Superuomini scandinavi sempre nostri superiori

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Non ho molto tempo per scrivere in questi giorni, e anche se l'avessi nessuno mi pubblicherebbe pezzi su uno degli argomenti che mi sta intrigando di più, ovvero la Svezia. Quel fenomeno tutto particolare per cui nel momento in cui gli svedesi stanno raggiungendo il record continentale dei contagi, c'è ancora qualche italiano sulla mia bacheca social che dice che loro hanno capito tutto, avremmo dovuto fare come loro sin dall'inizio, ecc. ecc. (Per contro nessuno propone di imitare greci e portoghesi, che pure fino a questo momento sembrano aver scampato meglio a un rischio peggiore).

Ovviamente all'inizio nessuno sapeva come sarebbe andata a finire, e tutto sommato bisogna essere grati agli svedesi per aver fatto da gruppo di controllo per l'intero continente: mentre gli altri Paesi – compresi i confinanti nordici – adottavano  misure di blocco, loro si sono assunti le loro responsabilità, sono andati per la loro strada e soltanto grazie al loro sacrificio adesso (solo adesso) possiamo confrontare i loro numeri con quelli sensibilmente più bassi di danesi e norvegesi e desumere con qualche sicurezza che la strada presa dagli svedesi non era migliore di quella presa da tutti gli altri. Il problema è che non lo facciamo (non lo fanno neanche loro, a quanto pare) e continuiamo a credere in questo mito dei Superuomini Svedesi nostri Superiori. 

Su questo mito, che riguarda non solo gli svedesi ma tutti gli scandinavi (e i finnici) avevo provato a scrivere un pezzo mesi fa, in un periodo in cui erano rispuntati contemporaneamente due o tre tormentoni intramontabili, ad es. l'eccellenza della scuola finlandese o il mercato del lavoro danese. Proprio mentre ci lavoravo uscì un numero di Internazionale coi finnici in copertina. Alla fine il pezzo fu rifiutato perché, in effetti, non era coerente con la linea della testata, ovvero: è da anni che raccontiamo la Scandinavia come il paradiso liberal-socialista-anarchico in terra, mò tu che cazzo vuoi, nonnino. Che è un punto di vista che rispetto, eh? Io al vostro posto mi sarei mandato a cagare anche prima. Comunque il pezzo è qui, non parla di epidemia perché erano i primissimi giorni del lockdown, credo, e in Scandinavia nessuno pensava che il virus sarebbe potuto arrivare, quello screanzato.  


Se anche tu passi un po' di tempo su internet cercando di farti un'idea del mondo che ti circonda, sai che è solo questione di ore. Prima o poi succederà, e non potrai farci niente. Arriverà sotto forma di video o di link a un pezzo di Internazionale. Te lo avrà inviato un amico, o un perfetto sconosciuto. Più tempo passi on line, più crescono le possibilità che qualcuno senta la necessità di ricordarti che gli scandinavi e i finlandesi esistono, e sono migliori di te.

Sei una donna? Le donne svedesi hanno sconfitto la rape culture. Sei un insegnante? I finlandesi hanno le migliori scuole del mondo  (i finlandesi non sono esattamente scandinavi, ma di solito sono inclusi nel pacchetto).  Sei un siciliano e non ne puoi più dei traghetti? Danesi e svedesi in quattro anni hanno costruito un ponte che è lungo cinque volte lo stretto di Messina! E così via. Il nostro mercato del lavoro non funziona, dovremmo fare come la Danimarca. L'ambiente, gli islandesi sì che lo rispettano. I norvegesi, loro sì che hanno uno stato sociale. E hai visto quante donne nel governo finlandese! Eccetera eccetera eccetera.


A volte cerchi di resistere. Leggi un pezzo di un vicesindaco di Helsinki che dopo aver visitato Roma ha scoperto il segreto per risolvere il problema del traffico: ingrandire i marciapiedi! Leggi commenti di romani estasiati, ah, i finlandesi, se solo ci invadessero. Pensi: mio dio, ma cosa sto leggendo? Roma fa quasi tre milioni di abitanti, su sette colli e più; Helsinki è grande come Bologna ma senza le colline. Come si fa a paragonare due città del genere, che senso ha. Quanto al ponte Øresund tra Svezia e Danimarca, per carità: è bellissimo, ma la campata più lunga non è neanche di cinquecento metri: quella del ponte di Messina dovrebbe arrivare a tremila metri, nessun altro ponte al mondo ci si è nemmeno avvicinato, fin qui. Non è merito degli ingegneri scandinavi se sui loro fondali puoi piantare piloni di cemento mentre tra Scilla e Cariddi non si può.

E quanto alle donne svedesi, continuano a denunciare più violenze degli altri popoli europei, e non è sicuro che lo facciano perché abbiano più fiducia nella legge e nei giudici (su questo almeno gli studiosi non concordano). Il fatto che sempre più incarichi di governo ricadano sulle donne è un buon segnale, ma non significa che in generale per le donne scandinave sia facile far carriera: per ora non c'è una nazione nordica dove la percentuale di imprenditrici superi l'8% (la media dell'UE si attesta intorno al 20%). Ma proprio mentre stai cercando questi dati, qualcuno ti manda un link: leggi questo pezzo! gli scandinavi hanno risolto il problema del bullismo, hanno inventato un sistema innovativo! Leggi il pezzo. Il "sistema innovativo" è molto simile a quello che usano nella scuola dei tuoi figli – il che alla fine non dovrebbe sorprendere: molte tecniche nate nei Paesi scandinavi sono state adottate già da anni in altri anche da noi. Sul bullismo, in particolare, gli scandinavi sono stati all'avanguardia perché gli studenti tendevano a suicidarsi con più frequenza, e in generale la percentuale dei suicidi continua a essere importante (anche se il "record svedese dei suicidi" è un vecchio luogo comune smentito dai numeri). Il punto è che qualsiasi cosa facciano i nordici per noi è eccezionale, e quindi se tendono a togliersi più spesso la vita, subito decidiamo che devono essere i recordmen mondiali di suicidio.

È sempre stato così, da che ti ricordi. Non c'è mai stata un'internet che non ti ricordasse periodicamente quanto i Superuomini Scandinavi Siano nostri Superiori. Dodici anni fa, nei giorni ruggenti in cui su beppegrillo.it si diffondevano leggende come la biowashball o la propulsione a olio di colza, gli islandesi erano già l'Ultima Thule del grillismo, il popolo eroico che aveva deciso di non pagare i propri debiti alle banche internazionali assetate di sangue. Ovviamente era una bufala, ma già molto indicativa. Proprio come a Nord si incrociano Oriente e Occidente, così la leggenda dell'eroico popolo nordico che resisteva al sordido potere dei bancari attirava lettori da destra e da sinistra. Già allora la maggior parte sembrava voler ignorare che gli islandesi fossero in tutto poco  più di trecentomila, meno degli italiani residenti nel comune di Firenze, e che quindi anche i loro debiti alla fine non dovessero ammontare a gran cosa. Invece no, se ci stavano riuscendo loro, anche noi saremmo riusciti a non restituire il nostro colossale debito pubblico. E però in economia le dimensioni contano. Qualcuno si sognerebbe mai di proporre la Repubblica di San Marino come modello? Ok, l'Islanda è un po' più popolata di San Marino. Dieci volte di più. L'Italia, dal suo canto, è duecento volte più popolosa dell'Islanda.

Se grillini e rossobruni guardavano all'Islanda, anche i liberaldemocratici sentivano il richiamo dei fiordi. Erano gli anni in cui brillava l'astro di Pietro Ichino, il giuslavorista del Partito Democratico che proponeva per il mercato del lavoro italiano un modello danese da lui definito "Flexsicurity". Lui stesso ammetteva che l'Italia non poteva diventare la Danimarca in un giorno, anche a causa del "difetto di risorse pubbliche destinabili ai servizi nel mercato del lavoro", insomma questa minore disponibilità dei contribuenti italiani, rispetto ai danesi, a pagare le tasse: ciononostante credeva necessario provarci. Inasprendo la pressione fiscale? Ah ah, no.

Per Ichino la priorità era rendere più facili i licenziamenti: quel che il governo Renzi ottenne con il Jobs Act. In seguito non siamo diventati la Danimarca (per ora sono aumentati quasi soltanto i lavori a termine), ma lo stesso Ichino avvertiva che ci sarebbero voluti comunque molti anni, se non "decenni" (sarebbero serviti anche ammortizzatori di cui quel parlamento non fece in tempo a occuparsi, come succede più o meno ogni volta che in Italia si riforma lo statuto dei lavoratori). Rimane curioso l'esempio di un Paese che decide, come l'Italia di Renzi, di riformare il proprio mercato del lavoro prendendo esempio da un altro Paese diversissimo per cultura e per dimensioni: i danesi sono un po' di più degli islandesi (cinque milioni), ma comunque molto meno di noi. Può darsi davvero che alla fine le dimensioni non contino, ma insomma quando cerchiamo modelli per migliorare l'Italia, anche solo in Europa c'è l'imbarazzo della scelta: sono quasi tutti migliori di noi in qualche cosa, avrebbero quasi tutti qualcosa da insegnarci. Perché ci fissati tanto sui nordici, per quanto marginali, e piccoli, e diversissimi da noi per cultura, clima, paesaggio?

Gli scandinavi non sono imperialisti come gli americani o i russi, non ci hanno deportato un bisnonno come i tedeschi, anzi i finlandesi i tedeschi li hanno respinti, dopo aver respinto i sovietici (si sono anche alleati, a turno, sia coi primi sia coi secondi, ma chi siamo noi per giudicarli). Insomma non ci fanno paura, gli scandinavi. Non sono neanche troppo vicini, come i francesi, e questo forse ci rende più semplice invidiarli. L'invidia non essendo altro che un meccanismo emotivo che ci consente di migliorare noi stessi, regolandoci sugli esempi forniti da chi ci sta intorno. Certo, se diamo troppe occhiate a chi ci sta vicino rischiamo di apparire nervosi e innestare un circolo vizioso di diffidenza. Invece nessuno se la prende se dal fondo dell'aula ogni tanto diamo un'occhiata all'alunna alta e bionda in prima fila. È lontana, inaccessibile, magari a sedercisi più vicino scopriresti che ha anche lei i suoi problemi (alcolismo in famiglia, violenze domestiche, manie suicidarie), ma perché dovresti? Per te è solo un obiettivo a cui tendere. Ok.

Mentre pensi a questa cosa, ti arriva una notifica. Un tuo collega vuole farti vedere come sono fighissime le classi finlandesi. Altro che le nostre aride lezioni frontali. È un video di due minuti, si vedono studenti fare quello che gli pare in ogni angolo dell'aula, ce n'è un paio appollaiati sugli scaffali. Pensi: speriamo che gli scaffali siano bullonati alla parete, in Italia è previsto dalla legge e non puoi metterli nei corridoi. E guarda quanti spigoli, da noi sarebbe vietato. Due ragazzi seduti su uno scaffale è un aneddoto, ma decine di ragazzi tutti i giorni in tutte le scuole è un concreto rischio per la sicurezza, da noi prima o poi qualche dirigente finirebbe a processo. Certo, magari da loro non è zona sismica, e poi hanno tutto lo spazio che vogliono, nessun problema con le vie di fuga... Ma insomma, la prova che le scuole finlandesi sono fantastiche è che i ragazzi possono sedersi sugli scaffali in barba a elementari norme di sicurezza e buon senso? Caraffe di acqua bollente vicino ad attrezzi ginnici elettrici, e spigoli, spigoli vivi dappertutto. Cioè magari hanno davvero le scuole migliori del mondo i finlandesi, ma non lo dimostra un video del genere. In effetti, cosa lo dimostra?

Ecco, qui entriamo in un terreno lacustre e accidentato. Posto che paragonare sistemi scolastici molto diversi è sempre discutibile, diciamo che l'idea dell'eccellenza finlandese nasce vent'anni fa con la prima pubblicazione delle prove Ocse-Pisa. In quel momento fu davvero una sorpresa perché nessuno se l'aspettava. Da lì in poi abbiamo deciso che i finlandesi avevano capito qualcosa che avremmo assolutamente dovuto imitare, anche se non era chiaro cosa. Non era chiaro agli stessi finlandesi, che invece di sedersi sugli allori hanno continuato a sperimentare cose nuove, senza preoccuparsi troppo di calare in classifica. Che è infatti quel che è successo di lì a poco. A quel punto il dibattito sulla scuola finlandese è diventato un caos in cui anche chi la critica parte da posizioni completamente diverse: c'è chi accusa i finlandesi di fare "teaching to the test", ovvero di ridurre la didattica a una serie di espedienti che ti consentono di andare molto bene nei test, ma che non stimolano la creatività e non consentono lo sviluppo di autentiche competenze (e tuttavia, come s'è visto, i finlandesi non vanno più così bene coi test). C'è chi invece sostiene che i risultati ottimi di vent'anni fa non erano causati dai nuovi sistemi didattici, ma dal buon livello del sistema tradizionale precedente, basato sulle lezioni frontali impartite da insegnanti che nella società finlandese godevano e godono di una indisputabile autorevolezza. L'eccellenza della scuola finlandese sarebbe un grande fraintendimento: era molto migliore quand'era tradizionale, poi ha voluto cambiare insistendo molto sulla responsabilità individuale degli studenti e i risultati dei test hanno registrato un calo non drammatico, ma sensibile e immediato.

Insomma quando diciamo che vorremmo una scuola più finlandese, cosa intendiamo? Una scuola che vince le gare internazionali di matematica, o quella dove i ragazzi sono liberi di sedersi sugli scaffali? Non è chiaro e forse non è nemmeno così importante. Anche la scuola finlandese attrae ammiratori da sinistra e da destra. I primi non possono che essere conquistati da un sistema educativo super-inclusivo ed egualitario (e quasi completamente pubblico), che è poi lo specchio di una società egualitaria che crede nell'importanza dell'istruzione e la finanzia in modo cospicuo. Che faccia lezioni frontali o teaching to the test, o assista semplicemente i ragazzi cercando di evitare che si spezzino il collo contro gli scaffali, il docente finlandese è ancora percepito come un perno della società, che lo riverisce e lo paga adeguatamente, e questo è l'essenziale.

D'altro canto chi osserva il video non può impedirsi di notare che in quell'aula sono tutti bianchi, bianchissimi. Perché il carattere egualitario della società finlandese è anche dovuto alla sua omogeneità etnica e culturale. Il 90% della popolazione è di lingua suomi; il 5% svedese: gli immigrati dal sud del mondo sono quantificabili in decine di migliaia, il che deve rendere oggettivamente meno difficile la vita quotidiana di un insegnante statale finlandese.

Venticinque secoli fa, gli antichi Greci già favoleggiavano di una terra Iperborea al di là dei ghiacci dell'Oceano, dove aveva vissuto e forse viveva ancora un popolo perfetto e felice. L'idea che la civiltà arrivasse da nord ebbe poi un certo successo soprattutto a partire dall'Ottocento: fu ripresa da Nietzsche, e in Italia dal "superfascista" Julius Evola. Per quanto sia antica, è comunque una bufala, tanto quanto la storia degli islandesi che non pagano i debiti. I nordici non sono necessariamente migliori (né peggiori) di noi. La loro cultura si è modulata per adattarsi a un ambiente piuttosto diverso dal nostro: è giusto ammirarli, ma non tutto quello che è buono per loro potrà essere mai buono per noi. Noi siamo mediterranei: siamo più numerosi, viviamo letteralmente su un ponte sottile di terra tra il Nord e il Sud del mondo. Da sempre siamo esposti alle migrazioni e a tutto quello che portano di buono, di cattivo e in generale di complicato. La coesione sociale nordica ce la possiamo sognare: semplicemente non è una cosa che si adatti all'ambiente dove viviamo. Possiamo continuare ad ammirare la ragazza alta e bionda in prima fila: possiamo anche provare a parlarle e magari scoprire che lei è curiosa della nostra cultura quanto noi siamo attratti dalla sua. Non c'è niente di male in tutto questo, anzi, è uno dei motivi per cui abbiamo fatto l'Unione Europea. Ma pensare di poter diventare come lei, semplicemente copiando qualche suo gesto o l'acconciatura, sembra il modo migliore di renderci ridicoli. Anche ai suoi occhi.
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Di minibot non vuol sentir parlare nemmeno Bagnai

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(Avvertenza: questo post è talmente lungo che ne contiene uno di Bagnai).

"I AM THE CREATOR OF THE MINIBOTS:
LOOK ON MY WORKS, YE MIGHTY, AND DESPAIR!"
(Nothing beside remains. Round the decay
Of that colossal wreck, boundless and bare,
The lone and level sands stretch far away).
Ma la Lega i minibot li vuole davvero? Non sarà una di quelle tipiche cose leghiste che si danno in pasto al parco buoi in estate, come gli esami in dialetto, le bandiere regionali, i ministeri al Nord? L'ultimo intervento di Giorgetti sembrava autorizzare questa ipotesi. Poi Claudio Borghi (colui che su Twitter si fa chiamare "the Creator of the Minibots") ha spiegato che in realtà Giorgetti non voleva completamente sconfessare e ridicolizzare la sua trovata da apprendista economista, eccetera. Va bene.

In questi casi di solito ci si racconta la favola dei falchi e delle colombe: la Lega è ormai un grande partito, e in un grande partito di solito c'è chi interpreta una visione delle cose più realista e moderata (Giorgetti? Tria?) e chi non ha la minima intenzione di seppellire l'ascia di guerra tanto sfoggiata in campagna elettorale: Claudio Borghi, senz'altro, magari Savona. E ovviamente Bagnai.

Ah, giusto, Bagnai. Perché se c'è un falco no-euro in Lega, questi è senz'altro lui. Quindi insomma, dei minibot cosa pensa?

Ecco, è bizzarro. Ne pensa pochissimo, non ne parla mai. Questo sarebbe strano anche se Bagnai non fosse l'economista di punta della Lega, il più preparato e accademicamente titolato. Sarebbe strano anche se Bagnai non fosse l'economista di riferimento dei falchi no-euro della Lega, perché Borghi  tutta quest'aura da economista esperto non ce l'ha mai avuta – è uno da talkshow, diciamo. Questa cosa che Bagnai non abbia mai scritto un solo post, mai un solo post sui minibot, sarebbe strana anche se Bagnai non fosse uno dei blogger più facondi d'Italia (e se ve lo dico io ci potete credere). Bagnai di euro e non euro parla da anni, e mentre ne parla riesce a infilarci dentro qualsiasi cosa, dalla teoria musicale barocca alle strisce giornaliere di Floyd Gottfredson, per cui è davvero molto curioso questo fatto che se scrivi "minibot" sul motore di ricerca del suo blog ti restituisca zero risultati. Insomma l'ultimo dibattito tra Giorgetti e Borghi dobbiamo immaginarcelo recitato alla presenza di un ingombrante convitato di pietra. Questa posizione alla lunga deve essere sembrata insostenibile anche allo stesso Bagnai, che finalmente lunedì ha deciso di chiarire la sua posizione sui minibot.

Ci ha messo 19.128 caratteri.

Che per lui non sono neanche tanti – e del resto seppellire le evidenze scomode sotto mucchi di parole divaganti è una tecnica non nuova su Goofynomics.blogspot.com. Siccome però qua fuori c'è anche gente che lavora, e poi fa anche molto caldo, insomma, ho deciso di venire incontro al pubblico lanciando un servizio di traduzione dal bagnaiese all'italiano, una nuova rubrica (spero molto saltuaria): Alberto Bagnai per chi non ha tempo. Nella casella sinistra troverete quindi l'originale, e in quella destra la mia molto sbrigativa versione. Riconosco che nel passaggio qualche sfumatura di significa potrebbe perdersi: del resto Bagnai è un universo.



BAGNAI

Rischierò di essere ripetitivo.
ITALIANO

Mi ripeto,
Esattamente come, nel tentativo più o meno riuscito di darvi qualche rudimento di analisi macroeconomica, ho scelto di insistere su pochi strumenti, snelli e solidi, fra cui il principale è l'analisi dei saldi settoriali (iniziando col primo e colsecondo post dedicati alla "Premiata armeria Hellas", e proseguendo poi per numerosissimi altri post dove il metodo è stato applicato ai paesi più disparati, dalla "A" di Azerbaijan alla "S" diSlovenia), così, ora, per farvi capire come funziona la politica, devo fornirvi alcuni strumenti essenziali per interpretare i dati politici che vi vengono forniti dai mezzi di informazione.
Il più essenziale è semplicissimo da mandare a mente, e anche piuttosto agevole da comprendere nelle sue articolazioni principali, oltre a essere già stato espresso in modo molto più autorevole da tanti prima di me. Eppure, con mio grande rammarico e stupore, vedo che proprio non vi entra in testa! Ma io sono tenace, altrimenti non vi starei scrivendo da questa scrivania dopo l'incardinamento del decreto "crescita", ma da un'altra scrivania dopo una lezione... sui saldi settoriali (!), e quindi insisto. Non potete, e quindi non dovreste, arrischiarvi in analisi politiche (né tanto meno in proclami o roboanti ultimatum secondo il modulo "Radames discolpati!" riportato in auge dagli "zerovirgolisti" di destra), non dovreste, ripeto, arrischiarvi in analisi politiche senza aver prima ben capito e interiorizzato un dato ovvio:
ma è colpa vostra: siete talmente rintronati che vi devo sempre spiegare tutto dall’inizio, comprese le ovvietà, come per esempio:
i giornali mentono.
i giornali mentono.
Voglio subito chiarire, a scanso di equivoci, che questo non è un giudizio soggettivo, nel duplice senso che (i) non è una mia valutazione soggettiva (è un dato di fatto, come vi ho non ampiamente dimostrato - avrei tonnellate di altri esempi!); e (ii) non è un giudizio sulle intenzioni soggettive dei giornalisti. Non sto assolutamente dicendo che i giornalisti siano "cattivih!" o che lavorino male: dire che i giornali mentono non significa assolutamente dire che i giornalisti siano mentitori. Parole diverse esprimono concetti diversi. Semplicemente, le dinamiche oggettive del loro lavoro conducononaturaliter i nostri amici giornalisti (che conosciamo e stimiamo) alla menzogna. Una menzogna che quindi, proprio in quanto determinata da fenomeni oggettivi, è molto più sistematica e pervasiva di quanto sarebbe se a causarla fosse (solo) una ipotetica mens rea, che ogni tanto potrebbe essere distolta da un suo ipotetico obiettivo di volontaria alterazione del dato.
Nessuna volontà soggettiva, per quanto ferrea, potrebbe ottenere un risultato così graniticamente uniforme e coerente. Non dobbiamo quindi voler male ai giornalisti, trattarli con asprezza, o rampognarli. Semplicemente, dobbiamo non comprare più i giornali, e cambiare canale all'apparire del notiziario (visto che non è l'apparir del vero di leopardiana memoria, ma quello del falso).
I motivi oggettivi cui alludo sono almeno di tre ordini, e due mi erano chiari anche prima di vivere dall'interno le dinamiche della vita parlamentare. Il terzo, che forse è il più devastante, mi è apparso con evidenza solo da dentro il palazzo (essere "dentro" un po' di differenza la fa). Nell'ordine, direi: (i) subalternità al capitale; (ii) ignoranza e fretta (miscela esplosiva!); (iii) selezione avversa.
Non lo fanno neanche apposta, in un certo senso è la loro funzione.

La subalternità al capitale

Della subalternità al capitale ha parlato con tanta chiarezza Gramsci (come ho ricordato nel mio articolo su Micromega), per cui non credo di aver molto da aggiungere. La sua analisi, pubblicata sull'Avanti! nel 1916, la trovate qui a p. 21 sotto il titolo "I giornali e gli operai", e il suo invito a boicottare la stampa borghese, pur se viziato da un ovvio conflitto di interessi (Gramsci scriveva per la concorrenza!), è ben argomentato e, con le dovute rettifiche alle categorie di classe utilizzate all'epoca, del tutto attuale. Il nocciolo è qui:
"Tutto ciò che [la stampa borghese, ndr] stampa è costantemente influenzato da un'idea: servire la classe dominante, che si traduce ineluttabilmente in un fatto: combattere la classe lavoratrice. E difatti, dalla prima all'ultima riga, il giornale borghese sente e rivela questa preoccupazione. Ma il bello, cioè il brutto, sta in ciò: che invece di domandare quattrini alla classe borghese per essere sostenuto nell'opera di difesa spiegata in suo favore, il giornale borghese riesce a farsi invece pagare... dalla stessa classe lavoratrice che egli combatte sempre. E la classe lavoratrice paga, puntualmente, generosamente. Centinaia di migliaia di operai, dànno regolarmente ogni giorno il loro soldino al giornale borghese, concorrendo cosí a creare la sua potenza. Perché? Se lo domandate al primo operaio che vedete in tram o per la via con un foglio borghese spiegato dinanzi, voi vi sentite rispondere: «Perché ho bisogno di sapere cosa c'è di nuovo». E non gli passa neanche per la mente che le notizie e gli ingredienti coi quali sono cucinate possano essere esposte con un'arte che diriga il suo pensiero e influisca sul suo spirito in un determinato senso."
...e 103 anni dopo non credo che ci sia molto da aggiungere. Detto, ovviamente, sine ira et studio. Ma, fatte le debite proporzioni, pensare che oggi grandi industriali o grandi banchieri (gli unici che possono permettersi quei costosi giocattoli in perdita che sono i media) siano così solleciti delvostro interesse da fornirvi strumenti per promuoverlo a discapito del loro mi sembra sia un pochino ingenuo, ne converrete, come pure non occorrono i sensi di ragno di Spiderman per capire che c'è qualcosa che non va quando Landini parla come Giannino (o Giannini)...
Quindi i giornali vi mentono (rectius: vi forniscono una visione partigiana ed artefatta della realtà) perché espressione di interessi costituiti non necessariamente allineati ai vostri: se non siete almeno milionari, è fortemente probabile che ci sia un deciso disallineamento. Ma anche qui, insisto: il giornalista, poverino, non è colpevole, non può farci nulla. Sì, d'accordo, Upton Sinclair, ma non è così semplice. Non è un mero problema venale. Se fosse così, potremmo fare una colletta e corrompere i giornalisti perché dicano la verità! (A beneficio degli ultimi arrivati, chiarisco che non ci servono verità metafisiche: ci bastano verità tecniche, come quella che negli anni '70 la disoccupazione era circa la metà di quella attuale...).
Il problema è più complesso perché corre ormai quasi un secolo (per l'esattezza, 99 anni) da quella conferenza di Bruxelles in cui, come ci racconta Clara Elisabetta Mattei nel suo The guardians of capitalism, gli esperti di economia si raccolsero per elaborare il messaggio, oggi diremmo il frame (nel senso di Lakoff) sul quale articolare il dibattito economico per riprendere il controllo della restless post-war civil society (inquieta società civile post-bellica). Un messaggio a noi ormai tristemente noto: quello dell'austerità. Di "Stato come una famiglia", di "medicina che fa bene solo se è amara", di "riparare il tetto quando il Sole splende - ma anche quando piove", e consimili baggianate moralisteggianti è stata permeata, a botte di milioni e milioni spesi a fini propagandistici, la coscienza civile europea lungo tutto un secolo. Certo, fa specie vedere un giornalista che si crede "di sinistra" dimenticare Gramsci e allinearsi a Giannino (non a von Hayek: a Giannino!). Ma bisogna essere indulgenti: i mezzi dispiegati per frantumare le categorie logiche ed economiche con l'illogica emotiva e moralisteggiante ad uso del padrone di turno sono stati ingenti. Dove non riuscì Keynes, nonostante le sue indubbie qualità letterarie e una fastidiosa tendenza ad azzeccare le previsioni, non presumo di poter riuscire io, o per lo meno non subito, e certamente non da solo.
Ovviamente, il fatto che tutto fosse chiaro a Gramsci 103 anni fa rende inescusabili quei lettori "de sinistra" che ancora si abbeverano alle fonti delmainstream. Quelli "de destra", porelli, in fondo sarebbero assenti giustificati. Ma ci sono altri due argomenti che voglio sottoporre loro, per dotarli di quel fondamentale presidio di igiene del dibattito che è la disinfezione dai media.
Lo diceva anche Gramsci [giornalista], eh, quindi a sinistra siamo coperti.

L'ignoranza (e la fretta)

Le dinamiche oggettive della produzione di notizie non sono di natura tale da condurre a ottimi risultati, e questo ce lo possiamo dire con sincerità (e con sincerità lo ammettono i giornalisti, che sono nostri amici - come la Germania, che a loro tanto piace...). Il rifiuto istintivo da parte dei lettori della qualità scadente e del discorso artefatto e internamente incoerente, qui tante volte espresso, trasforma i media in imprese in perdita. Chi ci lavora, pagato poco, col passare del tempo è pagato di meno, il che, in questo come in altri settori, non è un grande incentivo a lavorare bene, tanto più che alla fine uno può cavarsela col "copia e incolla" dei lanci di agenzia delle 17, aggiungendo qualcosa ad colorandum. Questo spiega perché di fatto quello che leggiamo è, con pochissime eccezioni, un "giornale unico", scritto da chi apre i cancelli dell'informazione alimentando le agenzie, secondo il meccanismo descritto da Marcello Foa ne Gli stregoni della notizia.

E poi c'è un altro problemino.

Le dinamiche oggettive (anch'esse) che ci hanno condotto alla crisi più lunga e profonda della nostra storia (vi rinvio a un articolo in cui i dati non sono aggiornati, semplicemente per ricordare a me stesso che qui certi dati si facevano vedere quando nessuno ne parlava) determinano una conseguenza ovvia: l'economia sta prendendo sempre più il centro della scena. Un processo assistito dal fatto che l'Europa del Fogno (che non è un errore di battitura ma un errore politico) non è mai decollata, riducendosi, come era logico succedesse, ad una mera espressione economica. Ora, l'economia e il pianoforte hanno due cose in comune. La prima è che possono piacere o non piacere (c'è chi preferisce il clavicembalo, ad esempio). La seconda è che vanno studiati da piccoli. Quando sento pretenziosi laureati in laqualunque esternare saccenti in materia della quale nulla sanno, e nella quale si addentrano con la grazia (e l'inevitabile destino) di un toro Miura in un campo minato, mi viene da sorridere di compassione: rivedo certi miei studenti...

La situazione quindi è questa: persone che capiscono poco di una materia della quale non sanno niente vi dicono tutto quello che sapete.

(...si badi bene, sono ammirevoli: da niente a poco è tanta roba!...)

Cosa può andare storto?

A volta mentono per malizia, a volte per insipienza (a proposito: Foglio merda), comunque mentono, lo dice anche Marcello Foà [giornalista], per cui siamo coperti pure a destra.

Un esempio lo chiarirà, ma ad esso devo premettere due brevi parole per calarlo nel contesto.

Tutto questo preambolo per spiegarvi una cosa importante:

Nonostante che la proposta dei minibot sia stato lanciata da Claudio Borghi nel dibattito italiano sette anni fa al primo compleanno di questo blog, e nonostante che io abbia la massima stima per Claudio, come sapete il tema non mi ha mai ispirato particolarmente.

Io coi minibot non c’entro, chiaro? È roba di Claudio.

Se fate una ricerca del termine minibot su questo sito trovate solo interventi dei lettori, per lo più senza mia risposta. Non c'è un motivo particolare.

se me ne chiedete io manco vi rispondo, io di minibot non-ne-parlo, chiaro? È chiaro?

Non ricordo un intervento di Claudio sulla teoria dei saldi settoriali, il che non significa che non sia d'accordo con essa!

E non dirò mai niente di male su Claudio, ma insomma, io dei due sono quello che conosce la teoria dei saldi settoriali.

Certo è che io di quella roba non ne ho mai parlato.

Mentre lui è quello che si fa le foto coi bigliettoni colorati del Monopoli. Vi sfido a trovare un mio intervento su quella roba. Non ne parlo. Chiedete a Claudio.

 Ma se fate una ricerca con le parole chiave Bagnai e minibot trovate tutt'altro: dalCorriere (tanto nomini...) a Next al Post, passando (grazie a Dio) per una testata seria come Lercio (vi risparmio testate minori...) è tutto un chiamarmi in causa in modo più o meno esplicito, ma sempre piuttosto infondato (date le premesse che vi ho esposto).

Se vi è parso diversamente sui giornali, è perché (come dicevo più sopra) i giornali mentono. Fine.

Ora, caso vuole che i minibot siano da più di un anno nel contratto di governo, e il fatto che i media se ne accorgano solo oggi già la dice lunga, ma il tema non è questo. L'indecorosa gazzarra che sta tenendo banco da qualche ora sui media (e che fra poche ore sarà sostituita dalla successiva indecorosa e infondata gazzarra) è nata in questo modo qui:

Il travisamento che ha portato a tante dotte analisi si basa su una tecnica semplicissima: si fa una domanda assurda, e si riporta solo la risposta! Voglio solo attirare la vostra attenzione su un punto. In episodi come questi non c'è necessariamente malizia. A me sembra perfettamente possibile, e molto più probabile, che una domanda così dadaista sia potuta venire in mente al volenteroso operatore dei media per il motivo molto semplice che lui, di che cosa siano i minibot, non sa nulla! Che la cartolarizzazione di un debito dello Stato possa servire ad evitare la procedura di infrazione (intendendo quella per debito eccessivo: ovviamente, ce ne sono anche per i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, ma il giornalista non si riferiva certo a queste ultime...) può venire in mente solo a chi non sappia di che cosa sta parlando.

Ed ecco un caso preclaro di come l'esplosivomix di ignoranza e fretta (con la solita porca vanagloria di fare lo "scuppone") fa girare in tondo per due giorni il meraviglioso circo dei media. D'altra parte, se i circhi sono tondi, un motivo c'è...

Un altro caso di consimile dinamica la trovate, se interessa, qui.

Inutile dire che queste dinamiche che, soggettivamente o oggettivamente, tendono a creare un incidente all'interno della maggioranza (fra o nei partiti che la compongono) ci sono ormai note. A noi addetti ai lavori questo fenomeno è perfettamente chiaro, e così se con Alessandro ci siamo sentiti per il piacere di salutarci, anche Claudio e Giancarlo hanno chiarito l'episodio perché dovevano parlare di altro, certo non di una fanfaluca simile.
Io poi Claudio lo devo pur difendere, è chiaro, prima che passasse Claudio insegnavo a Pescara, mò sto a Palazzo Madama, voi non sentirete mai da me una parola cattiva su Claudio. Però per i minibot chiedete a lui.

E qui si arriva al terzo punto, la selezione avversa.

La selezione avversa

I meccanismi che vi ho descritto fin qui determinano due conseguenze piuttosto ovvie in chi come me esercita attività politica a un certo livello. La prima è che non crediamo minimamente a quello che ci dicono i giornali, al punto che, personalmente, nemmeno li leggo. Non mi interessa che cosa dicano di me perché so come lavorano, e quindi non mi interessa che cosa dicano degli altri, o facciano dire agli altri. La seconda è un po' meno evidente a chi sta all'esterno, ma non meno gravida di conseguenze. Siccome sappiamo che qualsiasi cosa diremo sarà travisata o per esigenze di "linea editoriale" (l'ipotesi "Gramsci", di cui questo è un caso), o per mera ignoranza (la storia dei minibot secondo me ricade in questa categoria), quelli di noi che hanno per le mani pratiche minimamente rilevanti ben si guardano dall'accostarsi ai giornalisti, cui rimane, come unico conforto, come unica speranza di arrivare un secondo prima del loro collega, la platea dei nostri colleghi che, per una serie di motivi, non hanno incarichi di rilievo. Ad esempio: i senatori eletti sono 315 e le Commissioni permanenti quattordici, il che comporta che 301 senatori eletti non saranno Presidenti di Commissione permanente, pur essendo magari più preparati di chi ci è capitato (io faccio una fatica bestiale a star dietro a tutto), e pur avendo, in certi casi, maggiori informazioni del Presidente su affari specifici (ad esempio, quando tocca a loro fare da relatori). Fatto sta, però, che a certe riunioni, per problemi meramente organizzativi, ci vanno solo certe persone, che un filo diretto col comando ce l'hanno solo alcuni, ecc., e i giornalisti, a causa del loro comportamente, in modo pressoché sistematico parleranno solo con gli altri. Quindi i "retroscena", i "fonti parlamentari", ecc., sono basati su notizie frammentarie provenienti da fonti non sempre vicinissime ai luoghi dove si esaminano i problemi e si stringono gli accordi politici. Ne conseguono analisi distorte non solo per i due motivi di cui sopra (le dinamiche di classe e quelle del processo produttivo), ma anche perché a causa delle due dinamiche di cui sopra i giornalisti si precludono l'accesso a materia prima sgrezzata: devono prendere quello che trovano, e ogni tanto cadono male. Non tutti hanno bisogno di visibilità: io, ad esempio, l'aborro, tant'è che voi vi lamentate perché non mi vedete abbastanza in tv. Altri magari ne hanno più bisogno, ma allora non necessariamente hanno notizie attendibili. Analisi ulteriormente distorte portano a una ulteriore ritrosia da parte di chi sa ad accostarsi a chi per un motivo o per l'altro falla. Restano solo fonti secondarie, e la conseguenza è un ulteriore scadimento.

Mario Sechi, che è intervenuto prima di me alla scuola GEM2019, mi dicono abbia analizzato in questi termini questo fenomeno, lamentandosene: "non si trovano più fonti parlamentari!". Mario è una persona onesta e (a me) simpatica, anche se sono ideologicamente molto distante da lui. Non credo di dovergli chiarire il perché le fonti si prosciughino! A me piacerebbe, considerandolo un interlocutore intellettualmente stimolante proprio perché non la pensa come me, poter condividere con lui qualcosa di quello che posso condividere (perché nel mio lavoro non tutto si può e non tutto si deve condividere). Ma purtroppo, nonostante che lo stimi, come stimo pochi altri (che quindi non cito perché in una lista breve le omissioni involontarie sarebbe offese cocenti), devo privarmi del piacere di interloquire con lui perché tanto una delle tre porche dinamiche qui descritte alla fine entrerebbe in gioco, rovinando un rapporto che finora è stato, e spero continui comunque ad essere, cordiale.

Chi le cose le fa (come Giorgetti, per fare un esempio...) ha poco tempo per raccontarle, e chi, come me, avrebbe più tempo per comunicare, alla fine pensa che se tanto il giornalista deve mettergli in bocca parole non sue, forse può anche farlo senza la sua collaborazione!

Concludendo

Ecco: quello che vi ho detto oggi, e che "taggo" con la parola "propaganda" (un tema di cui qui ci siamo occupati estesamente) sta alla politica come l'aritmetica dei saldi settoriali sta alla macro. Interessi costituiti, ignoranza e selezione avversa (particolarmente forte in questa stagione politica) rendono, purtroppo, i media assolutamente inattendibili. Basta saperlo. Sapere poi quali sono le dinamiche che li rendono tali aiuta ad esercitare un'attenzione critica mirata. Occorre un filtro molto potente per isolare dal gran noise la poca informazione che porta.

Noi lo vediamo anche come un'opportunità. Alla fine, il nostro nemico spara da solo i fumogeni che gli impediscono di capire che cosa stiamo realmente facendo! Se provassimo noi, che siamo persone ingenue e sincere, a fuorviare i giornalisti per essere lasciati in pace sugli affari che ci stanno a cuore, non potremmo riuscirci tanto bene quanto ci riescono da se stessi (tutto l'affaire minibot è un caso di scuola meraviglioso)!

Voi, invece, dovete stare un pochino più attenti, almeno, se volete che i rapporti restino cordiali. Chi interloquisce su Twitter in modalità "Radames discolpati" perché Giorgetti ha detto e perché Molinari ha fatto fino a oggi è stato bloccato sporadicamente. Dopo questa ampia ed esaustiva spiegazione sarà bloccato sistematicamente. Vado su Twitter per informarmi e divertirmi. Il melodramma non è divertente, e chi non capisce cose semplici, come quelle che ho spiegato oggi, difficilmente sarà portatore di informazioni rilevanti.

...sempre tenendo conto che i giornali mentono. Tutti mentono. Mai fidarsi.

Pax et bonum.

La predica è finita, andate in pace.

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1. Kyenge - 2. Honsell

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Come passa il tempo, siamo di nuovo alle Europee. Mi sarebbe piaciuto offrire un'indicazione di voto precisa, netta come cinque anni fa, ma gli anni non mi stanno precisando le idee, tutt'altro. In ogni caso gli ottimi motivi che avevo cinque anni fa per votare Cécile Kyenge sono ancora tutti lì, e quindi credo che la voterò di nuovo, malgrado la delusione che mi diede sulla questione dei copyright. (Mi sarebbe piaciuto anche riconfermare Elly Schlein – forse in assoluto il voto di cui mi sono meno pentito nella mia storia di elettore – ma lei ha fatto una scelta diversa e forse il tempo le darà ragione). La Kyenge fu la promotrice di un disegno di legge sulla cittadinanza che avrebbe significativamente migliorato la vita di tanti miei concittadini e studenti; altri l'hanno tradita, io nel mio piccolo non me la sento. A quel punto, visto che votare Kyenge implica votare PD, penso che ne approfitterò per votare Furio Honsell, che mi è simpatico e che a Bruxelles potrebbe trovarsi meno disorientato di altri.


Votare PD significa riaccostarsi a un partito che negli ultimi anni mi aveva molto deluso, e che continua a esibire in cima alla lista della mia circoscrizione un personaggio come Calenda, del quale non vorrei neanche perder tempo a parlar male: semplicemente non credo dovrebbe rappresentarmi, né me né in generale i lavoratori di classe medio-bassa e orientamento progressista. È tutto un equivoco cominciato con Berlusconi, proseguito con Grillo, che prima o poi dovremo chiarire. Nel frattempo io potrei scegliere un partito più piccolo che probabilmente non passerà la soglia di sbarramento, oppure cercare con le mie preferenze di portare il PD un po' più a sinistra. Come sempre in questi casi credo che la seconda opzione sia più opportuna. Inoltre il PD è il PSE; malgrado le tentazioni macroniane, sta mantenendo la barra verso l'Europa e credo che questa sia l'unica opzione possibile: le derive sovraniste di Mélenchon e Corbyn mi spaventano. Non è che non le capisca, finché la Commissione Europea continua a brandire un rigorismo più moralistico che scientifico; ma per me la politica è un discorso semplice, in cui due argomenti simili col passare del tempo non possono che diventare lo stesso argomento. Ovvero: non c'è spazio per un sovranismo di sinistra e uno di destra. Col tempo il secondo mangerà il primo, perché è più lineare e coerente. Se sei un sovranista rimpiangi qualcosa del passato, e se rimpiangi qualcosa del passato prima o poi finirai invischiato con chi il passato lo rivuole in blocco. Io onestamente non ho mai capito che passato l'Europa dovrebbe rimpiangere: il Congresso di Vienna? i giri di Valzer, le Triplici? Per me le nazioni sono astrazioni (a sinistra c'è un discorso molto semplice che spiegava questa cosa, già a metà Ottocento, e i discorsi molto semplici alla fine vincono). Le patrie sono catalizzatori di affetto ma voler bene ai propri genitori è solo una cosa che mi deve preparare a voler bene al mondo intero. Buon voto e se per caso siete a Modena in questi giorni, martedì c'è una presentazione dell'ultimo interessantissimo libro di Raffaele Alberto Ventura e ci sono anch'io (non so perché). A presto.
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La repubblica dei padroncini

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[Questo pezzo è uscito ieri su TheVision]. Ma insomma alla fine chi ha vinto queste elezioni? Fin qui è abbastanza facile indovinare chi le ha perse, a partire da migranti e famiglie LGBT. Per capire davvero chi ha vinto occorre aspettare che si posi il polverone di promesse e false speranze. Dobbiamo ancora capire quante aliquote avrà davvero la cosiddetta flat tax, e se il reddito di cittadinanza dei CinqueStelle non si ridurrà a "una indennità di disoccupazione un poco rafforzata", come l'aveva definita Giovanni Tria prima di diventare ministro dell'economia. È ancora presto per fare supposizioni; facciamole lo stesso. Secondo me hanno vinto i padroncini.

Si sa che i primi provvedimenti di un ministro hanno soprattutto un ruolo simbolico: Di Maio, arrivato al ministero del lavoro, per prima cosa ha mandato a chiamare Sergio Bramini, un imprenditore brianzolo diventato famoso grazie alle Iene perché... è fallito. La sua impresa di smaltimento rifiuti aveva come clienti lo Stato e altri enti pubblici; lo Stato e gli enti tardavano a pagare e Bramini, piuttosto di dichiarare bancarotta, ha ipotecato la casa; col risultato che gliel'hanno portata via, il suo cane è morto in un canile, e adesso Bramini andrà a Roma ad assistere le piccole imprese. A salvare i padroncini, qui nella Padania periferica li chiamiamo così. Non solo perché sono dirigono aziende piccole, a volte più piccole delle auto di rappresentanza con cui vanno in giro (intestate all'azienda). Non solo perché spesso sono i figli, se non i figli dei figli dei fondatori. Sono quelli che vivono ancora in ville contigue al loro capannone. Una siepe separa il giardino con piscina dal magazzino, dallo sguardo dei facchini indiani. I padroncini.

Forse hanno vinto loro. Il primo messaggio che Di Maio ha voluto dare dal suo ministero è: vi salveremo. A Bramini piace la flat tax, che per il piccolo-medio imprenditore in effetti dovrebbe tradursi in una manna dal cielo. Certo, servono soldi ("coperture", le chiamano), dove prenderli? Per il neoministro dell'economia Tria si può benissimo alzare l'IVA (che è già una delle più alte in Europa). La prima imposta che avete pagato da bambini, quando vi davano i due euro per comprarvi il gelato. Non che il gelataio ritenesse sempre necessario rilasciarvi lo scontrino; ma voi l'IVA la pagavate lo stesso, e presto la pagherete un po' di più. Ne va della sovranità dell'Italia, e poi bisogna salvare i padroncini. "Si tratta di una scelta di policy sostenuta da molto tempo anche dalle raccomandazioni europee e dell’Ocse perché favorevole alla crescita e non si capisce perché non si possa approfittare dell’introduzione di un sistema di flat tax per attuare un’operazione vantaggiosa nel suo complesso". Salvare i padroncini. "Falliscono 320 imprese al giorno", spiega Bramini, uno di quei classici numeri che ogni tanto dava Grillo sul suo vecchio blog. Sono più di centomila imprese all'anno, è abbastanza incredibile. Non solo che chiudano: che in Italia ce ne siano così tante. Eppure Eurostat conferma: ancora nel 2014 avevamo il doppio delle imprese della Germania. Siamo la nazione con più imprese in Europa – siamo anche una delle nazioni che cresce meno.

Potrebbe non essere una coincidenza: l'industria italiana potrebbe avere un serio problema di nanismo. Il caso di Bramini in fondo ci racconta proprio che una piccola impresa che vive di commesse statali rischia di essere strangolata a causa di banali ritardi burocratici. Altrove è lo stesso mercato a favorire la fusione e la creazione di imprese più grandi, in grado di far fronte con più efficienza a crisi di liquidità. Da noi no, da noi occorre salvare l'ecosistema dei padroncini. Quel tessuto sociale di capannoni e villette che era un chiodo fisso di Grillo, che è il Nord della bussola di Salvini (e di Bossi prima di lui). Su tante cose Lega e M5S non andavano d'accordo e probabilmente litigheranno presto; ma i padroncini piacciono a entrambi. Una delle prime destinazioni a cui i parlamentari 5S cominciarono a destinare i loro stipendi da parlamentari fu proprio un fondo salva-piccole-imprese. Nemmeno i panda hanno goduto di tanta attenzione. E come per i panda (orsetti vegetariani che mangiano solo bambù e non lo digeriscono neanche bene) è lecito domandarsi se ne valga la pena; se il modello di sviluppo della piccola impresa non sia per caso condannato dall'evoluzione, che in economia si chiama globalizzazione e ultimamente premia chi riesce ad adattarsi a una tendenza mondiale di livellamento dei prezzi delle risorse e della manodopera.

La risposta è scontata: no (continua su TheVision).


La risposta è scontata: no, non ne vale la pena; la piccola impresa è spacciata, e i primi a rendersene conto sono gli stessi proprietari. I più previdenti hanno delocalizzato da anni, in Romania o in Cina; il capannone italiano lo tengono ancora per una questione di rappresentanza, e poi magari c’è ancora una decina di magazzinieri o qualche operaio che attacca l’etichetta Made in Italy fatta in Romania sul vestito confezionato in Cina. Nel frattempo il padroncino è al bar che si lamenta dei politici rapaci, dei migranti che rubano, dell’embargo contro la Russia, dei migranti che invece di rubare lavorano, ovvero rubano il lavoro; e soprattutto della piovra immonda che ha permesso tutto questo, l’Unione europea. Si stava meglio prima. Lui di solito votava Berlusconi, e quand’era deluso da Berlusconi passava a Bossi; adesso non c’è neanche bisogno di chiederglielo, bisogna rialzare gli steccati. Magari anche stampare le lire. Contro la Germania la lira era fantastica: bastava svalutarla un po’ e ti calavano anche i debiti. Bei tempi, Salvini potrebbe reintrodurli per decreto. Il piccolo imprenditore non è scemo, non sempre perlomeno; non crede per forza in tutto quello che dice, ma è bello credere anche solo per un momento che la Valpadana possa resistere ora e sempre contro l’avversario globale che si chiama Economia.

Il padroncino di solito non ha studiato tanto: non ne aveva motivo. Anche chi non era già instradato sull’asse ereditario si trovava comunque già in quella fascia generazionale in cui un laureato guadagnava a trent’anni la metà di un coetaneo che aveva cominciato a lavorare a diciotto. Studiare era semplicemente la scelta sbagliata, e anche oggi, che una laurea fa comodo anche per il concorso alla nettezza urbana, non è che la cultura offra le soluzioni: permette solo vedere meglio i problemi. Sei hai studiato Economia sai bene che la piccola impresa è ormai finita, con o senza euro: conviene scappare. Se invece hai studiato Storia sai, con una relativa sicurezza, che siamo spacciati com’era spacciata Venezia il giorno in cui Vasco da Gama vide le coste indiane: questo però non le impedì di vivere ancora secoli di meravigliosa decadenza, e forse anche noi ne abbiamo la possibilità. Forse l’Unesco potrebbe fare qualcosa per salvare i nostri capannoni, dichiarando il nostro cemento unico al mondo. La Padania, l’Italia, sorgerà come una piccola patria di officine: costruiremo tutto, un pezzo alla volta, i carri armati e gli acquedotti, le mura intorno alle nostre Zone Industriali. Nessuno avrà il diritto di farci la guerra, o meglio, se ci attaccheranno dovranno farlo ad armi pari, con catapulte costruite secondo gli antichi progetti; i turisti verranno non solo a carnevale e saranno felici di travestirsi da cavalieri o Casanova; il cambio con la lira sarà favorevolissimo. E la legge Merlin, non c’è bisogno di dirlo, abolita.
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Ma come? Era solo un piano B!

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"Ma guarda un po' chi si vede".

"Rieccoci".

"Sì ma stavolta è diverso, stavolta ero io che ti stavo cercando".

"Rieccoci".

"Sì, sì, fai pure il furbo, stavolta non mi freghi, stavolta ho studiato e parecchio e ho ben chiaro il nocciolo della questione".

"Rieccoci".

"Quindi stammi a sentire: sai quei soldi, quei totmila miliardi che ti devo? Beh, non credo proprio che te li darò".

"Rieccoci".

"Del resto l'hai sempre saputo".

"Rieccoci".

"Lo sapevano quelli che me li hanno dati, lo sapevi tu quando hai comprato il mio debito. Non hai mai veramente pensato di riaverli indietro, no?"

"Rieccoci".

"Tutto quel debito, te lo sei preso soltanto perché credevi che così mi avresti tenuto per le palle, per quanto? Per sempre? Avrei sempre dovuto inginocchiarmi e portarti rispetto, vero? Avrei dovuto usare la tua moneta, rispettare le tue normative, eleggere governanti che ti stessero simpatici, eccetera eccetera, beh, sai cosa ti dico? Io sono un popoloso Paese del Mediterraneo e ti dico: vaffanculo".

"Rieccoci".

"Vaffanculo te e vaffanculo il tuo debito, che poi è il mio, ma tanto non te lo pago più e quindi non esiste. Mi faccio governare da chi mi pare, e se domattina mi vien voglia di stampare coriandoli e usarli come moneta, perché no? Sono un popolo sovrano".

"Rieccoci".

"L'hai capito o no, vecchio rintronato?"

"Rieccoci".

"Quindi adesso me li presti quei venti euro?"

"No".

"Ma come no".

"No".

"Ma senti, non l'hai capito? Era solo tutta una scena... stavo facendo la voce grossa perché tutti vedessero che non ho perso l'orgoglio... ne ho bisogno, capisci? Secondo te voglio veramente usare i coriandoli come moneta?"

"Rieccoci".

"Ma no, dai, mi vedi? Sono un economista stimato, non avrei mai... è solo un bluff, l'hai capito benissimo che è un bluff, no? Lo chiamo piano B, ma figurati se davvero voglio... cioè non sono uno scemo, no? No?"

"Rieccoci".

"Ma scusa eh, ma siamo in due su questa barca, no? Se io faccio un bluff, tu potresti anche far finta di crederci".

"Rieccoci".

"E poi cosa vuol dire il tuo ritornello, stavolta, rieccoci, neanche tutto questo fosse già successo, è già successo?"




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Lo sai anche tu (che non te li darò mai più)

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"Oh ciao, ti stavo giusto cercando".

"Già".

"Ti ricordi quei soldi che ti devo..."

"Già".

"Senti, io ci ho pensato molto, e secondo me è ora di uscire dall'ipocrisia".

"Già".

"Cioè lo sappiamo tutti, no? Lo sappiamo tutti che non riuscirò mai a darteli".

"Già".

"Ormai è solo un numero, capisci, un numero astratto che non ha più importanza, potrebbe essere il doppio, potrebbe essere la metà, non ha più tante importanza, no?"

"Già".

"E se dicessimo che è la metà?"

"Già".

"No dai non fare così. Veniamoci incontro. Diciamo che lo abbassiamo di un quarto. Di un quinto".

"Già".

"Duecentocinquanta miliardi. Dai. Tanto lo sai benissimo che non te li darò mai. Dove li trovo? Si tratta solo di... di... di accettare la cosa, ecco, di uscire dall'ipocrisia".

"Già".

"Quindi siamo d'accordo?"

"Già".

"Ecco, vedi? È stato facile. Siamo usciti dall'ipocrisia".

"Già".

"Adesso vado, anzi, senti, scusa, oggi pomeriggio dovrei andare a Bologna, non è che hai venti euro da anticiparmi..."

"No".

"Come no?"

"No".

"Ma certo che ce li hai venti euro, scusa, tu ce li hai sempre".

"Già".

"Ma scusa, proprio adesso che siamo usciti dall'ipocrisia, non mi fai andare a Bologna, cioè non riesci a trovarmi venti miseri euro? Forse credi che non te li restituirò?"

"Già".

"Alla Germania li avresti dati".

"Già".

"E a me no!, vedi, allora lo ammetti".

"Già".

"È tutto un complotto contro di me! I miei genitori hanno fatto tanti debiti e tu te la prendi con me!"

"Già".

"Ma non ti vergogni?"

"Già".
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Bagnai, il leghista che ti boccia in economia

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Sabato scorso, mentre un militante ed ex candidato della Lega si faceva arrestare a Macerata dopo aver ferito più di una mezza dozzina di residenti africani, e tutti si domandavano come avrebbe reagito Matteo Salvini io mi sono sorpreso a chiedermi: e Bagnai? Come la prenderà Alberto Bagnai?
Salvini poi non ci ha messo molto a farsi sentire, spiegando in sostanza che se aumentano i neri è normale che aumenti anche la gente che ci fa il tiro al bersaglio in strada. Non che ci si aspettasse da lui qualcosa di più fine: ugualmente c’è da domandarsi se si sia mai toccato un punto così basso, in una campagna elettorale, nella storia della Repubblica. Un tuo militante va in giro a sparare alle persone: è colpa delle politiche migratorie, ok. Nel frattempo Alberto Bagnai (economista e candidato al Senato per la Lega in Abruzzo, Lazio e Firenze) si limita a chiedere ai suoi seguaci di “ignorare le provocazioni”. Forse per puro caso, sul suo blog è campeggiata ancora per due giorni una domanda retorica formulata il giorno prima della tentata strage: L'immigrazione è la prosecuzione della deflazione con altri mezzi? 
Chi ha una minima familiarità con gli argomenti di Bagnai non può avere molti dubbi sulla risposta: sì, ovviamente i fenomeni migratori fanno parte di un più vasto complotto per indebolire l’economia italiana ‒ “Il nostro paese è stato distrutto da quelli che ci propongono come panacea i lavoratori altrui (dopo averci proposto come panacea la moneta altrui)”. Non è sorprendente che Bagnai parli così. Non è sorprendente che un leghista parli così.
Insomma qual è la sorpresa?
Che Bagnai sia un leghista?

Lui stesso nel suo blog ammette che chiedere a molti affezionati lettori di votare Lega sia imporre uno “strappo lacerante con la propria storia politica”. Eppure Bagnai è in buoni rapporti con Salvini almeno dalla campagna delle europee del 2014, quando non si candidò ma sostenne l’altro economista no-euro leghista, Claudio Borghi. Io stesso fatico a immaginarmi Bagnai seduto al Senato tra un Calderoli e un Bossi, ma perché? Perché ho visto le foto che qualcuno ha subito rimesso in giro, dove partecipa a un dibattito dietro a una falce e un martello? Lui in realtà è sempre andato ovunque lo facessero parlare, sinistra, destra. È semplicemente successo che i no-euro di destra fossero più numerosi, e meglio organizzati. E allora perché? Perché i suoi primissimi interventi in rete (poi rimossi) li ha scritti su Sbilanciamoci, un sito che era espressione di quella sinistra plurale e alternativa che veniva dai forum sociali dei primi anni Zero? Ma è successo molto tempo fa, e non si può nemmeno accusarlo di incoerenza: Bagnai era un antieuro già allora, e antieuro è rimasto. Oppure perché è un orgoglioso keynesiano, e di tutti gli economisti liberali, Keynes, con la sua visione anti-moralista della spesa pubblica, è quello che è sempre piaciuto più a sinistra? Ma, anche in questo caso, è stata semmai la sinistra al governo a rinnegare Keynes; a questo punto della storia se Bagnai calcola che nel centrodestra ci possa essere più spazio per una politica anti-austerità, chi sono io per dargli torto?

Più in generale, chi sono io?
Domanda meno inutile del solito. Sono un elettore di centrosinistra per educazione e inclinazione. Faccio parte di un spicchio sociale che una volta si chiamava “ceto medio riflessivo”, ma la definizione è andata in crisi da quando molti hanno seguito Beppe Grillo (non Bagnai: non ha mai appoggiato Grillo e i suoi). Sin da quando ho cominciato a votare, non mi è stato difficile capire da che parte stare: bastava individuare Berlusconi e votare per chi aveva più chance di batterlo. Quando Berlusconi è andato in crisi, ho dovuto ridefinire i parametri. È successo a molti come me, con risultati imprevisti. A un certo punto, credo verso il 2012, ne ho individuato uno che mi sembrava affidabile: il principio di realtà. Tra i politici (anche nuovissimi) che raccontavano le frottole, e i politici che non mi nascondevano la realtà (anche amara) avrei scelto i secondi. Questo tagliava fuori ovviamente oltre alle promesse berlusconiane, le nazioni padane e gli universi alternativi dei giovani cinquestelle, a base di scie chimiche, sirene e chip sotto-pelle. Da una parte le panzane, le bufale  (non le chiamavamo ancora fake news ma il concetto era già ben chiaro), dall’altra la scienza, la dura legge dello spread. Tutto molto chiaro: non fosse stato per Alberto Bagnai. L’unico elemento che non si lasciava inquadrare così facilmente.

Credo di avere scoperto l’esistenza del suo blog nel peggiore dei modi, attraverso l’intervista concessa a un altro grande avventuriero mediatico, Claudio Messora in arte Byoblu; il vlogger che non era ancora diventato un portavoce ufficiale del Movimento Cinque Stelle a Bruxelles (poi silurato). Per me in quel momento Messora era soprattutto il portavoce ufficioso di Giampaolo Giuliani, il tecnico aquilano che sosteneva di aver messo a punto un sistema per prevedere di terremoti. Il classico esempio di scienziato-come-se-l’immaginano-i-grillini: un artigiano geniale, osteggiato dall’università manovrata dai grandi capitali, che da solo in un piccolo laboratorio porta avanti la fiaccola della verità. Poi arriva Messora con videocamere e microfoni, produce un’ora di filmato, lo piazza in rete, e gli aquilani cominciano a scrivere al blog per chiedergli se quella sera è il caso di rincasare o di dormire in macchina.
Il fatto che dopo aver lanciato Giuliani come fenomeno su Youtube, Messora si fosse dedicato a Bagnai non poteva che ispirarmi una certa diffidenza nei confronti di quest’ultimo (e c’era la coincidenza geografica: anche Bagnai lavorava in Abruzzo, questa terra un po’ dimenticata dai riflettori che è la cornice ideale dove immaginare qualche genio esiliato dal malanimo e dall’invidia dei colleghi). All’italiano medio, proprietario di abitazione, terrorizzato dai terremoti, Giuliani diceva che le scosse erano prevedibili (bastava misurare il radon); all’imprenditore abbattuto dalla crisi e dalla concorrenza dei mercati emergenti Bagnai promette che il declino dell’Italia è reversibile (basta tornare alla lira). Entrambi insomma fornivano al lettore di Byoblu e Beppegrillo soluzioni apparentemente facili e praticabili a problemi molto più complessi: non teorie del complotto, ma elisir di lunga vita.

In realtà Bagnai – basta leggerlo – è un caso completamente diverso da quello di Giuliani. Per prima cosa non è un reietto della scienza: ha una cattedra a Pescara, collabora con istituti di ricerca in tutta l’Europa, pubblica paper, ostenta nei suoi scritti anche occasionali una robusta cultura umanistica, che mette a servizio di un’inesausta vena pedagogica. Bagnai non solo vuole dimostrarti di conoscere la sua scienza, l’economia, ma in un qualche modo è anche convinto che riuscirà a spiegartela, accumulando dati, teorie, tabelle, estrapolazioni, rimandi ad altri interventi, tutto un enorme corpus che evidentemente funziona: il suo blog, ancora con un semplicissimo layout di Blogspot, in quattro anni ha avuto più di tre milioni di accessi; anche i suoi libri sembrano vendere bene e le presentazioni sono sempre molto affollate.
Quando ho cominciato a leggerlo, Bagnai mi è risultato nello stesso tempo familiare e incomprensibile. Incomprensibile in quanto economista, e per quanto si sforzasse lui e ci provassi io, la materia era evidentemente troppo dura per me; familiare, perché per quanto economista, Bagnai è anche un blogger nato. Non importa quanto tardi si sia accostato allo strumento: la sua prolissità, la confusione creativa tra pubblico e privato, l’energia inesausta con cui si abbatte contro gli avversari; l’abilità con cui ha trasformato l’area dei commenti in una piccola comunità, una specie di corridoio di facoltà; sin dall’inizio il blog sembrava nato per Bagnai, e Bagnai per lui.



Certamente è anche per questo che non mi sono mai convertito al bagnaismo – per questo, e perché sono nato e cresciuto nel cortile di un capannone di una piccola impresa padana a conduzione famigliare, e l’idea che per tornare ai fatturati degli anni Ottanta basti recuperare la lira mi sembra davvero la proposta di un professore arrivato in paese col filtro dell’eterna giovinezza. Però, alla fine, io di economia non ne capisco niente. Non ho mai avuto gli strumenti per capire se la sua teoria fosse migliore di quella di chi difende l’unione monetaria e l’austerità; i blogger però li so riconoscere, e nel 2012 Bagnai mi sembrava troppo blogger per essere anche uno studioso autorevole. Non capivo le sue tabelle, ma la sua foga mi sembrava eccessiva. I suoi idoli critici scrivevano compassati nei quotidiani nazionali, lui strepitava da un blog: istintivamente diffidavo di chi sbraitava, ma non avevo proprio capito niente di comunicazione.
Oggi è normalissimo vedere un esperto, un professionista del suo settore, insultare sui social gli interlocutori non all’altezza: è stato anche coniato un verbo all’uopo, “blastare”, e soprattutto si è formato un pubblico, una comunità di persone che applaude il blastatore quando questo rischiara le tenebre dell’ignoranza con qualche insulto laser. Mentre sto scrivendo queste righe, su twitter incrocio Burioni che blasta qualche antivaccinista. Ecco: Bagnai forse è stato il primo professore-blastatore dell’internet italiana. Quella foga sanguigna che io trovavo sospetta, credo che sia stata il segreto del suo successo; molta gente cercava su internet non soltanto un elisir di lunga vita, ma un maestro severo, di quelli che la scuola non ti offre più. Non so che insegnante sia Bagnai dal vivo, ma sul blog è un mago: ti circonda con le parole e con i dati, ti soggioga, riesce a bacchettarti sulle dita con la sola imposizione della prosa. Alla fine non è così strano che Salvini abbia liberato un posto in Senato per lui. E allora, di nuovo: perché faccio fatica a crederci?

Perché anche se non mi sono mai convinto che il ritorno alla lira non possa che essere un disastro, in qualche anno di saltuaria frequentazione del blog un’idea me la sono fatta: Bagnai è davvero un intellettuale, nel senso migliore del termine: un intelletto vivo, e inesausto. Nel momento in cui chiede ai suoi sostenitori anti-euro di votare per la Lega, può davvero ignorare che Salvini il repertorio anti-euro lo tira fuori sempre più di rado, e in caso di vittoria del centrodestra alle elezioni probabilmente lo accantonerà per assumersi una responsabilità di governo? Bagnai è un economista fieramente keynesiano: non ha proprio niente da dire sulla flat-tax, la nuova ricetta miracolosa che nei comizi di Salvini ha ormai soppiantato il ritorno alla Lira? Bagnai, non lo manda a dire, è contrario all’“immigrazionismo”, “fase suprema del colonialismo”, ma non dimentica mai di ricordare ai suoi lettori che i profughi hanno diritto all’asilo: non immagina allora cosa succederà nel Mediterraneo, quando un uomo del suo partito si ritroverà al Viminale, come si trovò Maroni tra 2008 e 2010, quando i barconi venivano respinti al largo?
Bagnai, per chiuderla, ha tutti gli elementi per capire in che trappola sta cadendo: che se c'è una vaghissima possibilità che il centrodestra, una volta al governo, adotti la sua politica economica senza compromessi, ce n’è una molto più concreta che egli diventi lo specchietto da esibire a un elettorato di allodole no-euro; che le sue parole, fin qui fiorite così libere e sincere sul blog, vengano usate per giustificare le prossime stragi nel mare, o la prossima iniziativa di un pistolero disperato. Un rischio che non può non avere calcolato: è un economista, lui.
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Referendum propositivi? Cosa potrà mai andare storto?

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Al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d’indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali (dall'articolo 71 della Costituzione riformata).

A proposito di leggi di iniziativa popolare: sono passati quasi due anni da quando Beppe Grillo presentò trionfante le 50.000 firme (raccolte in un week-end) che chiedevano l'istituzione del referendum propositivo. Il piano di Grillo, un po' tortuoso, prevedeva poi di raccogliere altre firme per indire un referendum che avrebbe proposto al governo di uscire dall'Euro (ripeto perché secondo me è bellissima: Grillo non ha mai direttamente chiesto di uscire dall'Euro; Grillo ha raccolto firme per proporre una legge che istituisse un referendum per proporre agli italiani di uscire dall'euro).

L'iniziativa di legge popolare m5s si è arenata, com'era ovvio: in compenso Renzi ha fatto inserire il referendum propositivo in Costituzione. Non è l'unico caso in cui i due sembrano in sintonia: Grillo tuona contro le auto blu, Renzi le mette su ebay. Grillo vuole tagliare gli stipendi ai politici, Renzi propone un senato di dopolavoristi. Grillo vuole chiudere Equitalia, Renzi la chiude. Grillo voleva il referendum propositivo. Renzi lo introduce. Cosa potrà mai andare storto? Si tratta solo di chiedere ogni tanto un parere al popolo. Ragionevole, no?

No, niente. 

Vi è piaciuta questa campagna elettorale? A me non è sembrata così violenta come dicono in giro, ma è anche vero che non guardo i talk show. Comunque pensate: tra un anno potremmo avere un bel referendum propositivo sull'Euro. Perché no? E chissà come andrà a finire, eh? Negli ultimi due anni abbiamo avuto due meravigliosi esempi: la Grecia e la Gran Bretagna. Parliamoci chiaro: Grillo è un populista, è il suo mestiere, lo fa con una certa grazia istintiva. No, non gli farei gestire il mio condominio (ma neanche lui si proporrebbe). Renzi per contro è un politico con ambizioni di statista. Cosa gli sta dicendo il cervello? Se dopo la calda estate greca del '15 e la Brexit del '16 ha ancora voglia di subire o indire referendum propositivi, qualcosa veramente non va. Non abbiamo già abbastanza problemi? Lo chiedo a tutti quelli convinti che se vincesse tra dieci giorni poi Renzi avrebbe campo libero per cinque o dieci anni: ma avete capito che campo minato ci aspetta se passano i referendum propositivi?

Il caso greco è particolarmente istruttivo. A inizio di luglio il governo greco chiede ai propri cittadini un parere sul pacchetto di misure proposte (imposte) da Bruxelles. Il popolo greco risponde di no - e d'altro canto sarebbe stato molto curioso il contrario. Ti chiedono un parere su aumenti di tasse e licenziamenti, cosa dovresti rispondere? No. Festa di piazza, il popolo ha parlato, Varoufakis si dimette, ufficialmente per non ostacolare le trattative. Tre settimane dopo il governo greco accetta un pacchetto di misure sostanzialmente più aspre di quelle che erano state sottoposte a referendum. Perché questo è il bello dei quesiti propositivi: fanno populista e non impegnano. In fondo Tsipras non aveva mica scritto sulla scheda "rifiuti qualsiasi tipo di pacchetto". Se ne rifiuti uno pesante, non è detto che quindici giorni non ti vada di mandarne giù uno più pesante. Però ti ho chiesto un parere, non è bello chiedere i pareri?

Ma perché Tsipras e Varoufakis chiesero un parere? Non erano già i legittimi rappresentanti del popolo greco, autorizzati dal voto popolare? In teoria sì. In pratica:


Come cercò di spiegare Varoufakis in uno dei tweet più belli di sempre: noi abbiamo preso solo il 36% dei voti, non ci si può mica aspettare che prendiamo una decisione tanto grave! Per una decisione del genere abbiamo bisogno almeno del 50%+1. Una dimostrazione più evidente di quanto sia sbagliato il maxipremio di maggioranza non si potrebbe avere - ci torno su perché a quanto pare il "modello greco" continua a interessare ai nostri riformatori: un bel premio di seggi al partito che arriva primo e amen. Ecco: in Grecia non solo non ha assicurato la governabilità (due elezioni in tre mesi), ma ha creato una specie di crisi di legittimità: quando rappresenti soltanto un terzo dei tuoi elettori, fai oggettivamente fatica a imporre agli altri due terzi delle misure impopolari. Sai benissimo che è la tua fine politica. E allora chiedi un parere: referendum consultivo. Ma funziona?

Il referendum di indirizzo è una strana creatura che sorge spontanea nella putrefazione dei corpi intermedi, e si nutre della mancanza di visione dei leader. Cameron è contrario a uscire dall'Unione Europea, ma non riesce a imporre la sua linea a parte dei Tories: indice un referendum (a cinque mesi dal voto sulla Brexit, i britannici non hanno ancora capito come usciranno dall'UE. Pensavano che non servisse un voto del Parlamento - l'Alta Corte ha detto che serve. Forse serve anche il parere di quello scozzese, di quello gallese, forse, non si sa). Grillo non osa dirsi contrario all'Euro: Grillo propone un referendum. Se poi crolleranno le borse non sarà mica stata colpa sua, lui mica voleva uscire, lui voleva solo chiedere un parere. Tsipras e Varoufakis vincono col 35% il gran premio delle elezioni greche, ma non hanno poi tutta questa voglia di recitare la parte dell'antipatico che impone le tasse anche al restante 65% - sicura garanzia di perdere il gran premio successivo. E allora indicono un referendum. Non sai quel che vuoi? Lo chiedi ai tuoi elettori, lo sapranno loro. I tuoi elettori hanno idee più confuse delle tue? Eh, sarà colpa del suffragio universale, dell'era postfattuale, delle notizie finte su facebook. E andiamo avanti così. Il referendum consultivo è il lato oscuro della governabilità: in teoria vai spedito, non accetti compromessi, e ci vediamo tra 5 anni. In pratica, appena ti tocca imporre una tassa in più, una norma in più, sei fregato. Sai che gli elettori se la prenderanno solo con te. Fai una mossa laterale: chiedi un parere al popolo. Provi a responsabilizzarlo. Cosa potrà mai andare storto? Non so, chiedete a Cameron: il popolo non vuole responsabilizzarsi e trascina il Paese in un guaio enorme. Chiedete a Tsipras: il popolo non vuole un pacchetto ma alla fine gliene fai mandare giù uno più pesante.

Io credo nella democrazia rappresentativa, che cerca di rimediare alla non specializzazione degli elettori offrendo loro delle figure intermedie, che sappiano dimostrare la propria competenza e autorevolezza. Non disprezzo chi raccoglie firme - è una degna forma di lotta - ma non credo nei plebisciti, non credo nelle scorciatoie populistiche. Si capisce che chi vuole governare senza avere il 50% del voto popolare sarà spesso tentato di indirne uno per rafforzare la propria posizione (in fondo è quello che Renzi sta facendo in questi giorni, salvo che adesso usa la Costituzione come pretesto). Mi sembra tutto sbagliato: credo che l'esecutivo deve essere espressione di una maggioranza solida, rappresentante una netta maggioranza del Paese, magari messa assieme mediante coalizioni, patti, alleanze e inevitabili compromessi. Credo nel meccanismo di delega, temo che trasformare i partiti in comitati elettorali li renda fragili e incapaci di articolare qualcosa che non sia funzionale alla carriera del leader di turno. I referendum propositivi rappresentano tutto quello che secondo me non va nella politica di oggi: ovviamente di fronte a questa brutta e miope riforma che cerca di introdurli voto No. (E non prendetevela con me se Grillo fa la stessa cosa: è lui l'incoerente).

(Gli altri motivi:
1. Non si riscrive la carta costituzionale col martello pneumatico.
2. Non si usa una brutta legge elettorale come moneta di scambio.
3. Non mi piacciono le riforme semipresidenziali.
4. Meglio un Renzi sconfitto oggi che un Renzi sconfitto domani
5. Mandare 21 sindaci al senato è una stronzata pazzesca
6. Mandare sindaci al senato è davvero una stronzata pazzesca.
7. Nel nuovo Senato alcune Regioni saranno super-rappresentate, ai danni di altre
8. Si poteva scrivere meglio, ma non hanno voluto.
9. Di leggi ne scriviamo già troppe: non abbiamo bisogno di scriverne di più e più in fretta, ma di farle rispettare
10. Il numero di firme necessarie per richiedere un referendum abrogativo va aumentato e basta
11. Non è vero che sarà più facile approvare leggi di iniziativa popolare, non fate i furbi.
12. Dio ci scampi dai referendum propositivi).
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Mia perfida Albione (torna subito qui)

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I was born, lucky me
In a land that I love
Though I am poor, I am free.
When I grow I shall fight,
For this land I shall die,
Let her sun never set.

Non mi ricordo un momento in cui ho cominciato ad amare/odiare gli inglesi. Mi sembra di averlo sempre fatto, da quando non conoscevo che due o tre canzoni, il Big Ben e Oliver Twist. Col tempo ho imparato a conoscerli e li ho amati sempre di più, e li ho odiati sempre di più. Gli Smiths e la Thatcher, la moquette nei bagni e il Bill of Rights. Ho sempre tifato contro l'Inghilterra, sempre, perché è sempre bello vederla perdere e gli hooligans si meritano il peggio; ho sempre ammirato il modo in cui gli inglesi discutono di calcio e in generale di sport, e in generale di qualsiasi cosa. Ho sempre trovato disgustoso il modo in cui tenevano un piede nella UE e l'altro fuori, le tresche di Blair con Bush, la loro spocchia malgrado il trattamento speciale di cui hanno goduto dal '73 in poi. Non ho mai immaginato che l'Europa si potesse unire senza di loro. È proprio una cosa che non riesce a venirmi in mente. E adesso come mi sento.

Una volte da ragazzino feci l'errore di dare un ultimatum alla ragazza - o me o quell'altro, e lei ovviamente non scelse me, anche se sembrava la scelta più razionale (ma non è razionale aspettarsi che la gente faccia scelte razionali). Ed eccomi qui, dovrei chiedere sanzioni, gioire mentre la sterlina crolla, godere a vederti a strisciare, e invece eccomi qui che scalcio nel buio e mi domando se per caso non stai già cambiando idea. Perché nel caso, ecco, io ci sono. Puoi chiamare a qualsiasi ora, ho il telefono in carica, e in tasca un biglietto per Calais, tu di' solo una parola. Vengo a prenderti.

Non lasciarmi solo coi tedeschi.

Non ho niente contro di loro, ma diciamo la verità: sono ottanta milioni e più, e di loro non mi è mai interessato un decimo di quello che mi interessavi tu. Vuoi mettere Goethe contro Dickens? Il Krautrock contro il progressive? Lo so che è stupido. Nessuno ha mai detto che la costruzione dell'identità europea sarebbe stata una cosa particolarmente intelligente. Io sono quel che mangio, quel che leggo, quel che ascolto e quel che guardo in tv, e soprattutto lì capisci che non c'è gara. Non dico che i tedeschi non s'impegnino - ogni tanto sbirciavo Cobra11, gli incidenti in autostrada li sanno coreografare - ma è proprio questo il punto, è proprio che vedi tantissimo che s'impegnano e il risultato è quel che è, nulla che preferirei a una vecchia puntata di The Prisoner. Sai cosa si salvava dell'ultimo film tedesco che ho visto al cinema? Emma Watson.

Non mi ricordo un momento in cui ho cominciato a sentir dire che il progetto europeo era fallito. Ricordo chiaramente che se ne parlava quando eravamo ancora in dodici. Fino a un certo punto, comunque, continuò a sembrarci inevitabile. Saremmo andati in erasmus, o col servizio volontario, avremmo incontrato altri giovani come noi, avremmo scoperto di avere più cose in comune che coi vecchi rimasti a casa. Certo, il muro di Berlino crollando cambiò gli equilibri e dal 2004 in poi forse nessuno ci ha più capito nulla. Forse l'Europa non è così inevitabile dopotutto. Forse i nostri figli penseranno dell'Inghilterra quel che pensavano i nostri nonni prima di partire, dio la stramaledica, perfida Albione, eccetera. Ma mi sembra impossibile.

In casa nostra almeno, con quei Coe e quegli Hornby sulle mensole. E l'autoradio che ogni tanto pesca Victoria dei Kinks, e se il passeggero più giovane mi chiede: perché fai V con le dita? Io rispondo: è il segno della vittoria, perché sai, noi vinceremo. Per quanto lunga e dura possa essere la strada.
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Ja, Sie werden durchkommen (Sì, passeranno)

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Cari eventuali lettori austriaci: ho scoperto in questi giorni, come tutti, che il vostro governo ha pensato di risolvere una futura emergenza migranti alzando un muretto di 250 metri al Brennero.

L'affetto che provo per la vostra bella terra e per voi non mi impedisce di domandarvi: ma voi sul serio ci credete ancora a questa cosa di essere austriaci, che a Robert Musil sembrava un anacronismo già nel 1919? È che ne conosco parecchi a cui sta stretta l'Italia o persino l'Europa: possibile che a voi calzi ancora bene un concetto come l'Austria - per carità, comodo, confortevole, heimlich, ma insomma - pensate solo alle autostrade. È da un po' che si usano. Non ce n'è neanche una diretta tra Innsbruck e Vienna. Si passa, come sapete, dalla Baviera. Lo spazio di Schengen lo avevamo inventato anche per superare questa sciocchezze - voglio dire, due frontiere per andare dal Tirolo a Salisburgo? Sul serio vorreste tornare a un'Europa così?

La seconda è: avete sentito parlare di Mouaz Al Balkhi e Shadi Kataf? In caso contrario vi rimando a Mazzetta. Per farla breve è la storia di due profughi siriani che dopo qualche mese d'attesa nel limbo di Calais, non avendo abbastanza fondi per pagare qualche scafista che li portasse in Inghilterra, si sono comprati due mute da Decathlon e hanno provato a farsela a nuoto. Da Calais a Dover. Il cadavere di uno dei due lo hanno trovato in Olanda, l'altro in Norvegia. Storia abbastanza agghiacciante.

Ora, ditemi voi.

La disperazione che porta un giovane siriano a tuffarsi nella Manica e a tentare di attraversarla a nuoto, qualcuno sul serio pensa di contrastarla con un muretto di 250 metri in fondo al valico? È vero, è gente che non ha mai visto le Alpi.

Ma hanno visto di peggio. Si conteranno i soldi in tasca, magari compreranno un paio di scarponi allo Schoelzhorn Sport, saranno a Gries prima che canti il gallo. Di lì è tutta discesa fino a Schönberg. Se ce l'ha fatta Annibale, credete di fermarli?
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Gli imperi recalcitranti

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Essere Kaiser oggi. 
Non la piccola Ungheria gelosa di una sua qualche identità e del po' di benessere che è riuscita a strappare alla fine del Novecento; non la sottile Danimarca, che fino a ieri ci veniva venduta come un modello di società flessibile e replicabile - salvo bloccare flessibilmente i treni di fronte alla minaccia di qualche migliaio di profughi. Non le province del Mediterraneo, Spagna Grecia e Italia, che temono i migranti come si temono i parenti poveri. Solo la Germania poteva decidere di fregarsene di Bruxelles e aprire la porta ai rifugiati, e finalmente lo ha fatto. Non è stata semplicemente una scelta giusta; è stata una scelta imperiale.

La Germania è al centro dell'Europa, di cui è il Paese più ricco (per PIL) e popoloso. È normale che sia anche al centro del bersaglio di chi di quest'Europa è insoddisfatto: e sono sempre di più, e non hanno tutti i torti. Ma tra tante accuse, quella di imperialismo è la meno sensata. Si potrebbe serenamente sostenere il contrario: quel che è mancato fin qui alla Germania, ai suoi governanti e ai suoi abitanti, è proprio una visione imperiale del problema europeo.

Abbiamo tutti studiato abbastanza Novecento per indovinare il perché: diciamo che dopo due guerre mondiali e durante un lacerante stallo di quarant'anni, i tedeschi hanno rinnegato quella posizione dominante che pure appare inevitabile per una questione meramente geografica - sono di più, sono al centro, hanno le materie prime. Potremmo anche spingerci a immaginare che l'ottusa etica del rigore che abbiamo rimproverato ai tedeschi sia il risultato di questa rimozione: se i nazisti avevano visto l'Europa come una prateria da saccheggiare, i tedeschi del dopoguerra si sono concentrati su sé stessi e sui propri doveri. Da qui la scarsa o nulla empatia nei confronti dei popoli insolventi - un'insensibilità che non ha nulla di imperiale. I tedeschi non vedono nella Grecia una frontiera difficile, da mettere al riparo dalle influenze russe e dalle turbolenze del Medio Oriente. È solo un condomino insolvente, che se smettesse di far baccano, si rimboccasse le maniche e licenziasse la servitù improduttiva, potrebbe ottenere i risultati di qualsiasi altro inquilino - proprio come l'Italia potrebbe diventare la Finlandia o la Danimarca in qualsiasi momento, se solo ci credesse. Basta fare il proprio dovere, stringere la cinghia e pagare i debiti. Una mentalità più Biedermeier che da Quarto Reich. Il fatto che alcuni inquilini siano abituati storicamente a vivere al di sopra delle proprie possibilità è considerato tutt'al più come una questione morale - non il risultato di contingenze storiche ed evidenze geografiche.

Grecia e Italia in effetti sono entrati nel palazzo quando erano avamposti NATO - e tuttora gli americani non riescono a capire perché alla Grecia non si possano condonare i debiti come si fa, diciamo, con Porto Rico. Ma anche l'imperialismo USA sta perdendo i colpi, ed è forse questa la vera crisi che stiamo vivendo, perché diciamolo, nel Medio Oriente che altro c'è di nuovo? Sunniti e sciiti si odiano da secoli, turchi e curdi se le sono sempre date;  tra israeliani e palestinesi è cominciata più tardi ma promette ugualmente di non finire mai. Se però all'improvviso Mubarak crolla, Gheddafi lo segue, Assad quasi soccombe; se nel giro di pochi mesi un gruppo più fondamentalista di altri riesce a piantare bandierine su un pezzo di Iraq e Siria - e nel frattempo Arabia Saudita e Qatar bombardano lo Yemen, insomma, se tanti topolini ballano forse la novità è che il gatto ne ha avuto abbastanza, ha imparato a distillare petrolio dalle rocce di casa sua, ha fatto una pace separata e non troppo onorevole col nemico più pericoloso e si sta disinteressando della questione - col prevedibile risultato di attirare i rivali di sempre.

Tutto questo dev'essere difficile da mandar giù soprattutto per quei commentatori che non si sono mai ripresi dalla sbornia interventista dei tempi di G. W. Bush. Continuano a fantasticare di bombardamenti neanche troppo mirati, di violenze incomparabilmente superiori, come se nel pugno tenessero dozzine di divisioni corazzate, quel che ti capita quando hai venti territori a risiko e un tris di carte, e invece in mano non hanno un cazzo: neanche quei due spicci che riuscivano a passarti ai bei tempi.

Si è scoperto nel frattempo che la guerra di civiltà è un po' onerosa per una democrazia evoluta: che presto o tardi vince le elezioni chi promette di disimpegnarsi - magari regalando un contentino a chi si è affezionato alla narrativa, un grande vecchio da ammazzare in diretta e seppellire in mare, e poi farci un film. Poi magari l'anno prossimo vince un repubblicano e alè, si ricomincia. Ma di tante accuse che possiamo muovere agli USA, la più ingiusta è di aver provocato l'attuale crisi in Medio Oriente col proprio imperialismo. È abbastanza plausibile il contrario: finché hanno fatto gli imperialisti seri l'Iraq tutto sommato lo tenevano. Quando si sono stancati, e hanno pensato che si potevano portare i ragazzi a casa e risolvere tutto con un po' di droni, è successo il patatrac. Quindi è comunque responsabilità loro? Beh, quando sei così grande è sempre responsabilità tua. È un po' il senso di avere un impero. Ma chi vuol essere un impero, oggi?

Non gli USA, non la Germania, anche la Cina sembra spaventata delle sue stesse dimensioni. Solo Putin ha l'aria di tenerci davvero, ma è l'ultimo di cui ci fideremmo. Nel frattempo fa sempre più caldo, siamo sempre di più e non c'è nessuno che sappia cosa fare.

No, scusate, non è vero. Gli ungheresi sanno cosa fare. Alzano i recinti. Buon per loro.
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I falsi miti del regresso (appunti)

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Gli abitanti di quella porzione occidentale del mondo, all'inizio del XXI secolo, assistevano con vari gradi di consapevolezza a due enormi cambiamenti, che visti da vicino potevano sembrare di proporzioni apocalittiche: la globalizzazione economica e il riscaldamento globale. Fenomeni complessi, che oggi si liquidano in un paio di paragrafi sul manuale.

Nel 1990 il crollo del blocco sovietico aveva accelerato un processo di globalizzazione già in corso: se in quel momento molti in occidente esultarono per la fine della Guerra Fredda e l'apertura di nuove rotte commerciali, il modo in cui la globalizzazione si fece davvero sentire nei trent'anni successivi fu il crollo del costo del lavoro. A quel punto un terzo della popolazione mondiale era indiano o cinese; ed era disposto a lavorare per meno di un decimo del salario di un operaio francese o tedesco; e sarebbe stato così per un altro mezzo secolo. Questo portò i partiti tradizionali di sinistra alla crisi irreversibile, ironia della sorte, proprio nel momento di massimo splendore del Partito Comunista Cinese. Molti diventarono protezionisti: si opposero con forza a ogni progetto di accordo internazionale sul commercio. La "globalizzazione" diventò un'entità ostile, che si immaginava pilotata da lobbies di milionari, speculatori, "neoliberisti". Fin qui era facile capire la dinamica del mito. Nasceva a sinistra come racconto consolatorio, si prestava a supporto di un progetto di riposizionamento: i leader delle sinistre occidentali avevano tutti gli elementi per capire che in un mondo di sette miliardi di abitanti il dumping salariale avrebbe distrutto le classi medie, ma qualcosa dovevano pure raccontare ai loro elettori, mentre li traghettavano verso posizioni protezionistiche o reazionarie.

(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabelloneQuesti sono appunti sulla traccia di Tutto quel che sai è vero!) (Poi li metto a posto meglio). (Ci faccio dei dialoghi). (Non sarà così noioso, prometto).

A un certo punto aveva preso un improvviso vigore una vecchia idea fino a quel momento circolante soltanto in qualche circolo di destra: il sovranismo monetario. Gli studiosi del secolo successivo, con larghe dosi di senno del poi, accusano spesso gli artefici dell'unione monetaria europea di non aver calcolato il "contraccolpo emotivo" dell'euro: non si dà una valuta nuova in mano a centinaia di milioni di persone senza aspettarsene uno. Nei 20 successivi l'euro divenne, nella cultura popolare, la causa di tutte le crisi. I suoi vantaggi furono minimizzati, gli svantaggi magnificati: nel frattempo le burocrazie al potere, spaventate dall'idea che l'unione potesse implodere, terrorizzavano gli elettori prospettando vere e proprie catastrofi nel caso un Paese volesse rinunciare all'euro e tornare a una divisa nazionale. La religione del signoraggio nasce in questa temperie.

La situazione sarebbe già stata caotica anche se nel frattempo l'atmosfera non avesse iniziato a scaldarsi. Del negazionismo relativo al riscaldamento globale, nella mia tesi, non avevo intenzione di parlare se non per sommi capi: era un argomento talmente famoso e sviscerato che non intendevo andare oltre i due o tre riferimenti biografici più noti. Si trattava del fenomeno di negazionismo più conosciuto e studiato: si sapeva che era stato finanziato dalle multinazionali criminalmente interessate a perpetuare lo status quo - in primis le compagnie petrolifere - e abbracciato acriticamente dai conservatori di tutto l'occidente. Verso il 2010 però era chiaro anche a loro che il mondo si stava scaldando. Doveva sentirsi in giro una gran necessità di miti consolatori; quello delle scie chimiche non era poi un granché, ma sempre meglio di niente. La cosa curiosa è che il mito era fiorito in qualche oscuro modo intorno a una tecnologia realmente esistente - il cloud seeding - che anche se in quegli anni sembrava passato in secondo piano, rappresentava comunque una speranza: se il clima era davvero modificabile su larga scala, perché non modificarlo per il meglio?

Entrambi i miti (il signoraggio e le scie chimiche) emergevano come risposta semplice, rassicurante, a problemi complessi: contro il dumping globale di miliardi di lavoratori sottopagati, era sufficiente chiudere le dogane e stampare cartamoneta. Contro il riscaldamento globale, era sufficiente localizzare gli aeroplani che irroravano le scie riscaldanti. Come ci aveva detto il prof. Arci: il mito è la storia che racconti al bambino quando hai fretta o sonno. Perché fa sempre più caldo? figliolo, la rivoluzione industriale, la sovrappopolazione... papà, ti ho chiesto perché fa sempre più caldo. Ci sono uomini cattivi che ci scaldano il cielo. Ah, ok.

Se l'argomento ti interessa, almeno più della Prigioniera della torre, non ti resta che mettere Mi piace su facebook, o esprimervi nei commenti. Grazie per l'attenzione e arrivederci al prossimo spunto.
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L'UE è un'enorme Padania

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Che la vicenda greca sia stata una sconfitta per l'Europa può anche essere possibile; trovo più difficile considerarla una sconfitta della democrazia, colpita al cuore da tecnocrati, banchieri, economisti, eccetera. Scusate se da qui sembra proprio l'opposto: c'è fior di tecnocrati ed economisti che parla ormai da anni della necessità di condonare i debiti alla Grecia - del resto chi mastica un po' d'affari sa da sempre che la bancarotta fa parte del gioco del debito e del credito; per tacere della necessità geopolitica di non creare altre turbolenze nel Mediterraneo. Fosse stato per il Fondo Monetario Internazionale, o per i vertici Nato, i greci da questo tunnel sarebbero già fuori da un pezzo. Non è un malvagio ministro delle finanze tedesco a voler la Grecia fuori dall'Euro: è la maggioranza degli elettori tedeschi. E baltici. Se non carpatici. E questo, mi rendo conto, è uno choc.

Lo è almeno per molti della mia generazione, che guardavano all'Europa come all'orizzonte di fuga dal bassissimo livello della politica italiana. Per anni abbiamo invocato un'Europa che ci salvasse dalla grettezza dei parvenus leghisti, e oggi scopriamo che a nord della Padania non c'è necessariamente più welfare e libertà, ma una Padania altrettanto gretta e parvenue, moltiplicata per venti. La retorica contro il sud fannullone e parassita la conosciamo bene; l'ansia dei popoli appena approdati al benessere occidentale, che sospettano di poterlo perdere da un momento all'altro, non dovremmo faticare molto a capirla. A non volere un'Europa unita nella buona e nella cattiva sorte non sono tecnocrati e banchieri - ai quali anzi si può rimproverare di aver fatto un passo più lungo della gamba, mandando avanti una moneta unica nella speranza che creasse le premesse per qualcosa di più solido - ma gli europei. Non tutti, no, ma la maggioranza. Quella che in democrazia decide, ahinoi.
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L'europistola alla parete

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Di economia capisco poco, a differenza di tutti a quanto pare. Quello che sta succedendo purtroppo continua a sembrarmi ragionevole non già da un punto di vista finanziario (ci perderemo tutti) o men che mai strategico (sembra che abbia prevalso l'autolesionismo), ma ahinoi, narrativo. Il Grexit è la famosa pistola appesa alla parete nel primo atto, che nel secondo qualcuno fatalmente impugnerà, sennò che storia sarebbe. Non già i greci, che pure qualche tendenza suicida l'avevano mostrata, ma - colpo di scena - i tedeschi. Dietro di loro, gli europei più giovani e affamati, meno propensi a comprendere la tragedia di una nazione che ha vissuto per decenni al di sopra delle proprie possibilità.

Dire che questa è la fine dell'Europa mi sembra un po' ingiusto: per quanto l'ultimatum alla Grecia (75 anni dopo il nostro) possa risultare disastroso, è una delle scelte maggiormente condivise che i dirigenti europei abbiano preso. Si tratta semplicemente di un'Europa molto diversa da quella che avevamo immaginato: a trazione centrosettentrionale, con a disposizione ancora qualche serbatoio di manodopera sottosviluppata nelle nuove province ad est. Il mediterraneo avrebbe ancora un'importanza strategica, ma vallo a spiegare ai politici (e ai loro elettori). Vista dalle pianure baltiche, la Grecia deve sembrare un pastrocchio piccolo e sacrificabile.

L'Italia - si spera - sarà un'altra faccenda: però a questo punto possiamo aspettarci davvero di tutto. I nostri rappresentanti hanno seguito tutta la cosa con la consueta superficialità e mancanza di visione: ma prendersela con loro è già un morsicarsi i codini sulla via verso il mattatoio. Con questi tedeschi (e lettoni, e finlandesi, e slovacchi, ecc.) non ci avrebbe salvato un De Gasperi: Renzi evidentemente non lo è.
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Cialtronaggini sulla Grecia

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- Di economia ne so poco, come tutti. Da qualche anno tengo un blog dove scrivo le prime cose che mi vengono in mente e che non ho ancora letto in giro. Spesso sono cose molto stupide e ciniche. Per esempio qualche anno fa scrissi: "La Grecia è fottuta: tanto vale usarla come avvertimento". Scherzavo; e però tre anni dopo la sensazione è che la Grecia si potrebbe persino salvare; che i soldi si potrebbero trovare, e le scadenze posticipare; e però a questo punto la Troika che figura ci farebbe? Ogni tanto devi far vedere che non scherzi - che le file ai bancomat non sono una favola che si racconta ai bambini per terrorizzarli. Ogni tanto qualcuno deve farsi male, per il bene degli altri che impareranno a non sgarrare. Qualche sventurato prima o poi deve provare davvero a uscire dall'euro, per dimostrare a tutti cosa succede. Comunque vada, sarà un esperimento interessante e fortemente educativo, e se il prezzo da pagare è il fallimento della Grecia - bah, sarebbe fallita comunque.

- Dicono: la Grecia è come il Tennessee. Sottointendono: in ogni Unione che accetti di essere tale ci sono zone ricche e zone depresse, che devono imparare a tollerarsi. In realtà il Tennessee non potrebbe far da solo nemmeno se ci provasse, schiacciato com'è tra Alabama e Kentucky. La Grecia invece è in prima linea. Lo è sempre stata. Stalin a Yalta ne aveva reclamato il 30%, anche se non lo riscosse. Ancora oggi, se chiedi agli americani, non hanno dubbi: la Grecia è nostra, dobbiamo accollarcela. Che Putin possa anche solo farci un pensiero è fuori discussione. Le nazioni in prima linea hanno una rendita di posizione: lo sanno bene gli italiani, i greci e sì, anche i westberlinesi. Vivere al di sopra delle nostre possibilità era una necessità strategica che gli americani non discutevano. I tedeschi, che pure hanno vissuto la contrapposizione tra edonismo occidentale e austerità comunista, sembra che non ne abbiano tratto nessuna lezione: continuano a confondere l'ideologia con la prassi, l'economia con la morale, e a trascinarci in organizzatissime catastrofi. Che sia Hegel o Lutero, c'è evidentemente un problema che non riescono a spiegare nemmeno a loro stessi, figurarsi a noi.

- Juncker voleva la Grecia nella CEE per via di Platone - ok, ma anche Platone non è gratis, avrà un suo prezzo. In realtà la grande eredità culturale di quella manciata di polis schiaviste e segregazioniste e imperialiste è quanto mai fuorviante. Se ci concentrassimo sulla storia più recente, magari scopriremmo che l'abitudine a vivere al di sopra della propria produttività non è un accidente della storia, ma una conseguenza della geografia. La Grecia moderna nasce per diretto interessamento delle potenze europee - il banco di prova del colonialismo ottocentesco. Appena scacciati gli ottomani, diventa immediatamente proprietà di un signorino bavarese con velleità culturali - da lì l'azzurro della sua bandiera, e non dal cielo sull'Aeropago. I tedeschi pagano e i greci si ribellano, è un ciclo che va avanti da quasi 200 anni. Il rischio di azzuffarsi coi turchi o di trescare coi russi è altrettanto cronico.

- Noi poi è escluso che possiamo farci una bella figura - o anche solo una figura dignitosa. O tifiamo per il rivoluzionario Tsipras, fingendo di non vedere che sta solo negoziando, o ci sediamo dalla parte dei creditori, e subito ci tradisce l'atteggiamento da kapò. I nostri governanti sono genuinamente convinti che l'Europa del nord non sia soltanto il modello vincente, ma quello esportabile: se il Tennessee non diventa Illinois, è soltanto a causa dei lacci e dei lacciuoli, della pigrizia dei sindacati ecc. Ichino ce lo dice da anni: tra noi e la Danimarca, c'è solo una questione di volontà. Se le imprese italiane ci credono, possono diventare danesi in mezza giornata (bisognerà licenziare qualche dipendente non danesizzabile, ma è il prezzo da pagare). A scuola invece va molto forte la Finlandia. Ci dicono che dobbiamo fare come in Finlandia - un Paese enorme con 5 milioni di abitanti di cui solo il 2,5% stranieri. Se obietti che in Italia, un Paese assai più densamente popolato, con un PIL pro capite sensibilmente più basso, vivono più cittadini stranieri che finlandesi in Finlandia, ti accusano di disfattismo. Non c'entra il PIL, non c'entrano gli immigrati di prima generazione da alfabetizzare e integrare: la Finlandia è qui tra noi se la vogliamo, con le renne e le slitte e Babbo Natale. Basta crederci, e smettere di scioperare che è una cosa veramente poco nordeuropea.
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O con Matteo, o con Matteo

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E così, insomma, io che considero il referendum abrogativo di Landini un'opzione suicida, non ho niente di meglio da suggerire che attendere un altro referendum (quello confermativo sulle riforme costituzionali) e in quel momento ammucchiarmi con Berlusconi, Grillo e chiunque altro nell'occasione darà una mano ad affondare la nave di Renzi. A medio termine, cosa avrò ottenuto?

Andrà del tutto sprecato il tempo trascorso a discutere e votare le riforme (d'altro canto non sono davvero un granché, queste riforme: per evitare pasticci ci sarebbe bisogno di correggerle subito con ulteriori riforme, tanto vale ripartire da capo). Avrò umiliato Renzi, senza che sia ancora comparsa all'orizzonte un'alternativa credibile. Probabilmente la legislatura finirà subito dopo, e Renzi sarà ancora il candidato del PD. Tutto quello che spero di ottenere è lo spostamento del baricentro del PD più a sinistra. Non è un po' poco? Ma soprattutto:

Non è la stessa cosa che propongo da dieci, vent'anni?

Sempre con questo baricentro da spostare, possibile che non mi venga mai in mente altro? La cosa angustia anche me, anche se qualcuno la chiamerebbe coerenza e magari ne andrebbe fiero: probabilmente sono un riformista, uno che ha come obiettivo la realizzazione di un grande partito socialdemocratico all'europea che punti all'egemonia nel Paese, e dunque da quando c'è il PD (ma anche prima) non faccio altro che spingere il PD come una formichina spinge un pachiderma. Nel frattempo i grandi partiti socialdemocratici europei non se la stanno passando un granché bene: forse siamo alla fine di una certa dialettica novecentesca tra socialdemocrazia e conservatorismo liberale, ma io continuo a spingere imperterrito. Le altre opzioni le trovo ancora meno ragionevoli.

O meglio: le altre opzioni secondo me si riducono a una sola. Siamo a un bivio, come sempre. Non si tratta di scegliere tra sinistra e destra, né tra Renzi e anti-Renzi. Credo che alla prossima consultazione la scelta sarà tra Euro e non Euro: e che tutto il resto, Renzi incluso, sarà subordinato a questo: vogliamo l'Euro? Dovremo tenerci Renzi, ancora per un po'. Non vogliamo più l'Euro? È una prospettiva meno folle di quanto non fosse uno o due anni fa.

Due anni fa la vittoria di Hollande ci aveva fatto sperare nell'inizio di una nuova fase. La Francia socialista avrebbe potuto coalizzarsi con gli Stati indebitati del sud e rimettere in discussione la politica tedesca e nordica del rigore. Avrebbe potuto andare così, ma non è successo.

Persino Renzi prometteva che ne avrebbe discusso con la Merkel. È andata com'è andata. A chi avesse ancora dei dubbi, l'esito della trattativa Tsipras-UE dovrebbe esaurirli. Il rigore non si discute. A questo punto l'uscita dall'Euro diventa un'opzione. Dolorosa quanto si vuole, autolesionistica indubbiamente: ma è l'autolesionismo della disperazione. L'ultimo spazio a disposizione del condannato per negare agli altri il diritto di disporre di lui. Oggi, alla luce di quel che è successo negli ultimi anni, è giusto ricordare che l'uscita dall'euro sarebbe un'opzione catastrofica, ma non necessariamente la più catastrofica. È lecito discuterne, non solo tra i fulminati dei blog di pseudoeconomia: vogliamo andarcene o restare?

Io ovviamente voglio restare, però gli antieuristi li capisco molto più oggi che in passato. Soprattutto non credo che nei tempi brevi la situazione politica ci concederà il lusso di una terza posizione: o saremo con l'euro (e con Renzi) o saremo contro. E con Salvini.

Mi dispiace metterla giù così brutale, ma in coscienza non credo che sia molto più complicata. Se si vuole perseguire una politica economica davvero alternativa a quella imposta da Berlino e Francoforte, occorre uscire. Purtroppo non esistono uscite a sinistra e uscite a destra: ce n'è una sola. Ritenete di meritare un partito più a sinistra del PD, un partito non compromesso col renzismo? Pensate che l'unità monetaria, così com'è stata realizzata, sia stata una cessione imperdonabile di sovranità? Salvini e Grillo saranno i vostri alleati naturali. Ma anche la Meloni, e molti berlusconiani tra i quali magari Berlusconi stesso.

Un'alleanza trasversale anti-euro al momento è l'unica che può mettere Renzi in difficoltà. È uno dei motivi per cui il ballottaggio è pericoloso: mentre è al momento impensabile una coalizione Grillo-Berlusconi-Salvini (anche se la pensano allo stesso modo quasi su tutto), al secondo turno sarebbero gli elettori dei rispettivi partiti a superare le diffidenze dei vertici e concentrarsi sull'unico candidato anti-euro rimasto in lizza. Grillo non voterebbe mai per Salvini, ma l'elettore di Grillo non avrà le stesse pregiudiziali. E anche l'elettore di sinistra anti-euro non dovrebbe averne. A nessun eventuale partito di sinistra - ammesso che si riesca a riorganizzarne uno - sarà concessa l'ambiguità con cui Syriza vinse le elezioni: dentro l'euro ma contro l'austerità. Dentro l'euro ma forse fuori. Tsipras bluffava anche per noi: Bruxelles ha visto le carte, fine dei giochi. Ora siete liberi di pensare che l'Italia possa risolvere i suoi problemi rimettendosi a coniare moneta. Ma non siete più liberi di cercarvi un candidato: quel posto se l'è preso il ragazzone arrogante con le felpe.

Mi dispiace, forse non doveva finire così, ma qui le nostre strade si separano. Ci vediamo dall'altra parte.
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Beppe Grillo cosa pensa di te?

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ABBIAMO RACCOLTO LE FIRME
PER MODIFICARE LA COSTITUZIONE
PER INDIRE UN REFERENDUM
CHE SE LO VINCESSIMO
FORSE CI LASCEREBBERO USCIRE
DALL'EURO!
#VITTORIA! 
Vabbe', riproviamoci. Caro elettore o attivista Cinque Stelle, come va?
Io e te non siamo andati molto d'accordo, anche in quest'anno 2014.
Abbiamo senz'altro idee molto diverse; e ci fidiamo di gente molto diversa. Decisamente. Però vorrei che ti fosse chiara una cosa. Io non credo che tu sia un coglione. Io.

Beppe Grillo, invece.
- Non fraintendere, lo so che ne pensi ancora un gran bene, è solo che -
Ti chiedi mai cosa pensa, di te, Beppe Grillo?

Beppe Grillo che convoca una conferenza stampa e accusa Napolitano di non aver permesso ai m5s di formare un governo, l'anno scorso, visto che avevate vinto le elezioni.
Ora, caro elettore Cinque Stelle, so che l'argomento è spinoso. Io te lo devo dire: non credo che voi l'anno scorso abbiate vinto le elezioni, tecnicamente. Ma lasciamo perdere quel che ne penso io.

Tu credi davvero alla storia che Beppe racconta? Napolitano avrebbe dovuto dare un mandato esplorativo a Crimi, o a Di Maio, o a qualche altro sconosciuto, per cosa? C'era una qualche maggioranza nel parlamento del 2013 per un governo Cinque Stelle?
Sai benissimo che non c'era.
Che un mandato esplorativo sarebbe stato soltanto una perdita di tempo.
Che tempo ne perse già abbastanza Bersani, nel tentativo di portare qualcuno di voi dalla sua parte - mentre Grillo e Casaleggio erano contrari già il mattino dopo le elezioni. Dunque di che parla Beppe adesso? Cosa si sta raccontando? A chi pensa di farla bere questa storia? A te?
Cosa pensa di te?

Ha convocato una conferenza tutto allegro perché avete raccolto firme contro l'euro. Cinquantamila in un fine settimana, wow. No, non è una grande impresa raccogliere cinquantamila firme. Per un movimento che due anni fa vinceva le elezioni è quasi il minimo. È anche vero che il tempo passa e questo dicembre è così umido, per cui wow. Le firme contro l'euro.
Servono a uscire dall'euro?

No, non esattamente. Servono a presentare una legge di iniziativa popolare in parlamento.

È un sistema - previsto dalla Costituzione - grazie al quale tutti i cittadini possono presentare proposte di legge in parlamento. Anche quelli che non hanno rappresentanti in parlamento.

Anche quelli che non hanno rappresentanti in parlamento.

Ma il Movimento Cinque Stelle ha un sacco di rappresentanti in parlamento. Eletti dal popolo italiano. La legge potevano ben presentarla loro! Probabilmente hanno pensato che con cinquantamila firme (pochine a dire il vero) la proposta di legge abbia più speranze di essere presa sul serio, e quindi ben venga la raccolta di firme.

Ora la proposta verrà calendarizzata, e quando il parlamento riterrà giusto discuterne, ne discuterà. È sempre il parlamento del 2013, quello dove i Cinque Stelle non hanno la maggioranza, e mai l'hanno avuta, anche se Beppe racconta di aver vinto le elezioni. Insomma le speranze di trasformare quella proposta di legge in una vera legge sono abbastanza poche. Ma ipotizziamo pure che anche gli altri euroscettici del parlamento vi appoggino (anche se non hanno nessun interesse a farlo, dal momento che vogliono soffiarvi gli elettori). Immaginiamo che la proposta di legge di iniziativa popolare sia discussa, approvata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Vittoria! No, aspetta.

È una legge che ci fa uscire dall'euro?
Non esattamente.

È una legge che modifica la Costituzione e introduce i referendum consultivi. C'è persino un precedente: nel 1989 una simile legge costituzionale fu emanata per consentire ai cittadini italiani di esprimersi in un referendum che chiedeva di trasformare la Comunità Europea in Unione Europea, e all'europarlamento di redigere una proposta di eurocostituzione. Il sì stravinse (88%), ma forse non sapevamo quello che stavamo facendo. Mettiamola così.

Invece adesso lo sappiamo, e se la legge di iniziativa popolare diventasse mai una legge costituzionale, noi non usciremmo dall'euro - non ancora - ma avremo finalmente la possibilità di votare per decidere se restare o uscire dall'euro. Mediante un referendum consultivo.

Cioè?

Cioè un referendum che chiede un parere ai cittadini.
Un parere vincolante?
No.

Quindi, in sostanza, Grillo ha convocato una conferenza stampa per annunciare di aver raccolto le firme necessarie a presentare in parlamento una legge per modificare la costituzione affinché si possano raccogliere altre firme per indire un referendum consultivo grazie al quale i cittadini potranno esprimersi sull'euro.

Non suona molto bene, vero? Quindi forse su qualche blog o quotidiano in giro avrai letto che Grillo ha convocato una conferenza stampa per annunciare di aver raccolto le firme necessarie a presentare in parlamento una legge per modificare la costituzione affinché si possano raccogliere altre firme per indire un referendum consultivo grazie al quale i cittadini potranno esprimersi sull'euro per uscire dall'euro.

Così funziona meglio.
D'altro canto, chi te la racconta così, cosa pensa davvero di te?

Tu probabilmente dall'euro vuoi uscirci davvero. Io no, io credo che l'Italia abbia problemi un po' più complessi, e che prendersela con l'euro sia un po' come prendersela con il sistema metrico decimale - non è colpa del metro se sei basso, non è colpa del chilo se sei pesante, non è colpa dell'euro se la tua economia ha difetti strutturali.

Non sei d'accordo? Va benissimo, anch'io non sono affatto sicuro che le cose stiano così, soprattutto finché i tedeschi continuano questa politica del rigore davvero molto ottusa, e finché gli altri governanti europei non riescono a opporsi.

Mettiamo che io abbia torto e tu ragione, e la cosa migliore sia davvero uscire dall'euro. Cioè svalutare. Anche se tu ritieni che sia necessario, sai benissimo che non sarà indolore. Perdere il venti o il trenta per cento del potere d'acquisto in pochi mesi non è una cosa da ridere. Certo, sei convinto che l'economia ripartirebbe, e presto tutto sarebbe un ricordo lontano. Però le prime settimane sarebbero uno choc, questo lo sai benissimo anche tu.

Uscire dall'euro è qualcosa di mai tentato prima. Anche ammesso che sia possibile, richiede una certa destrezza onde evitare crisi di panico e derive speculative che non credo neanche tu ti auguri. L'ideale  - lo dicono gli economisti, anche quelli anti-euro - sarebbe uscirne all'improvviso, un venerdì, evitando il più possibile una fuga di notizie.

Prendi Tsipras, per esempio.

Non so se ci hai mai fatto caso, ma ogni volta che glielo chiedono davvero - in caso di vittoria di Syriza, la Grecia uscirà dall'Euro? Lui risponde: no. Ecco, a me eurista spaventa molto più Tsipras, perché è il classico cane che non abbaia.

Grillo invece abbaia tanto. Perché?
È un coglione? No che non lo è.
Certo, si è preso un paio di tegole in testa negli ultimi due anni. Ma non è un coglione.
Allo stesso tempo, non si sta comportando come uno statista che vuole uscire dall'euro. Abbaia troppo. Vuole che tutti ne discutano.
Raccoglie le firme. Per uscire subito? No, per modificare la costituzione.
Per uscire subito? No, per raccogliere altre firme per indire un referendum.
Per uscire subito? No, un referendum consultivo.

E allora, davvero, Grillo vuole uscire dall'euro? o vuole soltanto parlarne?

Caro elettore m5s, caro attivista m5s:
anche quest'anno abbiamo litigato molto, però vorrei che ci abbracciassimo, almeno a Natale. La pensiamo in modo diverso su quasi tutto. Tu credi che il M5S abbia vinto le elezioni del '13, io no. Tu credi che l'euro sia una maledizione, io penso che sia un'unità di misura come un'altra. Magari hai ragione tu, è possibile. Non sono un esperto, non riesco a vedere bene tutti i lati delle cose. So che tu ne vedi uno molto diverso dal mio, e ne trai conclusioni diverse. Ma le tue conclusioni sono probabilmente logiche quanto le mie - è che tu hai dati diversi dai miei, e chissà chi ha quelli veri. Io non credo di essere più intelligente di te; e non credo che tu sia un coglione.

Beppe Grillo, invece.
Cosa pensa di te?

Buon Natale, felice anno eccetera.
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Ma quando nell'Euro siamo entrati, tu dov'eri?

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Son piene le fosse

Frequento pochi ventenni, è un mio limite. Mi piacerebbe capire cosa ne pensano, davvero, di tutti questi vecchi scemi, dai quaranta in su, che all'improvviso hanno realizzato che l'Italia deve uscire dall'Euro - non potevano accorgersene quando stavano entrando? Questi babbioni in piena crisi coniugale, come se un mattino si fossero svegliati abbracciati all'Euro e ODDIOMIO KE HO FATTO!!!!1111!!

"Cosa c'è meine liebe?"
"PUSSA VIA SCHIFOSA VALUTA TEDESCA".
"Tesoro wie geht's? hai fatto tu un brutto sogno?"
"Non era un sogno, era la realtà! Che schifo! Io e te... abbiamo passato la notte insieme!"
"Come ogni notte da qvindici anni, liebchen".

E insomma tutta questa gente ai tempi di Maastricht dov'era? Non potevano accorgersene un po' prima, di quanto l'Euro fosse insostenibile, di quanto puzzasse, di quanto ci avrebbe resa impossibile la crescita economica e complicata la vita? No, sono tutti diventati economisti esperti quindici anni dopo. Svegliandosi, un mattino, a fianco della sozza creatura europea, si sono resi conto di aver essere finiti nell'unica trappola che non prevede via d'uscita.

Persino il matrimonio di Santa Madre Chiesa Cattolica; quello che si prende davanti al sacerdote, in presenza di testimoni, in cui si giura di resistere a fianco del coniuge nella buona e nella cattiva sorte; e il prete dice "finché morte non vi separi", e voi dite "sì": persino quello, a veder bene, si può annullare: basta dimostrare di non aver capito bene, di essere magari un deficiente. Esiste un tribunale apposta, magari non è la procedura meno cara o più dignitosa del mondo, ma insomma, anche quel matrimonio indissolubile si può dissolvere. Maastricht no. Niente divorzi, niente referendum. È peggio dei preti.

Anche il diavolo dei racconti, quello che ti fa firmare i contratti col sangue, quasi sempre poi se ne va con le pive nel sacco a causa di qualche cavillo. Maastricht no. È peggio del diavolo. Davvero, mi piacerebbe capire come la vivono i ventenni. Non fanno che sentire discorsi su come si stava bene con la lira, con quella meravigliosa inflazione che pompava l'economia, che vasodilatava come neanche la cocaina, che botte raga gli anni Ottanta. E poi?

"E poi papà cos'è successo?"
"Eh, cos'è successo... ho incontrato la culona".
"Ma come hai fatto a non capire?"
"Ma chissà... anche io me lo domando... sai, in quel periodo capire le cose era un po' un optional".
"Seh, papà, vabbe', vaffanculo".
"Ah no! In questa casa vaffanculo lo dico io".
"Se ti consola".

Allora, caro ventenne che non conosco, cerco di spiegartela io: non è che quindici o vent'anni fa fossimo tutti spensierati o ignoranti - ce n'era certo in giro, forse persino più che adesso - ma se l'euro ci parve una buona idea non fu per un qualche complotto di banchieri o poteri forti. Persino i leghisti di Bossi, persino loro che adesso si baciano i gomiti per aver trovato con Salvini uno straccio di strategia; persino loro, ai tempi, non vedevano l'ora che Banchitalia chiudesse e passasse le pratiche a Francoforte; e avevano i loro buoni motivi. Per quanto possano sembrarti scanzonati e grassi gli anni Ottanta, dammi retta se ti dico che la maggior parte di noi aveva già chiarissima la sensazione di precipitare in moto rettilineo uniforme verso un suolo lontanissimo ma solido; no, non eravamo economisti, ma sapevamo di avere contratto dei debiti per pagare interessi su altri debiti che avremmo saldato con altri debiti che avresti dovuto pagare tu. In quella situazione l'euro ci sembrò provvidenziale. Ci sbagliavamo?

Magari sì, che ne so. Facile dirlo col senno del poi. Ora tu magari hai tutte le ragioni per odiarci, ma non credere che al nostro posto tu non avresti detto lo stesso "sì". Non essere sicuro che non dirai mai "sì" a proposte anche peggiori. A parziale discolpa, l'Euro a cui dicemmo "sì" a Maastricht era molto diverso da quello che è diventato. Per certi versi era più grande, per altri era più piccolo.

Era più grande perché era parte di un progetto che a quanto pare si è bloccato. Tu ora lo vedi come un matrimonio - e hai ragione - ma noi a quel tempo lo consideravamo più un fidanzamento: l'euro era solo il primo passo. Dopo la politica monetaria sarebbe seguita la politica economica (insomma, era ovvio o no? Come si fa ad avere la stessa valuta e politiche economiche diverse?) Dalla politica economica sarebbe ovviamente seguita la necessità di una politica comune tout court, et voilà: nel giro di vent'anni avremmo avuto la Confederazione Europea, se non proprio gli Stati Uniti. Non poteva che andare a finire così - anche se a ben vedere non c'erano precedenti.

Allo stesso tempo quell'Euro era più piccolo: i contraenti a Maastricht erano appena dodici. E noi contavamo molto di più di un semplice dodicesimo. Eravamo la terza economia, con qualche motivo per crederci ancora l'idolo delle feste: quello irresistibile anche se ha un sacco di magagne da farsi perdonare. Una cosa che davvero non ci aspettavamo era l'allargamento a est. Per forza, era il 1992. Il muro di Berlino era ancora un cantiere, non avevamo nemmeno le cartine aggiornate alle pareti. Per noi la Slovacchia era remota quanto il Tagikistan - occhio, non ti sto dicendo che l'allargamento massiccio del 2004 fu un errore. A quel punto ormai era chiaro che l'est era la frontiera del benessere: se non lo avessimo agganciato noi, ci avrebbero pensato gli americani. Lo si vide con la seconda guerra del Golfo, quando Donald Rumsfeld incassava l'appoggio entusiasta di polacchi e ungheresi e la chiamava la "nuova Europa". Ancora oggi, è la Nato più che la UE a spingere per mettere le bandierine sull'Ucraina. Allargarsi a est era inevitabile, ma il risultato è che il baricentro si è allontanato dal mediterraneo, forse per sempre. Dovevamo capirlo nel '92? Dovevamo immaginare delle alternative?

E dunque caro ventenne, è andata così. L'euro era molto più carino, quando ce lo siamo portati in casa. Va sempre a finire così, probabilmente; ma sei libero di pensare il contrario. Libero di prendertela con me. Se te ne intendi anche solo un minimo, a questo punto sai meglio di me che il referendum di cui oggi parla Grillo, e dopodomani parlerà Salvini, non si può fare. C'è una ragione giuridica (non è previsto dal Trattato) e ce n'è una di buon senso; anche chi andrà a votare per l'uscita dall'Euro non ci penserà due volte a riempire di buoni euro i materassi. Dal momento che la sacrosanta libertà di parola dovrebbe consistere nella libertà di affermare che due più due fa quattro, sarebbe opportuno che da qui in poi Grillo e gli altri anti-euristi fossero obbligati a dichiarare con chiarezza quello che chiedono davvero: non tanto USCIAMO DALL'EURO!, quanto SVALUTIAMO I NOSTRI RISPARMI!, magari anche DIMEZZIAMO I NOSTRI STIPENDI!, dopodiché fatalmente L'ECONOMIA RIPARTIRA', il che effettivamente potrebbe anche darsi: l'economia dopo un disastro riparte sempre. Nel medioevo era una pestilenza, nel Novecento una guerra mondiale, ma non c'è dubbio che in generale non ci sia niente meglio di un bel disastro per far ripartire l'economia.

Se te ne intendi anche solo un minimo, anche questa cosa già la sai, e forse a questo punto avresti anche diritto di decidere se l'opzione ti interessa o no. Che ne dici di una nazione a metà tra l'Europa e il Sud sottosviluppato del mondo, una roba tipo Messico, ma con la doppia valuta stile Cuba? Un posto dove il medico pubblico garantisce un servizio di qualità ma guadagna meno della figliola che la dà ai turisti in cambio di sani bigliettoni europei? È il tuo futuro, chi se non te avrebbe diritto di deciderlo?

Che pretendano invece di deciderlo dei giuggioloni come Grillo, o Casaleggio - gente che negli anni Novanta si sarebbe comprata la fontana di Trevi, e che oggi crede di stamparsela in 3d - ecco, questo è un po' seccante, non trovi.
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UKIP - sezione Italia

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Settantotto per cento, un plebiscito. Quando giovedì finalmente Beppe Grillo ha chiesto ai suoi grandi elettori di scegliere il gruppo europarlamentare di preferenza, ventitremila hanno indicato la loro preferenza per l'UKIP di Farage - l'opzione sulla quale Grillo si giocava ormai la sua credibilità di leader. Come sempre il bilancio della democrazia interna è piuttosto avvilente: malgrado il Movimento continui a selezionare i suoi grandi elettori col contagocce (soltanto 87.656 iscritti hanno maturato la facoltà di voto) anche qui l'astensione è altissima; più della maggioranza degli aventi diritto non ha votato. L'esclusione dei Verdi Europei dalla competizione, con ragioni più o meno pretestuose, può avere allontanato qualcuno dal voto; e tuttavia quel 78% ci conferma che non c'è un M5S al di fuori di Grillo. È ormai un ricordo la fronda che in passato disattese le sue volontà, votando per esempio l'abolizione del reato di clandestinità, o costringendo il Capo Politico a uno sgraditissimo incontro con Renzi. Il Movimento che riparte dopo la delusione delle europee è più grillino che mai: se a Grillo va a genio l'UKIP di Farage, che UKIP sia. Ma cos'è l'UKIP, alla fine?

Cominciamo da cosa non è: l'UKIP non è un partito fascista, come molti hanno scritto in questi mesi, anche per l'oggettiva difficoltà nel tradurre in italiano un certo tipo di istanze che sono una novità quasi assoluta. Per la verità un nome esiste - sovranismo - ma è molto brutto e il correttore automatico lo segna ancora come un errore. I sovranisti esistono in tutta Europa; partendo da posizioni diverse (l'UKIP per esempio non nasce all'estrema destra, ma da una scissione del partito conservatore) arrivano più o meno allo stesso risultato: il rifiuto del progetto di unificazione europea. Per i sovranisti non è che un complotto cosmopolita ordito dai nemici dei popoli: banche, multinazionali, massoneria, ecc. Bisogna mandarlo a monte, tutti assieme. Se questa è la piattaforma, l'alleanza con Grillo non dovrebbe stupire. Né dovrebbe sorprendere che Paolo Becchi, ideologo del Movimento a fasi alterne, la presenti come una battaglia di sinistra addirittura ("La sfida del futuro è tra sovranità e internazionalismo negativo"), o che un mese prima della consultazione Grillo abbia già fornito all'ufficio stampa dell'UKIP il piedistallo del suo blog, perché in fondo chi meglio dell'UKIP può spiegare ai lettori quanto bravo e buono e non razzista o fascista sia l'UKIP? (continua sull'Unita.it, H1t#235)

Perfino la promozione del blogger Claudio Messora, che lascia l’ufficio Comunicazione M5S a palazzo Madama per Bruxelles, e che a qualche malfidato poteva sembrare una rimozione dopo le imbarazzanti vicende di qualche mese fa, assume un significato diverso; Messora sarà anche una catastrofe con twitter, ma la sua passione per Farage è sincera e relativamente antica – lo intervistò già più di due anni fa, quando in Italia era un perfetto sconosciuto. La storia d’amore tra M5S e UKIP non è insomma un colpo di fulmine: i segni erano nell’aria già da anni, ma forse abbiamo preferito ignorarli nella speranza che il Movimento diventasse più simile a come lo avremmo voluto: più progressista, più ambientalista, più europeo. Magari a un certo punto ha quasi rischiato di esserlo; ma alla lunga ha vinto la tendenza incarnata da Messora: complottismi assortiti e nostalgie d’un mondo che fu, al tempo in cui il Regno Unito era un Impero, e l’Italia… già, l’Italia, che nostalgie dovrebbe nutrire?
In effetti, uno dei motivi per cui il sovranismo ci ha messo molto ad attecchire qui da noi è la mancanza di un nobile passato da proiettare: il benessere drogato dall’inflazione degli anni Ottanta? Il boom degli anni Cinquanta? Più indietro c’è solo il fascismo, ma è una nicchia di mercato già occupata e sfruttata fino alla noia. Nel frattempo persino la Lega si improvvisa sovranista, smette la camicia verde e le pretese scissionistiche e riscopre il tricolore contro l’euroburocrazia. Una virata spettacolare di cui è responsabile Matteo Salvini, che lavorando a Bruxelles per tanto tempo magari ha fiutato l’aria prima dei cerchi magici  padani.
Se Grillo e Salvini hanno qualcosa in comune con Farage, non è il razzismo o un presunto fascismo, ma proprio la nostalgia. Si stava meglio prima. Ovviamente ognuno pensa a un “prima” diverso: Grillo e Salvini sognano il ritorno dell’Età dell’oro della Piccola Media Impresa; Farage immagina un Regno Unito riconvertito all’industria, di nuovo sbuffante carbone e vapore di petrolio dalle sue mille ciminiere. Se queste nostalgie abbiano ancora senso, in un mondo che va verso l’emergenza ambientale globale, è una domanda che va girata ai loro elettori. http://leonardo.blogspot.com
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Ssst, abbiamo vinto

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Ciao papà

Credo che fosse inevitabile, e non escludo che possa succedere anche a voi: ieri guardandomi allo specchio ho visto un tizio coi capelli bianchi che votava la DC perché non sopportava Andreotti e non gliela voleva lasciare.

Il successo di Matteo Renzi - un successo così grande che non se l'aspettava nemmeno Matteo Renzi - così fuori misura che complica anche i suoi piani, allontanandolo da un Berlusconi che non ha più nessun interesse a far passare in senato le sue riforme - il successo di Matteo Renzi, che nessuno si aspettava fino ai primi dati del Viminale, e che in seguito tutti hanno trovato logico e inevitabile - forse era davvero logico e inevitabile, ma alzi la mano chi si aspettava un dato oltre al 40%. Cos'è successo, allora. Chi è uscito dalle catacombe?

Qualcuno che non si è fatto sentire fin qui: che non gridava basta euro nelle gabbie dei talk televisivi o sui social. Qualcuno che non ha lanciato neanche un hashtag. Qualcuno che nessuno contava più, perché la sua voce non si sente più da un pezzo, ammesso che si sia mai sentita. L'imprenditore che non si suicida. Il lavoratore che non ha ancora perso il lavoro - oppure l'ha perso ma non crede che Salvini e Grillo possano farci molto. Il risparmiatore che preferirebbe tenersi i risparmi in euro, dopotutto. Gente che non strilla nei bar, non ti tagga su facebook, e non urla in favore di nessuna telecamera. Probabilmente non risponde neanche ai sondaggi, il caro vecchio shy factor. La vogliamo chiamare col suo nome? Perché ce l'aveva un nome questa gente, ricordate?

Coraggio. Un aiutino: sono la maggioranza. Lo sono sempre stati. Esatto.

La maggioranza silenziosa.

È inutile prendersela con loro: non sono qui, non vi rispondono. Hanno fatto i loro conti e non coincidono coi vostri. Vogliono l'Europa, proprio come trent'anni fa. Oggi va molto di moda domandarsi chi mai l'ha voluta quest'Europa, ebbene, state certi che se loro non fossero stati d'accordo, non si sarebbe fatta mai. A loro andava bene Maastricht e andava bene l'euro. Non c'era bisogno di nessun referendum perché l'avrebbero vinto. Una volta votavano DC, PSI, ma anche PCI, e a parte qualche folata ogni tanto non c'era verso di smuoverli. Molti in seguito hanno appoggiato a lungo Berlusconi, e non c'è modo di sapere se oggi se ne vergognino. Adesso preferiscono Matteo Renzi. Una scelta discutibile, salvo che con loro non si discute mai un granché. Di sport, magari, o di cronaca o di gossip. La politica sembra sempre disinteressarli. E però a votare ci vanno e - sorpresa - l'Italia si riconferma la nazione più europeista d'Europa. Com'è logico che sia, per chi sa che l'unica alternativa è l'Africa. Eppure chi l'avrebbe detto mai.

Chi l'avrebbe detto mai, con quattro formazioni cosiddette populiste a raschiare il barile dell'antieuropeismo: grillini, leghisti, fascisti, residui berlusconiani - attenzione, se si mettessero tutti assieme rasenterebbero il 50. E forse un giorno lo faranno. Nel frattempo però si fanno concorrenza tra loro, hanno capi ringhiosi che non vogliono perdere il controllo - e intanto la maggioranza silenziosa li sta scaricando.

Ed eccoci qui. Una volta ci si chiedeva: moriremo democristiani? Dopo le elezioni dell'anno scorso, qualcuno cominciò a soggiungere, sommessamente: magari. Credo che sia inevitabile, per molti di noi, trasformarsi nei propri padri. Per me ormai era l'obiettivo di massima. Ciao papà.
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Io voto PD - senza mal di pancia

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1. Kyenge - 2. Schlein - 3. Pradi. 

Questo pezzo è il terzo e l'ultimo di una riflessione cominciata qui e proseguita qui. Ma i capitoli precedenti si possono tranquillamente saltare - a dire il vero si può saltare anche questo, tanto quel che importa è tutto nel titolo: io domenica voterò il PD alle europee, e lo farò serenamente, senza mal di pancia. Sono anzi molto contento di poter scrivere sulla scheda il nome di Cécile Kyenge, per la battaglia di civiltà che in questi mesi ha saputo portare avanti: una battaglia che per la verità non è ancora vinta, e che Renzi non dà nemmeno la sensazione di voler troppo combattere. Diciamo che ha altre priorità; non sarebbe la prima volta che una promozione a Bruxelles occorre a rimuovere un personaggio divenuto scomodo o ingombrante. Resto convinto che persino in un parlamento agli antipodi, la Kyenge riuscirebbe a dare fastidio ai razzisti italiani. L'europarlamento è molto più vicino: spero che potrà continuare là una lotta necessaria per i diritti civili, anche in nome di quei milioni di residenti in Europa senza cittadinanza che votare non possono.

Poi voterò per Elly Schlein e Andrea Pradi, che da quanto ho capito ricadono nell'area civatiana; perché se è vero che la mia equidistanza tra Grillo e Renzi (e Berlusconi!) è quasi totale, basta sostituire a Renzi il PD nella sua totalità e complessità perché il piattino nella bilancia si abbassi all'istante. Mi pare che il dibattito parlamentare sull'Italicum abbia dimostrato come oggi la migliore opposizione a Renzi - la più costruttiva, perlomeno - sia quella interna: persino nel momento di massimo espansione di Renzi c'è qualcuno che non si allinea, che abbozza un progetto diverso: può sembrare un segno di debolezza, ma è lo stesso che ha consentito a Renzi di succedere prontamente a Bersani. Non credo che un'alternativa sinistrorsa al progetto di Renzi possa nascere altrove che nel PD: lo dico con molto rispetto per chi in questi mesi ha lavorato per la Lista Tsipras, che spero possa oltrepassare lo sbarramento e ottenere un buon risultato. Ma credo che nei prossimi anni il quadro sia destinato a semplificarsi, con la convergenza di quelle correnti di populismo che in Italia oggi si odiano soltanto per questioni di bandiera: ormai Grillo Berlusconi e Salvini, al di là della naturale rivalità tra contendenti, dicono le stesse cose. Che siano proporzionali o uninominali, le elezioni dei prossimi anni rischiano di diventare una sfida tra europeisti e antieuropei. Toccherà farsi piacere l'Europa in blocco, o cedere al mito della piccola patria chiusa e felice. Prima ancora che socialdemocratico, io mi considero una persona razionale: qualsiasi ente sovranazionale imperfetto e corrotto mi sembra preferibile a un piccolo mondo antico che forse non è mai esistito e che comunque non ci sarà verso di far ri-esistere. L'Europa, viceversa, esisterà. Ci metterà più tempo del previsto, ma i nostri figli saranno europei.

Il paradosso delle braghe
Potendo scegliere, poi, io li vorrei pure socialdemocratici. Forse chiedo troppo, ma a questo punto il mio voto è scontato. Conosco l'obiezione: il PSE quasi sicuramente resterà abbracciato al PPE in una grossa coalizione centrista. Ora, per spostare verso la sinistra il baricentro del PSE io ho due opzioni: posso votare il PSE, sperando che questo conquisti abbastanza voti da ribaltare i rapporti di forza, e da imporre Martin Schulz come il primo leader europeo salutato da un'investitura popolare; oppure posso votare Tsipras, per "dare un messaggio". Quest'ultima mossa, alla luce degli ultimi vent'anni di esperienza italiana, mi sembra nient'altro che una manifestazione di autolesionismo: se voti a sinistra, il centrosinistra si sposta verso destra. Questo è l'unico messaggio che passa. La cosa potrà non piacere, ma portatemi un solo esempio in cui le cose non siano andate così. Io non ne conosco, per cui voto PSE.

Incidentalmente, voterò anche per Renzi, che senz'altro non si tratterrà dal mettere la sua gioiosa faccia sul mio voto, e di sbandierarlo per dimostrare che la gente è dalla sua e vuole le riforme che piacciono a lui. Tutto questo è senza dubbio fastidioso, ma mi resta pur sempre un blog per ricordare a chiunque interessi che le cose non stanno affatto così. Peraltro la riforma che più di tutte mi preoccupa - l'Italicum - mi sembra ormai destinata ad arenarsi, e di questo devo ringraziare persino la buona tenuta elettorale di Beppe Grillo.

E dunque insomma le cose stanno così: Renzi non mi piace, ma il voto al PD mi sembra l'unico sensato. Il calcolo è stato più complesso del solito, ma una volta terminato la coscienza non registra nessun dissidio interiore. La pancia, in particolare, non prova nessun fastidio; e non capisco nemmeno perché dovrebbe. Sarà perché per me il voto è sempre stato soprattutto un'operazione aritmetica, una banalissima addizione: non un'epifania, o una seduta di autocoscienza, o un modo per esprimere la propria identità più recondita nel chiuso confortevole della cabina elettorale. Prima di fare la mia addizione posso avere un po' di dubbi, ma sono tutti in un certo senso matematici: cosa succederà a y se voterò x? e se votassi z? Eccetera. Dubbi esistenziali non ne ho. La pancia poi sta già pensando ad altro; probabilmente alla scusa da trovare per aprire un pacchetto di pistacchi. Si tratta, ormai l'ho capito, di una pancia atipica rispetto alla media delle pance italiane. Che posso dire: è la mia pancia, non è più raffinata di tante altre pance. Forse è fallata, c'è tutta una gamma di frequenze che non capta e che sono evidentemente indispensabili per capire gli italiani. Io invece sto qui a scrivere, a spiegarmi, quasi come se toccasse agli italiani capire me.
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#HaVintoLui

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In base a un sondaggio che non si può pubblicare, anche perché nessuno lo ha fatto, io credo di potervi comunque annunciare che Beppe Grillo ha vinto - no, il M5S no, non necessariamente. Ma Grillo sì, anche se non si è candidato. Ha vinto lo stesso, nell'unico modo in cui poteva vincere, che è anche il peggiore. Domenica sera chiuderanno i seggi e spoglieranno le schede, tireranno le somme e ci diranno che Renzi è andato bene, anzi benissimo, o che Berlusconi tutto sommato tiene, e la Lega, eccetera eccetera, ma l'unica vittoria se l'è già presa Beppe Grillo.

200 poliziotti in più! che inseguiranno i ladri a piedi.
Se l'è presa nel momento in cui Silvio Berlusconi ha cominciato ad annunciare nei suoi comizi tv che vuole abolire Equitalia: le stesse esatte parole del programmino che Grillo aveva steso nella fase finale della campagna 2013. "Abolire", "equitalia". Se l'è presa nel momento in cui Renzi ci ha informato che a mò di copertura avrebbe abolito le province, o messo le auto blu su ebay, e poi l'ha fatto davvero. O quando ha cominciato a chiamare i suoi critici #gufi e #rosiconi. Se l'è presa quando Matteo Salvini, prima di cedere la sua piccola attività politica a un curatore fallimentare, si è messo a googlare "euro" "COMPLOTTO" "banche" "svegliaaaa!" e ha trasformato la Lega nel partito antieuro. Se l'è presa in quel momento qualsiasi a cavallo tra '13 e '14 in cui tutti i suoi avversari hanno cominciato ad andare a lezione da lui.

Più fiorini per tutti.
Chiunque avrà vinto lunedì, festeggerà con le parole di Beppe. Magari con gli hashtag di Beppe. Vincerà per aver copiato qualche promessa di Beppe, nel tentativo di strappare a Beppe qualche elettore. In base a un sondaggio che non ha nemmeno più importanza fare, Beppe Grillo ha già vinto.

Berlusconi giustizialista, rifletteteci.
A 77 anni quest'uomo riesce ancora a stupire

E non è tutto sommato la cosa peggiore che poteva capitarci: coraggio, se vince Grillo almeno l'Italicum non si farà. Giustamente: una legge così brutta nemmeno Grillo poteva scriverla. Non è uno scherzo: la proposta di legge elettorale del M5S è comunque bruttina, e a tratti assolutamente balorda. Ma decisamente migliore di quell'offesa al senso comune e alla democrazia buttata già da Berlusconi su cui Renzi doveva assolutamente mettere la sua bella faccia. Grillo non vince soltanto perché le parole d'ordine ormai le detta lui; vince anche perché, di fronte a contendenti costretti a scimmiottarlo, finisce per sembrare quasi il più lucido.
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"Caccia l'eurobond o sbatto la porta!"

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Se la scelta di Grillo di nominare uno schizofrenico incompetente come uomo dell'anno 2013 vi ha lasciato un po' perplessi, forse il nuovo "Programma per l'Europa" del MoVimento 5 Stelle può aiutarvi a capire perché la schizofrenia potrebbe essere la chiave di lettura di molte scelte grilline. Ora gesticolerò i sette punti come se dovessi spiegarli a una signora tedesca di mezza età un po' perplessa, che per comodità chiamerò "Merkel".

1. Forse non vogliamo stare in Europa, può darsi che metteremo in crisi l'intera zona euro con un referendum. Il referendum a norma di legge non si potrebbe fare, ma discuterne può essere utile a creare un po' di panico e farci vincere le elezioni.

2. Forse vogliamo stare in Europa, però basta con l'austerità. Capito Merkel? Basta!!!!!1111

3. Invece vogliamo l'Eurobond, capito Merkel???^^^?? Facciamo un mucchio solo col debito pubblico italiano e quello tedesco. Cioè voi dovrete garantire anche per il nostro debito, ahahaha! Però basta austerità, finito. Così è l'Europa che ci piace. Noi spendiamo e voi garantite. Vedrete che se lo compreranno tutti un Eurobond così. Me lo comprerei anch'io... se non esco dall'euro prima.

4. Infatti forse l'Europa non ci piace lo stesso, dopotutto, e ci metteremo d'accordo con gli altri Pigs per farci la nostra unione mediterranea, e magari anche il Medibond. Così invece di fare un solo mucchio col debito tedesco lo faremo con, uhm, quello spagnolo, greco...

5. Abbiamo cambiato idea! Vogliamo stare in Europa! Però Frau Merkel devi abolire altri vincoli, devi farci spendere, Merkel, altrimenti noi ci arrabbiamo e poi diventiamo pericolosi.

6. Diventiamo molto pericolosi! Rimettiamo le dogane! Vogliamo stare in Europa però ognuno a casa sua!

7. Ah, un'altra cosa Frau Merkel. Vogliamo stare in Europa, ma senza pareggio di bilancio, ok? E il sabato devi venirci a lavare la macchina. No, niente biowashball, detersivi veri. Sennò ce ne andiamo via con gli altri Paesi mediterranei, sta' molto attenta Merkel.
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Non ti do del coglione; ti propongo un referendum

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Beppe Grillo non vuole uscire dall'euro. Perlomeno, se volesse uscirne lo dichiarerebbe pubblicamente - non gli sono mancate le occasioni - e non l'ha mai fatto. Però Beppe Grillo vuole vincere le prossime elezioni; per vincere gli servono anche i voti degli euroscettici; e quindi ha approfittato di questo terzo v-day per ricordarci che vuole il referendum sull'euro. Purtroppo si tratta di una boiata pazzesca, che offende chi la propone (per finta) e chi finge di crederci o ci crede davvero. Vediamo il perché.

Non è tanto la cattiva fede di chi propone qualcosa di palesemente incostituzionale: per fare un referendum sull'Euro bisogna prima modificare la Costituzione, e Grillo lo sa benissimo (non è più un novellino). Ma andiamo oltre, come dice lui. Capita a tutti in campagna elettorale di promettere la luna, lui promette un referendum sulla luna, è già più fattibile, no? In realtà no; se uscire dall'euro non è necessariamente una cattiva idea, farci un referendum è l'idea peggiore che possa venire in mente a un politico, anche populista.

Proviamo a immaginarci la situazione: in Italia, da domani, si passa alle lire. In attesa del meraviglioso impulso all'economia, le fughe dei grossi capitali le diamo per scontate: ma guardiamo i nostri poveri stipendi, che da domani in poi saranno pagati in lire. In giro però ci sono ancora molti euro, che all'estero continueranno ad avere corso. Ci si aspetta che queste lire perdano abbastanza velocemente valore rispetto all'euro; ci si aspetta anche che certe spese (benzina, riscaldamento...) comincino a salire vertiginosamente. Calato in una situazione del genere, credo che anche l'elettore del M5S reagirebbe come reagirei io: ci precipiteremmo al primo sportello bancario e cercheremmo di farci dare più euro possibile, da ficcare nei nostri materassi o da qualche altra parte. Probabilmente qualcuno sarà stato più lesto di noi e ci avrà lasciato le briciole: tanto peggio. Nei prossimi mesi il mio salario perderà potere d'acquisto, ma gli euro che sarò riuscito a procacciarmi prima dell'esaurimento dei bancomat varranno sempre di più: saranno un bene rifugio. Anche se ufficialmente verranno vietati, è facile immaginare che i bottegai li apprezzeranno: come apprezzano i dollari i negozianti di tutto il terzo mondo. Io stesso cercherò di farmi pagare qualche lavoretto in euro, tengo famiglia. (Continua sull'Unita.it, H1t#207)

 Parte dei miei risparmi in valuta forte, del resto, li dovrò spendere per rendere la mia casa più sicura, con inferriate e magari munendomi di qualche arma da fuoco a scopo dissuasivo, visto l’importanza strategica che avrà da qui in poi il mio materasso. Insomma se vogliamo immaginarci un’Italia post-euro, dobbiamo guardare a certi turbolenti Paesi eternamente in via di sviluppo, ai margini del benessere. Forse è il nostro destino in ogni caso, ma perché accelerarlo?
Uscire dall’euro, ammesso sia possibile, è tecnicamente molto complicato. Gli economisti ne discutono; addirittura l’anno scorso è stato l’argomento del prestigioso premio Wolfson. I candidati al premio dovevano trovare il modo migliore di gestire la transizione economica di uno o più membri dell’Unione dall’euro a una valuta nazionale. Lo studio che si aggiudicò il premio di 250.000 sterline prevedeva che la decisione fosse presa a porte chiuse dai funzionari del Paese uscente: gli altri Paesi, e le organizzazioni monetarie internazionali, dovrebbero essere informati con tre soli giorni d’anticipo. A quel punto non ho capito bene come si potrebbe tenere mantenere l’informazione riservata anche solo per altre 24 ore; in ogni caso si dovrebbe arrivare a un annuncio ufficiale al venerdì, onde evitare l’assalto agli sportelli che creerebbe ovviamente il panico.  Questa a quanto pare è la proposta più realistica di “transizione” dall’euro che un economista si è azzardato a proporre: si basa sulla segretezza assoluta e sulla necessità di tenere chiuse le banche per due o più giorni. Grillo invece propone il referendum. Non è neanche sicuro che l’euro sia così male, però vuole che ne discutiamo per mesi: che litighiamo, che ci spaventiamo, che ci incazziamo, e che in mezzo a tutto questo magari cominciamo a tirar fuori dalle banche i nostri euro, e a nasconderli da qualche parte nel caso in cui il referendum si facesse davvero. Il referendum poi non si farà mai – bisogna modificare la Costituzione, hai voglia! Servono due terzi del parlamento, certo Beppe, hai un buon venti per cento, se lo triplichi ci sei quasi. Però nel frattempo è importante che ne discutiamo, che ci incazziamo, che ci spaventiamo. Così ci sentiamo vivi, come si deve sentire lui quando ne spara una di quelle grosse. http://leonardo.blogspot.com
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Il volenteroso Grillo della Merkel

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A giudicare dalla frequenza con cui appare nei terribili fotomontaggi del blog, si direbbe che Beppe Grillo ha individuato un nuovo nemico: la cancelliera Angela Merkel. Al di là della fisiologica necessità di additare al pubblico sempre nuovi membri di un complotto mondiale che impedisce ai poveri italiani di svalutare e riempirsi le tasche di provvidenziale carta straccia, Grillo e Casaleggio forse vogliono mostrare di aver capito qualcosa che fino a qualche mese non gli era chiaro: gli interessi della Germania non coincidono esattamente coi nostri. La politica del rigore è un buon affare per Berlino, uno pessimo per noi. Perché, non è sempre stato ovvio?

Forse no. Basti ricordare quello che Grillo combinò in aprile. In una delle sue abituali interviste alla stampa estera, nella quale spesso affronta argomenti che persino sul suo blog maneggia con più cautela, invocò sulle pagine del Bild Zeitung una specie di invasione tedesca. Era solo una provocazione, naturalmente. Però forse lo stesso Grillo non aveva capito cosa stava facendo. Il fatto che i giornalisti stranieri siano meno portati a deformare i suoi messaggi - per professionalità o per lontananza dall'oggetto - non significa che siano semplici veicoli neutri, e decisamente il Bild Zeitung non lo è (continua sull'Unita.it, H1t#190)

È un organo ufficioso di quella maggioranza silenziosa che guarda all’Italia e agli altri PIGS come a parenti poveri da disconoscere al più presto, e che alle prossime elezioni federali di settembre probabilmente voterà per la rigorista Merkel o per qualcosa di ancora meno europeista. Annunciare a un pubblico di questo tipo che l’Italia a settembre sarà fallita, come fece Grillo, significa dare una grossa mano alla campagna elettorale della cancelliera. Poi, certo, la si può irridere con un disegnino sul blog. Resta il fatto che, quando si è trattato di parlare all’elettorato della Merkel, l’italiano Grillo abbia scelto di dire più o meno: lasciateci perdere, noi italiani siamo inaffidabili, meriteremmo di essere invasi e comunque falliremo presto. Magari non se n’è accorto subito – Grillo non si accorge sempre subito di tutto quello che combina.
D’altro canto la sua prospettiva era chiara sin d’allora, e Casaleggio nella sua ultima intervista l’ha ribadita: l’Italia fallirà a settembre, ci saranno moti di piazza, locuste, cavallette, eccetera. Chi vende apocalissi un tanto al chilo perché non dovrebbe desiderare che la Merkel vinca le elezioni? Se invece le perdesse, se il fronte europeo del rigore cominciasse a sgretolarsi, la provvidenziale uscita dall’euro si allontanerebbe, e decisamente Grillo e Casaleggio non vogliono questo. Vogliono cantare sul caos, hanno già le cetre accordate, alla fine non c’è da stupirsi se tra una profezia di sventura e l’altra gli capita di fare un po’ di campagna elettorale pro Merkel, pro rigore, contro l’Italia. http://leonardo.blogspot.com
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Il profeta del default

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"L'Italia è già fallita. Fra un anno non avremo i soldi per pagare le pensioni e gli stipendi dei dipendenti pubblici. C'è poco da salvare". Quella di Grillo a "Focus" è la tipica profezia che si auto-avvera: l'Italia non è già fallita, ma ci è andata vicino nell'autunno del 2011, quando Berlusconi rassegnò le dimissioni; e potrebbe ritrovarsi nella stessa situazione tra poche settimane, se i mercati cominciassero a scommettere sull'ingovernabilità. Per evitare di bruciare tutti i sacrifici fatti in quest'anno e mezzo servirebbe appunto la collaborazione di Grillo, e ancor di più degli eletti del MoVimento. Degli eletti non sappiamo ancora niente: si sono appena presentati, hanno già commessa qualche fisiologica gaffe, ma è un po' presto per farsi un'idea. Nel frattempo il Megafono un'idea chiara ce l'ha: l'Italia è già in bancarotta o, come si dice oggi per non spaventarci troppo, default. Forse Grillo non tifa per il default, ma comunque lo ritiene inevitabile e, nei fatti, fa quel che può per procurarcelo.

La vera ragione per cui un accordo parlamentare tra M5S e PD appare molto più difficile di quanto tanti elettori hanno da subito auspicato è tutta qui. Il default che per il PD è la catastrofe da evitare a tutti i costi (compreso quell'anno e mezzo di sostegno al governo Monti che il PD ha scontato con il flop elettorale) per Grillo è un mero incidente di percorso, se non una tappa prevista verso la realizzazione di quel programma che a occhio ci sembrava così utopico. In effetti, basta rinunciare a uno dei postulati così strenuamente difesi dal partito di Bersani (non c'è Italia fuori dall'Euro) e persino le trovate più utopiche a cinque stelle diventano realizzabili: e abbiamo finalmente le risposte alle domande che ci siamo fatti per tutta la campagna elettorale. Dove troverete i soldi per i redditi di cittadinanza? e per il wifi gratis? Non basta ridurre o cancellare rimborsi ai partiti e sovvenzioni ai quotidiani; quindi non resta che stampare altro denaro. Ma per farlo bisogna uscire dall'euro; per uscire dall'euro però occorre che la crisi si aggravi ulteriormente, e l'Italia vada in default. Dopodiché si può fare qualsiasi cosa, decrescere più o meno felicemente e rilanciare l'economia distribuendo ai disoccupati redditi di carta straccia: il Default del predicatore Grillo è l'Armageddon, l'ultima battaglia da combattere, affinché Babilonia-Eurolandia cada.

Il rifiuto di qualsiasi ipotesi di sostegno a un governo non è l'irrigidimento di un capo-popolo capriccioso, ma una strategia coerente e perseguita alla luce del sole (continua sull'Unita, H1t#169):al di là dei superficiali punti di contatto che i Bersani e i suoi si stanno ingegnando a trovare, PD e M5S non possono collaborare perché hanno progetti radicalmente diversi. Il PD, e i partiti di centrosinistra che lo hanno preceduto, hanno fatto di tutto per portarci nell’Euro e per non farci più uscire: Grillo non crede nell’euro, lo ha scritto almeno una volta. In seguito si è nascosto dietro il referendum, ma tra le ragioni dello straordinario successo elettorale del M5S c’è anche l’euroscetticismo: qualcosa che a parte qualche sparata occasionale di Berlusconi e i folkloristici mugugni di leghisti e postfascisti, in Italia non si era mai visto.

Se oggi l’euroscetticismo rischia di diventare maggioritario, la responsabilità non è tutta di Beppe Grillo. Bersani e il suo partito non sono riusciti a spiegare agli italiani per cosa stavano lottando, cosa c’era in ballo: l’appoggio all’esecutivo di emergenza guidato da Monti è stato visto come un tradimento e una rinuncia a “vincere subito”. Una sua parte di responsabilità ce l’ha anche l’Europa, e in particolare la Germania di Angela Merkel, la cui intransigenza sul fronte del rigore ha ottenuto il risultato di alienare le simpatie di uno dei popoli da sempre più entusiasti del progetto di unificazione europea. Più che di attribuire le varie percentuali di responsabilità, però, ora si tratta di capire chi pagherà per tutti: probabilmente il popolo italiano, che dal default e dall’eventuale crisi dell’euro ha moltissimo da perdere e ben poco da guadagnare. Di questo si rendono conto anche alcuni sostenitori di Grillo, tra cui l’economista Mauro Gallegati, che ha contribuito a scrivere il programma pentastellato e adesso avverte: il default sarebbe un disastro, l’uscita dall’euro “un’ipotesi disgraziata”, “la decrescita in sé è insostenibile, altro che felice”. Però Gallegati ha già ricevuto una mezza scomunica via beppegrillo.it: Leggo e ascolto con stupore presunti “esperti” discutere di economia, di finanza o di lavoro a nome del M5S. Queste persone sono ovviamente libere di farlo, ma solo a titolo personale. Solo il megafono ha il diritto di parlare per tutti, questo ormai si è capito. Vedremo cosa faranno i parlamentari, quando avranno finito di presentarsi: la speranza è che abbiano chiara l’entità del rischio che tutti gli italiani stanno correndo.
C’è anche un’altra speranza (in un momento come questo conviene alimentarne più d’una): proprio il successo dell’euroscettico Grillo potrebbe paradossalmente essere determinante nel condurre i vertici europei verso più miti consigli, a un allentamento del rigore: è quanto scommette per esempio il presidente di Goldman Sachs, e forse un calcolo simile è quello che porta alcuni imprenditori italiani ad appoggiare il Movimento (quelli che non sono semplicemente saliti sul carro del momento). Se andasse a finire così, toccherebbe poi riconoscere che Grillo ha salvato l’Italia e l’euro. E pazienza, abbiamo tutti i padri della patria che ci meritiamo. http://leonardo.blogspot.com.


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Usciamo dal metro, dal chilo, da TUTTTOOO!!!

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Nel Paese dei Cazzetti

Io, a differenza di tanti che parlano parlano, io ci sono stato nel Paese dei Cazzetti, e devo dire che è molto meglio di come lo dipingono. La gente perlopiù è gentile, i semafori godono di un certo rispetto; inoltre non ci si spara per strada, in generale, se si dispone di un luogo appartato.

Certo, il primo impatto può essere uno choc, perché i Cazzetti pur assomigliandoci divergono tra noi per tanti piccoli bizzarri particolari, ad esempio le unità di misura. Me ne accorsi il primo giorno, appena entrai in un ascensore col mio accompagnatore. Era un ascensore un po' angusto, così mi capitò di far caso alla targhetta con le specifiche tecniche, di solito non la leggo mai.

"Ehi, ma qui c'è scritto che regge solo..."
"Ottanta chili, sì".
"O mio Dio adesso si pianta".
"Ma no, ma cosa dice".
"Siamo in due, ne faremo come minimo centoventi. Ho anche il bagaglio a mano..."
"Stia calmo. Lei più di trenta chili non pesa..."
"Eh?"
"Io ne faccio quaranta, e il suo bagaglio è leggerissimo. E comunque sono sempre sottostimati questi ascensori, non si preoccupi".
"No, senta, io la ringrazio, ma come può pensare che io pesi trenta chili, mi ha visto?"
"Ah, ma dimenticavo. Lei ragiona in chili internazionali. Questi non sono chili internazionali".
"Come, no?"
"No, sono chili cazzetti".
"Ovvero?"
"Ovvero non saprei... mi sembra che un chilo cazzetto valga due chili internazionali virgola qualcosa".
"Virgola qualcosa?"
"Eh sì, dipende un po' dall'andamento generale".
"Quindi non avete il sistema metrico decimale?"
"Lo avevamo, ma poi abbiamo avuto dei problemi... vede? Siamo arrivati. La sua stanza è in fondo al corridoio. La accompagno?"
"Se non le dispiace. Ma che genere di problemi?"
"Ecco, non so se se n'è accorto, ma noi Cazzetti tendiamo a essere un po' corpulenti".
"Eh, sì".
"Questa cosa nel medio-lungo termine rischiava di avvilirci, di deprimerci, e così il nostro governo ha deciso di varare una manovra per farci sentire più leggeri, insomma è uscita dal sistema metrico internazionale".
"E avete rivalutato il chilo".
"All'inizio era solo di un decimo, però si è visto che la gente tendeva a mangiare di più, e si è pensato che serviva una manovra più drastica, insomma... adesso siamo a due e qualcosa. Le piace la stanza?"
"Molto spaziosa".
"Ah sì, è la più larga del piano, sono cento metri quadri".
"No, mi scusi, questo è impossibile".
"Come no? C'è anche qui nella targhetta sulla porta, vede?"
"Guardi a me va benissimo così, come vede ho solo un bagaglio a mano, però non sono cento metri quadrati. Sarebbe un appartamento. Questa è una bella camera, tutto qui".
"Ah già, giusto, lei pensa ai suoi metri quadrati".
"Perché, non mi dirà mica che..."
"Eh sì, i nostri valgono un po' di meno".
"E come mai? Qual era il problema?"
"Eh, è un po' imbarazzante".
"Vi sentivate stretti? Bassi di statura? Suvvia, a me può dirlo".
"Lei non ignorerà l'etimologia del termine Cazzetti".
"Ahem, aspetti, ricordo che me ne parlò una volta il mio professore di filologia arcaica, era qualcosa che aveva a che fare con l'apparato riproduttivo, mi pare".
"Piselli piccoli. Cazzetti significa Piselli piccoli".
"Ah già, giusto! Dall'italico cazzo, di etimo incerto!"
"Ecco".
"Ma sarà senz'altro un nomignolo che vi è stato appioppato da qualche nemico invidioso della vostra prestanza".
"Sì, la teoria ufficiale è quella. Però c'è un'altra ipotesi che gode di un certo credito presso l'opinione pubblica".
"Ovvero?"
"Forse ce l'abbiamo veramente piccolo".
"E quindi avete pensato che..."
"Il governo ha pensato che accorciare i righelli avrebbe fatto bene alla nostra autostima".
"E così avete svalutato i centimetri?"
"Sì, di parecchio".
"Non è che la cosa abbia molto senso, eh".
"Non mi dica che non le sarebbe piaciuto, quand'era giovane, poter vantare una trentina di centimetri con gli amici".
"Mah, boh, può darsi, però... senta, quanto le devo?"
"Niente, per carità".
"Come niente, una mancia la prenderà. Non mi dica che i cazzetti si offendono, se gli si offre una mancia".
"Beh, se insiste..."
"Dieci euro?"
"Non sono nella posizione per dire di no. Con questa maledetta crisi..."
"È dura come dicono?"
"Durissima, si immagini che è crollato tutto il settore immobiliare, ormai un metro quadro non vale più nulla. La gente non compra più, siamo tutti terrorizzati. Con quest'euro maledetto..."
"Ma non avete mai pensato di svalutarlo?"
"Eh?"
"Sì, voglio dire, non avete mai pensato di uscire dall'euro e stampare una moneta diversa, abbassandone progressivamente il valore in euro? Non potrebbe essere un sistema per stimolare i consumi, rilanciare l'economia? Sto pensando ad alta voce, però..."
"Scusi, ma lei per chi ci ha preso?"
"In che senso?"
"Cioè, è vero, siamo i Cazzetti, non siamo famosi per la nostra intelligenza media. Siamo dei maledetti obesi e probabilmente abbiamo il pisello così piccolo che abbiamo dovuto rimpicciolire i centimetri per misurarlo; però questo non vuol mica dire che siamo del tutto coglioni, sa?"
"Mi scusi".
"Si figuri".

Io a differenza di tanti che parlano parlano, io ci sono stato nel Paese dei Cazzetti, e devo dire che è più complicato di quel che sembra. Ma la cucina è buona. E il metro quadro, confermo, costa un cazzo. Purtroppo non te lo accettano, vogliono gli euro.
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Silvio il cattivo condòmino

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Pensare che, con un po' di lucidità, a quest'ora aveva già vinto la partita.
Certo, avrebbe dovuto muoversi per tempo, quando tempo ancora ce n'era. Una volta passata la palla a Monti, un anno fa, avrebbe potuto farsi una vacanza come si deve, e poi presentarsi pulito e profumato a Bruxelles, a Francoforte, e dire: signori, scopriamo le carte. Con Monti si arriva al 2013; poi ci sono le elezioni e le vincerà la sinistra. Bersani, o Renzi, magari Casini, comunque anche Vendola. Per tacere di Grillo. Lo sapete anche voi che andrà così. Se non vi fidate dei miei sondaggi rifateli voi; andrà così. E quindi?

E quindi niente. Volete Monti anche nel 2013? Ci tenete molto, a questa cosa di Monti nel 2013? Il PD non ve lo può dare. Io sì, ma dovete darmi una mano. Io forse non posso vincere le elezioni nel 2013 - ma chi lo sa, se m'impegno sono perfino capace - ma sicuramente posso evitare che le vinca chiunque altro. Posso fare melina sulla legge elettorale per un anno e mezzo, credete che non ne sia capace? Chiedete in giro, la politica in Italia è una cosa incredibile, posso farli discutere per un anno e mezzo e poi mandare tutto a gambe all'aria in una mezz'ora, è un numero che ho già fatto. In ogni caso un venti per cento lo valgo anche da solo, posso licenziare tutti i miei colonnelli e fare il venti per cento lo stesso, perché sono Silvio Berlusconi. Volete Monti nel 2013? Bersani non ve lo può dare, e nemmeno Renzi. Ve lo posso dare io. Però.

Però sono Silvio Berlusconi. Posso senz'altro salvare l'Italia - e l'Europa, e il mondo - ma è escluso che io lo faccia gratis. Parliamone, sediamoci a un tavolo. Io ho alcune pendenze da sistemare. Per esempio, certe cose, in Italia, devono restare depenalizzate. Ciò è di primaria importanza per me, e quindi lo è anche per voi. Sono sicuro che capirete. La persecuzione giudiziaria nei miei confronti, ecc. ecc., deve cessare. In cambio io posso spostare le posizioni dell'elettore medio di centrodestra finché non combacino più o meno con quelle dell'agenda Monti. Può sembrare all'inizio un'impresa disperata, visto che l'agenda Monti significa per lui perlopiù tasse tasse tasse. Ma si tratta alla fine di martellare in tv e sui giornali che c'è un pericolo rosso e bisogna fare di tutto per sottrarsi al pericolo rosso. Nel frattempo minimizzare la crisi, mostrare in tv che i ristoranti sono pieni ecc. Ha sempre funzionato e funzionerà anche stavolta, e in ogni caso non avete scelta, se volete Monti nel 2013 lo potete chiedere solo a me.

Casini? Ma andiamo. Casini non esiste. Se non lo prendo con me, non supera lo sbarramento. Montezemolo? È ammirabile che a Bruxelles sappiate come si pronuncia Montezemolo. No, non esisterà nessun Montezemolo, mi spiace. Se non credete ai miei sondaggi (comprensibile) fatene pure voi. L'unico centrodestra plausibile nel 2013 sono ancora io, e se volete davvero Monti dovete chiedermelo adesso. Ma dovete chiedermelo per favore. Ah, sì, mi toccherà scaricare la Lega. Ma al venti ci arrivo comunque. Poi al massimo dopo le elezioni rifaccio la grosse koalition con Bersani. Ma anche lui dovrà chiedermela con molta cortesia...

Ecco. Se fosse stato lucido, a quest'ora forse non si troverebbe nel casino in cui si trova. Ma non avrebbe mai potuto essere lucido così, né un anno fa né adesso. E non è (soltanto) un problema d'età, o di bungabunga. È che proprio questa idea di andare a Bruxelles a mercanteggiare, anche da una posizione di forza che un anno fa poteva avere e adesso no, non è da lui. Si trattava comunque di ammettere che esistano poteri forti almeno teoricamente più forti di lui, e questo è più forte da mandar giù dell'andropausa. Lui non tratta, lui decide. E questo, alla fine della fiera, gli impedisce anche solo di sembrare europeista. L'europeismo è una cessione di sovranità; possiamo vederla come un'ammissione di responsabilità: il mondo è sempre più piccolo e non possiamo permetterci di andare in malora senza che i tedeschi o i francesi si preoccupino per noi (più difficile capire cosa c'entrino i finlandesi e gli estoni, ma il principio è quello). In ogni caso bisogna entrare nell'ordine di idee per cui si abita in un condominio, e neanche ai piani più alti. Per la maggior parte di noi la cosa non pone nessuna difficoltà, abitiamo già in condomini e li preferiamo senz'altro a certi tuguri subtropicali che non sono poi così lontani in linea d'aria - per Silvio Berlusconi è assolutamente impossibile concepire l'idea: è uno a cui stava stretto Palazzo Chigi. Non avrebbe mai avuto la lucidità necessaria per affrontare una riunione di condominio nel modo descritto sopra. Lo sappiamo tutti.

E lo sapevano tutti anche nel PPE. Dove però se lo sono tenuti buono buono per più di dieci anni. E lo conoscevano, non è che a Bruxelles o a Strasburgo si sia mai finto diverso da quello che è: tutto il contrario. Conoscevano l'animale, e l'hanno vezzeggiato fin quasi alla fine. Se l'Europa fosse una cosa seria, una parte di responsabilità andrebbe addossata anche a loro. Invece pagheremo solo noi, compresi quelli che non l'hanno votato mai, non l'hanno voluto mai, e hanno ripetuto per vent'anni che era pericoloso.
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La colpa di Renzi

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Schuld have been right.

Volendo io scrivere il pezzo antirenziano della settimana, pescando tra i cento mille spunti che il buon Renzi lascia dietro di sé, potrei far presente che a Radio KissKiss ha appena detto che vedrebbe bene un nuovo inno del PD scritto dai Muse. Ma è così facile che forse è una trappola, per cui ritorno a un reportage dal camper della scorsa settimana dove, dissimulato in mezzo a due o tre marche di merendine che Renzi sgranocchia un po' per fame un po' perché fa giovane (pringles-tarallucci-tuc, e magari fosse product placement, magari), compare una parola tedesca che, come molte parole tedesche, mi causa brividi in certe zone precise della schiena: Schuld.
Un fallimento che nasce a mio avviso per due ragioni. La prima è che se la Seconda Repubblica è finita così è perché c'è stata una certa sinistra che in tutti questi anni non ha saputo combattere con le giuste armi Silvio Berlusconi: e se l'Italia che vediamo oggi si ritrova in queste condizioni la colpa va divisa in parti uguali tra chi ha governato e chi non è riuscito a creare le alternative al cattivo governo. La seconda ragione riguarda invece un fallimento elementare. La generazione di cui fa parte l'attuale classe dirigente del Pd è infatti la generazione che ci ha portato ad avere il debito pubblico che ci ritroviamo oggi. E in questo senso, per me, la parola 'debito' va intesa come la intendono i tedeschi, come un'unica parola - schuld - che significa contemporaneamente debito e colpa. Ecco. Per me è una colpa di tutta la classe dirigente di centrodestra e di centrosinistra quella di aver costretto il paese a spendere ogni anno per gli interessi del debito pubblico più soldi di quanti se ne spendono per la scuola e per il welfare, e insomma più di quanti se ne spendono per dare un futuro ai nostri figli e ai nostri nonni. Per questo noi ci presentiamo alle primarie senza dover portare alcuna giustificazione e senza aver bisogno di spiegare, come invece devono fare i miei avversari, perché il paese che qualcuno da vent'anni promette di rimettere a posto è da vent'anni che non viene mai rimesso a posto. E non ditemi che la colpa è solo di Berlusconi, suvvia, perché se non ricordo male negli ultimi vent'anni al potere in Italia c'è stato anche qualcun altro. O mi sbaglio?"
Non sbaglia: negli ultimi vent'anni, al governo, c'è stato Amato ('93: manovra da 92.000 miliardi), Dini ('95, con maggioranza bipartisan), Prodi ('96-97), D'Alema, ('98-99) di nuovo Amato ('00), di nuovo Prodi ('06-07 con una maggioranza risicatissima). È abbastanza semplice, ancorché un po' brigoso, mostrare come tutti questi governi - in particolare quelli di Prodi e Amato - cercarono di risanare la situazione, ottenendo anche discreti risultati, pur dovendo nel frattempo contrastare il fuoco di fila mediatico di un signore che possedeva metà dell'etere televisivo e chiamava i suoi fedeli a insorgere contro l'oppressione fiscale. Comunque, anche se questi signori qualcosa riuscirono a fare, per Renzi non sconfissero Berlusconi (ed è vero), quindi "la colpa va divisa in parti uguali". Dice proprio "colpa", e lo ripete più volte. Non dice "responsabilità", o "conseguenza degli errori". Sceglie di usare la parola "colpa", che in tedesco si può tradurre Schuld, che vuol dire anche "debito".

(A me resta poi la curiosità di capire quali siano le "giuste armi" che la sinistra doveva e non ha usato contro Berlusconi: mi viene subito da pensare a una bella legge sul conflitto di interessi, argomento che non mi sembra appassioni Renzi. Non ho neanche capito in che modo pensa di sconfiggerlo adesso, visto che Berlusconi è ancora qui che inquina il dibattito politico, con o senza effetti sullo spread, un'emergenza democratica ambulante: sul serio, qualche idea? Batterlo in piacioneria? Ad es., si potrebbe andare in una radio giovane e attizzare i giovani con nomi di gruppi giovani. Qualcuno nello staff ha ascoltato una radio giovane negli ultimi dieci anni? No, accidenti, ci hanno tutti l'ipod e non hanno idea, i Muse hanno appena compiuto vent'anni di attività).

La parola colpa mi ha fatto tornare in mente quel che Monti diceva a Obama a proposito dei tedeschi: non dei loro rappresentanti politici, ma della loro opinione pubblica, che secondo Monti considera ancora l'economia «come un ramo della filosofia morale». Monti è un uomo d'altri tempi, lo si capisce anche da citazioni così. Se lo dovessi tradurre in duemilaedodiciese, direi che i tedeschi sono ancora prigionieri di una narrazione in cui i buoni risultati economici sono la ricompensa per essersi comportati bene in passato: in sostanza la favoletta della Formica e la cicala, peraltro nemmeno nella versione di Rodari dove alla fine la cicala viene ammessa nel consesso cooperativo delle formiche e integrata nel soviet dei musicisti e degli operatori dello spettacolo; no, proprio nella favola originale in cui la cicala muore di freddo, così impara. I tedeschi, gli europei del nord in generale, in una favola del genere si trovano confortevoli; i loro leader non hanno alcun interesse a far presente i notevoli benefici che i loro formicai hanno tratto dall'euro, e i rischi oggettivi che ora corrono le loro banche se le cicale vanno in bancarotta. Da un punto di vista elettorale continua a pagare di più questo luteranismo un po' cialtrone per cui i PIGS non stanno che espiando i loro peccati. Le loro colpe. I loro debiti. Schulden. 

È una mentalità che in alta Italia conosciamo bene: invece di porsi concretamente il problema di avviare un qualche tipo di economia funzionante al sud, da un certo punto in poi il nostro ceto dirigente-imprenditoriale ha deciso che il sud doveva espiare i suoi peccati. Per accettare una narrazione del genere bisognava tapparsi occhi e orecchie (si vendevano foulard verdi all'uopo); fingere che il meridione non avesse dato al nord mercati e forza lavoro; era una prospettiva illusoria e condannata al fallimento, ma intanto faceva vincere le elezioni, e quindi ok. Il leghismo in questo momento ha qualche difficoltà, ma intanto l'Europa sta soffrendo dello stesso male. Una mentalità retriva, nel senso originale della parola: di fronte a un problema che si presenta adesso, qui, invece di ragionare sugli sviluppi futuri, ci si ferma a guardare indietro, agli errori dei padri e dei padri dei padri. Dobbiamo espiare.

Renzi, per essere onesti, non dice questo. In un certo senso dice il contrario: voi dovete espiare, noi no perché non c'eravamo (equidem natus non eram, dice l'agnellino nell'altra favola). Eravamo giovani, ascoltavamo i... i Muse. Però lo schema di colpa ed espiazione è lo stesso: Renzi non esce della narrazione. Tante volte si è accreditato come blairiano (una volta o l'altra bisognerebbe anche capire perché proprio Blair, ben più muffo dei Muse a saperlo annusare), ma qui si mostra piuttosto merkeliano. Non si tratta di impostare un paradigma nuovo, ma di accettare che i Debiti sono Colpe, purché sia chiaro che le Colpe non devono ricadere sui Figli. La scommessa insomma è quella di offrire qualche vecchio politico sconfitto come vittima sacrificale. Naturalmente non è così che vanno le cose, ma Renzi probabilmente lo sa. Però sa anche che si possono vincere elezioni, a volte, raccontando favole così.
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Europa sì Europa no

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Tra le elezioni greche di primavera e quelle di domenica dev'essere successo qualcosa che da qui non si è capito molto bene. Forse nessun osservatore sul campo è riuscito a raccontarcelo come si deve (ed è un vero peccato); o forse eravamo distratti da europei di calcio o terremoti. Fatto sta che la maggioranza di un popolo, che qualche mese fa sembrava ormai orientato a lasciare l'euro, ieri ha deciso che tutto sommato preferisce tenersi la valuta europea. I greci sono tuttora insofferenti nei confronti della politica economica UE, come testimonia il buon risultato di Syriza; però anche la confederazione di sinistra aveva già garantito prima delle elezioni che l'euro era fuori discussione. Che cosa può essere successo in tre mesi, per convincere cittadini di diversi orientamenti politici che tutto sommato l'euro è meglio della dracma? Ho una teoria: si sono fatti due conti in tasca. Meglio tardi che mai: chi siamo noi per giudicare, dopotutto.

Come insegnante mi è capitato più volte di sperimentare uno dei più noti misteri della didattica: qualsiasi problema aritmetico diventa immediatamente più comprensibile se come unità di misura usiamo il denaro. Non c'è nessun motivo logico per cui un bambino debba sommare due euro più volentieri di due mele o due chilometri, eppure è così: la valuta ci rende subito più partecipi al problema, più interessati a risolverlo. Forse è successo qualcosa del genere anche ai greci: a un certo punto un problema economico complesso, con tanti fattori difficili da maneggiare (inflazione, svalutazione, speculazione) si è trasformato in un problema pratico: non si parlava più di soldi come entità estratta; gli euro da convertire in dracme erano quelli che i greci avevano in tasca, e il sogno di una nuova autonomia monetaria si è infranto lì. "Uscire dall'euro" è una frase eroica, che riempie la bocca e incute un certo rispetto; "dimezzare nel giro di pochi giorni i propri risparmi" suona molto più prosaico, e non attira certo gli elettori (continua sull'Unità, H1t#132).

Qualcosa del genere sta succedendo anche in Italia, dove la proposta di uscire dall’euro è sempre buttata lì a mezza voce, più un brontolio che una minaccia. Grillo qualche settimana fa sembrava abbastanza sicuro – ci fece un sondaggio on line e ne parlò anche in un’intervista all’agenzia Bloomberg – ma poi non ci tornò più sopra, il che per la verità è abbastanza tipico delle sue esternazioni via blog: slogan e parole d’ordine possono nascere ed essere accantonate senza più un commento a seconda della situazione. Anche Berlusconi, volendo dirne una delle sue, si limitò a dire che potevamo tenerci gli euro, ma dovevamo cominciare a stamparceli noi – un nonsense come un altro: una volta eravamo abituati a sviscerarli fino alla noia, adesso ci lasciano un po’ smarriti. Insomma il fantasma della sovranità monetaria è buono da agitare per qualche mezz’ora e non di più, giusto il tempo per attirare l’attenzione e cambiare argomento: meglio così, perché la sensazione fino a qualche settimana fa non era affatto buona.
La prospettiva che l’Italia possa uscire dall’euro è preoccupante, ma dovrebbe preoccuparci anche il solo fatto che se ne stia discutendo; che Grillo ottenga il 20% dei sondaggi dopo aver buttato lì che si potrebbe svalutare la lira del 50 per cento. Lo si può accusare di populismo, ma un popolo che acclama chi gli propone di bruciare il 50% dei propri risparmi ha un problema molto più grosso. Non sta cercando un demagogo che gli lisci il pelo, sembra piuttosto a caccia di un Savonarola che imponga austerità e miseria in attesa della fine del mondo. Senz’altro ci manca la cultura economica, e ce ne accorgiamo sempre di più in questa crisi in cui tanti distratti possessori di titoli di Stato si sono ritrovati a chiedere all’Italia di non pagare i suoi debiti senza rendersi conto di essere tra i creditori. Più in profondità, ci manca anche una solida cultura matematica. E in generale il buon senso, o la concentrazione. Forse la troveremo soltanto sotto stress. Ai greci ci sono volute due tornate elettorali. Sapremo fare di meglio? In fondo è semplice: ogni volta che si parla di euro, cerchiamo di pensare a quelli che abbiamo in tasca. L’economia non diventerà di colpo più semplice, ma almeno un po’ più concreta. http://leonardo.blogspot.com
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(Io li amo) i nazisti della Beozia

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"Ma la Grecia a te, ma non ti fa paura?".
"Paura? La Grecia? Al massimo un po' tristezza".
"Scherzi, ma ti rendi conto? I nazisti, hanno votato. Roba da trentatré".
"In effetti guarda, io spero che vincano loro".
"Loro? I nazisti greci?"
"Lo so, è brutto da dire, ma se ci rifletti ha un senso. Partiamo da un presupposto..."
"Mi metto comodo".
"No ma guarda faccio presto. Partiamo da un presupposto: la Grecia è finita. Fottuta. Anzi guarda se vuoi andare a vedere l'Acropoli prima che la smontino, prenota per luglio".
"La smontano".
"Non sarebbe la prima volta, via, a Berlino c'è tutta l'Ara di Pergamo, basta ingrandire un po' e ci sta pure il Partenone".
"C'è un sacco di spazio a Berlino".
"Lo spazio è vitale. Insomma, sono già al default. Controllato. Conoscendo i controllori, diciamo che tra un po' saranno al default e basta. Lasciamo perdere il discorso sulle responsabilità e le colpe e tutto quanto. La Grecia è fottuta: tanto vale usarla come avvertimento".
"Un avvertimento?"
"A chi sgarra da qui in poi. Volete fare la fine della Grecia? Avete visto cos'è successo alla Grecia? Credevate che scherzassimo? Salutateci i greci, eccetera. Ma questo anche se ad Atene ci fosse un bel governo di euro-sinistra, o per dire i comunisti - ci sono ancora i comunisti?"
"Altroché".
"Ecco, allora, visto che qualcuno la Grecia la deve far salire sulla seggiola, e poi dare un calcio, ma perché deve proprio essere uno di sinistra? Abbiamo un capro espiatorio da macellare, cerchiamo di trarne il meglio possibile. Che almeno il boia sia un nazista".
"Così la figura di merda la fanno loro?"
"E poi magari per qualche anno la gente ci pensa, che a votar nazista non si fa un buon affare. Ma pensa anche solo ai grillini".
"Cosa c'entrano i g..."
"Niente. Però pensa. C'è Grillo che dice dai, usciamo dall'Euro, svalutiamo la cara vecchia lira del 50%. Ora, io non ci credo che dica sul serio, a meno che lui e Casaleggio non abbiano già tutto il capitale al sicuro in Isvizzera. Comunque c'è gente che gli crede, no? Mica poca. E a questi sai che gli mostriamo? Un fuehrer greco che introduce la dracma e rade al suolo l'economia, ti rendi conto, in sei mesi sono tutti in Turchia a lavare i parabrezza ai semafori, i volonterosi elettori del fuehrer greco. Allora secondo me a quel punto i grillini, i pentastellati, la storia della svalutazione della lira se la dimenticano - come si sono già dimenticati il signoraggio".
"Insomma, il nazismo greco per te è una cosa educativa".
"Tanto andrà così in ogni caso. Se cola a picco con un capitano socialdemocratico daranno la colpa di nuovo alla socialdemocrazia, non ce n'è veramente bisogno".
"Stai veramente diventando cinico, sai?"
"Trovi? Ma cinico più tipo Antistene o più tipo Diogene?"
"Più tipo un cane rognoso".
"Wof".
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L'Eurovergine

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Ma lo sapete che incredibile giorno è oggi? Ma sì che lo sapete. Oggi sono 440 anni che abbiamo stracciato i Turchi a Lepanto, vi rendete conto? Se avessero vinto loro oggi fumeremmo tantissimo e scriveremmo con l'alfabeto, ehm, latino, e invece della polenta mangeremmo, ehm, kebab. Comunque sia: vi siete mai chiesti come abbiamo fatto a vincere? Chi ha guidato le nostre flotte usualmente così riottose e abituate a prenderle? Chi era il nostro valoroso ammiraglio? Chi ci ha guidati alla vittoria?


Sì, è stata la Madonna, mi spiace, è andata così. E sapete cosa si è presa in cambio? Un aiutino: contate il cerchio di stelle intorno alla testa. Quante sono? Di che colore è lo sfondo? Non vi ricorda niente?
Vabbe', la soluzione è sul Post e si commenta laggiù (c'è già una certa maretta). Attenzione a chi si abbona al feed: mi sono reso conto che taglia gli articoli senza avvisare, per cui sul feed ne leggete soltanto metà. Troveremo senz'altro soluzioni.

7 ottobre - Madonna del Rosario

"Al mio segnale, scatenate il Paradiso!"
Quante Avemarie ci sono in un rosario? Ok, "questa la so": cinquanta. No, non proprio. Certo, nella collanina del rosario ci sono cinquanta chicchi piccoli, e a ogni chicco piccolo corrisponde un'Avemaria. Ma il rosario completo, quello da beghina seria, prevedeva tre giri di collana, per un totale di centocinquanta Ave, quindici Pater e quindici Gloria (ne parlo al passato perché con Wojtyla, sempre abbondante, siamo passati rispettivamente a 200 Ave, 20 Pater, 20 Gloria). E perché proprio 150? Siccome è l'esatto numero di Salmi della Bibbia, l'ipotesi è che il rosario sia nato come rito sostitutivo, per devoti analfabeti che non avrebbero potuto leggere il salterio. E questo ci dice molto sul cattolicesimo, sapete.

Prendiamo un musulmano, un protestante e un cattolico. Il primo ha un libro sacro, ma spesso non sa leggerlo: quindi lo impara a memoria. In arabo. Altrimenti non sarebbe un buon musulmano. Il secondo ha un libro sacro, ma non riesce a impararlo a memoria, in una lingua che oltretutto non parla più da secoli: quindi impara a leggere. Così può essere un buon protestante. E il cattolico? Anche lui ha un libro. Ma studiarlo a memoria è troppa fatica. Imparare a leggere? Non se ne parla. E quindi? E quindi invece di leggere guardi le figure - le chiese ne sono piene - e al posto di ogni salmo che non hai imparato a memoria, reciti la stessa preghierina. Breve. Semplice. Una religione, come dire, accomodante.

Resta da capire perché a ogni salmo si debba sostituire una preghiera proprio alla Madonna. Non è detto che sia stato sempre così. Nel medioevo la collana del rosario era conosciuta come “paternoster”, il che lascia pensare che a ogni chicco corrispondesse piuttosto la recitazione del Padre Nostro, preghiera fissata già nei Vangeli. L'Ave Maria, nella sua versione definitiva, è parecchio più tarda: così come la devozione alla Madonna, personaggio abbastanza in ombra nei primi secoli della Chiesa (ne riparleremo). Di recitazioni di Avemaria in batteria da 50 o 150 si comincia a parlare nel tredicesimo secolo, quando San Domenico, (terrore degli eretici, flagello degli albigesi) lo riceve in sogno dalle sante mani della Vergine, come arma finale contro la mala pianta delle eresie. Sin dall'inizio dunque il Rosario alla Madonna assume una valenza battagliera che oggi può sembrare curiosa: che c'entrano le vecchiette salmodianti con le guerre, ancorché sante? Ma all'indomani della storica vittoria di Lepanto – 7 ottobre 1571, esattamente 440 anni fa – mentre genovesi e veneziani litigano su chi ne sia stato l'artefice, e se l'ammiraglio Gianandrea Doria abbia praticato una geniale strategia diversiva o più semplicemente cercato di tagliare la corda, Papa Pio V taglia la testa al toro decretando che a vincere era stata la Madonna del Rosario, con l'implicito ausilio dei milioni di vecchine recitanti avemaria a raffica.

In pratica il Papa aveva introdotto il televoto: un mantra che annulla la tua identità ma ti rende protagonista delle grandi svolte storiche. Altro che Gianandrea Doria! A sconfiggere i feroci turchi sei stata proprio tu, vecchietta analfabeta, li hai battuti tu gli infedeli saraceni, al ritmo impareggiabile di 6 avemarie al minuto (fanno 5 rosari all'ora, al netto di misteri e litanie) che nessun muezzin di Istanbul evidentemente poteva reggere. Da lì a poco la Madonna del Rosario si insedia a Pompei, diventando meta di pellegrinaggi di massa che continuano tuttora, specie in ottobre e in maggio.

Sempre a Pompei un allievo di Luca Giordano la ritrae coronata di dodici stelle, come la misteriosa donna che nell'Apocalisse compare "vestita di sole" in piedi sulla luna. Quelle dodici stelle in cerchio richiamano effettivamente un po' il rosario, ma in realtà nessuno sa esattamente cosa rappresentino: le dodici tribù di Israele? I dodici apostoli? Insomma, la donna misteriosa sarebbe la Chiesa che si espande nel mondo? Potrebbe darsi. La cosa curiosa è che quelle dodici stelle, dipinte a Pompei su uno sfondo blu, assomigliano terribilmente a...



...esatto. Vedi cosa succede ad andar per rosari. Siamo inciampati nelle famigerate radici cristiane dell'Unione europea!

Non è possibile, direte voi. Sarà solo una coincidenza. Tanto più che le dodici stelle della bandiera europea hanno una storia diversa, no? Già, a proposito, perché ci sono dodici stelle nella bandiera europea? Ecco, non è affatto chiaro.

Va detto che né il Consiglio d'Europa, che issò per primo il vessillo a dodici stelle, né l'Unione che lo copiò, erano composti da dodici membri quando lo adottarono come simbolo. All'inizio il Consiglio di membri ne aveva quindici, salvo che uno era il Saarland, una piccola regione della Germania che nell'immediato dopoguerra era amministrata dai francesi e di cui non era ancora chiaro il destino: raffigurarla con una stella su una bandiera internazionale poteva apparire come un passo ulteriore verso la definitiva separazione dalla Repubblica Federale Tedesca. Quindici no, insomma. Ma non è comunque chiaro perché non quattordici. Tredici men che meno (oltre alla sfortuna, è veramente difficile da disegnare, un circolo di tredici stelle), e quindi, insomma, dodici. Proprio come la Madonna, che coincidenza. Ma un cattolico non metterebbe mai "Madonna" e "coincidenza" nella stessa frase. Ed ecco l'autore del bozzetto della bandiera, Arsène Heitz, rivelare ai giornalisti cattolici di essere un devoto mariano, e di essersi ispirato a una medaglietta mariana che portava sul petto; ecco fiorire leggende intorno a Paul Lévy, politico belga di origine ebraiche, sopravvissuto a Dachau, convertitosi al cattolicesimo, che davanti a un'immagine della Vergine ha un'illuminazione: ma come stanno bene dodici stelle gialle in campo blu. E appena vede il bozzetto di Heitz fa di tutto affinché i colleghi lo approvino. Ma c'è di più: per la gioia di tutti i Teocon presenti e futuri il Consiglio decise ufficialmente di approvare il suo vessillo l'otto dicembre 1955, festa dell'Immacolata Concezione. Insomma, sarà anche una coincidenza, ma la donna misteriosa vestita di sole e in piedi sulla luna che sconfisse i turchi a Lepanto sembra aver posato la testolina anche a Bruxelles. A pensarci bene è un po' inquietante.
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rettifica

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E a Bruxelles lo aspettano ancora

Il pezzo di ieri conteneva una notevole imprecisione. Umberto Bossi, detto il Senatùr perché fu per un intera legislatura l'unico leghista approdato in parlamento, non è più Senatore da un pezzo, i soldi da Roma tecnicamente non li piglia più.

Li piglia da Bruxelles, in quanto europarlamentare. Da laggiù arrivano buste mensili di 12.750 euro anche per il fratello Fausto e il figlio Riccardo, assunti come assistenti accreditati - se quanto riportava il Corriere a fine 2004 è ancora valido. Sennò rettificherò pure questo.

Umberto poi sarebbe stato eletto alla Camera l'anno scorso, ma ha rifiutato il posto per restare nell'europarlamento, dove a dire il vero non sembra che si stia spezzando la schiena per il duro lavoro: nel sito ufficiale il suo nome è associato soltanto a un'interrogazione parlamentare sullo stoccaggio di gas sotterraneo presso Rivara (MO). Ora che ci penso non credo di avere mai visto una sua foto a Bruxelles, a Strasburgo, o anche solo più a nord di Como-Chiasso, ma forse è anche esagerato pretendere tutti questi viaggi da una persona malata. E lasciategli pigliare il suo stipendio in pace, no?

Non solo, ma il seggio a Montecitorio e il congruo compenso che gli sarebbero toccati sono invece stati generosamente destinati a qualche altro leghista sconosciuto ai più, che la volontà popolare non aveva designato neanche di sguincio, o sbaglio?

Scusate la scarsa precisione, è che non sono tanto bravo a fare il populista. Ci vuole più impegno e dedizione di quanto sembri, e uno stomaco d'acciaio e teflon. A me ogni tanto viene ancora la nausea, mi sa che tra un po' cambio argomenti.
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centro Europa

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Crocevia di culture

Rotterdam, a dirlo sembra un'astrazione, ma è al centro dell'Europa per davvero. E l'Europa non è centrifuga come l'America, l'Europa è centripeta, e quindi al centro ci trovi di tutto.

Per esempio, e generalizzando molto: se parcheggi intorno al centro di Oslo, e ti mancano le monetine per la macchinetta, l'ombra del vigile ti farà una certa paura.

Se invece parcheggi dalle parti di Bari vecchia, con o senza monetine, non sarà del vigile che avrai paura, quanto del furtivo estrattore di autoradio.

Se parcheggi a Rotterdam, invece, capita che ti succedano entrambe le cose: da un lato cercano di forzarti la serratura (senza riuscirci), dall'altro ti fanno pure la multa. Questa è Rotterdam, e adesso torniamo a casa.
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- 2025

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DA: Immacolato, via del Beato Giussani 12 – San Petronio Nord
A: – Ospedale Maggiore – alla cortese attenzione del primario dott. Damaso
OGGETTO: DIECI RISPOSTE PER IL CAP TADDEI
(Messaggio a spese del destinatario)


"Si è già sentito il bip?
Oh, beh, comincio.
Buongiorno dottor Damaso, buongiorno sig. Taddei. Chiedo scusa per la pessima qualità dell'immagine, anzi, direi che non vi arriverà nessuna immagine dal mio lettore, giusto un fotogramma fisso. È un aggeggio un po' antico, ma tanto quel che conta è l'audio, giusto?
Spero che stiate bene, e che in particolare il sig. Taddei si sia ormai rimesso dal, ehm, trauma post-ibernazione. Approfitto della comunicazione per scusarmi della mia lunga assenza, dovuta a un malessere influenzale. E veniamo alle sue domande". (rumore di pergamena spiegazzata)

Uno. Chi ha vinto le elezioni americane del 2004?

"Caro sig. Taddei,
per prima cosa, un appunto linguistico: cerchi di evitare espressioni come "elezioni americane". Esse non sono consentite considerate corrette. Oggi noi usiamo l'aggettivo "americano" solo nel suo uso linguisticam corretto, vale a dire riferito all'intero continente americano, compreso tra Alaska, Groenlandia e Terra del Fuoco.
Per indicare invece il Paese noto come Stati Uniti d'America, noi utilizziamo l'aggettivo "usastro", che ha ormai perso la sua iniziale sfumatura negativa.

Quanto alla sua domanda:
mi dispiace non essere in grado di rispondere. I dati in mio possesso non mi consentono di rispondere con esattezza. So bene quanto la cosa la turbi, ma la prego di credere che non è il caso di spaventarsi più di tanto. In effetti, anche ai suoi tempi, non erano molte le persone che ricordavano con esattezza i Presidenti usastri eletti vent'anni prima. E anche qste poche persone, difficilm avrebbero potuto tenere a mente una nozione del genere senza l'aiuto costante di supporti informativi: tv, stampa, eccetera. Una sorta di archivio omnisciente che fino a vent'anni fa si tendeva a dare per scontato.
Ora, si dà il caso che negli ultimi vent'anni, a causa di una serie di contingenze, l'accesso a questo archivio sia stato molto meno condiviso che in passato. Alcuni media, come tv e internet, sono stati dismessi in quanto formati desueti; anche i quotidiani del passato non sono stati raccolti, ma riciclati per… per stamparne altri. Qsto fa sì che anche persone dotate di buona memoria, come me, abbiano grosse difficoltà a ricordare eventi importanti che non li hanno riguardati di persona. Per capirci, negli ultimi vent'anni ci è mancato il ripasso. E gli studi più recenti sulla memoria ci confermano l'importanza cruciale del ripasso, per la conservazione delle nozioni.

In ogni caso ho una vaga idea di quel che fece il vincitore di quelle elezioni: cercò di mettere una toppa nel paio di guerre che il suo predecessore aveva cominciato, chiedendo l'aiuto degli europei che erano rimasti un po' scettici, e senza troppo urtare cinesi e russi. Insomma, quel che tutti si aspettavano facesse".

Due. Osama Bin Laden è stato catturato?

Se, come credo, per "Osama Bin Laden", lei intende il cugino di terzo grado dell'attuale Califfa del Levante, Lady Kadija Bin Laden, la risposta è: no.
Osama Bin Laden, per molti anni è stato sospettato di essere il Numero Due della potente organizzazione terroristica diretta da Al Zarqawi, Al Zahari e Muhammad Omar, nota al mondo come Al Qaeda. In realtà è stato dimostrato che per tutto questo tempo si trovava in coma profondo in un ospedale di Dubai. Posso capire la sua incredulità, ma ci sono tre anni di registrazioni di lui immobile su un letto.
In seguito si è risvegliato, e ora conduce un programma molto seguito e controverso su un'emittente pan-araba. Una volta lo trasmettevano anche da noi, poi hanno smesso. Se le interessa possiamo cercare di sintonizzarci all'ospedale.

Tre. Qual è la situazione attuale del Medio Oriente? L'Iraq è una repubblica democratica?

In parte ho già risposto. Gran parte della regione nota come "Medio Oriente" – incluso quasi tutto l'Iraq – è oggi parte del Califfato del Levante, una media potenza del sistema petrolifero. Il Califfato non è una "repubblica democratica" nel senso che davate a questa espressione… ehm… nel 2005. Ci sono elezioni e candidati, tuttavia su una base di censo, com'è inevitabile in una nazione dove le disparità economiche restano fortissime e le classi sociali hanno la compattezza di caste. La stessa Califfa, pur avendo ricevuto un'investitura popolare mediante un plebiscito, è l'espressione di un'oligarchia petrolifera. Qui da noi accadde una cosa simile con Montezemolo… no, aspetti, lei era già ibernato quando Montezemolo…

Cinque. Nel nostro unico colloquio, a un certo punto lei accennava al fatto che gli Stati-Nazione non esisterebbero più. Si riferiva per caso all'Unione Europea? Qual è l'attuale assetto politico europeo? La Turchia ne fa parte?

Anche in questo caso, devo farle presente che l'espressione Unione Europea è fortem sconsigliata in società.
Oggi noi preferiamo dire "Unione Bizantina", e ci riferiamo agli abitanti dell'Unione come Bizantini. Questo vezzo linguistico data per l'appunto dal momento in cui la Turchia, vincendo le titubanze interne, accettò definitivam di entrare nell'Unione, a patto che ne uscissimo noi. Ne seguì un breve conflitto, al termine del quale un ramo del Parlamento Europeo fu trasferito da Strasburgo a Istanbul, che dell'Unione è la vera capitale politica e commerciale.
Attualm l'Unione è una media potenza del sistema tecno-consumistico. Il paragone con l'età di Giustiniano è in parte autorizzato dall'attenzione maniacale per leggi e regolamenti e dalle frustrate ambizioni imperiali: tuttora i Bizantini mantengono avamposti in Romagna e nelle Puglie".

(continua)
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Noi vagamente intuiamo che la nostra vita potrebbe cambiare ogni giorno, compreso domani, 10 gennaio ’03.
Ma per ora è molto più plausibile che si tratterà di un giorno come un altro. I giornali parleranno di Cofferati che replica a Fassino, e in tv Fassino ri-replicherà a Cofferati. Qualcuno, in mancanza di migliori argomenti, proporrà una riforma costituzionale a caso. Magari Berlusconi racconterà una barzelletta, di cui ci ricorderemo per mesi. Ci sarà qualche morto in Cisgiordania e qualche altra calamità nel resto del mondo. E la vita continuerà, senza pretese.
O forse no.

Per noi cittadini europei il 10 gennaio ’03 è il termine ultimo per dare il proprio parere sulla privatizzazione indiscriminata dei servizi pubblici. Lo sapevate? No, scommetto di no.

Magari qualche giorno fa avete sentito dire che è stato liberalizzato il riscaldamento, e non aveva l’aria della notizia che vi cambia la vita. D’ora in poi le società del gas sono libere di farsi la concorrenza per scaldarvi la casa. Caleranno le tariffe? Forse (quanto avete risparmiato in bolletta da quando hanno privatizzato la Telecom?).
E forse taglieranno i costi, licenzieranno qualche tecnico per assumere precari, smetteranno di servire quel paesino di montagna perché è uno spreco, e gli sprechi si tagliano: è l’economia.
O forse no. Non è che tutte le privatizzazioni debbano finire per forza come le ferrovie britanniche, ma è giusto chiedersi: chi ha deciso di liberalizzarci il gas? Siamo stati noi italiani? I nostri rappresentanti in Parlamento? Ma ce ne avevano parlato?

No. Non tanto. I nostri politici sanno quello che c’interessa: in primo luogo, i dibattiti sulle riforme, i premierati e i presidenzialismi. Poi le grandi opere: la quarta corsia dell’Autosole, per non sollevare l’accelleratore da casello a casello. Il ponte sullo Stretto. E così via. Il gas… non è un argomento che appassiona gli italiani. Del resto per il gas (e la luce, e tante altre cose), il parlamento si attiene alle direttive della Commissione Europea.
La Commissione Europea, dal canto suo, si attiene alle indicazioni del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Quanto al WTO, non è ben chiaro a chi si attenga. È un’istituzione internazionale di dubbia democraticità, nata nel 1994, che non ha mai fatto mistero di voler liberalizzare il mercato dei servizi. Per “Servizi” intendiamo Luce, acqua, istruzione, sanità, trasporti, e altri 160 settori economici che insieme valgono un terzo del commercio mondiale, più di un migliaio di miliardi di fatturato.
Un bel bocconcino, da immettere nel Mercato Globale, proprio adesso che langue. A chi giova? A noi cittadini-utenti? Forse, chissà. Ma sicuramente gioverà alle multinazionali (64 tra le prime 100 multinazionali nel mondo si occupano di servizi).

Finora la liberalizzazione globale dei servizi non c’è stata, per una serie d’impedimenti, tra i quali il malcontento popolare. Forse vi ricordate solo le vetrine rotte, ma a Seattle si protestava proprio contro i disegni del WTO.
Sono passati quattro anni, ormai, dal naufragio del famigerato Accordo Multilaterale degli Investimenti (MAI). I vertici WTO non si svolgono più in città affollate, i delegati preferiscono posticini appartati, come Doha (Qatar).
È in questi rifugi fortificati, al riparo dai teppisti e dei giornalisti (che senza teppisti non si scomodano) che dalle ceneri del MAI è nato il GATS.

In italiano GATS si direbbe Agcs: accordo generale sul commercio dei servizi. È una trattativa complessa, che parte nel 2000 e dovrebbe terminare nel 2004. Ogni membro del WTO ha la possibilità di chiedere qualcosa, ma alla fine dovrà concedere qualcos’altro. Al grande round l’Italia non partecipa da sola, ma fa squadra con l’Unione Europea.
Bene. E cosa chiede l’Unione Europea agli altri Paesi? Qualcuno lo sa? E chi l'ha deciso?
Ma soprattutto: cosa ha intenzione di concedere?

Credo che in quanto cittadino europeo dovrei essere al corrente di queste cose. Di più: dovrei aver partecipato alla decisione, perché l’Europa è una democrazia. È stato così? Qualcuno ha chiesto il mio parere?
La risposta è sì: qualcuno ha richiesto il mio parere.
Dal novembre scorso la Commissione Europea ha sottoposto al “pubblico” un cospicuo documento intitolato RICHIESTE DEI MEMBRI DELL'Organizzazione Mondiale del Commercio alla Commissione Europea E AI SUOI STATI MEMBRI RELATIVE AD UN MIGLIORE ACCESSO AL MERCATO PER I SERVIZI. Dove? Ma che domande, su internet! Di modo che tutti possano accedere più facilmente.
In cima Pasqual Lamy, Commissario al Commercio, si presenta:

Da quando sono entrato in carica, nel 1999, ho sempre cercato di operare all'insegna della trasparenza e di mantenere un dialogo permanente con tutte le parti interessate su tutte le questioni, più o meno fondate, sollevate dalla liberalizzazione del commercio […] Vi invito pertanto ad esaminare attentamente il presente documento e a comunicarci i Vostri commenti in proposito entro il 10 gennaio 2003.
Ma a chi sta parlando, Lamy? Chi sono le “parti interessate”? I cittadini d’Europa, i loro rappresentanti politici, la società civile, le ONG? Lamy non s’indirizza a nessuno. Curioso lapsus. (Nella versione inglese, le “parti interessate” sono gli stakeholders, “soci azionisti”).

Beh, in ogni caso non abbiamo scuse. Avevamo due mesi di tempo per leggere le 58 pagine di richieste e comunicare le nostre valutazioni a Lamy. Perché non le abbiamo notate? Forse perché i giornali parlavano di presidenzialismo e di Byron Moreno?

Chi ha avuto il tempo, ha notato qualche lacuna. Una macroscopica: mancano le richieste formulate dall’UE agli altri Paesi: sono 109. Non abbiamo il diritto di sapere quello che vogliamo, oltre a quello a cui dobbiamo rinunciare?

Il GATS è una cosa seria. Rivoluzionerà il rapporto tra pubblico e privato. Il modello è il mercato comune di Canada, USA e Messico, dove le imprese private possono citare in giudizio i governi che si attentino a privilegiare il loro servizio pubblico rispetto a un concorrente privato. Statisticamente, la giustizia dà torto al governo. Recentemente L’UPS ha denunciato le Poste Canadesi (teste Ralph Nader).

Ora vi chiedo una cortesia. Parliamoci chiaro: io non l’ho letto, il dossier di Lamy. Forse non ne sarei in grado nemmeno avendo il tempo. Ma ho la sensazione che quel tempo non ci sia stato concesso, e trovo che questo sia molto grave. Anche se fossi un fan sfegatato delle liberalizzazioni.
Per questo scriverò una mail a Lamy, manifestando il mio disappunto, e vi chiedo di fare lo stesso. Qui trovate un testo già pronto.

Poi potremo tornare alla nostra vita quotidiana, a Fassino che si lamenta perché tutti gli remano contro (nel frattempo due esponenti del suo partito fanno passare un emendamento che obbliga i Comuni a privatizzare gli acquedotti).
Torneremo a parlare di quanto sarebbe bello avere un presidente eletto dal popolo invece che dal parlamento -- come se cambiasse qualcosa, quando l'agenda dei nostri politici la compila il WTO.

E così il 10 gennaio passerà, come passano tanti altri giorni, senza cambiarci la vita.O forse sì. Non lo sapremo mai -- ma togliamoci il pensiero.
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Basta pietà

Anch'io come lei, signora, ultimamente faccio fatica a organizzare i dati. Succedono troppe cose, tutte in una volta. Per esempio: muoiono troppe persone, e si tratta di scegliere se è più importante parlare del filosofo, dell'economista, del grande attore, del fotoreporter, di mille palestinesi, di 400 israeliani (curiosamente in questa guerra contro il terrorismo ci sono più morti tra i terroristi che tra i loro obiettivi).
È proprio in questi momenti che mi viene da pensare: ma come fanno i giornalisti?, quelli iscritti alla cupola, ehm…, all’Albo? Loro devono fare questa scelta tutti i giorni. Carmelo Bene si merita un trafiletto in prima pagina? Beh, sì. Sempre che nel frattempo Berlusconi, che è all’estero, non se ne esca con qualche cazzata storica di quelle che gli escono in queste occasioni , del tipo: gli antichi romani erano europeisti.

Anno VI dopo Cristo. A Roma, il comandante Varo è al cospetto dell’Augusto Imperatore.
AUGUSTO: E allora, Varo, com’è andata a Teutoburgo?
VARO: Ottimo Principe, io… ahem… proprio di questo vorrei parlare.
AUGUSTO: Hai avuto delle perdite?
VARO: Sì, ecco… un paio di legioni.
AUGUSTO: Due legioni, Varo? Intendi due legioni intere?
VARO: Per la verità, forse sono tre legioni, ottimo principe.
AUGUSTO: Però, questi Germani. Un po’ birichini, eh?
VARO: Nelle loro selve sono imbattibili, ottimo principe.
AUGUSTO: Mmm. Non va mica tanto bene. Ne parlerò con Hermann al prossimo vertice di Coblenza. Se continuano così, il Mercato Comune se lo possono proprio scordare.

Nella pratica, la loro scelta i giornalisti l’hanno fatta. Carmelo Bene, Ciriello, Berlusconi, la CGIL, la guerra in Palestina, i prigionieri di Guantanamo, tutto questo non vale la metà della mamma assassina di Cogne. È lei che sta in cima alle prime pagine. È lei che occupa decine di minuti di telegiornale. È dieci, venti volte più importante di un collega che muore in servizio: l’audience, impietosa, passa sopra persino ai vincoli di categoria. Sempre che esista davvero, quel vincolo. Ciriello era affilato all’albo? Sarei curioso di saperlo. È un caso che proprio chi rischia di più, gli inviati, i fotoreporter, siano sempre freelance? Che vincolo può esistere tra un reporter di passione e un redattore che, chiuso ermeticamente nel suo ufficio, calcola alle sei di sera che un titolone su Cogne porterà quelle cinque, diecimila copie in più? Non è nemmeno più lo stesso mestiere, andiamo.

L’insistenza dei media sul caso di Cogne è scabrosa, brutale, priva di scrupoli, tutto quel che volete. Ma soprattutto è inutile. Casi come Cogne ne sono successi, ne succederanno. Fanno parte dei misteri dell’animo umano, e io non riesco a immaginare una società, un ‘mondo possibile’ liberato anche da questi orrori. È giusto rifletterci sopra un momento, ma a che serve insistere? Insistere si dovrebbe sul caso di un cittadino italiano che muore nelle strade dell’Autorità palestinese per mano dell’esercito israeliano. Queste cose sì che possono cambiare, se i giornalisti facessero il loro mestiere (come lo faceva Ciriello), se noi lettori sapessimo dare un indirizzo giusto alla nostra indignazione. E invece niente, il giorno dopo siamo già davanti alla tv per Tel Aviv – Milan, a essere indignati sono gli israeliani a cui la UEFA ha tolto il diritto di giocare in Patria, per quale motivo al mondo? In Israele va tutto bene, e un militare può dichiarare che Ciriello è stato imprudente, avrebbe dovuto chiedere il permesso all’esercito israeliano (per andare in giro nel territorio palestinese!)
Tutto bene, a interessarci è piuttosto la lettera che la mamma di Cogne ha scritto al Papa. Dice che è innocente, pensa! E il Papa cosa ha risposto? E il fratellino come sta?

Noi umani siamo così. Stupidi. Di tante cose al mondo che succedono, scegliamo di occuparci di quelle che non possiamo risolvere. Duemila, tremila anni fa non avevamo luce elettrica, né acqua potabile, e nessun tipo di medicina che potesse salvarci la vita da una banale influenza. Davanti a questi piccoli problemi pratici, concreti, eravamo ancora dei selvaggi. Ma nel frattempo avevamo sviluppato teorie filosofiche di straordinaria complessità, e ci arrovellavamo già sugli stessi profondissimi problemi che ci tormentano oggi: chi siamo? Dio c’è? E se c’è, perché esiste il male? Perché si muore? Perché una donna uccide un bambino?

Problemi seri. Mai risolti, e probabilmente irresolubili, come le equazioni di quarto grado. Ci sono voluti secoli per iniziare a preoccuparsi seriamente di altri problemi: come far arrivare l’acqua alle case? Come possiamo salvarci dall’influenza? Come possiamo risolvere le controversie senza ucciderci? E qualche progresso l’abbiamo anche fatto. Ma il richiamo dei grandi problemi è irresistibile. È quello che vuole la gente: il Bene, il Male, la tragedia. E i giornalisti devono dare alla gente quello che vuole. Ciriello non l’aveva capito, e restava un freelance. Si fosse piazzato a Cogne, a scattare istantanee dei vicini di casa della Franzoni, a quest’ora non solo sarebbe vivo, ma avrebbe anche un contratto regolare.

www.ciriello.com e' ancora giu'Il fatto è che a Ciriello non interessava, quel contratto. Gli interessava invece, probabilmente, cambiare il mondo, cosa possibile nella misura in cui si smette di pensare in termini di Bene e di Male (chi è il bene e chi il male in Palestina?) e ci si cala, dal vivo, in piccoli problemi più concreti, come concreto era quel fucile in mano a quel ragazzo, o quel carro armato in quella strada di Ramallah. Per quanto gli era possibile, Ciriello ha provato a cambiare il mondo. La sua morte non solo mi addolora, ma mi fa vergognare: dov’ero mentre gli sparavano? Ho fatto abbastanza per lui? La morte di quel povero bambino di Cogne, invece, è un povero, tristissimo fatto di cronaca, che mi spaventa, certo, ma non mi interpella, non cambia né me né il mio mondo, e che probabilmente, oltre un certo limite, deve smettere d’interessarmi. La pietà, sapete, oltre un certo limite non solo è inutile, ma persino dannosa.
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ho visto cose che voi mortali...Pensieri - spiccioli (continuano da ieri)

3. Io cerco di non affezionarmi a nulla, ma le vecchie, sane cento lire, quelle così dolci al tatto, quelle mi mancheranno. Nessun altro oggetto ho potuto stringere in una tasca per così tanto tempo. Erano grandi, universali, antichissime: ne avete ancora una in tasca? Che data porta?
Io qui ne ho una dell’88. Prima superiore, rimandato in francese, magari me l’hanno data di resto per un Dylan Dog. (che costava 1600 lire, oggi credo quattromila).
E un’altra del ’67. Cosa ci compravi con cento lire nel ’67? L’avranno usata per comprare una copia di Penny Lane? E so che ce ne sono di risalenti a dieci anni prima. Tutte uguali, solo un po’ più opache e segnate, ma neanche tanto.

4. Per dirla alla brunovespa: È una selezione naturale: chi sopravviverà? Io certamente no, perché sono della razza dalle dita piccole e tozze, e con le monete non ho nessuna speranza. Ma non necessariamente sopravviveranno i maniaci della conversione, quelli che si ostinano a calcolare qualsiasi cosa e a dirti l’equivalente in lire.
Quelli vanno bene in gita scolastica, e in fondo questa sembra ancora un’allegra gita scolastica collettiva. Ci metteremo ancora un po’ a renderci conto che da questa gita non si torna, che non c’è nessuna mamma a casa pronta a riprendersi i nostri euro avanzati per convertirceli in lire, che insomma l’ombelico è troncato per sempre.
E allora forse i pigri, quelli che ormai hanno rinunciato a saltarci fuori con le conversioni, forse saranno proprio loro a ereditare il mondo. Se al mese prendo 900 euro, ogni euro che tiro fuori mi vale un novecentesimo di stipendio. È tutto quel che c’è da sapere.
Chi gira armato di euroconvertitore prenderà meno sòle nei primi mesi, ma rischia di rincitrullirsi nel medio-lungo termine. Come quegli anziani francesi che pensano ancora in termini di “vecchio franco”, e dicono al nipotino: “ti do mille franchi per il gelato”, e il nipotino tutte le volte ha una doccia fredda: mille franchi vecchi sono dieci franchi nuovi. (più o meno un euro e mezzo). Una volta lessi che due pensionati, all’idea che De Gaulle gli avesse decimato la pensione, si suicidarono. (Chi non ha avuto un colpo al cuore al primo estratto conto in Euro scagli la prima pietra).
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Anche a me, come a tutti (magari più che ad altri), non passa giorno che non venga voglia di cambiare qualcosa, qualsiasi cosa, purché irreparabilmente. Cambiare casa, lavoro, faccia, sesso, macchina, destino. Se proprio non c’è niente di meglio, cambiare il layout (oddio, layout è una grossa parola). Perciò, figuratemi se non mi andava di cambiar moneta – anzi, erano anni che aspettavo.
Tuttavia anch’io mi devo adeguare alla circolare Tremonti che chiede a ogni bloggatore almeno un pezzo sui disagi degli euro, brutti, difficili da maneggiare, una minaccia per il povero consumatore. M’inchino alla ragion di Stato e pubblico questi

pensieri - spiccioli

1. Non so voi, ma io ho deciso di darmi un tono e rifiuterò di raccogliere, da questo momento in poi, qualsiasi nichelino da 1 centesimo mi rifilino di resto. Lo trovo persino offensivo, e comunque non credo che l’inflazione aumenterà per questo.
Dico, va bene l’eccitazione del momento, sembra a tutti di giocare a monopoli, o meglio, di poter comprare tutto con soldi finti, però un eurocentesimo vale 19 lire. Ed è una decina d’anni che la vecchia moneta da venti lire è scomparsa dalla circolazione. Cosa abbiamo intenzione di farcene?
Li lasceremo per terra, intaseranno l’aspirapolvere, faranno grippare la lavatrice. Gli architetti degli ipermercati italiani inizieranno anche loro a infilare fontane dappertutto, per la gioia dei bambini che esprimeranno desideri e genitori che potranno liberarsi le tasche di quegli affarini tintinnanti. Che spreco. E se non siamo ancora allergici al nichel, beh, lo diventeremo.
A cosa serve il nichelino? Con venti lire non ci compri nulla. Forse in Portogallo o in Grecia puoi avere una razione extra di zucchero nel caffè automatico, ma dubito.
Può servire solo al commerciante scaltro che ti vende l’articolo a 9 euro e 99 – beh, se è così scaltro si merita senz’altro il centesimo di mancia.

2. Non è che siano brutte, le eurobanconote, ma un po’ impersonali. Scenari da fine del mondo: colonne, finestre, ponti, ma dove sono le persone che passeggiano sotto le colonne, che si affacciano dalle finestre, che transitano sui ponti? Dove sono gli europei? Scomparsi.
Peccato, sarebbe stata un’occasione per farsi una cultura: perché se tuo figlio ti chiede chi è il signor Olaf Palme sulla banconota da cinque, miseria, ti tocca saperlo. (“Un vichingo, direi… quello che ha scoperto l’America”. “Prima o dopo di Colombo?” “Ahem… durante”). Mi rendo conto, però, che ogni nuova emissione sarebbe diventata un caso da commissione europea (“e allora, sul biglietto da dieci ci mettiamo Marie Curie o Celentano?”), perciò meglio soprassedere, almeno finché c’è il diritto di veto. Nel frattempo consoliamoci così.
(continua...)
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Sono tornato e sto bene. E' bello tornare a casa.
Cioè, sarebbe bello, ma non c'è nessuno e il riscaldamento l'avevo proprio spento, per cui si gela. Sarà una lunga notte, e domattina devo prendere un autobus (quanti euro fa un biglietto?)
Per una settimana non ho scritto niente, n i e n t e. Adesso ho come un tappo in testa, e non so come e quando salterà. Questo viaggio è stata una piccola cosa, ma per quanto piccola comunque molto, davvero molto più grande di me.
Buon 2002 a tutti.
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