Bahía del Correo, alle Galapagos la cassetta delle poste più incredibile del mondo

Nell'isola più occidentale delle Galapagos abbiamo trovato lo strano "ufficio postale" dei bucanieri del Pacifico

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Bahia del Correo, l'ufficio postale dei bucanieri a Floreana, Galapagos

Scritto per LiguriaNautica - Lontano. Dietro le Americhe. A tre giorni di mare – tempeste permettendo – da Puerto Baquerizo Moreno, ultimo avamposto umano di quello stupefacente arcipelago di meraviglie che sono le Galapagos, troviamo l’isola che chiamano Floreana, l’isola fiorita. Il suo vero nome, per la verità, sarebbe Santa Maria, in onore della caravella che trasportò Cristoforo Colombo. Ma El Descubridor, lo scopritore delle Americhe, da questo lato del mondo non è particolarmente amato. Vai a capire il perché ma i nativi americani continuano a pensare che non avevano nessun bisogno di essere “scoperti” da un avventuriero europeo per esistere.
Così preferiscono chiamare la loro isola Floreana per gli incantevoli colori della vegetazione. Su queste sabbie dorate, circondate da una foresta verde brillante sparpagliata di grandi fiori multicolori, approdavano i marinai per le ultime
riserve d’acqua prima della grande traversate oceanica. Floreana era l’ultima pennellata di colore per occhi che, per i lunghi mesi a venire, avrebbero vagato tra l’azzurro profondo del mare e l’azzurro terso del cielo.
L’isola fu scoperta nel marzo del 1535 per puro caso. Il vescovo di Panama
Tomás de Berlanga si mise in mare per raggiungere il Perù con lo scopo di dirimere una disputa tra Francisco Pizzarro e i suoi luogotenenti. I “conquistadores”, da quei briganti che erano, si erano messi a litigare sulle quote di spartizione del bottino proveniente dai saccheggi ai danni degli inca e Santa Madre Chiesa si era conferita un ruolo arbitrale. Ma la nave dell’alto prelato finì in mezzo ad una bonaccia e le correnti marine la trasportarono verso un gruppo di isole ignorate da tutte le carte nautiche. Era l’arcipelago delle Galapagos.
Floreana, la più occidentale di queste isole lontane, marcava la frontiera tra il grande oceano Pacifico e le Americhe. Corsari, pirati, marinai, cartografi, commercianti, naviganti, balenieri, grandi naturalisti come
Charles Darwin, semplici avventurieri e gentiluomini di fortuna sostavano su queste spiagge prima del grande salto verso le terre d’Asia.
Poi, la storia diventa leggenda. Un capitano inglese di nome
James Colnett, un lupo di mare che aveva navigato anche con James Cook e che stava per salpare verso la Cina, posò su quella spiaggia una botte vuota con un cartello con scritto “Postal Office“, ufficio postale e la lasciò là, mezza infilata nella sabbia, che una tempesta non la portasse via.
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Le foche giocano davanti alla barca ormeggiata a Floreana
Capitan Colnett sapeva bene cosa significava per un marinaio trascorrere lunghi anni lontano da casa, senza neppure il conforto di poter spedire una lettera ai propri cari. L’idea che gli venne quel giorno era semplice e geniale al tempo stesso. Prima o poi, ragionò Conett, qualche altro vascello approderà su questa spiaggia.
Magari sarà una
baleniera spagnola che fa rotta a Cartagena, oppure un brigantino americano che ha costeggiato tutto il continente e scende sino a Punta Arenas per doppiare lo stretto di Magellano e raggiungere i porti della vecchia Europa. Forse saranno pirati o corsari, forse scienziati o commercianti, o forse soldati al servizio del Re di Spagna con i quali ci siamo azzuffati nei mari di mezzo mondo, ma saranno comunque marinai. Perché solo un vero marinaio può navigare sino a qua.
Contando su quella solidarietà che è tipica della gente di mare, Colnett confidò che qualcuno si sarebbe preso carico delle lettere sino a portarle a destinazione. Certo, ci sarebbero voluti mesi, probabilmente anni, ma la lettera sarebbe comunque arrivata a casa prima del marinaio che l’aveva spedita. Cominciò così un
servizio postale assolutamente unico nel suo genere. Un servizio a mano, del tutto gratuito e disinteressato, che avrebbe continuato nei secoli a venire e che continua anche oggi, pure se viviamo in un mondo in cui si naviga più sulla rete che sul mare.
Il servizio postale di Floreana funzionava così: chiunque poteva lasciare nel
barile di Colnett la sua lettera. Chiunque approdasse nell’isola poteva guardare nel barile la corrispondenza in giacenza, prendere la lettera di cui voleva e poteva farsi carico, col solo obbligo morale di recapitarla personalmente al destinatario o di affidarla, con lo stesso impegno, ad altri marinai. Sino a che, dopo tante navi e dopo tanti porti, la lettera giungeva alla sua destinazione finale.
Così è nato questo stranissimo ufficio postale che ancora oggi riceve lettere da tutti gli scalcinati come me che, per un motivo o per l’altro, un bel giorno della loro vita, finiscono per mettere piede su questa spiaggia. In Ecuador lo chiamano il
Correo dei bucanieri. Correo in spagnolo, vuol dire “posta”. Il nome bucanieri invece indica che i maggiori fruitori del servizio non erano quel che si dice degli stinchi di santo.
Eppure, quella spiaggia divenne un santuario di pace. Una zona neutrale, diremmo oggi. Chi sbarcava per depositare o per prelevare la posta era considerato inviolabile. Non c’era Spagna, non c’era Inghilterra che contava. Non c’erano pirati e non c’erano soldati. Tutti avevano
diritto di gettare l’ancora nella Bahía del Correo e di poter riprendere il mare sani e salvi, dopo aver usufruito del servizio. La posta in gioco, è proprio il caso di dirlo, era troppo importante.
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La Corona del Diavolo descritta da Robert Stevenson
Io ci sono sbarcato in una giornata in cui il cielo era così azzurro da apparire innaturale, dopo aver ormeggiato in quell’insenatura che ha ispirato lo scrittore Robert Stevenson: Devil’s Crowd, la corona del diavolo. Una serie di scogli affioranti sistemati in semicerchio che sono quanto rimane della bocca da fuoco di un vulcano. La spiaggia era coperta di foche spaparanzate al sole con la tranquillità di chi sa bene che è un animale protetto. Ci ho camminato in mezzo, attento solo a non calpestare inavvertitamente qualche pinna.
Il Correo non è visibile dal mare. Bisogna inoltrarsi per un centinaio di metri nella vegetazione. Appare improvvisamente dietro una curva del sentiero e ti trovi a chiederti in quale film sei capitato. Che cosa sia non è facile descriverlo. Il semplice barile di Colnett si è trasformato in una
scultura di legno dove tutti coloro che nei secoli sono passati, ci hanno lasciato del loro. Nel legno sono intagliati disegni, nomi e date che risalgono anche a cent’anni or sono. Chi ci ha avvitato una targa automobilistica, chi ha appeso un pupazzo o il teschio di qualche strano animale. Qualcuno ha lasciato una radio rotta, altri collage di puntine per il disegno, manifesti di rockstar, copertine di libri, foto, bottiglie con messaggi, chiodi con appesi nastrini colorati…
Anche la posta che trovi è nello stile sgangherato del Correo. Ci sono cartoline, lettere, diari, pagine di libri, fogli e buste di tutte le dimensioni e colori. Qualcuno ha lasciato il suo messaggio ricamato su fazzolettini. Uno ha addirittura adoperato
carta igienica. Un intero rotolo scritto fitto fitto in un alfabeto che non ho riconosciuto. Il Correo parla tutte le lingue del mondo e scrive in tutti gli alfabeti del mondo.
Ci ho trovato una
corteccia di albero destinata, se non ho letto male, ad una ragazza tedesca di Düsseldorf e un mezzo guscio di noce di cocco con inciso un indirizzo e una frase. La noce era destinata ad una ragazza di Sidney e gliela inviava (lo so che non è educato leggere la corrispondenza degli altri, ma in questo caso&hellipWinking un ragazzo di Newcastle. Il messaggio era solo questo: “I love you“. La data era di venti anni or sono. Ancora oggi, ogni tanto, sto a chiedermi se l’oramai non più “ragazza” di Sydney l’abbia mai ricevuta la sua noce di cocco. Il luogo in cui vanno a morire le storie d’amore deve somigliare a qualcosa del genere.
Spulciando tra le tante buste contenute nel Correo, ne ho trovata una destinata ad una donna di
Treviso. Città in cui mi capita ogni tanto di passare perché è vicina alla mia Venezia. Così l’ho portata con me. Era una busta blu, sigillata, con sopra nome e indirizzo e doveva aver trascorso un bel po’ di tempo nel Correo, considerando quanto era sgualcita.
Un paio di mesi dopo il mio ritorno dalle Galapagos ho avuto l’occasione di passare per Treviso. Ho trovato la via e il numero di porta. Mi ero ripromesso di suonare e di consegnarla a mano. Un vero
corsaro gentiluomo avrebbe fatto così. Ma all’ultimo momento mi è mancato il coraggio e l’ho abbandonata nella cassetta delle lettere. O non sono un corsaro, o non sono un gentiluomo. O forse Floreana era troppo lontana oramai.