Renzi e il Partito nella Nuvola

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Finché un bel momento si accorge che la polemica sulle regole gli è scappata di mano, e che averla trascinata fino a questo punto sarà controproducente anche per lui, sia che vinca sia che (più probabilmente) perda. Così a due giorni dal voto registra un messaggio pregando, "implorando" i suoi sostenitori di parlar d'altro, "di politica, del futuro del Paese". A parte rimarcare la faccia tosta, quasi ammirevole, di chi avendo esaurito i sassi da gettare s'ingegna all'ultimo momento a nascondere la mano, io vorrei qui provare a spiegare senza troppa polemica perché Renzi non può fare così: non può pretendere che i ragni non pizzichino, che le cicale non cicalino, che i suoi sostenitori non polemizzino sulle regole. La polemica sulle regole non è una cosa semplicemente strumentale, un trucco per attirare l'attenzione. La polemica sulle regole è ormai diventata il messaggio, e riflettendoci un poco non poteva che andare a finire così.

La rissa sulle giustificazioni scritte, sui certificati, sui documenti, non è un incidente che ci ha coinvolti per sbaglio. È il modo in cui si è espressa la vera identità del movimento renziano, che non è la bozza Ichino o la vocazione maggioritaria o la mano tesa agli elettori di centrodestra. Il renzismo è, prima di tutte queste cose, un movimento generazionale, che interpreta la frustrazione di una categoria abbastanza precisa di persone. Hanno quasi tutti meno di 45 anni; alcuni sono professionisti, altri sono precari, ma in ogni caso lavorano tutti. E sul luogo di lavoro si scontrano, tutti i giorni, con gli over 50: che mantengono posizioni di potere, che hanno sempre la maggioranza, che sono troppi, si autolegittimano ma spesso non sanno come si accende il tablet che hanno appena comprato, che non si rassegnano a essere rottamati. Lo zoccolo duro di Renzi è questo, e per quanto cerchi di allargarlo alla fine i suoi ultras sono fatti così; non è un caso il fatto che litighino sulle regole, che vivano la giustificazione scritta come un'umiliazione, che non capiscano come mai l'iscrizione ai registri non si può fare on line. Non è un dettaglio. È qui che passa il fronte della guerra generazionale: carta contro iPad, giustificazione scritta contro moduli on line, file nei seggi contro clic e tag, sedi di partito vecchia maniera contro social network: burocrazia contro internet.

Sono i quasi-nativi digitali. Fin qui internet è stato l'unico ambito che ha dato loro soddisfazioni e riconoscimenti: le rare volte che sono riusciti a convincere i colleghi a snellire una procedura passando dalla carta alla cloud, oppure quella volta che il direttore ha chiesto di loro per risistemare un sito o una banca dati. Internet è l'unico territorio amico, l'unico luogo in cui si sentono più sicuri dei loro avversari: è normale che cerchino di trasferire la battaglia lì, che a tre giorni dalla fine di tutto aprano un sito internet allo scopo di attingere a un enorme bacino di potenziali elettori di Renzi. Non ha importanza che questo bacino esista o no: ricorrere a internet è una reazione istintiva, un riflesso involontario: non c'è problema che la Nuvola non possa risolvere.

La carta, invece, è il nemico. Le code sono sempre lunghissime, estenuanti, retaggi di una civiltà analogica che dev'essere smantellata al più presto e sostituita da qualche software o app altri nomi a caso che ogni tanto effettivamente Renzi pronuncia. Il renzismo non è un'ideologia, è una frustrazione: noi siamo nel 2.0 e ci tocca prendere ordini da gente che va in crisi se la fotocopiatrice è in standby? E adesso cosa vogliono, la giustifica come a scuola? Dobbiamo scrivere? Su dei pezzi di carta?  Douglas Coupland si preoccupava che fosse la prima generazione senza Dio; per adesso questo più di tanto non si nota, almeno da noi; si nota più il fatto che sia stata la prima generazione a diventare adulta senza abituarsi a timbrare un cartellino. Mettersi in coda non è semplicemente una rottura: è umiliante.

Ne conosciamo tutti di tipi così. Per esempio io nel mio luogo di lavoro conosco un tizio che ha un problema col registro di carta: non riesce a gestirlo. Proprio non ce la fa, piuttosto di mettere i numerini con la penna nei quadratini si farebbe ore di riunioni, di lezioni, di qualunquecosa. Ce l'ha a morte con la Gelmini, con Profumo, con la Moratti, con tutti quelli che non gli hanno ancora dato il registro elettronico che a sentir lui sarebbe facilissimo da usare, praticamente si riempirebbe da solo. E in effetti lui ce l'ha già una specie di registro elettronico, se lo è fatto per i fatti suoi, lo ha messo nella Nuvola e ci si trova abbastanza bene, ma quello di carta non sa proprio più fisicamente come si riempie, è un'angoscia. Ecco, quel mio collega sotto sotto è un renziano - anche se su tutti i blog scrive in lungo e in largo il contrario.
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Lettera mai spedita al Dipartimento Affari Sociali

Spett. Dipartimento Affari Sociali
Presidenza del Consiglio dei Ministri
Roma
Italia

Caro Dipartimento.
Ti dispiace se ti chiamo così, Dipartimento? Perché è a te che voglio scrivere. Non a Patrizia Cané, a Giacomo Guazzabugli, a Luigi Caballero, e nemmeno a Clara Mastroianni. Per quanto sembri una ragazza simpatica. No, voglio scrivere a te. Perché io non ce l'ho con la Cané o col Caballero. Anche quando non li trovo al telefono, oppure conto i minuti ascoltando la musichina di qualche centralino, io non ce l'ho con loro. Poveri giovanotti alle prese con le burocrazie d'Italia e d'Europa. Chissà, forse mi assomigliano anche. Perché odiarli?
Non mi piace scaricare le mie responsabilità, Dipartimento. D'accordo, sono nei casini, ma non darò la colpa a loro. Ripercorrerò la strada che mi ha condotto fin qui, oggi, e cercherò di capire dove ho sbagliato.
Verso la fine del '99 ricevetti una sovvenzione di 5000 Euro dall'Unione Europea, Direzione Politiche Giovanili. Altri due miei 'colleghi' ricevettero nel medesimo tempo la medesima somma. A smistare queste sovvenzioni eri tu, Dipartimento. Fu la prima volta che c'incontrammo. Cominciarono subito i problemi.

I. Non acquisterai beni durevoli
Per esempio: un conto era ricevere i soldi, per tutti i progetti che avevamo in mente di fare, (per carità, ne avevamo tutto il diritto, anzi…); un altro conto era spenderli. Per esempio, non potevamo acquistare nessun "bene durevole".
Cos'è un "bene durevole"? Qualsiasi cosa abbia una certa durata. Cioè, qualsiasi cosa.
La sovvenzione doveva servirci per fondare un'associazione. Ci serviva un PC, internet, stampante, telefono (addirittura un servizio centralino), una fotocopiatrice, perché no?, In seguito, avendo attivato un servizio di ospitalità, abbiamo avuto anche esigenze più prosaiche, tipo lavatrice, persiane, ferri da stiro. Tutte cose durevoli.
A me sembrava surreale, ma per te, Dipartimento, era la prassi più tipica. Devi persino avermi spiegato che così fan tutti i Dipartimenti del mondo. Sennò come impedire che qualcuno lucri sulle sovvenzioni? Già, come? (Mah… posso suggerire un bel resoconto finale?)
Un vecchio amico dalla Romagna mi spiegò l'arcano. Le associazioni che ottengono sovvenzioni in questo modo non acquistano beni durevoli, li prendono soltanto a nolo. Quando la sovvenzione è finita e rendicontata, il bene durevole passa all'associazione gratis. Tutto chiaro e pulito, alla luce del sole. Secondo me questa è la maniera migliore per diventare ladri da grandi. Tanto si sa che le regole vanno interpretate, tanto tutto è per un buon fine, una mano lava l'altra, il fine giustifica le fatture… uno parte con le migliori intenzioni e si ritrova ad Hammamet col diabete. Non fa per me.

II. Vivrai del sudore della tua fronte
C'era anche un altro problema: la sopravvivenza. Nel senso che mentre impiegavo questa sovvenzione per creare un'associazione, dovevo pure vivere, comprare il pane, il burro, il detersivo per i piatti.
Caro Dipartimento, tu stai a Roma, è vero. Pure io non vorrei proprio fare il razzista, né indulgere in certa retorica all'amatriciana. Certo, secondo te la vita inizia a quarant'anni, nel senso che siamo giovani fino a trenta e più, e certo viviamo tutti coi nostri genitori. Problemi così terra-terra come l'affitto il dieci del mese non dovrebbero toccarci. Noi dovremmo preoccuparci soltanto di spendere le nostre sovvenzioni in beni non durevoli. Vivendo d'aria, d'amore, e magari di un'esigua cresta sulle nostre sovvenzioni.
Su questo argomento si scatenò presto un dibattito tra me e i miei colleghi. Potevamo tenerci parte del nostro finanziamento per scopo personale? Detto così suonava come un furto, ma d'altro canto come ci si aspettava che campassimo? E chiamammo il Dipartimento.
Quella volta rispose, mi pare, la Cané: e il suo fu il primo di una lunga serie di "Mah, beh, chissà". A un certo punto disse anche: "C'è chi l'ha fatto". Senza aggiungere: "E oggi è a Poggioreale". Senza troppo indagare, considerammo questa risposta in senso positivo. Ma insomma, quanto potevamo tenerci?
"Non so, fate un po' voi".
Bella la vita dei sovvenzionati. Ci si fissa lo stipendio da soli. Certo, da 5000 euro più di tanto non si può lucrare. Noi ci auto-regolammo a meno della metà. Più o meno 300.000 lire al mese, giusto il pane e il burro. A distanza di un anno, non si è ancora capito come debba essere rendicontata questa cifra. "Spese personali". Mah. Anche questo mi faceva pensare a Hammamet. Mentre spalmavo il burro sul pane.
È chiaro a questo punto che dovevo trovarmi un lavoro. Sai, Dipartimento, qui da noi se uno si mette a cercare lavoro il guaio è che lo trova. Poi un giorno mi chiama a casa il Caballero:
"Leonardo c'è?"
"No, è al lavoro".
"Come?"
Un mezzo scandalo. Sotto sotto non avevi mica tutti i torti. Se io lavoro (anche 9 ore al giorno) come faccio a realizzare tutti i progetti che tu mi hai sovvenzionato? E pretendere, per di più, di farci la cresta sopra (trecento luridi testoni al mese?)
Ma cosa potevo fare? Rinunciare al progetto? Mi ero impegnato con altre persone! Rinunciare all'affitto, tornare all'affetto dei genitori? Allora, queste sovvenzioni non ce le dai per farci crescere, Dipartimento, al contrario!
Un bel pasticcio. Ne devo ancora uscire. Ma nel frattempo sento che la mia bella coscienza si è incrinata in qualche punto. Davvero ho lucrato, ho sfruttato la tua fiducia, Dipartimento, ho abusato della nostra amata Europa? Io dopotutto ce l'ho messa tutta. Quello che avrei dovuto fare di giorno l'ho fatto di sera, o nelle pause pranzo. Eppure…

III. Terrai tutti gli scontrini
Io mica sono un santo, Dipartimento, e forse non eravamo proprio fatti l'uno per l'altro. Dovevo tenere scontrini e ricevute e non l'ho fatto. Cioè, ci provavo, ma poi le confondevo, le perdevo, e loro si spiegazzavano, si rendevano impresentabili. E ogni volta sembravano cifre ridicole, ma va', vuoi farti sovvenzionare anche questo? Non ti vergogni?

IV. Non avrai altri Dipartimenti al di fuori di me
Ma tu chi sei, Dipartimento? Perché muti sempre forma, t'incarni e ti reincarni ad ogni telefonata? Passò Cané, passò Caballero, ora è il turno di questa Mastroianni.
"Non mi conosce, sono nuova qui. Quand'è che ci spedisce il rendiconto?"
"Sì, ecco, il problema è che non so cosa mettere nelle spese, perché…"
"Ci mette le cose che ha acquistato, i computer, i fax, ecc.".
"Ma mi avevano detto che queste cose non potevo comprarle!"
"Ah sì?"
Poveretta, è nuova, come fa a saperlo?
L'estate scorsa i miei due colleghi chiesero se potevano pagarsi un viaggio studio. La fregatura fu che chiamarono in due momenti diversi. A uno rispondesti sì, all'altro no. Perché? Così.
Che senso ha cambiare il personale a ogni governo? Solo perché cambia il Presidente deve cambiare anche lo spazzino del gabinetto della presidenza? Quando D'Alema tramontò dovemmo rispiegare tutti i nostri problemi a quelli di Amato. Che adesso ormai avranno già la testa ai tropici, dove andranno il tredici maggio.
Io poi sono una pratica vecchia per te, Dipartimento. Dal '99 è cambiato il regolamento, i formulari, tutto. E anche se sapessi rendicontare con chiarezza e con perizia come ho speso questi soldi, è chiaro che il mio rendiconto andrà a finire nelle mani di qualcuno che non ne sa niente.

V. Non te la prenderai per così poco
Che'tte preoccupi a fa', mi sembra di sentirti dire. Tanto quer quarcuno mica se ttiene i sordi llui, no? In fondo nessuno vuol grane. E qualcosa l'ho messo in piedi veramente. Non un lavoro, perché l'ho dovuto fare nelle pause del lavoro. Con PC presi in prestito, roba da buttare. Ma insomma, qualcosa ho combinato.
E adesso sto per spedirti questo famoso rendiconto. Non so se sto rispettando la scadenza, non so se il formulario è corretto, non me ne frega quasi più niente. Tra 24 ore sarò a Barcellona e forse riderò di tutto questo.
A volte mi viene il sospetto, Dipartimento, che tu sia lo specchio dei miei difetti. Della mia incapacità di osare. E se me ne fossi fregato da subito? Se mi fossi comprato immediatamente un bel PC e con gli avanzi mi fossi fatto un viaggio premio a Ibiza, te ne saresti davvero accorto? E mi avresti biasimato? Chi lo sa?
Può darsi invece che alla fine ci nasca un guaio. Che io debba restituirti il denaro. Allora mi sarei fatto tutto questo culo per niente. Perché in fondo tutte le scelte che ho fatto in questi due anni le ho fatte pensando a te.
Non fraintendermi. Non sono venale. È che quei soldi darebbero un senso a tutto quel che è successo. Ma se li vuoi indietro li avrai, guarda. Voglio solo non pensarci più. E mai più ti disturberò, giuro. Sentirmi un ladro mentre cercavo soltanto di lavorare, Dipartimè, chi me lo fa fa'?
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Vietato informare
Voi non mi conoscete, vero? Non sapete chi sono, non mi avete mai visto, e soprattutto: non avete ricevuto da me nessuna informazione…
Forse a quest'ora già sapete la novità: secondo la nuova legge sull'editoria, qualsiasi sito italiano destinato alla "diffusione di informazioni presso il pubblico" è considerato "prodotto editoriale", soggetto quindi alla legge che impone la registrazione presso il tribunale. Legge del 1948, con qualche addentellato a regi decreti dal 1848 al periodo fascista… occorre indicare un direttore responsabile (ovviamente iscritto alla cupola dei giornalisti) e uno stampatore .E chi non ha amici affilati alla cupola, e non ha intenzione di stampare niente? Punibile con multa fino a £. 500.000 (e va' be') o reclusione fino a due anni. Insomma, voi non mi avete mai visto né sentito. Non sapete neanche come mi chiamo.
È una vittoria della lobby-cupola dei giornalisti (che nei mesi scorsi aveva già tentato di far passare una legge del genere, la famigerata 7292, bloccata alla chiusura delle camere)? Preferisco pensare a una vittoria degli imbecilli, una lobby trasversale che ha aderenti ovunque, anche fra i legislatori. È una legge talmente assurda (e non lo dico io, ma esperti di diritto) da rendersi inattuabile da sola. È già arrivato un primo ricorso alla Corte Costituzionale.
A questo punto ci mancava soltanto l'intervento di un politico che "invitasse alla calma": e puntuale arriva Vannino Chiti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio per l'editoria: Chi ha un sito amatoriale deve stare tranquillo. La discriminante fondamentale che separa un sito che fa informazione da uno che non la fa è la periodicità.
Ecco, mi sento proprio rassicurato. Forse chi ha un sito non è abituato ad aggiornarlo periodicamente? Una volta all'anno, al mese, al giorno, sempre periodico è. O basta essere irregolari per non "fare informazione"? Se aggiorno il mio sito (ammesso e non concesso che io abbia un sito) per tre giorni di seguito, posso incorrere in sanzioni? Andranno in California a sequestrare il mio server? Per sentirsi ridere in faccia da tutte le nazioni del mondo, tranne forse Cina e Corea del Nord? E l'articolo 19 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo? E l'articolo 21 della Costituzione? Insomma, la libertà di espressione?

Un po' di link sull'argomento, in ordine d'interesse:
Qui succede un "quarantotto" (Interlex)
Vittoria e sconfitta - UNA RISATA A TUVALU SEPPELLIRA' UNA LEGGE ITALIANA? (Peacelink)
Fuori legge l'informazione online? (Vita)
La legge sull'editoria scatena il panico in Rete (Repubblica)

Devo citare anche Giap, la newsletter di Wu Ming Fundation, che naturalmente non è molto tenera nei confronti dei legislatori (Da ieri siamo tutti fuorilegge. E' entrata in vigore la nuova, incredibile orrorifica legge liberticida sull'editoria). Interessante la dicitura provvisoria proposta:

/Giap/ e' la lettera circolare di Wu Ming. E' aperiodica, gratuita, diffusa a titolo volontario e non retribuito da Wu Ming Foundation, via Zamboni 59, 40126 Bologna, Italia. Non e' un organo di stampa, ma una lettera interna alla comunità dei lettori dei nostri libri. Poiché in senso stretto non fornisce regolarmente informazioni bensì garantisce altro genere di servizio (il contatto diretto tra noi e i lettori), riteniamo non rientri nelle fattispecie della legge n.47 dell'8/2/48 ("Legge sulla stampa"). Qualora il Partito Nazionale Fascista e/o la Casa Reale fossero del parere opposto, possono contattarci scrivendo al mittente di questa mail.

In un altro messaggio:

/Giap/ e' la newsletter telematica di Wu Ming.
Supplemento alla "Neue Rheinische Zeitung"
Direttore responsabile: Karl Marx


Anch'io voglio un direttore responsabile prestigioso. Potrei uscire, non so, come supplemento al Politecnico di Vittorini. O a Lacerba di Soffici e Papini, vecchio amore. Chi sa se Marinetti può dire una buona parola di me all'Italia Futurista...
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Due libri e tre gravidanze
La storia dei miei concorsi è una storia di infinite umiliazioni.
L'università ti vizia, ti ammansisce con basse dosi di burocrazia, e soprattutto, quando non è a numero chiuso, t'illude che la quantità non sia un problema, mai: anzi, più si è, più gli esaminatori vorranno sbrigarsela con noi.
Malgrado avessi avuto a disposizione tutti gli elementi necessari a capirlo per tempo, devo ammettere che il risveglio è stato brusco. Sul mercato del lavoro i laureati in lettere valgono molto poco, perché sono troppi. Se si fa un concorso (posto che ci sia un motivo per farlo, a parte la campagna elettorale), essi parteciperanno a migliaia. Così il concorso durerà più di un anno (12 mesi esatti tra lo scritto e l'orale).
"Abbia pazienza", dicevo ieri per telefono a una signorina della sovrintendenza, "ma quel che ho scritto sulla domanda del '99 proprio non me lo ricordo. Voglio dire, per me un anno, un anno e mezzo è praticamente una vita. Ho scritto anche (petulante) un paio di articoli, e..."
"Sì, lo so, che avete tutti scritto due libri, e tre gravidanze, ma il problema è che siete in troppi, per cui se vuole provare a darmi il suo nome e cognome, io andrò a cercare..."
(Contrito)"La ringrazio, la ringrazio tanto..."
Non so esattamente di quanto, ma direi che una gravidanza valga molto di più di una pubblicazione, in termini di punteggio.
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