Il mio Piave

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Vecchio arnese a chi

Poi per carità, a chi non piace sentire finalmente qualcuno che dice basta con le solite chiacchiere, le solite polemiche sulle fazioni o sulla leadership, qui servono idee concrete, cominciamo a farci venire delle idee concrete. Piace a tutti un discorso così.
Il punto è che nel breve intervento di Debora Serracchiani al Lingotto, sabato scorso, tutte queste idee concrete ancora non c'erano. Ce n'era una gran voglia, questo sì. Ma al netto di tutti i discorsi contro le chiacchiere e di tutte le polemiche contro i polemici, l'unica proposta un po' nel merito (in qualsiasi merito) era... il superamento dell'articolo 18. Eh? Aspetta, forse ho capito male.
No, perché dopo ha parlato la Melandri e ha ribadito il punto: “l'articolo 18 è un vecchio arnese”. Ah.

Chiedo scusa, è colpa mia. Ogni volta mi dimentico che sto assistendo alla nascita di un partito di centro, centro, centro, centro, centro, trattino sinistra, e mi stupisco di cose che tutti intorno a me daranno per scontate. Articolo 18, ma chi ne parla più. Metti Berlusconi: lui mica ne parla. Anche perché... come andò a finire quando provò ad abrogarlo? Fammi ricordare.


Comunque è un fatto che non ne parli più. Lui è ossessionato dalla comunicazione, e non ha tutti i torti: la crisi è sistemica, l'unico fattore che si può sperare di correggere è quello emotivo. Forse sarebbe arrivato alla stessa conclusione anche se non controllasse cinque emittenze nazionali e non avesse fondato il suo impero sullo spaccio di emozioni – in ogni caso la strategia ha un senso. Gli italiani devono avere la sensazione che tutto finirà per il meglio. Figurati se in un frangente del genere si mette a riparlare di licenziamenti più facili. Anzi, guai a chi ne parla.

Così va a finire che ne parla la Melandri. Giusto. In fondo, se siamo un partito di centro, centro, centro, centro, centro, trattino sinistra, il populista Berlusconi è allo stesso tempo alla nostra destra e... alla nostra sinistra. Noi invece inseguiamo il centro. Chi ci sia al centro di così interessante non si è mai capito: forse qualche industriale che non ha ancora delocalizzato in Romania. Ecco, forse lui se sente la Melandri dire che “l'articolo 18 è un vecchio arnese”, potrebbe considerare l'idea di votare per noi. Nel frattempo i suoi operai, i dipendenti con vent'anni di contributi e ancora più di dieci anni prima della pensione, il ceto medio nerbo della nazione, prende paura e vota Lega. O Berlusconi, che è più rassicurante. Poi la Melandri verrà a spiegarci che è colpa nostra, dovevamo insistere un po' di più verso il centro, centro, centro, centro, centro, trattino centro.

Io – che a suo tempo feci la mia modestissima barricata – so benissimo che l'articolo 18 non è la cura a tutti i mali. So che viene già disatteso dai fatti da migliaia di ditte che si scorporano appena superano i 14 dipendenti. E anche nel culmine dello scontro del 2002 non l'ho mai considerato molto di più che una bandiera. Però anche le bandiere hanno una loro importanza – quelle che funzionano. L'articolo 18 ha funzionato. Altroché se ha funzionato.

All'indomani della vittoria di Berlusconi nel 2001, con l'eco delle sirene di Genova ancora forte e chiaro nelle orecchie di molti, Sergio Cofferati divenne il leader della sinistra semplicemente indicando una linea, un fronte, un Piave, e promettendoci che Berlusconi non sarebbe passato. Quel Piave fu l'articolo 18, e Berlusconi non passò. Lo ricacciammo indietro, il 23 marzo 2002, qualcuno se ne ricorda? Roma invasa dai manifestanti convocati da un solo sindacato, e Marco Biagi era appena stato ucciso. Così si fa opposizione, prendete nota: si indica un punto sulla mappa, ci si raccoglie e non si cede fino alla fine. L'articolo 18 non fu modificato. Tremonti non ne parla più da allora. (Adesso parla solo di vegole, vegole, vegole, è diventato un maniaco delle regole: chissà se tra queste include lo Statuto dei Lavoratori).

Ma adesso lo vuole modificare il PD. Pare che sia l'unica idea nuova che la Serracchiani aveva pronta da portarsi a Torino. Pare che l'articolo 18 sia “un vecchio arnese”. Ma insomma, quelli che andarono a Roma il 23 marzo non avevano capito niente? Oppure hanno cambiato idea? Più semplicemente hanno smesso o smetteranno di votare PD. Ma siete sicuri che i loro voti non vi servano? Quante migliaia di voti intendete bruciare per conquistare quello della Marcegaglia?

No, scusate, lo so benissimo che non ragionate in termini elettorali. Ci mancherebbe altro. È proprio per questo che, mentre state all'opposizione, proponete di rendere i vostri elettori un po' più licenziabili. La maggioranza se ne guarda bene, ma se gli allungate una bozza Ichino, è probabile che la voterà. Senza dare troppa pubblicità alla cosa (la Melandri, invece, scommetto, sogna già i manifesti: Licenziamenti più facili grazie al PD! Grazie, PD!)

Ripeto, io non credo nella sacralità dell'Art. 18. Ma ne faccio una questione di comunicazione. Ci sono migliaia di persone che per quell'Articolo hanno combattuto: non si meritano qualche spiegazione? Nel 2002 si rifiutavano di credere nell'equazione “più licenziamenti = più opportunità di lavoro”: erano così stupidi? Il loro intuitivo scetticismo nei confronti dei dogmi del libero mercato non meriterebbe di essere un po' rivalutato, alla luce di quello che è successo più tardi in tutto il mondo? Ma sul serio intendete mandare gente come la Melandri a spiegare che si sono sbagliati, hanno fatto le barricate per salvare un vecchio arnese che va tolto di mezzo, e che se Berlusconi non vuole più farlo tocca a noi?

Io non escludo che tecnicamente abbiate ragione. So che lo Statuto dei Lavoratori è il prodotto di un'era di relativa espansione economica in cui i rapporti di forza erano molto diversi. Può darsi che quel Piave debba cedere prima o poi. Non ne farò un dramma, crollato un fronte si ripiega e se ne fa un altro. Ne faccio un problema di comunicazione. Basterebbe non insistere troppo sull'articolo 18, sui termini “abrogare”, ma anche “superare”. Dite semplicemente che volete rendere il mercato del lavoro più equo per le giovani generazioni, sentite che suona già molto meglio?

E tecnicamente si può fare senza strombazzare al mondo intero che stiamo modificando l'art. 18. Peraltro, non è detto che si debba realmente modificare. Persino la bozza Ichino mantiene alcuni paletti: non sarebbero ammessi licenziamenti “discriminatori” o per “mero capriccio”. Non sarà il Piave, ma non è ancora l'Adige: si ridefinisce il concetto di giusta causa, tutto qui. Se ne può discutere, ma io quando ho letto che la Melandri riteneva l'art. 18 un “vecchio arnese” non ho pensato “ah, intende sollecitare un dibattito sul concetto di giusta causa”. No, io pensavo che volesse consegnare le chiavi del partito ai poveri piccoli industriali che in mancanza di un'idea nuova (da vent'anni) e di sovvenzioni (dopo vent'anni) vorrebbero licenziare tutti a luglio per riassumerli a settembre con un contratto a progetto.

E siamo al punto di partenza: a tutti piace sentirsi dire basta chiacchiere, servono idee. Ma anche le chiacchiere hanno la loro importanza. Chiacchierare sull'articolo 18, come se fosse un argomento qualsiasi, può risultare controproducente. Non è un argomento qualsiasi. È la nostra Dunkerque, il nostro Forte Alamo. Ci vuole rispetto.
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