece di limitarci a fare dei sondaggi abbiamo fatto una cosa più serie, le Primarie, Renzi le ha perse. Magari vincerà le prossime e in quel caso voterò per lui. Ma forse prima bisogna cambiare il meccanismo e anche il partito.
Nel frattempo il funerale della volpe è rimandato, ancora una volta. Che un terzo degli italiani abbiano eletto, nel 2013, un vecchio maniaco condannato in primo grado che li ha fregati per vent'anni, è una cosa che io non so neppure come spiegare a me stesso, figurarsi agli altri. Però voglio essere ottimista: vincendo e svergognandoci per l'ennesima volta, Berlusconi ci ha mostrato come si fa: si pesca nel proprio bacino di astensionisti, si vanno a prendere quelli che o votano per noi o non votano, gli si dà di nuovo un buon motivo per votare per noi, e così si vince. Forse noi non vinceremmo nemmeno così, perché alla fine - gira che ti gira - noi anche al massimo della forma siamo un terzo della popolazione italiana, non una metà. Però secondo me è così che si vincono le elezioni, in un Paese con l'astensione intorno al 20%; non cercando negli stagni di centro pepite che non esistono. Dopodiché fate voi, io mi sbaglio sempre.
Domani è un altro giorno. Dovremo cambiare tutti, per forza, e magari sarà la volta che cambiamo in meglio. Non è detto che vada a finire così, anzi statisticamente finisce sempre al contrario, però le statistiche, in Italia, non funzionano. E io abito qui. Buona notte, e crepi il lupo, soprattutto.
Non sempre si può perdere
29-01-2013, 10:13Berlusconi, elezioni 2013, futurismi, Monti, Pd, racconti, satira, scuolaPermalink"...insomma, signori, i numeri sono questi".
"Ma non è possibile! Tutti gli altri sondaggi..."
"Tutti gli altri sondaggi, con rispetto parlando, sono specchietti per le allodole. Questi sono i numeri veri e... non hanno pietà".
"Ma com'è potuto succedere! Avevamo otto punti veri di distacco".
"Li abbiamo recuperati abbondantemente, come vede".
"È stato il Monte dei Paschi?"
"È stato un po' tutto l'insieme di cose. Bersani è stato bravo, bisogna ammetterlo".
"Sono stati tutti bravi. Impacciati e confusionari al punto giusto".
"Si capisce che hanno tanta voglia di vincere quanta ne abbiamo noi. E adesso siamo nella merda".
"Via, non precipitiamo...."
"Altro che precipitare. Qui c'è scritto che vinciamo le elezioni, vi rendete conto? Noi! Vincere le elezioni! È un maledetto incubo!"
"Non è ancora detta l'ultima parola..."
"Sentite, il Capo era stato molto chiaro. Aveva detto che voleva il venti per cento. Fine. Voleva divertirsi, fare un po' l'antieuropeista, dettare condizioni, eccetera. E tornare a casa presto. Una cosa tranquilla. Ve lo ricordate, sì? Venti per cento, aveva detto. Al massimo 25, non un decimo di più. Ci andate voi di sopra a dirgli che è già a Palazzo Chigi?"
"Io non so cosa dire, le abbiamo provate tutte. Pure Santoro".
"Lascia perdere Santoro che divento una belva".
"Ma chi poteva aspettarselo... gli avevo scritto apposta quella letterina noiosissima, come facevo a sapere che... sono stati quei due stronzi, veramente stronzi, chi se lo sarebbe aspettato. Gli hanno fatto fare un figurone. Ma senti..."
"Che c'è".
"Magari non gli dispiace poi così tanto vincere".
"No, guarda, proprio non ne vuole sapere. Solo di investimenti ci perde dei milioni con lo spread. E poi che fa una volta che è lì, litiga con la Merkel? Taglia l'Imu, esce dall'Euro? Rinegozia il fiscal compact? Ammesso che sappia cosa sia".
"Ecco, appunto, cos'è?"
"Senti, lascia perdere. Noi non siamo qui per far politica. Siamo qui per far perdere le elezioni a Silvio Berlusconi, che ci paga per questo. Possibile che sia così difficile? È un vecchio bavoso e avido, che altro possiamo aggiungere al pasticcino di merda per renderlo immangiabile? Controlla il calendario".
"Che c'è sul calendario?"
"Non lo so, controlla. Mi do una settimana. Voglio perdere quattro punti in una settimana, perdio, controlla se ci sono delle scadenze importanti, degli anniversari, roba così".
"Mah, è fine gennaio... c'è la Giornata della Memoria".
"Bingo! Lo facciamo andare in qualche luogo simbolico, cerca se ci sono luoghi simbolici in zona".
"A Milano c'è un memoriale della Shoah".
"Lo mandiamo lì e gli diciamo di dire due paroline antisemite".
"Ma sei sicuro?"
"È terrorizzato dall'idea di vincere, vedrai che farà tutto quello che gli diciamo".
"No, dico, sei sicuro che con l'antisemitismo perde punti? Potrebbe anche recuperarne".
"Dici?"
"Non so, forse dovremmo prima fare un focus, qualcosa..."
"Non c'è tempo. Senti, proviamo la carta del vecchietto patetico. Niente antisemitismo, una cosa tipo vecchio zio in braghette sotto la copertina, Mussolini ha fatto tante cose buone, eccetera. E vediamo come va. Cosa abbiamo da perdere?"
"Tutto"
"Mi basta un quattro per cento".
Due sere fa, da qualche altra parte:
"...insomma, signori, i numeri sono questi".
"Ma non è possibile! Tutti gli altri sondaggi..."
"Tutti gli altri sondaggi, con rispetto parlando, sono becchime per capponi. Questi sono i numeri veri e... sono devastanti".
"Ma com'è potuto succedere! Eravamo terzi una settimana fa, una settimana fa! E adesso saremmo in testa?"
"Sono stati tutti molto bravi, bisogna ammetterlo. Bersani che si mette a sbranare a vanvera, quell'altro che sbava su Mussolini... due siparietti da commedia dialettale. E d'altro canto son mica scemi, chi glielo fa fare di vincere?"
"Il senso di responsabilità, per esempio".
"Mi sa che dovremo tirarlo fuori noi".
"Ma neanche per sogno, siam già stati responsabili abbastanza. I patti erano chiari: noi dovevamo fare l'ago della bilancia, metterci il know how. Al consenso popolare dovevano pensarci loro, i cosiddetti partiti di massa. Questa è un tradimento da parte loro, è... diserzione. Molto scorretta".
"E che ci possiamo fare?"
"Tanto per iniziare cominciamo a perdere anche noi dei punti, subito".
"Con tutto il rispetto, abbiamo appena mandato il Capo dai terremotati a prendersi le uova marce, e non è servito a niente, continua a sbancare i sondaggi".
"Il terremoto è troppo settoriale, ci vuole un approccio più generalista".
"Ovvero..."
"Non possiamo più permetterci di fare schifo solo ad alcuni, dobbiamo cercare di fare schifo a più gente possibile nell'unità di tempo. Trovare qualcosa che dia fastidio a tutti. Coraggio, ditemi qualcosa che dà fastidio a tutti".
"Le tasse".
"Le abbiamo già alzate, qualcos'altro".
"Le banche".
"Siamo coperti anche lì".
"La sveglia alla mattina".
"Bello spunto, mi piace. Tutti odiano la sveglia alla mattina. Lavoriamoci sopra. Cos'altro odiano tutti? Il lunedì".
"E vabbe', mica possiamo aumentare i lunedì alla settimana".
"Non possiamo nemmeno allungare la settimana lavorativa, siamo liberisti".
"La settimana lavorativa no... ma quella scolastica sì. Le scuole sono ancora di Stato".
"Grazie al cielo, ma che vuoi fare? Se aumenti l'orario devi pagare di più gli insegnanti, hai voglia".
"No. Non è detto. In luglio non li paghi di più, perché le scuole sono praticamente chiuse, ma loro sono reperibili. Bingo! Un bell'intervento contro le vacanze estive!"
"Tutti amano le vacanze estive".
"Lanciamo un'agenzia, cominciamo a dire che d'ora in poi si frequenta per tutto luglio. Poi ovviamente rettificheremo, ma intanto la voce girerà. Mario Monti contro le vacanze estive. Boom!"
"Quattro punti li perdiamo come niente".
"Ma anche cinque o sei. E poi voglio vedere cosa fanno quei due, ah ah".
Un mese dopo
(ROMA) BERSANI: NON HO MAI "SBRANATO" BAMBINI. SOLO ASSAGGIATI UN PAIO MOLTO CATTIVI. Il segretario del PD ha smentito le affermazioni riportate ieri dai giornalisti, secondo le quali avrebbe ammesso di aver partecipato negli anni '60-'70 a qualche banchetto a base di bambino bianco crudo alla festa dell'Unità di Bettola. "Non siamo dei barbari, noi i bambini li abbiamo sempre cucinati con molta umanità, e se devo dirla tutta non è proprio il mio piatto preferito, ne avrò assaggiato solo un paio ed erano bambini che si erano comportati davvero molto male con le loro mamme e con Stalin".
(MILANO) BERLUSCONI: CULATTONI DI MERDA SONO STATO FRAINTESO, NON INTENDO AVVALERMI DELLO JUS PRIMAE NOCTIS A MENO CHE LE VOSTRE FIGLIE NON VALGANO VERAMENTE LA PENA. Il presidente Berlusconi durante la notte ha pubblicato su youporn un video girato con le sue fidanzate (in tenuta sadomaso-wehrmacht), in cui smentisce di volersi avvalere dello jus primae noctis in modo "universale", come ventilato due giorni fa durante la conferenza stampa a Palazzo Grazioli. "C'è che voi giornalisti siete veramente dei culattoni, non capite... lo vedete questo, sì? Ecco, non lo capite, ora reggimelo, grazie cara". Il presidente ha poi confermato che intende abolire l'IMU e sostituirla "con tua madre", ha detto proprio così, ma forse era sovrappensiero.
(BERLINO) MONTI: INGIUSTIFICATE LE POLEMICHE SUL GATTO A NOVE CODE NELLA SCUOLA ELEMENTARE, sarà esposto soltanto alla parete come deterrente, ma le maestre dovranno limitarsi a bacchettate sulle nocche e gusci di noce sotto le ginocchia.
Continua... (in realtà no).
ll partito flottante
30-12-2012, 02:38elezioni 2013, Pd, primarie 2012PermalinkNon c'è dubbio, insomma, che se pensavate che le primarie dovessero rappresentare una sfida della società liquida all'apparato, ecco, avete sbagliato partito, sbagliato anno, sbagliato tutto: niente di tragico, se avete bisogno di roba liquida ce n'è dappertutto, guardatevi in giro, sceglietevi il vostro partito liquido e non prendetevela con quella povera île flottante che è il PD. Non c'è dubbio che nel prossimo parlamento continueranno a sedere personaggi semisconosciuti che se fossero stati un po' più conosciuti probabilmente non sarebbero stati eletti, e alcuni di questi continueranno a essere esponenti del PD. Non c'è dubbio che i bersaniani partivano avvantaggiati, in generale chi è in vantaggio tende a essere avvantaggiato, prendetevela con La Palisse. Non c'è dubbio che una consultazione così frettolosa, quasi un colpo di mano, rischi di alienare la minoranza interna, già un po' demoralizzata dalla sconfitta pur onorevolissima di Renzi. Insomma dubbi proprio non ce n'è. O forse uno: se ci fosse stato più tempo per organizzarsi, per coinvolgere, per battibeccare, i vertici del PD sarebbero stati così lesti ad accettare l'idea quasi rivoluzionaria delle primarie? Ma più che un dubbio è un'insinuazione. No, il dubbio vero è uno solo: in una situazione del genere, con l'apparato che colonizza le primarie e le usa per legittimarsi, vale lo stesso la pena di andare a votare? Per gente che se non è sconosciuta è fin troppo conosciuta?
Secondo me sì, ma non sono sicuro del perché. Votare, si sa, è sempre un paradosso. Penso che chiunque abbia a cuore le primarie, chiunque sia convinto che siano il metodo giusto per riformare i partiti (io non ne sono convintissimo, ma ne parliamo un'altra volta) non si possa fare scappare l'occasione. Non c'è dubbio che non sia l'occasione migliore, ma è un precedente. I precedenti sono importanti: se queste primarie andranno male, sarà più difficile rifarne in futuro. Potrei anche approfittarne per spendere qualche parola in difesa dell'apparato, che negli anni non sempre è riuscito a mantenersi sopra la soglia della decenza, ma alla fine ci ha lasciato un partito in grado di organizzarsi nell'emergenza e provare a vincere. Ma difendere un'idea di politica come professione, al giorno d'oggi, è roba da bastian contrari persino più bastiani e più contrari di me. Del resto temo che non farò in tempo a votare, domani, ma non ha tantissima importanza il mio voto singolo. Mi piacerebbe però che votasse tanta gente, e che il PD - questo PD senza dubbio non perfetto, senza dubbio perfettibile, vincesse le elezioni. Dopodiché si può discutere di tutto. Ma almeno proviamo a vincere, proviamo a vedere cosa succede. Dopo tanti anni per me è ancora una questione di curiosità: cosa succede se per una volta tocca a noi? Ci è già successo e si è capito che non succede nulla di meraviglioso, anzi. Però ci riproverei.
Ichino, lui sì che è flessibile
24-12-2012, 12:03elezioni 2013, ho una teoria, Monti, PdPermalinkIl giuslavorista infatti sabato aveva annunciato in un'intervista al Corriere che non si sarebbe più ricandidato nelle file del PD. E quindi per esempio io stavo già scrivendo una lettera aperta, implorandolo di ripensarci, di presentarsi alle primarie, di lasciare che fossero gli elettori del PD a decidere se candidarlo o no... ma intanto Ichino era già lontano, in questa campagna-lampo chi si ferma è perduto. Verso sera circolavano già le anticipazioni di una sua intervista alla Stampa in cui annunciava di essere pronto a candidarsi in una lista montiana in Lombardia.
E così, insomma, è ufficiale: Pietro Ichino ha lasciato il PD. Poco più di un mese fa, come tutti i sostenitori e tesserati, aveva sottoscritto un impegno a votare per il proprio partito, chiunque avesse vinto le primarie. Appena un mese fa, all'inizio della campagna per il ballottaggio, Matteo Renzi aveva annunciato che in caso di vittoria avrebbe proceduto con la riforma Ichino "senza più tavoli, gcommissioni, lunghe mediazioni". Ichino del resto aveva già pubblicamente esultato per quel 35% ottenuto da Renzi al primo turno, che a suo avviso dimostrava come le sue idee fossero condivise da un settore assai più ampio di quello che un anno fa gli aveva attributo il responsabile economico del partito, Stefano Fassina ("Una linea ha il 2 per cento, l’altra il 98 per cento. Io capisco Ichino. Lui rappresenta quel 2 per cento e per farlo valere, per difenderlo ha bisogno di andare sui giornali tutti i giorni"). E però, anche ammesso che tutti gli elettori di Renzi avessero ben chiaro il contenuto della bozza Ichino, resta il fatto che il 35 per cento, o persino il 40, pur essendo una percentuale rilevante, non è la maggioranza: così come Renzi, pur festeggiando l'ottimo risultato, ha ammesso la sconfitta, anche Ichino avrebbe dovuto accettare il fatto di rappresentare nel suo partito una posizione importante, ma minoritaria.
Invece se n'è andato, (continua sull'Unita.it, H1t#159; racconta anche della misteriosa firma di Ichino sul pdf dell'Agenda Monti divulgato dal Corriere).
Renzi e il Partito nella Nuvola
30-11-2012, 01:58burocrazy, generazione di fenomeni, internet, Pd, primarie 2012, Renzi, scuolaPermalinkLa rissa sulle giustificazioni scritte, sui certificati, sui documenti, non è un incidente che ci ha coinvolti per sbaglio. È il modo in cui si è espressa la vera identità del movimento renziano, che non è la bozza Ichino o la vocazione maggioritaria o la mano tesa agli elettori di centrodestra. Il renzismo è, prima di tutte queste cose, un movimento generazionale, che interpreta la frustrazione di una categoria abbastanza precisa di persone. Hanno quasi tutti meno di 45 anni; alcuni sono professionisti, altri sono precari, ma in ogni caso lavorano tutti. E sul luogo di lavoro si scontrano, tutti i giorni, con gli over 50: che mantengono posizioni di potere, che hanno sempre la maggioranza, che sono troppi, si autolegittimano ma spesso non sanno come si accende il tablet che hanno appena comprato, che non si rassegnano a essere rottamati. Lo zoccolo duro di Renzi è questo, e per quanto cerchi di allargarlo alla fine i suoi ultras sono fatti così; non è un caso il fatto che litighino sulle regole, che vivano la giustificazione scritta come un'umiliazione, che non capiscano come mai l'iscrizione ai registri non si può fare on line. Non è un dettaglio. È qui che passa il fronte della guerra generazionale: carta contro iPad, giustificazione scritta contro moduli on line, file nei seggi contro clic e tag, sedi di partito vecchia maniera contro social network: burocrazia contro internet.
Sono i quasi-nativi digitali. Fin qui internet è stato l'unico ambito che ha dato loro soddisfazioni e riconoscimenti: le rare volte che sono riusciti a convincere i colleghi a snellire una procedura passando dalla carta alla cloud, oppure quella volta che il direttore ha chiesto di loro per risistemare un sito o una banca dati. Internet è l'unico territorio amico, l'unico luogo in cui si sentono più sicuri dei loro avversari: è normale che cerchino di trasferire la battaglia lì, che a tre giorni dalla fine di tutto aprano un sito internet allo scopo di attingere a un enorme bacino di potenziali elettori di Renzi. Non ha importanza che questo bacino esista o no: ricorrere a internet è una reazione istintiva, un riflesso involontario: non c'è problema che la Nuvola non possa risolvere.
La carta, invece, è il nemico. Le code sono sempre lunghissime, estenuanti, retaggi di una civiltà analogica che dev'essere smantellata al più presto e sostituita da qualche software o app altri nomi a caso che ogni tanto effettivamente Renzi pronuncia. Il renzismo non è un'ideologia, è una frustrazione: noi siamo nel 2.0 e ci tocca prendere ordini da gente che va in crisi se la fotocopiatrice è in standby? E adesso cosa vogliono, la giustifica come a scuola? Dobbiamo scrivere? Su dei pezzi di carta? Douglas Coupland si preoccupava che fosse la prima generazione senza Dio; per adesso questo più di tanto non si nota, almeno da noi; si nota più il fatto che sia stata la prima generazione a diventare adulta senza abituarsi a timbrare un cartellino. Mettersi in coda non è semplicemente una rottura: è umiliante.
Ne conosciamo tutti di tipi così. Per esempio io nel mio luogo di lavoro conosco un tizio che ha un problema col registro di carta: non riesce a gestirlo. Proprio non ce la fa, piuttosto di mettere i numerini con la penna nei quadratini si farebbe ore di riunioni, di lezioni, di qualunquecosa. Ce l'ha a morte con la Gelmini, con Profumo, con la Moratti, con tutti quelli che non gli hanno ancora dato il registro elettronico che a sentir lui sarebbe facilissimo da usare, praticamente si riempirebbe da solo. E in effetti lui ce l'ha già una specie di registro elettronico, se lo è fatto per i fatti suoi, lo ha messo nella Nuvola e ci si trova abbastanza bene, ma quello di carta non sa proprio più fisicamente come si riempie, è un'angoscia. Ecco, quel mio collega sotto sotto è un renziano - anche se su tutti i blog scrive in lungo e in largo il contrario.
Vinci prima tu
29-11-2012, 10:12ho una teoria, Pd, primarie 2012, Renzi, tvPermalinkÈ stato quello il momento in cui abbiamo tutti capito chi aveva vinto il dibattito. Pochi secondi dopo abbiamo rivisto due candidati credibili alla presidenza del consiglio scambiarsi frecciate e battute cordiali. Non sembrava Rai1, non sembrava nessuna litigiosa tribuna televisiva di qualche anno o mese fa. Il dibattito lo ha vinto il PD, che non è mai stato così interessante, così vivace, così credibile. Qualunque sia il vincitore di queste primarie, il PD ne esce molto più forte di come ci era entrato.
Ha vinto Renzi? (continua sull'Unita.it, H1t#156). Dei due, Renzi era quello obbligato a vincere; giocava il match della vita e non lo ha giocato malissimo – ma non lo ha nemmeno stravinto, mi pare che Bersani si sia difeso bene. Lo sfidante ha insistito molto (troppo, secondo me – ma sono di parte) sugli errori commessi dalla sinistra negli ultimi vent’anni: un tema molto caro al suo zoccolo duro, e che può intercettare qualche consenso al centro e a destra (ammesso che poi vadano a votare); ma nemmeno lui probabilmente pensa di poter recuperare il 9% così. Viceversa, ha platealmente evitato di dire qualsiasi cosa di vendoliano: per sua esplicita ammissione, quei voti non gli interessano (d’altro canto negli ultimi giorni ha più volte segnalato la sua totale adesione alle proposte di Ichino, forse il modo più semplice di chiarire le idee ai vendoliani ancora indecisi). Ha persino ammesso che preferisce perderle, le primarie, se non riesce a far capire al Sud che è venuto “il momento della scossa”. Credo che l’affermazione abbia un senso più generale: piuttosto che fare concessioni e annacquare i suoi contenuti, Renzi queste primarie preferisce perderle.
La timidezza del renziano
27-11-2012, 01:42ho una teoria, Pd, Renzi, sondaggiPermalinkRenzi - che avrebbe più di un motivo per ritenersi soddisfatto - aveva più volte alluso a sondaggi favorevoli, in grado di sovvertire un pronostico che per la verità era abbastanza prevedibile. In particolare i renziani si erano affezionati a un dato - l'affluenza di quattro milioni invece che di tre - su cui hanno insistito a lungo, anche sfidando l'evidenza. Forse si trattava di un semplice ottimismo della volontà. O forse non avevano calcolato lo shy factor, il "fattore timidezza" (continua sull'Unita.it, H1t#155).
Renzi non è Blair (magari è meglio)
10-11-2012, 00:45manifestaiolismi, Pd, RenziPermalinkChe poi magari chissà, il blairismo di Renzi potrebbe essere anche un concetto interessante, se
- non venisse quindici anni in ritardo (facciamo dieci, dai, cinque anni di scarto con l'ora di Londra è fisiologico).
- in questi quindici anni non ci fossero stati cucinati numerosi blairismi all'amatriciana, che Renzi forse non ricorda: il più clamoroso, col senno del poi, era il blairismo dalemiano a cavallo del 2000. C'era tutta una corrente di dalemiani-più-dalemiani di D'Alema, quelli che facevano capo al Riformista, che usavano i fondi per l'editoria per spiegare a me precario di Stato che avrei dovuto essere più intraprendente. Il loro capo era talmente british che fumava la pipa. Ecco, forse è una questione di imprinting all'incontrario: per voi Blair sarà stato tante cose belle, cool Britannia e le Spice Girls, ma a me ogni volta che qualcuno blaitera viene in mente la pipa di Polito e questo è il motivo per cui non posso dirmi blairiano.
Poi a un certo punto ci fu quello strano fenomeno di inversione, per cui i dalemiani smisero di essere la destra del partito e i veltroniani dal correntone schizzarono a destra, per cui a rimettersi a blaiterare già fuori tempo massimo fu il leader del PD. Questo blairismo fu poi eclissato dall'obamismo (era il 2008!) ma ancora nel 2009 Veltroni riuscì a mettere la prima firma su un manifesto che chiedeva la nomina di Blair alla presidenza del consiglio europeo, un'idea così traboccante sensatezza e sensibilità che poteva solo venire al Foglio. (No ma pensateci ogni tanto, che abbiamo avuto un leader del PD che aderiva alle petizioni di Giuliano Ferrara. Dai, il peggio è comunque passato).
- In questi quindici anni, se c'è stato un momento in cui la base del centrosinistra italiano (non il vertice, la base), si è mostrata compatta, è stato forse il momento dell'opposizione alla guerra in Iraq. Una guerra che Blair si impegnò a scatenare, spergiurando sull'esistenza di armi di distruzione di massa che nessuno ha mai trovato. Queste forse sono solo vecchie storie, che interessano ai vecchi.
E forse no. C'è una generazione di militanti e simpatizzanti di centrosinistra che può avere oscillato tra Bertinotti e Bersani, tra Veltroni e Vendola, e magari anche tra Marino e Renzi, ma sulla guerra in Iraq ha sempre avuto una sola opinione, che poi si è rivelata quella giusta: Blair era disposto a mentire ai suoi elettori e ai suoi alleati pur di ottenere quello che la sua elevata coscienza riteneva giusto: un'altra guerra in medio oriente. Per queste persone, e sono una fetta non trascurabile dell'elettorato del centrosinistra, Tony non è il giovane avvocato che strappa la candidatura a Gordon Brown e caccia il thatcherismo da Downing Street nel '97: per noi Blair è il bugiardo guerrafondaio del 2003, un periodo in cui andava molto forte dividere il mondo in cattivi bombardabili e buoni bombardieri. Blair bombardò molto e se ne vanta ancora: che ora Renzi lo possa ritirare fuori così, come una bella giacca anni Novanta quasi mai messa, quasi nuova, quasi vintage, sbalordisce un po'. Va bene rompere col passato, ma a me le grandi manifestazioni del 2003 sembrano l'altro ieri.
- Se per "Blair" si intende semplicemente "unico caso in cui un leader europeo di un partito di sinistra vince conquistando voti a destra", beh, è un caso che va molto ridimensionato, tenendo anche conto dell'astensione, che negli anni di Blair aumentò molto.
- Ma in realtà di che stiamo parlando? Cioè non ha senso, il 2012 non è il 1997, l'Italia non è la Gran Bretagna, e soprattutto, davvero, Renzi non è Blair (io spero sia meglio). Se uno vuole i dettagli c'è questo lungo pezzo di Andrea Romano che si concentra sulla fase cruciale dell'invenzione del New Labour. Ne isolo soltanto uno: in quel processo di costruzione di un leader, Blair prese in prestito tante cose da molte persone, recepì consigli e istanze, com'è giusto che sia, ma ci mise anche qualcosa di profondamente suo: un "impasto di certezze laiche e convinzioni non negoziabili", lo chiama Romano, che gli permetteva di non farsi "alcuna remora a toccare i tasti del «bene» e del «male»".
Ora sbaglierò, ma questa tensione etica, questa serena convinzione di essere un emissario del Bene chiamato da qualche autorità superiore a non negoziare col Male, forse non fu l'elemento che gli permise di vincere le elezioni, ma gli consentì una volta insediato di dichiarare più guerre di tutti i primi ministri della storia britannica (e la storia britannica è molto lunga). Di poche persone è lecito diffidare come degli avvocati del Bene. La buona notizia è che Renzi non è così: almeno, non mi pare proprio che sia così: nei suoi discorsi e nei suoi interventi leggo tante ricette per rottamare, semplificare, tagliare, ringiovanire, tanto sfoggio di cosiddetto senso pratico che ho già sentito sia nelle piazze grilline che nei bar leghisti (ma anche un po' alle feste dell'unità); non percepisco però nessuna radicalità etica, nessun Bene con la B, e per quanto mi riguarda è molto meglio così. Forse è la differenza tra un tranquillo cattolico italiano e un criptocattolico nella patria di Maria la Sanguinaria.
In ogni caso non ce lo vedo proprio Matteo Renzi a inventarsi scuse per dichiarare una guerra a uno Stato-canaglia: il paragone con Blair, non provenisse da Renzi stesso, lo respingerei come un'offesa: ditegliene di ogni, dite che è inesperto e gigione, che a furia di cercare voti fuori li sta perdendo dentro, ma non paragonatelo a un fanatico inventore di guerre. Non se lo merita.
Il paradosso delle braghe (del PD)
25-10-2012, 02:26astensionisti maledetti, cattiva politica, PdPermalinkDi motivi per non votare Pd-Sel, chiunque vinca le primarie, ce ne sono comunque tanti e non sto a contarli; mi interessa quello presentato da Gilioli, perché la sua rinuncia mi sembra la riedizione di un paradosso noto ma sempre affascinante: Gilioli ha letto la carta d'intenti e ha scoperto che c'è già, nero su bianco, un "accordo di legislatura con le forze del centro liberale", insomma Casini. Lui però Casini non lo vuole votare (come dargli torto) e quindi non vota nemmeno Pd-Sel. Come dargli torto.
Non glielo do. Anch'io preferirei, come lui, una coalizione (meglio ancora un partito) a vocazione maggioritaria, che vinca le elezioni e non cerchi i voti di nessun centrista infido. Purtroppo per ora i numeri non ci sono. Magari si sbagliano tutti i sondaggi, però Pd-Sel non ci arriva al cinquanta per cento, neanche ora che la campagna per le primarie sta entrando nel vivo. Sì, lo so, bisognava essere più coraggiosi, trovare sintesi inedite, conquistare i giovani ecc. ecc... però per ora le cose stanno così, al 50 non si arriva. A quel punto un accordo coi centristi rimane l'unica possibilità per non finire di nuovo all'opposizione e regalare altri cinque anni a una destra che veramente non se li merita, e chissà cosa ci combinerebbe. Questo i rappresentanti del Pd lo dicono da mesi, e lo scrivono nella Carta d'intenti affinché sia chiaro e sottoscritto da tutti gli alleati.
Quelli che invece non sono scritti, non sono decisi, sono i termini di un effettivo accordo con Casini e compagnia: non c'è scritto da nessuna parte che cercare un accordo con loro significhi calare le braghe. Il potere contrattuale che avranno il Pd e Sel dipende esattamente dal numero di seggi che avranno conquistato alle elezioni: se ne avranno pochi, dovranno concedere molto (e forse Casini comunque non accetterà, magari a destra trova di meglio); se ne avranno molti, dovranno concedere meno; se putacaso dovessero arrivare alla maggioranza - insciallah! ma una maggioranza vera, non quella disperata del Prodi 2006-07 - di un accordo coi centristi non ci sarebbe più bisogno. Banalmente: più voti prendiamo, meno la braga caliamo. Gilioli però non ci vuole votare, perché nella carta d'intenti abbiamo previsto l'eventualità di calarla, di quanto non si sa, però di calarla. Il paradosso è che più gente lo seguirà - e molta gente lo seguirà - più la braga, purtroppo, calerà. Pd e Sel vinceranno di misura, per avere un minimo di stabilità dovranno pietire il sostegno di Casini, quello chiederà e otterrà ministeri importanti, e Gilioli scriverà che ce l'aveva detto. Profezie che si autoavverano.
Il modo in cui Gilioli e altri usano il loro diritto di voto, la loro effettiva frazione di sovranità, continuo a trovarlo dopo tanti anni affascinante. Per protestare contro un eventualità (un accordo Pd-Sel-UdC) finiscono per creare le condizioni affinché questa eventualità si realizzi. È come se il voto avesse due componenti, una polemica e una aritmetica, e quella aritmetica non fosse così importante. L'importante è poter dichiarare che non hai votato per X; il fatto che aritmeticamente il tuo voto o il tuo non-voto abbia ottenuto il risultato preciso che volevi evitare (X è al governo) è per molti italiani irrilevante. Come se la croce sulla scheda elettorale fosse un atto di fede (da reclamare in pubblico), e non un piccolo atto performativo che oggettivamente indebolisce o rafforza un partito invece che un altro. Mi domando se non c'entri anche stavolta la scarsa cultura scientifica, ma ho paura di risultare ossessionante e la pianto qui.
Quanto a me, io continuo a pensare che la democrazia sia un gioco non particolarmente divertente, ma molto semplice: ho un voto, e l'unico modo efficace di usarlo è indirizzarlo al partito più vicino alle mie posizioni. Senza essere troppo, come si dice adesso, choosy. È veramente una banale questione di aritmetica: se non vuoi che governi X, vota Y. Facile. Bello proprio no, bello non si può dire, ma secondo me è facile. Però non passa. Boh.
Alla rivoluzione senza posto macchina
22-10-2012, 00:36Pd, primarie 2012, RenziPermalinkLa foto è presa da qui. |
Ma poi si scoprì che l'iscrizione non si poteva fare più al seggio, e questa cosa di dover parcheggiare in due posti diversi (o anche cercare un parcheggio equidistante) li smontò un pochettino, ecco. E quindi niente, basta, la rivoluzione non si fece più.
Fu un peccato perché prometteva bene, avevano progettato delle barricate spettacolari ma anche molto leggere, si potevano piegare e spostare, ikea gli faceva un prezzaccio, ma questa cosa di parcheggiare due volte fu veramente un colpo basso, è chiaro che vuoi che votino solo i vecchi, i pensionati coi permessi per disabili, tutto un complotto contro i giovani. Le loro idee. La loro energia.
Al loop al loop
04-10-2012, 01:45cattiva politica, dialoghi, PdPermalink"Scusa, eh, adesso io non mi permetto di giudicare".
"No, ma giudicaci pure invece".
"Cioè lo so che fare il politico è meno facile di quel che sembra".
"Di questi tempi, poi".
"Però da qui sembra proprio che non stiate combinando niente. Niente".
"Più o meno è così".
"Da un anno in qua. Cioè, ormai è un anno che se n'è andato il porcello".
"Un anno, sì".
"E cosa avete combinato? Voglio dire, Monti qualcosa l'ha fatto".
"Anche troppo".
"E voi? Non è che vi si chiedesse chissaché, ma dico, una legge elettorale. Una".
"Eh, che ci vuoi fare".
"Ma cosa vi è successo?"
"Ma no, è che ci siamo alloopati".
"Allupati?"
"No no, c'è una grossa differenza. Il porcello, lui era allupato. Noi siamo alloopati, con due o. Ci siamo ritrovati in un loop".
"Un loop?"
"Perché puoi anche pensare che sia facile fare la legge elettorale, che ci vuole, no? Eh, anch'io la pensavo così".
"E invece?"
"E invece devi capire chi vince, e come vince, e la legge elettorale gliela devi fare di conseguenza".
"Ma non ha senso, scusa..."
"Lo so, lo so, bisognerebbe prima fare le leggi elettorali, inciderle su un marmo secolare e non toccarle più. Guarda gli americani".
"Uff, gli americani..."
"Vero? Anch'io una volta dicevo... ma sto cominciando a capire. Gli americani hanno una legge settecentesca, una schifezza, fatta apposta per quando si andava a votare in carrozza... è per quello che votano sempre nel giorno dei Santi, lo sapevi? Perché dovevano avere il tempo di arrivarci in carrozza. E così via. Fa schifo, però non la toccano. Dovevamo fare così anche noi. Meglio una legge schifosa e immutabile, che una legge elastica che ogni maggioranza può cambiare quando gli va".
"Però..."
"Però ormai è così, la legge di adesso è una porcata, quella di prima lo era ugualmente, l'unica cosa che possiamo fare è cercare di scrivere una legge che dia un po' di margine a chi vince, così almeno si fa un governo stabile, che in Europa ci tengono".
"Quindi vorreste fare una legge su misura per chi vince, però non sapete ancora chi vince".
"Ma in realtà lo sapremmo anche, basta fare dei sondaggi fatti bene".
"E perché non li fate?"
"Li abbiamo fatti".
"E cosa dicono?"
"Che dipende".
"Dipende cosa?"
"Dipende dal PD, da chi candida il PD".
"Ah, quindi bisogna aspettare le primarie".
"Ma no, in realtà abbiamo i sondaggi anche delle primarie".
"E cosa dicono?"
"Sondaggi seri, eh, mica la robaccia che gira".
"Sì, e cosa dicono?"
"Eh, dicono che dipende".
"Dipende da cosa?"
"Dal regolamento delle primarie".
"E quindi?"
"E quindi niente, stiamo cercando di capire come fare il regolamento delle primarie in modo da favorire la persona che deve vincerle".
"E chi deve vincerle?"
"Eh, saperlo".
"Ma avrete fatto un sondaggio, immagino".
"Tanti, ne abbiamo fatti".
"E dicono che..."
"Dipende".
"E stavolta dipende da cosa?"
"Un po' da tutto, ma soprattutto dalla legge elettorale".
"Dalla legge elettorale?"
"Eh sì, perché se si fa il proporzionale la gente, per dire, non vota Vendola alle primarie, lo vota direttamente alle elezioni, mentre se si fa il doppio turno lo votano un po' alle primarie e un po' al primo turno, insomma, i modelli diventano un po' complicati".
"E quindi?"
"E quindi niente, bisogna che ci mettiamo d'accordo sulla legge elettorale".
"Già. Ma aspetta, ci eravamo già passati di qui, vero?"
"Esatto".
"Ma allora..."
"Siamo in un loop, che ti dicevo".
"No, aspetta, fammi provare. La legge elettorale non riusciamo a farla perché..."
"Non sappiamo chi vince le elezioni".
"E non lo sappiamo perché..."
"Perché potrebbe vincerle il PD, ma dipende da chi candida".
"E non sappiamo chi candida perché...."
"Non abbiamo ancora il regolamento delle primarie".
"E non riusciamo a metterci d'accordo sul regolamento delle primarie perché..."
"Perché non sappiamo come sarà la legge elettorale".
"Fantastico! Potrebbe andare avanti in eterno!"
"Beh, no, per legge entro il 2013 a votare dobbiamo andarci comunque. A quel punto diventa decisivo capire in che punto del loop saremo in quel momento. Magari avremo scritto il regolamento delle primarie ma non avremo ancora cambiato la legge elettorale, e in quel caso vince Tizio. Se invece in quel momento è cambiata la legge elettorale, ma le primarie no, vince Caio".
"E Sempronio?"
"Sempronio spera che giri tutto senza che cambi niente".
"Allora io mi gioco Sempronio".
"Gioca responsabilmente".
Verso WV2
20-09-2012, 19:26cattiva politica, Pd, Renzi, VeltroniPermalinkTu sai che io so che tu sai che le Primarie avrebbero potuto essere uno strumento fantastico, se non fossero nate veltroniane, e cioè vaghe, sregolate, tutto ottimismo della volontà e niente pragmatica modestia della ragione; per cui dopo cinque anni ancora non si è capito come si fa a evitare che i capobastoni si comprino i voti dove meglio credono, i sabotatori sabotino, gli infiltrati infiltrino, le civette civettino. Probabilmente WV pensava che per evitare tutto ciò si dovesse fare come in America, senza ovviamente porsi il problema di studiare in concreto cosa in America si faccia. Poi un giorno sul Corriere ha visto dei cinesi votare a Napoli e si è spaventato. Ogni tanto salta ancora fuori con l'idea delle primarie obbligatorie per legge, un'istituzionalizzazione dei partiti che mi pare la cosa meno americana concepibile, ma non ho un pied-à-terre a Manhattan e quindi probabilmente mi sbaglio.
Tu sai che io so che tu sai che quando Matteo Renzi dice che vuole i voti dei berlusconiani delusi, ma non alle primarie (cioè io dovrei votarlo affinché poi nel 2013 lui si faccia votare da qualcun altro?) si infila in un paradosso barocco e non è nemmeno colpa sua; è l'eredità veltroniana che ci portiamo appesa al collo come un albatross, finché non avremo il coraggio di tirar giù sto partito assurdo e rifarne un altro; non necessariamente blairiano o socialdemocratico (io preferirei la seconda), ma fatto bene, con statuti rispettabili, portavoci leali, segretari autorevoli e rispettati. Fino a quel momento anche Renzi si barcamena come può: come Agostino la santità, lui vuole i berlusconiani ma non subito, tra un po': alle primarie preferirebbe che lo votassi io. Io però che interesse dovrei avere a votarlo?
Io so che tu sai che io so che il progetto di conquistare voti al centro è sempre stato perdente, sempre: che sia Berlusconi che Prodi hanno vinto quando i voti sono andati a prenderli agli estremi, Prodi accordandosi coi comunisti (desistenza nel '96, alleanza nel '06), Berlusconi imbarcando qualsiasi ratto di fogna potesse trovare ai margini di qualsiasi decenza, Lega e Forza Nuova e anche sé stesso. Tu sai che io so che il progetto di Renzi è talmente giovane e nuovo da ricalcare quello di Veltroni, che voleva "affascinare" (usò proprio quel verbo) i moderati inquieti, e non ci riuscì. Non ne conquistò nemmeno uno: alle urne il PD fece la somma aritmetica degli elettori DS e Margherita. E tuttavia Renzi ha più chance, lo so io e lo sai tu: non perché sia più piacione di Walter2008 - lo batte alla grande, direi - ma perché nel frattempo il berlusconismo si è davvero sgretolato, e qualcuno che mai avrebbe votato WV nel 2008, un pensierino a Renzi lo sta facendo.
Io so che tu sai che intanto Bersani cuoce a fuoco lento, ed è un peccato: più passa il tempo, più si mena il cane per l'aia della legge elettorale, più lui si ritrova a sostenere un governo di destra proprio mentre per opporsi a Renzi dovrebbe fare una campagna di sinistra. Mi dispiace per lui, che è migliore di molti: l'avrei voluto vedere, entro margini d'azione altrettanto ristretti, il mitico Berlinguer che tutti rimpiangono.
Tu sai che io so che tu pensi che in una situazione del genere, con l'Italia già commissariata, l'agenda Monti già impostata, un Bersani o un Renzi (o un X) non è che farebbero tutta questa differenza: però dalla parte di Renzi c'è l'entusiasmo, e io so che tu sai che io a volte mi scopro a pensare che l'entusiasmo della gente, l'allegra certezza di stare dalla parte giusta, è un valore in sé, è una cosa che ti fa vincere le battaglie, e non possiamo permetterci di buttarla via. Ma tu sai che io poi mi ricordo di aver pensato così altre volte, ed erano le volte in cui c'era entusiasmo intorno a Veltroni, appunto, o intorno a Rutelli, perfino. Tu sai che io so l'altra faccia dell'entusiasmo essere la delusione, e che tanta gente è già pronta in fila col numeretto per iscriversi ai futuri Delusi-da-Renzi, quelli che pensavano chissaché e poi s'è scoperto inveceché. Tu sai che io già preventivamente non li sopporto e anch'io lo so che tu.
Tu lo sai che non è un problema se per la prima volta c'è in ballo uno più giovane di noi; cioè, dobbiamo lavorarci un po', su questa cosa, parlarne anche magari con uno specialista, ma ce la faremo. Tu sai che il vero problema non è lì, ma è persino in un posto peggiore: è nella faccia che fa, nei sorrisi che ha. Tu sai che io so che tu sai che i voti dei postberlusconiani li potrebbe prendere davvero, non perché su 100 punti di programma (ma chi se lo legge) ce n'è 20 sottoscrivibili da Alfano (ma chi se ne frega), no. Io so che tu sai che Renzi per piacere ai postberluschini deve fare molto meno: sorridere. L'abbronzatura ce l'ha già, vedi che in estate ha fatto i compiti. E almeno vent'anni senza cerone li regge.
Revolution won't be wikified
15-09-2012, 10:44Beppe Grillo, cattiva politica, ho una teoria, internet, PdPermalinkRenzi non è l'unico ad aver immaginato - anche solo per un istante - un wikiprogramma. Senza bisogno di arrivare in Islanda, dove l'anno scorso l'Assemblea Costituente condivideva le sessioni di lavoro su Facebook, in Italia abbiamo l'esempio del Movimento 5 Stelle, il cui programma è effettivamente il risultato della discussione nei forum del movimento - e si vede: è un testo meravigliosamente sconclusionato, in cui si passa in poche pagine dai tecnicismi burocratici ("Applicazione immediata della normativa, già prevista dalla legge 10/91 e prescritta dalla direttiva europea 76/93, sulla certificazione energetica degli edifici") alle bordate iperpopuliste ("accesso alla rete gratuito per ogni cittadino italiano": coi soldi di chi?) In ogni caso un programma sbilenco è sempre meglio di nessun programma - e le promesse del M5S non sono più populiste di quelli che Lega e berlusconiani ci hanno propinato per 15 anni. Ci vogliono regalare internet, mica 1.000.000 di posti di lavoro...
A proposito di posti di lavoro: ho trovato molto interessante questa battuta di Grillo... (continua sull'Unita.it, H1t#12x12)
“Nel Movimento abbiamo questi due o tre ragazzi che hanno fatto due mandati e non si possono più ripresentare e così sono entrati nel panico. Li capisco, per carità. Erano disoccupati e per un po’ di anni si sono trovati a prendere uno stipendio da tremila euro al mese e a gestire un po’ di potere, e adesso si sentono l’acqua alla gola perché devono lasciare”.
Persone autorevoli, credibili
17-08-2012, 01:03cattiva politica, ho una teoria, PdPermalinkOltre a essere poco rappresentativo, sono anche in ferie; leggo poco i giornali e me ne scuso, ma non sono in grado di ricostruire la situazione politico-mediatica in cui Fioroni ha ritenuto di fare un'uscita del genere. Voglio dire che se Fioroni stava parlando alla cognata perché intendesse la suocera, io in questo momento non sono in grado di identificare né suocera né cognata né cugini di primo grado. Tutto quel che ho letto è la sua dichiarazione, e centinaia di commenti inviperiti qui sull'Unità, nei social network, più o meno ovunque se n'è parlato. Tutte reazioni perfettamente prevedibili... (continua sull'Unita.it, H1t#140).
Per sposarsi ci vuole pazienza
17-07-2012, 01:56cattiva politica, ho una teoria, omofobie, PdPermalinkCe ne lamentiamo a ragione: sui diritti delle coppie omosessuali siamo molto indietro rispetto ai Paesi più avanzati. Quanto indietro? La sentenza della Corte federale tedesca, abbiamo visto, è del 2009. Le "convivenze registrate" esistevano già, dal 2001, ma non riconoscevano il diritto di adozione congiunta. Una notevole differenza. Che a un certo punto è sembrata insopportabile ai tedeschi, e alla loro Corte federale. Però non ci si è arrivati in un giorno. C'è stato un processo graduale: prima si è ammessa una forma di convivenza per partner omosessuali che non dava gli stessi diritti del matrimonio (ed era già il 2001); poi ci si è accorti che questa convivenza di serie B era una discriminazione, e si è rimediato alla cosa (intanto si era fatto il 2009); ancora ci si trattiene dal chiamare il "matrimonio" col suo nome, ma a questo punto è ormai un dettaglio. Raccontata in tre righe sembra senz'altro più semplice di quanto dev'essere stata per i gay tedeschi che hanno convissuto in questi anni: ma almeno la storia ha un lieto fine, oggi hanno gli stessi diritti degli etero. Possiamo fare la stessa cosa in Italia?
Sembra di no. Da una parte chi di coppie gay non vuole sentir parlare (ma sono sempre meno); dall'altra chi vuole il matrimonio subito, la parità subito, e considera tutto il resto un compromesso inaccettabile. In mezzo, ovviamente, il PD... (continua sull'Unità, H1t#136).
D'Alema è un bot
25-05-2012, 10:46avercela con D'Alema, campagna elettorale (permanente), cattiva politica, PdPermalinkLa cosa terribile è che io tutto sommato quel che ha detto D'Alema sui risultati delle amministrative e sul grillismo lo trovo condivisibile, segno equivocabile del mio triste invecchiare dalemiano: e tuttavia quando si arriva alle conclusioni, ahinoi, niente da fare. Io un passo verso D'Alema lo sto facendo, sarà il rincoglionimento, boh, ma anche D'Alema un passettino verso di me potrebbe farlo e invece no, D'Alema resta D'Alema, inossidabile. C'è un vuoto a destra che ricorda il '93, tranne che non lo possono occupare più né la Lega sputtanata né Berlusconi spompato né i postfasci dispersi, quindi chi? C'è un'astensione che cresce in tutti i settori, un'ostilità crescente per chiunque rappresenti governo e parlamento, e quindi per D'Alema cosa bisogna fare?
Per evitare di ripetere l'errore dobbiamo costruire un asse di governo basato sull'alleanza tra progressisti e moderati.Roba che se uno D'Alema non lo conosce (alle prossime elezioni voterà gente che è nata durante il governo D'Alema), probabilmente non riesce nemmeno a capire di cosa parla: chi sono i moderati? A giudicare dai toni e dai contenuti, siamo noi del PD. E i progressisti con cui fare l'asse chi sarebbero? Cos'è il progresso? Pietire l'eurobond? Ma purtroppo noi al tempo del governo D'Alema eravamo vivi, ahinoi, e votanti, per cui sappiamo cosa intende per "moderati": chiunque stia a destra del PCI-PDS-DS-PD in quel momento. Metti che ci fosse Gengis Khan. D'Alema ti proporrebbe un'alleanza con Gengis Khan. Scherzo, Gengis Khan è da un po' che non esiste. Perché invece Casini?
E guardate che un po' mi dispiace. Ci speravo, in questi famosi moderati delusi da Berlusconi, moderati ravveduti e disposti a guardare in faccia la realtà e dare il proprio contributo in un momento così difficile, ci speravo negli strani compagni di letto che ci avrebbe imposto il postberlusconismo, ci contavo, su dei moderati, per così dire, moderati. Bene, dove sono? Chi stanno votando? Il pre-polo della Nazione non arriva al 5%? La Curia non ha mai scommesso su un cavallo così zoppo, probabilmente sta già valutando qualche alternativa, e riflettendoci bene a questo punto ormai il partito più cattolico di tutti è quello di Rosy Bindi Fioroni e Fassino. La DC. Siamo noi adesso. Nel frattempo D'Alema continua a usare "progressisti" e "moderati" col significato che avevano vent'anni fa, a rischio di non accorgersi che nel frattempo i veri moderati siamo noi: mentre quelli che immagina lui (Casini? Fini? Pisanu? Montezemolo? Chi?) sono appunto ormai solo creature nella sua immaginazione. Senz'altro in Italia c'è abbondanza di politici desiderosi di rappresentare un'area moderata. Ma gli elettori moderati, quelli, esistono?
Prendi Parma. Per otto anni, pur di non votare DS, mandano al comune dei simpatici e rapaci roditori. A un certo punto, con un ospedale da Paese in via di sviluppo (gli edifici, non il servizio) e un cantiere per la metropolitana, si ritrovano commissariati, in pratica la Sicilia in Valpadana, senza offesa per la nobile isola ma ci siamo capiti. Cosa fanno allora gli elettori moderati? pur di non votare PD, che è l'erede di un'esperienza amministrativa coi suoi alti e i suoi bassi, ma nel complesso onesta, rispettabile... votano il candidato Cinque Stelle. Grande exploit di Grillo. E va bene, complimenti a Grillo e al suo candidato. Ci rimane il dubbio del calcare. Ovvero: se al posto del candidato Cinque Stelle si fosse candidato il calcare - non un calcare qualunque, diciamo il calcare ostinato dei peggiori anfratti del WC, siamo sicuri che la maggioranza dei parmensi non avrebbe scelto, piuttosto di un candidato PD, il calcare? Io non ne sono del tutto sicuro. Perché i cosiddetti "moderati", da noi, sono così. Voterebbero Gengis Khan. Non perché siano d'accordo con la piattaforma di Gengis Khan. In effetti, nessuno sa bene quale sia il pensiero economico di Gengis Khan. Però non è del PD. L'importante è quello, per gli elettori "moderati".
D'Alema questo non lo capisce. In sostanza non capisce gli italiani, non sono abbastanza razionali per lui. D'Alema vorrebbe conquistarli. Ci dev'essere pure un modo di convincerli che siamo il loro partner ideale. Vediamo un po', D'Alema, che altro possiamo fare per moderarci ulteriormente. Abbiamo cambiato quattro simboli e tre nomi. Ci siamo presi in casa mezza democrazia cristiana e tutti i radicali, e la Binetti per l'Opus Dei. E Ichino. E Calearo. Abbiamo sostenuto il governo Monti con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente. Quanti voti 'moderati' abbiamo conquistato al centrodestra? Più o meno l'uno per cento, Gengis Khan ne avrebbe presi di più. Quanti ne abbiamo persi nel frattempo alla nostra sinistra, al nostro centro, alla nostra destra? E adesso cosa possiamo fare di più moderato di così? Mettiamo Buttiglione in commissione pari opportunità? I posti in lista che libera Pannella, potremmo darli in blocco alla Conferenza Episcopale, magari gradiscono. Dopo aver candidato Calearo cosa possiamo fare di ancora più estremo, pardon, più moderato? Per dire, non so, Scilipoti ha degli impegni?
D'altro canto, se queste domande le poni a D'Alema, lui serafico ti risponderà
dobbiamo costruire un asse di governo basato sull'alleanza tra progressisti e moderati.Non importa che non esistano più né "progressisti" né "moderati": D'Alema auspica un'alleanza perché, sostanzialmente, la funzione sociale di D'Alema è auspicare quell'alleanza lì, così come la funzione sociale di certi santoni è ripetere invocazioni in lingue ormai sconosciute. Eppure la capacità di analisi a D'Alema non è mai mancata. Il guaio è la conclusione, sempre uguale: ehi D'Alema, piovono ranocchie e il meteo dice che una nuvola di locuste è in arrivo, cosa dici che dobbiamo fare?
Per evitare di ripetere l'errore dobbiamo costruire un asse di governo basato sull'alleanza tra progressisti e moderati.No, scusa D'Alema, scherzavo, in realtà i tedeschi hanno capito che se vogliono tenersi le case al mare ci devono aiutare e quindi si accollano il nostro debito e trasferiscono tutta la Volkswagen a Melfi e metà BMW a Termini Imerese. Quindi adesso che si fa?
Per evitare di ripetere l'errore dobbiamo costruire un asse di governo basato sull'alleanza tra progressisti e moderati.In fin dei conti D'Alema è un bot, un programmino semplice semplice che saprei scrivere pure io, in un antico arcano linguaggio macchina che ci tramandiamo di generazione in generazione:
10 scansiona il sistema
20 trova il centrosinistra (=CS)
30 identifica il soggetto a destra del centrosinistra con "moderati" (=M)
40 allea CS con M
50 vai a 10
run
Alla fine il bot D'Alema ha una sua utilità sociale. Il problema è quando nello stesso software inserisci anche il bot Veltroni:
10 scansiona il sistema
20 trova il centrosinistra (=CS)
30 trova i moderati (=M)
40 fondi CS con M (CS=M)
50 annoiati
60 esegui il bot D'Alema mentre scrivi un romanzo
run
Ecco: questi due bot, che presi individualmente sono abbastanza inoffensivi, combinati assieme diventano una minaccia. Prima il bot D'Alema sente l'impellente necessità di allearsi con tizi come la Binetti. Poi interviene il bot Veltroni che dice: noi non dobbiamo solo essere amici della Binetti, noi dobbiamo essere la Binetti. Il passo successivo è allearsi a Tremonti, o Bossi, o Montezemolo. Poi c'è Forza Nuova. Poi c'è Gengis Khan, o il calcare nel WC. Col tempo ci arriveremo. I bot non sentono il passare del tempo. Finché c'è energia vanno avanti, loro hanno un codice da eseguire.
"Non si celebra il nulla"
23-05-2012, 01:38calcio, campagna elettorale (permanente), internet, Pd, TwitterPermalinkQuesto non è un pezzo sulla politica. Non c'è nulla che valga la pena di scrivere in questi giorni che non sembrerà ridicolo tra un mese. Non è neanche un pezzo sul calcio. Forse è un pezzo sullo stile. Il problema con lo stile è che se non sai cos'è, non capisci nemmeno che ti manca. La maggior parte delle persone ne ha quel poco che basta per capire che gliene servirebbe di più. E poi c'è Adinolfi. Purtroppo questo è anche un pezzo su Mario Adinolfi.
Adinolfi sta su twitter. Ha anche un blog a dire il vero, cioè lo aveva sul Cannocchiale, poi lo ha chiuso, poi lo ha riaperto, non lo so, non è che sia così interessante in fin dei conti. Io lo seguo su twitter, e tanto mi basta. Sì, non è un grande indizio di stile da parte mia. Su twitter Adinolfi ha tutta una teoria su cosa bisogna fare e cosa no, tutto un catechismo che vi risparmio; lui sostanzialmente lo usa per esprimere le sue opinioni politiche, festeggiare quando vince a poker e tifare Juventus. Quest'ultima cosa lo rende più di altri un cinguettatore molesto, perché, non so se ci avete fatto caso, poche cose si sopportano meno nel flusso di twitter di uno che non commenta nemmeno la partita in modo tecnico, no, lo usa solo per fare i cori come in curva, ma d'altro canto Adinolfi è così. Tifa la Juventus, la quale squadra almeno di questo non ha colpe. La domenica che ha vinto il campionato magari vi siete chiesti chi sono stati gli sfigati che hanno fatto invasione di campo, ecco, Adinolfi c'era e si è fatto pure il video col telefonino e l'ha pure messo su internet, perché Adinolfi è uno che in internet ci crede, sa come usare internet per farsi compat... per attirare l'attenzione sul personaggio. Vabbe'.
campioni di sto kazzo..ma andate a lavorare,con tutti i problemi ke ci sono in italia pensate a ste minkiate,poi se ce da andare a manifestare x sto paese ke sta andando in rovina nessuno si muove..siete dei pecoroni di merda,ke italiani di merda e pure ciukki,bravi coglionazzi pensate al calcio ke sicuramente vi darà da mangiare...koglioniiiiiiiiiii.Ora io dirò una cosa di calcio, una sola. Non ho mai sopportato la Juventus. Quando sei bambino hai bisogno di una squadra che compensi la tua autostima, tanto meglio se è l'unica con due stelle sullo stemmino. Io probabilmente avevo un'autostima pazzesca, una sindrome da onnipotenza mai veramente rientrata, perché dopo attenta riflessione scelsi il Torino. Però voglio aggiungere un'altra cosa, un'ultima. Per quanto io possa avere odiato la Juventus bistellata dei miei tempi, il mio era un odio grondante di stima. Confusamente sapevo che non mi sarei mai potuto fare dei nemici migliori di Platini, di Zoff, di Boniperti, di Trapattoni. Era una squadra che aveva stile, non è solo un modo di dire. Anche quel modo di vincere ma non stravincere: per esempio il campionato mai due volte di fila, sarebbe stato inelegante. Il mio era un odio che si è incrinato in due momenti precisi, filtrando un dolore sincero: Juventus-Amburgo e Juventus-Liverpool. Ci soffro ancora a pensarci, che quella squadra non ha mai veramente vinto una Coppa come si deve. Se la meritava ma non è successo, e ciò me la rende un po' più Torino di quanto non sia Juventus. Quella Juventus non esiste più, anche questo non è un modo di dire. È cambiato tutto nel frattempo, stravincere è diventato un imperativo commerciale, però tutta la polemica sulla terza stella, ecco, al di là di tutto, è la morte dello stile. Uno sportivo che ha stile, se ritiene che gli sia stata fatta un'ingiustizia, se pensa che gli siano stati scippati due scudetti, alza le spalle e dice: va bene, siccome me li merito li rivincerò. Questo è lo sport, questo è lo stile, questo è l'unica labile connessione tra il guardar tirare calci a un pallone e il diventare uomini. Che era il fine per cui lo abbiamo inventato, lo sport moderno: diventare uomini. Non intrattenere bamboccioni quarantenni che si filmano l'invasione di campo, manco avessero vinto loro. (Sì, Adinolfi, non "avete vinto" voi tifosi: han vinto loro, voi al massimo avete pagato il biglietto, eh, ma questa cosa, se non ti è entrata a sedici, a quaranta è durissima)......!!!!!!!!!!!!! (D'altronde, se carichi un video su youtube che reazioni ti aspetti? No vabbe' ma sei tu l'internettologo).
Sabato sera c'è stata Juventus-Napoli, finale di Coppa Italia. Per i non esperti: è un trofeo nominalmente importante, ma sempre un po' snobbato dal pubblico. Per alcune squadre di livello medio è un palcoscenico fondamentale. Comunque stiamo parlando di un trofeo professionistico, ci si aspetta che tutti diano il meglio. Adinolfi, che su twitter aveva appena finito di esternare la sua opinione criminologica sulla bomba di Brindisi (Non è una bomba di mafia, questa è opera di un Brevnik all'italiana, trovatelo subito), si è messo subito a spiegare che la Coppa per lui era un "portaombrelli", non gli interessava, e vabbe'. Ha vinto il Napoli e Adinolfi ha commentato così:
E uno dice sì, un po' acidino, ma d'altronde è un tifoso, bisogna entrare nella semantica dei tifosi. Magari tra un po' cancella. E dopo un po':
Capisci che twitter è demoniaco? Perché son tutte opinioni non richieste, cioè Adinolfi, fermati, che rosicata indegna, che piccola grande figura di merda stai facendo, e perché? Sei un personaggio pubblico, ti sei anche candidato, e questi sono quei momenti in cui uno ti legge e pensa: fortuna che non t'abbiamo eletto. E non ha niente a che vedere con le tue idee o le tue appartenenze, ha unicamente a vedere con lo stile, però non credo di potertelo spiegare se non sai cos'è. C'è una differenza, ci dovrebbe essere, tra il "tifare" una squadra e regredire a uno stadio infantile di sfottò e pappapero. La famosa questione generazionale. Il guardare all'estero, dove i trenta-quarantenni si fanno sotto nel mondo della politica: vatti a vedere se un trentenne di belle speranze inglese si mette a commentare una partita così sui twitter. Io scommetto di no. Il "tifo", nei Paesi sportivi, implica un rispetto per gli avversari, per la competizione, per la bellezza del gioco, che tu in questi piccoli momenti mostri di non sapere neanche dove sta di casa, e spero violentemente che tu non sia rappresentativo di una tifoseria o di una società. Comunque magari era solo lo sfogo di un momento e dopo un po' gli è passata.
Non gli è passata. |
Certo, c'è il particolare trascurabile che Adinolfi era in una lista del PD, partito di cui ha stracciato la tessera un anno fa, con un intervento molto polemico nei confronti della segreteria Bersani. Al tempo noi pochi adinolfologi (razza strana) ci domandavamo in cosa consistesse abbandonare il PD, dal momento che Adinolfi non aveva nessun ruolo a nessun livello: di solito i divorzi comportano qualche rinuncia, ma non era chiaro a cosa stesse rinunciando il nostro. Per esempio, a un eventuale seggio in parlamento qualora se ne presentasse l'eventualità? No, pare di no, adesso che si è liberato un posto Adinolfi si è sbrigato ad annunciare che entrerà nel gruppo del PD, "da indipendente": che bella espressione anni Ottanta, mi fa tornare in mente Zbigniew Boniek. Un altro stile, comunque.
Questo non era un pezzo di politica. Era un pezzo sullo stile. Per esempio. Cosa c'è di peggio di sputare nel piatto in cui si mangia? Ci può essere qualcosa di peggio? Sì, qualcosa c'è: riprendere il piatto dopo un po' e rimettersi a mangiare come se nulla fosse. Da indipendente. D'altro canto, che senso ha parlarne. Chi legge fin qui, o condivide il mio parere su Adinolfi (e allora è inutile continuare) o è Adinolfi. Nel qual caso non credo che possa capire cosa intendo per "stile". Probabilmente pensa che lo stia prendendo in giro perché è sovrappeso. No, Adinolfi, giuro, il girovita non c'entra niente.
Tre bicchieri mezzi pieni
15-05-2012, 02:35aborto, cristianesimo, ho una teoria, omofobie, Pd, scoutismoPermalinkÈ il solito discorso del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: se davvero c'interessa che le cose cambino, un po' di ottimismo aiuta. Ne abbiamo bisogno molto più noi che i connazionali di Obama. Prendiamo il caso dell'onorevole Mariapia Garavaglia (PD), che all'alba di venerdì risultava ancora nell'elenco degli aderenti alla Marcia per la vita di Roma. Guardiamo al bicchiere mezzo pieno: domenica, nello stesso elenco, non c'era più. Non che abbia cambiato idea: probabilmente è ancora convinta che l'aborto sia un omicidio, anzi un genocidio. (Continua sull'Unita.it, H1t#127, ma lascio i commenti aperti anche qui).
Il leghista di bronzo più perenne
16-04-2012, 20:07Bossi, cattiva politica, come diventare leghisti, ho una teoria, PdPermalinkE dire che di tutti i leghisti era quello che a pelle sopportavo di meno. Forse perché suo coetaneo, ero portato a sottostimarne la consistenza. Mi indisponeva soprattutto quel suo eterno corruccio da malmaturo, provato e riprovato allo specchio: quella smorfia da camionista incazzato al bar, lui che in realtà veniva da un liceo classico e che probabilmente capiva più il greco antico che certi dialetti bergamaschi. Quando era europarlamentare davo per scontato che non riuscisse a capire dove si trovava e perché: amavo immaginare lui e il suo collaboratore Franco-fratello-di-Umberto Bossi che vagavano per Bruxelles senza riuscire a decifrare la mappa bilingue della metro, con grande scorno dell'Europa delle Regioni. Tutti pregiudizi, i miei, tutti parti dell'invidia. C'è voluta una congiuntura mondiale, il crollo del berlusconismo e l'esaurimento del bossismo, perché me ne accorgessi. Del resto è nella tempesta che si vedono i veri capitani, e Matteo Salvini questo è, un capitano coraggioso che non lascerà la Lega finché non sarà salva l'ultima donna, l'ultimo bambino, e poi calerà a picco con lei - ma non è detto.
Non è affatto detto. Gli ultimi sondaggi, vatti a fidare, dicono che regge sul sette per cento. Davvero niente male per un partito terremotato. Le ragioni della tenuta le hanno messe per iscritto in tanti: la Lega ha uno zoccolo duro, la Lega ha sempre un piede nell'antipolitica, la Lega non si è sporcata col governo Monti eccetera. La Lega, aggiungo io, può contare su cavalli di razza come Salvini, che in questi giorni in tv ci sta mettendo la faccia senza mollare, non indietreggiando davanti al ridicolo, regalando al suo partito performance assolute come quella di ieri da Giletti... (continua sull'Unità, H1t#123, speriam bene).
Elogio del leghista Salvini
Non avrai altro giuslavorista
27-03-2012, 01:42lavoro, PdPermalinkUna delle poche cose che ho capito della riforma Fornero è che non è, tra le altre, la riforma Ichino: e questo lo ha riconosciuto con molta serenità Ichino stesso. Non è nemmeno un'evoluzione, una variazione, una rielaborazione della bozza Ichino; è proprio un altro progetto, scritto da una persona che aveva una visione diversa dell'Italia e del lavoro e degli italiani. Fin qui penso che siamo d'accordo tutti.
E quindi insomma per mesi - per anni - abbiamo litigato, tra PD e dintorni, su una cosa che alla fine è rimasta una bozza, una lista di buoni propositi; come i capponi di Renzo, ci siamo beccati tra noi mentre il padrone ci spennava. Non c'è nemmeno motivo per cui smettere adesso: con un po' di impegno, finché la temperatura del forno ce lo consente, possiamo continuare a litigare su Ichino. C'è per esempio una corrente di pensiero, ben rappresentata da Francesco Costa, che se la prende con gli ichinoclasti del PD: se la riforma Fornero picchia duro è colpa loro che non hanno voluto la riforma Ichino. Chi troppo vuole nulla stringe, il meglio è nemico del bene eccetera.
Senza dubbio molte critiche che venivano fatte a Ichino e alle sue proposte erano pregiudiziali. Però c'erano anche i capponi che scuotevano la testa ritmicamente non per inerzia, ma perché banalmente Ichino non li convinceva. Non è che fosse un brutto concetto la flexsecurity, anzi, bellissima: ma con che soldi? In Danimarca credo anch'io che si stia bene: ma è verosimile pensare di trasferire un modello che è prima di tutto culturale, partendo dalla normativa sul lavoro? Io ero uno di quei capponi che diceva no, no, no, e qualche beccata me la sono presa, per carità, robetta.
In generale noi ichinoscettici, più che ichinoclasti, pensavamo che tante buone idee sarebbero restate slogan, buoni per aizzare i giovani arrabbiati contro la casta dei sessantenni col posto fisso, ma senza altre conseguenze pratiche; che di quanto Ichino prometteva, la parte "flex" sarebbe passata liscia liscia per le camere fino alla Gazzetta Ufficiale e agli uffici legali delle aziende; la parte "security" invece si sarebbe incagliata in qualche angusto anfratto dell'iter parlamentare; magari impigliata a vecchi faldoni, gli ammortizzatori sociali del pacchetto Treu, o quelli della legge Biagi. Eravamo prevenuti, decisamente. E adesso ci becchiamo la Fornero e ce la meritiamo.
Eppure dal nostro scettico punto di vista le cose sono proprio andate così. Dopo mesi di slogan e contrapposizioni generazionali, quando si è trattato di mettersi a tavolino e scrivere una legge praticabile, la bozza Ichino non è stata presa nemmeno come punto di partenza. Forse a causa del livore degli ichinoclasti, è un'ipotesi. L'altra ipotesi è che semplicemente la bozza Ichino non sia praticabile. È una bellissima bozza, contiene meravigliose danimarche flessibili smontabili trasportabili e rimontabili in loco, e altri mondi immaginari, come quel bel libro di Tommaso Moro, come si chiama. Però quando si tratta di riformare realisticamente il mercato del lavoro in Italia, magari cercando di attirare qualche negriero, pardon, delocalizzatore (un tentativo disperato, ma a questo siamo), ecco, semplicemente non c'è più tempo per le fiabe nordiche, che pure sono tra le mie preferite.
A questo punto però assistiamo a uno di quei fenomeni sui quali secondo me non si riflette abbastanza, ovvero: la nascita di una religione. Proprio nel momento in cui la bozza Ichino viene rigettata, e anche Ichino lo sa e legittimamente continua a fare controproposte, i suoi seguaci (molto più ichinoduli di lui) elaborano la sconfitta in forma di Martirio: la bozza non è caduta perché non funzionava, ma perché noi eravamo troppo peccatori per meritarcela. Se solo avessimo accettato nel nostro cuore la verità della Bozza... ma noi, che pure abbiamo veduto, non abbiamo creduto: guai a noi, guai a Fassina, guai alla CGIL, guai insomma un po' a tutti. Non meritiamo di partire per la danimarca promessa dove scorrono il latte, il miele e la security.
Ecco, devo dire che questa reazione mi inquieta un po'. Di solito l'utopismo sta ai margini del dibattito politico; il caso degli ichinoduli mi sembra una cosa curiosa, un utopismo moderato, ma comunque abbastanza irrazionale. E poi sto in pensiero per Ichino, che mica voleva fondare una religione. Con quel che costano in sacrifici. A volte anche, ehm, umani.
Guida al suicidio responsabile
23-03-2012, 14:36ho una teoria, Monti, PdPermalinkNon potevano scriversela e votarsela loro, quelli che dicevano di essere di centrodestra e che hanno avuto governo, maggioranza parlamentare e largo consenso nel Paese per otto anni degli ultimi dieci? Dovrebbe invece sostenerla il PD di Bersani, a costo di alienarsi una larga fetta del suo elettorato, che andrà a ingrossare le file del nuovo massimalismo antieuropeo e complottista? E perché va sempre a finire così, che il centrodestra governa e non fa nulla finché non arriva la crisi, e quando arriva la crisi le misure punitive deve intestarsele anche il centrosinistra? (continua sull'Unità - H1t#118, niente di originale ma mi sembra che funzioni ancora).
"Né domani né mai"
12-03-2012, 17:56ho una teoria, omofobie, Pd, ScalfarottoPermalinkNon è un caso. Lo si era già capito ai tempi del disegno di legge sui DiCo: c'è una questione che più di ogni altra riesce a mostrare in controluce i punti di massima fragilità del Partito Democratico, ed è precisamente la questione del matrimonio gay. Niente riesce a polarizzare altrettanto bene laici e cattolici di centro-sinistra, che su tanti altri argomenti hanno opinioni assolutamente sovrapponibili. Alfano poteva dire tante cose e forse le ha dette, ma la piaga su cui poteva mettere il dito è una sola: tutto il resto è indolore e ce lo siamo già scordati. Le nozze gay invece fanno male: mettono contro i cattolici e i loro "valori non negoziabili" e i gay a cui è negato un diritto civile. In mezzo, una buona percentuale di elettori che forse sull'argomento non hanno una posizione chiara ma che legittimamente si aspettano che il loro partito ne formuli una, invece di trovarsi a leggere di battibecchi tra presidenti e vice.
Chi scrive è abbastanza convinto che al matrimonio omosessuale ci si arriverà... (continua sull'Unità, H1t#116) Se l’Italia riuscirà a restare agganciata alle economie e alle società più avanzate, non c’è motivo perché quello che è successo in Spagna non avvenga anche da noi. Non è tanto un problema di “se”, quanto un problema di “quando”. A tal proposito non ho motivo di dubitare della fermezza della Bindi: finché lei conterà qualcosa (e conta ancora molto) di matrimoni gay non si parlerà. Ovvero, se ne parlerà, ma soltanto per litigare, e gli ultimi ad approfittare di questi litigi saranno le coppie gay. Bisogna sempre tener conto che la Bindi non è su quella sedia di Presidente per caso: che alle primarie del 2007 fu l’unica seria avversaria di Veltroni, con una piattaforma che per certi versi era più progressista di quella del vincitore. Non è mai stata una baciapile alla Binetti, però è cattolica e i cattolici, di matrimonio gay, non intendono sentir parlare: non è un mistero, lo dicono apertamente da anni.
AntiPerformatiValter
21-02-2012, 23:14Giuliano Ferrara, Pd, VeltroniPermalinkOra chiedo aiuto a chi il linguaggio l'ha studiato seriamente: qualcuno ha mai pensato all'esistenza di atti anti-performativi, discorsi che disfano proprio quello che stanno affermando e proprio nel momento in cui lo affermano? Per esempio, quando uno dice: Sono molto modesto: proprio in quel momento non lo è più. Oppure uno che urla: voglio Silenzio! Però questo secondo esempio in realtà non funziona, perché uno urlando spera comunque di essere performativo e di ottenere in un secondo momento il silenzio a cui aspira. In realtà non è così facile usare la lingua in modo antiperformativo. Bisogna vivere sul filo del paradosso, non è da tutti. Ma sicuramente è da Veltroni.
Vi ho fregati, altro che filosofia del linguaggio, quello che segue è un altro pezzo su Veltroni. Sì, ci sono ricascato. E dire che le ho provate tutte. Mi sono trovato questa bella rubrica, per esempio domani si festeggia la cattedra di San Pietro, non San Pietro ma proprio la cattedra di legno, non è fantastico? Il mondo è pieno di cose meravigliose di cui scrivere, la vita è breve, l'arte è lunga, e non combinerò mai niente di buono se ogni volta devo fermarmi perché Veltroni ne ha detta un'altra.
D'altro canto lui esiste, e rilascia interviste che sono atti antiperformativi: non vale la pena di segnalarlo agli studiosi? Quando chiama Maltese e rilascia un'intervista dove detta una linea del PD che non ha niente a che fare con la linea del segretario del PD, e nello stesso momento afferma: basta correnti, Veltroni non sta semplicemente giocando a rompere il suo partito e minare la sua fragile risalita nei sondaggi; non sta semplicemente pestando nel torbido del dibattito interno, offrendo a giornalisti interessati settimane di polemiche che poi ricascheranno nel nulla. Veltroni sta sfidando il principio di non contraddizione che è alla base del pensiero razionale moderno scientifico occidentale, Veltroni sta andando oltre, chi sa dove chi sa dove, in una nuova dimensione dove le correnti si fondano negandone la necessità.
E allora dite quel che volete, ma non negate che Veltroni sia affascinante. Molto, molto più interessante del tizio peace and love and figurine che credevamo di aver candidato quattro anni fa. Veltroni è oltre, Veltroni è post, Veltroni è il primo vero politico italiano a vivere in una dimensione 2.0, e in questa dimensione Veltroni si è preso un ruolo di tutto rispetto che è quello del troll. E come tutti i troll, Veltroni è in cattiva fede: non può non sapere che partiti senza correnti ce ne sono stati tanti nel Novecento, anche perché il più importante di tutti è quello in cui è cresciuto lui, il Partito Comunista Italiano. Esatto, sì, era un partito senza correnti formalmente riconosciute: a differenza della Democrazia Cristiana, dove le correnti erano associazioni con tessere, convegni, dirigenti, nel PCI tutto questo per statuto non esisteva. E i miglioristi? Giorgio Amendola era un migliorista. Giorgio Napolitano era un migliorista. Giuliano Ferrara era un migliorista. I miglioristi insomma esistevano; candidavano loro esponenti a livello locale e nazionale; avevano quote di tutto rispetto nelle cooperative e i loro corsivisti di riferimento sull'Unità. Però non potevano chiamarsi corrente, perché il centralismo democratico del PCI non ne prevedeva l'esistenza. Formalmente.
In pratica erano una corrente e si comportavano da corrente, perché - come Veltroni sa benissimo - non c'è nessuna disciplina interna compatibile con la democrazia che può impedire un insieme di esseri umani di pensarla tutti nello stesso modo e organizzarsi all'interno di un partito. Quindi in pratica cosa sta chiedendo Veltroni quando dice che vuole abolire le correnti? Rivuole il centralismo democratico, per cui il segretario detta la linea e la minoranza borbotta impotente contando i giorni al Congresso? Difficile conciliare una visione del genere col veltronismo militante, che consiste nel telefonare a un giornalista ogni volta che si ha una mezza idea da buttar lì, e chìssene se c'è un segretario regolarmente eletto che la pensa in un modo diverso. Quindi: correnti riconosciute no, sarebbe come rifare la DC. Centralismo e correnti sottaciute no, sarebbe come rifare il PCI. Cosa vuole esattamente dalla vita e da noi Veltroni? Una cosa nuova. Il partito leggero. Il partito leggero è una cosa fichissima, l'ha teorizzato Giuliano Ferrara ma avrebbe anche potuto farlo George Orwell dopo aver mangiato pesante. Il partito leggero non ha iscritti, perché gli iscritti potrebbero condizionare le scelte del leader. Il partito leggero elegge il leader mediante primarie, dove tutti i cittadini, senza tessere, possono eleggere i candidati: e per tutti si intende proprio tutti, non c'è nessun sistema per tenere fuori elettori di altri partiti e semplici disturbatori: tutti dentro, tranne i cinesi perché dei cinesi Veltroni sospetta.
Il popolo insomma, cinesi a parte, elegge un leader, scegliendolo da una rosa di candidati che sono espressi non si capisce da chi, visto che correnti non ce ne possono essere. O forse possono esserci soltanto la settimana in cui ci si candida, e devono promettere di sciogliersi subito dopo giurin-giuretta. Il popolo elegge quindi il suo leader, e da quel momento in poi non ci sono correnti, non ci sono minoranze, c'è "più pluralismo" che però non si può organizzare, e quindi non si può esprimere, tranne evidentemente Veltroni, che può rilasciare interviste alla Stampa al Corriere o alla Repubblica. Ma forse mi sbaglio, forse non è una prerogativa che Veltroni vuole per sé, forse qualsiasi non-iscritto al PD ha il diritto di protestare facendosi intervistare sulla Stampa o sul Corriere o su Repubblica, e in ciò consiste il pluralismo. Probabilmente è così, probabilmente la prossima volta che non apprezzo un'uscita di Bersani invece di perdere tempo qui chiamo direttamente Maltese che si prenoti un paio di pagine e un titolo basso in prima. Il partito leggero in somma è così... ah, dimenticavo, Veltroni non solo vuole primarie senza correnti, ma le vuole obbligatorie per tutti i partiti, che se ci pensate è fantastico, cioè, perché poter votare soltanto per il segretario del PD? ma giustamente io voglio scegliere anche il candidato PdL, e IdV, e mi vengono anche in mente un paio di nomi per Rifondazione. In pratica dopo un po' ci sarebbe un gruppo di aficionados che vota a tutte le primarie che trova: ma a quel punto a che serve eleggere tanti partiti diversi? Ma facciamone un solo Partito unico, no? Tanto alla fine della fiera si tratta solo di trovare un modo poco macchinoso per eleggere Monti alla carica che ha già.
Più o meno questa è l'idea di 'leggerezza' di Veltroni-Ferrara: una leggerezza opaca (non sono identificabili né i gruppi che esprimono una candidatura, né gli elettori), strutturata per legge (le primarie obbligatorie), plebiscitaria (l'elettorato non può darsi nessuna organizzazione intermedia, deve votare un leader e poi sciogliersi in attesta della consultazione successiva). Il potere rimane nelle mani del leader, il dissenso in quelle di chi ha in rubrica i numeri di telefono dei giornalisti. E nota che non sono alieni appena arrivati da un disco volante: sono esperti di Novecento che hanno studiato il Novecento e non fanno altro che parlare di Novecento, ogni loro parola è talmente pregna di quel secolo mai troppo breve che Veltroni non riesce neanche a dire la parola "tabù" senza soggiungere che l'ha già usata Freud, insomma è una parola certificata Iso-Novecento: e dopo tutto questo mangiare Novecento, ruttare Novecento, cacare Novecento, il risultato è che ti buttano lì una proposta di partito totalitario per il nuovo millennio, ma grazie tante, è proprio vero che la Storia insegna un sacco di cose a chi l'ha studiata bene.
La sindrome di Lynette
07-12-2011, 02:25Monti, Pd, tvPermalinkNon ho fatto i compiti. Ballarò l'ho visto con un occhio solo, Vespa men che meno. Per cui probabilmente mi sbaglio, ma la sensazione è che il PD si sia fatto incastrare un'altra volta, nel modo splendido in cui solo il PD ci riesce, anche quando non si chiamava ancora così. Cioè, ripeto, ne ho visto poco, ma da quel poco che ho visto mi è sembrato che la democratica Finocchiaro stesse difendendo la sua manovra dalle critiche di Maroni, della Gelmini, di Belpietro, ma cosa diamine? Manco l'avesse scritta lei.
Ora: nei fatti è così, la manovra Monti è un prendere-o-lasciare, e il PD prenderà. Farà qualche distinguo, concerterà qualche contentino, metterà il musetto, ma in sostanza voterà una manovra che è una botta dura al suo bacino elettorale di salariati, dipendenti pubblici e diciamolo, pensionati. Lo farà perché è un partito responsabile, in effetti questo aggettivo (“responsabile”) è una delle poche cose che può dire di sé: l'unico paletto rimasto saldo nel cedimento ideologico circostante. Il PD è un partito che se c'è da sacrificarsi, lo fa. In fondo è nato dal sacrificio di due identità (democristiana e postcomunista) che Veltroni sanciva in nome del bipartitismo di domani e di una vittoria nel futuro remoto – nell'immediato si tirava a prendere il trenta per cento e sbattere i partitini di sinistra fuori dal Parlamento. Ma l'idea di sacrificarsi per il bene del Paese viene più da lontano: è l'eredità di Prodi, l'idea che l'Italia possa pensare di rivolgersi al centrosinistra soltanto quando è con l'acqua alla gola e deve essere salvata da sé stessa. Dovevamo entrare nell'Unione Europea, ce l'abbiamo fatta, poi dovevamo entrare nell'Euro, missione compiuta, ora dobbiamo restarci: e ogni volta c'è sempre un professore che fa due conti, e un partito che fa un po' di manfrina e poi si adegua. Il canovaccio è così vecchio che i protagonisti di oggi sembrano recitarlo istintivamente.
Dall'altra parte c'è il principio del piacere, l'irresponsabilità, l'oblio. Maroni non può ricordare di essere stato ministro fin quasi alla settimana scorsa; cioè, l'uomo Maroni di certo lo sa, ma il personaggio-Maroni è già altrove, nella sua Padania tra le nuvole, oppresso da questo governo tecnocrate. Anche in questo caso, la rapidità e la facilità con cui certe facce da culo si adattano al nuovo ruolo non stupisce più, ci siamo abituati: loro sono fatti così, lotteranno sempre per la pensione, per i Comuni tartassati, per non toccarci le tasche, per l'orfano, per la vedova, per la Padania. Davvero, ci stanno così bene all'opposizione. Invece il PD si sente sempre al governo. Sempre responsabile, sempre ragionevole. Responsabile come certe persone travolte dagli impegni, che nascondono dietro l'ansia per le scadenze (dobbiamo pareggiare il bilancio subito! Dobbiamo entrare nell'Euro!) il fatto che non riescono più ad alzare lo sguardo oltre l'orizzonte di sei mesi, un anno, una legislatura, un decennio. Del resto chi ha bisogno di Visione, quando ha Emergenze? Voteranno la manovra Monti: si lamentano, ma l'avrebbero votata anche più dura di così. C'è da salvare l'Italia e loro si aspettano che l'Italia sarà in qualche modo riconoscente. Questa è la forma più pura del tafazzismo, io però sarei per eliminare questa parola di cui i giovani d'oggi (spero) ormai ignorano l'etimo. Preferisco raffigurarmi il PD come una mamma sollecita che con le sue continue attenzioni e autoimmolazioni non fa che ritardare il momento in cui gli altri membri della famiglia cominceranno a sviluppare una qualche forma di responsabilità, o anche solo di dignità.
Io poi se fossi nell'on. Finocchiaro mi comporterei probabilmente allo stesso modo, e nel mio piccolo di tesserato CGIL onestamente non so nemmeno se farò il prossimo sciopero, poco più di un atto di testimonianza. Però anche la forma ha la sua importanza. Un conto è bere l'amaro calice, un conto è mettere la faccia sullo spot. Perché devo vedere la Finocchiaro che difende Monti e Gelmini che lo critica? Questa manovra fa più comodo al centrodestra, non fosse altro perché allontana il PD dalla sua base, rafforza Vendola, Di Pietro, Grillo, chiunque non si senta obbligato da un vincolo di responsabilità. Nel gioco delle parti per cui prima di votare la manovra gli esponenti di PD e PDL si faranno un po' guardare mentre litigano, è già chiaro che vinceranno i secondi anche stavolta: non li si può almeno attaccare per primi, non gli si può almeno lasciare l'ingrato ruolo di essere quelli che parlano bene di Monti? Tanto la voteranno: si terranno Monti fino all'esatto momento in cui gli conviene. Non è la prima volta che alla fine di una gestione Berlusconi arriva un professore a rimettere i conti in ordine. E allora perché loro possono brontolare finché vogliono, senza pudore, senza rispetto per il loro pubblico... e la Finocchiaro no? Ops, mi sono risposto da solo.
Potrebbe piovere
24-11-2011, 02:07Berlusconi, futurismi, PdPermalinkChi vince nel 2013 vince "tutto"
La legislatura ha come termine naturale la primavera del 2013; l'Euro e l'Unione Europea potrebbero anche durare di meno. Per una coincidenza fortuita e rischiosa che dovrebbe capitare ogni vent'anni e invece si è verificata già cinque anni fa, nel 2013 scade anche il mandato di Napolitano. Non so esattamente (qualcuno lo sa?) cosa preveda la Costituzione, ma nel 2006 lo stesso Napolitano fu nominato da un parlamento appena insediato. È lecito quindi supporre che nel 2013 succeda la stessa cosa: prima si va alle urne, poi chi vince nomina il Presidente. Quindi chi vince nel 2013 vince tutto – ammesso che nel piatto sia rimasto un granché da vincere. In realtà, comunque vadano le cose, è improbabile che il futuro presidente possa provenire dall'area del PD: sono già riusciti a piazzare Napolitano, col senno del poi è stato un exploit fantastico (considerato che quelle elezioni le avevano praticamente pareggiate). Non solo, ma prima di Napolitano sul colle c'era un laico, Ciampi. A questo punto è chiaro che i cattolici reclameranno il posto, e considerata la loro centralità sarà molto difficile negarglielo. L'unico problema è trovarne uno abbastanza pulito (Pisanu?), cosa non semplice quando un monopolista dei ventilatori dispone del quantitativo necessario di merda: Casini è avvisato. Piuttosto è Monti ha buone carte da giocarsi, come il cursus honoris di Ciampi dimostra. Quanto ai piddini papabili, probabilmente loro si sono già segnati la primavera del 2020 su google calendar; per allora D'Alema avrà 70 anni, Veltroni pochi di meno... sarà l'ultima sfida, ma vien voglia di controllare se per caso non c'è un meteorite che impatta prima.
Restiamo al 2013: come ci arriviamo?
Fermo restando che un meteorite, una farfalla in Brasile, ma più probabilmente Angela Merkel in Germania possono fare e disfare in qualsiasi momento il nostro destino... proviamo a indovinare come andrà a finire il governo Monti. Il suo margine d'intervento è abbastanza ristretto: l'opinione condivisa è che profitterà della sua natura tecnica per chiedere sacrifici sia a destra e a sinistra; banalizzando (stringendo gli occhi): i berlusconiani dovranno mandare giù la patrimoniale, i bersaniani la fine dello stato sociale come lo conoscono (pensioni di anzianità, cassa integrazione, eccetera). Questo è il patto sottaciuto – non perché sia segreto, anzi è davanti agli occhi di tutti. La cosa interessante è capire chi lo rispetterà, o meglio: chi tradirà per primo.
Sulla base di nessun dato, ma semplicemente per il mio viscerale antiberlusconesimo, io dico Berlusconi. Lui ha il killer istinct, lui vuole e deve vincere (per la gloria, per salvare la famiglia) gli altri stanno sempre a pensare ad altro, come ad es. il bene del Paese. È anche vero che Berlusconi è una variabile indipendente, nel senso che è matto. Ma non è vero che i matti siano così imprevedibili, specie quando sono soggetti a fissazioni. Inoltre negli ultimi mesi lo abbiamo visto sotto stress, costretto in un ruolo istituzionale che non gli piace, sorvegliato a vista e probabilmente impossibilitato a sfogarsi come si deve. Ma chissà che una bella dormita, un beverone e un bunga-bunga fatto bene non ci restituiscano il combattente che conosciamo.
Berlusconi, dunque, con le corazzate mediaset, le teste di ponte in rai che a riallinearsi ci metterebbero comunque un po', e l'artiglieria in Senato puntata sul governo Monti, Berlusconi se ha ancora voglia di combattere cosa deve fare? Mantenere in vita il governo Monti fino all'esatto momento in cui avrà rimontato nei sondaggi. Nel frattempo, vai di microcriminalità al telegiornale (si è già registrata una certa recrudescenza delle rapine a mano armata). Ci saranno momenti anche paradossali, per esempio probabilmente Berlusconi farà votare ai suoi la patrimoniale e il giorno dopo farà cadere il governo e farà campagna elettorale contro la patrimoniale; è capacissimo di farlo, e lì il problema non è tanto la follia sua, quanto quella dei suoi elettori. Dopodiché chissà, magari perderà comunque, ma più per anzianità che per altro: Alfano come delfino non sembra quel mostro di carisma. Però a quel punto contro chi perderebbe? Contro un neo-CLN antiberlusconiano? Non credo che gli elettori sarebbero entusiasti, ma in quel caso il ticket più probabile sarebbe Bersani a palazzo Chigi e Casini al Quirinale, urge spolverare il lemma “cattocomunista”.
Un altro scenario è che i parlamentari berlusconiani, invece di far saltare il governo Monti in un momento qualsiasi da qui al 2013, riescano a sequestrarlo, imponendo un programma più destrorso che sinistrorso: una patrimoniale solo di nome e una riforma del lavoro che umili Bersani. A questo punto nel 2013 il “PDL” (che comunque non si chiamerà più così) potrebbe addirittura candidare Alfano al governo e Monti al Colle, con Berlusconi jolly che si tiene le sue aziende e scambia una sua uscita dalla scena politica con la sostanziale impunità per tutto quello che lui e i suoi hanno commesso. La sinistra a quel punto sarebbe probabilmente divisa tra massimalisti (Vendola più gli ex bersaniani delusi) e centristi (Renzi o un simil-Renzi che cerchi di rubare voti a Casini, o addirittura alleato con Casini: adesso sembra strano, ma tra un paio di anni chissà).
Dopodiché, ripeto, può succedere di tutto. Ad esempio: un processo qualsiasi di quelli che ancora coinvolgono B, e ai quali ora avrà molte meno ragioni di non presentarsi. Ad esempio: Beppe Grillo. Le cavallette. L'eruzione del Vesuvio. L'uscita dell'Italia dall'Euro, prospettiva che faccio fatica a visualizzare: l'unica cosa che mi viene in mente è una specie di Cuba con gli euro tedeschi al posto dei dollari americani e i puttanieri tedeschi al posto dei puttanieri italiani, e la pizzica al posto della salsa – e ditemi dov'è la nostra Miami che io sto già pensando a dove gonfiare il canotto.
(Poi ci sono anche le ipotesi ottimistiche, ma le tengo per me. Scaramanzie).
Il più grande B. dopo il Big B.
02-11-2011, 02:55cattiva politica, Pd, RenziPermalinkCominciamo da quello che non c'è: mi sembra che lo sintetizzi abbastanza efficacemente. Malvino. Non c'è una sola parolina sulla Chiesa, quella cosa che potrebbe pagare un sacco d'ICI e da un po' di tempo non lo fa. Non una parola pro o contro l'eutanasia, pro o contro il reato di clandestinità. Non si capisce se è favorevole a regolarizzare le unioni gay, ma si capisce abbastanza bene che non è tra le sue cento priorità. Ma soprattutto non si parla di conflitto d'interessi, è come non ci sia mai stato. È come se Berlusconi fosse già stato infarinato, fritto, digerito. Renzi sembra non sapere (qualche suo collaboratore potrebbe ragguagliarlo) che per quanto la persona-Berlusconi possa essere al termine della sua parabola, dietro c'è un partito-azienda che non si arrenderà senza combattere. Anche laddove fosse sconfitto, Berlusconi o un suo eventuale successore potrebbe continuare dall'opposizione ad avvelenare i pozzi del dibattito politico, come già gli è riuscito benissimo tra il '96 e il 2000 e nel biennio 06-08: soprattutto se nel frattempo gli si lascia il controllo di Mediaset. Ora, è comprensibile che Renzi&co. vogliano marcare le distanze tra la loro nuova sinistra e l'antiberlusconismo: però se su 100 punti ti dimentichi proprio di questo, e il tuo programma te l'ha scritto Giorgio Gori, e qualche mese fa sei andato ad Arcore senza avvisare nessuno, insomma, a un certo punto unire i puntini diventa imbarazzante e forse è meglio che cominci a marcare le distanze tra te e Alfano.
1 – Basta con il bicameralismo dei doppioni inutili.
È una riforma costituzionale: serve una maggioranza qualificata, servirà una bicamerale, un referendum confermativo, si andrà al duemilaeventi... non che il principio non sia condivisibile. Però è poco più che uno slogan, anche perché sembra che Renzi&co. vogliano una camera sola, e invece due righe più giù già stanno introducendo un senatino delle regioni “Al posto dell’attuale doppione serve un organo di raccordo tra lo Stato e i governi regionali e locali che possa anche proporre emendamenti a qualsiasi proposta di legge”, sembra di capire che i membri li nominerebbero i consiglieri regionali – quelli provinciali no, perché vogliono abolirli...
2 – Abolizione del Porcellum
Ma figurati, tutti vogliamo abolire il Porcellum. È più interessante con cosa lo vogliano sostituire: collegi uninominali. Non lo scrivono, ma sarebbero secchi, secchissimi, niente più quota proporzionale alla Camera o al Senato, visto che di Camera ce ne sarebbe una sola. E sarebbero collegi enormi: cinquecento in tutt'Italia. A questo punto diventa fondamentale la possibilità di disporre di ingenti fondi per la campagna elettorale. Di questo argomento Renzi &co. parlano estesamente più in basso, ma posso anticiparvi che in sostanza i casi sono due: o sei Berlusconi o sei Montezemolo (o sei loro amico).
5. Abolizione delle province. Più di 100 province non ce le possiamo permettere. Vanno abolite. Nei territori con almeno 500.000 abitanti si può eventualmente lasciare alle Regioni la facoltà di istituire enti di secondo grado per la gestione di funzioni da loro delegate.
(Update, probabilmente avevo capito male, grazie a Delio) Le uniche regioni inferiori ai 500.000 abitanti sono Val d'Aosta e Molise. Se ne deduce che la provincia di Isernia è fottuta, e io non è che starò a piangere per lei. Le altre province, già abolite virtualmente nella letterina di Silvio a Bruxelles, rientrerebbero dalla finestra nel momento in cui si lascia “alle Regioni la facoltà di istituire”: allora sapete cosa faranno le Regioni? Le re-istituiranno. Non solo per la possibilità di distribuire poltrone a soci e clientele, ma anche perché, dopotutto, sono utili. Certo, Renzi e compagni non lo possono sapere, stanno a Firenze che è una capitale dal Quattrocento. Nel frattempo, a pochi chilometri dalla Leopolda, c'è una provincia toscana devastata dalla piena di un fiume, e due sindaci di due comuni che litigano su chi doveva inoltrare un fax a chi. Come se Aulla dipendesse da Pontremoli. Per quel poco che ne so, Aulla non dipende da Pontremoli: entrambe dovrebbero essere coordinate dall'ente della provincia di Massa e Carrara, che dovrebbe disporre del budget necessario per sovrintendere efficacemente alla gestione delle vie fluviali, vigilare contro la cementificazione e il disboscamento, e verificare la tenuta della rete stradale provinciale. Senza aspettare che lo decida il Granduca a Firenze – ma questa è una battaglia persa ormai, lo so. Berlusconi le vuole abolire, così da qui in poi il fax partirà da Firenze - sempre che il Granduca abbia voglia di spendere soldi per gestire territori remoti e che dal punto di vista elettorale contano poco come la Lunigiana. Renzi si contenta di abolire quelle piccole, che secondo lui sono "piccole" perché ci abitano pochi abitanti. E sì che la Toscana mi sembra il classico esempio di regione ricca di territori da preservare, a prescindere se ci vivano ancora molti o pochi toscani.Però a quest'ora vi siete già addormentati. Invece, sai cos'è che ti dà la sveglia, un bello slogan! Aboliamo le regioni! Non servono a niente! Tanto le montagne franano uguale!
6. L’unione fa la forza: mettiamo insieme i piccoli comuni.
Un'altra cosa che i granduchi tendenzialmente non capiscono è che l'Italia non è un insieme omogeneo, non è un frattale. Se in una zona ci sono piccoli comuni, non è per un capriccio di chi disegnò i confini comunali – ok, quasi mai. Di solito c'è un motivo, di solito sono zone di montagna. Vuoi unire dieci comuni su quattro montagne diverse? Sai cosa avrai ottenuto? Una provincia. Proprio quella che avevi abolito al punto 5. Sarà una provincia un po' più piccola, ma di sicuro non sarà un comune. "L'unione fa la forza" - però le province le hai sciolte. Scommetto che scioglierai anche le comunità montane. Resta da unire i sindaci, ma è un'unione che non fa la forza, fa solo il deserto. Un comune è un pezzettino di territorio che un sindaco può ispezionare in un giorno. Se il comune è piccolo, avrà un piccolo budget. Ma probabilmente sono meglio quattro sindaci part-time su quattro montagne che un sindaco a tempo pieno su e giù su quattro montagne diverse. È meglio un vigile per montagna che quattro vigili in una sede centrale, incapaci di intervenire prontamente su altre tre montagne. Quando voi dite “piccoli comuni”, pensate solamente in termini di popolazione. Ma l'Italia è anche un territorio. Questa cosa nell'Ottocento la sapevano (e disegnavano i confini di conseguenza), voi ve la siete scordata.
7. I partiti organizzino la democrazia, non siano enti pubblici. Il finanziamento pubblico va abolito o drasticamente ridotto e in ogni caso commisurato al solo rimborso delle effettive spese elettorali, condizionandolo al fatto che i partiti abbiano statuti democratici, riconoscano effettivi diritti di partecipazione ai propri iscritti e selezionino i candidati alle cariche istituzionali più importanti con le primarie. Favorire il finanziamento privato sia con il 5 per mille, sia attraverso donazioni private in totale trasparenza, tracciabilità e pubblicità.
Ecco una lieve concessione a una delle stravaganze veltroniane (istituire le primarie per legge in tutti i partiti). Le primarie peraltro sono costose, ma pazienza. Viva i partiti poveri. Però... e se un miliardario decidesse di fondare un partito, comprare un sacco di spazio televisivo e pubbliche affissioni, oltre a tre o quattro quotidiani intestati ad amici e parenti? Come si difendono i partiti poveri da un tizio così? Loro dovranno svenarsi a fare le primarie, mentre lui potrà farne a meno... Lo so, è un'evenienza talmente assurda che a Renzi e Gori non è nemmeno venuta in mente (a proposito, la Leopolda chi l'ha finanziata?)
8. Azzerare i contributi alla stampa di partito. Con internet, chiunque può produrre a costo zero il suo bollettino o il suo house organ. I contributi alla stampa di partito vanno aboliti.
Vabbe', cazzata. Tra l'altro il principio è perfino condivisibile, ma sono riusciti lo stesso a scrivere una cazzata. Se volete un'analisi più approfondita vi rimando a Mazzetta, comunque è una cazzata. Certo, se hai in mente il bollettino parrocchiale, sì, su internet puoi produrlo a costo zero (ma le vecchiette non lo leggeranno mai e continueranno a guardare il tg4). Ma sei vuoi addirittura vincere le elezioni, ti serve un prodotto professionale, altrimenti finisci come quelli che volevano fare il wiki pd e sono riusciti giusto ad appiccicare il thread dei commenti su facebook. Si vede che lo stagista più di così non riusciva – ma anche gli stagisti, prima o poi con Ichino sarete costretti a pagarli. Nel frattempo, se a un miliardario con un sacco di soldi ed emittenze venisse l'uzzo di candidarsi, lui sì che avrebbe di che pagarsi fior di... sì, vabbe', adesso mi metto a scrivere fantascienza.
13. Eliminiamo la classe politica corrotta. Lo strumento è una amnistia condizionata. Al rispetto di 5 punti: ammissione della colpa, indicazione di tutti i complici, restituzione del maltolto, impegno a non fare più politica. In caso di nuovo reato, la pena si somma a quella del reato oggetto dell’amnistia.
Chiedo scusa, per tutto questo tempo ho dubitato che fosse davvero un wiki. Ma prendi il punto 13, chi può averlo scritto? Giusto un bambino che passava di lì, vero? E quanti anni aveva, dodici, undici? I politici corrotti che ammettono la colpa, coinvolgono tutti i colleghi ugualmente corrotti, restituiscono il maltolto e poi promettono che mai più, mai più, giurin giuretta? No, sul serio: pensate di presentare una legge su questa cosa qui? Lo avete capito che c'è gente là fuori che è stata condannata a un paio d'anni e stappa lo champagne, perché non gli hanno requisito tot miliardi? Secondo voi un politico corrotto dovrebbe rinunciare ai conti in Isvizzera e alla vita politica in cambio di? In cambio di? Di un'”amnistia”? Cioè di non andare in galera? Ma se in una legislatura di cinque anni io riesco a metter via anche solo un milioncino d'euro, e il giudice non me li confisca, ma due anni in galera me li faccio tranquillamente (con la condizionale, poi), e la vostra amnistia la racconto la sera ai bambini prima di addormentarli: e allora il Granduca decise di amnistiare tutti i ladri, e quelli da quel giorno non rubarono più.
“Papà, ma è una cazzata”.
“Ssssst, è il più grande spettacolo dopo il big bang”.
14. Razionalizzare le missioni italiane all’estero. Definire una strategia di coordinamento della presenza militare all’estero in pieno accordo (e non in competizione) con l’Europa
A parte che con le spese che ci troviamo la cosa più razionale sarebbe salutare tutti e andarsene, credo che il senso del punto 14 sia: basta prendere ordini dalla Nato, d'ora in poi vogliamo prenderli dall'Europa. Che li prenderà, presumo, dalla Nato. Oppure l'Europa e la Nato litigheranno, e noi ci barcameneremo. Che è un po' quello che facciamo già. Ma non ci sarà più Frattini, quindi sembrerà comunque infinitamente meglio.
16. Cambiare la Rai per creare concorrenza sul mercato tv e rilanciare il Servizio Pubblico. Oggi la Rai ha 15 canali, dei quali solo 8 hanno una valenza “pubblica”. Questi vanno finanziati esclusivamente attraverso il canone. Gli altri, inclusi Rai 1 e Rai 2, devono essere da subito finanziati esclusivamente con la pubblicità, con affollamenti pari a quelli delle reti private, e successivamente privatizzati.
Non sono carini? È vero che si sono scordati il conflitto d'interessi, però si sono ricordati che bisogna privatizzare la Rai. Il principale competitor della Mediaset. Va privatizzata. E si capisce, altrimenti sul digitale terrestre non c'è più posto – no, veramente ce n'è un sacco, però... però... vabbe', dai privatizziamo. E alla rai che ha una valenza “pubblica” diamo solo i due spicci del canone. Così se al Tre gli scappa di fare un programma interessante per gli inserzionisti, dopo non gli scappa più.
17. Fuori i partiti dalla Rai.
Disse Renzi, prima di andare a Che tempo che fa. Ieri sera invece era a Matrix. Comunque ha ragione, eh, cosa se ne fanno i partiti di un canale? C'è internet che a costo zero ti permette di fare informazione, tu carichi su youtube i video di Renzi e lui vince le elezioni, senza bisogno di passare per l'untuoso Fazio. Anche Berlusconi farà così: caricherà su youtube i suoi video. E poi li riprenderà su quindici emittenze del digitale terrestre, vabbe', ma che c'entra, quei canali sono sono roba sua, guadagnata col sudore della sua fronte, eccetera.
(Non so se continuo)
Ma i dinosauri, poi, chi è stato?
30-10-2011, 23:55PdPermalinkA questo punto cara Repubblica, caro Ezio Mauro, io da lettore ed elettore del PD credo di meritare qualcosa di più. Perché noi abbiamo in Italia un partito, direi il solo, in cui esiste oggi una dialettica, un confronto tra diverse “non-si-possono-chiamare-correnti”. Guarda caso è l'unico partito che ogni tanto cambia leader: gli altri senza il loro capo naturale sono quasi inimmaginabili (SEL senza Vendola? UDC senza Casini?), quasi tutti sono semplicemente comitati elettorali intorno a un personaggio televisivo di riferimento. Il PD invece è un partito. Possiede una dialettica interna, appassionata, a tratti violenta. Evviva. E voi scegliete di raccontarla, in prima pagina, come fosse un episodio della Pimpa. Bersani a Renzi: basta calci / lui replica: non sono un asino. È una notizia? Che Renzi non sia un asino, dico. Capirei Libero o il Giornale. Ma il lettore di Repubblica non si merita di più? Un sunto delle idee di Renzi, le divergenze col gruppo dirigente che contesta, qualcosa di sinistra, qualcosa anche di destra, qualcosa? Ed è colpa di Bersani e di Renzi che per sentirsi più vicini al territorio continuano a colorare i loro discorsi con scipite metafore contadine, asini e bastoni, sembra che stiano già pensando allo sketch di Crozza; o è colpa di chi nei titoli (ma anche negli articoli) riprende i colori e non si preoccupa dei contorni? Vale veramente la pena di comprare un quotidiano per trovare un riassunto scadente di quello a cui posso assistere gratis on line? Ieri la Leopolda prendeva due pagine in cui, a parte il dibattito asino vs bastone, la retorica su rottamatori e dinosauri che, tra parentesi, nessuno sa ancora bene perché si siano estinti, non c'era una sola riga che aiutasse a capire che tipo di Italia e che tipo di PD vorrebbero Renzi & co: che ne pensano dei licenziamenti facili? Della pensione a 67?
Forse è un'esigenza mia: io, di fronte a Renzi, vorrei concentrarmi sui contenuti. La cosa mi risulta faticosa perché tutt'intorno a Renzi continua a vorticare una coreografia che magari è irrilevante, eppure sembra studiata apposta per dar fastidio a me: cioè è proprio come se dietro la Leopolda ci fosse un team di strateghi della comunicazione che, per nessun motivo al mondo, si fossero detti: mettiamoci dentro tutto quello che può risultare molesto a Leonardo, avete presente? Quel blog che fa sì e no mille accessi. Per cui: Jovanotti. L'autocoscienza di Baricco, uno che si presenta ciao non voglio fare il presidente. E meno male, sennò al Teatro Valle Occupato dovresti mandarci i carri armati. Il frigorifero Smeg che fa pendant col Mac.(Donde il dubbio: ma la Smeg ha capito tutto perché fa i frigoriferi a forma di Mac o è Steve Jobs che...) Potrei andare avanti a lungo, però non vorrei farne una questione estetica. Anche Veltroni aveva intorno a sé un'estetica che mi urticava, ma non era quello il suo problema. Il problema non era il suo ridurre il Novecento a figurine: in fondo era una cosa anche simpatica, funzionale a un certo tipo di divulgazione eccetera. Il problema è che sotto la figurina non c'era niente: che quando Veltroni si ritrovò a dirigere il PD, per sei mesi non fece niente. Io vorrei capire cosa farebbe Renzi e non m'interessa se Jovanotti gli piace o no.
E così, a occhio, mi pare che Renzi sia quel tipo di personaggio in grado di fare quello che tutto il mondo chiede al PD (meno forse gli elettori del PD), ovvero sfrattare Berlusconi da Palazzo Chigi. Il che è un valore in sé, per i mercati, la credibilità delle istituzioni eccetera. Dopodiché non è che resterebbe molto da fare, visto che la Repubblica continuerebbe a essere commissariata da Bruxelles e Francoforte. Così, con la sua umoralità che divide più che conquistare, Renzi sembra fatto apposta per battere Berlusconi di striscio alle elezioni e farsi odiare dai suoi stessi elettori a partire dalla settimana successiva. A quel punto improvvisamente tanti aspetti che abbiamo digerito fingendo di trovarli simpatici improvvisamente li riconosceremmo indigesti, e a quel punto vedrete che glielo faremmo pagare il frigorifero Smeg, e la biblioteca proiettata, e Jovanotti, e la toscanità piaciona e pacciana, tutte cose che appena sanguinerà un po' attireranno i blogger come squali. Questo, a occhio, il destino di Renzi. Non è che sia colpa sua: i margini probabilmente sono questi, a questo punto dalle sorti del PD dipende semplicemente se coleremo a picco con Berlusconi o un po' più tardi senza di lui. Io ovviamente preferisco senza, ma è un po' come il diritto di scegliere che tipo di orchestrina vuoi a bordo del tuo titanic.
Sradicateli
14-10-2011, 22:39cattiva politica, Pd, VeltroniPermalinkLa foto via Malvino |
E' successo che tre anni fa mi fu proposto di votare un partito di centrosinistra che doveva farla finita coi cespugli e con gli inciuci; e in effetti quel partito sbatté fuori dal parlamento verdi e comunisti. Però nel frattempo aveva imbarcato questi qui, che di voti probabilmente non ne portavano più di un 2%, ma ottennero nove seggi sicuri tra Camera e Parlamento (e una cospicua percentuale del rimborso spese elettorali; sarei curioso di sapere com'è andata a finire, se insomma oltre alla valanga di denaro che sborso per Radio Radicale ho pagato pure i loro manifesti).
Già allora la cosa lasciava perplessi, però io quel favoloso PD egemone e duro e puro lo votai lo stesso, respirando forte. Poi è successo quel che ognuno poteva immaginare: in capo a qualche mese si è scoperto che lorsignori votano un po' come gli va; e che gli ordini, piuttosto che dai capigruppo PD di Camera e Senato, li prendono da tal Giacinto Pannella detto Marco, il loro guru. Insomma, è successo. Una setta di poche migliaia di persone si è fatta regalare nove seggi nel Parlamento, oltre a tutto lo spazio mediatico che possono ottenere giocando al Mi Si Nota Di Più Se Entro All'Ultimo Momento.
Va bene. Va tutto bene. Ora credo che la piccineria di questi signori sia evidente anche ai sordi e ai ciechi, e a quelli che, avendo studiato la Storia dell'Italia contemporanea sugli album Panini, si erano convinti che senza radicali non avremmo avuto divorzioabortomoratoriallapenadimorte (e Fioravanti starebbe ancora scontando uno qualsiasi dei suoi ergastoli). E posso dare per scontato che nessun dirigente del PD stia ancora pensando di imbarcarli nel prossimo grande partito egemone a vocazione bipolare eccetera.
Posso?
Perché - vorrei che fosse chiaro - se ne imbarcate anche uno solo, voi il mio voto ve lo scordate. E non soltanto il mio, direi.
Il vuoto incolmabile
01-10-2011, 00:35generazione di fenomeni, ho una teoria, PdPermalinkLui nel frattempo gioca a carte. Sull'Unità.it comunque c'è un tentativo di prendere Adinolfi un po' sul serio (H1t#93), giusto per non lasciare nulla d'intentato. Si commenta laggiù.
(Ci si vede forse a Riva stasera).
Ma insomma perché nessuno vuole prendere sul serio Mario Adinolfi che abbandona il PD? Forse ha ragione il direttore di Europa Menichini, che dietro alle ironie e alle battutine sulla stazza e sul peso del personaggio intravede una certaarroganza togliattiana. Oggi stavo quindi cercando di rispondere alle critiche di Adinolfi nel modo meno togliattiano possibile, entrando nel merito delle importanti questioni sollevate eccetera, quando su twitter è arrivato un messaggio del Mario:
Allora, mettetevi anche un po' nei panni di noi togliattiani. Non siamo mai veramente riusciti a digerire la barca a vela di D'Alema (né l'appartamento newyorkese di Veltroni): cosa potevamo pensare di un giornalista che conciliava la militanza attiva in un partito di sinistra con l'esercizio professionale del gioco d'azzardo? Saremo provinciali, saremo vecchi, ma quando Adinolfi nel suo blog alternava i consigli al segretario sulla linea del PD con quelli ai lettori sulle squadre su cui scommettere, a noi cedevano un po' le ginocchia.
Meglio triumviri che niente
21-09-2011, 01:00ho una teoria, PdPermalinkSì vabbe', insomma, ho una teoria (#91): il Pd non ha bisogno di alleati (per litigare). Si legge e si commenta, indovinate un po', sull'Unità.it
Quando qualche giorno fa il triangolo Bersani-Di Pietro-Vendola ha preso forma, abbiamo assistito a un fenomeno che potremmo definire paradossale se non fosse, in realtà, abbastanza ricorrente: diversi esponenti del PD, alcuni perfino della maggioranza, hanno espresso il loro dissenso, o perlomeno il loro scarso entusiasmo, nei confronti dell'iniziativa del segretario. Walter Veltroni ha richiamato esplicitamente l'Unione, quella caotica alleanza di dieci partiti, guidata da Romano Prodi, che nel 2006 sconfisse Berlusconi (visti i margini ristrettissimi sarebbe più corretto dire che pareggiò) ma non riuscì a dare al Paese un governo stabile.
Io direi di no, anche se non ho nessun serio titolo per rispondere. Sono soltanto un blogger, il mio parere vale quanto il vostro: in ogni caso a occhio i partiti di Vendola e Di Pietro mi sembrano gli alleati naturali del PD, quelli meno indigesti (se non addirittura simpatici) all'elettore democratico medio. A differenza di Casini, che alla travagliata storia del centrosinistra dall'Ulivo in poi è sempre rimasto estraneo, e di cui non siamo ancora riusciti a dimenticarci i trascorsi berlusconiani: ecco, un'alleanza con lui sarebbe molto più difficile da digerire per l'elettore democratico che ho in mente io (e forse anche per quello che ha in mente Civati). Ma magari ho in mente l'elettore sbagliato.
No pranzo di gala
06-09-2011, 23:15ho una teoria, Pd, scioperiPermalinkMa cos'è mai questo sciopero che crea inenarrabili disagi? (H1t#89) è on line sull'Unita.it e si commenta laggiù.
Forse non riusciranno a togliercelo subito, il diritto allo sciopero. Nel frattempo stanno facendo qualcosa di più sottile: cambiare il senso alla parola “sciopero”. Fino a qualche mese fa era un incontestabile diritto dei lavoratori. Da qualche giorno è diventato un odioso privilegio nelle mani di irresponsabili, che invece di salvare l'Italia standosene zitti e buoni hanno deciso di esercitarlo in modo dissennato, proprio adesso che un governo responsabile sta facendo tutto il possibile per farci uscire da questo lievissimo accenno di crisi...
Un passaggio importante è stato l'episodio dello sciopero dei calciatori. Una vertenza marginale, che interessa poche migliaia di tesserati, ma che ha goduto – e non poteva essere altrimenti – di un'esposizione mediatica enorme. Il sospetto è che i rappresentanti della Lega Calcio abbiano cercato di approfittare dell'aria di crisi per strappare qualche soldino ai calciatori, che non ci sono cascati, hanno mostrato che lo sciopero non era un bluff, si sono ritrovati alla gogna (per aver esercitato un diritto) e... hanno vinto. Sì, hanno vinto: il contratto che hanno firmato era quello proposto dai loro rappresentanti pochi giorni prima. A quel punto però forse è passata l'idea che lo sciopero sia roba da calciatori strapagati: uno dei tanti appannaggi di questa o quella casta. Certo, si presume che tutti sappiano più o meno cosa sia uno sciopero e come funzioni. Eppure molti che ne discutono in questi giorni danno l'aria di essersene dimenticati. C'è un sindacato che ha deciso un giorno di astensione del lavoro, e la cosa di colpo è diventata surreale, incomprensibile, mai vista.
Lasciamo stare Pierferdinando Casini, che è un politico di centro che fa il suo mestiere. Secondo lui lo sciopero mina “la coesione delle forze sociali”, che non fosse per la CGIL sarebbero coesissime: si vede infatti con quale coesione abbiano accettato le trentadue bozze di finanziaria che Tremonti & co. hanno provato a buttar giù in questo agosto inutile. D'altro canto è comprensibile che i proprietari di SUV non vogliano saperne di tasse sui SUV, che la provincia di Savona non volesse essere conglobata in quella di Genova o che gli evasori scudati non intendano pagare un centesimo in più: tutti costoro avevano il sacrosanto diritto di pianger miseria e minacciare ritorsioni nelle ultime settimane; i lavoratori no. I lavoratori dovrebbero starsene tranquilli, proprio quando è ormai chiaro che questo governo sta solo cercando una categoria disposta a pagare per tutte senza lamentarsi (e forse l'ha trovata: gli immigrati senza diritto di voto). Però, appunto, Casini deve fare Casini: uno sciopero così non potrebbe accettarlo nemmeno se lo volesse.
È già un po' più sorprendente Ferruccio De Bortoli, sconvolto dalla possibilità che uno sciopero impedisca al Corriere di uscire, negando “i diritti di altri lavoratori e, soprattutto, dei lettori”. Incredibile, no? Questa cosa per cui gli scioperi negano i diritti degli altri. Vien da domandarsi dove fosse De Bortoli in tutti questi anni, mentre per esempio gli autoferrotramvieri scioperavano negando il diritto degli altri a recarsi in ufficio; o i controllori di volo tenevano gli aeroplani a terra, inaudito! Naturalmente De Bortoli non può non sapere cosa sia uno sciopero, e perché per funzionare debba arrecare disagi. Ma forse spera che qualche lettore del Corriere se lo dimentichi, e si beva la favola della Camusso-capoclan che potrebbe precettare tesserati che hanno già aderito allo sciopero, e non lo fa per colpire, tra tutti i quotidiani, proprio il Corriere (conta poco che anche l'Unità non sia uscita...)
L'autentica sorpresa però è Ivan Scalfarotto, che questo sciopero proprio non lo ha capito, e lo ha spiegato diffusamente in due interventi sul suo blog. Niente di strano, salvo che nella colonnina a fianco dello stesso blog si legge come Scalfarotto sia, tuttora, il vice presidente del PD: un partito che allo sciopero ha aderito. Ma evidentemente ha aderito senza consultarsi con uno dei suoi vicepresidenti; senza nemmeno spiegargli il perché. Oppure è Scalfarotto che non ha capito, non si è convinto, e se ne lamenta sul suo blog personale. Le obiezioni che fa Scalfarotto poi possono essere anche interessanti, ma per ora non vorrei entrare nel merito. Trovo semplicemente molto curioso che il vicepresidente di un partito confessi sul suo blog pubblico di non capire quello che fa il partito. Mi pare anche l'indizio di una certa difficoltà a passare da battitore libero a figura semi-istituzionale.
Per Scalfarotto, in una situazione come questa, invece di scioperare bisognerebbe essere propositivi. Come se a tutti i lavoratori spettasse di avanzare controproposte: come se tutti avessero il tempo di studiare la letteratura sulla finanziaria 2011, ormai sterminata (e in gran parte finzionale). Come se tutti poi potessero scrivere su un blog molto seguito, o addirittura su un organo di stampa. Come se fossimo insomma un po' tutti dirigenti o quadri del PD. Certo, una bella assunzione di responsabilità. Peccato che nel frattempo gli stessi dirigenti del PD non si preoccupino di scrivere a briglia sciolta sui loro blog che non capiscono quel che il partito fa.
E allora, cari Casini, De Bortoli, Scalfarotto: perdonateci se noi lavoratori siamo troppo semplici, se non facciamo controproposte (per la verità la CGIL una contromanovra l'ha proposta, anche se non riesce a tenere il ritmo delle trovate tremontiane), se usiamo ancora questo mezzo brutale, ottocentesco, che è lo sciopero. Bisognerà però che ve ne facciate una ragione: non siamo i buoni, siamo solo lavoratori. Abbiamo il controllo di alcuni servizi e mezzi di produzione, e se ci fate arrabbiare può darsi che qualche giornale non vada in stampa, che qualche treno non parta, che qualche scuola non apra. È sempre andata così, non è una novità: la novità è il vostro sguardo smarrito quando scoprite che le categorie sanno ancora difendersi. Ma difendersi è un diritto: c'è gente che è perfino morta per procurarcelo, e noi per adesso ce lo teniamo. È l'unico modo per meritarcelo, sapete.http://leonardo.blogspot.com
I venti viceré
07-07-2011, 10:35cattiva politica, Pd, provinciaPermalinkI provinciali.
Io credo che la scarsa convinzione con cui i parlamentari del PD affrontano il dibattito sull'abolizione delle province si possa facilmente spiegare con questa cartina. Parliamo di un partito che nella sua breve Storia non è mai arrivato al 30% nazionale, ma che occupa, soprattutto nel livello amministrativo intermedio, una quantità di territorio impressionante: poco meno della metà. Un turista bizzarro che volesse esplorare l'Italia transitando soltanto per le province governate dal PD potrebbe partire dalla Val di Susa e arrivare nell'Agro Romano; un analogo turista del PDL al massimo potrebbe fare un Ascoli-Salerno, non è la stessa cosa.
Ci vuole insomma un certo tasso di masochismo a essere del PD e a chiedere l'abolizione delle province (e infatti molti militanti del partito le chiedono). Il PD non è un movimento (pseudo)rivoluzionario che cavalca le proteste del momento; non è nemmeno il braccio politico di un miliardario che ha problemi con la giustizia; il PD è un partito di amministratori. Nel bene e nel male: nel primo caso (bene) si parla di buon governo, nel secondo (male) di clientelismo e corruzione, ma in sostanza un partito di amministratori si difende occupando le amministrazioni, a ogni livello. Se un livello viene a mancare, è difficile che facciano salti di gioia. Un signore come Pierluigi Bersani non ha nuovi miracoli italiani da offrire: l'unica cosa che può promettere agli italiani è di governare bene, così come ha governato bene una Comunità montana e una Regione. Il suo cursus honorum l'ha fatto lì: dove avrebbe dovuto farlo? In publitalia, in magistratura, doveva fare il comico o l'opinionista in tv? Le amministrazioni sono l'ambiente in cui l'apparato del PD si difende, in cui costruisce il suo consenso (quando amministra bene); chiedere allo stesso apparato di abolire l'istituzione secolare delle province è un po' come proporre al consorzio dei pesciolini rossi l'abolizione dell'acquario. Il fatto che alcuni pesciolini si dicano favorevoli, addirittura entusiasti, non depone a favore dell'intelligenza collettiva della specie, che (come ogni specie) dovrebbe per prima cosa tendere all'autoconservazione.
Quanto all'IdV, beh, è chiaro che ha altre priorità. L'IdV è un partitino d'assalto che, a parte qualche feudo locale, si gioca tutte le sue carte a Roma, dove può diventare ago della bilancia, in attesa che il piattino di centrodestra sobbalzi e travasi una fetta interessante dell'elettorato. Così, a Roma, l'IdV può anche esercitarsi nel gioco preferito della seconda Repubblica, “suggerisci una riforma costituzionale a caso”, in questo caso una proposta piccola piccola che eliminava la parola “province” da tutti gli articoli della Costituzione in cui compariva (avranno usato ctrl+f?) E i deputati del PD, vuoi per disciplina, vuoi per puro istinto di autoconservazione, non l'hanno votata. Apriti cielo. Il Partito è stato accusato, anche dai meno esagitati degli osservatori, di aver perso chissà quale occasione importante di realizzare un'abolizione delle province che addirittura comparirebbe nel programma del PD. Al punto che Bersani è stato costretto a dire che il PD le vuole abolire sul serio le province, che ha già una sua bozza pronta. È tutto abbastanza deprimente.
In realtà la bozza del PD non prevede la sbianchettatura della parola “province” dalla Costituzione: al massimo un iter per l'accorpamento di enti locali, per cui certe province potrebbero, se proprio volessero, autoabolirsi (sì, certo, come no). In realtà nel programma del 2008 il PD non chiedeva di abolire le province, se non quelle che dovevano trasformarsi in aree metropolitane. E qui bisognerebbe aprire una parentesi. Molti appassionati sostenitori dell'abolizione delle province non hanno la minima idea di cosa le province siano e facciano. Non per ignoranza, ma perché non abitano in una dimensione provinciale. Spesso stanno a Roma, o a Milano, o in altre città dove in effetti è difficile capire a cosa servano degli uffici provinciali che sono a tutti gli effetti dei doppioni di quelli comunali. Del resto già da tempo almeno Roma, Milano e Napoli sarebbero dovute diventare aree metropolitane.
Per contro, io che ho sempre abitato in una provincia, non faccio molta fatica a identificarla. Quando sento dire che in provincia fanno poco, la mia reazione d'istinto non è chiederne l'abolizione, ma un ulteriore sforzo di decentramento delle competenze regionali (o accentramento di quelle comunali). Fanno poco? Male, dovrebbero fare molto di più. Mentre ai comuni dovrebbe essere affidato tutto ciò che che rientra nella gestione dei centri abitati (che in Italia non sono quasi mai enormi conurbazioni) alle provincia dovrebbe competere tutto ciò che è gestione del territorio, dall'allocazione delle discariche alla cura dei corsi d'acqua (a proposito, abbiamo appena chiesto, con un referendum, che l'acqua potabile sia gestita dal pubblico: e poi vogliamo abolire l'ente pubblico?) Dove vanno costruiti gli ospedali? Le scuole secondarie? Dove devono passare le autolinee? Sono tutte decisioni che non possono essere prese a livello comunale, e di cui la regione – secondo me – non dovrebbe impicciarsi. Anzi, faccio un po' fatica a capire di cosa dovrebbe impicciarsi, la regione, in generale: pur vivendo a cinquanta minuti da Bologna, non riesco a capire cosa debba fare lei per me e io per lei, figurati se stessi a Fiorenzuola o a Comacchio. Insomma secondo gli allegri riformatori costituzionali dell'IdV, le decisioni sul mio pronto soccorso, o sul mio inceneritore, o sulle fermate della mia corriera, le dovrebbero prendere a Bologna i consiglieri eletti tra Piacenza e Rimini. Ora io non ho niente contro piacentini e riminesi, però non capisco cosa c'entrino col mio territorio, semplicemente. Per me la regione continua a essere un'astrazione, un accorpamento di territori eterogenei per fini statistici; ma mi rendo conto che il federalismo all'italiana va in una direzione diversa. Va, in sostanza, verso la creazione di venti vicereami indipendenti, retti da venti sovrani più o meno autonomi, tutti occupati a nascondere la spazzatura (centrali inquinanti e discariche) nella piega del tappeto più lontana alla propria capitale, più prossima al feudo del vicino.
Siccome eliminando la parola “province” dalla Costituzione non si eliminano i fiumi né le discariche, e gli ospedali restano dove stanno, sembra abbastanza chiaro che quella proposta dall'IdV non è l'abolizione delle province. Al massimo corrisponde alla loro trasformazione in enti esclusivamente burocratici, senza rappresentanti eletti. L'ufficio scolastico provinciale cambierebbe targhetta e diventerebbe la sezione provinciale dell'istituto scolastico regionale, ma in sostanza continuerebbe a fare le stesse cose. La cura delle strade intorno alla provincia di Ascoli Piceno continuerebbe a dipendere da un ufficio sito di Ascoli e da maestranze di Ascoli, che però dovrebbero aspettare ordini da Ancona. Continueremmo a pagare per una burocrazia provinciale, con l'unica differenza che non sarebbe più controllata da un rappresentante eletto dei cittadini a livello provinciale, ma solo a livello regionale: tutto dovrà passare dal viceré di Bologna, di Torino, di Milano, di Roma, di Napoli, che bel federalismo. Io preferisco chiamarlo accentramento regionale, che è più o meno quello che ha in mente la Lega (oddio, “mente”...) e che piace anche a qualche masoch del centrosinistra. Deve piacere anche a me?
In Europa è così? Le uniche nazioni con cui si possono fare paragoni seri, per dimensioni e popolazione, sono Francia e Germania. Ci sarebbe anche il Regno Unito, ma i suoi livelli amministrativi sono incomprensibili per me; comunque mi pare di capire che anche i sudditi britannici possano votare per enti locali di almeno tre livelli (correggetemi se sbaglio). Nella Germania federale i cittadini votano per comuni (Gemeinde), province (Landkreis) e Stati federali, tranne nelle Città-Stato (Amburgo, Berlino, Brema) che sono in pratica aree metropolitane, dove i Landkreis non ci sono. In Francia si votava per i comuni, i dipartimenti e le regioni, ma recentemente le elezioni regionali sono state soppresse: dal 2014 il consiglio regionale sarà composto da rappresentanti del dipartimento (l'unità territoriale più simile alla nostra provincia). Non si potrebbe fare una cosa del genere in Italia? Abbiamo realmente bisogno di eleggere direttamente i venti viceré con annessi cortigiani, non potremmo mandare ai consigli i delegati delle province (che così lavorerebbero un po' di più)? Eh, ma vuoi mettere quanto è più sexy promettere l'“abolizione delle province”?
Meno male che Lui c'è
14-05-2011, 13:45dialoghi, dietrology, PdPermalink- La redazione di Leonardo, che non ha più niente da perdere, è entrata in possesso di un documento sconvolgente: il verbale di una riunione della direzione di un partito di centrosinistra a caso, svoltasi a porte chiuse nel dicembre scorso.
“Dunque, Piergigi c'è, Max c'è, Enrico, Valter, Rosi, Dario... voialtri ci siete tutti quanti... Cominciamo?”
“Allora, signori e signore, anzi, posso dirlo? Siamo a porte chiuse, dopotutto”
“E diccelo, dai, se ti fa stare meglio:”
“Compagni e compagne”.
“Uuuuuh”.
“Fa un certo effetto, eh?”
“Ho i brividi”.
“Guarda, guarda la Rosi com'è tutta rossa”.
“Ehi Rosi, questa al padre confessore è meglio se non la racconti, eh”.
“Fatela finita. Compagni, compagne, ho voluto convocarvi a porte chiuse perché la situazione è, per certi versi, incredibile. Come sapete negli ultimi mesi abbiamo commissionato dei sondaggi segreti, per capire quale sarebbe stato l'esito di eventuali elezioni politiche anticipate in primavera. Ebbene, sign... compagni, è chiaro che i sondaggi vadano presi con le molle, eppure...”
“Il porco a quanto lo danno?”
“Tra il venti e il trenta per cento”.
“E i leghisti?”
“Coi leghisti”.
“Impossibile”.
“Pure è così. C'è un enorme astensionismo, un travaso sensibile su Fini, ma noi comunque stiamo tra il cinquantacinque e il sessanta. Signori, in primavera vinciamo facile”.
“Un attimo. Forse vale la pena ricontroll...”
“Max insomma datti pace, abbiamo già commissionato quattro sondaggi in tre settimane, e ogni volta quello là perde punti e noi ne guadagniamo. Sembra proprio che il bunga bunga non gli stia giovando”.
“Ma chi l'avrebbe detto”.
“Quindi noi lo batteremo. Proprio noi. Finiremo sui libri come quelli che hanno sconfitto Berlusconi”.
“Ma è vera gloria? In realtà si è sconfitto da solo. Voglio dire, ce lo meritiamo?”
“E chi se ne frega – scusa Rosi – ne discuteranno gli storici, adesso è ora di bere, direbbe Orazio, mi sono infatti permesso di mettere in fresco un lambrusco millesimato che...”
“Il lambrusco non si millesima, Gesù”.
“Massimo ma lo so, diobono, era per scherzare, e ridi un po' anche tu, no? È andata. Vinceremo”.
“Va bene, dai, stappiamo!”
“Rosi non far finta, perdio, non dire che sei anche astemia”.
“Cin-cin”.
“A chi brindiamo?”
“Ma è ovvio, alla più bella classe dirigente di questo Paese!”
“A noi!”
“Quello non si può dire”.
“Va bene, allora all'Italia!”
“All'Italia!”
“Signori, sentite, dopo che avremo finito coi festeggiamenti, ci sarebbe un altro punto all'ordine del giorno”.
“Sì, mi sono scordato, cos'era?”
“Gheddafi”.
“Gheddafi, già, ma è davvero così importante?”
“Beh, se Berlusconi cade – e dovrebbe cadere quando, il tredici, no?”
“No, la fiducia è il quattordici”.
“Bene, diciamo che il 14 dicembre Berlusconi cade...
“A proposito, il governo di transizione chi lo forma?”
“Già, a Palazzo Chigi chi ci mandiamo, ci avete pensato? Max, tu no, eh?”
“No no, io ho già dato”.
“Forse sarebbe meglio mandare avanti Casini, o un finiano, o un rutelliano...”
“Col cazzo - scusa Rosi - chi ha tradito una volta tradisce sempre”.
“L'ho già sentita questa”.
“Io pensavo a Enrico, che ne dici Enrico? Secondo me sei rassicurante il giusto”.
“È per il cognome, vero?”
“Un po' sì, e poi hai quell'aria da giovane”.
“Ma se va per i cinquanta!”
“Ha parlato il Piccolo Lord”.
“Sì, va bene, signori, vi dicevo di Gheddafi”.
“Ma qual è il problema con Gheddafi?”
“Mah, niente, solo che verso gennaio dovrebbe scoppiare una guerra, diciamo”.
“Che cosa?”
“Ma sei sicuro?”
“Dunque, è chiaro che i nostri diplomatici non ne sanno niente. I francesi fanno finta di niente, i tedeschi non si fidano, però qualche dritta dal PSE ci arriva ancora”.
“Ma la guerra con chi, scusa?”
“All'inizio dovrebbe trattarsi di una tribù autonomista in Cirenaica, poi, tempo al tempo...”
“La Cirenaica? Che roba è?”
“Ma chi c'è sotto, gli americani?”
“Per una volta no. Dunque, mentre qua brindiamo a lambrusco, a Parigi c'è un tale Sarkozy che probabilmente sta ripassando anche lui i suoi sondaggi elettorali, e non gli piacciono. In più ha avuto la bella idea di appoggiare Ben Ali durante la rivoluzione”.
“Praticamente gli hanno fottuto (scusa, Rosi) la Tunisia sotto il naso”.
“Così adesso ci sta provando con le tribù autonomiste della Cirenaica: hai visto mai”.
“Ma Gheddafi non è mica un novellino, voglio dire, quello le rade al suolo, le tribù autonomiste”.
“Probabilmente andrà così, dopodiché ovviamente scatterà la crisi umanitaria, una bella risoluzione ONU, e poi via che si bombarda”.
“Chi bombarda, i francesi?”
“Stanno già scaldando i motori”.
“E noi?”
“E noi saremo nella merda, se non si è capito. Abbiamo appena firmato una pace eterna con Gheddafi – peraltro, l'abbiamo votata anche noi, complimenti”.
“Non è che avessimo molta scelta”.
“Ma scusate, io non ho mica capito, è così importante Gheddafi? Se abbiamo gioito per la caduta di Ben Alì, non dovremmo festeggiare anche se casca Gheddafi”.
“Signore... sentite, spiegaglielo voi che se casca Gheddafi ci trascina in Africa tutti quanti”.
“Adesso poi”.
“Sentite, la Libia è quella pentola bollente su cui siamo tutti seduti. Gheddafi fa più schifo a me che a voi, ma è l'unico coperchio che c'è. Quando se l'è vista brutta si è rilanciato come nostro carceriere di fiducia: tutti gli africani che intercettiamo li rimandiamo da lui, lui ne fa quel che vuole e siamo tutti contenti”.
“Se cade lui esplode tutto”.
“E non è un Ben Alì qualsiasi, lui. È sopravvissuto a Reagan”.
“Ci ha l'arsenale batteriologico, o sbaglio?”
“Ma lascia perdere l'arsenale, lui ha le bombe umane. Ci mette una settimana a riempire il canale di Sicilia di carrette del mare. Perciò io ve lo dico subito, se state pensando a me per la Farnesina...”
“In effetti...”
“Col cazzo – scusa Rosi – che vado alla Farnesina, senza nemmeno aver vinto le elezioni, tanto vale che mi strozziate subito con questo lambrusco che, tra parentesi Piergigi, è un abominio”.
“E non è tutta. Dovremo anche bombardare”.
“Ma non ci penseranno i francesi?”
“Eh, ma aspetta bene. Quando gli americani si renderanno conto, vorranno metterci mano anche loro, cioè non esiste una guerra nel Mediterraneo senza l'intervento Nato. E lo sai qual è la più importante portaerei Nato del Mediterraneo, vero?”
“Ma figurati se so i nomi delle portaeree”.
“Gesù”.
“Walter, siamo noi. La più importante portarei Nato del Mediterraneo è l'Italia”.
“E quindi bombarderemo?”
“Non ci sarà verso di sottrarsi”.
“Anche perché alla fine della guerra almeno un piedino in Tripolitania dovremo tenerlo, eh”.
“Tipo che ci toccherà mandare i carabinieri a gestire direttamente i campi di prigionia?”
“Una cosa del genere”.
“E tutto questo quando dovrebbe succedere?”
“Dunque, dicono più o meno che comincia tutto appena casca Mubarak”.
“Perché salta pure Mubarak?”
“In gennaio, dicono. Massimo febbraio”.
“E quindi...”
“Sì, ci facciamo una bella campagna elettorale coi bombardieri”.
“O mio dio”.
“Urg!”
“Mi vien da vomitare”.
“E ti credo, col vino che porti”.
“Ma non è possibile, cazzo! Scusa Rosi, ah, no, aspetta, sono io Rosi. Non è possibile! Avevamo venti punti di vantaggio”.
“Calcola di perderne uno per ogni barcone di immigrati sul Tg5. A Lampedusa potrebbe arrivarne un centinaio”.
“Se non è sfiga questa”.
“Non è sfiga, è la Storia che arriva in gommone, senza guardare in faccia nessuno”.
“Ma non potremmo rifiutarci? Dopotutto l'Italia ripudia...”
“O Signore...”
“Sentite, io non ce la faccio. Spiegateglielo voi che dalla Nato non possiamo uscire, né in campagna elettorale né dopo”.
“Va bene, quindi abbiamo perso anche stavolta”.
“Ma non è detto. Pensiamoci bene. Abbiamo lo scenario di cosa succederebbe se scoppiasse una guerra libica mentre siamo al governo e ci prepariamo a una campagna. Proviamo a elaborare altri scenari”.
“Ho la nausea”.
“Ovviamente le tv berlusconiane ci accuserebbero di voler islamizzare l'Italia perché assistiamo i profughi sui barconi, mentre i nostri elettori ci accuserebbero di essere guerrafondai, schiavi della Nato”.
“E non avrebbero tutti i torti”.
“No, no. Ma se non fossimo al governo? Se restassimo all'opposizione?”
“Cioè, in pratica tu proponi...”
“Lasciamo Berlusconi dov'è”.
“Ma stai scherzando?”
“Mai stato così serio. Si tratta di prolungargli un po' l'agonia, un po' di accanimento terapeutico, niente di così grave”.
“Ma neanche Bossi vuole più andare avanti! Nessuno vuole! Persino lui dice che preferirebbe andare alle elezioni”.
“È un bluff. I sondaggi riservati li fa anche lui. Probabilmente se gli facciamo una buona offerta, lui oggi l'accetta”.
“Cioè, gli dovremmo offrire di...”
“Di salvargli il governo”.
“Dopo tutto quello che è successo con Fini?”
“Fini era ieri. Pensiamo al domani. Ci vuole qualcuno che gli dia una mano a salvargli il culo il quattordici. Vedrai che qualche deputato trasformista lo troviamo”.
“Lui se vuole si compra mezza IdV”.
“Se la mangia intera l'IdV, e sputa Di Pietro come un semino”.
“Ma non è il caso, un po' di IdV ci serve, piuttosto vendiamogli un po' dei nostri, e dei rutelliani, magari di quelli che hai reclutato tu all'ultimo momento, Walter, quelli che non sanno più nemmeno loro che ci stanno a fare in parlamento... faccio per dire, uno come Calearo...”
“Magari è la volta che si rende utile”.
“Non sono sicuro di aver capito. Vuoi regalare dei parlamentari a Berlusconi? E cosa dovrebbero fare, entrare nel PdL?”
“Ma vediamo, potrebbero formare una specie di partito cuscinetto con un po' dei loro, prendersi qualche poltrona di quelle che sono saltate con Fini... e magari anche qualche soldino, che Berlusconi ne ha per tutti. Secondo me li troviamo, dei personaggi così”.
“Se poi è a fin di bene”.
“In che senso è a fin di bene?”
“Non so se hai compreso l'alternativa. L'alternativa è prendersi la responsabilità di governo nel momento in cui esplode la pentola libica. Invece noi ce ne stiamo belli belli all'opposizione, ce la prendiamo con Maroni che non soccorre le carrette del mare, con La Russa che bombarda, con Frattini che non capisce niente... e magari rosicchiamo anche qualche altro punto percentuale”.
“Ma cosa li rosicchiamo a fare, scusa, se poi alle elezioni non ci andiamo mai”.
“Ci andremo. Al momento giusto ci andremo”.
“E quando sarà, il momento giusto?”
“Chissà. Alla fine della guerra”.
“Ma sarà estate, ormai... non avevamo detto che in estate crolla la Grecia? E che i prossimi siamo noi?”
“Ecco, allora magari l'autunno”.
“Te lo raccomando l'autunno. La nuova manovra. Le solite alluvioni... frane... scandali della protezione civile... Vogliamo davvero finire invischiati in tutto questo?”
“Va bene, allora se ne riparla per la primavera 2012”.
“Magari finisce il mondo”.
“Un problema in meno – no, scherzavo. Ma... se invece muore?”
“Chi muore?”
“Come chi, Lui. Non è mica più un ragazzino, a furia di tenerlo lì, dopo un po'...”
“Cosa vuoi che ti dica, speriamo che tenga”.
“Dio ce lo conservi in salute”.
“Al massimo ci sono i figli”.
“Meno male”.
L'Inquisizione è bipartisan
18-04-2011, 14:15antisemitismo, ho una teoria, Pd, scuolaPermalinkOps.
Anche il PD si dà alla caccia al prof? Scopritelo sull'Unita.it e commentatelo laggiù.
Ma voi ci credete che gli insegnanti statali, invece di svolgere i programmi, passino le ore di lezione a indottrinare gli studenti? Silvio Berlusconi ci crede, ma questa non mi sembra una gran notizia. Il problema è che sembra crederci anche Roberto Della Seta, senatore del Partito Democratico.
La Winx di Veltroni
09-03-2011, 00:07internet, Pd, VeltroniPermalinkIo mi rendo conto che a volte mi rendo noioso, con Veltroni, che per quante ne dica e ne faccia non è senz'altro sulla lista dei primi dieci problemi di ciascuno di noi. Però stavolta penso che valga la pena di insistere, almeno qui. Ha anche a vedere con quello che si diceva lunedì, l'esigenza di darsi obiettivi precisi, anche minuscoli, ma raggiungibili. Ecco, stasera potrei scrivere di tante cose (la Libia, la scuola, la crisi) senza riuscirne a cambiare neanche una. Oppure potrei insistere su Veltroni, perché forse stasera qui si può fare un passo concreto per ridimensionarlo. Esatto, ormai Veltroni è alla mia portata. Non significa che io sia diventato importante, eh, attenzione. Significa semplicemente che Veltroni sta diventando piccolo, e che le sue dichiarazioni strampalate stanno cominciando a perdersi nel brusio di fondo (che sarei poi io, ciao, mi chiamo Leonardo e produco brusio).
Del resto, giudicate voi. Domenica Veltroni ha chiamato nelle piazze il popolo pacifista. Ha deciso di farlo attraverso facebook, il che a mio parere rappresenta una mossa suicida, una dimostrazione abbastanza plateale di non conoscenza delle dinamiche internettiane – nessuno pretende del resto che WV le conosca, di sicuro ha meglio da fare che imparare cosa sono i tag e i like – ma non dovrebbe esserci qualcuno in grado di consigliarlo? Non è il rappresentante di un'importante corrente del PD? Non si sa. Sia come sia, l'appello è ancora là. Ha collezionato centinaia di commenti, e non sono tutti ingiuriosi come ho scritto lunedì. Ci mancherebbe, il mondo è bello perché è vario. Ma vogliamo parlare dei “like”, o come si chiamano in italiano i “mi piace”? Il pezzo di Veltroni, pubblicato la domenica mattina, piace per ora a 132 persone. Vi sembrano tante? A me non sembrano tante. Mi sembrano quasi 132 sassolini sulla tomba del carisma di un leader. Esagero? Un importante uomo politico si domanda perché le piazze non si riempiono per la pace, o contro Gheddafi (come se fosse la stessa cosa manifestare per la pace e contro Gheddafi), e il suo accorato invito alla mobilitazione... piace a 132 persone. Così, a occhio non ci riempi una piazza. D'altro canto è solo un numero, e i numeri da soli non dicono molto.
Ma è sufficiente accostarli ad altri numeri: per esempio io (che non sono nessuno), lunedì mattina ho pubblicato sull'Unita.it un pezzo in cui rispondevo a Veltroni. Mi è venuto magari un po' pedestre, va bene, chiedo scusa, in ogni caso la mia risposta a Veltroni piace per ora a 113 persone. Sono molte? Sono poche? Per i numeri che faccio di solito io su facebook, sono parecchie. In termini assoluti sono pochissime. Ma se le confrontiamo col dato di Veltroni... Pensateci, è un ex segretario del PD, uno che va ancora in prima pagina con le sue dichiarazioni (ieri ha dato un'intervista sul Sole 24 Ore, sconclusionata come al solito, dove continua a domandarsi perché i pacifisti non sostengono i guerriglieri. Veltroni, insomma, quelli che manifestavano contro l'intervento in Iraq erano pacifisti; quelli che marciano su Tripoli sono guerriglieri. Davvero è così difficile capire la differenza?) Ecco, una personalità del genere chiama i pacifisti alle armi su facebook, e ottiene 132 like. Uno sfigato gli risponde, e ne ottiene 113. E con un po' di sforzo secondo me quel 113 potrebbe anche superare il 132. Esatto, sì, vi sto chiedendo di votare per me su Facebook. Lo so che è imbarazzante, ma credo che potrebbe avere un pur minuscolo significato mediatico. Come minimo, sarebbe la dimostrazione che è meglio non usarlo, Facebook, se sei Walter Veltroni e vuoi chiamare il tuo popolo alle barricate. Non è l'ambiente adatto. Lo so che fuori c'è un mondo che non saprà mai chi sono io e conosce e stima WV. Lo so, Facebook non è assolutamente rappresentativo di nessun bacino elettorale. Però un flop su Facebook è pur sempre un flop. Il ridimensionamento di un personaggio che non sta facendo bene al PD passa anche attraverso momenti come questi: lui prova una sortita, rimedia pernacchie, la prossima volta starà più attento.
È qualcosa che è già successo, in passato, per esempio a Francesco Rutelli. Ve lo ricordate, Rutelli? Vi ricordate che a un certo punto siete persino arrivati a considerare il pensiero di votare per lui? Per molto tempo la sua figura dominò il dibattito politico: la sua scelta di campo prodiana, le sue sbandate centriste, riempivano le prime pagine. Poi successe qualcosa. Lentamente, molto prima che scomparisse dalla scena, Rutelli smise di essere interessante. Cos'era successo? Non si è capito bene, ma nessuno mi toglierà mai dalla testa che fu a causa delle Winx, le popolari bamboline. Ovvero, a un certo punto qualcuno pubblicò un sondaggio sui leader del centrosinistra (Rutelli era evidentemente tra i candidati), qualche buontempone tra i leader inserì le Winx, che non sbancarono, ma guadagnarono un dignitoso uno o due per cento, attestandosi – questo è importante – molto al di sopra del dato di Francesco Rutelli. A quel punto forse anche ai vertici capirono. Continuarono a candidarlo, perché l'autolesionismo a sinistra è un dato oggettivo: riuscirono persino a perdere il municipio di Roma: però ormai era andata, dopo il confronto con le Winx Rutelli non è più stato lo stesso. Era già antipatico più o meno a tutti, ma tutti davano per scontato che fosse il candidato adatto a qualcun altro. I comunisti pensavano ai cattolici, i cattolici pensavano ai radicali, i radicali pensavano mboh, mal che vada ce lo siamo tolti di dosso. Le Winx ci hanno liberato dal sortilegio, grazie Winx. E infatti poi Rutelli è persino uscito dal PD, e sapete quanto ha perso nei sondaggi il PD quando Rutelli è uscito con tutti i suoi teodem? Niente, anzi, ha guadagnato un po'. Grazie Winx.
Ecco, forse il caso, o il destino, o il complotto plutomassogiudaicofacebookiano, mi ha dato la possibilità di essere la Winx di Walter Veltroni. Credo sia mio dovere giocare il mio ruolo fino in fondo. Non sono nessuno, sono un personaggino inutile che scrive pezzi lunghi e seriosi. Però su facebook forse sono più popolare di Walter Veltroni. Quindi, cari giornalisti, non pretendo certo che mi prendiate sul serio. Ma la piantiamo piuttosto di prendere sul serio Walter Veltroni?
Che roba Contessa i cinesi
28-01-2011, 21:49migranti, Pd, VeltroniPermalink«Sul sito del Corriere della Sera ho visto file di cinesi che andavano a votare - o sono cinesi democratici o c'è qualcosa che non va. Se c'è una piccola ombra si vada sino in fondo, non può esserci».
Da che parte cominciare. Mettendo per esempio le mani avanti: anch'io ho forti dubbi su come siano andate le cose a Napoli. E, devo dire, non ho neanche dovuto consultare il pregevole sito del Corriere. Napoli non pretendo di conoscerla, ma ho leggiucchiato qualcosina in questi anni (Saviano soprattutto) e mi sono fatto l'idea che non sia ignota in città la prassi del voto di scambio (infatti non capisco bene da che pero sia caduto lo stesso Saviano). Ora, le primarie PD sono, per la loro stessa natura, le elezioni più esposte a infiltrazioni e mercimoni di ogni tipo: uno entra, lascia due spicci, mostra il documento, e vota. I controllori sono volontari del partito stesso. In una situazione del genere, “piccole ombre” si riscontrerebbero anche in un ridente paesello ai confini della Svizzera, figurati a Napoli con tutti i problemi della città e del suo PD. Non ci voleva molto insomma a immaginare come sarebbero andate le cose. Non ci voleva molto, eppure Veltroni fino a lunedì non se l'era immaginato. Aveva bisogno di vedere file di cinesi sul Corriere.
Alla luce del suo sbigottimento, forse bisogna rileggere lo storico dibattito interno, tra chi vuole le primarie-sempre-e-comunque e quei noiosi che invece sollevano obiezioni. Questi ultimi sono spesso dipinti come malvagi uomini-apparato decisi a trasformare il PD in una dinastia di burocrati. E magari alcuni sono proprio così. Ma non potrebbero essercene molti altri semplicemente in grado di immaginare che succeda quello che a Napoli è successo? E davvero lui, Veltroni, non ne è in grado? Ora si stupisce che votino i cinesi, lui che seguendo i disinteressati consigli del caro zio Giuliano Ferrara ha propalato per anni la fola del Partito-leggero-senza-tessera? Va bene, la tessera è roba vecchia, ma Veltroni non ci ha mai spiegato con cosa l'avrebbe sostituita, quale sistema avremmo usato per tenere lontano dalle primarie infiltrati o venditori di voti all'incanto. L'importante era che il PD uscisse dal Novecento e si sottraesse al potere dei temibili signori delle tessere. Ma sul serio bastava stracciare il cartoncino e tutto il clientelismo sarebbe svanito come al neve al sole? Sul serio? Viene il sospetto che sì, che lo abbia pensato sul serio. Fino a lunedì.
Poi d'un tratto, oplà! - la scoperta dell'alba. Sono andati a votare dei cinesi. Ma dai. Come lo ha scoperto? Ha degli osservatori? Magari si è fatto una passeggiata per qualche quartiere di Napoli, non dico mica quelli brutti che sarebbe populismo, non so, una capatina al Vomero, boh. No, lui ha visto le file di cinesi... sul sito del Corriere. Lui così specifico, così preciso e settoriale quando si tratta di informarti su come passa il suo tempo libero, che libri legge e che film guarda, quando si tratta di politica, politica dal basso, quella che sarebbe il suo mestiere in questo preciso momento – niente, lui ha solo visto qualche immagine sul sito, proprio come me e te e chiunque altro, che a questo punto potremmo fargli da consulente, a Veltroni, e davvero non saremmo molto peggiori di quelli che lo consigliano in questo momento. Cosa dirti, onorevole: è il tuo partito, e tu sei in lizza per la leadership, non dico che tu debba avere uno staff di gente che ti tiene informata 7x24 sul territorio, ma almeno far finta di averla; ecco, magari evitare di render noto a tutti che le cose di Napoli le impari per ultimo, sull'organo d'informazione dei milanesi rintronati.
Ma non è neanche questo il peggio, vero? Il peggio lo sapete qual è. I cinesi.
Veltroni vede, diciamola come va detta, delle facce gialle, e trae una conclusione: o ci sono decine, forse addirittura dozzine di democratici cinesi, oppure... elementare Walter, se hanno gli occhi a mandorla non possono essere veri militanti del partito-leggero-leggero, che non ti fa le tessere ma una sbirciatina al colore della pelle te la dà. Ma spiegati meglio, caro aspirante leader democratico che ti riempi la bocca di Gandhi e Martin Luther King, spiega: davvero non potrebbero esserci democratici cinesi, anzi, democratici residenti in Italia di origine cinese a Napoli, terza città più popolosa d'Italia, terra d'immigrazione? Magari sono venuti a mettere una croce proprio perché tu, due anni fa, parlavi di voler dare il voto agli immigrati, il che magari sulle terrazze romane suona come una boutade buona per un titolo di giornale o un'apertura di tg, ma per un napoletano di origine cinese è una cosa importante, una cosa che gli cambia la vita, il riconoscimento di un diritto, un'apertura sul futuro: ma forse appunto tu ne parlavi come di ipotesi di scuola, chissà se hai mai discusso con un solo abitante italiano di origine cinese, uno arrivato qui in qualsiasi momento dagli anni Novanta al 2011, o magari qualcuno che in Italia ci è nato, e ce ne sono di maggiorenni già: e tu dov'eri mentre le nostre metropoli cambiavano colore, a scrivere libri sul futuro o sugli anni di piombo? E guardarsi un po' più attorno? Di tutti i motivi banalissimi per cui si potevano mettere in dubbio le primarie di Napoli, tu hai scelto la peggiore: il pregiudizio etnico nei confronti di una minoranza.
Il dramma della sinistra da salotto si misura tutto qui: nella distanza tra la retorica veltroniana (uguaglianza, solidarietà, aggiungete sostantivi astratti a caso) e la reazione stizzita del lettore del Corriere che vede facce gialle e si spaventa: hai visto che roba, Contessa, a Napoli fanno votare i cinesi. E il bello è che le hai volute tu, le primarie senza tessera, le primarie senza regole, le primarie tana-libera-tutti, le primarie portatevi gli amici da casa. Ma non avevi pensato ai cinesi. Già, ma del resto come potevi pensarci.
Ecco, adesso per favore ditemi che esagero, che ho capito male, che Veltroni è molto meglio di così. Scrivetemelo. Massacratemi. Ditemi che non ho capito niente, che il meccanismo delle primarie come lo aveva progettato lui era a prova di bomba, che sui cinesi non ho colto l'ironia, ditemi per favore che Veltroni è una risorsa, una speranza per tutta la sinistra. Ditemi che mi sbaglio. Non voglio morire antiveltroniano.
Il sacrificio di Fini
21-12-2010, 10:40avercela con D'Alema, campagna elettorale (permanente), PdPermalinkMi resta il dubbio che sia un problema di cognomi. Voglio dire: se al posto di "Gianfranco Fini" e tutto quello che mi rappresenta dal MSI a Berlusconi, ci fosse uno sconosciuto che dice le cose che Fini ha detto negli ultimi mesi, lo voterei? Accetterei di votare una coalizione dove c'è anche lui in un bel collegio blindato? Ho votato per la Binetti, ho mandato Calearo in parlamento, probabilmente sì, ci manderei anche lui. Non si chiamasse Gianfranco - oh, Gianfranco, perché sei tu Gianfranco? rinnega il tuo nome. Sì, potrei accettarlo. Peccato che chi mi consiglia una mossa del genere sia lo stratega di cento battaglie perdute, Massimo D'Alema - ma anche lui, perché si ostina a farsi chiamare così? Basterebbe che la stessa strategia me la suggerisse "Mario Rossi", e potrebbe sembrarmi ragionevole. Lo vedete? E' un problema di cognomi, e delle lunghe storie che ci sono dietro.
Proviamo a farne a meno. Cancelliamo il cognome D'Alema, cancelliamo il nome Gianfranco, e anche i nomi dei partiti, cancelliamo tutto. Tabula rasa. Fingiamo di essere atterrati da pochi minuti su un pianeta XYZ, dove due anni fa ci sono state le elezioni con una legge elettorale uninominale con sbarramento al 4%. Hanno partecipato alla competizione il Polo Arancione, il Centro Giallo, il Polo Marron e la Rifondazione Bordeaux. Le percentuali si sono ripartite più o meno così:
Sì, sono una schiappa coi grafici, grazie. La collocazione dei partiti a destra, a centro e a sinistra non ha nulla a che vedere con le rispettive ideologie, che non conosciamo assolutamente. L'unica cosa che sappiamo è che gli elettori dei due principali blocchi detestano i dirigenti del blocco opposto. Come avrete notato la mezza torta non arriva al 100%: in effetti mancano briciole, che non passeranno comunque lo sbarramento (non lo passano nemmeno i bordeaux, se è per questo). L'impressione generale è di equilibrio: con questi numeri il Centro Giallo potrebbe fare da ago della bilancia - se non si trattasse, appunto, di uninominale con sbarramento al 4% (la faccio semplice, in realtà è più complicata, lo so). Infatti la vera ripartizione dei seggi in Parlamento sarà questa:
Come dicevamo i Bordeaux sono scomparsi: in nessun distretto del pianeta erano abbastanza radicati da oltrepassare lo sbarramento. I Gialli no, ma soltanto perché sono ben radicati in una regione; una regione periferica, ancorché molto popolata, e dotata di una classe dirigente particolarmente corrotta e di organizzazioni criminali eccezionalmente professionali. Quindi, in sostanza, gli Arancioni, col 46% dei suffragi, hanno i numeri per governare, e i Marron i numeri per stracciarsi le vesti, aprire un dibattito interno, cambiare i vertici, tutte quelle cose che un Partito di solito fa quando perde.
Dopo due anni succede una cosa abbastanza imprevista: una spaccatura nella coalizione di maggioranza provoca un travaso di seggi verso il Centro Giallo, che si ribattezza pomposamente Terzo Polo Giallo. Il problema è che di poli, per definizione, anche sul pianeta XYZ ce ne possono essere soltanto due: è la regola del gioco, chi vince prende più o meno tutto. I dati del terzo grafico sono presi da un sondaggio della settimana scorsa; nel frattempo pare che l'ondata gialla si sia un po' sgonfiata, comunque prendiamoli per buoni. Ecco qua:
Come vedete, sono tornati i Bordeaux, che nel frattempo si sono scissi tra Bordeaux e Lillà. I primi qui valgono da soli un 4,5%, e quindi hanno qualche chances di tornare in Parlamento; quanto al Centro, pardon, Polo Giallo, la sua sopravvivenza è fuori discussione, non fosse per quei famosi distretti elettorali della regione periferica eccetera.
Ma questi sono solo sondaggi. Vincerà chi sa interpretare meglio lo spirito del gioco. Direi che i principi fondamentali sono:
1) Piacere al proprio elettorato di riferimento. Sembra banale, in realtà è la cosa più difficile. L'astensione è sempre più forte, e penalizza le due coalizioni più grandi. In realtà un partito che riuscisse a piacere davvero al suo elettore-tipo potrebbe vincere le elezioni infischiandosi di qualsiasi alleanza o apparentamento.
2) Coprirsi alle estremità. Esse sono popolate da partitini piccoli e minuscoli, che con i loro 0,5 per cento non vinceranno mai una circoscrizione, ma possono essere decisivi nel far perdere il concorrente moderato. Gli arancioni lo sanno bene, e alla loro estremità hanno tirato su qualsiasi cosa, compresi i topi di fogna. I marron hanno più difficoltà: anche se si alleano coi Bordeaux, rimane il problema dei Lillà. Che non danno eccessivi pensieri, comunque.
3) Proporsi al Centro, per erodere qualche voto ai Gialli e addirittura agli avversari. Da anni ci provano tutti, in realtà non ci riesce nessuno.
Il problema, per i due veri concorrenti (Arancioni e Marron), è sempre quello della "coperta troppo corta": coprendoti alle estremità ti scopri al Centro; e mentre tiri di qui e di là vieni meno al primo principio: rimanere fedeli al proprio elettore. In effetti quello che ha dato la marcia in più agli Arancioni è un leader in grado di assorbire le contraddizioni senza risolverle: sotto il suo mantello mette insieme nordisti e meridionali, liberisti e statali, cattolici e mignotte, incredibile ma è così. Ah, inoltre possiede quasi tutte le reti televisive, buffo.
Rimane da capire cosa succederà ai Gialli. Non scompariranno, ma non possono in nessun modo vincere le elezioni. Possono invece farle perdere. A chi? Le possibilità stavolta sono soltanto due:
a) Se partecipano da soli, possono dare notevoli fastidi agli Arancioni: molto più grossi di quelli che i Bordeaux potrebbero dare ai Marron. Basta raccogliere un due per cento qua e un tre per cento là per far perdere agli Arancioni decine di seggi. E con decine di seggi in meno si perdono le elezioni.
b) Se partecipano con i Marron, l'effetto di disturbo nei confronti degli Arancioni viene a mancare del tutto. Inoltre i Marron rischiano di strappare la coperta: di non convincere il proprio elettorato o quello dei Bordeaux, che potrebbe ripiegare sui Lillà o sul partitino di un ex comico televisivo. Potrebbero compensare la perdita di voti con i seggi che sicuramente guadagneranno in quella famosa regione un po' corrotta: ma li dovranno spartire, probabilmente a tutto vantaggio di quel Centro Giallo che manterrà un'identità diversa, e che dopo le elezioni, anche in caso di vittoria, potrebbe comunque decidere di andarsene per i fatti suoi, o tornarsene in braccio a Papà Arancione. Visto che non c'è un solo Giallo importante che non abbia un passato arancione (uno veramente c'è: si chiama Rutelzxcvcvzx, conta lo 0,5, e ha cambiato più partiti che cravatte).
Dunque, io se fossi nei Marron, non avrei neanche un attimo di esitazione: Cercherei di coprirmi agli estremi, aprendo ai Viola, magari anche ai Lillà e al comico televisivo. E abbandonerei i Gialli al loro destino: molti di loro cadranno sotto lo sbarramento, ma il loro sacrificio non sarà vano: toglieranno ai candidati Arancioni quel due, quel tre per cento che serviva a farli vincere. E' chiaro che ai Gialli non piacerà il loro ruolo di vittime sacrificali, ma siccome sono mesi che litigano con gli Arancioni e li considerano i nemici del futuro e della libertà, si tratta di essere coerenti e di affrontare serenamente il giudizio degli italiani, pardon, il giudizio degli abitanti del pianeta XYZ. Quindi su, ragazzi, che chi muor per la Patria vissuto è assai. Al limite vi faremo un monumento. E verremo a dar le briciole ai piccioni.
Tutti d'accordo, insomma? No. So che è incredibile, ma c'è tra le fila dei Marroni un fine politologo che insiste per un'alleanza Bordeaux-Marron-Gialla. Si chiama Mario Rossi, e io non ho motivi per dubitare delle sue competenze (in realtà non lo conosco molto) ma veramente non riesco a capire il suo ragionamento. Davvero crede che i Marron riusciranno a prendere qualche voto in più alleandosi con quelle facce gialle che per anni i loro elettori hanno visto sui manifesti nemici? Ma se anche vincessero, quanto a lungo durerebbe l'arcobaleno giallo-bordeaux-marron? Sono domande a cui Mario Rossi non risponde. Certo, ha l'aria di saperla lunga, e voglio pensare che i rudi calcoli che qui ho fatto io li abbia fatti anche lui. E quindi? Niente, a questo punto non mi resta che fidarmi di Mario Rossi. In fondo sono appena arrivato sul pianeta Xyz, devo ancora imparare tante cose; mentre lui ha l'aria di uno che la sa lunga. E poi chissà quante elezioni ha già vinto.
Pannella don't
22-11-2010, 14:02campagna elettorale (permanente), ho una teoria, Pannella, PdPermalink"Ma no, ma sarà una cosa, lì, una boutade..."
"Ma che boutade, Pannella ha anche detto che è disposto a fare l'escort di Berlusconi".
"Massì, certo, Pannella, come no, come se i radicali avessero poi tutti questi voti, voglio dire, quanti radicali ci saranno in Parlamento..."
"Nove".
"Nove?"
"Eh".
"Però".
"Vero?"
"Ma... com'è andata che... voglio dire, ma non riesco neanche a ricordare se si sono presentati alle elezioni".
"Non si sono presentati".
"E allora chi li ha votati?"
"Tu".
"Ah".
Ho una teoria #50: come votare radicale senza averne voglia e pentirsene comunque, è sull'Unita.it, e si commenta qui. (O qui? Mi sa che c'è stato un casino).
Veltroni fra i Mammut
30-08-2010, 00:01ho una teoria, mammut, Pd, VeltroniPermalinkCome qualcuno dei più affezionati lettori saprà, il blog Leonardo è misteriosamente in contatto con un universo parallelo che è praticamente identico al nostro, proprio uguale uguale, salvo il trascurabile fatto che i mammut non si sono estinti. In quell'universo ci sono tutti i personaggi che ci sono nel nostro; per esempio c'è Berlusconi e fa più o meno le stesse cose. E Veltroni c'è? Ovviamente c'è, e la scorsa settimana ha scritto una lettera, per fortuna un po' più corta. Solo che invece di leggerla sul Corriere la trovate sull'Unità. E si commenta qui.
Figùrati se D'Alema
06-05-2010, 01:51avercela con D'Alema, dialoghi, Pd, tvPermalinkMartedì 4 maggio. In un superattico a Roma o Cologno Monzese, una task force di persuasori occulti sta lavorando a una missione impossibile: difendere l'ex ex Ministro Scajola dagli ignobili attacchi degli avvoltoi all'opposizione...
“Quindi, sintetizzando la situazione...”
“Siamo fottuti”.
“No, ecco, così è un po' troppo sintetica”.
“Ieri il ministro si è dimesso, tra sei ore comincia il tolksciò, e non abbiamo nessun argomento per difenderlo, nessuno”.
“Più o meno sì, la situazione è questa”.
“Quindi siamo fottuti”.
“Sì, però quante volte ci siamo trovati davanti a uno specchio e ci siamo arrampicati? Ce la possiamo fare anche stavolta”.
“No. È indifendibile, quello. Si è sganciato pure il Giornale”.
“Vabbè, scusa, mica potevano bersi la storia dei tremila euro a metro quadro... voglio dire, le case le comprano anche i lettori del Giornale, saranno mica tutti idioti”.
“Va bene, però adesso la consegna è di difenderlo, e noi non abbiamo uno straccio di argomento. Non abbiamo niente. Lui manco sa quel che dice, dice che vuol rendere l'appartamento, capirai, a momenti non sa nemmeno a chi l'ha comprato. E tra sei ore si va in onda. Stavolta ci fanno il contropelo”.
“Chi, i democratici? Ma no, vedrai. Non sono capaci”.
“Ti dico che ci fanno il contropelo”.
“Ma no, guarda, è proprio in questi casi, quando potrebbero affondare la lama nella piaga, che si ritirano sempre... gli manca il killer instinct”.
“Cazzate. Non sono più quelli di una volta. Adesso ci sono questi giovani, 'sti pivellini, hanno voglia di mostrare i denti”.
“Vabbè, ma son cucciolotti ancora”.
“Son più pericolosi. Se ci fosse ancora la vecchia guardia... per dire, cinque, dieci anni fa, sai chi avrebbero mandato?”
“D'Alema”.
“Proprio lui. Ecco, D'Alema ce lo saremmo giocato”.
“Era tosto anche D'Alema”.
“Sì, però... guarda, gli si mandava un fesso qualunque, il più irritante in circolazione, e si cominciava a pungolarlo su Affittopoli, te la ricordi Affittopoli?”
“Vagamente. Una vecchia roba di Feltri?”
“Scoprirono che a Roma D'Alema pagava una miseria di equo canone”.
“Vabbè, non è esattamente la stessa cosa”.
“Ma è proprio questo il punto. D'Alema è precisino, stizzosetto, tu gli mandi un cialtrone irritante che ti butta lì un parallelismo idiota con un vecchio scandalo, e lui esplode! A quel punto bum, caciara, e il giorno dopo nessuno parla più di Scajola, tutti a parlare di D'Alema e della caciara. Cinque anni fa avremmo fatto così. Dieci anni fa avremmo fatto così”.
“In effetti facevate sempre le stesse cose”.
“Per forza, ci mandavano sempre gli stessi... ormai li conosciamo a memoria”.
“Schemi lungamente provati e riprovati”.
“Vabbè, che ci vuoi fare, il tempo passa...”
“Però, chi lo sa, stasera potrebbe comunque venire D'Alema”.
“Ma valà, figurati. Adesso lui sta nelle retrovie, gioca a fare il kingmaker, di sicuro non si sporca le mani a battibeccare in un tolksciò”.
“Ogni tanto ci va ancora”.
“Sì ma non stavolta, scusa, figurati se per parlare della casa di Scajola mandano l'unico esponente del loro partito che è stato coinvolto in uno scandaletto immobiliare. Cioè, dovrebbero essere degli autolesionisti puri”.
“Ma loro sono autolesionisti puri. Scusa, eh, ma Tafazzi...”
“Ma no, Tafazzi è un'idea che abbiamo messo in giro noi. Se vuoi fare questo mestiere bisogna che ti alleni a non credere troppo alle storie che metti in giro, eh”.
“Quindi secondo te non sono autolesionisti?”
“Non così tanto da mandare D'Alema stasera, no. Te l'ho detto, manderanno i giovani, stanno funzionando. Al limite Bersani, pare che sia piaciuto da Santoro la scorsa settimana”.
“Io comunque una telefonata la farei, giusto per chiedere se sanno già chi viene del Pd... hai visto mai”.
“Fai pure, ma è tempo perso. Quello stasera se ne sta a casa a guardare i suoi uomini al lavoro".
"Non si sa mai".
"Si sa, si sa. Mica è scemo".
Flame!
21-10-2009, 01:49giornalisti, internet, Pd, primarie 2009PermalinkSe leggete qui, siete gente che bazzica internet da un po; se bazzicate da un po', è probabile che abbiate frequentato i forum. Non c'è quindi bisogno di spiegarvi cosa sia un flame.
Ve lo spiego lo stesso. Un flame è una lite che scoppia in rete tra due o più persone (ma di solito i protagonisti sono due). È tipica dei forum e di tutto ciò che tende a forumizzarsi: i commenti di un blog, una chat, facebook, eccetera. Se avete partecipato o assistito a un flame, sapete che in un primo momento sono divertenti, in seguito deliranti (e quindi in un certo senso ancor più divertenti), verso la fine frustranti.
Se avete una minima esperienza di flame, sapete quale importanza abbia il coro che assiste e commenta gli assalti dei due contendenti; al suo interno vi è chi parteggia apertamente per l'uno o per l'altro (rarissimi i transfughi), chi mantiene equidistanza... e poi, sempre perfettamente distinguibile, c'è la voce chioccia di chi disapprova il flame in quanto tale, e ci tiene a farlo sapere: una vecchia zia il cui repertorio spazia da “insomma, ragazzi, piantatela” a “eddai, tra un po' vi fidanzate”.
Se avete una certa esperienza di flame, avrete imparato ad apprezzare quelli interessanti e creativi, e a disprezzare quelli inutili e volgari; ad ammirare i contendenti più agguerriti, ma anche quelli che sanno perdere. Forse nel vostro cuore c'è persino lo spazio per un troll che ha indovinato una battuta; ma non per la vecchia zia. Se amate internet, non potete soffrirla: la vecchia zia è il Male. Internet può sopravvivere allo spam e alle foto dei gatti, ma non alla vecchia zia.
Quando A e B litigano su un argomento, C ha diverse possibilità. Può sostenere A o sostenere B; può cercare di mediare il conflitto, proponendo una soluzione di compromesso. Può anche, semplicemente, allontanarsi: l'astensione è un'opzione assolutamente ragionevole, se si ritiene che lo scontro non abbia senso, o che l'intervento di un terzo servirebbe solo a complicare le cose. La vecchia zia non si comporta in nessuno di questi modi. La vecchia zia stigmatizza il conflitto in quanto tale. Non ha importanza chi abbia ragione; se qualcuno lo contraddice, hanno evidentemente torto entrambi. La discussione, qualsiasi discussione, è sbagliata in quanto discussione. Non bisogna discutere, è inelegante. Bisogna fare altre cose: probabilmente scattare foto ai gatti, o ai laptop, o ai gatti nei desktop dei laptop.
La vecchia zia non è nemmeno più terzista: il terzista almeno si muove ancora in uno spazio compreso tra i contendenti, mentre la vecchia zia tenta una fuga nella terza dimensione. Ma chi è, insomma, questa vecchia zia? Lo siamo tutti, quando trasformiamo in argomento la nostra noia per i dibattiti altrui. Se un dibattito ci annoia, nessuno ci chiede di interessarcene. Vale per internet, vale per la carta stampata: vi annoia Scalfari che replica a De Bortoli? Leggete la cronaca sportiva. L'idea che la litigiosità segni la crisi del giornalismo è abbastanza curiosa: le polemiche hanno sempre venduto qualche copia in più, una volta erano segno di vitalità. L'autentico primatista tra i presidenti del Consiglio italiani non è né Berlusconi né De Gasperi, ma un ex giornalista che aveva cominciato ad attaccar briga da un giornalino di provincia, e non smise finché non ebbe la testa del direttore del Corriere della Sera. Poi sì, d'accordo, il giornalismo non si esaurisce nel polemizzare con gli avversari. Ma una bella polemica è mille volte più onesta del solito editoriale ammantato di buon senso: se leggo l'affondo di A nei confronti di B, sarò curioso di vedere come risponde: se scopro che B sa parare bene il colpo, mi troverò un po' confuso: A sembrava così convincente, eppure anche questo B... mi renderò conto che esistono verità diverse, e che tocca anche a me trovarne una mia. Tutto questo mi farà crescere mille volte più di un C cerchiobottista che pretenda di sintetizzare, armonizzare... grazie, ma agli omogeneizzati di Battista o Mieli dico no. Voi datemi tesi e antitesi crude, la sintesi devo imparare a cucinarmela da solo.
Vale anche per la politica. Vale anche per il povero PD, funestato secondo alcuni dall'eterno scontro Veltroni/D'Alema. Eterno scontro? Magari. Il problema è proprio che D'Alema e Veltroni non hanno mai avuto il coraggio di scontrarsi davvero, di vincere o perdere. Sono rimasti lì per vent'anni a guardarsi storto, mentre le vecchie zie cicalavano insommaaaaa, bastaaa ragazziiii. Uno scontro vero, in un momento qualsiasi tra il '94 e oggi avrebbe lasciato il campo più sgombro. E invece abbiamo avuto un D'Alema che salendo a Palazzo Chigi passa la segreteria DS a Veltroni; un Veltroni che vince incontrastato le primarie '07 coi voti dei dalemiani...
Può darsi che domenica sia la volta buona: finalmente sceglieremo tra un A e un B. Tra il modello proposto da A e quello propugnato da B. Chi avrà vinto dirigerà il partito. E chi perderà?
Negli ultimi mesi ho sentito spesso decantare il modello delle primarie americane, in cui lo scontro è violento e leale, e termina con la resa incondizionata del perdente: chi vince prende tutto, anche la fiducia di chi il giorno prima era il suo avversario. È una situazione molto diversa dalla nostra, dove intorno ai candidati si sviluppano correnti che stanno già organizzandosi un modus vivendi post-elettorale, con annessa spartizione delle cariche. Ma potrebbe anche funzionare. Mi chiedo soltanto se chi oggi canta odi sperticate delle primarie all'americana sarà pronto domani a serrare le fila intorno al candidato che non era il suo. Chi da mesi irride alla bocciofila Bersani, ce la farà a trasformarsi in bersaniano? Chi mai e poi mai voterebbe il moderato Franceschini è pronto a morire democristiano? Quelli che la laicità non è la priorità, sono pronti a morire per Marino? L'impegno è un po' più arduo di quanto non si pensi.
Io però non mi tiro indietro. Chiunque vincerà sarà il mio segretario. Non me la prenderò con lui, per... cento giorni, diciamo. È davvero il massimo che un segretario di Partito può pretendere da un flamer come me.
Un uomo mosaico
05-10-2009, 01:01cattiva politica, Giuliano Ferrara, Pd, primarie 2009, VeltroniPermalinkTornando a casa (chiedo scusa a tutti quelli che non ho fatto in tempo a salutare) ci siamo fermati a un outlet e dopo 5 minuti credevo di morire, quando ho avuto una visione: nel riflesso di una vetrina scintillava la decalcomania WiFi. Sono andato a chiedere come funzionava e mi hanno detto che per abbonarmi dovevo fare una tessera. Io gli ho spiegato che non volevo abbonarmi, quanto semplicemente attaccarmi alla rete per mezz'ora e poi non mi avrebbero visti mai più, proprio mai più nella vita, ma loro mi hanno spiegato che anche in questo caso mi avrebbero fatto la tessera.
Io le tessere non le faccio volentieri, per vari motivi. Il primo è che mi sformano il portafoglio. Dici: e che sarà mai un cartoncino; bene, adesso apro e controllo: due biblioteche (mica tante). Un sindacato, il solito. Un cinema che non ci vado vai, ma la volta che mi capita sta a vedere che la lascio a casa; no, la tessera è sempre qui vicina a me. La palestra. Due videonoleggi. Con questa ci caricavo le fotocopie in facoltà, mi fa sentire giovane. La tessera sanitaria nazionale. La tessera Arci, per entrare al Mattatoio e poco più. La tessera di un kebab di Modena, ogni dieci kebab ti regalano un kebab. La tessera di un supermercato per non fare la fila alle casse. La tessera di una catena di elettrodomestici, ebbene sì, raccolgo i punti... e poi cosa c'è qui sotto... dio mio, non ci credo, ho ancora nel portafoglio la dichiarazione alla volontarietà di donazione di organi e tessuti. Devo essere l'unico in Italia (si era appiccicata a quella dei kebab). Queste sono le tessere su cui mi siedo abitualmente. Poi ci sono le altre, quelle che sono arcisicuro che non userò mai, eppure mi hanno costretto a farle, e adesso giacciono in qualche cassetto sotto a pile di scorta, viti e bulloni che potrebbero tornare utili, biglietti di Natale, santini, preservativi. Il secondo motivo per cui odio le tessere è che sono molto restio a buttarle via, sicché ogni tessera finisce nel grande mosaico del mio disordine spaziale e mentale.
Il terzo motivo per cui odio le tessere è che sopra c'è scritto il mio indirizzo, e che dopo qualche settimana di solito mi arriva a casa un foglio a colori che finirebbe immediatamente nel cestino della carta riciclata se non fosse avviluppato di cellophane, e il tempo che perdo ad aprire il cellophane mi serve tutto a maledirvi, o Signori delle Tessere. Il quarto motivo è che non mi piace il discorso che c'è dietro a molte tessere che faccio. Quando entro in un locale, o in un negozio, o in un cinema, io preferirei sentirmi solo un cliente; ma agli esercenti non basta mai, loro vogliono farmi sentire parte di una comunità, il che, francamente... fino a qualche anno fa pensavo che si trattasse di una particolarità della mia regione, una specie di retaggio sovietico, e mi faceva mancare l'aria; allora mi sono messo a frequentare ragazze di regioni più capitaliste. Così è successo una volta in una regione particolarmente capitalista di entrare in un negozio di camicie; e dopo mezz'ora mi stavano chiedendo l'indirizzo di casa per ricevere la loro newsletter di camicie... insieme alla tessera, ovviamente. Va bene, adesso si chiama “card” e non fa più venire in mente i razionamenti annonari, ma il concetto è il medesimo. A quel punto ho capito che la tessera era trasversale, né di sinistra né di destra, piuttosto al crocicchio in cui il veterocomunitarismo incontrava il turbocapitalismo e insieme in maniche di camicia firmata andavano a bersi una vodka nel circolo arci di prossimità: uniti solo in questo, nella condivisione dei miei dati più o meno sensibili. Esercenti, banchieri, assessori, espiantatori di organi, birrai e cinefili, tutti vogliono il mio indirizzo, tutti hanno un cartoncino per me.
Tutti tranne Veltroni.
Ecco, lui non solo non era riuscito a piazzarmi una tessera del suo Partito (se per questo, neanche i suoi predecessori), ma non ci aveva nemmeno provato. Non solo, se ne vantava anche pubblicamente: faccio un partito senza tessere, diceva, un partito leggero. E devo dire che questa leggerezza non era priva di un suo fascino (specie se paragonata all'immagine di abbandono e consunzione del mio povero portafogli sformato). Però, insomma, dire “partito senza tessere” è un po' come dire “automobile senza ammortizzatori”: i casi sono due; o sei un genio che hai capito come inibire le sospensioni senza tutte quelle componenti che appesantiscono il veicolo, o sei un bambino a cui nessuno ha mai spiegato a cosa servono quegli affari che sono, sì, pesanti, ma necessari. Ma insomma da dove veniva l'idea? Pare che a cominciare a parlare di “partito all'americana, senza tessere” sia stato Giuliano Ferrara. A parte che i partiti americani le tessere le fanno (se vuoi ti personalizzano pure la Mastercard) ma aspettarsi buoni consigli da Ferrara sul Pd non è un po' come chiedere a Erode un parere illuminato sulla puericultura? Sì, però c'è sempre qualcuno che ci casca.
Metti Adinolfi – questo pezzo in effetti è nato da una costola di quello di venerdì, sempre stimolato dalla concezione un po' troppo internettistica che Adinolfi ha di Obama. Insomma, da come scrive sembra convinto che il Partito Democratico americano sia una community di non-tesserati che ogni tanto vanno a congresso più per stringersi la mano che per ratificare quello che hanno già taggato su facebook. Scherzo, eh, ma fino a un certo punto. Io capisco che Adinolfi abbia dei buoni motivi per diffidare del tesseramento, così come lo praticava il suo vecchio partito che, se non erro, era la DC. I Signori delle Tessere esistono: le logiche clientelari esistevano nei DS e sopravvivono alla grande nel PD; e sono responsabili dei brogli che quasi sicuramente sono stati commessi in Calabria e altrove. Tutto vero. Quello che non capisco è la soluzione proposta da Adinolfi o Ferrara: abolire le tessere. Così non ci saranno più brogli? Non ci saranno più logiche clientelari? Quindi era così facile, bastava rinunciare al cartoncino?
Ma scusate, è come togliere i limiti di velocità perché non li rispetta nessuno – e nel frattempo pretendere che la gente rallenti. Mi dite che gli spogli nei circoli calabresi non sono stati limpidi? Vi credo sulla parola. Ma come avete fatto a capirlo? Facile: i tesserati sono risultati più degli elettori. Bene, quindi grazie alle tessere avete capito che ci sono stati dei brogli. Ma se abolite le tessere, la prossima volta come farete a capirlo? La tessera è uno strumento, niente di più. Magari non funziona tanto bene, ma voi non state proponendo di sostituirla con uno strumento più efficace. Voi state pensando di eliminarla e basta: pensate che questo possa impensierire per più di un minuto i famigerati Signori delle Tessere? Secondo me gli semplificate la vita.
A sentirli sembra ovvio che la tessera sia roba vecchia, novecentesca, mentre nel Duemila la gente fa tutto su internet: acquista i viaggi on line, compra le azioni on line, seleziona la classe dirigente on line. Ecco, lo spiegassero ai miei librai, ai miei camiciai, ai miei negozianti, che insistono per ficcarmi in tasca tutti quei cartoncini – ahò, e piantatela, non avete letto Adinolfi? Siete vecchi, vecchi, siete roba Novecento, come i cassettoni della nonna.
“Il 25 ottobre”, scrive, “il popolo del Pd, simpatizzanti ed elettori a cui non si deve più chiedere di pagare una tessera, sceglierà il suo segretario”. Ho ormai maturato una sufficiente esperienza di primarie per sapere cosa mi attende il 25: per esempio so che mi toccherà sbors... ehm, “offrire” qualche euro. La cosa non mi scandalizza: oltre all'occasione di autofinanziamento, è anche l'unica misura che viene effettivamente presa contro abusi e infiltrazioni. È anche probabile che mi chiedano qualche dato personale, tra cui l'indirizzo e mail. Se non l'hanno già – qualcuno glielo deve aver passato, altrimenti non si spiega come fece Veltroni a mandarmi la convocazione per la manifestazione dell'anno scorso. Riepilogando: mi chiedono soldi e mi prendono i dati, con i quali mi manderanno poi le comunicazioni che riterranno utili, però non mi fanno il cartoncino, perché altrimenti sarebbero ancora un Partito Novecento: e invece sono nel Duemila, il millennio in cui dire “abbiamo una mailing list di millantamila nominativi” suona meglio di “abbiamo millantamila tesserati”.
La cosa curiosa è che io, quel cartoncino, lo prenderei. E che diamine, in fondo è solo un cartoncino. In tasca ne ho già una dozzina, di cui uno per gli sconti sul kebab, pensate davvero che sia un problema mettermi quello del PD? Magari se me lo mettessi in tasca mi farebbe sentire un po' più responsabile, un po' più militante. Magari potrebbe risultare una motivazione in più per farmi vedere al circolo (“mi sono tesserato e non ci vado mai...”) e per votare. Insomma io non trovo niente di scandaloso se Bersani e i suoi in futuro otterranno di fare primarie solo coi tesserati: significa semplicemente che chi vorrà votare ritirerà il cartoncino, e amen. Le regioni in cui vige il clientelismo non ne guariranno improvvisamente – in compenso le infiltrazioni saranno un po' più difficili. Ma in generale la differenza sarà molto più sottile di quanto non sembriate credere: oltre a prendere i miei dati e i miei soldini mi rifilerete un cartoncino, tutto qui. Sarà più sottile di quello della palestra e magari mi procurerà meno sconti di quello della libreria, ma non per questo mi precipiterà nel Secolo Scorso. E soprattutto la tessera mi darà una possibilità di iterazione fisica ineguagliabile su Internet: la potrò stracciare, in determinati casi, come per esempio quando i miei deputati non si faranno trovare nel momento in cui c'è da respingere lo scudo fiscale. Certo, su Facebook posso coprirvi di tutte le parolacce che voglio, ma la tessera, stracciare la tessera... vuoi mettere la soddisfazione?
Mas que nada
02-10-2009, 17:26internet, Obama, Pd, primarie 2009PermalinkUn mese fa ho scritto che Marino non avrebbe vinto mai. Ne sono ancora abbastanza sicuro, ma devo dire che i suoi risultati fin qui mi sembrano sorprendenti. Otto iscritti ai circoli su cento, quasi un iscritto su dieci che invece di scegliere i candidati 'predestinati' si affida al nuovo: non è poco, e lascia ben sperare per il 25 ottobre.
Detto questo, voglio rispondere – un po' in ritardo – a chi nei commenti mi rimproverava un po' di freddezza (addirittura dello snobismo) nei confronti di Marino: tu dici che non vincerà mai, ma “lo dicevano anche di un tale Obama, ricordate?” Arieccoci.
Allora: io credo che Marino sia un'ottima persona e un buon candidato, ma non è l'Obama italiano. Così come non lo era Veltroni, nel periodo in cui gli prese in prestito lo slogan – non basta copiare uno slogan per diventare un Obama. Non basta essere outsider: Marino indubbiamente lo è, anche più di quanto non lo fosse Obama, ma la similitudine finisce qui.
Questa fissa per Obama sta diventando un tic mentale: ogni volta che ci troviamo davanti una sfida impossibile (Veltroni vs Berlusconi, Marino vs tutti) qualcuno tira fuori il mantra “dicevano così anche di Obama”... ma Obama non è uno spot Apple dedicato a quelli che sanno pensare l'impossibile e altra chincaglieria creativa anni Novanta. Non è un miracolo da invocare: è un candidato che ha trionfato in condizioni inizialmente difficili grazie a una serie di circostanze. Piuttosto di alzare gli occhi al cielo e pregare il Dio di Obama, suggerisco di concentrarci sulla terra intorno a noi e osservare se si stiano verificando le stesse circostanze. A me pare di no, e quindi continuo a pensare che Marino non abbia molte possibilità – e anche qualora vincesse, lo farebbe con una strategia sensibilmente diversa da quella di Obama.
Sul quale circolano equivoci abbastanza insidiosi – per esempio, l'uso di Internet. È vero che ha vinto grazie a Internet? Se penso a Obama mi viene in mente un politico che s'impone nell'immaginario con strumenti molto più tradizionali (lunghi discorsi alla folla, costosi spot televisivi). Invece leggo ancora stamattina che “la rete ha deciso lo scontro a favore di Barack Obama, che ha usato sapientemente i social network“. (Mario Adinolfi, Europa). Cioè, neanche tutta Internet: i social network: come dire che se Hilary Clinton avesse curato più il suo profilo facebook magari avrebbe vinto lei – ma no, per carità, no. È vero che Obama si è molto giovato di Internet, ma non nel senso in cui sembra credere Adinolfi. Obama non ha usato Internet come veicolo dei suoi messaggi, in alternativa ai media tradizionali, ma in un modo diverso – anzi in due modi.
1) Il primo lo descriveva egregiamente Georg in questo vecchio post: internet come struttura organizzativa leggera ed efficiente, ideale per mettere in contatto e coordinare chi i messaggi di Obama li conosceva già. Però, attenzione, costoro non è che rimanessero a casa a chattare su quanto fosse fico Obama: no, su Internet trovavano le istruzioni per montare i gazebo o approcciare gli estranei, anche porta a porta. Internet come ufficio, non come aula magna: Obama i grandi discorsi li ha fatti dal vivo, davanti a persone che magari non hanno la connessione in casa, ma che avevano sentito parlare di lui da attivisti organizzati on line. Certo, per fare tutto questo servono anche $$$ - e qui arriviamo al secondo modo:
2) Internet ha consentito a Obama di raccogliere fondi che poi gli hanno permesso di pubblicizzarsi attraverso i media tradizionali (tv generalista, radio, manifesti...) Per supportare Obama on line non era sufficiente inserirlo nella propria lista di amici in questo o quel social network: si trattava di cliccare il famigerato tasto “sostieni”. Quello che gli italiani fanno ancora molta fatica a cliccare, per una naturale diffidenza nei confronti del sistema bancario o di internet o che so io – fatto sta che nelle scorse elezioni era oggettivamente difficile trovare il famigerato tasto nei siti internet dei partiti. Anche oggi, nel sito di Marino, la dicitura “sostieni” compare piuttosto in basso (però più in alto c'è “shop”: le magliette evidentemente funzionano meglio dei micropagamenti). Non so quanto ne ricavi, ma non credo molto. Del resto in Italia siamo al punto in cui un candidato si lamenta perché un altro stampa troppi manifesti: l'idea che la raccolta fondi sia parte integrante della campagna, e che qualcuno possa vincere perché ha convinto i sostenitori a sborsare di più ci è del tutto aliena. O siamo 'liberisti' (e allora paga tutto il capo che si è ordinato un partito su misura) o siamo, boh, centralisti: nel senso che i soldi per i manifesti ce li deve dare il partito, probabilmente in parti uguali per una questione di fair play. Ecco, prima di riempirvi la bocca con Obama, notate che lui non ha usato nessun tipo di fair play: ha raccolto più soldi che poteva e alla fine ha bruciato dieci milioni di dollari in un megaspot di trenta minuti in prima serata. Su sette canali tv, non su internet. Ma grazie a internet. E più al tasto “sostieni” che non ai vari social network.
Ogni volta che vi provano a vendere un Obama italiano, ragionate prima su questi due aspetti: (1) c'è dietro un'organizzazione in grado di portare gli indecisi nei circoli e alle urne (che si può anche coordinare su internet, ma poi viene a bussarmi alla porta, esattamente come i vecchi comunisti e i leghisti d'oggidì)?
L'ultimo emiliano
06-09-2009, 21:27feste dell'unità, Pd, primarie 2009PermalinkChi è cresciuto in Emilia, parzialmente assuefatto al mito del buongoverno locale, si è proposto almeno una volta nella vita il quesito: se siamo così bravi (e gli altri così scarsi), perché a Roma non ci andiamo mai? Forse allora non è vero che siamo così bravi? Forse siamo bravi come “amministratori” ma non come “politici”? Ma che differenza c'è, ce la spiegate? Perché se “amministrare” significa governare bene, e “politica” lotte per il potere, forse a Roma sarebbe meglio che ci andassero i bravi amministratori... o forse il problema è l'opposto: i nostri amministratori sono talmente bravi a lottare per le loro poltroncine locali da annullarsi a vicenda, perdendo il meglio della loro vita in congiure municipali e spianando la strada per Roma a latifondisti sardi, intellettuali della Magna Grecia, deputati di Gallipoli. Sia come sia, fino ai primi '90 i politici emiliani di caratura nazionale sono stati curiosamente rari. Se in seguito l'Emilia si è rifatta in modo clamoroso, è stato in massima parte con personaggi che alla lotta per le poltroncine non avevano potuto partecipare (e forse proprio per questo motivo erano 'costretti' a proiettarsi sulla scena nazionale): un'orda di cattolici (Casini, Giovanardi, Prodi, Franceschini) e persino un missino. Insomma non sarà quel paradiso del Buon Governo che molti credono, l'Emilia, ma è senza dubbio una delle migliori palestre per i politici; che pare aver giovato più al centrodestra che al centrosx.
Bersani è l'eccezione. Dovesse vincere le primarie (e dovrebbe), Bersani sarà il primo leader di centrosinistra a poter vantare il classico cursus honorum degli amministratori comunisti emiliani (proprio mentre nel frattempo l'Emilia rossa stinge): giovanissimo vicepresidente di comunità montana, consigliere e poi assessore a Piacenza, presidente di Regione, Ministro. Mentre lui saliva paziente tutti i gradini, sulla poltrona di segretario o di leader del suo schieramento si ritrovavano personaggi con minori esperienze e con storie del tutto diverse: penso a Prodi o Franceschini, ma anche a Rutelli. Questo per dire quanto sia radicata, anche se poco esplicitata, la dicotomia amministrazione-politica: a Roma ci vadano persone con belle facce (Rutelli), o belle idee (Veltroni), e se belle non si trovano che siano almeno facce e idee rassicuranti (Prodi); gli amministratori al massimo potranno ambire al ruolo di eminenze grigie; di estensori di decreti magari rivoluzionari sulla carta, che poi l'arietta romana si incaricherà di addolcire. Il vero salto della sua carriera è stato da burocrate locale a personaggio televisivo, ospite ideale di Ballarò più che di Vespa: il signore che a un certo punto della serata si mette a snocciolare i dati sull'economia e intorno si fa silenzio. Un anti-Tremonti, in fondo speculare al modello.
Ma Bersani, come Tremonti, sembrava l'eterno cardinale rassegnato a veder nominare i pontefici. Il gran rifiuto di partecipare alle primarie del 2007 ci impedì di assistere al vero scontro tra la politica romana dei grandi ideali (Veltroni) e l'amministrazione del potere (Bersani, con cricche dalemiane annesse e connesse). Sarebbe stato davvero un bel duello, ma Bersani lo avrebbe comunque perso, e allora a che pro? Con machiavellica rassegnazione i grandi burocrati Ds hanno lasciato che Veltroni bollisse nel suo brodo aromatico, e adesso si rifanno sotto. Con Bersani, grande amministratore con aura di tecnico e (not least) ultima faccia televisiva spendibile. Potrà anche sembrare una restaurazione, il ritorno del dalemismo, e in parte lo è, però... c'è qualcosa di più che non so spiegare in altri modi, insomma... Bersani è emiliano. Sarà anche un'astrazione geografica, ma ha un senso storico: mentre gli altri studiavano, lui amministrava. Quando si parla di grande scuola del PCI, si pensa sempre a quel certo plesso alle Frattocchie: c'è un equivoco. La vera scuola erano le sezioni locali, le circoscrizioni, i consigli e poi le giunte, con tutto il folklore annesso. Bersani non ha bisogno di improvvisarsi oggi cameriere alla festa dell'unità, perché gli spiedi li metteva su trent'anni fa: qualche giorno fa è stato a una festa padana e si è permesso di dire “Guardate che questa roba qui (mulinando l'indice) l'abbiamo inventata noi; e se chiedete al leader vostro alleato a che prezzo bisogna mettere uno spiedo per non rimetterci, lui non lo sa; io sì”. Un tipico sprazzo di orgoglio emiliano, versione passivo-aggressiva dell'arroganza lombarda (e meno male che avevo scritto che le regioni non esistono): “quello là” sarà anche bravo a metter su palazzine e televisioni, ma se gli chiedete quanto deve venire uno spiedo per non rimetterci, non lo sa.
“Mentre gli altri studiavano, lui amministrava”: ma sarà vero? Mentre lo intervistano scopro che Bersani è laureato (Veltroni e D'Alema no, per esempio), in filosofia, con una tesi, udite udite, di storia del Cristianesimo. Sarà anche solo un episodio nella vita di uno che poi ha fatto tutt'altro, ma me lo rende subito più simpatico. In un periodo in cui il cristianesimo è diventato un blocco compatto che si deve accettare o rifiutare in toto (magari sputandoci anche un po' sopra), mi trovo sempre più vicino a quelle poche persone che tra credere e non credere si sono accorti che c'era una terza dignitosissima scelta: studiare. Una settimana fa il candidato cosiddetto laico, Marino ha spiazzato qualcuno autodefinendosi cattolico. Bersani spiazza ulteriormente, rifiutando di rispondere alla domanda. Come? Un candidato che non vuole dirci se crede in Dio o no?
Me lo potevo immaginare ragioniere, Bersani, specializzato in qualche ramo di economia e commercio, o perché no, perito agrario; al limite ingegnere; invece salta fuori che l'unico candidato in grado di calcolare l'entità della manovra necessaria a muoverci dalle secche della crisi (19mila milioni, ma potrei sbagliarmi) si è laureato su Gregorio Magno. Quindi non vuole rispondere alla domanda su Dio: giusto, è come quando mi chiedono se il futurismo mi piace o no, che senso ha? Quando studi una cosa per anni ti rendi conto che è complicata, e che certe domande sono superficiali... (mr. Einstein, ma a lei questa relatività piace?) Invece di rispondere imbastisce un discorso che tramortisce una buona parte del pubblico: sono venuti apposta per applaudirlo (in più che per Franceschini) e alla fine risulteranno più freddi. La nostra concezione dell'umanità, spiega Bersani (a gente come me, che si aspettava dati sulla crisi e qualche battutina sul puttaniere), la nostra stessa idea di dignità umana, quel sentimento che ci fa provare un istintivo sdegno per le foto dei migranti respinti in mare, è il risultato di una civiltà che nasce col cristianesimo, e poi si biforca in varie direzioni, tra cui quella illuministica settecentesca. Ci sono altre culture, “più filosofiche”, come quella buddista, che dell'uomo hanno una concezione diversa. Diciamo che credono meno nell'individuo: e fa l'esempio della Politica del Figlio Unico. Pensavate che fosse un esempio limite di pianificazione comunista? No, spiega Bersani, “io ci sono stato, sapete: quando ne discutevano, una delle obiezioni principali era: ma un figlio solo verrà su viziato. Ora, una cosa del genere da noi sarebbe impensabile”. Laici o cattolici, noi abbiamo un'idea di individuo, che loro non hanno “e a quelli che insistono a dirci che certe cose non sono negoziabili [aborto, eutanasia, fecondazione], dico: continuate, continuate pure a non negoziare. Alla fine vi toccherà di prendervi ricette di gente che ha un'idea molto più diversa dalla vostra”.
Bersani continuerà a parlare per più di un'ora, e sarà bravo davvero: oltre a i contenuti, dimostrerà capacità retoriche non comuni, schiacciando a rete domande incerte palesemente improvvisate dall'intervistatrice. Ma sarà tutta discesa, almeno per me. Dopo aver parlato, con parole semplici, di dignità dell'uomo e di culture più o meno filosofiche, Bersani mi ha dimostrato alcune cose. Prima, di essere qualcosa di molto più del grigio burocrate che tiene la contabilità in seconda serata a Rai3: Bersani è un pensatore. Quello che pensa potrà essere discutibile – in fondo non siamo lontani dallo Scontro di civiltà huntingtoniano – ma visto da qui sembra davvero un pensiero: non un collages di aforismi celebri o un album di figurine; su certi problemi B. ha effettivamente meditato; le sintesi che proporrà saranno qualcosa di più di meri compromessi tra chi crede o no in un tale Dio. Seconda: è uno che questi pensieri non li tiene per sé, ma li offre a una platea che sì, è amica, ma forse si aspettava qualche lisciata al pelo in più. Il suo comizio mi ricorda quella scena del Gladiatore (film orribile) in cui Maximus scende nell'arena e decapita un paio di mirmidoni in pochi secondi: la gente non ha nemmeno il tempo per applaudire. È andata così: non si sono certo spelati le mani. Voteranno comunque per lui, sono modenesi diamine, ma hanno fatto un po' fatica a seguirlo. Che sia troppo bravo? La maledizione dei comunisti emiliani: si preparano, si preparano, per approdare preparatissimi in panchina. Bersani dovrebbe vincere le primarie con relativa facilità. Convincere gli italiani che dopo Berlusconi tocca a lui, e che bisogna tirarsi su le maniche e racimolare 19mila milioni o più, sembra ancora un altro paio di maniche.
Cronache dalla campagna
02-09-2009, 23:14feste dell'unità, Pd, primarie 2009PermalinkLunedì non sapevo ancora per chi avrei votato. Chiedendo in giro mi sono accorto di condividere con molti l'impressione che tutti e tre i candidati non siano poi male, “molto meglio di quelli di prima” (quelli di prima li avevamo votati perché erano meglio dei precedenti, ecc.).
Franceschini e Bersani sono comunemente ritenuti dei gentiluomini, un po' rovinati dalle pessime frequentazioni: Binetti il primo, D'Alema il secondo. Marino è generalmente simpatico a tutti, ma rischia di essere l'ennesimo scalfarotto (con tanto affetto allo Scalfarotto originale). Per cui si rimanda la decisione, si prende del tempo, addirittura si vanno a vedere i comizi. In una situazione del genere un oratore un po' trascinante potrebbe anche fare la differenza. Nessuno dei due lo è (nemmeno Bersani, che io sappia). Marino non ci prova nemmeno: ha trovato uno slogan da appioppare agli avversari, “siete leader del secolo scorso”, e lo ripete due o tre volte senza vergogna; ha così poca retorica che quel poco la sfoggia come una spilletta. Franceschini invece si capisce che è del mestiere. Ha un tono concitato immediatamente riconoscibile (è già un personaggio mediatico, lui: Marino forse non lo diventerà mai), un timbro lievemente stridulo, che ricorda la falsa intransigenza fassiniana, mitigata però dalla dolcezza del ferrarese. È la voce giusta per dettare un programma, imporre la linea: fermezza senza arroganza. Tra sei mesi potrebbe essere scomparso nel nulla, eppure la stoffa per diventare il nuovo Berlinguer catto-laico c'è.
Il campo di gioco
Entrambi giocano in trasferta: Modena, già feudo dalemiano dovrebbe incoronare Bersani – siamo molto prevedibili. Siamo però anche molto aperti al confronto, e domenica sera riempiamo l'arena concerti: molti restano in piedi, e i posti a sedere sono qualche migliaio. Successone, soprattutto se tieni conto che è l'arena dell'ex festival dell'Unità, e che quello che parla fino all'anno scorso era un post-democristiano. Se invece consideri che Franceschini è ancora il Segretario, e che questa è la sua festa, il paragone col passato è impietoso: dieci anni fa quando veniva D'Alema si bloccava la tangenziale. Caldi applausi, ressa finale per gli autografi. Bersaniani con molto fair play.
A Marino ci si credeva meno: niente Arena, il Palaconad era ritenuto più che sufficiente. Forse è Marino a non credere molto all'Emilia, al punto di ficcare nel primo lunedì di settembre (la data peggiore dell'anno, a pensarci bene), non uno ma due comizi: Piacenza alle 18 e Modena alle 21. Ora si può anche capire che siano collegi sacrificabili; nessuna pretesa di essere l'Ohio elettorale di Ignazio Marino, e tuttavia gli interrogativi sorgono spontanei: ma chi è che viene a vederti un lunedì alle sei a Piacenza? E se a Piacenza arrivi alle sei, e come minimo parli un'oretta, come accidenti puoi credere di essere a Modena alle nove? è evidente che quello che ti organizza la campagna non è lo stesso che ti organizzava le operazioni. Insomma, noi arriviamo con una mezz'ora di anticipo e troviamo il palaconad deserto. Mi viene in mente una trista serata di qualche anno fa, Cofferati in versione sceriffo davanti a una platea di vecchietti canuti. Andiamo a fare un giro in libreria.
Torniamo dopo venti minuti e il palaconad è esaurito. La gente sta già cominciando a sottrarre panchine dagli stand circostanti. Barattiamo un paio di sedie con due firme su una legge d'iniziativa popolare e ci sistemiamo sul fondo: la gente comincia ad appoggiarsi sulle pareti in compensato. Dopo mezz'ora il giornalista spiega che Marino sta arrivando da Piacenza: il pubblico mormora, qualcuno si indigna (Pc e Mo nello stesso giorno? Ma che roba è?), senza però schiodare dalle panchine. Il giornalista rassicura: l'intervista sarà trasmessa anche nella sala di fianco. Alla fine Marino riempirà tutte e due. Il primo lunedì di settembre, alle dieci di sera, il dott. Ignazio “Chi?” Marino sbarca alla Festa del Lavoro di Modena e fa il pienone. Tanti applausi, anche se c'è gente che rimane a braccia conserte tutto il tempo. Un signore di fianco a me applaude raramente, e spesso scuote la testa sconsolato: atteggiamento tipico del bersaniano disilluso (“ma queste cose ce le deve venire a dire un chirurgo?”) Se posso interpretare: molti modenesi voteranno Bersani sperando che realizzi il programma di Marino. Sì, lo so, è strano, siamo persone strane.
L'interlocutore
Entrambi si affidano alla forma intervista, una chiacchierata con un giornalista che non ha nessun interesse a metterli in difficoltà. Particolarmente sdraiato il direttore tg3 che intrattiene Fassino: a distanza di una mezz'oretta risulta difficile ricordarsi cosa abbia chiesto; l'unica domanda vagamente difficile riguardava il rapporto tra cattolici e laici, senza fare nomi. F. rassicura: nel partito ci sarà spazio per entrambi. Meno male. (Ah, e un paio di frecciate alla situazione del tg3, ma in prima persona, alla Santoro: chissà se ci sarò ancora, speriamo che non mi montino un caso-Boffo, sono andato in soffitta a guardare se ho qualcosa da vergognarmi nel passato, dichiarazioni dei redditi, vecchie fiamme, ecc. ecc. Probabilmente a Roma questo tipo di aneddotica funziona: gli ascoltatori pensano “Però, questo un pezzo grosso che rischia di perdere il posto e ha la forza di scherzarci anche su, fico”. Su da noi è un po' diverso: l'ironia è troppo sottile, non si percepisce. Si sente invece una forte tendenza a personalizzare i problemi, a gridare allo scandalo solo quando ti toccano il posto fisso ecc. ecc. ecc.).
Una scelta migliore è l'intervistatore di Marino, Formigli. Finge addirittura di volerlo mettere in difficoltà, ricordandogli l'unico incidente della sua campagna (l'infelice uscita sulla “moralità” del partito all'indomani dell'arresto del segretario di sezione stupratore). Le domande sono un po' più pepate, come le vuole il pubblico, con nomi e cognomi: insomma, Binetti sì o Binetti no? La gente applaude la domanda ancora prima della risposta.
I contenuti
Ecco, è un po' imbarazzante. Forse avrei dovuto prendere appunti. Ma insomma, io sono stato giù nell'arena in piedi, a sentire Franceschini per 40 minuti, applaudendolo persino... e non mi ricordo niente. Non dico che mi abbia annoiato. Non mi ha nemmeno acceso nessuna spia. Nessun passo falso, ma come dire... niente in tutto. No, esagero, ma davvero: niente che non si potesse riassumere in venti minuti da Vespa o a Ballarò. Aspetta, mi è venuta in mente la cosa delle due rose. Sì, è andato a portare una rosa bianca sulla tomba di Zaccagnini e una rossa su quella del partigiano comandante Bulow. Le due rose, uhm. Insomma, abbiamo un grande passato, anzi due grandi passati, in cui a volte ce le siamo date ma abbiamo anche fatto cose fantastiche assieme, come resistere ai nazisti. E il futuro? Beh, la prima uscita un po' infiammata (forse l'unica) è sulla fuga dei cervelli: stiamo mortificando i nostri giovani, dice. Io applaudo, ma il giorno dopo Marino tornerà sul problema citando esempi concreti.
Se di Marino ricordo molte più cose è perché Marino, senza essere un grande oratore, è un vivace affabulatore. Si sta viaggiando l'Italia e si capisce che ha voglia di raccontartela: la gente si aspetta tirate laiciste e invece lui comincia parlando di operai che fanno lo sciopero della fame (è andato a trovarli) del comune di Riace che è diventato una comunità multietnica, eccetera eccetera, e passa una mezz'ora abbondante senza tirare fuori la parola “laico”. È il giornalista che lo deve aizzare: la gente qui è venuta a sentirti fare il laico, su, facci un po' il laico esasperato. Ma anche parlando di contraccezione ha più voglia di raccontare episodi che di spiegare le sue idee: durante una tavola rotonda ha sentito un parlamentare (di destra) ammettere che i ferri sono meglio della pillola perché “fanno paura”. “Ma siamo impazziti?” Ovazione. E la Binetti? “Se mi dimostrano che il 70% del partito è con la Binetti, io ne prenderò atto. Ma se invece il 70% del partito la pensa come me, anche la Binetti dovrebbe prenderne atto...” ovazione, e il giornalista incalza: la vorresti fuori dal partito? Sornione, Marino indica il pubblico. Il pubblico fischia e urla improperi alla parlamentare inciliciata. Alcuni devono essere per forza gli stessi che ieri hanno applaudito il suo candidato.
Bilancio
Franceschini non è male, no: come si dice in questi casi: “è una risorsa” (di solito dopo averlo detto si preme il pulsante della botola). Ma insomma, ha un modo di tenere insieme tutto e niente che mi è troppo familiare.
Lampadina: Franceschini è un Veltroni Senza. Senza Kennedy, senza metri quadri a Manhattan, senza cinema, senza romanzi, senza Africa, senza figurine, senza tutte quelle cose che dovevano alleggerire la figura del leader e invece l'hanno impiombata. Franceschini è molto più leggero, ai limiti della non consistenza: si vede quello che c'è dietro e dietro ci sono molte buone intenzioni e alcune brutte facce.
Marino non vincerà mai. In tv non lo conosce nessuno, molti andranno alle primarie senza nemmeno sapere chi sia. Allo stesso tempo uno che ti realizza una serata così, il primo lunedì di settembre a Modena, ha già vinto. Ha fatto uscire la gente e gli ha raccontato cose che già sanno: crisi economica, emergenza immigrazione, conflitto d'interessi, cosa manca? Ah sì, la questione laicità. È come se avesse preso in mano l'agenda: Franceschini, o Bersani, dopo aver vinto, avranno di fronte i problemi che sta ponendo lui. (Si chiama egemonia).
Verso la fine mando un sms al mio amico ex assessore che non è venuto perché ultimamente tutta la baracca non la regge più. “Qui c'è Marino che si sta mangiando Franceschini”. La risposta arriva in pochi secondi: “Io voto per lui. Appena posso mi faccio anche operare".
Il mio Piave
30-06-2009, 02:15articolo 18, ascesa e caduta di S. Cofferati, PdPermalinkPoi per carità, a chi non piace sentire finalmente qualcuno che dice basta con le solite chiacchiere, le solite polemiche sulle fazioni o sulla leadership, qui servono idee concrete, cominciamo a farci venire delle idee concrete. Piace a tutti un discorso così.
Il punto è che nel breve intervento di Debora Serracchiani al Lingotto, sabato scorso, tutte queste idee concrete ancora non c'erano. Ce n'era una gran voglia, questo sì. Ma al netto di tutti i discorsi contro le chiacchiere e di tutte le polemiche contro i polemici, l'unica proposta un po' nel merito (in qualsiasi merito) era... il superamento dell'articolo 18. Eh? Aspetta, forse ho capito male.
No, perché dopo ha parlato la Melandri e ha ribadito il punto: “l'articolo 18 è un vecchio arnese”. Ah.
Chiedo scusa, è colpa mia. Ogni volta mi dimentico che sto assistendo alla nascita di un partito di centro, centro, centro, centro, centro, trattino sinistra, e mi stupisco di cose che tutti intorno a me daranno per scontate. Articolo 18, ma chi ne parla più. Metti Berlusconi: lui mica ne parla. Anche perché... come andò a finire quando provò ad abrogarlo? Fammi ricordare.
Comunque è un fatto che non ne parli più. Lui è ossessionato dalla comunicazione, e non ha tutti i torti: la crisi è sistemica, l'unico fattore che si può sperare di correggere è quello emotivo. Forse sarebbe arrivato alla stessa conclusione anche se non controllasse cinque emittenze nazionali e non avesse fondato il suo impero sullo spaccio di emozioni – in ogni caso la strategia ha un senso. Gli italiani devono avere la sensazione che tutto finirà per il meglio. Figurati se in un frangente del genere si mette a riparlare di licenziamenti più facili. Anzi, guai a chi ne parla.
Così va a finire che ne parla la Melandri. Giusto. In fondo, se siamo un partito di centro, centro, centro, centro, centro, trattino sinistra, il populista Berlusconi è allo stesso tempo alla nostra destra e... alla nostra sinistra. Noi invece inseguiamo il centro. Chi ci sia al centro di così interessante non si è mai capito: forse qualche industriale che non ha ancora delocalizzato in Romania. Ecco, forse lui se sente la Melandri dire che “l'articolo 18 è un vecchio arnese”, potrebbe considerare l'idea di votare per noi. Nel frattempo i suoi operai, i dipendenti con vent'anni di contributi e ancora più di dieci anni prima della pensione, il ceto medio nerbo della nazione, prende paura e vota Lega. O Berlusconi, che è più rassicurante. Poi la Melandri verrà a spiegarci che è colpa nostra, dovevamo insistere un po' di più verso il centro, centro, centro, centro, centro, trattino centro.
Io – che a suo tempo feci la mia modestissima barricata – so benissimo che l'articolo 18 non è la cura a tutti i mali. So che viene già disatteso dai fatti da migliaia di ditte che si scorporano appena superano i 14 dipendenti. E anche nel culmine dello scontro del 2002 non l'ho mai considerato molto di più che una bandiera. Però anche le bandiere hanno una loro importanza – quelle che funzionano. L'articolo 18 ha funzionato. Altroché se ha funzionato.
All'indomani della vittoria di Berlusconi nel 2001, con l'eco delle sirene di Genova ancora forte e chiaro nelle orecchie di molti, Sergio Cofferati divenne il leader della sinistra semplicemente indicando una linea, un fronte, un Piave, e promettendoci che Berlusconi non sarebbe passato. Quel Piave fu l'articolo 18, e Berlusconi non passò. Lo ricacciammo indietro, il 23 marzo 2002, qualcuno se ne ricorda? Roma invasa dai manifestanti convocati da un solo sindacato, e Marco Biagi era appena stato ucciso. Così si fa opposizione, prendete nota: si indica un punto sulla mappa, ci si raccoglie e non si cede fino alla fine. L'articolo 18 non fu modificato. Tremonti non ne parla più da allora. (Adesso parla solo di vegole, vegole, vegole, è diventato un maniaco delle regole: chissà se tra queste include lo Statuto dei Lavoratori).
Ma adesso lo vuole modificare il PD. Pare che sia l'unica idea nuova che la Serracchiani aveva pronta da portarsi a Torino. Pare che l'articolo 18 sia “un vecchio arnese”. Ma insomma, quelli che andarono a Roma il 23 marzo non avevano capito niente? Oppure hanno cambiato idea? Più semplicemente hanno smesso o smetteranno di votare PD. Ma siete sicuri che i loro voti non vi servano? Quante migliaia di voti intendete bruciare per conquistare quello della Marcegaglia?
No, scusate, lo so benissimo che non ragionate in termini elettorali. Ci mancherebbe altro. È proprio per questo che, mentre state all'opposizione, proponete di rendere i vostri elettori un po' più licenziabili. La maggioranza se ne guarda bene, ma se gli allungate una bozza Ichino, è probabile che la voterà. Senza dare troppa pubblicità alla cosa (la Melandri, invece, scommetto, sogna già i manifesti: Licenziamenti più facili grazie al PD! Grazie, PD!)
Ripeto, io non credo nella sacralità dell'Art. 18. Ma ne faccio una questione di comunicazione. Ci sono migliaia di persone che per quell'Articolo hanno combattuto: non si meritano qualche spiegazione? Nel 2002 si rifiutavano di credere nell'equazione “più licenziamenti = più opportunità di lavoro”: erano così stupidi? Il loro intuitivo scetticismo nei confronti dei dogmi del libero mercato non meriterebbe di essere un po' rivalutato, alla luce di quello che è successo più tardi in tutto il mondo? Ma sul serio intendete mandare gente come la Melandri a spiegare che si sono sbagliati, hanno fatto le barricate per salvare un vecchio arnese che va tolto di mezzo, e che se Berlusconi non vuole più farlo tocca a noi?
Io non escludo che tecnicamente abbiate ragione. So che lo Statuto dei Lavoratori è il prodotto di un'era di relativa espansione economica in cui i rapporti di forza erano molto diversi. Può darsi che quel Piave debba cedere prima o poi. Non ne farò un dramma, crollato un fronte si ripiega e se ne fa un altro. Ne faccio un problema di comunicazione. Basterebbe non insistere troppo sull'articolo 18, sui termini “abrogare”, ma anche “superare”. Dite semplicemente che volete rendere il mercato del lavoro più equo per le giovani generazioni, sentite che suona già molto meglio?
E tecnicamente si può fare senza strombazzare al mondo intero che stiamo modificando l'art. 18. Peraltro, non è detto che si debba realmente modificare. Persino la bozza Ichino mantiene alcuni paletti: non sarebbero ammessi licenziamenti “discriminatori” o per “mero capriccio”. Non sarà il Piave, ma non è ancora l'Adige: si ridefinisce il concetto di giusta causa, tutto qui. Se ne può discutere, ma io quando ho letto che la Melandri riteneva l'art. 18 un “vecchio arnese” non ho pensato “ah, intende sollecitare un dibattito sul concetto di giusta causa”. No, io pensavo che volesse consegnare le chiavi del partito ai poveri piccoli industriali che in mancanza di un'idea nuova (da vent'anni) e di sovvenzioni (dopo vent'anni) vorrebbero licenziare tutti a luglio per riassumerli a settembre con un contratto a progetto.
E siamo al punto di partenza: a tutti piace sentirsi dire basta chiacchiere, servono idee. Ma anche le chiacchiere hanno la loro importanza. Chiacchierare sull'articolo 18, come se fosse un argomento qualsiasi, può risultare controproducente. Non è un argomento qualsiasi. È la nostra Dunkerque, il nostro Forte Alamo. Ci vuole rispetto.
Prima della battaglia
11-06-2009, 14:35cattiva politica, PdPermalinkNei prossimi mesi nel Pd voleranno pugnali. Niente di nuovo ma, vorrei aggiungere, niente di male. È questo che farà del Pd un vero partito: discussioni serrate intorno a idee e candidati, con scontri veri, vincitori e caduti. Non cominciamo a stracciarci le vesti intorno al solito partito litigioso coi soliti D'Alema e Veltroni che litigano. Il problema di Veltroni e D'Alema non era che litigassero; è che non l'abbiano mai fatto fino in fondo. Dai, che potrebbe essere la volta buona.
Il punto è capire su cosa si litiga. Se lo scontro sarà semplicemente per imporre l'apparato dalemiano (diciamo bersaniano, così almeno sembra una cosa nuova) contro quello degli ex veltroniani, ci perderanno entrambi, e il Congresso sarà una cosa deprimente. Attenti, perché anche il dibattito sulla Serracchiani rischia di portarci su quella strada: giovani sì, giovani no, quelli delle primarie contro “i professionisti che fanno il giro delle sezioni”, eccetera.
Se invece lo scontro è tra due o più concezioni della politica e del partito, sarà una cosa appassionante, chiunque vinca alla fine: e una lezione di democrazia per tutti (ok, a nessuno interessano lezioni per ora, ma in futuro non è detto).
Si tratta quindi di capire in cosa consista il dalem... il bersanismo, Bersani a parte. È un'ideologia? Forse per adesso è più facile definire il franceschinismo.
Come chiave di lettura prendo una frase buttata lì da Franceschini in campagna elettorale, che fece molto rumore e divise profondamente lo stesso elettorato pd (perlomeno quella esigua porzione che conosco io). “Fareste educare i vostri figli da Quest'Uomo?” Ci fu chi inorridì, chi la trovò una perfetta provocazione. Ecco, per me in quel momento ci siamo trovati davanti a una quintessenza del franceschinismo. Berlusconi va rigettato in quanto incapace non solo di governare, ma di educare. Gli italiani devono essere educati a riconoscere in Berlusconi una figura diseducativa, e quindi a non votarlo – e magari a scegliere un tipo dimesso ma autorevole come Franceschini, che è ancora un giovane arbusto, ma da come si porta lo capisci che si presta a invecchiare come una quercia alla Berlinguer (un Berlinguer cattolico: l'Arma Finale. Se gli italiani che votano oggi fossero quelli del 1978).
Di fronte a un discorso del genere, il dalem... il bersaniano scrolla la testa: non capirete mai. Ma come, non li conoscete gli italiani? A loro Berlusconi piace così com'è. Cialtrone com'è, e come sono loro. Chi non vorrebbe la megavilla al mare con gelato e gnocca gratis. Faresti educare tuo figlio dall'Ospite di Topolanek? Magari, così mi viene su bello solare e senza complessi. No. Finché si continua a insistere sulla figura di Berlusconi ci si mette dalla parte dei perdenti. Invece noi, noi dalem... democratici, dobbiamo spostare il discorso sui problemi, sui veri problemi del Paese. Eccetera.
Chi ha ragione? Tutti ne hanno un po'. Chi è più a sinistra? Forse non è così importante. Da che parte sto io? Con Franceschini, per ora. No, pensandoci bene sto con Franceschini da una vita. Io nell'importanza delle figure autorevoli ed educative ci ho sempre creduto. Forse perché sono di formazione più cattolica che eurocomunista. Sia come sia, per me in quel momento F. aveva centrato il punto: sappiamo benissimo che Berl. è un punto di riferimento esistenziale per gli italiani. Persino per noi. Una villa, una velina o una squadra di calcio gliela invidiamo tutti con piacere. Ma questo non ci porta a eleggerlo nostro rappresentante, o Presidente del Consiglio dei Ministri. O per lo meno, questo non dovrebbe succedere. Non chiediamo agli italiani nemmeno di essere migliori, ma almeno di non eleggere il rappresentante degli interessi del loro Basso Ventre Collettivo. Un leader, non un capocomico; un diplomatico, non un intrattenitore; un esempio per i giovani, non il vecchietto bavoso. Cosa c'è di male in un discorso del genere.
C'è che forse non è più un discorso di sinistra. Dietro la parola “Autorevole” c'è pur sempre “Autorità”. Il leader che viene preso ad esempio dai giovani, proiezione del Padre, ci riporta a un modello pre-berlusconiano di società che è fondato sulla gerarchia, e che se non è cattolico è fascista addirittura.
D'altro canto educazione ed autorevolezza dei leader erano chiodi fissi anche del vecchio PCI. D'altro canto, ehi, date un'occhiata in giro. La sbornia consumistica è finita: il berlusconismo è un rito edonistico che sopravvive a sé stesso. Lo scontro prossimo venturo sarà tra chi, come Berlusconi, insisterà per considerarci “undicenni neanche tanto intelligenti”, mero bacino di consumo, e chi proverà per primo a proporci qualcosa di nuovo. Prima o poi gli italiani dovranno accantonare le fantasie di lusso sfrenato, rimboccarsi le maniche e combinare qualcosa: cosa, dal momento che nessuno per anni gli ha insegnato nulla? C'è già una certa voglia di autorevolezza in giro. Ce ne sarà sempre di più nei prossimi anni.
È triste che tutta questa voglia debba essere intercettata da un personaggio come Gianfranco Fini. Triste perché Fini, di autorevole, ha solo la facciata messa tempestivamente in piedi da quando si è trovato senza partito di riferimento. Ma dietro c'è sempre la solita banderuola, l'uomo che può cambiare opinione sugli stranieri, sulle guerre coloniali, su Israele, sui grandi statisti del Novecento, a seconda della convenienza del minuto secondo.
A questo punto, se il Pd nel frattempo fosse diventato il partito della serietà, del primato dell'educazione, con candidati autorevoli e credibili, potrebbe sfondare anche a destra. Non al centro, dove ormai non cresce più l'erba, e il gioco è sempre a chi riceve più prontamente i diktat dei vescovi. A destra, dove c'è una certa idea del rispetto per l'autorità, e quindi la necessità di individuare padri autorevoli, e Berlusconi non lo è; La Russa non lo è; Capezzone non lo è; nessuno che negli anni scorsi si sia inchinato al clown di Arcore lo è.
Quello che vorrei estrarre da questi pensieri ad alta voce è che l'esigenza di una leadership autorevole può essere anche un problema “di destra”, ma non è per questo meno necessaria, meno legittima, meno importante. Senz'altro è un mio problema, e mi è piaciuto che Franceschini lo mettesse sul piatto della bilancia. Certo, i problemi della sinistra sono altri. Ma magari ne parliamo un'altra volta, con idee più chiare.
Il veleno è in coda
17-03-2009, 00:03cattiva politica, Pd, VeltroniPermalinkTutto sommato sono piuttosto contento di avere rispettato, qualche settimana fa, quell'elementare norma di precauzione che mi ha impedito di attaccare il Segretario Franceschini sin dal primo momento. Perché in fondo una possibilità di fare il leader del Pd non va negata a nessuno; anche se il referendum dell'Assemblea Nazionale tra lui e Parisi non aveva esattamente l'aria di un'investitura democratica.
Se poi siete talmente in malafede da immaginarmi in agguato come un cecchino, pronto a colpire il Segretario al primo errore, come se questa fosse tutta la soddisfazione che può prendersi un blog di sinistra nel 2009... beh, sì, più o meno è andata così, ma a questo punto credo sia ora di scendere a valle e ammettere che fin qui un vero errore non c'è stato: Franceschini sta facendo un buon lavoro. Ha il ritmo, tiene gli spazi, riesce a riconoscere gli argomenti giusti (assegni a disoccupati, i famosi 400 milioni per il referendum che Berlusconi potrebbe risparmiare con un tratto di penna, ecc.). Non che faccia niente di trascendentale, ma, come dice Georg, lui almeno respira, e questa è appunto la novità: sta a vedere che per fare il leader del PD non servivano doti di eccezionale comunicatore. Bastava tirarsi su le maniche e cominciare a comunicare qualcosa.
Gli avrà fatto buon gioco una certa modestia, nell'accettare lo scontro quotidiano che oggi si fa nei panini dei tg. Ai tempi in cui Veltroni sembrava l'Arma Finale della comunicazione politica, molti plaudirono la sua decisione di “stare lontano dalla tv”. In effetti poteva trattarsi di un modo per rompere un certo cerimoniale politico-televisivo, abbassare il salotto di Vespa da Terza Camera della Repubblica a semplice rotocalco del centrodestra, eccetera; e nel frattempo rimettersi a fare la famosa politica nelle sezioni e nelle piazze. Ma Veltroni, oltre a star lontano dalla tv, chiudeva le sezioni e stava abbastanza lontano anche dalle piazze; suggerendo la sensazione, tutte le sere che qualcuno parlava e lui taceva, di essere rintanato da qualche parte a scavare un nuovo spazio per la politica nella quarta dimensione, uno spazio che alla fine, se mai si è aperto, si è richiuso immediatamente su di lui.
Franceschini da Vespa ci andrà (se non ci è già stato – scusatemi, non seguo Vespa). Ha l'umiltà di riconoscere che una guerra è stata persa, e che ora si deve combattere in territorio ostile, non più in piazza ma in tv. Umiltà è la parola, e una volta tirata fuori è difficile non usarla per marchiare i post-democristiani rispetto ai post-comunisti: i secondi sempre un po' troppo sicuri di una vittoria finale, o almeno di un qualche diritto storico all'alternanza al potere, per cui sarebbe bastato piantare una bandierina nel proprio zoccolo duro, ogni settembre stringere qualche mano ai piadinari della Festa dell'Unità, e prima o poi le porte di Palazzo Chigi si sarebbero schiuse di fronte a una necessità storica; i primi molto più rassegnati alla fatica di doversi far perdonare un passato e convincere il prossimo di avere un futuro; senza grandi carismi apparenti, ma gran passatori, che spuntano solo alla distanza: Prodi, Bindi, e adesso Franceschini. Che potrebbe diventare, si parva licet, il Giovanni XXIII del PD: un tale messo lì per prendere tempo, che quatto quatto ne approfitta per stravolgere tutto il palazzo (e salvarlo). Che bella storia.
Ma probabilmente è solo una storia. C'è qualcosa di curioso nella benevolenza che riesco a sentire intorno a Franceschini quando lo vedo in tv, nell'aria intontita dei portavoce PdL che quando si trattava di replicare a Veltroni scattavano, e adesso han l'aria di pugili suonati. Un grande comunicatore non s'improvvisa, e Franceschini fino a un mese fa non lo era. Forse il segretario riesce a bucare il video quasi tutte le sere perché in rai e a mediaset glielo lasciano fare; a Berlusconi in fondo dovrebbe fare abbastanza comodo un segretario paziente e volenteroso, che si accontenti del suo 20% (e che canti vittoria se riporta un 25%) e nel frattempo procrastini a data da destinarsi la ricerca di un candidato carismatico e competitivo.
Ma questa è una paranoia mia. Se Franceschini proseguirà così, mettendo insieme un po' di idee di sinistra con un po' di pragmatica umiltà postdemocristiana, andrà a finire che ce lo teniamo.
La strategia del verme
06-03-2009, 18:57cattiva politica, come diventare leghisti, fascismo, PdPermalinkQuesto comunicato ti è stato inviato da una persona fidata, che ti conosce come persona “di sinistra”. Per favore, non cominciare a obiettare sulla definizione di sinistra, su cosa sia la sinistra per te che non è per tutti quelli un po' diversi da te... lo sappiamo, è una storia lunga. Chi ti ha mandato questo comunicato sa che il partito in cui ti riconosci (ammesso che ti sia mai riconosciuto in qualcosa di così ottocentesco come un partito) non esiste più da due, dieci, venticinque anni; oppure esiste ancora degradato a cifra simbolica con una patetica esistenza extraparlamentare. Se ti riconosci in tutto questo, continua a leggere.
Leggi a fondo e poi, per favore, cancella. Sappiamo che questa è una prassi ormai sconosciuta, che il tuo hard disk per quel che ne sai potrebbe contenere ancora la mail con cui dieci anni fa invitavi per la prima volta fuori la tipa a cui adesso paghi gli alimenti; sappiamo. In realtà è abbastanza difficile che in futuro questo comunicato potrà essere usato contro di te. È una catena come tante; non contiene foto di minorenni, passerà inosservata. Ma la rivoluzione passa anche dal recupero di oggetti desueti, come il Cestino; e di una certa salutare aria di clandestinità che abbiamo smesso da un bel po' di respirare. Certo, ormai su facebook siamo tutti “amici”... no, ma va tutto bene, continua pure a usare fb, a pubblicarti le foto segnaletiche da solo... tutto questo (lo scoprirai in fondo) ha una sua utilità. Cerchiamo però di separare le cose “sociali” da... quelle serie, ok? Perché in fondo quello che ti chiediamo, compagno, è tutto qui: passare alla clandestinità.
Aspetta. Non ti chiediamo di mollare famiglia, lavoro e affetti... anche se magari ne hai una gran voglia, sì, ma non è il nostro caso, ci dispiace. Se l'Italia ti fa schifo e vuoi mollare, molla, cancellaci e fai finta di non averci mai letto, comprati un biglietto d'aereo e fatti trovare ogni tanto alle pizzate di Severgnini. No. Quello che ti proponiamo è di mantenere il tuo lavoro, la tua famiglia, il tuo posto nella società (annesso profilo facebook), ma nel frattempo... di sdoppiarti un po'. Avrai una tua piccola vita segreta. Sì, diventerai un cospiratore. Per il bene della tua nazione. Pensaci.
Non si tratta nemmeno di commettere grossi crimini, per ora. Se ti è già capitato di passare col rosso o dire qualche bugia alla mamma possiedi già tutta l'elasticità morale che ci serve. In effetti, si tratta per lo più di dire bugie. Parecchie. E – cosa un po' più delicata – di continuare a dirle per per mesi o per anni, senza però cominciare a crederci. Grandi uomini del nostro passato non ce l'hanno fatta, tu ci riuscirai? Non lo sappiamo, ma a questo punto comunque non abbiamo molto da perdere.
Compagno. Guardiamoci negli occhi. La sinistra in Italia ha perso la guerra. L'ha persa da anni, ormai: forse da quando il PCI è venuto meno al suo ruolo di partito di massa, oppure forse no, chi lo sa, ma per favore non litighiamo sul passato: è passato. Quello che onestamente potevamo aspettarci da Veltroni era una resa onorevole, che non c'è stata. Dopo vent'anni di lotte, l'impero mediatico di Berlusconi è più saldo che mai, e noi viviamo in una realtà virtuale confezionata tra Cologno Monzese e Saxa Rubra. Tutto questo potrà anche sembrarti un po' esagerato, ma se dai un'occhiata a qualsiasi tg sai che è vero: i nostri incubi di quindici anni fa si sono avverati. È che un incubo, a furia di viverci dentro, comincia a sembrare un po' meno brutto, in fin dei conti persino abitabile, e così... a lungo andare ci siamo accomodati. Ti sei scavato la tua nicchia confortevole, come un vermiciattolo nella mela marcia, è così? Hai foderato la tua tana coi tuoi dischi/libri/film preferiti, non è vero?
Ebbene, compagno, non ti biasimeremo per questo. Anzi! Hai fatto bene! Col tuo gesto apparentemente individualista e snob, ci hai mostrato la via. Comincia a pensare ai tuoi anni zero come se li avessi passati nel tuo bozzolo personale, fabbricato con la tua bava, in attesa che ti si schiudessero le ali! Ora che tutti ormai ti conoscono come un individualista disincantato, uno che non s'interessa di politica da una vita, ecco questo è il momento di passare alla fase B. Di passare in clandestinità. Di infiltrarsi.
Perché è di questo che stiamo parlando, compagno. La rivoluzione ricomincia da qui. Fuori dagli steccatini ridicoli con cui Ferrero o Vendola difendono il loro zero per cento. Fuori dal partito ex di sinistra, liquidato dal democristiano Franceschini. Gente che nei loro bunker tratta ancora sulle condizioni di una resa che nei fatti è già incondizionata. Il futuro è altrove. Nei giovani che nei prossimi anni andranno a votare, e si troveranno a scegliere tra Berlusconi, Lega e Neofascisti. Ebbene, compagno, lì devono trovare noi. Dobbiamo infiltrarci. Entrare nel PdL, nella Lega, nei Fasci. Non è poi così difficile. Dopo un po' potresti persino trovarlo divertente.
Prova a immaginarti, Compagno, mentre vai a informarti in comune: “voglio anch'io entrare in una Ronda, come si fa?” Difficile che si mettano a indagare sul tuo confuso passato di sinistroide, e anche se fosse? Il fatto che hai cambiato idea non è la migliore dimostrazione che stanno vincendo? Compagno, se si tratta di farsi qualche giro di notte nei quartieri, tu sei in grado di farcela come chiunque altro. E se anche solo venti grammi del tuo cervello funzionano ancora bene, nella Lega dovresti far carriera.
E se la Lega al tuo paese non c'è, ci saranno bene i fascisti, no? Quelli sono un po' più impegnativi, perché hanno questa fissa coi libri da leggere... Pound, i futuristi... ma parliamoci chiaro, in due serate su wikipedia dovresti essere in grado di sostenere una conversazione sui massimi sistemi. Tutto quello che devi dimostrare è di essere un tipo quadrato e pieno di voglia di fare. Non devi per forza scalare i vertici: cerca di infilarti nel reparto Reclutamento. Fatti trovare sempre dove arrivano i ragazzini. Coi trentenni è già impossibile ragionare.
E una volta che sarai lì... simula certezze, semina dubbi. Pensi che sarà difficile? Non sarà difficile. Tanti quadri del grande Pci sono usciti dalla Gioventù universitaria fascista. Basta una mela marcia a rovinare un raccolto: comincia a pensare a te stesso come a quella mela marcia.
Tutto chiaro? Ora cancella, e aspetta istruzioni. Chi ti ha contattato si farà vivo. Se ti accorgi che è un po' cambiato, che sta frequentando gente impresentabile, che gira di notte con una camicia buffa e saluta alzando la mano... non preoccuparti.
Sta andando tutto bene.
Il leader del 21 febbraio
21-02-2009, 20:02cattiva politica, PdPermalinkCatone in segreteria
20-02-2009, 00:01Berlusconi, castrazione, Pd, Sanremo, tormentoniPermalinkche tu sia verde o rosso, bianco o nero, Diesse o Margherita, maschio o femmina, o altro, c'è un solo consiglio che mi sento di darti.
Qualsiasi saranno le cause su cui ti spenderai (ecco, magari non spenderti più di tanto contro i rincari a Sky), qualsiasi saranno le parole che sceglierai di usare, io ti propongo semplicemente di terminare con un ritornello semplice e riconoscibile. Come Marco Porcio Catone, te lo ricordi quando al ginnasio si tirava fuori Marco Porcio Catone? le matte risate.
Va bene, caro futuro Segretario del PD, che tu abbia fatto il ginnasio o no; Marco Porcio Catone era quel vecchio senatore Romano col pallino di Cartagine. Che era già stata sconfitta non in una, ma in ben due Guerre Puniche; umiliata e sottomessa. Ma questo non era abbastanza per Marco Porcio Catone. Lui sapeva che per quanto la si potesse umiliare e sottomettere, Cartagine era lì, al centro del Mediterraneo, in una posizione strategica per il traffico marittimo. E quindi sarebbe tornata grande prima o poi. Sicché c'era soltanto una cosa da fare se si aveva a cuore il futuro di Roma: distruggere Cartagine.
I colleghi senatori lo prendevano per matto e rimbambito; e in effetti lo era; ma lui non demordeva e di qualsiasi cosa parlasse in aula terminava sempre con lo stesso ritornello: bisogna distruggere Cartagine. Sul serio, peccato non avere i resoconti stenografici:
FLACCO: “Chiedo al Senatore di avviarsi alla conclusione, grazie”.
CATONE: “Certo. E quindi, senatori, terminando il mio intervento sull'esigenza di migliorare la viabilità sulla Via Salaria, vi rammento che occorre distruggere Cartagine”.
Se poi non ti ricordi come andò a finire, caro futuro Segretario del PD, non c'è problema, te lo rammento io: dai e dai, alla fine il vecchio Catone li convinse. Trovarono un pretesto, fecero una terza guerra punica, distrussero Cartagine e sulle rovine sparsero il sale. Potenza dei ritornelli.
E quindi, caro futuro Segretario: quando t'inquadreranno e ti chiederanno di dire la tua sugli stupri, la criminalità, la crisi dei consumi, degli impieghi, dei parcheggi, la mafia, la camorra, i rifiuti, i malati terminali, gli atei, i gay, Sanremo, la commissione vigilanza, gli stupri... tu di' quello che devi dire, Futuro Segretario, e non aver paura di essere franco e sincero. Però cerca di mantenere l'attenzione fino alla fine, e alla fine piazza una frase che sarà sempre la stessa, la tua Delenda Carthago, e potrebbe suonare così: chi ha corrotto David Mills?
Per farti degli esempi:
“Segretario del PD, La Russa propone la castrazione chimica per gli stupratori, lei cosa ne pensa?”
“Per castrazione chimica s'intende una cura ormonale temporanea che di solito si scambia con uno sconto di pena, e che aumenta l'aggressività dei pazienti. Solo a La Russa potrebbe venire in mente di aumentare l'aggressività dei maniaci sessuali, magari facendoli uscire di galera un po' prima. Propongo una cura a base di sviluppina per il nostro Ministro della difesa, e nel frattempo mi domando: chi ha corrotto David Mills?”
“Segretario del PD, le è piaciuta la canzone di Povia?”
“Mah, la melodia mi sembra di averla già sentita... quanto al testo, è la storia di una persona che a un certo punto cambia il suo orientamento sessuale. Spero che in Italia si continui a garantire il diritto degli individui a interrogarsi sulla propria identità sessuale, e a cambiarla, e già che ci sono mi domando: chi ha corrotto David Mills?”
Rideranno di te? Lasciali ridere. Ma non dar loro respiro. Questa domanda dev'essere la prima cosa che si ricordano al mattino. L'ultima cosa che si ripetono alla sera. Deve echeggiare nei loro sogni: chi ha corrotto David Mills? Finché un giorno, in un attimo di debolezza, proveranno a risponderti. Ma tu sai, ma noi sappiamo, che nessuna risposta li renderà liberi.
“Segretario del PD, come andranno le Europee?”
“Forse perderemo. Nel qual caso per Bruxelles partiranno altri allegri aeroplani imbottiti di leghisti che non capiscono l'inglese che i loro figli imparano all'asilo. Se è un modo per liberarsi dagli incapaci, pazienza. Ehi, a proposito, who corrupted David Mills?”
Che tu sia come quella canzone che al primo ascolto sai, che non potrai liberartene senza fartela piacere.
E l'Africa venne a Walter
18-02-2009, 01:13Pd, VeltroniPermalinkAnche su questo sito, nei mesi scorsi, è stato pubblicato qualche paragrafo un po' critico nei confronti di Veltroni. Qualche lettore più affezionato se ne ricorderà.
Oggi che la disistima degli elettori del PD nei confronti del segretario dimissionario è gridata da tutti i cantoni, quelle mie critiche possono sembrare un po' facilone; eppure rammento che fino a un paio di mesi fa chiedere un cambio al vertice il più presto possibile era un discorso tutt'altro che banale. Tutt'intorno era un fioccare di pareri più ponderati e saggi, del tipo: Veltroni aveva perso oggi per vincere domani; Veltroni aveva fatto qualche errore ma il progetto era buono; Veltroni aveva sbagliato tutto, ma non c'era nessuna alternativa; eccetera. È interessante osservare come le solide convinzioni si sgretolino in fretta, ultimamente.
Va bene, acqua passata. Adesso però tocca anche a me cambiare discorso.
Fino a ieri mi sembrava giusto smontare il mito del carisma di Veltroni, l'idea che nessuno potesse occupare il suo posto: oggi credo che sia giunto il momento di far presente che chiunque sostituirà Veltroni si troverà alle prese con la stessa situazione e gli stessi errori pregressi, e che quindi non potrà effettivamente fare molto meglio di lui. Mi contraddico? Sì, probabilmente, portate pazienza.
Riassumendo a chi non ha tempo: il problema non è Veltroni, ma il PD: un partito che è nato male, con tare ereditarie che sarà difficile correggere.
Il difetto strutturale, a ben vedere, è uno solo: la democrazia. Dopo aver rifiutato ogni altra denominazione sociale che non fosse la Democrazia, i fondatori del PD hanno dato vita a una struttura che oltre il nome, di democratico, non è che abbia molto. La tragedia delle elezioni politiche del 2008 parte anche da qui: il 75% di elettori democratici che alle primarie incoronò Veltroni, sapeva che egli intendeva rompere l'alleanza storica con le sinistre e andare avanti solo con Di Pietro? Se ne fossero stati al corrente, lo avrebbero votato ugualmente? Insomma: WV ha davvero avuto un mandato democratico per combinare il disastro che ha combinato?
Domande vecchie: facciamocene di nuove. Per esempio: ora che Veltroni si dimette, chi prenderà il suo posto? Al Coordinamento nazionale pensano a dare un incarico pro tempore a Franceschini. Il Coordinamento Nazionale, però, chi lo ha nominato? Walter Veltroni. E quindi in teoria con le sue dimissioni anche il coordinamento perde, se non la sua legittimità, perlomeno la credibilità.
In teoria, perché in pratica Veltroni aveva nominato i membri del coordinamento non in base alle sue profonde convinzioni (quello era l'esecutivo, e non sembra che abbia eseguito parecchio), ma su indicazione delle principali correnti di DS e Margherita. In pratica, dimettendosi, Veltroni mette il PD in mano ai vecchi apparati. Certo, farebbero un bel gesto ad andarsene anche loro, ma poi chi resta?
A ben vedere l'unica struttura formata da persone che non sono state cooptate o designate, ma elette da chi andò a votare le Primarie, è l'Assemblea Nazionale. L'Assemblea però è un organo oceanico, costituito da più di duemila persone, che senza la guida dell'apparato probabilmente avranno difficoltà anche semplicemente a deliberare a chi tocchi prendere in mano un microfono. Tutto quello che potrebbero fare è indicare candidature: in pratica, inaugurare la fase congressuale. Ma non c'è tempo, perché tra un po' ci sono le Europee. E se non ci fossero le Europee, ci sarebbe qualche altro voto amministrativo o referendario, come c'è tutti gli anni in primavera: proprio per questo bisognava cominciare a pensarci prima.
Comunque è meglio adesso che mai. La fase che si apre ora è talmente caotica che propongo di trovarla divertente.
(Tra i vari interrogativi, ce n'è uno così demenziale che non mi fa dormire: e adesso chi lo farà il Presidente del Consiglio Ombra?)
Lo Stato del Paradosso
17-12-2008, 18:19cattiva politica, deliri, Pd, racconti, VeltroniPermalinkInsomma, qui ormai siamo nello Stato del Paradosso. Cerco di spiegarmi.
Stamattina mi sono svegliato con una Realtà molto chiara: Berlusconi ha vinto in Abruzzo. Anche la Spiegazione della realtà appare piuttosto chiara: B. ha vinto perché il PD non riesce a imporsi come alternativa credibile, perché i suoi amministratori non riescono sempre a mostrare quelle mani pulite a cui i loro potenziali elettori tengono tanto; e così molti di loro non vanno a votare, o votano per il piccolo alleato di nicchia che sta diventando sempre più grande, ma che non avrà mai la forza o l'organizzazione per sostituire il PD come partito di massa. Siete d'accordo che le cose stanno così?
Bene, e quel che leggo su tutti i giornali è che... l'Abruzzo sta per cadere in mano ai comunisti! Mani rosse sull'Abruzzo! Ieri Bari, oggi L'Aquila, domani il mondo, ecc. ecc., ma che, scherziamo? Sul serio vogliono darcela a bere in questo modo?
Va bene, la Rifondazione di Vendola ha preso il 15%. Più o meno quello che una volta prendevano i vari i partitini a sinistra dei DS. E certo, un 15% tutto intero nelle mani di un partito solo fa un po' impressione. Ma da qui a trasformare l'Abruzzo nella nuova regione rossa, beh, ce ne vuole.
Prima di sbrodolare lenzuoli su Vendola, il nuovo Obama italiano ecc. ecc., ricordiamoci una cosa: il vero artefice del suo successo è stato Veltroni, che un anno fa ha inspiegabilmente scelto di scaricare tutti gli alleati esterni del PD... tranne Rifondazione. La cattiva gestione del PD nel catastrofico dopo-elezioni ha fatto il resto. Quello che sta semplicemente succedendo è che tutti gli elettori delusi da Veltroni si sono rovesciati sull'unica alternativa di sinistra che trovano ancora credibile perché rappresentata in Parlamento. Anche se il simbolino può sembrare troppo rosso per qualcuno. Scemenze. Il pericolo rosso non terrorizza più nessuno.
Naturalmente Berlusconi ha buon gioco nel rifiutarsi a ogni dialogo con il PD “finché non avrà chiuso coi comunisti di Vendola”. È il solito giochino del divide et impera che ha sempre funzionato. Né Veltroni sembra in grado di sottrarvisi. E allora?
E allora basta chiacchiere, che non servono a niente: il mio piano è questo. Ora prendo la macchina del tempo, risalgo all'anno scorso, e convinco Veltroni a non allearsi coi comunisti. Con chiunque altro ma non con i comunisti. Per esempio, Di Pietro. Ve lo ricordate Di Pietro? Aveva quel partitino lì di sinistra-destra, giustizialista... in Abruzzo poi aveva anche un certo seguito, mi pare. Secondo me funzionerà, vedrete. Ci vediamo quando torno, bye.
Il bambolotto che dice No No No
07-12-2008, 10:40Pd, RutelliPermalinkC'è un gruppo di parlamentari del PD (di area cattolica, ma non tutti i cattolici sono così) che non può, non vuole assolutamente confluire nel Partito Socialista Europeo. Neanche se il Partito Socialista Europeo cambiasse il nome apposta per loro e diventasse, che so, Partito Socialista Europeo e degli Amici della Madonna di Loreto. Loro semplicemente non possono. La loro coscienza glielo impedisce, e io li capisco.
Sì, ho detto che li capisco.
Con tutto quello che è successo negli ultimi trent'anni, uno che nasce democristiano può avere una comprensibile vergogna di morire socialista – non siamo mica tutti salmoni, con l'istinto a risalire la corrente.
Quello che non capisco, è che mandino a parlare Francesco Rutelli. L'uomo che le correnti le ha seguite, le ha risalite, a volte è riuscito a tenere una sola pinna in due correnti che andavano una di qua, l'altra di là. Uno che è nato radicale e adesso prende il tè con la Binetti, scusate, ma con che faccia può andare davanti alla telecamera e dire “Nel PSE no”? Sei stato Radicale, Antiproibizionista, Verde Arcobaleno, Sindaco Tuttocittà, Democratico, Popolare, e adesso cos'è, hai paura di una rosa?
Non c'è niente di male ad avere una coscienza, basta non metterci sopra la faccia di Rutelli. Uno che, fra l'altro, ha perso tutte le elezioni che era umanamente possibile perdere, e la cui persistenza in Parlamento ha più a che vedere coi difetti del nostro sistema elettorale che con la presenza, in Italia, anche solo di una manciata di cittadini che lo trovi ancora simpatico. Ed è un peccato che la vostra coscienza – così pronta a scattare al primo timido accenno di socialismo, non sia sensibile a questo. Cioè, un peccato, dipende. È semplicemente peggio per voi.
Mi è sembrato di vedere un Sepolcro
05-12-2008, 19:34Pd, preti parlanti, scuolaPermalinkQuando il mese scorso scoppiò la polemica sulla proposta della Lega di istituire classi ponte (classi differenziali per stranieri analfabeti), il PD prese una posizione chiara: siamo contro. Io non ci riuscii.
Non riuscivo a capire (e faccio tuttora un po' fatica) quel che succede nella scuola dell'obbligo. Entri in una classe e ti trovi davanti dieci facce di colore diverso, e l'appello suona come la lista dei nomi dell'equipaggio di Star Trek. È bello, ma anche molto caotico. Poi entri nella classe di fianco e sono tutti bianchi. Tutti. Non c'è un giorno che io non mi stupisca di questa cosa.
E alcuni giorni mi arrabbio anche. Che senso ha tuonare contro le classi ponte, quando le si lascia esistere nella realtà? Ma proprio quando ne stavo scrivendo con più foga, mi capitò di ascoltare le parole assennate di Maria Pia Garavaglia, Ministro Ombra dell'Istruzione del PD, che mi spiegò i miei errori, con la franca chiarezza dei puri di cuore.
Se si separano i bambini di diversa estrazione rispetto ai nostri, i nostri bambini cresceranno credendo che cio' che e' diverso vada separato. Il dato pedagogico e' che non si puo' iniziare da piccoli a fare apartheid. In termini educativi, poi, i bambini imparano in fretta la lingua attraverso la mimica, attraverso le frequentazioni, e con cio' diventa subito lingua madre; se invece la apprendono in classi diverse la considerano una seconda lingua.
In quel momento vidi la luce, e capii che mi sbagliavo: separare i bambini di diversa estrazione è diseducativo. Bisogna sempre tenere unito ciò che rischia di dividersi, e poi i bambini imparano in fretta, no? Attraverso la mimica. Per dire, devi insegnar loro l'Infinito di Leopardi? Ti basta mimarlo e il gioco è fatto.
Da quel momento divenni un fan segreto di Maria Pia Garavaglia; non osavo confessarlo perché so che razza di lettori mi trovo, ma la sera nel mio lettino fantasticavo di me e di lei nottetempo intenti a bruciare le scuole che fanno concretamente apartheid, separando i bambini bianchi dai bambini scuri. Queste scuole esistono in tutte le città: si chiamano scuole cattoliche. Prendono persino soldi dallo Stato, in palese violazione della Costituzione(*), anche se con queste vacche magre Tremonti stava cominciando a riavvitare il rubinetto.
Oggi però la CEI ha fatto la voce grossa, pure il Papa ha detto qualcosa, e Tremonti si è rimangiato tutto (che è poi la cosa che meglio gli riesce). Tutto abbondantemente previsto, ma c'è un dettaglio che m'ha spezzato il cuore.
Quando ogni cosa sembrava tornata al suo posto, e le scuole cattoliche coi bambini bianchi hanno riottenuto i loro fondi grazie ai quali tutti i bambini scuri non cattolici si concentreranno nelle altre scuole-ghetto (coi fondi tagliati), finalmente Maria Pia Garavaglia ha parlato.
Ma non ha parlato di apartheid stavolta, no.
Ha chiesto ancora più soldi per la scuola dei bianchi.
(*) Art. 33: "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato".
Slightly Out Of Focus
03-12-2008, 21:13giornalisti, Pd, tv, VeltroniPermalinkDetto questo, faccio il possibile per non trasformarmi nella parodia di me stesso. Per esempio, mai due pezzi antiveltroni di fila. Certo, sarebbe più facile se Veltroni mi desse una mano, evitando di scadere lui per primo nella parodia di sé stesso.
In realtà facciamo tutti e due quel che possiamo. Un esempio è il caso Sky. Il blog antiveltroniano duro-e-puro avrebbe chiuso la questione già l'altro ieri: con tutti i problemi che abbiamo, che razza di leader è uno che s'impunta su un aumento che la stessa Sky prevede di un euro e venti centesimi a famiglia?
Non ci sono proprio altri argomenti? Altroché se ce ne sono: la cancellazione degli eco-incentivi, ad esempio, come hanno fatto presente parecchi blog (e allora alla fine vedi che a qualcosa servono). I cittadini che lo Stato aveva convinto a investire in tecnologie ecosostenibili hanno rischiato di trovarsi si troveranno migliaia di euro sul groppone. E perché invece di parlare di questo (e compattare ecologisti e semplici persone ragionevoli) il segretario del PD s'impunta su Sky?
Forse perché davvero, la questione Sky sembra perfidamente ritagliata su misura per Walter, anzi, per Wally, e per la sua idea di cittadino come spettatore. Levagli pure gli ecoincentivi, le ore di malattia, gli asili e gli aeroporti, ma non interrompergli un'emozione! Al punto che cominci a sospettare un'intelligenza là dove mai più te la saresti aspettata: in Tremonti e Berlusconi, che perfidamente, tra tutte le aliquote, scelgono proprio quella che attirerà il frescone nella trappola. Giusto per poi dire, vedete: noi distribuiamo tessere alimentari alla povera gente, e lui si lamenta perché gli tolgono il film coi sottotitoli...
Ecco, vedete? Dei pezzi così si scrivono da soli. E piacciono, si fanno leggere, si fanno lincare. E lasciano il tempo che trovano.
Anche perché, siamo onesti: fino a che punto Veltroni si è impuntato sul caso Sky? Lui ha fatto una dichiarazione, stop. Se l'andiamo a rileggere, non ci troviamo nemmeno tutta questa foga: ha fatto presente che c'è un conflitto di interessi (e il conflitto c'è) e che l'aliquota inciderà sulle famiglie (vero; meno di ordinare una pizza, ma è vero). Era un breve intervento nel mezzo di un'intervista estemporanea, dove magari aveva toccato tantissimi altri temi interessanti, chi lo sa. Fatto sta che il resto dell'intervista è caduta nel dimenticatoio, mentre le tre parole su Sky da un paio di giorni stanno rimbalzando nei media. Anche oggi Repubblica ci ha fatto la prima pagina, e dire che siamo in emergenza terrorismo. È Veltroni che ha deciso di parlare solo di Sky, o sono i media?
Per me è la seconda. Se la questione Sky ha forato il video è soprattutto grazie all'autoreferenzialità dei media, che parlano più volentieri di sé stessi che degli ecocentivi. E se uno cerca la dichiarazione di Veltroni sugli ecoincentivi, la trova: un po' in ritardo (è di oggi pomeriggio), ma ieri ce n'era una simile di un altro esponente PD. Però queste dichiarazioni non hanno forato.
Non è la prima volta che si assiste al fenomeno: anche quando ha le idee giuste nel momento giusto, Veltroni resta vittima dell'impaginazione. Le cose che più gli premono non sono necessariamente quelle che le redazioni metteranno in risalto. Senz'altro pesa il fatto che metà di queste redazioni siano controllate da Berlusconi o consociati. Ma è proprio in una situazione del genere che un leader deve dimostrare di essere Più-Che-Bravo, e Veltroni semplicemente non lo è.
Si dice: smettiamola di parlare di nomi, parliamo di idee. Ma non sono necessariamente le idee il problema. Io continuo a pensare che ci sia anche un problema di comunicazione. Nel momento in cui ogni giornalista che ti mette il microfono davanti è in grado d'importi le sue priorità, un leader dovrebbe reagire, riuscire a imporsi, e Veltroni non lo fa. Nella fattispecie, avrebbe dovuto avere la prontezza di spirito per avvertire, già lunedì, che la questione Sky era penosa ma secondaria e che quelle importanti erano altre. È quello che chiediamo a lui: parare ogni affondo insidioso, murare le schiacciate. È una missione quasi impossibile, ma noi avevamo scelto lui appunto perché credevamo che fosse il più bravo.
Rivedendolo adesso con calma, ci rendiamo conto che tanto bravo non è. Magari ci vengono in mente altri che nella stessa emergenza si sarebbero comportati meglio: benissimo, cominciamo a ragionare sulla necessità di cambiarlo. Forse non è proprio il momento più adatto per farlo, ma è senz'altro il momento migliore per cominciare a parlarne: in futuro avremo ancora più fretta e più pressione.
Meglio tardi che ancora più tardi
27-11-2008, 01:08cattiva politica, Pd, racconti, VeltroniPermalink26 luglio 2007
Da: Candy75
A: leonardo.blogspot.com
Ciao e complimenti per il blog! Va be', scommetto che te li fanno tutti.
È già da parecchio tempo che ti leggo, in realtà, ma non avevo mai osato scriverti. Oggi però il tuo pezzo su Veltroni mi ha fatto proprio incazzare – scusa, eh, ma si è appena candidato alle primarie e già sembra lanciata la gara a chi lo critica per primo. Una poi si chiede: dove finisce l'onestà intellettuale e dove comincia il semplice snobismo? Ecco, l'ho detto, ora mi sento più leggera.
Io non mi considero una veltroniana di ferro… anzi se vuoi saperlo il tuo pezzo mi ha fatto ridere, ci ho trovato dentro cose assolutamente vere… però mi chiedo: che senso ha prendersela con Veltroni oggi? Secondo me, con tutti i suoi difetti che hai descritto benissimo, resta il leader più carismatico che abbiamo a sinistra. E ne abbiamo davvero bisogno, dopo la depressione a cui ci ha portato Prodi. Ma se cominciamo già oggi a fargli le pulci, aiuto! Certo, l'autocritica è una buona cosa, ma se Veltroni davvero sfiderà Berlusconi avrà bisogno del sostegno di noi tutti. Compreso quello dei blog arguti e criticoni come il tuo. Spero di non averti annoiato, alla prossima.
16 aprile 2008
Da: Candy75
A: leonardo.blogspot.com
Ciao, non so se ti ricordi di me, sono una che ogni tanto ti scrive. Di solito quando la fai incazzare, come è successo oggi con l'ennesimo tuo pezzo anti-Veltroni – ma davvero pensi che la responsabilità della sconfitta sia tutta sua? Non è che stai semplicemente riversando tutta la tua frustrazione e la tua rabbia sul capro espiatorio più comodo in circolazione?
Io, te l'ho già scritto, non mi considero una veltroniana di ferro. Secondo me durante la campagna elettorale ha fatto molti errori… che poi tutto sommato sono quelli che hai scritto nel post. Però non riesco a capire che senso abbia prendersela con Veltroni oggi. Secondo me è controproducente. Le elezioni erano perse in partenza, ma almeno grazie a lui abbiamo avuto una speranza, e adesso abbiamo un nuovo partito tutto da inventare. Attaccare Veltroni in questo momento significa né più né meno abortire il PD. Che in fondo è proprio quello che desidererebbe Berlusconi, no? Scusa per lo sfogo, alla prossima.
24 ottobre 2008
Da: Candy75
A: leonardo.blogspot.com
Ciao, indovina un po'. Sono quella che ti scrive e si lamenta ogni volta che scaracchi su Veltroni – no, ogni volta no, del resto lo fai continuamente. E sei anche bravo a farlo, ribadisco. Questa è la cosa che mi fa più rabbia: tanta arguzia e tanto acume, così sprecati. Per di più, ormai tirare a Veltroni è diventato uno sport nazionale. Eppure continuo a chiedermi che senso abbia prendersela con lui, che rimane pur sempre l'unica figura di riferimento di questo povero PD. O tu vedi qualcuno all'orizzonte in grado di prendere il suo posto? Secondo me no, non li vedi neanche tu. Ma allora, ti sembrerò paranoica, ma questa tua fissazione morbosa per gli errori di W. mi sembra che faccia soltanto il gioco di Berlusconi.
Da: Candy75
A: leonardo.blogspot.com
Ciao, è da un po' che non ti scrivo. Oggi ho letto la tua ennesima bordata contro Veltroni – insomma, basta! Sembra che ti abbia fregato la fidanzata. È vero, il suo intervento al Congresso è stato piatto e deludente – ma non più della media degli interventi, lo hai ammesso anche tu. E allora che senso ha prendersela sempre e solo contro di lui? è davvero colpa sua se in questi mesi non siamo riusciti a trovare candidati più credibili per la Segreteria? Per quanto possa averci deluso, almeno Veltroni è un leader; i suoi avversari no. Un leader oggi deve possedere un volto universalmente conosciuto, e un carisma mediatico: sono doti che non si improvvisano in pochi mesi. Io non mi considero una veltroniana di ferro, ma da qui a desiderare la sua sostituzione col primo sconosciuto di passaggio, beh…
2 febbraio 2012
Da: Candy75
A: leonardo.blogspot.com
Ciao, ti ricordi di me? Sono la veltroniana che se la prendeva sempre per i tuoi pezzi… sai, oggi sono ricapitato sul tuo blog e mi sono fatta una ghignata. Certo che Veltroni è stato proprio una catastrofe!
Eppure, scusami, credo che non abbia senso prendersela con lui oggi. È vero, ha sbagliato tutte le frittate che poteva sbagliare, ma appunto, ormai le frittate sono fatte. Avremmo dovuto mandarlo a casa subito, nel 2008, e poi aprire subito un dibattito serio. Invece ci siamo lasciati bloccare da uno stupido timore reverenziale, abbiamo continuato a ripeterci che non vedevamo nessun altro leader finché tutti i potenziali leader non si sono bruciati. Se avessimo avuto più coraggio quattro anni fa, forse avremmo avuto il tempo necessario per far crescere un vero leader, carismatico, competente e tutto il resto. Ma non l'abbiamo fatto. E se non l'abbiamo fatto quattro anni fa, che senso ha anche solo parlarne a tre mesi dalle elezioni? In fondo, non è ancora detta l'ultima parola: Veltroni potrebbe persino vincere. Ma solo col sostegno di tutti - compreso quello dei blog arguti e criticoni come il tuo. Alla prossima. (Continua all'infinito, come gli incubi peggiori).
Salva il mondo, salva il p-d-leader
23-10-2008, 17:51Il G8 di Genova 2001, manifestaiolismi, Pd, VeltroniPermalinkCaro Walter Veltroni,
ho ricevuto la sua lettera in cui mi chiede di partecipare alla manifestazione nazionale del PD di sabato. Le dirò, ci sto riflettendo. Mi sto interrogando su tante cose.
Per esempio, mi sto chiedendo fino a che punto sia stato corretto creare una banca dati con gli indirizzi di chi ha votato alle Primarie. Non si faceva prima a tesserarci tutti? Ah, già, ma il Foglio vi aveva spiegato che bisognava fare il partito moderno, all'americana, senza tessere. E tuttavia, in un qualche modo un “partito con quattro milioni di tesserati” mi suona meglio di “partito con un indirizzario di quattro milioni di cittadini”. Ma vabbè, questi son dettagli.
Mi chiede di andare in piazza il 25 d'ottobre per salvare l'Italia. Bello slogan, eh. Se poi vado sul sito e cerco qualcosa di più concreto, delle proposte... non ce n'è. A meno che io non creda che manifestando contro il governo, il governo cadrà come una pera matura. Ma non funziona così di solito, no? Altre volte si sceglieva il punto debole dell'avversario e si attaccava tutti compatti lì: per esempio, il 23 marzo di Cofferati era contro l'abrogazione dell'articolo 18: semplice e concreto. Ma stavolta?
Ok, c'è la petizione sui tagli alla scuola, questione sacrosanta; ma ci si sorprende a pensare: meno male che la Gelmini sta facendo questi tagli, così abbiamo qualcosa di concreto contro cui manifestare. Insomma: adesso sappiamo per cosa combattiamo. Anche se è ben curioso, no? Questa manifestazione è stata programmata in giugno.
Caro Veltroni, secondo me programmare una manifestazione a quattro mesi di distanza è stato un grandissimo errore. Direi che basterebbe questo a farmi seriamente dubitare sulle sue doti di stratega e di leader. In quattro mesi può succedere di tutto: infatti è successo di tutto. Prima si è fatto rubare la scena da Di Pietro, poi c'è stato quel mezzo inciucio su Alitalia, poi il crack delle borse... i motivi per cui dovrei manifestare oggi sono davvero diversi da quelli che mi avrebbero portato in piazza tre mesi fa. Come molti elettori democratici, ho il vizio di voler essere trattato come una testa pensante, uno che riflette, e non come una pecora che si pascola in piazza nella data programmata.
Non solo, ma quando tu fai sapere a tutti che quattro mesi dopo sarai lì, il minimo che ti puoi aspettare è che ti preparino un'imboscata. Che è esattamente quello che sta succedendo, basta leggere il Foglio per rendersene conto. Anche se poi, il Foglio, ormai, chi lo legge più? Ah, lei, già. Beh, cos'ha pensato quando ha letto quel pezzo(*) in cui le veniva spiegato che la manifestazione del 25 sarebbe stata un successo soltanto dal milione in su? Non si è sentito definitivamente preso in giro? Prima l'hanno convinta a non tesserare la gente, e poi le chiedono un milione?
Per farla breve: un corteo alla buona, ma appassionato, organizzato in luglio, avrebbe potuto sembrare l'inizio della riscossa; il super-mega-corteo tanto atteso di ottobre non potrà che essere un flop. Anche se facessi il mio dovere di brava pecora obbediente, ecc., ecc., ecc.. E il pezzo avrebbe potuto anche finire qui, ma ieri è successo (lo sapete) che Berlusconi ha invitato la polizia a entrare nelle università. Quel poco di esperienza che ho maturato mi dice che quando i reparti speciali abituati a spezzare le schiene agli ultrà si ritrovano di fronte a degli studenti, succede un guaio di quelli che poi se ne interessa Amnesty International, e non sto scherzando: Amnesty International. Ovviamente sto pensando a Genova, ma pensare a Genova mi ha anche fatto ricordare quel sabato mattina in cui ero io che avevo un bisogno disperato di un grande manifestazione civile e democratica; perché i resti di Carlo Giuliani erano ancora caldi, e per mezza Italia io non ero che un teppista spaccavetrine e bruciamacchine. Ecco, in quell'occasione il grande corteo serviva a me, per spiegarmi, per riportare la pellaccia a casa, e Massimo D'Alema disse no: a Genova non ci dobbiamo andare. Ecco. Quand'ero nei guai, voi per me non c'eravate.
Adesso siete voi ad avere bisogno di me, e io quasi quasi vi direi no.
...E il pezzo poteva finire anche qui. Ma poi è arrivato il comunicato di Cossiga. E tutti i blog a dire brutto Cossiga, ma perché? Cos'ha fatto di male stavolta? Ha solo detto la verità, quella che ti libera. Ormai l'unica speranza di vederci chiaro nei misteri di trent'anni di Storia d'Italia sta negli errati dosaggi di farmaci del vecchietto ciclotimico. Credo che Cossiga sia il primo pezzo grosso ad ammetterlo: nei movimenti c'erano infiltrati che creavano caos. Lo abbiamo sempre saputo, ma ormai c'eravamo stancati di dirlo, sembravamo paranoici. Almeno ora sappiamo che non eravamo paranoici a caso. "Il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri". E' esattamente quello che accadde alle Diaz, grazie per avermi finalmente spiegato il perché.
E soprattutto: alla fine Cossiga mi ha fatto venire voglia di andarci, a Roma. Perché bisogna farmi incazzare, e lui ci riesce ancora. C'è da ringraziarlo, davvero.
(*)...non riesco a lincarlo. Il sito continua a fare schifo.
Communication breakdown, it's always the same
15-10-2008, 00:03cattiva politica, Pd, VeltroniPermalinkIeri è partita YouDem, una tv che non guarderò perché non ho il decoder, e se lo avessi guarderei cose più interessanti e possibilmente non immerse in un verde fosforescente. Naturalmente io non sono un esperto di comunicazione, eh: però nello spezzone che è stato consegnato ai TG, Veltroni e Riotta apparivano come due marziani che complottano nel sottomarino dei cattivi di Ottobre Rosso (il sottomarino dei buoni invece aveva sfondi azzurri, riposanti, o arancioni, caldi e rassicuranti).
Di fronte a spettacoli come questi, il problema non è più tanto perché, ma chi.
Chi è che ha deciso che quel maledetto colore deve spuntare dappertutto, non solo sullo sfondo, ma persino rifrangersi sulle guance del leader? È per caso lo stesso esperto che immerse tutti i manifesti elettorali in un glorioso verde vomito che trasformava i candidati in alieni? Quanto lo avete pagato? Siete sicuri che Berlusconi non lo stia pagando un po' di più? Perché il lavoro che sta facendo è ottimo, da un certo punto di vista. Sono pronto a scommettere che nei prossimi giorni gli ultimatum di Veltroni-verde-psicadelico, lanciati a Riotta dalla plancia di un sottomarino sovietico, ce li faranno vedere con una certa frequenza anche sui telegiornali in chiaro (ieri s'è visto persino al tg2 delle tredici). Insomma, la strategia comunicativa c'è, ed è brillante, ma è chiaramente anti-PD, e Veltroni non ne è il protagonista, ma la vittima.
Io non sono esperto di comunicazione, lo ripeto. In effetti, non sono esperto di un granché, per esempio non m'intendo molto neanche di calcio. Però se vedo un portiere che afferra il pallone e lo scaglia nella sua rete, una certa idea riesco a farmela. Ecco, Veltroni piazza almeno un autogol a settimana; quando non c'è lui ci pensano Franceschini, o Morando. Posso avanzare il sospetto che qualcosa non vada?
Fingiamo che il Pd non abbia gravi problemi di democrazia interna, di rappresentatività, di organizzazione; resterebbe comunque un enorme problema di comunicazione. Finché lo dico io, coi miei trascorsi estremisti, va be', chissenefrega. Ma a se furia di spalmare l'america su tutto, Veltroni è riuscito anche a stuccare obamiani della prima ora come Bordone (che implora basta America, basta Obama!), il sospetto si rafforza.
Non è che Veltroni non si dia da fare, anzi. Il leader viaggia, rilascia dichiarazioni, cambia linea ogni qualvolta lo ritenga necessario (disorientando magari l'elettore che non ha capito in che modo il Berlusconi-interlocutore-per-le-riforme di tre mesi fa si sia trasformato nel Berlusconi-minaccia-per-la-democrazia). Eppure in un qualche modo sembra slegato dal mondo in cui viviamo: sempre fatalmente in ritardo di quattro o cinque giorni.
La settimana scorsa è scoppiata una grande bolla, ce ne siamo accorti tutti. Persino l'estremista di sinistra ha tremato per i titoli a dieci anni della povera mamma. Persino lo scettico razionalista, di fronte a un paio di bancomat in tilt, ha confessato la sua preoccupazione (quelli un po' meno razionali erano già nel panico da mezza giornata). Nel frattempo Veltroni dov'era, cosa dichiarava? Già da parecchi giorni stava andando avanti con la storia della dittatura soft, dello svuotamento della democrazia. Erano gli stessi giorni in cui temevamo tutti che ci si svuotasse il portafoglio, altro che democrazia; i giorni in cui persino i liberali speravano in un'autorità statale forte, a Bruxelles o a Roma; qualcuno coi nervi saldi. Nel fragore dell'emergenza, quando si parlava di nazionalizzare gli istituti bancari, poteva veramente interessare a qualcuno se Berlusconi fosse democratico o no? Le dichiarazioni di Veltroni hanno continuato a risuonare come un persistente piagnucolìo, che per fortuna andava spegnendosi nel rumore di fondo. I contenuti non erano affatto sbagliati; a essere sbagliata era la tempistica.
A un certo punto nel loft devono essersi accorti che qualcosa non andava. E hanno reagito... nel modo sbagliato. Anche perché si sono trovati con una bomba a orologeria innescata: la Grande Manifestazione. Quella che Veltroni aveva promesso ancora in primavera.
Ora, c'è un motivo abbastanza semplice per cui un partito o un sindacato, quando ha un problema, indice una manifestazione subito e non quattro mesi dopo. Intanto bisogna evitare che qualcuno s'impossessi della lotta al posto tuo, come appunto ha fatto Di Pietro in luglio. E poi bisogna battere sul ferro finché è caldo, non aspettare che la situazione cambi magari a tuo sfavore, ridurre le incognite... chi può dire cosa sarà di noi da qui a cento giorni? Il crack non era previsto dagli analisti finanziari, figuratevi dagli esperti del loft. Che infatti si sono ritrovati con una Grande Manifestazione programmata contro il governo proprio mentre il governo si proponeva difensore dei risparmi degli italiani. Sì, non lo potevano prevedere. Ma è proprio per questo che le manifestazioni non vanno troppo posticipate.
È qui che Morando se ne esce col suo capolavoro: dichiarare al Giornale che la manifestazione del 25 ottobre non sarà antigovernativa, anzi di sostegno al Governo. Un modo sicuro per togliere a qualche migliaio di sostenitori la voglia di perdere un sabato a fine ottobre. Se ne sarà reso conto? Morando non ha perso semplicemente il contatto con la base (se mai ne ha avuto uno) ma la fiducia: è convinto che bastino due o tre scene madri di Berlusconi salvatore dell'economia per infinocchiarci. In realtà l'Italia continua a essere piena di antiberlusconiani, esattamente come in aprile: gente che di manifestare contro questo governo non vede l'ora. Questo vale soprattutto per due categorie, molto importanti per il bacino elettorale del PD, che hanno la sensazione di essere diventati la preda di guerra dei berlusconiani: insegnanti e impiegati statali. La stretta della Gelmini sulle scuole e quella di Brunetta sulle ore di malattia sono colpi bassi, che dopo lo choc iniziale cominciano a risultare dolorosi; basterebbe dar voce a queste lotte per ricominciare a fare opposizione seria. Ma bisognerebbe essere contrari a quello che sta facendo la Gelmini o Brunetta, e temo che Morando e Veltroni non lo siano. E qui il problema smette di essere un problema di comunicazione, e diventa una questione di contenuti, ovvero: il minimo requisito per fare opposizione è avere idee opposte a quelle dominanti. Se non ce le hai, forse è meglio che ti fai da parte. Lapalissiano, vero? eppure non passa mica.
Veltroni uno e trino
30-09-2008, 00:04Pd, VeltroniPermalinkIo lo so che dovrei piantarla, con Veltroni. Che sì, avrà fatto i suoi errori, ma non è Il Male. Non è lui che si è fatto le leggi su misura. Non è lui che mi taglierà le ore, e prossimamente la paga. Non è lui che si è preso editoria e tv. Insomma non è lui ad avermi costruito un mondo così brutto intorno. E prendersela con lui non risolve niente. Eppure non ce la faccio. C'è qualcosa che continua ad attirarmi a lui, come le ultime zanzare al faro incandescente. Il fatto è che mentre il fenomeno Berlusconi è stato descritto e interpretato fino alla noia, il fenomeno Veltroni ha ancora vaste zone d'ombra, e complessità che votandolo non t'aspettavi. Per esempio, negli ultimi giorni mi sono reso conto che Veltroni è uno e trino, proprio come Dio (un altro sul quale è meglio non fare troppo affidamento nel breve termine). Le tre persone di Dio sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; le persone di Veltroni le ho scoperte io e, con un certo risparmio di fantasia, le ho chiamate Wally, Vartere e Valter.
Wally è quello simpatico, alla mano, americano ma di Brooklin. Uno sciuscià cogli occhi lucidi di speranze e sogni... In realtà sappiamo tutti che dietro Wally c'è una strategia. Ma è comunque una strategia elaborata da Wally, mica da una commissione di sociologi ed economisti. Wally è cresciuto con il mito dell'America (quasi clandestino, perché nel frattempo Vartere e Walter frequentavano la scuola del PCI), e quando è crollato il muro di Berlino ha pensato di rivendersela come La Nuova Idea. Istintivamente, Wally ha centrato un bersaglio: esaurite le vecchie ideologie, non valeva neanche la pena di montarne di nuove. Bastava creare un certo immaginario, popolato di Personaggi Giusti: Kennedy, Martin Luther King, Don Milani, di arredi cool (il jazz, il cinema), con qualche concessione al Trivial (le figurine). Non una struttura: un fondale. L'idea era interessante, ma si è ritrovata a fare i conti con la corazzata Mediaset, che pescando nelle acque basse del desiderio collettivo stava creando un immaginario di livello assai più scadente, ma di più facile presa. Fu la battaglia tra il Cinema e la TV, e non c'è mai stato nessun dubbio su chi avrebbe vinto. In fondo, Wally la sua campagna elettorale la perse 12 anni fa, quando il suo partito montò un referendum al grido “Non si interrompe un'emozione”, e gli elettori gli mostrarono che le emozioni s'interrompono, eccome, anche con le televendite (che così c'è il tempo per sparecchiare e poi a volte si fanno buoni affari). Ma neanche quella batosta lo ha fermato.
Ancora l'anno scorso Wally continuava a snocciolare i suoi eroi, di fronte a una platea invecchiata con lui, e incredula di trovarlo tanto simile alla sua caricatura. Io comunque ho tifato Wally, fino alla fine. Perché sì, è facile sfotterlo quando cerca di mettere insieme due come Che Guevara e Bob Kennedy, che si sarebbero sparati a vicenda; però un'Italia con cinque canali nazionali in mano a Wally non sarebbe così male. Jovannotti finirebbe ministro dell'ambiente e i ragazzini scaricherebbero “I have a dream” come suoneria: perché no? In un'Italia così sarebbe facilissimo anche ritagliarsi il proprio spazio di bastian contrario: sfottere Wally e il wallismo è facilissimo, è come stroncare i romanzi di Baricco: non ci vuole niente e ti fa sentire super-intelligente. Se Veltroni fosse tutto qui, sarebbe simpatico. Invece no, questo è solo il primo terzo (ahimè, il migliore).
La seconda persona di Veltroni l'ho chiamata Vartere, forma romanesca, e qui la romanità è intesa come un mix di incompetenza e autoindulgenza – no, lettori romani, non sto dicendo a voi, che siete straordinariamente simpatici e vivete in una città meravigliosa, però... però un po' sì. Del resto se Veltroni è rimasto sulla breccia è colpa anche vostra, che per due volte lo avete eletto sindaco. Un buon sindaco, dicevate – anche se Roma era sporca parecchio, dai. Ma in generale, non vi sembra che Vartere abbia goduto di una certa condiscendenza? Dopotutto fu il segretario che portò i DS ai minimi storici – sette anni dopo gli abbiamo dato in mano la sinistra intera. E lui che ne ha fatto? A un anno dalle primarie, vogliamo provare a tracciare un bilancio?
Da una parte mettiamo le cose buone. Anzi mettetele voi, ché a me non ne vengono.
Dall'altra proviamo a mettere tutte le idee bislacche e perdenti... per esempio, il Loft. Che razza di strategia comunicativa, eh, annunciare a tutti che il partito aveva un Loft. Sì, sono dettagli, ma proviamo a metterli in fila. Chi ha scelto quel colore verde vomito? Chi ha escluso la sinistra per imbarcare Di Pietro e quattro radicali? E la raccolta firme, qualcuno si ricorda della gloriosa raccolta firme (vedi Zoro)? E tante altre piccole cose che si sentono dire e che spesso si preferiscono dimenticare... ma lo sapete che vuole chiamare il movimento giovanile PD “Young Democrats”? No, ma seriamente, Young Democrats? Ma che roba è? Ma quanti yesmen devi avere incontrato sulla tua strada per venirtene fuori con queste stronzate? E il balletto su Alitalia? Mi ero finalmente convinto – leggendo quotidiani di sinistra – che il progetto CAI fosse un papocchio berlusconiano irricevibile... quand'ecco arriva Vartere, ci mette il naso, lascia intendere che i sindacati non avrebbero fatto niente senza di lui, e pretende pure che tutti gli dicano grazie, e se Berlusconi non lo fa pesta i piedi. Roba da farti rivalutare Berlusconi nel 2008, almeno lui nel fotterti è coerente.
Insomma, Vartere è il disastro nascosto dentro Veltroni, che tutti abbiamo fatto finta di non vedere. Quello che s'inventa i piani più complessi pur di fallire. Dagli in mano un quotidiano, e lui lo trasformerà in una videocassetta, che fallirà comunque. Chissà cos'avrebbe combinato all'Africa – magari questo è il senso del nostro sublime sacrificio. E comunque no, Vartere non è il peggio di Veltroni.
Il peggio è Valter. Pronunciato alla tedesca. Con un'intonazione marziale e un sinistro rantolio. Dark Valter è il lato oscuro di Veltroni, quello che ancora oggi s'intravede a fatica. Quello che deve aver ceduto alla metà oscura, a un certo punto della sua carriera. Forse subito.
È quello che assorbe polemiche e proteste come un buco nero, senza riflettere niente.
Quello che si è preso il partito, tutto, e non lo molla più, nemmeno se perde le elezioni (e infatti le ha perse. Però ha mandato Franceschini a spiegare che è normale, che anche Zapatero e la Merkel hanno perso la prima volta. Menzogne spudorate).
Quello che le critiche interne non le concepisce, semplicemente.
Quello che in giugno si fa approvare una direzione nazionale su misura e poi manda a casa i delegati in anticipo.
Quello che con gli young democrats sfodera un'arroganza che si starebbe meglio indosso a un vincente
"Il vostro compito è riprendere lo spirito del Lingotto, quando mi sono candidato alla guida del Pd, lo spirito del pullman e delle primarie di un anno fa. Altrimenti, vi spengo la luce" (Lo spirito del Lingotto?)Quello che in sostanza persegue un progetto preciso: gestire il PD come roba sua, in attesa che Berlusconi passi di moda o muoia. E tanto peggio se nel frattempo il partito sta diventando “Una democrazia sostanzialmente svuotata. Una struttura di organizzazione del potere che rischia di apparire autoritaria. Il dissenso visto come un fastidio di cui liberarsi”. Del resto anche queste non sono che parole di Wally – uno che in fondo Valter lo conosce bene.
One people one vote
04-09-2008, 13:50migranti, Pd, razzismi, VeltroniPermalinkNon è chiaro perché proprio adesso. È comunque tardi, ma sarebbe stato tardi anche tre anni fa. Il voto agli immigrati. Ha ragione anche Di Pietro a dire che per ora è un annuncio a vuoto. Uno slogan. Ma almeno è uno slogan. È chiaro. E riporta alla luce una verità sacrosanta. Se sono regolari, lavorano. E se lavorano, perché non possono votare?
La senti, la forza della verità che mette all’angolo gli avversari? Non c’è una sola risposta che essi possano dare a una domanda del genere. Non una che non riveli grettezza, egoismo, paura. Qui non c’è destra o sinistra, ci sono semplicemente due modi diversi di considerarsi italiani. Chi sono gli italiani? Quelli che hanno ereditato un cognome dal papà, e col cognome i diritti, i privilegi, i posti fissi e al limite i treni gratis per la partita? Oppure italiano potrebbe essere chiunque viva qui, chiunque tra Ventimiglia e Trieste si dia in qualche modo da fare per tenere in piedi questa penisola traballante. Che è più o meno quello che c’è scritto nella carta costituzionale, art. 1. Ma quella è carta, si può usare in tanti modi, ormai lo abbiamo capito. Si tratta di scegliere: che italiani vogliamo essere? Bianchi, vecchi, micragnosi attaccati ai nostri minuscoli privilegi, o un po’ più scuri e un po’ più giovani, e un po’ più aperti a un mondo che comunque ha fretta e non chiede il permesso? Ci ha messo un bel po’, Veltroni, ma ha scelto. È la prima buona notizia.
Per molti anni la Sinistra è stata accusata di favorire l'immigrazione perché voleva sostituire la classe immigrata alla vecchia classe operaia. Magari una vera sinistra avrebbe operato così, ma certo non la nostra, timida e arroccata nella difesa di privilegi di corporazione. La battaglia per il voto agli immigrati è sempre stata relegata a questione secondaria, così secondaria che a un certo punto se ne impossessò persino l'inutile Gianfranco Fini. In mala fede si dipingeva come un complotto terzomondista quello che era il primo effetto della tanto osannata (a quei tempi) globalizzazione: è stato il libero mercato del lavoro a cambiare il colore della pelle agli operai e ai braccianti, così come è stato il mito borghese dell’ascesa sociale a portare i figli bianchi degli operai sui banchi dell’università. È andata così e non c’è nulla da recriminare. Ora si tratta di ricordare che non ci sarà vera democrazia, in Italia, finché i nuovi braccianti e i nuovi operai non avranno gli stessi diritti degli altri. Questa è la vera campagna sui diritti civili.
E quando avranno il voto, magari voteranno Lega. E allora? Io me lo sogno, il giorno in cui la Lega comincerà a fare i conti con una base di elettori dalla pelle scura o dal cognome strano. Sarà il giorno in cui smetterà di essere un partito di cialtroni, in mano di pagliacci trucidi alla Borghezio. Il giorno in cui in Parlamento nessuno oserà più parlare di “reato di immigrazione clandestina” o di “reato di associazione in famiglia Rom”. Quel giorno potrei farmi leghista anch’io – perché no? Il partito che oggi candida Obama, era il partito dei segregazionisti del Sud, neanche un secolo fa. Tempo al tempo.
Scuola di Opposizione 1
22-07-2008, 14:52Bossi, la sinistra perde anche per questo motivo, Pd, VeltroniPermalinkTrenta giorni fa:
“Benvenuti al Laboratorio di Opposizione... cosa sono quelle facce mogie? Lasciatemi indovinare. Avreste preferito essere ammessi al Laboratorio di Governo, vero? Beh, non si può aver tutto dalla vita. E comunque vi svelerò un segreto”.
“Sentiamo”.
“L'Opposizione è più divertente! Distruggere è più facile che proporre, e poi ti dà la possibilità di imparare le priorità tra le notizie... per esempio, guardate i titoli dei giornali. C'è molta carne al fuoco, stamattina. Quante notizie. Quanti spunti. Dovete allenarvi a vedere in ogni notizia un'opportunità per mirare al Governo, capite? Ogni titolo è una freccetta. Però, attenzione: la maggior parte delle freccette sono scadenti. Hanno la punta smussata. Oppure sono pesanti e cadono prima d'arrivare al bersaglio. O sono troppo leggere. O il peso è mal calibrato e la traiettoria devia, credi di aver mirato al Governo e invece hai colpito qualcun altro, magari un tuo amico. Vi dirò che ci sono persino freccette boomerang, pensateci, freccette che vi tornano indietro, voi credevate di aver fatto un buon tiro e d'improvviso ve le trovate in... ci siamo capiti.
Ora, l'esercizio è il seguente. Prendete queste prime pagine. Osservatele. Trovatemi la freccetta giusta. Quella né troppo leggera né troppo pesante, ben calibrata, con una punta acuminata come la lingua di un serpente, e che non torna indietro. Vi dico che ce n'è una sola, le altre sono tutte freccette sbagliate. Cominciamo”.
“Mah, ci sarebbe il decreto sulle intercettazioni”.
“Interessante. Il decreto sulle intercettazioni. Spiegaci perché secondo te è la freccetta giusta”.
“Ecco, mi sembra chiaro che Berlusconi stia pensando solo ai suoi interessi”.
“Come tutti, del resto. Abbiamo tutti a cuore i nostri interessi, e Berlusconi è un po' il simbolo di questo. La gente lo vota perché si riconosce. Sei ancora sicuro che sia la freccetta giusta?”
“Ci sarebbe la storia dell'intercettazione con Saccà... quella in cui dice che gli serve una Velina per convincere un senatore a votare la sfiducia al governo Prodi...”
“Tu sai che quella telefonata non rappresenta nessuna violazione della legge, vero?”
“Sì, però abbiamo un leader politico che propone di scambiare favori sessuali con voti di fiducia... mi sembra uno scandalo. Cioè, io insisterei su questo fatto che...”
“Eccone un altro che se ne va impettito con la sua bella freccetta in culo. Ti svelerò un segreto: alla gente di queste cose non potrebbe fregar di mano. Berlusconi telefona a un amico che lavora in Rai. Parlano di veline. Embè? Credi che la casalinga di Voghera si svegli alla mattina pensando Speriamo che anche oggi Berlusconi non faccia cadere il governo in cambio di una velina? Sveglia! La casalinga pensa alla borsa della spesa, all'inflazione! Ai rifiuti sul marciapiede! Alla criminalità, quella vera, quella piccola che fa paura! A questo pensa”.
“Sì, ma...”
“Niente ma. L'opposizione si fa sui fatti veri, quelli che interessano alla gente. Non sui gossip da quattro soldi. Prendete appunti”.
Quindici giorni fa:
“Rieccoci qui al nostro corso di Opposizione. Se ricordo bene avevate un compito per il fine settimana. Dovevate...”
“Cercare la freccetta giusta".
“Come al solito. Vediamo un po'. Tu, là in fondo. Cos'hai trovato”.
“Beh, io... C'è questa chiacchiera insistente, sui fondi dei quotidiani... che secondo me meriterebbe più attenzione”.
“Una chiacchiera? Non sarà quello a cui sto pensando, vero?”
“Cioè, si parla di intercettazioni... in cui al telefono si allude a... pratiche sessuali tra Berlusconi e qualche giovane ministra...”
“No”.
“Sì, lo so che in apparenza si direbbe mero gossip, ma riflettendoci bene...”
“Dopo un mese, ancora mi cascate in un tranello del genere”.
“...lasciamo stare il pettegolezzo: abbiamo almeno un paio di giovani di bell'aspetto che nessuno sa perché facciano le ministre. Non lo sanno nemmeno i loro colleghi di Partito. Gente che magari ha studiato sodo e si vede scavalcata per motivi... per motivi... io credo che ci sia lo spazio per un'indignazione bipartisan”.
“Pure questo mi tocca sentire. L'indignazione bipartisan”.
“Che se uno ci pensa bene, fa parte sia del discorso sul ricambio generazionale che di quello sullo svuotamento delle istituzioni repubblicane: c'