Le primarie non le vincerà, ma almeno il Congresso Pd sembra averlo portato a casa Dario Corallo. A distanza di qualche giorno il suo intervento è l’unico rimasto in mente a chi non segue il dibattito congressuale per mestiere o masochismo. Non era neanche così imprevedibile che un outsider ottenesse questo risultato, anzi, è una situazione ricorrente nelle fasi più critiche della storia del partito: qualcosa di molto simile capitò quasi 10 anni fa dopo la caduta di Veltroni, quando a un’assemblea parlò una giovane Debora Serracchiani. Corallo non era nemmeno l’unico giovane a proporre l’ennesima tabula rasa, l’ennesima rottamazione; se è riuscito a battere la concorrenza e a imporsi su YouTube è perché ha avuto l’idea di scatenare una polemica con un personaggio che in rete funziona meglio di qualsiasi quadro del Pd: Roberto Burioni.
Con una mossa apparentemente pretestuosa, al culmine di un ragionamento un po’ confuso, Corallo ha avuto quel guizzo di genio che gli ha permesso di apparire sulle homepage di più testate nazionali. Anche perché Burioni se l’è presa – ma questa era la cosa più prevedibile di tutte – mettendo in guardia il Pd dalla “tentazione di fregarsene della scienza (e della salute delle persone), per accarezzare il pelo all’ignoranza”.
Vale la pena di spiegare l'equivoco? Corallo ovviamente non proponeva di ”fregarsene della scienza”, ma lamentava che il Pd avesse fatto proprie un insieme di dottrine economiche – più liberali che socialdemocratiche – scambiandole per scienza “esatta” e rifiutandosi di discuterle con gli elettori, così come Burioni si rifiuta di discutere seriamente coi NoVax. È un paragone piuttosto sghembo: i NoVax sono una frangia tutto sommato modesta dell’elettorato (anche se blandita da M5S e Lega); il Pd deve porsi il problema di recuperare un bacino molto più ampio.
Evocando Burioni, Corallo è riuscito a dirottare un po’ di attenzione su di sé, ma il risultato è che ora non stiamo parlando davvero di Corallo: stiamo parlando di Burioni. Malgrado abbia colto l’occasione per ribadire che non intende impegnarsi in politica, è lui il vero vincitore del congresso. Non come candidato, ma come programma politico. Chiunque vincerà le Primarie – Zingaretti o Minniti, la gara non entusiasma – si troverà davanti a un bivio: essere burionisti o rinnegare il burionismo? Il Pd del 2019 sarà il partito delle eccellenze, dei professionisti di successo, o sarà il partito del “99% che non ce la fa”? Sembra che alla fine lo scontro – perché di uno scontro c'è bisogno – sarà questo. In attesa che Renzi si rifaccia vivo (impossibile pensare che non vorrà di nuovo dire la sua); in mancanza di candidati dalla personalità forte; nell’eclissi generale dell’ideologia, il burionismo è almeno un argomento su cui ci si può confrontare.
Ha anche il pregio della chiarezza: il burionismo non è così difficile da definire. È una forma di meritocrazia – parla solo chi è competente, parla solo chi è laureato – che da lontano può somigliare a quel caro vecchio elitismo, quell’attitudine snob che gli avversari della sinistra le hanno sempre imputato. Salvo che una volta la sinistra respingeva la definizione o, quando proprio non poteva respingerla, l’ammetteva con pudore, come una debolezza, un peccato originale; mentre il burionismo oggi rivendica la propria superiorità senza vergogna, anzi con una certa sfacciataggine – e in questo modo, paradossalmente, perde tutta quella patina snob e talvolta finisce per somigliare, nei toni urlati e sprezzanti, ai populisti che combatte: vedi come ha reagito all’intervento di Corallo la fanbase dei seguaci di Burioni su Twitter.
Il burionismo, poi, non poteva che nascere sui social: è una strategia comunicativa che ha senso soprattutto lì. E forse non è un caso che i grandi “blastatori” italiani su Twitter siano quasi tutti professionisti ultracinquantenni, che scoprono il mezzo quando ormai i giorni in cui erano abituati a confrontarsi tra pari sono un ricordo lontano. Paradossalmente è proprio questo approccio verticale a dare spettacolo, quando impatta contro l’architettura democratica dei social network e produce scintille: le “blastate”. La differenza tra il burionismo e il grillismo, o il leghismo 2.0 rifondato su Facebook da Salvini e Morisi non è il mezzo, infatti, ma il fine: il burionismo è arrogante perché deve proteggere la scienza e salvare delle vite. Di questo Burioni è convinto e non si stanca di spiegarlo – anche se non ha ancora i numeri per provarlo: blastare funziona. A chi gli obietta che le umiliazioni e gli insulti non hanno mai convinto nessuno, Burioni risponde che il suo scopo non è convincere i NoVax – per Burioni sono irrecuperabili – ma impressionare il pubblico che assiste agli scambi, e che evidentemente si lascia conquistare più da un blastaggio che da un ragionamento pacato. Il burionismo è uno scientismo cinico: crede nella scienza e solo nella scienza, ma allo stesso tempo non ritiene che la scienza sia comprensibile a tutti. La divulgazione dev’essere semplice, e includere qualche momento catartico-liberatorio in cui l’ignorante viene sollevato dallo spettacolo dell’umiliazione di qualcuno più ignorante di lui.
Luca Morisi
Questo per sommi capi è il burionismo, e non è detto che non funzioni. Il personaggio c’è, vende libri, va in tv, egemonizza il dibattito del principale partito d’opposizione, e nel frattempo le vaccinazioni aumentano – non necessariamente grazie a lui, ma aumentano. Non è così strano che il nome di Burioni desti più attenzione di quello di qualsiasi concorrente alla segreteria del Pd. Il Pd è reduce da un insuccesso storico; Burioni, per dirlo con le sue parole, è: “Qualcosa di unico sia dal punto di vista social media sia dal punto di vista editoriale, non solo nel nostro Paese”. Ma il burionismo può davvero diventare la base programmatica e la strategia comunicativa del Pd? Burioni diventò famoso quando gli capitò di scrivere che la scienza non è democratica, un’affermazione abbastanza controversa che fece breccia però immediatamente, al punto da alimentare un sospetto: non è che a tanti burionisti la scienza piace proprio perché non è democratica? Un bell’argomento per chi si scopre critico nei confronti del suffragio universale, per chi periodicamente propone di “superarlo”.
Può il Partito Democratico ospitare in sé un punto di vista così poco democratico? E cosa succede – si domandava Corallo – quando dalla scienza “dura” si passa a discipline più controverse, come l’economia, la sociologia, l’ecologia? Come impedire che la fiducia nella competenza si trasformi in dogma, e il burionismo diventi una specie di religione? Ammesso che blastare i NoVax funzioni, possiamo pensare di blastare allo stesso modo i NoTav, fingendo che non abbiano argomenti e obiezioni sensati, basati su osservazioni, calcoli, ragionamenti?
Si sarà capito che per me tutte queste sono domande retoriche. Non credo che si possa essere burionisti e democratici, bisognerebbe scegliere: e in un partito che si chiama ancora “Democratico”, la scelta mi sembra ovvia – sempre che possiamo ancora permetterci di essere democratici. Perché ecco, forse il problema è proprio questo: possiamo ancora permettercelo?
Corallo propone di andare verso il popolo, una proposta fin troppo ovvia per quello che in teoria sarebbe un partito di (centro) sinistra. Ma nella pratica il popolo è già stato opzionato da altri due partiti populisti, che si sono contesi lo stesso bacino elettorale con promesse imbattibili, e attualmente governano insieme. Certo, prima o poi saranno costretti a vedere i loro bluff, prima o poi ogni promessa elettorale rivelerà il suo lato oscuro. Ma potrebbe volerci ancora qualche anno, e a quel punto è persino possibile che gli elettori reagiscano alla delusione cercando qualcosa di sensibilmente diverso. Per un partito politico in crisi la ricerca di un’identità coincide spesso con la ricerca di una nicchia elettorale e con due avversari populisti al governo, il Pd non potrebbe essere popolare e democratico, neanche se ci tenesse davvero (continua su TheVision sempre più menagramo).
Un'eredità di questi ultimi decenni è il fatto che persone non di sinistra stanno a spiegare a quelli di sinistra cosa devono fare per essere di sinistra nel modo giusto.
Il problema della gioventù piddina consiste nella pochissima creatività politica. Sono ancorati ad un concetto di "sinistra" arcaica e,tristemente,credono che il futuro siano anziani demagoghi come il Sanders o,peggio ancora,il Corbyn. Sono veramente una generazione perduta. Fare un discorso,da parte di un trentenne da dieci anni organico al partito,fiacco e scontato culminante in un lapsus freudiano dove viene seppellita la pluridecennale esperienza di un luminare,legandolo ad un "come un Burioni qualsiasi" rende l'idea della mentalità del suddito insita in tal giovane uomo. La democrazia è in pericolo perché nn c'è una classe politica giovane che difenda la competenza come veicolo di libertà.
Il paragone non è "sghembo" perché i No-Vax siano pochi. Ma sul serio serve spiegarlo? Il paragone è *senza senso* perché: - una cosa sono le opinioni politiche, altra le teorie (nel senso più epistemologicamente corretto) della scienza; - i No-Vax non sono gente con cui si possa "discutere"; - un partito DEVE discutere con gli elettori; gli scienziati non devono discutere con i pazzi saccenti rischiando di dare visibilità alle loro fesserie.
Quando Burioni dirà (e non lo farà mai, perchè è una persona seria) che i suoi argomenti hanno valore universale, e quindi il medico, in quanto laureato e/o competente del suo ramo del sapere, ha sempre ragione su qualsiasi argomento, politica inclusa, a prescindere in quanto lui è laureato e gli altri non sono un c..., Corallo avrà un minimo di ragione. Ma fino a quando, come è stato finora, BUrioni non parlerà da candidato segretario di un partito, ma da esperto di UN argomento che su quell'argomento prende a sberle metaforiche gli analfabeti che pretendono pari dignità in nome di un'inesistente democrazia della conoscenza, Corallo rimarrà un emerito imbecille.
Anch'io ho smesso di capire quel che stava dicendo quando ha pronunciato le parole "un burioni qualsiasi", la stessa cosa che ho provato quando di maio ha detto "un padoan qualsiasi"... io ho pensato ma chi cazzo sei tu per dare del "qualsiasi" a chiunque. ecco.
lo so, non era Corallo l'argomento principale di questo tuo intervento, però hai dimenticato di citare la qualifica "qualsiasi" da lui adoperata nei confronti di Burioni: a parte il significato dispregiativo,come se di Burioni ce ne fossero a centinaia (purtroppo non è) o, peggio, equiparandolo a un complottista "qualsasi"
È un cattivo segno quando i genitori la prima volta ti danno del tu. Non è mancanza di rispetto. È proprio che non hanno capito che mestiere stai facendo.
"Ci sono io".
"Sì, ma cercavo una maestra".
"Beh io insegno qui".
In questi casi la giacca può fare la differenza. Senza giacca è possibile che ti prendano per un bidello. Con la giacca puoi passare anche per un vicepreside. Ma un maestro no, non pensano mai al maestro.
"Ah, mi scusi, non avevo capito".
È una questione di istanti: alla sorpresa subentra il sospetto. D'accordo, ho davanti un insegnante di sesso maschile. Cos'è andato storto con lui? Perché non è da qualche parte a fare un lavoro meglio pagato? Che errori ha commesso? Che peccati sta scontando? Forse semplicemente non aveva abbastanza ambizione.
È difficile essere insegnanti di sesso maschile? Probabilmente non quanto essere ingegneri di sesso femminile. O vigili del fuoco di sesso femminile. O insomma avere il sesso femminile, in generale, in tutti i luoghi di lavoro dove è minoritario e cioè praticamente dappertutto tranne che a scuola e forse in qualche infermeria. Questo è più vero nelle scuole italiane che in quelle di altri Paesi; più nelle scuole primarie che nelle secondarie (all'università, man mano che aumenta il prestigio e il salario, il rapporto si inverte). È una di quelle disparità intorno alle quali ancora oggi è costruita la nostra società. Anche nei più avanzati Paesi al mondo, ci si aspetta ancora che la donna trascorra mediamente più tempo dell'uomo in casa e coi figli: l'insegnamento è un mestiere che lo consente. Certo, con l'aumento del benessere aumenta la fluidità: una donna può permettersi di dedicarsi alla carriera mentre il marito si accontenta di fare un mestiere che gli piace e che gli consente di gestirsi qualche pomeriggio coi figli. Proprio per questo è allarmante il fatto che nei prossimi anni in Europa il gap tra insegnanti maschi e femmine aumenterà. Evidentemente la società si sta irrigidendo, e la scuola non può che rifletterlo. Per esempio, quando i maestri australiani ammettono di avere difficoltà con il contatto fisico, è chiaro che sono vittima di uno stereotipo di genere: nessuno si spaventa se una maestra tocca un bambino, perché con un collega maschio dovrebbe essere diverso? Allo stesso tempo lo stereotipo si basa su un senso comune confermato da dati statistici: la maggior parte dei sex-offenders risultano essere di sesso maschile, e spesso gli individui con tendenze pedofile scelgono una professione che consenta loro di lavorare a contatto coi bambini. Certo, se ci fossero più insegnanti maschi, il sospetto si diraderebbe (ma aumenterebbe anche la possibilità che un maestro risulti davvero un sex-offender). Negli Stati Uniti i maestri elementari non hanno smesso di essere una rarità, ma stanno diventando una rarità ricercata: pare infatti che a parità di condizioni, ottengano mediamente risultati migliori delle colleghe. Ma se questo accade è proprio perché insegnare, per un uomo, è ancora uno stigma sociale, un potenziale disonore che dissuade dall'intraprendere la professione chiunque non sia fortemente motivato. I maestri, insomma, sarebbero buoni proprio perché sono rari: il che significa che diventeranno sempre meno buoni man mano che aumentano e forse ci accorgeremo di aver ottenuto l'uguaglianza quando cominceremo a trovarne di scarsi (continua su TheVision).
[Questo pezzo è uscito ieri su TheVision]. Capita un paio di sere ogni estate. Mentre cerco di parcheggiare sotto casa, trovo una camionetta della polizia. Lì per lì non ci faccio caso. Poi verso le dieci di sera, invece dei soliti echi di pianobar, comincio a udire cazzate alla finestra. Ce l'hanno coi musulmani, con l'Europa, ancora loro? Sono arrivati i tizi di Forza Nuova, più puntuali e molesti di un circo Togni. Sono sempre una ventina, probabilmente nel pulmino non ce ne stanno di più. Non fanno numeri di giocoleria, sanno solo sventolare tricolori, uno per braccio, forse nel tentativo di sembrare il doppio. Non mangiano spade, non sputano fuoco, al massimo sempre quelle tre cazzate, l'Europa è Cristiana Non Musulmana e così via. La gente transita un po' perplessa: il mio piazzale è equidistante tra un kebab e la gelateria. Ma in fondo che male c'è. Hanno diritto di dire quello che vogliono, no? In Italia c'è libertà di parola, e quindi perché non occupare un parcheggio con venti ragazzotti, quaranta bandieroni e un megafono e scandire per due ore "L'Europa è Cristiana, non Musulmana"?
E se io scendessi ad avvertire che hanno rotto i coglioni: non sarebbe libertà di parola anch'essa?
È una domanda retorica. Chi ci ha provato le ha prese un po' da loro, un po' dalla polizia: poi è stato denunciato e condannato a pagare multe da 2000 euro. Sembra insomma che la libertà di parola dei forzanovisti sia molto preziosa. Dev'essere il motivo per cui, ogni volta che me li ritrovo nel piazzale, tutto intorno è silenzio: il sindaco fa bloccare il traffico. Il sindaco in effetti non sembra mai molto entusiasta di trovarseli tra i piedi, ma in questura pare che ci tengano molto al diritto di parola dei forzanuovisti. Ci tengono talmente che di solito mandano almeno due camionette, più di una quarantina di agenti bardati di tutto punto, sicché i ragazzotti di Forza Nuova che vengono dal Veneto a sgolarsi sul concetto dell'Europa Cristiana non hanno solo due bandieroni a testa, ma anche due o tre o quattro agenti di pubblica sicurezza che vegliano sulla loro incolumità e sulla loro libertà di espressione. Così la mamma è contenta, dev'essere una tizia assai apprensiva, tesoro, dove vai? Vado in Emilia Romagna a difendere la civiltà cristiana. Tesoro, ma sei sicuro? Tranquilla mamma, ci assegnano quattro agenti a testa, e li paghi tu con le tue tasse, sei contenta?
Se vuoi protestare contro il tour estivo di Forza Nuova devi trovarti in una piazza ad almeno 500 metri di distanza, e accomodarti dietro la transenna, dove ci sono i poliziotti più simpatici che spiegano ai cittadini che non ci possono fare niente, anche loro sono antifascisti, siamo tutti antifascisti, però ehi, la libertà di parola dei forzanuovisti è tutelata dalla Costituzione e quindi dietro la transenna e muti. Ché tra un po' il siparietto finisce, i ragazzotti tornano a casa in pulmino e i poliziotti si pigliano auspicabilmente una serata di straordinario in busta, win win e buonanotte. Vien da pensare che il senso sia tutto qui: questi sbandieratori da noi non se li fila nessuno, e dire che di razzisti anche qui sarebbe pieno, ma più che razzisti sembrano la caricatura. Non ce l'hanno un po' d'orgoglio anche loro, non si vergognano di essere trattati dalle forze dell'ordine come una specie protetta? Anche a Brescia, ho letto che la polizia li scorta mentre fanno le ronde, perché da soli non si azzarderebbero ad andare in giro nei quartieri difficili. Dunque, se ho capito bene: nei quartieri difficili di Brescia si sente la mancanza delle forze dell'ordine; da questa mancanza scaturisce la necessità di una ronda di Forza Nuova, e a questo punto la polizia ci va per scortare i ragazzotti di Forza Nuova che da soli in effetti potrebbero farsi male. Qualcosa non mi torna.
D'altro canto devono pur potersi esprimere: libertà di parola! Quel che non sopportano è che gli altri si esprimano su di loro. Alla vigilia della finale della Coppa del Mondo di calcio un giornalista sportivo molto vicino a Casa Pound scrive un tweet dove saluta la nazionale croata "completamente autoctona, un popolo di 4 milioni di abitanti, identitario, fiero e sovranista", contro il melting pot della selezione francese. Nessuno lo picchia per quel tweet, nessuno lo minaccia; qualcuno ridacchia perché ha scritto "melting pop" che come refuso è abbastanza geniale; molti lo prendono in giro, ma ehi, non si può piacere a tutti, no? Specie se manifesti insofferenza con tutti quelli che non sono "autoctoni", cioè più o meno chiunque. E sicuramente un po' di polverone aveva messo in conto di sollevarlo; non è un ragazzino. Però succede che prenda le distanze la Mediaset, nientemeno: e questo forse non l'aveva calcolato Il tizio in questione infatti non scrive solo su "Il Primato Nazionale / Quotidiano Sovranista": è anche un riconoscibilissimo dipendente dell'azienda, e Mediaset tra l'altro è in una fase delicata. L'approccio allarmista adottato in campagna elettorale nei confronti dei migranti si è molto stemperato, ormai è normalissimo ascoltare opinionisti in prima serata su Rete4 che spiegano che l'Italia ha bisogno di badanti, quindi di migranti – regolari, s'intende – che Salvini dovrebbe pensare a farne entrare di più di regolari, invece di prendersela con quei poveretti sui barconi. Insomma Mediaset sta correggendo il tiro, e così le redazioni giornalistiche e sportive approfittano del tweet del suo dipendente per prendere le distanze dal "contenuto razzista" del tweet. Apriti cielo. Come puoi parlare di "razzismo" per un tweet che difende il sovranismo degli autoctoni? Pare che non sia ammissibile (continua su TheVision).
Poi mi chiedo se i fascisti che plaudono alla Croazia autoctona sono gli stessi che rivendicano Istria, Fiume e Dalmazia italiane e, se sì, se hanno mai guardato una cartina geografica.
7/30/2018, 4:06:00 PM
Dove c'è una scuola ghetto, guardati intorno: troverai anche una scuola cattolica
[Questo pezzo è uscito venerdì scorso su TheVision]. Due bambini nati nello stesso ospedale vivono nella stessa strada. I loro genitori lavorano nello stesso cantiere. Un bambino a settembre andrà nella scuola dell'infanzia del quartiere; l'altro no. Forse dovrà prendere un pulmino e andare in una scuola da qualche parte in provincia, oppure resterà a casa. Il primo bambino, ovviamente, ha la cittadinanza italiana: il secondo no. A chi si chiedeva a cosa sarebbe servita una legge sullo ius soli: a evitare aberrazioni come questa. Non è una proiezione, non è un episodio sporadico: è la situazione in cui potrebbero per esempio trovarsi a settembre più di sessanta bambini a Monfalcone, provincia di Gorizia. Il sindaco non li vuole nelle scuole dell'infanzia statali.
Ovviamente è più complicato di così. Due istituti comprensivi di Monfalcone hanno fissato un tetto del 45% di alunni "stranieri" per classe che taglierebbe fuori appunto una quarantina di bambini. Il sindaco, Anna Cisint (Lega) ha sostenuto la scelta dei due istituti, e a sua volta ha ricevuto il sostegno del suo leader e ministro degli interni, Matteo Salvini. I sindacati hanno fatto un esposto in procura; il ministro dell'istruzione (anche lui d'area leghista) ha cercato di placare gli animi ventilando la possibilità di aprire altre due sezioni. Ma insomma siamo ormai a fine luglio e più o meno quaranta famiglie non sanno ancora se i loro figli di tre anni frequenteranno una scuola dell'infanzia, e quale. È quel tipo di incertezza che può costare un posto di lavoro a un famigliare: se il bambino resta a casa, qualcuno dovrà rimanere con lui. Più facilmente una madre o una sorella. La Cisint teme che accogliendo più "stranieri" le scuole diventino un ghetto.
Metto la parola "stranieri" tra virgolette, perché in molti casi parliamo probabilmente di bambini nati in Italia che una legge un po' medievale considera non cittadini del Paese in cui hanno trascorso i primi tre anni di vita. La Cisint dà per scontato che non siano molto integrati, e se continueranno a restare in famiglia non c'è dubbio che non si integreranno; se poi in famiglia non hanno imparato a parlare in un buon italiano, non è restando in casa che lo impareranno. Tra tre anni in ogni caso dovranno iscriversi alla scuola dell'obbligo, probabilmente proprio negli stessi istituti comprensivi che ora vorrebbero tenerli fuori. Insomma il ghetto è solo rimandato. Non è che il sindaco non se ne renda conto. Lei insiste che i bambini dovrebbero essere assorbiti dalle scuole dei distretti limitrofi. Fin qui non ha ottenuto nulla, ma il braccio di ferro potrebbe andare avanti fino all'inizio delle lezioni.
Sarebbe abbastanza facile accusare la Cisint di xenofobia e razzismo. Di sicuro molti suoi elettori sono xenofobi; lei stessa non sembra impegnarsi molto per combattere questa impressione: qualche mese fa ostacolò la nascita di un centro islamico perché secondo lei "le moschee in Italia non sono previste". È riuscita perfino a espellere lo sport nazionale bengalese, il cricket, dalla Festa dello Sport di Monfalcone. Il caso delle scuole d'infanzia però è più delicato. Quello che propone, almeno in senso astratto, è ragionevole; è la stessa cosa che cercherebbe di fare un sindaco di qualsiasi altra area politica, anche progressista. Non vuole respingere i bambini "stranieri", o nasconderli sotto il tappeto. Vorrebbe semplicemente spalmarli su una superficie più vasta, in modo da favorire l'assimilazione culturale, che preferiamo chiamare "integrazione".
Com'è stato scritto fino alla noia (ma alcuni non hanno intenzione di leggere) l'emergenza stranieri in Italia è tutto fuorché un'emergenza. Non stanno arrivando molti stranieri, in percentuale: il flusso è costante ma stabile. Eppure chi soffia sul fuoco dell'intolleranza ha buon gioco a mostrare come in certe realtà gli immigrati sembra abbiano preso il sopravvento sulla popolazione locale. A una certa ora del pomeriggio sembra che in giro ci siano soltanto stranieri; e anche davanti alle scuole, altro che otto per cento. Gli immigrati tendono a insediarsi a macchia di leopardo, e questo favorisce lo sviluppo di un sentimento xenofobo sia nei quartieri dove gli italiani temono l'accerchiamento, sia in quelle larghe zone del Paese dove gli immigrati sono talmente pochi che vengono ancora percepiti come alieni dallo spazio profondo. Se davvero li si potesse distribuire più uniformemente nel territorio, sarebbe molto più facile integrarli. È in fondo il principio per cui i centri di permanenza sono stati disseminati in tutte le regioni; lo stesso principio per cui l'Italia chiede ai Paesi europei di ospitare quote più alti di richiedenti asilo. In piccolo, è la stessa logica che la Cisint cerca di applicare alla sua Monfalcone. È un distretto industriale che sopravvive alla crisi: gli immigrati sono arrivati perché cercano lavoro, e alla Fincantieri e in altre aziende della zona il lavoro c'è. Che iscrivano i propri figli già alle scuole d'infanzia è una buona notizia; significa che in molti casi lavorano anche le madri, e il lavoro è un fattore cruciale dell'emancipazione femminile. Sempre che ci siano scuole disponibili: a Monfalcone forse non ci sono. Ma sono davvero così tanti, e così prolifici, i lavoratori di cittadinanza non comunitaria in città? (Continua su TheVision)
Come potrai leggere le scuole dell'infanzia vengono inquadrate in statali e private. Oltremodo il dettame costituzionale indica che le scuole private debbano essere edificate senza oneri da parte dello Stato,ma che possano riceverne i finanziamenti per la didattica. Con la parificazione si è voluto rendere esplicita la tal cosa,per fare un esempio è come nn voler rendere legge l'eutanasia e lasciare tutto in mano al "buon cuore",mi darai atto che la cosa puzza di manicheismo. Il concetto di "binario economico" lo sostanzio in un banale approccio edilizio,dove la struttura atta all'apprendimento vede già il suo manufatto esistente. Oltremodo,sempre con la parificazione,anche le linee guida ministeriali sono implementate in toto. I costi delle parirarie sono molto esigui per lo Stato e vengono sopperiti da una alta retta,perciò coloro che mandano i loro virgulti nelle stesse nn sono dei bisognosi economici,ma dal mio punto di vista,dei deficienti sociali. Il tutto nn inficia che si è dovuto ricorrere ad un sindacato per un esposto in procura dove sarebbe bastato un semplice rigurgito di orgoglio professionale(nn contemplato nel contratto e perciò nn retribuito)per sanare una caxxata che ha dovuto esprimere il ministro dell'istruzione in persona. Mi pare che ci siano dei problemi Houston...
Ps Lo scrivente è un fervido sostenitore della scuola pubblica.
Nn si capisce quel che scrive. Le paritarie sarebbero pronte a cosa? Il contesto ideologico quale sarebbe? Io mi muovo soltanto nel "più prosaico binario economico": le scuole paritarie sono private e il dettato costituzionale prevede che si finanzino senza oneri dello Stato. Quindi: o riescono a svolgere la funzione sociale per la quale sono previste (che prevede anche l'integrazione), e riescono a svolgerla senza chiedere soldi ai contribuenti, oppure è un bene che chiudano e siano sostituite da scuole che accolgono tutti senza selezione all'ingresso.
Perfetto, se la sua missione è stare nei quartieri ghetto, si prenda la sua quota di stranieri e poveri: e se la prenda gratis, senza oneri per lo Stato, come è previsto dalla Costituzione.
A quel punto di solito ti fanno notare che non avrebbero soldi. Ma non è che possono chiedere a me contribuente soldi per la loro missione.
Date tutti per scontato che la scuola statale abbia dei problemi (senz'altro ne ha). Faccio notare che: – Si parla di scuole comunali, non statali. – Se il "problema" sono le classi ghetto, è un problema causato anche dall'esistenza di scuole paritarie cattoliche: il pezzo parla di questo, non di Don Camillo e Peppone. – Dove è possibile fare raffronti tra scuola pubblica e privata (diciamo dalle primarie in su), in Italia la pubblica ottiene risultati migliori.
Oltremodo qui si tratta di inserire dal primo stadio di apprendimento dei bambini per cui si avrebbero tutti i vantaggi dell'integrazione. Questo caso di Monfalcone rivela oltremodo la situazione in cui la scuola statale versa. C'è voluto un esposto in procura da parte di un sindacato dove poteva essere sufficiente una presa di posizione da parte dei docenti per fermare tale deriva. La sindaca ha giocato con la pelle dei deboli e chi dovrebbe essere dalla loro parte se n'è lavato le mani.
Invece di focalizzare l'attenzione sull'esistenza delle paritarie(che tra l'altro nn si discostano dal dettato costituzionale),mi porrei la domanda del perché la scuola statale si oppone anche a chi,tra i suoi docenti,vorrebbe vedere attuata l'autonomia scolastica. Credo che equiparare le paritarie alle statali,aldilà del contesto ideologico(che esiste,sia chiaro)possa risolversi in un più prosaico binario economico. Le paritarie sono già belle che pronte,banalmente. È la proposta che fa la differenza.
Il mio maestro all'Università era un gesuita e mi diceva sempre che è sempre bene essere un po' anticlericali, però questa polemica mi pare piuttosto debole. Con tutto il male che si può pensare, per la Chiesa quella di stare in un quartiere ghetto è parte integrante della sua "mission(e)" (triste gioco di parole), o no? O sarebbe preferibile che stessero solo nei quartieri nobili e conservatori della città? Il vero problema è sempre il solito, invece, la Scuola statale dove, con le dovute eccezioni, non si riesce a fare il bene di nessuno, né dei peggiori, né dei mediocri, né dei migliori. E non mi si chieda "cosa faresti tu?", perché non lo so.
[Questo pezzo è uscito lunedì su TheVision]. Il preside-sceriffo ha i giorni contati. In realtà non ha mai fatto in tempo ad appuntarsi la stella sul petto e appoggiare gli speroni sulla scrivania. L'Italia non è mai stata quel tipo di Far West, e ormai è tardi per cominciare.
Fuor di metafora: la chiamata diretta non esiste più. Il neoministro dell'istruzione Marco Bussetti ha firmato a fine giugno coi sindacati una bozza d'accordo che ne prevede il superamento. È una misura importante soprattutto da un punto di vista simbolico, perché i margini di autonomia del dirigente erano già stati più volte ridimensionati. Agli sceriffi la legge del West consentiva di radunare uno squadrone di civili (una "posse") per dare la caccia ai ladri di cavalli. Ai presidi, le bozze originali della Buona Scuola davano la facoltà di assumere direttamente gli insegnanti, ma già tre anni fa i legislatori avevano corretto il tiro, istituendo un "comitato di valutazione", nominato da docenti e genitori.
Più tardi aveva preso piede l'espressione "chiamata per competenze", e su questo i reduci renziani insistono ancora: non bisognerebbe chiamarla "chiamata diretta", ma "chiamata per competenze", ovvero il preside avrebbe scelto, sì, con una certa discrezionalità, indubbiamente: ma sulla base delle "competenze" dei candidati, certificate dal curriculum. Ma "chiamata per curriculum" sarebbe forse suonata male, mentre il termine passpartout "competenza" negli ultimi anni si è dilatato fino a diventare un paravento dietro al quale nascondere qualsiasi magagna. In questo caso il termine si riferiva a un misterioso quid che rende certi insegnanti più adatti a certe scuole, in base a parametri che non si potrebbero misurare coi concorsi nazionali. Soltanto i presidi, e i loro collaboratori, sarebbero stati in grado di saggiare la "competenza" dei candidati all'insegnamento, previa lettura del curriculum.
Come si leggeva in una delle slide che presentavano la Buona Scuola: "i presidi potranno formare la loro squadra". Più che un preside-sceriffo, un preside-manager sportivo, che gestendo sapientemente il proprio budget seleziona una rosa in base alla propria conoscenza del territorio, e al proprio fiuto didattico. In che modo poi i presidi avessero improvvisamente maturato competenze manageriali e didattiche non era affatto chiaro – la sensazione è che Renzi e co., nel momento in cui avevano deciso di occuparsi del complicato mondo della scuola, si fossero seduti al tavolo delle trattative chiedendo: chi comanda qui? I presidi? Bene, allora diamo tutti i poteri ai presidi, ecco fatto, era facile. Renzi li paragonava anche ai sindaci, e questa è l'immagine che chiarisce le altre: così come i sindaci avrebbero salvato il Paese (Renzi in testa, futuro Sindaco d'Italia), così i presidi avrebbero salvato la scuola. Bastava fidarsi di loro.
Su questa linea i difensori della Buona Scuola non cedono: i dirigenti scolastici avrebbero saputo individuare i meriti e le eccellenze molto meglio di qualsiasi concorso statale. Un paradosso ben curioso, visto che i presidi stessi vengono selezionati in base a concorsi statali. Ma tant'è; il preside era la figura più simile a quella del sindaco, dell'allenatore, del manager: il renzismo non poteva che fare affidamento su di lui. Questa mentalità manageriale, benché posata su basi teoriche malferme, garantì a Renzi l'appoggio di fior di opinionisti liberali, sempre pronti a ribadire che "la meritocrazia è di sinistra"; in compenso gli alienò le simpatie di molti insegnanti, ma non si può piacere a tutti. La concezione aziendalista della scuola non è una novità: nel decennio scorso è stata portata avanti senza remore da più di un ministro di area berlusconiana (Letizia Moratti, Maria Stella Gelmini). Vederla ripresa orgogliosamente da un governo di centrosinistra alla fine non stupiva neanche più tanto.
Vivo in Inghilterra con figli alle elementari (primary school), che hanno un sistema a cui immagino sia ispirata questa "buona scuola". Le distorsioni del sistema qua si vedono tutte, con ottime scuole (anche pubbliche) a cui i genitori piu' attenti/ricchi/istruiti vogliono tutti iscrivere i propri figli. Si corre cosi' il rischio di creare zone della citta' ricche e benestasti con le migliori scuole e aree piu' povere e scuole mediocri per tutti gli altri, e la scuola invece di essere un grande livellatore rischia di esasperare ancor piu' le disuguaglianze. Il meccanismo con cui si cerca di prevenire questo rischio e' proprio quello degli headteacher (non capisco il termine preside-sceriffo, perche' sceriffo?!?): quando una scuola e' in difficolta' si prova a portare li' un headteacher in gamba con l'autonomia gestionale per migliorare le cose. E' una soluzione che potrebbe funzionare se si formano gli headteachers e si investe per migliorare strutture e personale, pagando di piu' insegnanti disponibili e con l'attitudine a lavorare in ambienti difficili. Quindi come tutte le cose ha i suoi pro e i suoi contro. In particolare, un preside che sceglie direttamente gli insegnanti ha senso perche' conosce le carenze e le esigenze della sua scuola e puo' valutare l'efficacia di un insegnante, che magari e' perfettamente competente ma o non sa insegnare o di insegnare si e' stancato. Mi sembra pero' paradossale accusare il PD/Renzi di essere stati dei fessi a spendersi per una riforma in cui credevano, ed invece son furbi i 5stelle e la lega che un programma sulla scuola probabilmente non ce l'hanno e allora fanno quello che dicono i sondaggi.
Prima di leggere questo articolo pensavo che quella di far assumere gli insegnati direttamente dai presidi tutto sommato fosse una buona idea. L'approfondimento m'è servito per capire le conseguenze che un'operazione di questo genere potrebbe avere sulla scuola pubblica anche grazie alla splendida metafora ristorante-mensa. Grazie Tondelli.
Ciao Leonardo. Mi scuso se ritorno su questo tuo articolo,ma ieri leggendolo in fretta dallo smartphone mi era sfuggito che sotto le foto il tuo articolo continuava(di norma navigo senza java dal momento che sono più interessato alle tesi che alle immagini). Mi posso trovare in parte daccordo quando dici che le scuole nn si dovrebbero immaginare facenti parte del libero mercato e della sua derivante concorrenza. In effetti,se si vuole vedere l'innovazione del "preside sceriffo" con occhio smaliziato basandosi sulla sul suo reale intenzione,io da parte genitoriale,ti posso assicurare che nella scuola frequentata da mio figlio nn viene fatta una selezione darwiniana del personale docente da parte del suo dirigente scolastico. Lo stesso ha cercato,credo attraverso i curricula personali,di assemblare la sua squadra per raggiungere ciò che riteneva adatti all'offerta formativa da lui più giusta. Nn ci sono super professori esegeti dei migliori manuali dell'insegnamento,ma per esempio,la professoressa di italiano esperta di ortografia svolge per ragazzi con dsa disgrafico delle ore aggiuntive dove i ragazzi eseguono solo circonvoluzioni ortografiche(senza scopo di senso compiuto)che risvegliano la parte del cervello(lobo frontale)adibita alla parola scritta. Apparentemente sembra funzionare. Credo che si intendesse fare questo quando si è pensato al "preside sceriffo",in ottemperanza alla autonomia scolastica.
Buonasera Leonardo,ti leggo sempre volentieri e questa è la mio prima interazione con te,spero di una lunga serie. Io sono dell'idea che la "buona scuola" sia stata un'ottima opportunità di sviluppo di una istituzione che dovrebbe essere precursore del futuro e che,purtroppo ancora oggi vede lo sviluppo informatico come una emanazione di entità aliene. La versatilità e la curiosità che dovrebbero essere una componente imprescindibili in un buon insegnante,viene invece vista da quel 97% citato da Renzi,come un difetto e subitamente sterilizzato. Come ogni cosa innovante nn è che la legge fosse estranea da pecche,ma si è sempre cercata la miglioria. Su l'alternanza scuola-lavoro,che a mio parere(insieme alla creazione delle fondazioni its)sono una di quelle cose che meraviglia che la seconda manifattura europea fosse sprovvista. Pensare che sarebbe un traguardo arrivare a 100.000 diplomati dal momento che ad oggi ne formano soltanto un paio di migliaia,quando in Germania sono 800.000 anno,da una certa misura di ciò che è l'istruzione in Italia.
7/12/2018, 7:48:00 PM
Sì, non ho votato il PD; no, non mi sono ancora pentito
[Questo pezzo è uscito ieri su TheVision]. Ciao, forse ci conosciamo. Sono più o meno il responsabile di tutto ciò che sta andando storto in Italia negli ultimi tempi. Hai presente quei poveretti in mezzo al mare? Se annegano li avrò sulla coscienza. Ti ricordi qualche settimana fa, quando un ministro dell'economia in pectore non escludeva di uscire dall'euro a causa della "teoria dei giochi" (scrisse proprio così), e lo spread schizzò alle stelle? Sono stato io.
No, non sono George Soros. Neanche sul suo libro paga, fammi controllare – no.
Durante gli ultimi vertici internazionali non hai avuto anche tu la sensazione che l'Italia fosse rappresentato da un prestanome imbarazzato che si tinge i capelli e mette a curriculum anche le visite alla fidanzata? No, sul serio, chi ce l'ha messo a Palazzo Chigi un tizio così? Indovina: sono stato io. E così via. Di' un solo guaio successo negli ultimi due mesi: l'ho fatto succedere io. Proprio io.
Che non ho votato il Pd.
Eppure lo sapevo. Me l'aveva pur spiegato un sacco di gente, con ottimi argomenti. Le scorse elezioni non erano elezioni qualsiasi: stavolta era in gioco molto di più. La nostra permanenza in Europa, l'Europa stessa, la democrazia – la nostra umanità. Ricordo molto bene tutti questi discorsi, rivolti a quel bacino di elettori che in passato aveva votato Pd e che questa volta si sarebbe rivolto ad altre creature: principalmente il M5S, ma non solo. Si tratta di discorsi ai quali sono stato sensibile tante altre volte: benché abbia sempre odiato l'espressione "turarsi il naso" o "votare col mal di pancia", più o meno è quello che mi è capitato sempre di fare, salvo stavolta: e proprio stavolta, guarda che casino ho combinato.
Adesso ogni giorno c'è qualcuno in tv o sull'internet che mi suggerisce di fare autocritica. L'altro giorno Virzì, intervistato dal Foglio, mi ha spiegato che i 5stelle sono fascisti, e che avrei dovuto arrivarci prima – no, non ho votato 5Stelle; ma ho comunque fatto perdere il Pd: avrei pur dovuto capirlo che se perdeva il Pd i 5Stelle avrebbero rivelato il loro fascismo latente alleandosi con la Lega. Queste cose si sapevano già. È un lungo discorso che si può mirabilmente riassumere in una vignetta di Staino, nata apocrifa ma poi confermata dall'autore stesso: "Fascisti, razzisti, incompetenti. Com'è stato possibile tutto questo?" "Sai, mi stava sulle balle Renzi". Insomma tutto questo – la catastrofe umanitaria, lo spread, le figuracce internazionali – è successo perché sono antirenziano.
Magari è davvero così.
Faccio parte di un cospicuo insieme di elettori che non si trovava a suo agio, per usare un eufemismo, con molte delle proposte di Renzi. Appena ci fu l'occasione di farglielo capire (il referendum del 2016), ne approfittai. A quel punto Renzi sembrò fare un passo indietro, ma il Pd a quel punto continuò a sembrarmi un oggetto distante. In particolare la dottrina Minniti mi sembrava indifendibile, e così quando si è tornati a votare non ho votato il Pd. Per molti osservatori avrei comunque dovuto scegliere il meno peggio, il voto utile – è un discorso che capisco, ma a quel punto davvero un voto al Pd non mi sembrava più utile: al contrario, mi sembrava un voto perso... (continua su TheVision).
Oh mamma mia che disastro che sono, non fosse stato per me che bel governo avremmo adesso.
Io sono per la repubblica parlamentare e la rappresentanza proporzionale: quella proposta tra italicum e riforma costituzionale era in sostanza un presidenzialismo e non credo ci avrebbe fatto bene, chiunque avesse vinto (Salvini o Di Maio, al ballottaggio avremmo scelto uno dei due).
Non ho votato "contro il Pd", ho votato LeU perché era a sinistra del Pd nella speranza che potesse entrare in una coalizione e riequilibrarla a sinistra. Non è successo, ok.
Salvini spadroneggia? almeno dipende ancora mediaticamente dalla Mediaset e i 5stelle possono farlo cadere, se vogliono e gli conviene. È una situazione un po' meno statica di quella che sarebbe se Renzi avesse vinto il referendum.
E poi bisogna proprio che vi rassegniate: quel referendum lì l'avete perso, e l'avete perso anche solo a inventarvelo. Chi fa politica così, pensando di poter vincere contro tutti, non capisce la politica e deve cambiar mestiere.
Sì, c'è questa esigenza ineludibile di ribadire ogni giorno che mai, mai, mai si sarebbe potuto fare un governo Pd-M5S, perché loro sono fascisti, fascisti, fascisti. Mi ricorda un po' i monoteismi, richiedono un grosso sforzo di energia che va incanalato quotidianamente in preghiere e atti di fede pubblici.
Hai votato contro una riforma che avrebbe scongiurato coalizioni (tra le varie motivazioni c'era quella che non volevi che Salvini andasse al governo spadroneggiando). Poi hai votato contro il PD perché temevi che avrebbe fatto una coalizione. Alla fine il PD non ha fatto le coalizioni, e Salvini è al governo spadroneggiando.
In linea del tutto teorica hai ragione: il PD avrebbe potuto tentare un abboccamento con il M5S. E sarebbe stato pure auspicabile se ciò avesse significato impedire il governo M5S-Lega...
Ma guardiamo le cose con un minimo di chiarezza: non c'è, né c'è mai stata alcuna possibilità di un governo PD-5stelle. Non c'è alcuna convergenza possibile tra questi due partiti. Tu commetti lo stesso errore che commise Bersani a suo tempo, di considerare il 5 stelle come una specie di costola eretica della sinistra. Non lo è. Il movimento 5 stelle è un partito antisistema, antiglobalista, sovranista. Il movimento 5 stelle è il prodotto della stessa onda di reflusso che ha spinto prima Nigel Farage, poi Trump, e ora Matteo Salvini; per questa ragione governano con la Lega. Sono l'esatta antitesi del Partito Democratico. Questo è l'asse politico del nostro tempo, non destra-sinistra. Su questo i populisti hanno ragione, benché sia una balla che non esistano destra e sinistra. Succede solo che questo tipo di dialettica viene eclissata da un altra attualmente più di successo...
Per quanto riguarda le tue colpe di mancato elettore del PD, secondo me non devi farti troppi problemi di coscienza. Non è colpa tua, quel partito ha fatto di tutto per non farsi votare. La dottrina Minniti è stato un tradimento sul piano dei valori fondanti del partito ancora prima che un regalo agli avversari. La responsabilità è tutta loro
Scusa il pippone e il tono perentorio. Mi è uscito così
Beh però i sondaggi da soli presentano solo dei numeri, sta poi alle forze politiche eventualmente fare le somme e puntare da qualche parte. E ammetterai che un alleanza tra il Pd e la Lega e Fratelli d'Italia era impensabile allora come ora. Capisco di sembrare tignoso su questa questione, ma buona parte del tuo ragionamento per non aver votato il Pd ruota attorno a questo punto che ammetterai è un po' traballante.
Detto presto e male: imo non hai votato Pd solo perchè ti stava sulle balle Renzi e cerchi delle pezze d'appoggio moralmente "alte" per giustificare una scelta basata solo su una "bassa" antipatia personale. Lo penso perchè ti capisco, perchè pure io non ho votato Leu solo perchè c'era D'alema.
Era la direzione verso cui puntavano i sondaggi – ovviamente nessun rappresentante dei partiti ne parlava in campagna elettorale, dal momento che Forza Italia si presentava con la Lega e FI è l'avversario tradizionale del Pd. Ma il vero dato che ha squassato tutto è stato il sorpasso di Salvini su Berlusconi.
Posso chiederti cosa ti persuase che ci sarebbe stata dietro l'angolo una grosse koalition all'amatriciana magari anche con Salvini? Perchè io seguo abbastanza il dibattito politico, ma non ricordo che quella eventualità sia mai andata oltre qualche retrosceniscmo giornalistico (pre e post elettorale) di dubbia fondatezza o basato su vaghe dichiarazioni di qualche singolo esponente perlopiù di secondo piano e per persuadere una persona come te (per come ti conosco da cìò che scrivi) servono normalmente argomenti più validi di questi.
Tutto giusto e condivido, ma vorrei precisare che la teoria dei giochi è una branca fondamentale dell'economia e della matematica. Un tema serio, a dispetto del suo nome: l'unico premio Nobel per l'economia dell'URSS è andato ad uno dei massimi teorici dei giochi del ventesimo secolo, per esempio.
Una settimana fa Di Maio e Salvini chiesero 24 ore per formare il governo. Forse oggi riusciranno a presentarlo a Mattarella. Una bozza di contratto fatta filtrare nelle ultime ore dà l'impressione che l'accordo resti molto fragile. Desta stupore soprattutto l'istituzione di un "Comitato di conciliazione" che dovrebbe essere istituito "per giungere a un dialogo in caso di conflitti". Certo, i vertici a porte chiuse si sono sempre fatti, ma mettere nero su bianco il regolamento su una scrittura privata lascia perplessi. In attesa di scoprire se è costituzionale o no, limitiamoci a trovarlo poco elegante, come certe clausole negli accordi prematrimoniali che ti fanno intravedere il disastro. In questo Comitato, oltre ai due leader, sarebbe prevista la presenza di non meglio precisati "soggetti individuati dal Comitato": e il pensiero corre subito a Davide Casaleggio, che sarebbe così ammesso nelle stanze del potere senza bisogno di passare dalle elezioni. L'idea tradisce la tipica diffidenza Cinque Stelle per gli eletti. Anche per i propri, ai quali il M5S impone un contratto capestro con multe altissime a chi osa abbandonare il gruppo parlamentare o tradire il mandato.
Questa diffidenza non è un incidente di percorso: è uno dei caratteri fondamentali del Movimento. E rischia di essere la sua fondamentale debolezza, ora che prova a cimentarsi con un governo. Il partito che non crede nel principio di delega non ha mai voluto creare una vera classe dirigente. A cinque anni dalla prima clamorosa vittoria elettorale, il M5S è rimasto una truppa di soldati semplici. Anche i volti più riconoscibili alla fine non esprimono che una straordinaria medietà; tutto in loro lascia intendere che chiunque potrebbe essere al loro posto, e in effetti loro sono chiunque; nessuno si stupirebbe se scoprissimo che l'algoritmo di Rousseau li sceglie a caso. Persino i più pittoreschi non tradiscono nessuna particolare personalità: urlano e strepitano perché rappresentano quel tipo di cittadino che urla e strepita. Forse Di Battista era un caso a parte, e per il momento si è dileguato. Roberto Fico sembrava un po' più a sinistra di altri, ma ora ha un incarico istituzionale: promoveatur ut amoveatur.
Quanto a Di Maio, c'è chi gli ha imputato una cattiva gestione della trattativa: ma a mio parere non si sarebbe impuntato per un mese su Palazzo Chigi se non gli fosse stato chiesto di impuntarsi. Di Maio non ha fatto che mettere diligentemente in pratica le direttive che gli erano state impartite. Criticare Di Maio significa riconoscergli una volontà propria, un'individualità che non ha mai dimostrato, anzi: in un partito di uomini qualunque, il segreto del suo successo è proprio il suo essere più qualunque di tutti, persino da un punto di vista somatico. Nessun segno particolare, nessun tic linguistico a parte una nota ritrosia nell'uso del congiuntivo che lo accomuna al 90% della popolazione; Di Maio è talmente standard che non si riesce nemmeno a parodiare. Chiunque ci prova finisce per sembrare uno snob: come fai a prendertela con un segnaposto? Di cosa dovresti ridere, della sua maturità, dei lavoretti estivi, dei congiuntivi? È come ridere di un popolo intero. Si sa che le caricature si realizzano esagerando i tratti più riconoscibili, e Di Maio non ne ha. Se assomiglia a qualcuno, è a George Abnego, il personaggio del racconto Null-P di William Tenn, l'uomo super-medio che diventa presidente degli USA proprio per la sua eccezionale medietà (continua su TheVision)
E dunque ieri sera Matteo Renzi – quello che si era dimesso da segretario del PD, dopo la batosta elettorale – era in prima serata su Rai1, intervistato da Fabio Fazio. Matteo Renzi, che in teoria nel suo partito non ricopre più nessun incarico, a Fabio Fazio non ha raccontato le sue avventure di senatore del collegio di Scandicci, ma ha spiegato che un confronto con Di Maio lo farebbe con lo streaming. Poche ore prima sul Corriere, lo stesso Di Maio aveva pubblicato una letterina-ultimatum in cui i punti salienti di un eventuale accordo si leggevano con chiarezza: reintroduzione dell'articolo 18, assunzione di 10.000 nuovi agenti di polizia, ridiscussione del trattato di Dublino, del Fiscal Compact, eccetera eccetera. Proposte senz'altro discutibili, probabilmente non tutte attuabili, ma in un qualche modo concrete. Matteo Renzi non le ha discusse: Matteo Renzi ha spiegato che gli piacerebbe di nuovo fare il gioco dello streaming. Quella deriva da reality show per cui, giustamente, una volta si prendevano in giro i Cinque Stelle. E infatti loro hanno smesso: adesso hanno un altro tono, mettono proposte nero su bianco, insomma a loro modo stanno crescendo. Matteo Renzi invece vuole lo streaming. Probabilmente ha già preparato qualche frase memorabile, qualcosa di immediatamente hashtaggabile, come "Beppe esci da questo blog!" Forse ve lo ricordate.
Forse no.
Però continuiamo pure a prendere in giro il Movimento Cinque Stelle perché è un partito che nasconde dietro gli streaming una struttura di potere sostanzialmente opaca. Mica come il PD, un partito che elegge i suoi rappresentanti in modo autenticamente democratico.
Ma insomma ieri sera Matteo Renzi – quello che un mese fa aveva detto che sarebbe rimasto zitto per due anni – è andato in prima serata e in sostanza ha fatto a pezzi qualsiasi speranza di un accordo tra M5S e PD. Certo, la decisione non spetta a lui ma al massimo alla direzione del PD che si deve ancora democraticamente riunire perché è gente che lavora e doveva organizzarsi per il ponte (così ha spiegato il presidente del PD, Orfini).
In realtà la direzione avrebbe dovuto riunirsi più di una settimana fa ma i renziani l'hanno fatta democraticamente saltare. Tutto questo accade forse perché Matteo Renzi pensa che dopo aver detto no a Fico e Di Maio, non si potrà che tornare alle urne: e nelle urne lui non sa cosa potrebbe succedere. Perlomeno a Fazio ha spiegato così. Ovvero, di sondaggi ne sono stati pubblicati ormai parecchi, e benché sia necessario sempre premettere che in Italia non ci beccano mai, bisogna dire che sono tutti concordi su un fatto: Lega e M5S stanno crescendo, anche se litigano. L'unico momento in cui il M5S è apparso in flessione, è quando per un attimo è apparsa credibile un accordo di governo M5S e PD. I sondaggi dicono tutti così ma Matteo Renzi, senatore di Scandicci, non è così sicuro. Chi lo sa. Magari invece se si rivota a ottobre vince lui. O magari perde un po' meno di stavolta. Cosa ha da perdere in fondo. Riproviamo (Continua su TheVision).
Piccolo esperimento mentale. Supponiamo che da un momento all'altro un economista italiano di un certo rilievo dichiari il suo appoggio per il Movimento Cinque Stelle. Riuscite a immaginare lo stesso economista, dopo pochi giorni, tentare di dettare la linea al Movimento, magari minacciando di stracciare una tessera appena presa? Nel M5S sarebbe impossibile.
Non bisogna fare un altro partito ma lavorare per risollevare quello che c'è. Domani mi vado ad iscrivere al @pdnetwork. https://t.co/5Jem2aDZfO
Infatti è appena successo nel Pd, onorato all'indomani della sconfitta elettorale dall'adesione via twitter del ministro Calenda. Dopo poche ore Calenda già spiegava al Pd cosa doveva fare e non fare per non perdere la sua preziosa adesione. Provate a immaginare la stessa situazione nella Lega, o in Forza Italia – non ha senso. Nel Pd non è nemmeno la prima volta. Ogni tanto arriva qualcuno, prende la tessera e spiega agli altri cosa deve fare il partito.
Se il PD si allea con il M5S il mio sarà il tesseramento più breve della storia dei partiti politici. https://t.co/JKAloycTFB
La stessa avventura renziana, in fondo, è cominciata così: appena otto anni fa anche l'allora sindaco di Firenze era sostanzialmente un outsider. Quel che è successo dopo, a ben vedere, non ha molti precedenti nella storia dei partiti italiani: in una manciata di anni, grazie a un paio di consultazioni di base (le Primarie!), l'outsider si è preso il partito di cui è tuttora, malgrado le dimissioni ufficiali, il leader più rappresentativo. È una traiettoria impensabile in partiti-azienda come Forza Italia o M5S; molto improbabile nella Lega, che ormai è a tutti gli effetti il partito italiano più vecchio in parlamento, l'unico che mostri ancora vagamente una struttura tradizionale novecentesca. Forse è la prova che il Partito Democratico è davvero democratico; di certo è la dimostrazione che è un partito straordinariamente scalabile: che chiunque abbia una visione e un po' di sostenitori – e di finanziatori – può davvero entrare e cominciare a dettare la linea. Gli altri partiti non sono così e gli altri partiti, bisogna ammetterlo, non perdono così tanti voti (più di sei milioni in dieci anni). A questo punto si tratta di capire se quello che doveva essere il punto di forza del Partito Democratico non si sia rivelato la sua principale debolezza: se i segni di vitalità che ci sta mostrando in questi giorni (incontri, dibattiti, correnti che nascono) siano un segno promettente o gli ultimi rantoli di un'entità che non si rassegna al declino. Il Pd non è certo l'unico partito a strutturarsi in correnti, ma è l'unico in cui le correnti diano la sensazione di poter nascere, agglutinarsi, defluire, nel giro di pochi anni o mesi. Matteo Richetti ne ha appena tenuta a battesimo una, "Harambee", affrettandosi a spiegare che si tratta di una parola swahili che non ha un vero e proprio senso: una generica affermazione di volontà e unione, una specie di "daje", "oh issa": non che l'"I care" di Veltroni e il "Big Bang" di Renzi alludessero a significati molto più complessi, ma insomma la sensazione è che siano finiti non soltanto i contenuti, ma ormai anche i nomi per chiamarli.
Il fatto è che in questi dieci anni di vita ormai il Pd le ha provate tutte... (continua su TheVision).
Da Wikipedia: “Renzi comincia la propria attività politica durante gli anni del liceo. Nel 1994 contribuisce nei Comitati per l'Italia che vogliamo in Toscana a sostegno di Romano Prodi. Dopo essersi iscritto nel 1996 al Partito Popolare Italiano, ne è diventato segretario giovanile nel 1997 e segretario provinciale nel 1999 all'età di 24 anni.
Nel 2001 il PPI confluisce ne La Margherita e Matteo Renzi viene chiamato a coordinarne la sezione fiorentina e, nel 2003, a ricoprire il ruolo di segretario provinciale.”
Quindi, ecco, proprio un outsider o un corpo estraneo non direi.
Il M5s, quelli del “Grillo fondi un partito e vediamo quanti voti prende”, sono diventati a tutti gli effetti una forza di governo – o almeno potenzialmente. Chi pensava che si sarebbero accontentati del ruolo tutto sommato confortevole di oppositori duri e puri al sistema ha avuto il tempo di ricredersi: i grillini ci vogliono provare davvero. Ci stanno già provando, a livello locale: non si sono tirati indietro nemmeno in municipi importanti (Torino, Roma), per nulla scoraggiati dagli inevitabili errori di percorso. Se non sarà Di Maio stavolta, sarà qualcun altro la prossima, ma prima o poi avremo ministri a Cinque stelle. Conviene rassegnarsi, come si è già rassegnato, per esempio, Beppe Grillo. Già, a proposito: quando andranno al governo, cosa succederà a Beppe Grillo?
Qualcosa, a dire il vero, è già successo, anche se forse non abbiamo ancora capito cosa. A un certo punto sembrava addirittura che Grillo avesse lasciato il movimento da lui fondato e lanciato dieci anni fa. Non è esattamente così, o meglio, una scissione c’è stata, ma non nel senso politico del termine. A scindersi sono stati due siti web, lo storico beppegrillo.it e il Blog delle Stelle, che ormai ha tutta l’aria di essere il blog ufficiale del Movimento. Si tratta di una partenogenesi difficile da documentare: Grillo e i suoi redattori hanno infatti sempre approfittato della possibilità di intervenire sugli archivi del blog riscrivendo il passato. Fino a qualche mese fa, la testata “Il Blog delle Stelle” compariva ancora in cima a beppegrillo.it, sopra lo storico sottotitolo, “il primo magazine solo on line”. Dopo le parlamentarie, il 23 gennaio, è avvenuta la famigerata scissione e il Blog delle Stelle è diventato un sito a parte che ha mantenuto la denominazione di “primo magazine solo on line”, mentre all’indirizzo beppegrillo.it è comparso un nuovo blog – è lo stesso Grillo ad ammettere che si tratti di una novità. Più leggero, più rilassato. Senz’altro meno politico.
La prima cosa di cui ci siamo accorti tutti è l’assenza, sul nuovo beppegrillo.it, di qualsiasi riferimento al Movimento 5 Stelle, il che ci ha fatto immaginare chissà quale scontro col vertice e con Roberto Casaleggio; uno scontro completamente smentito dalla partecipazione di Grillo agli ultimissimi eventi della campagna elettorale, e da almeno un’intervista rilasciata dopo le elezioni. Grillo non è più il “capo politico” del M5s, ma non ha ancora tradito un solo accenno polemico nei confronti della nuova dirigenza e del nuovo corso. Quel che è evidente è che nel nuovo sito non ha nessuna intenzione di parlare di politica: persino quando pubblica quel che può sembrare un doveroso ringraziamento agli elettori, evita con attenzione di parlare di voto e anche solo di nominare il Movimento. Beppegrillo.it è diventato uno di quei salotti tranquilli in cui può discutere amabilmente (per modo di dire, visto che i commenti sono stati chiusi), con un’olimpica serenità che davvero non ci si aspetterebbe dal bizzoso fondatore di un movimento che ha appena vinto le elezioni, ma che per ora non ha i numeri per formare un governo. Si ha quasi l’impressione si sia trattata di una svolta dovuta a motivi più “clinici”: Grillo più volte aveva lamentato la stanchezza, lo stress di dover rivestire un ruolo politico per il quale non si sentiva tagliato.
Ora che non deve più dibattersi nelle schermaglie quotidiane tra sostenitori di Salvini, Berlusconi e Renzi, il comico genovese ha più spazio per occuparsi di tante cose, come in fondo ha sempre fatto. Si guardi anche solo al sommario dell’ultima settimana, “una delle più interessanti da quando siamo partiti con il nuovo blog”: c’è di tutto. Accanto a riflessioni sconclusionate, che per ammissione dello stesso Grillo sono il parto di una notte insonne (“Abbiamo il polo nord, il polo sud… Ma il polo est e il polo ovest dove sono?”) ci sono le solite mirabolanti notizie dal mondo dell’hi-tech, tipo che in Arizona stanno per arrivare i taxi che si guidano da soli; due ricercatori del Mit hanno fondato una start-up che vuole fare “il back-up della tua mente”, il primo passo verso l’“immortalità cerebrale”?
Anche il vecchio blog dava molto spazio all’innovazione tecnologica, ma a essere cambiato è l’approccio, oggi più sereno, fiducioso. Da quando calca le scene, Grillo ha sempre usato due maschere: quella tragica e apocalittica in cui gridava “ma siamo impazziti?”, e quella dai tratti più concilianti del guru futurologo che annuncia le grandi promesse del domani, che ok, il mondo presente è un disastro, ma le cose stanno per cambiare. Stampanti 3D, veicoli che si guidano da soli, bio-washball e così via. Grillo ha sempre promesso ai suoi seguaci un paradiso tecnologico oltre il disastro imminente; ora che il Movimento si avvicina alla prova dei fatti, quell’orizzonte per Grillo è sempre più vicino. È anche un modo di dare un senso al suo ruolo di guida della rivoluzione: se non può e non vuole fare il leader politico, può sempre dare un contributo additando la direzione dal balcone virtuale del suo blog – oggi ai militanti M5s, domani ai ministri. Qualcosa di simile al ruolo di Mao negli anni precedenti alla rivoluzione culturale cinese. Non sono certo il primo ad accostare grillismo e maoismo; è un paragone irresistibile anche perché Grillo sul suo blog scrive pensieri sempre più semplici e lineari, leggibilissimi, ormai molto vicini allo stile elementare del Libretto Rosso (L'obsolescenza felice di Beppe Grillo continua su TheVision).
Raga, la base ci ha abbandonati ( o noi abbiamo abbandonato loro!!?) e noi siamo qui a fare ironia...alle prossime elezioni arriveremo al 10%???? Cui prodest?
Credo piuttosto che dovremmo tornare molto umilmente ad ascoltare la gente a partire dalle periferie ..
Le elezioni sono alle porte, lo senti nell’aria. Nelle scuole stanno già arrivando paraventi e scatoloni; su Facebook si ricomincia a parlare di “voto utile”. Ancora. Sì, ma stavolta non è come tutte le altre volte. Stavolta l’alternativa è il baratro, il caos, la fine della vita sulla Terra per come la conosciamo. I grillini (o i leghisti, o i fascisti, o qualche altro spauracchio) saliranno al potere, toglieranno l’obbligo vaccinale e moriremo tutti. Usciremo dall’Euro, dalla Nato, dall’emisfero boreale, verremmo sbalzati nello spazio profondo. Tutto questo senz’altro accadrà se non usiamo il nostro diritto di voto con responsabilità. Nella maggior parte dei casi si tratta di turarsi il naso e votare Pd. Forse esistono anche inviti al voto utile in altri schieramenti, ma sono fuori dalla mia bolla, non li vedo. Da che mi ricordi il voto ragionevole, il voto un po’ schifato ma necessario, è sempre stato quello per il centrosinistra. Il mio voto, per inciso (sì perché io al voto utile ci ho sempre creduto: si tratta se mai di mettersi d’accordo su quale sia l’utilità in questo momento).
Gli Utilitaristi del voto di solito amano mettere a fuoco un certo tipo di avversario dialettico, l’Anima Bella: quel tipo di elettore che concepisce il voto come l’espressione della propria identità (voto comunista/liberale/Berlusconi perché credo di essere comunista/liberale/Berlusconi). Per l’Anima Bella il risultato delle elezioni è un mezzo, non il fine. L’importante è non compromettersi, non sporcare le proprie nobili idee con la rude realtà – buffo, il voto in teoria è segreto, eppure molti lo vivono ancora come un pubblico atto di fede. “Io credo X, non chiedetemi di votare per Y”. È gente che ci tiene a farti sapere che non cede ai compromessi. Non sul luogo di lavoro quando il boss ti chiede uno straordinario, e nemmeno in famiglia quando si tratta di decidere dove andare in vacanza, no: l’unico posto in cui rifiutano i compromessi è la cabina elettorale. Per quanto possano risultare insopportabili, le Anime Belle sono necessarie: il giorno che riusciremo a farne a meno non sarà un bel giorno.
Per esempio: stavolta si vota anche per decidere come gestire la questione migranti nel Mediterraneo: non è poi così strano che a sinistra qualche Anima abbia difficoltà a sostenere il partito di Minniti. Sono anni che raccontiamo ai ragazzi che al momento della verità non potrai dire che hai soltanto obbedito agli ordini: magari qualcuno ci ha veramente dato retta e ora non riesce a votare per l’ordine e la disciplina, i respingimenti e gli annegamenti. Magari dovremmo spiegare nelle scuole che c’eravamo sbagliati, che tutto sommato certe volte voltare lo sguardo dall’altra parte è ok. Nel frattempo dobbiamo rassegnarci a conservare una certa quota di Anime Belle. Li abbiamo allevati, si vede che pensavamo che ci sarebbero stati utili (forse speriamo che salvino anche la nostra anima, forse non escludiamo di averne una).
A fianco dell’Anima Bella milita spesso il Messaggiatore, che ne è una specie di evoluzione postmoderna: non crede più di avere un’anima da salvare, ma senz’altro ha una reputazione da difendere sui social e nei capannelli di amici. Questa sua modernità percepita in realtà lo schianta: mentre l’Anima Bella è tutta contenta del proprio voto – un piccolo segno con cui ti metti a posto con l’umanità e forse con Dio che nel segreto dell’urna ti vede – il Messaggiatore ha studiato e fatto i calcoli e sa che il suo voto è un atto in teoria performativo, ma dal valore irrisorio. Un trentamilionesimo di sovranità popolare, una goccia nel mare, tanto vale stare a casa. A questa mediocrità, il Messaggiatore non si rassegna. Il mio voto non può davvero contare come quello di una pensionata di Sarcazzo di Sotto che mette la croce su Casa Pound perché crede sia un lista animalista e la tartaruga in particolare le è molto simpatica. Il mio voto sarà più importante perché… lo socializzerò (e socializzandolo, spero di poterlo moltiplicare). Il mio voto non sarà più importante in quanto cessione di sovranità, ma in quanto Messaggio. Non mi piace il modo in cui il Pd con Minniti ha di fatto avallato la criminalizzazione dei migranti nel Mediterraneo? Voto la Bonino che dei migranti ha sempre parlato tanto bene. Sì, ok, ma la Bonino vuole anche bloccare la spesa pubblica, il che potrebbe indirettamente portare a qualche altro taglietto di macelleria sociale: qualche altra fabbrica nel frattempo delocalizzerà all’estero, lasciando a piedi operai che disperati se la prenderanno coi migranti che abbattono il costo dei lavori più umili, e alla prossima tornata voteranno per chi i barconi dei migranti vuole accoglierli a cannonate, e non è pazzesco che quei poveracci che votano così male abbiano diritto a votare quanto te, che invece sei capace di ragionamenti così raffinati e speri… che la Bonino abbia bisogno del tuo voto per fare una sfuriata a Minniti. Non ti viene il dubbio che ti stiano un po’ prendendo in mezzo, la poliziotta buona e il poliziotto cattivo? Se vuoi davvero mandare un messaggio al Pd, perché non spedisci una cartolina? Scrivi uno status su Facebook, annoia i tuoi lettori sul blog, ce ne sono di modi più efficienti per mandare messaggi. Magari vuoi avvertire che il Pd si sta spostando troppo a destra, beh, di solito il Pd capisce l’esatto contrario: “a sinistra c’è disaffezione, proviamo ancora un po’ più a destra”. Che ottuso. Ma non è che si possa pretendere molto di più da un mucchio di crocette su fogli piegati in quattro... (continua su TheVision)
Mi va bene tutto il post, sono moderatamente d'accordo. Pero` il finale: "come usereste dieci euro in ricevitoria: [...] solo un po’ di calcoli [...]" Di grazia, quali calcoli dovrebbe fare un ricevitoria? Collegandomi ad un tuo precedente post, un po' meno di latino e un po' piu` di statistica alle superiori potrebbe aiutare.
3/2/2018, 3:28:00 PM
Fuori dall'Italia i libri sacri anticostituzionali, dai
Giura sul Vangelo, sfoggia un rosario: ma chi è questo nuovo integralista cattolico che avanza da destra? L’ex comunista padano, Matteo Salvini in un comizio a Milano ha giurato di “applicare davvero la Costituzione rispettando gli insegnamenti del Vangelo”. Un libro sacro e una costituzione laica possono andare d’accordo? Tutto sommato sì. È Salvini che non sembra c’entrare molto con entrambi: ce lo vedete nel Vangelo, a scacciare con la ruspa il Buon Samaritano? O tra gli apostoli a polemizzare con Gesù Cristo che rifiuta di prendere una posizione coerente contro l’Unione Europea del tempo, l’Impero Romano? Quanto alla Costituzione, basta aprirla a pagina uno: l’articolo 8 dice che tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge, ok, che problema c’è? C’è che appena una settimana fa Salvini, a “Speciale Fatti e Misfatti” (TgCom24), ha dichiarato che una volta al governo metterà “lo stop”, “il veto”, a “ogni presenza islamica organizzata, regolare o abusiva in Italia”. Insomma, se vince Salvini i musulmani non potranno né organizzarsi né nascondersi: dovranno levare le tende? Sono quasi due milioni, di cui trecentomila cittadini italiani: è difficile pensare che il leader leghista stia parlando sul serio. Il suo punto di vista merita comunque di essere discusso, se non altro perché è condiviso da una parte della popolazione ormai maggioritaria: “L’Islam è incompatibile con i nostri valori e la nostra cultura,” afferma. “L’Islam applicato alla lettera, il Corano applicato alla lettera […] sono atti di violenza”. Il che peraltro è vero.
Momenti di preghiera nelle città di Torino, Milano e Roma
Esatto, ho appena dato ragione a Matteo Salvini.
Applicare il Corano alla lettera sarebbe senz’altro un atto di violenza. Basta leggere qualche versetto, per esempio quelli sulla condizione femminile. È un libro che comincia con Allah che dice alla prima donna: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (GE 3,16). In un’altra sura si legge: “Dalla donna ha avuto inizio il peccato: per causa sua tutti moriamo” (SI 25,24); “se non cammina al cenno della tua mano, toglila dalla tua presenza” (SI 25,26). Non è certo tra queste pagine che troveremo anche la minima ispirazione all’emancipazione femminile: (“Motivo di sdegno, di rimprovero e di grande disprezzo è una donna che mantiene il proprio uomo”) (SI 25,21).
Persino nella preghiera comune le donne sono ghettizzate: “Non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in pubblico” (CO I 14,34-35). Da queste pagine nasce anche il barbaro costume del velo: “L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Allah; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli” (CO I 11,5-10). Il profeta: non concede “a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo […] Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia” (TI I 2,12-15).
Se, malgrado tanta modestia e tante barriere, un uomo riuscisse comunque a vederla e a desiderarla, il consiglio del Profeta è dei più drastici: “Vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi organi, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna” (MT 5,28-29). Che altro dire? Il Dio del Corano è un Dio della guerra (“Non sono venuto a metter la pace, ma la spada”), determinato a portare la sua jihad fin dentro all’istituzione famigliare (“Sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera”). Un libro del genere, se applicato alla lettera, non può che ispirare atti di violenza e di prevaricazione.
Quindi Salvini ha ragione. Bastano anche solo i versetti che ho citato per dimostrarlo.
Ora, non vorrei che si pensasse che do ragione a Salvini. Perché no, proprio no no no. Però voglio dire una cosa che non ha a che fare direttamente con l'argomento del post ma forse ne è una premessa metodologica: trovo che anche la tua sia una posizione in parte preconcetta, in senso inverso, nei confronti della cultura islamica. La Bibbia è ovviamente un libro violento, i suoi precetti incompatibili non solo con la modernità ma anche banalmente con la sanità mentale. Forse il Corano è altrettanto violento, forse no, non lo conosco. Ma il punto non sono i libri, il punto è il pensiero dominante fra gli aderenti. Vivaddio i cristiani delle nostre parti sono in modalità sticazzi sui precetti della Bibbia da un paio di secoli, i musulmani purtroppo ancora no. Vivo per scelta in un quartiere che sembra la Belleville di Pennac perché non mi importa la provenienza dei miei dirimpettai, che fra l'altro sono i vicini migliori che abbia mai avuto. Ma, nei fatti, il gap culturale su questioni di enorme rilevanza come la concezione delle donne, l'omosessualità e mille altre questioni che impattano sulla vita quotidiana di una comunità è abissale. Salvini e la sua cricca di violenti razzisti sono spaventosi ma da uomo di sinistra trovo che la mia parte politica sia caduta nell'eccesso opposto di applicare una sorta di miopia selettiva su problemi di convivenza che esistono eccome, riesumando una versione moderna del mito del buon selvaggio. Per fare un esempio pratico: nel pieno del sacrosanto (coi distinguo del caso) movimento #meetoo, far finta di non vedere che l'attuale applicazione del Corano continua a tenere le donne in una condizione di sudditanza mi sembra un'ipocrisia. Il mio vicino di casa egiziano è un gran lavoratore, una persona amabile ed un padre da spot del Mulino Bianco, però non riesco a non essere infastidito dal fatto che ogni volta che mi avvicino alla loro porta per far due chiacchiere la moglie scappa nell'altra stanza. E non è che sennò lui je mena, ne sono certo. Però che devo dire, è sbagliato. Tutto qui. E far finta di niente per non sembrare razzista mi sembra più razzista che discuterne in modo franco.
È un /errore/ piuttosto comune per “entrarci” (cf Zingarelli 2018, entràrci, poter essere contenuto in qlco. (con valore intens.): questo vestito nella valigia non ci entra! | (fig.) avere attinenza, avere a che fare con qlco.: che c'entra la politica?; io non c'entro!; è un discorso che non c'entra niente | (fig.) entrarci come i cavoli a merenda, di ciò che non ha nulla a che vedere con un'altra) determinata cosa, faccenda e sim., ma anche http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/centra-centra), che non merita di essere diffuso ma anzi eradicato. Poi oh, contento tu.
Marco Minniti è il ministro degli Interni. Già ai tempi di Renzi (e Letta), era sottosegretario con delega ai servizi segreti. Qua fuori magari c’è gente che si spaventa per un nonnulla, ma Marco Minniti, in virtù della sua posizione e della sua esperienza, è probabilmente la persona che conosce meglio di chiunque in Italia il quadro generale. Se fossimo alla vigilia di una rivolta di popolo, Minniti dovrebbe essere il primo a rendersene conto. Se fossimo alle soglie di una guerra civile, il primo a farsene un’idea dovrebbe essere lui. Tutto questo, che a noi può sembrare improbabile, se c’è qualcuno che può vederlo è Minniti.
Marco Minniti a un certo punto ha visto qualcosa di orribile. Qualcosa che nessun altro ancora ha visto, e che lo ha terrorizzato. E non ha terrorizzato un politico qualsiasi, uno di quelli che si allarmano per una sciocchezza e per mestiere; ha talmente preoccupato proprio Marco Minniti, da spingerlo a zelanti iniziative: a concludere accordi svilenti; a fornire, secondo Amnesty International, navi ai miliziani libici a cui è stato di fatto subappaltato il respingimento dei migranti; rinnegare quello che fino a qualche anno fa era considerato un tratto irrinunciabile della nostra identità nazionale: l’umanità. Tutto questo Minniti non può averlo fatto semplicemente per l’orgoglio di annunciare che quest’anno è sbarcato qualche migliaio di disperati in meno. O per spostare un po’ la lancetta dei sondaggi verso il centrosinistra. No. Se Minniti ha fatto quel che ha fatto è perché deve aver visto Qualcosa.
Lo aveva visto giàsei mesi fa, lo ha ribaditoieri. Noi magari pensavamo che cinque milioni di stranieri residenti in Italia non costituissero un’invasione; che fossero, viceversa,quasi indispensabili al bilancio demografico e alla vitalità del Paese; che al netto del fenomeno della clandestinità,non delinquessero molto di più degli italiani; che contro di loro si stesse montando su tv e organi di stampauna squallida campagna di propagandacon evidenti finalità elettorali. Stolti che siamo stati. Se abbiamo creduto in tutto questo, è perché non abbiamo visto quello che hanno visto gli occhi da oracolo di Marco Minniti.
Deve aver scorto la sagoma di un mostro, tratteggiata in qualche rapporto top secret o sondaggio confidenziale: uno di quegli esseri impossibili alla Cloverfield, che è impossibile racchiudere in un solo sguardo perché sono più grandi di qualsiasi cosa, e sfidano ogni possibilità di essere descritti e definiti. Una Bestia assetata di sangue che in qualsiasi momento potrebbe sorgere dalle viscere dell’Appennino – basterebbe la minima sollecitazione, lo sbarco in Sicilia di appena qualche centinaio di stranieri in più. A quanto pare, però, questa orripilante creatura per ora si limita a far perdere la ragione a qualcuno. Ma ecco: se un leghista un po’ impressionato da quel che ha sentito al telegiornale si mette a girare per Macerata tirando a tutti gli afro-italiani che trova, Minniti se l’aspettava e non si è fatto trovare impreparato. “Traini, l’attentatore di Macerata, l’avevo visto all’orizzonte dieci mesi fa, quando poi abbiamo cambiato la politica dell’immigrazione”. Non c’è dubbio che la politica sia cambiata – quanta gente sia annegata a causa di questo cambio di politica, per contro, non lo scopriremo mai. La politica è stata cambiata, eppure questo non ha impedito a Traini di innervosirsi davanti a un Tg e di prendere la pistola in mano: oppure dobbiamo pensare che la tentata strage di Traini sia il male minore e che senza l’intervento di Minniti sarebbe successo qualcosa di molto più grave.
Qualcosa di più grosso ribolle nelle viscere di questo Paese e potrebbe risvegliarsi con un nonnulla, ad esempio una manifestazione antifascista. Il sindaco di Macerata ha chiesto ad ANPI, ARCI e CGIL di non venire a testimoniare la propria solidarietà ai feriti – un’attestazione di umanità che potrebbe infastidire la Bestia – e Minniti ha espresso soddisfazione. Ha anche aggiunto che in ogni caso è prontoa vietarle lui, le manifestazioni. A vietare anche una manifestazione antifascista. Promossa dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Nella città dove un leghista si è esercitato per mezza giornata al tiro all’africano, e poi si è fatto trovare coperto dal tricolore davanti a un Monumento ai Caduti. Ai nostri ciechi occhi tutto questo parrebbe alquanto paradossale.
Ma diciamo pure che non è successo niente di grave, niente di cui ci si debba troppo vergognare o per cui ci si debba troppo allarmare.Salvini ha già spiegato che sono cose che succedono se in giro ci sono troppi immigrati; Renzi è disposto ad ammettere che ci sia stato un po’ di razzismo nel deprecabile gesto di Traini, ma “non sa se chiamarlo terrorismo”: come se quella parola potesse infastidire la Bestia.
Una Bestia che a questo punto davvero ci si domanda che contorni possa avere... (continua su TheVision)
Vorrei semplicemente precisare che la manifestazione di Macerata non è stata lanciata dall'ANPI, né dalla CGIL. La manifestazione è stata lanciata dalle realtà dei centri sociali delle Marche, prima di tutto dal SISMA, che è proprio di quella città. C'è stato quindi un tentativo (a mio parere meschino) di attribuirsi il diritto di impossessarsi della manifestazione da parte soprattutto della CGIL, che voleva decidere tutto. Gli è stato fatto capire che la "piazza" Non era la loro. Per ripicca hanno fatto un comunicato per sabotare la manifestazione, accogliendo la contemporanea richiesta del sindaco maceratese di non farla. Giusto per ristabilire la verità dei fatti.
Compreremo ottomila case. Non è andato proprio per il sottile, Jeremy Corbyn, quando domenica scorsa Andrew Marr della BBC gli ha chiesto cosa avrebbe fatto il Labour per i senzatetto britannici. Potrebbe sembrare la classica promessa elettorale, salvo che le elezioni ci sono già state, ma a questo punto nel Regno Unito potrebbe succedere davvero qualsiasi cosa – qualcuno comincia a parlare di un secondo referendum sulla Brexit. L’approccio di Corbyn è quello di un solido marxista che dietro a ogni fenomeno riconosce la sagoma della lotta di classe: la polemica contro gli speculatori che lasciano le case sfitte in attesa che i prezzi risalgano è un suo tradizionale cavallo di battaglia. Dietro allo spot populista (compriamo subito ottomila case, nessuno dormirà più per strada) c’è quindi l’abbozzo di un programma sociale: daremo alle autorità locali il potere per requisire le abitazioni che non vengono deliberatamente immesse nel mercato. C’è l’identificazione di un nemico di classe: il proprietario che non vende o non affitta. Lui probabilmente non voterà Corbyn, e Corbyn senz’altro il suo voto non lo chiede.
Questa è forse la differenza più grande coi gentisti italiani: anche loro, ultimamente, in fatto di promesse non scherzano. Ma quando poi si chiede a Di Maio dove troverà la copertura per il reddito di cittadinanza, o a Berlusconi dove raccatterà i soldi per portare la pensione a mille euro (specie se nel frattempo Salvini pretende la flat tax), la risposta è sempre un po’ vaga. Il populismo italiano è un fenomeno trasversale che rifugge la lotta di classe e si basa sull’idea che da qualche parte esista un immenso tesoro, un serbatoio di risorse intatte a cui lo Stato ancora non ha attinto a causa della malignità dei suoi rappresentanti. “Aboliremo gli enti inutili!” propone Di Maio, forse senza sapere che se ne parla almeno da 40 anni e che molto è stato già abolito – ma non importa, da qualche parte probabilmente esistono ancora milioni di euro da redistribuire ai disoccupati. E poi, naturalmente, si possono mandare a casa i politici (che in effetti hanno sempre meno soldi per la campagna elettorale, e questo per ora sembra renderli più disperati e rapaci), e che altro c’è? Le banche avide (ma molto spesso sono in sofferenza), i dipendenti pubblici fannulloni (ma quanti saranno?), gli insegnanti che invece di fare 18 ore alla settimana potrebbero farne di più (ma ne fanno già molte di più) e, stavamo per dimenticarli, gli evasori fiscali. Ma di quelli Berlusconi, Grillo (e Casaleggio) hanno sempre parlato poco.
Ne parla più volentieri la sinistra – già, perché c’è anche una sinistra che andrà alle elezioni in Italia. Neanche a farlo apposta, poche ore dopo la dichiarazione di Corbyn è stato pubblicato il programmaelettorale di Liberi e Uguali, il movimento che proprio dal Labour sembra avere copiato almeno lo slogan (“Per i molti, non per i pochi”). Si parla di alloggi per i senzatetto, nel programma di LeU?
Se ne parla, sì: e meno male, visto che i senzatetto che nel Regno Unito vengono considerati un’emergenza sono intorno ai quattromila, mentre in Italia l’Istat ne conta molti di più: cinquantamila nel 2014. Ciononostante l’argomento non scalda la campagna elettorale (i senzatetto non votano) e anche LeU dedica a tutta la questione della prima casa appena due righe al capitolo Welfare: “La crisi ha lasciato in eredità un enorme patrimonio immobiliare abbandonato che pesa sui bilanci delle banche. Dalla sua acquisizione, come abbiamo già detto, può venire una risposta importante all’esigenza di tornare a rendere effettivo il diritto alla casa”. Più su in effetti si era proposta “la creazione di un fondo pubblico per l’acquisizione dei crediti in sofferenza garantiti da immobili, da destinare all’edilizia popolare con affitti calmierati”. Sono proposte di buon senso, molto tecniche e che svelano un approccio piuttosto distante da quello di Corbyn. Per lui una bella casa sfitta è un’ingiustizia, e il fondo immobiliare che la possiede l’evidente nemico; per LeU il patrimonio immobiliare abbandonato “pesa sui bilanci delle banche”, un’espressione che tradisce un istintivo moto di pietà, del tipo “povere banche, che vi siete accollate la prima bolla immobiliare dal dopoguerra, in un qualche modo vi aiuteremo”.
In controluce, si indovina tutta la differenza tra le due storie: Corbyn è un virus vetero-marxista che è sopravvissuto nel Labour a ogni vaccino blairiano, fino a prendere il sopravvento. Mentre i Liberi e gli Uguali che si stringono intorno al cartellone di Pietro Grasso sono per lo più amministratori, che con le banche dei loro territori hanno un’antica familiarità: conoscono i loro limiti e non saprebbero chiamarle nemiche nemmeno quando si tratta di spararle grosse in campagna elettorale.Con tutto questo, da elettore di sinistra non mi sento davvero di poter fare lo schizzinoso:
Con tutto questo, da elettore di sinistra non mi sento davvero di poter fare lo schizzinoso... (continua su TheVision)
Lo sapete che la sinistra è in crisi? Lo è più o meno da sempre, almeno nella narrazione dei quotidiani. Lo è per definizione: mentre la destra fa paura, sempre sul punto di svoltare, la sinistra è divisa, disorientata, eccetera. Serve un esempio? Questo è appunto il mestiere del commentatore. Trovare ogni tot giorni un esempio diverso.
Lo spunto dell’ultima settimana: pare che sulle schede elettorali, per la prima volta dopo tanti anni (ma quanti?) non vedremo più la parola “sinistra”. In realtà qualche fortunato avrà modo di vederla ancora, nel bollino col quale si presenteranno insieme i principali partiti trotzkisti italiani, che sono appena due. Folklore a parte, le formazioni di sinistra che hanno qualche chance di sbarcare in parlamento (Potere al Popolo, Liberi e Uguali) hanno rinunciato a mettere nel simbolo la parola che comincia per S. Quanto al PD, com’è noto, la “S” l’ha rottamata ben prima che arrivasse Renzi: già nel 2007, quando gli allora Democratici di Sinistra si fusero con i post-democristiani e centristi della Margherita. Risultato: a 22 anni dalle elezioni del ‘96 (in cui il partito più votato in Italia risultò proprio quello dei DS) gli elettori italiani non troveranno “sinistra” sulla scheda. È un fatto grave?
No.
Ma è interessante notare come viene raccontato, con quell’attenzione per il bicchiere mezzo vuoto che è necessaria a chiunque voglia parlare di sinistra (e quindi di crisi). Si dà per scontato che qualsiasi novità debba coincidere con qualcosa di negativo: se non c’è più la parola “Sinistra” ci stiamo senz’altro perdendo qualcosa. Qualcosa che c’era già, e quindi senz’altro è qualcosa di antico, e di nobile. Qualcosa che non riusciamo più a recuperare perché siamo in crisi. Nota: questo modo di pensare è in assoluto l’atteggiamento meno “di sinistra” che si possa immaginare. L’attenzione maniacale alle tradizioni antiche o presunte tali è quello che ci si aspetterebbe dalla destra: ma appunto, in Italia la destra si racconta in tutt’un altro modo. È scaltra, si annida, prolifica nell’ombra e al momento giusto prenderà il sopravvento. Se la destra rinunciasse all’improvviso al suo nome, i commentatori non penserebbero che è in crisi. Sagacemente suggerirebbero che si stia mascherando per ottenere più consensi. Il problema in realtà non si pone, perché la destra ha usato raramente la parola “Destra” sui suoi bollini elettorali. E invece, la Sinistra, l’ha usata poi così spesso?
C’è mai stata una campagna elettorale tanto simile a un saldo di fine stagione? Sarà che Berlusconi non ha più niente da perdere; sarà che il M5S ha più voglia di lanciare promesse assurde che di vincere (col rischio poi di doverle mantenere); sarà magari anche la stagione, la depressione post-natalizia; proprio mentre stiamo lentamente elaborando la delusione per non aver trovato sotto l’albero quello che desideravamo, ecco che arriva Di Maio con uno scrigno pieno di Reddito di Cittadinanza. Ma da dietro spunta Berlusconi e promette di togliere tasse per sei anni a chiunque ci assuma a tempo indeterminato, se le elezioni le vince lui. Quanto a Pietro Grasso, lui non vince di sicuro ed è un peccato, sennò potremmo tornare all’università gratis, magari riavere indietro i nostri vent’anni.
Intruppato in mezzo a questi favolosi personaggi da presepe, Matteo Renzi sembra l’imbonitore meno convinto. Si intuisce che anche lui vorrebbe partecipare al gioco; abolirci, che so, il canone in bolletta. Ma si trova inchiodato a un ruolo che non ha mai incarnato volentieri, ma che è il fardello di ogni leader italiano di Centrosinistra: il rappresentante del Principio di Realtà.
Proprio lui, che appena ieri era il più giovane: proprio a lui ora tocca il ruolo antipatico dell’adulto che fa due conti e scrolla la testa: mi dispiace, ma non ce lo possiamo permettere. Salvini vuole la flat tax? Un bel regalo ai ricchi, ma con che soldi? I Liberi e Uguali vogliono l’università gratis per tutti? Non sarebbe poi un’idea così fantascientifica, per esempio in Danimarca qualcosa del genere c’è, ma qui da noi manca la copertura (la Danimarca ci piace solo quando licenzia facile). Il Principio di Realtà, spiegava Freud, non è opposto al più infantile Principio del Piacere, ma ne è per così dire una versione più evoluta, modellata dalle stesse “pulsioni di autoconservazione dell’ego”: è come se per tutti noi venisse una specie di 7 gennaio della vita in cui capiamo che non possiamo alimentarci per sempre a torrone e pandoro. Dobbiamo in qualche modo accettare l’idea che esiste il diabete, esistono i lunedì, le tasse, i debiti e tutte queste cose orrende e insormontabili che compongono la dimensione chiamata realtà. Un momento del genere arriva persino per gli italiani, più o meno ogni otto/dieci anni: è l’unico momento in cui la sinistra ha qualche chance di vincere le elezioni. Peccato che dopo averle vinte non possa fare quasi nulla di sinistra...
Come forse sapete, si sta votando alla Camera l’ennesima legge elettorale – la terza in questa sola legislatura. Per evitare che venga impallinata come la penultima, il governo Gentiloni ha deciso di porre la fiducia, come fece il governo Renzi con l’Italicum tre anni fa. Come forse immaginate, la legge elettorale che verrà approvata è brutta – come del resto era brutto l’Italicum, anche se lì la filosofia era diversa. Quest’ultimo era concepito per regalare il Parlamento al leader che fosse riuscito a conquistare il 40% dei voti. Dopo le europee Renzi era convintissimo di riuscirci; pochi mesi dopo, i suoi uomini stavano già bisbigliando che forse la legge andava cambiata. La nuova legge, invece, scaturisce da un’amara constatazione: al 40% non ci arriverà né Renzi né nessun altro. A questo punto è abbastanza normale, se i partiti sono tre, che almeno due si accordino in Parlamento per rendere più complicata la vita al terzo. Specie se il terzo in questione è il M5S, che potrebbe perfino vincere la conta dei voti, ma che tra tutti è il meno disponibile alle alleanze post-elettorali.
Avremo dunque due partiti (il PD e Berlusconi +Salvini) che lotteranno come leoni fino alla mattina delle elezioni, per accordarsi come agnelli la sera dello spoglio dei voti. Questo meccanismo, che nel lessico degli osservatori politici viene chiamato “inciucio”, è universalmente esecrato, ma al momento appare abbastanza inevitabile. Nel caso i numeri lo permettessero, potrebbero esserci delle scissioni. Ad esempio, un pezzo di centrodestra potrebbe staccarsi (ricordate Alfano, tre anni fa?) e andare al governo col centrosinistra, oppure il contrario: è un fenomeno che sul finire dell’Ottocento fu battezzato “trasformismo” e che ha resistito a cinque o sei sistemi elettorali diversi. Al centro del Parlamento, nel loro dorato isolamento, i grillini continueranno a recitare il ruolo dei duri-ma-puri.
Dopo vent'anni di lutto, finalmente la regina ha acconsentito a risposarsi. Ma proprio durante il banchetto di fidanzamento scoppia una rissa incresciosa: un mendicante trucida tutti gli invitati affermando di essere il vecchio re, tornato da un lunghissimo viaggio. Dice che ha conquistato una grande città (ma non porta con sé nessun bottino); che nel viaggio di ritorno ha sconfitto mostri, litigato con dèi, visitato il mondo dei morti, insomma era assente giustificato. Questo è più o meno quel che resta dell’Odissea se togli lo storytelling e lasci lo squallore.
Ho ripensato a Ulisse, e a quanto gli piaceva raccontarsela, quando l’altro giorno su Libero ho ritrovato Lorenzo Fiato e i suoi amici di Defend Europe. Era da un po’ che non ne sentivo parlare. Il loro profilo twitter è inattivo da un mese, c’era di che preoccuparsi. Fiato è un vero Ulisse del mediterraneo contemporaneo. Non ci credete? Sentite cosa scrive su Libero un tizio che non è Omero, ma si sta attrezzando:
“Hanno fermato gli scafisti, l'immigrazione clandestina e le Ong, e sono appena 8 ragazzi. Per questo li hanno definiti "pirati" o "fascisti" ma oggi l'equipaggio di Defend Europe può dirsi vincitore. A bordo della loro C -Star hanno svelato i lati oscuri e, forse, gli affari delle Organizzazioni non governative attive nel salvataggio dei migranti…”
Ogni volta che mi capita di preparare una visita d’istruzione all’estero, so già che ci sarà almeno un mio studente che dovrò lasciare a casa perché non ha i documenti per l’espatrio. Immaginate la situazione: due ragazzi uguali, nati nella stessa città (la mia), che vanno nella stessa scuola, pisciano nello stesso gabinetto (meglio se non contemporaneamente), ma che non hanno lo stesso diritto di andare in Costa Azzurra, perché? Perché uno ha i genitori, per dire, moldavi e l’altro rumeni. Quindi il secondo ha i documenti per andare in gita e il primo no. Al primo cosa posso dire? Mi dispiace, ho visto che ti impegni e mi stai pure simpatico, ma i tuoi genitori sono nati a est del fiume Prut a quanto pare la cosa è molto importante; infatti chi viene da oltre il fiume Prut è una minaccia per la nostra identità, nel senso che può anche lavorare e pagare le nostre tasse, ma suo figlio in gita in Francia, eh no. È una pura assurdità, che almeno un partito (il PD) aveva promesso di eliminare, con una legge (il cosiddetto Ius Soli) che questa settimana con ogni probabilità si impantanerà in Senato e molto difficilmente nella prossima legislatura qualcuno avrà le palle di riproporre. E questo perché?
Forse perché negli ultimi mesi alcune testate si sono messe a pompare al massimo un certo sentimento xenofobo, inventandosi una specie di invasione africana che – dati alla mano – non esiste?
(Ciao. Su TheVision c'è un pezzo mio, si chiama Che c***o sta combinando il Pd con lo Ius Soli ma ce l'ho più col Corriere che col Pd. Non è che uno può sempre prendersela col Pd. Ok, un'altra volta me la prendo col Pd).
Guarda, ieri ha fatto uscire altri OTTO DISCHI. http://bobdylan.com/news/bob-dylan-trouble-no-more-the-bootleg-series-vol-13-1979-1981-coming-november-3/
Spiega cos'è la "la vera sinistra" per te.
Sono ancorati ad un concetto di "sinistra" arcaica e,tristemente,credono che il futuro siano anziani demagoghi come il Sanders o,peggio ancora,il Corbyn.
Sono veramente una generazione perduta.
Fare un discorso,da parte di un trentenne da dieci anni organico al partito,fiacco e scontato culminante in un lapsus freudiano dove viene seppellita la pluridecennale esperienza di un luminare,legandolo ad un "come un Burioni qualsiasi" rende l'idea della mentalità del suddito insita in tal giovane uomo.
La democrazia è in pericolo perché nn c'è una classe politica giovane che difenda la competenza come veicolo di libertà.
Il paragone è *senza senso* perché:
- una cosa sono le opinioni politiche, altra le teorie (nel senso più epistemologicamente corretto) della scienza;
- i No-Vax non sono gente con cui si possa "discutere";
- un partito DEVE discutere con gli elettori; gli scienziati non devono discutere con i pazzi saccenti rischiando di dare visibilità alle loro fesserie.
Ma fino a quando, come è stato finora, BUrioni non parlerà da candidato segretario di un partito, ma da esperto di UN argomento che su quell'argomento prende a sberle metaforiche gli analfabeti che pretendono pari dignità in nome di un'inesistente democrazia della conoscenza, Corallo rimarrà un emerito imbecille.