Grillo, o dell'egemonia

Permalink
L'egemonia culturale, scriveva il direttore, ce l'ha chi riesce attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, a imporre i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione. L'egemonia culturale, oggi, nella politica italiana, ce l'ha il Movimento Cinque Stelle. Vale la pena di riconoscerglielo, anche perché è l'unica cosa che ha: non ha la maggioranza, non ha un quotidiano, ha una webradio scalcinata e un sito che si pianta appena c'è un po' di traffico, eppure ce l'ha fatta. Ce l'ha fatta nel momento in cui intorno ai palazzi di Roma è cominciato a risuonare la domanda #RodotàPerchéNo, e non c'era nessuno che riuscisse ad articolare una risposta. E sì che risposte ce n'erano, e avrebbero dovuto essere comprensibili e condivisibili: ma niente da fare, non si sono sentite. L'unica cosa che abbiamo sentito per quattro giorni è stata la domanda: perché no Rodotà? che riecheggerà ancora probabilmente stamattina nei bar, negli uffici e sulle panchine di mezza Italia. Mentre nessuno si farà la domanda, ugualmente interessante: perché Prodi no? Perché a Grillo non andava bene? L'egemonia è tutta qui: si tratta di due domande equivalenti, ma una è sulle bocca di tutti, l'altra rimane una chiacchiera per addetti ai lavori.

Il PD - ammesso esista ancora - ha tanti problemi. Quello della comunicazione non è secondario (continua sull'Unita.it)

È un partito che spende una parte rilevante delle sue risorse per comunicare, e non riesce a evadere dalle narrazioni che gli altri mettono in giro su di lui. Per aver detto in campagna elettorale una semplice cosa di buon senso (non si governa col 51%), Bersani è stato dipinto come l’inciucista alleato di Monti e non è riuscito a scrollarsi di dosso questa immagine in nessun modo. Dopo la sconfitta, mentre tutta l’Italia invocava una soluzione rapida, Bersani veniva deriso a ogni tentativo di dialogo con le controparti; irriso perché non si dimetteva, neanche ci fosse dietro di lui la fila per sedersi su una seggiola su cui  alla fine, chiunque salirà, dovrà reinventare il partito o liquidarlo. Tant’è che già si parla di non accogliere le sue dimissioni: probabilmente ne parlano anche i franchi tiratori che l’altro giorno hanno impallinato Prodi (a proposito, a questo punto ci piacerebbe che si palesassero, e ci spiegassero perché e per chi hanno agito; un minimo di chiarezza sarebbe un atto dovuto, e difficilmente potranno arrecare più danni di quanti ne hanno fatto venerdì).
Il PD – ammesso esista ancora – deve porsi il problema: perché non riesce a condividere i propri punti di vista non dico con la base, ma nemmeno con molti dei suoi dirigenti? Una scelta incomunicabile, perché francamente indigesta (ad esempio la candidatura di Marini) è una scelta ancora praticabile? E se sono gli altri a raccontare la nostra storia, cosa possiamo fare noi per reagire? Qualsiasi cosa sarebbe meglio del silenzio.
Per esempio: prendere il video in cui il Santone, nel suo camper, ci avvisava che votando il suo candidato (in quel momento era ancora la Gabanelli) chissà, forse si sarebbe potuto collaborare, ma sì, perché no. Prendere quei pochi secondi di cialtronaggine totale che nell’immaginario collettivo hanno risvegliato l’idea di un possibile governo PD-M5S, metterli davanti al naso di tutti, elettori del PD e del M5S, tutti, e chiedere: ma voi la comprereste un’auto da un tizio così? Uno che a un colloquio informale pretende di sorvegliare i suoi emissari con la webcam, e poi quando all’ultimo momento vede che ce ne andiamo abbassa il prezzo? Ma non lo vedete che vi sta tirando il pacco? E cosa credete che ci sia nel pacco? Cosa avrebbe fatto poi, un altro sondaggino per nominare i suoi ministri?
Non avremmo convinto tutti, ma era meglio del silenzio. Meglio del povero Orfini catapultato in tutti i programmi perché, per sua ammissione, “non ci voleva andare quasi nessuno”. Certo, se è per questo Grillo non ci manda nessuno, e vince. Se lo può permettere. Si chiama egemonia, purtroppo. Dovremmo saperne qualcosa. http://leonardo.blogspot.com
Comments (53)