Mas que nada

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Non di soli social network

Un mese fa ho scritto che Marino non avrebbe vinto mai. Ne sono ancora abbastanza sicuro, ma devo dire che i suoi risultati fin qui mi sembrano sorprendenti. Otto iscritti ai circoli su cento, quasi un iscritto su dieci che invece di scegliere i candidati 'predestinati' si affida al nuovo: non è poco, e lascia ben sperare per il 25 ottobre.
Detto questo, voglio rispondere – un po' in ritardo – a chi nei commenti mi rimproverava un po' di freddezza (addirittura dello snobismo) nei confronti di Marino: tu dici che non vincerà mai, ma “lo dicevano anche di un tale Obama, ricordate?Arieccoci.

Allora: io credo che Marino sia un'ottima persona e un buon candidato, ma non è l'Obama italiano. Così come non lo era Veltroni, nel periodo in cui gli prese in prestito lo slogan – non basta copiare uno slogan per diventare un Obama. Non basta essere outsider: Marino indubbiamente lo è, anche più di quanto non lo fosse Obama, ma la similitudine finisce qui.

Questa fissa per Obama sta diventando un tic mentale: ogni volta che ci troviamo davanti una sfida impossibile (Veltroni vs Berlusconi, Marino vs tutti) qualcuno tira fuori il mantra “dicevano così anche di Obama”... ma Obama non è uno spot Apple dedicato a quelli che sanno pensare l'impossibile e altra chincaglieria creativa anni Novanta. Non è un miracolo da invocare: è un candidato che ha trionfato in condizioni inizialmente difficili grazie a una serie di circostanze. Piuttosto di alzare gli occhi al cielo e pregare il Dio di Obama, suggerisco di concentrarci sulla terra intorno a noi e osservare se si stiano verificando le stesse circostanze. A me pare di no, e quindi continuo a pensare che Marino non abbia molte possibilità – e anche qualora vincesse, lo farebbe con una strategia sensibilmente diversa da quella di Obama.

Sul quale circolano equivoci abbastanza insidiosi – per esempio, l'uso di Internet. È vero che ha vinto grazie a Internet? Se penso a Obama mi viene in mente un politico che s'impone nell'immaginario con strumenti molto più tradizionali (lunghi discorsi alla folla, costosi spot televisivi). Invece leggo ancora stamattina che “la rete ha deciso lo scontro a favore di Barack Obama, che ha usato sapientemente i social network“. (Mario Adinolfi, Europa). Cioè, neanche tutta Internet: i social network: come dire che se Hilary Clinton avesse curato più il suo profilo facebook magari avrebbe vinto lei – ma no, per carità, no. È vero che Obama si è molto giovato di Internet, ma non nel senso in cui sembra credere Adinolfi. Obama non ha usato Internet come veicolo dei suoi messaggi, in alternativa ai media tradizionali, ma in un modo diverso – anzi in due modi.

1) Il primo lo descriveva egregiamente Georg in questo vecchio post: internet come struttura organizzativa leggera ed efficiente, ideale per mettere in contatto e coordinare chi i messaggi di Obama li conosceva già. Però, attenzione, costoro non è che rimanessero a casa a chattare su quanto fosse fico Obama: no, su Internet trovavano le istruzioni per montare i gazebo o approcciare gli estranei, anche porta a porta. Internet come ufficio, non come aula magna: Obama i grandi discorsi li ha fatti dal vivo, davanti a persone che magari non hanno la connessione in casa, ma che avevano sentito parlare di lui da attivisti organizzati on line. Certo, per fare tutto questo servono anche $$$ - e qui arriviamo al secondo modo:

2) Internet ha consentito a Obama di raccogliere fondi che poi gli hanno permesso di pubblicizzarsi attraverso i media tradizionali (tv generalista, radio, manifesti...) Per supportare Obama on line non era sufficiente inserirlo nella propria lista di amici in questo o quel social network: si trattava di cliccare il famigerato tasto “sostieni”. Quello che gli italiani fanno ancora molta fatica a cliccare, per una naturale diffidenza nei confronti del sistema bancario o di internet o che so io – fatto sta che nelle scorse elezioni era oggettivamente difficile trovare il famigerato tasto nei siti internet dei partiti. Anche oggi, nel sito di Marino, la dicitura “sostieni” compare piuttosto in basso (però più in alto c'è “shop”: le magliette evidentemente funzionano meglio dei micropagamenti). Non so quanto ne ricavi, ma non credo molto. Del resto in Italia siamo al punto in cui un candidato si lamenta perché un altro stampa troppi manifesti: l'idea che la raccolta fondi sia parte integrante della campagna, e che qualcuno possa vincere perché ha convinto i sostenitori a sborsare di più ci è del tutto aliena. O siamo 'liberisti' (e allora paga tutto il capo che si è ordinato un partito su misura) o siamo, boh, centralisti: nel senso che i soldi per i manifesti ce li deve dare il partito, probabilmente in parti uguali per una questione di fair play. Ecco, prima di riempirvi la bocca con Obama, notate che lui non ha usato nessun tipo di fair play: ha raccolto più soldi che poteva e alla fine ha bruciato dieci milioni di dollari in un megaspot di trenta minuti in prima serata. Su sette canali tv, non su internet. Ma grazie a internet. E più al tasto “sostieni” che non ai vari social network.

Ogni volta che vi provano a vendere un Obama italiano, ragionate prima su questi due aspetti: (1) c'è dietro un'organizzazione in grado di portare gli indecisi nei circoli e alle urne (che si può anche coordinare su internet, ma poi viene a bussarmi alla porta, esattamente come i vecchi comunisti e i leghisti d'oggidì)?
(2) chi paga? C'è una rete di microfinanziamento in grado di sostenere un candidato che parte come outsider?
Quando avremo un'organizzazione del genere, e gli italiani cominceranno a usare internet anche per finanziare i loro politici (cioè a fidarsi di internet e a fidarsi dei politici: doppio slalom) probabilmente i tempi saranno maturi per un Obama italiano. Nel frattempo Marino è anche più di quanto ci meritiamo.
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