Abbiamo visto primarie peggiori

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Ogni volta che sento qualcuno lamentarsi che queste Primarie PD sono noiose, che seguono un copione risaputo, che non c'è più quella vitalità di un tempo... ogni volta che sento questa cosa, mi domando se il tizio si ricorda qual è stata l'ultima primaria del PD, e per chi ha votato. Cioè, posso capire che una sfida tra un presidente di regione e la sua ex vice presidente possa apparire un gioco delle parti: ma ve lo ricordate chi c'era a giocare quattro anni fa? Probabilmente no, vi sblocco il ricordo: Zingaretti, Martina, Giacchetti. Almeno di solito su tre candidati c'è qualcuno che gioca per vincere: nel 2019 neanche Zingaretti sembrava molto eccitato all'idea. Per male che vada, chi vincerà stavolta (ovvero Bonaccini) il PD lo governerà davvero, almeno fino alle prossime legislative: è da dieci anni che si prepara. 


Allargando lo sguardo, non è difficile rilevare che le Primarie PD sono sempre state un gioco delle parti, tra correnti che sondavano il loro peso ma sapevano già in anticipo chi avrebbe vinto: più una trovata pubblicitaria che una consultazione reale; e del resto le inventò Walter Veltroni, che delle primarie americane aveva un'idea romantica e abbastanza superficiale e voleva cavalcare una specie di onda plebiscitaria che s'infranse sui primi scogli. Chi rimpiange eccitanti testa-a-testa non sta ricordando bene; o forse ricorda le ruggenti consultazioni del 2012, che però furono primarie di coalizione, non di partito (partecipò anche Vendola, un anno prima che il Fatto Quotidiano lo facesse fuori perché ormai intralciava l'egemonia grillina). Persino in quel caso, comunque, la vittoria di Bersani era abbastanza prevedibile, e la sfida con Renzi serviva soprattutto a creare interesse. Funzionò abbastanza bene – anche a dimostrare l'insopportabilità dei renziani a chi aveva occhi per vederla. Le primarie a quel punto richiamavano ancora ai gazebo e nelle sedi PD più di due milioni di persone; domani c'è il grosso rischio di non superare il milione. L'alto tasso di astensione alle ultime consultazioni regionali è un grosso segnale di allarme: non è una semplice disaffezione al voto, c'è proprio un problema di informazione. La gente non è detto che lo sappia, che domani si vota per un partito che apre i seggi a chiunque voglia partecipare (dopodiché si lamentano se qualcuno ne approfitta, un vecchio controsenso a cui ormai mi sono rassegnato). I giornali ne parlano poco e comunque la gente non li legge più, in tv le primarie non riescono ad attirare l'attenzione, sui social la sensazione è che preferiamo parlare di qualsiasi altra cosa – gli hamburger di grilli, ovviamente, e poi di colpo un mattino sono tutti impazziti perché c'è una casa editrice inglese che cambia i testi di Roald Dahl: nota che non siamo in Inghilterra e non siamo neanche dell'età più adatta per apprezzare il pur gradevole Dahl, ma insomma questi sono i problemi che ci tengono attaccati allo smàrfono, altro che il PD. Ah, e poi c'è la guerra. E il lago di Garda è abbastanza a secco, i fascisti menano gli studenti e il ministro se la prende con la preside che se ne lamenta: anche queste cose, pur non interessanti quanto i grilli negli hamburger, attirano più l'attenzione che il dibattito nel PD. 

Ovviamente la responsabilità è del PD – un partito che sin dall'inizio ha scommesso su due assunti non dimostrabili e anzi abbastanza discutibili: che (1) l'Italia sarebbe diventata una democrazia bipolare, anzi bipartitica, perché... perché in America è così e l'America è fighissima e (2) che uno di questi poli sarebbe sempre stato il PD. Questo secondo punto all'inizio sembrava ovvio persino a me, perché insomma, se metti assieme quel che resta della Democrazia Cristiana e del Partito che fu Comunista Italiano, è chiaro che il primo partito magari non lo ottieni, ma il secondo almeno sì. Invece salta fuori che la rendita di posizione, in politica, non conta così tanto. Magari nelle regioni sì, ma chi ci va più a votare alle regionali? Per rimanere il Secondo Polo (quello che poi dovrebbe rivaleggiare col Primo), serviva mantenere un presidio culturale, e Veltroni di questa cosa avrebbe pur dovuto essere consapevole, ma nella pratica si stancò subito; chi venne dopo di lui dovette scontrarsi col fatto che mancavano sempre i soldi. Succede nelle migliori famiglie, ma in questo caso succedeva in un partito che lottava per abolire i finanziamenti ai partiti, e se questo non è segarsi il ramo sotto il sedere io non so cos'altro lo è. In un qualche modo i dirigenti pd hanno sempre dato per scontato che metà dell'Italia si sarebbe interessata di loro, compresi i giornali di area progressista che a un certo punto però sono stati comprati da famiglie con altri interessi. È una logica circolare: noi rappresentiamo una fetta importante dell'opinione pubblica, quindi una fetta importante dell'opinione pubblica continuerà a parlare di noi anche se non li possiamo pagare, non riusciamo più a mettere gente brava in Rai e non abbiamo i soldi per i manifesti. Queste primarie potrebbero dimostrare che invece no, non funziona così: la visibilità si paga. Certo, contendenti un po' più interessanti avrebbero aiutato, e lo dico con dispiacere, perché Elly Schlein ci ha provato; io ovviamente voterò per lei. Più che una contrapposizione, quella con Bonaccini mi sembra la delimitazione di un campo nel quale le due principali anime progressiste nei prossimi anni dovranno ricominciare a parlarsi: un dialogo che tra renziani e bersaniani non c'era e di sicuro non c'era tra zingarettiani e... Martina? Chi rappresentava Martina? Onestamente non ricordo. Insomma, per quanto sia messo male il PD, il peggio potrebbe essere passato.


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