L'innocente era lui

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(Cinque anni fa esisteva una bella rivista on line che si chiamava Sacripante!. Io avevo una rubrica in cui rispondevo a lettere immaginarie. I pezzi che ho scritto per Sacripante ogni tanto li ritrovo qua e là per la rete: non portano il mio nome, né il mio link, sono in assoluto i figli più orfani che ho.
Di questo in particolare provo molto pudore, e ogni volta che qualcuno lo ritirava fuori andavo a nascondermi dalla vergogna. Però è vero che l'ho scritto io, e dopo cinque anni è ora di riconoscerlo: brutto o bello che sia, viene da qui).


(2005). È vecchio, stanco e scazzato, con quel vago senso di vergogna che l'assale tutti gli anni verso la festa dei morti.
Perché? Non sa esattamente il perché. Saranno i tanti amici sepolti là fuori, che reclamano un saluto, una preghiera, un mazzetto di fiori. Ma Dio, che sciocchezze. Che banalità neo-pagano-vetero-borghesi. Dovrebbe fregarsene di queste cose. Dovrebbe.
Ma la mamma. Il solo pensiero.
Avrebbe dovuto farla cremare. Non ha avuto il coraggio. Così adesso è lì, e il solo pensiero di non andarla a trovare, gli ficca ogni due novembre un artiglio nel cuore.
"Ci vado. Ci vado. Ma oggi no, troppa confusione. E poi si è fatto tardi, che ora è?"
Sono le tre e lui è ancora in vestaglia. Un vecchio in pantofole e vestaglia, ecco quel che è. Lui un tempo così pieno di energia, di voglia di fare: ora gli ci vuole mezza giornata solo per mettersi a tavolino.
Il computer è il vecchio pentium che gli ha lasciato il povero Raffaele – fu lui a insistere che bisognava aggiornarsi, a buttargli via a tradimento la vecchia Lettera 22.
"Stai diventando un feticista della macchina da scrivere, Paolino, te ne rendi conto? Un vecchio rudere che scrive madrigali sui bei tempi andati. Svegliati! Tra un po' è il Duemila!"
"Mi fa schifo il Duemila, Raffaele".
"Ti fa schifo il Duemila, ti faceva schifo il Novanta, l'Ottanta, già il Settanta ti faceva piuttosto schifo. Dov'è la novità? La novità è che ormai il Duemila se ne frega, di quello che pensi tu. Se non impari ad accendere il computer, manco se ne accorgerà, il Duemila. E sai cosa vuol dire se nessuno se ne accorgerà?"
"Cosa vuol dire?"
"Vuol dire che sei morto! Quando nessuno ti leggerà più, quando nessuno ti capirà più, sarai morto, Paolino! Prima ancora di andare sottoterra! Perciò devi imparare a spedire le mail, capito? Le mail ai giornali! Così magari riescono a pubblicarti un pezzo in giornata".
"Ma per favore…"
"E aprire un sito, perché no? Un sito Internet in cui dialoghi coi tuoi ammiratori, e…"
"No. Col porno ho chiuso, e lo sai".
"Ma cos'hai capito. Non c'è solo il porno su Internet…"
Buon vecchio Raffaele. Anche lui era morto, qualche anno prima, di una morte ideale: un arresto cardiaco, istantaneo, indolore per lui e per chi gli stava accanto. Solo, si era dimenticato di lasciar scritto che lo cremassero. Così ora si trattava di scegliere se farsi tumulare accanto all'amata madre o al compagno di vita. Un altro pensiero fastidioso, un'altra spina. Benché certo, Raffaele non si sarebbe offeso – non si offendeva mai.
Si erano incontrati tardi, nel modo più improbabile. Com'era potuto accadere, a un pederasta incallito come lui, sempre a caccia di ragazzini, di innamorarsi di un borghese, un funzionario Rai con moglie e figli? Raffaele non divorziò finché la cosa non divenne davvero di dominio pubblico, e ci volle ancora molto tempo.
Nel frattempo lo aveva aiutato a rimettersi in piedi – lui veniva da anni complicati, processi per oltraggio al pudore e debiti con gli avvocati; film sequestrati dalla magistratura, e persino dalla malavita – per giunta era una fase di crisi creativa, in cui gli sembrava di non aver fatto nulla di buono, anzi: suo malgrado aveva creato un mostro, il filone erotico-medievale; e ora le sale di periferia pullulavano di pellicole pecorecce a base di dame e castelli, ed era una vera tortura portarci i ragazzini…
"Forte questo, aho! L'ha fatto lei?"
"Ma per favore…"
Gli sembrava di non aver mai capito nulla – per anni si era creato un mondo immaginario, perfetto, ingenuo, ignorante, popolato da ragazzini altrettanto perfetti, ingenui e ignoranti: tutta spazzatura da cinema di serie B, fantasie da vecchio pervertito: ora gli era tutto chiaro. Avrebbe voluto spazzare via tutto, distruggere sé e la sua opera, con un film davvero criminale, una fantasia sadomaso. E poi stava scrivendo un libro impubblicabile, un diario di tutte le perversioni sue e del suo tempo. In realtà stava scendendo una china pericolosa, chissà che fine avrebbe fatto, se una sera in trattoria non si fosse fermato a parlare con quell'uomo simpatico e brillante – Raffaele.
Raffaele che voleva fargli scrivere sceneggiati televisivi; in un qualche modo si era messo in testa che lui potesse scrivere dialoghi per la Rai TV.
È il futuro, diceva (proprio come avrebbe detto poi del Videoregistratore, del Fax, e infine di Internet). È il futuro che ti sfida, e tu non puoi rinunciare. Lasciati alle spalle tutte quelle menate sulla civiltà contadina. Lascia perdere tutti i tuoi teoremi politici, quelle orazioni da signor "So tutto io"… che poi cos'è che sai, realmente? Un cazzo, sai. E anche il sesso – lascia perdere anche il sesso per un po': è ancora troppo presto, ma vedrai. Io sogno una tv libera e intelligente. Fatta dai grandi autori come te – io so che tu sei un grande autore, se solo la smettessi di girare porcate per il puro gusto di fartele sequestrare, se solo superassi quella fase infantile del comunismo, quella fase, lasciamelo dire, anale…
Ora, mentre aspetta di caricare il file a cui sta lavorando, si chiede seriamente se Raffaele non avesse alla fine torto.
E se non abbia avuto torto lui a dargli retta. Aveva superato la fase anale: distrutto l'ultimo film maledetto, bruciato il romanzo-fiume. E si era messo a macinare dialoghi di qualità per l'industria culturale. Come l'ultimo corsaro della Regina, che si fa nominare baronetto e aspetta la marea giusta per tornare in mare aperto e innalzare la bandiera nera, come tanti altri in quel periodo – ma alla fine la marea non era tornata mai. Erano invece arrivati gli anni Ottanta, e lui si era trovato a bazzicare quel sottomondo di nani e ballerine. Aveva scoperto Eros Ramazzotti, si era fatto riscoprire da Bettino Craxi. Ogni tanto lo intervistavano, specie in autunno quando gli studenti occupavano le scuole; e l'intervistatore cercava sempre di fargli dire qualcosa di cattivo sugli studenti.
"Ecco, lo vedi, Raffaele? Sono diventato una maschera nel teatrino, sei contento?" E Raffaele, tranquillo: "Sta a te trasformare il teatrino in un teatro serio". "No, Raffaele, no. Il teatrino è più forte di me. Mi ha mangiato, digerito e cacato, come tanti altri". E lui scuoteva la testa e sorrideva. Sempre scuoteva la testa e sorrideva, ed era impossibile non amarlo. Per lui non c'erano sconfitte, solo sfide.
Ma ora che se ne andato, è difficile scambiare per sfide così tante sconfitte. Il file si è aperto, finalmente, cos'è che stava scrivendo? Un pezzo sulla cocaina, ancora. La cocaina? Ma è roba che andava quindici giorni fa! È da quindici giorni che ci lavora? E quale giornale gliela vorrà mai pubblicare?
Spegne tutto, si sente stanco. Stanco e scazzato. Non dovrebbe farlo, ma prende in mano il telecomando. La vita va avanti, più stupida che mai, e sapere che può andare avanti senza di lui è quasi consolante. Sul primo c'è una Medea moderna, che uccide il figlio e si getta in pasto agli avvocati. Sul due c'è un reality show per celebrità, lo conosce perché glielo avevano proposto. ("Ma guardate che ho 83 anni!" "Beh, al massimo esce subito, ma vedrà, in fondo lei è un personaggio, Tarantino le ha appena dedicato un documentario, i suoi vecchi film in dvd stanno andando forte, e poi l'omosessuale anziano funziona, e lei potrebbe approfittarne per parlare al grande pubblico delle sue idee. Purché non bestemmi…"). Sul tre cercano le zingare che rapiscono i bambini. Sul quattro e cinque e sei l'immaginario americano, eccola qua – l'immaginazione al potere. Sul sette c'è un grassone che pontifica di guerra al Terrore, e ogni volta che lui lo vede ha un sogghigno – guardalo lì, uno di quei coglioncelli di Valle Giulia. Restano i canali di video musicali. Li guardava a volte, di sera, assieme a Raffaele – gli piacciono i gruppi giovani, i ragazzini sono sexy. Non sono innocenti, non sono ingenui, a vent'anni sono già perfetti stronzi che sanno quanto possono spremere dalla vita, e gli va bene così. E anche a lui va bene così. Ha passato la vita a rimpiangere un mondo innocente, e troppo tardi si è reso conto che l'innocente era lui.

2/11/2005 Caro Leonardo
A volte non riesco a non chiedermi: e se? Lo so che è stupido, ma non ci posso fare niente. Per esempio in questi giorni mi chiedo: e se Pasolini non fosse andato all'Idroscalo, trent'anni fa, cosa farebbe adesso? Come sarebbe? Tu che ne pensi? Perdonami. IF '75.

È vecchio, stanco e scazzato, con quel vago senso di vergogna che l'assale, tutti gli anni, verso il giorno dei morti.
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- gesù, giuseppe, maria e

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Tutti i santi
Giorni di vacanza. Tanto più che qualcuno a caccia di dolcetti è riuscito a scovare pure il nostro citofono.
Così la redazione si allinea al sentimento comune e festeggia Ognissanti con un pezzo di repertorio: I Santi del Mese. E' stato scritto in gennaio per Sacripante!, e doveva essere il primo di una lunga serie di pezzi buffi sui protagonisti del nostro calendario. In seguito però la pregiata rivista on line ha interrotto le pubblicazioni (voglio sperare che Ruini non c'entri per nulla). Devo dire che un po' mi dispiace. Devo anche dire che ero in ritardo cronico con le consegne.

Rileggendolo, ho voluto cambiarlo un po', e così l'ho riscritto. Spero che non ci siano problemi di copyright (sennò lo tolgo).

Santa Brigida di Kildare (1 febbraio)
Appena dico "Santa Brigida", vi sento già sbuffare: "Massì, lo sappiamo, patrona di Svezia e d'Europa: ebbe otto figli, fondò una settantina di monasteri e riempì otto volumi di visioni estatiche". Tutto questo è vero, e anche di più, ma il primo febbraio ricorre un'altra Santa Brigida. Quella di Kildare (Irlanda). Perché l'Irlanda non è solo San Patrizio, sapete.
Ora, questa santa a me sta assai simpatica. Non ebbe molte visioni estatiche, è vero – e di monasteri ne fondò uno solo – ma nell'isola ancora si parla di quella volta che nel Meath “spillò birra da un solo barile per diciotto chiese, in quantità tale che bastò dal Giovedì Santo alla fine del tempo pasquale” (Breviario di Aberdeen). Perciò gli irlandesi la ricordano con una preghiera che dice:

I would like a great lake of beer
for the King of Kings.
I would like to be watching Heaven's family
drinking it through all eternity.


(Vorrei un lago di birra
per il Re dei Re.
Vorrei guardare la famiglia celeste
che ne beve per l'eternità)

Questa visione del paradiso come un pub dove la famiglia degli angeli e dei santi trinca per l'eternità, la dobbiamo a Santa Brigida di Kildare, che Dio l'abbia in gloria. E quando il giorno verrà, che si apriranno le saracinesche del cielo, fa che sia Santa Brigida ad attenderci al bancone celeste. E se la Madonna vorrà offrirci il vino di Cana, noi le diremo: "Tuo figlio ci ha messo l'acqua", ma solo per scherzo, e Brigida spinerà una scura anche per lei, e i protestanti sciacqueranno i bicchieri in cucina, dove sarà pianto e stridore di piatti in eterno nei secoli dei secoli, amen.


Sant'Agata (5 febbraio)
Avete presente quel tipo di sante martiri che presentano le proprie mutilazioni su un vassoio – vengono i brividi solo a pensarci. Santa Lucia, per dire, ci tiene un paio d'occhi – quelli che le cavarono i pagani. A Sant'Agata (patrona di Catania e dei pompieri) è andata, se possibile, peggio. Quelle due cose rosa sul vassoio sono… i seni, esatto.
Aveva solo 15 anni, quando il proconsole di Sicilia Quinziano le mise gli occhi addosso: giovane, pura, consacrata a Cristo. Sulle prime la affida a una cortigiana, tale Afrodisia, che cerca di rieducarla ai costumi pagani: festini, banchetti, orge… niente da fare. "Ha la testa più dura della lava dell'Etna", dice Afrodisia, rispedendola al mittente.
Si passa alla tortura. Le stirano le membra, la lacerano con pettini di ferro, la scottano con lamine infuocate. Lei resiste; allora le strappano i seni con enormi tenaglie. Verrà più tardi Gesù bambino a fargliele ricrescere. Infine l'empio Quinziano decide di farla alla brace, ma il suo velo rosso (simbolo di verginità) resiste al fuoco. È il primo tessuto ignifugo della storia. I catanesi lo usano ancora per fermare le eruzioni di lava. È la Santa da invocare in un incendio (ora lo sapete).
Nella chiesa del mio paese c'è un bel quadro di Sant'Agata, col vassoio cancellato da un maldestro restauro ottocentesco. Da ragazzino non mi dispiaceva, pur trovandola un po' piatta. Quando ho saputo, mi sono sentito una merda.
Santi Cirillo e Metodio (14 febbraio)
Oggi, 14 febbraio, mentre tutto il mondo pensa a scambiarsi sciocchi e futili pegni d'amore, i linguisti si segregano in casa, e ricordano i loro Santi, i loro eroi.
I fratelli Cirillo e Metodio evangelizzarono gli Slavi contro tutto e tutti. Quelli non è che non sapessero semplicemente "leggere e scrivere". Non avevano l'idea stessa di scrittura – l'alfabeto. Cirillo e Metodio presero quello greco, lo pasticciarono un po' e lo trasformarono in quell'alfabeto ancora oggi usato da Belgrado a Vladivostok e nelle Stazioni spaziali: il cirillico!
Evangelizzare un popolo barbaro partendo dall'alfabeto dev'esser dura. Ma forse fu peggio convincere i pecoroni delle curie greche e latine che quello che stavano facendo era buono e giusto. Gesù deve parlarti nella tua lingua! Altrimenti che si è fatto uomo a fare?
Per aver alfabetizzato ed evangelizzato un popolo, rischiarono l'eresia. Dovettero combattere fino all'ultimo giorno per veder riconoscere il paleoslavo come lingua liturgica, accanto al latino e al greco.
Cirillo e Metodio sono i patroni dell'Europa, degli ecumenismi, e di tutti i linguisti di buona volontà, osteggiati dall'ottusità umana che ovunque impone regole inutili e lingue morte. Se il vostro partner è un/a linguista, forse avete capito perché oggi non vi ha ancora fatto un regalo ed è così pensoso/a. Vogliategli/le bene.

San Policarpo di Smirne (23 febbraio)
Nella pratica l'occupazione dei Santi in cielo è definibile come intermediazione: si tratta di ricevere le richieste dei devoti e scremarle; inoltrarle all'Autorità competente… un lavoraccio.
Certo, non è che tutti abbiano il daffare di, poniamo, Sant'Antonio da Padova: c'è gente che ha molto più tempo libero, come per es. San Policarpo.
Già l'esser Santo protettore di tutti i Policarpo del mondo non dev'essere un mestiere a tempo pieno. In più, Policarpo viene da Smirne, che nel I sec. poteva anche brulicare di cristiani, ma oggi ci abitano i turchi: quindi, insomma, chi lo conosce? A parte gli agiografi e i compilatori di calendari; chi è che si inginocchia davanti a Policarpo? C'è il santino? Avranno smesso di ristamparlo da un pezzo.
Ne consegue che nel suo ufficio celeste, Policarpo non sa che fare. Una partita a freccette con Sebastiano? Due tiri di scherma con Paolo? Alla lunga deve essersi creato una fama di fancazzista che non merita – in fin dei conti è un Martire, e di quelli tosti. Salì sulla pira di sua sponte, senza farsi nemmeno legare. Insomma, non merita tanta disattenzione.
Un compito per il 23 febbraio: trovare qualcosa da chiedere anche a San Policarpo di Smirne. Era un Santo coraggioso e tenace: non dite che non potrebbe anche lui aiutarvi in qualche cosa. E con lui non dovrebbero esserci i tempi di attesa di San Padre Pio. Santo, santissimo, ci mancherebbe. Ma da lui c'è sempre fila.
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Lettere Vitruviane #5: Sulle mezze stagioni, che scompaiono

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[Nel 2005, mentre il blog viaggiava nel futuro, collaborai tra l'altro alla webzine Sacripante!, di cui in Rete non rimane quasi traccia. Incollo qui i pezzi che scrissi per i sei o sette numeri che uscirono: da qualche parte li devo pur conservare. Non sono affatto sicuro della data in cui uscirono, comunque tra il 2005 e il 2006].

Caro Leonardo, hai notato che le mezze stagioni non sono più quelle di una volta? Secondo te di chi è la colpa? Rispondi con franchezza. 
BernH ‘73 

Caro BernH, capisco e condivido le ragioni del tuo turbamento. Mi scrivi da un settembre freddo e plumbeo, uragani alla tv, e mi chiedi conto del settembre d’una volta, del crepitare delle prime foglie secche nel cortile della scuola, e hai visto che due tette ha messo su la Mirella? Era, il tuo vecchio settembre, un terrazzino mite sulle nebbie e i geli dell’autunno-inverno; sapeva di mosto e di libri nuovi. Ora sgualciti in un cartone in soffitta, scarabocchiati, invendibili. Il boiler gorgoglia, tra un poco sarà tempo di mettervi mano. Muovere la rotellina da ESTATE (sole raggiante) a INVERNO (fiocco di neve). Il riscaldamento autonomo non contempla mezze stagioni, e tu mi chiedi di chi è la colpa.

Vorrei poterti dire: è stato George W. Bush, sempre lui. Ma parliamoci chiaro, BernH. Noi non siamo i primi due sulla terra a lamentarsi delle mezze stagioni d’antan. L’emergenza climatica ha appassionato generazioni e generazioni. Ne ho avuto conferma rileggendo, qualche giorno fa, un post di Giacomo Leopardi, datato gennaio 1828. Ferveva a quei tempi il dibattito sul raffreddamento globale: insigni scienziati si chiedevano se non fosse in qualche modo colpa dell’uomo. Leopardi scienziato non era, ma aveva questa mania fastidiosissima di dir la sua (non interpellato) su qualsiasi argomento. Riguardo alle mezze stagioni, egli copia e incolla a sua volta un post scritto 144 anni prima (e siamo già nel 1683…) in cui un tal Magalotti si lamenta “che l’ordine antico delle stagioni par che vada pervertendosi...

“Qui in Italia è voce e querela comune che i mezzi tempi non vi son più, e in questo smarrimento di confini, non vi è più dubbio che il freddo acquista terreno. Io ho udito dire a mio padre che in sua gioventù a Roma, la mattina di pasqua di resurrezione ognuno si rivestiva da state. Adesso chi non ha bisogno d’impegnar la camiciola, vi so dire che si guarda molto bene di non alleggerirsi della minima cosa di quelle ch’ei portava nel cuor dell’inverno”.
Magalotti, Lettere familiari, parte I. lett. 28. Belmonte 9 Febbraio 1683 Già nel XVII secolo, dunque le mezze stagioni si davano per spacciate. Ma Leopardi minimizza, secondo lui è tutto un problema di ricordanze, come al solito, di nostalgia. Il vecchio, laudator temporis acti se puero [=che loda il tempo della sua infanzia], non contento delle cose umane, vuol che anche le naturali fossero migliori nella sua fanciullezza e gioventù, che dipoi. La ragione è chiara, cioè che tali gli parevano allora; che il freddo lo noiava e gli faceva sentire infinitamente meno, ec. ec. Del resto non ha molt’anni che le nostre gazzette, sulla fede dei nostri vecchi, proposero, proposero come nuova nuova ai fisici la questione del perché le stagioni a’ nostri tempi sieno mutate d’ordine ec. e cresciuto il freddo; e ciò da alcuni fu attribuito al taglio de’ boschi del Sempione ec. ec. Quello che tutti noi sappiamo, e che io mi ricordo bene è, che nella mia fanciullezza il mezzogiorno d’Italia non aveva anno senza grosse nevi, e che ora non ha quasi anno con nevi che durino più di poche ore. Così dei ghiacci, e insomma del rigore dell’invernata. E non però che io non senta il freddo adesso assai più che da piccolo. (Zibaldone di pensieri, 8 gennaio 1827). Di chi è la colpa, dunque? Sarà in qualche modo colpa dell’uomo, che continua a tagliar boschi e trivellare pozzi. E poi è colpa tua, che sudi in un colletto di camicia invece di dar calci a un SuperTele sotto la pioggia. Tu che smadonni per due chicchi di grandine sulla carrozzeria. Mi hai chiesto franchezza, ebbene eccola qui: lascia perdere la mezza stagione. Non è più roba per te. Cordialmente.
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Lettere Vitruviane! #4: il sapore della semiosi

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[Nel 2005, mentre il blog viaggiava nel futuro, collaborai tra l'altro alla webzine Sacripante!, di cui in Rete non rimane quasi traccia. Incollo qui i pezzi che scrissi per i sei o sette numeri che uscirono: da qualche parte li devo pur conservare. Non sono affatto sicuro della data in cui uscirono, comunque tra il 2005 e il 2006].

Caro Leonardo, secondo te siamo come i maiali d’allevamento, che masticano le barre dei loro recinti? Ma forse è meglio andare per gradi. Devi sapere che io sono un cinefilo, di quelli che vanno al cinema e poi ne scrivono sui loro siti internet (quei tipi di siti amatoriali che si aggiornano ogni tanto, non so se ne hai mai visto uno). Amo il cinema. Almeno credo. Mi piace ogni tipo di film, ma ho un debole per le saghe. 

Bene, ultimamente è uscito l’ultimo episodio di una grande saga (non importa dire quale), e io mi sono precipitato a vederlo. Ho anni di esperienza alle spalle, per cui entrando in sala sapevo già più o meno quello che sarebbe successo. Sapevo che sarei uscito vagamente insoddisfatto, deluso per la grande occasione persa dal regista di ravvivare una grande saga che ha incantato due generazioni eccetera. Sapevo che avrei messo per iscritto questa delusione sul mio sito amatoriale, e già immaginavo per sommi capi la discussione che ne sarebbe scaturita coi lettori (in questi siti, se uno vuole, i lettori possono risponderti, se uno è tanto bravo da averne almeno un paio). Ma sapevo anche mentre si spegnevano le luci in sala che per 120 minuti avrei visto spade laser, orchi e principesse, e mi sarei divertito, e avrei tremato per le sorti della galassia. Come ai vecchi tempi. 

E invece no. 

È stato verso la fine del primo tempo, credo, durante un combattimento qualunque, che ho avuto una sorta di illuminazione, un’epifania. Prima ho visto baluginare una striscia verde sulla parete laterale della sala: la luce di sicurezza. Poi ho distinto le sagome dei sedili davanti a me, le nuche degli spettatori. E infine mi sono visto. Ero lì, trentaqualcosenne, seduto in un multisala davanti a un fi lm per ragazzini. Potevo fingere che fosse colpa della sceneggiatura non altezza, degli attori inespressivi, degli effetti da lunapark, ma tutto questo non mi aveva mai impedito di divertirmi al cinema. E invece stavolta non mi stavo divertendo. Per quanto mi impegnassi. Era finita. 

Quello che ho provato, è paragonabile a quel che succede ai masticatori compulsivi. Sarà capitato anche a te, una volta, di metterti una gomma in bocca e di non pensarci più: finché a ora di cena, o di dormire, uno non si accorge di aver masticato per ore qualcosa che ha perso tutto il suo sapore nei primi dieci minuti. Questo è quel che mi è successo ieri: mi sono reso conto di aver passato anni a guardare film che non mi divertivano, come si mastica una gomma insapore, per inerzia, o sbadataggine, o per stress. Similmente ai maiali nei recinti, che per stress masticano le sbarre. E qui torniamo all’interrogativo di cui sopra. 
Vostro, 
Critico in crisi ‘71


Caro critico in crisi.

Da chi hai copiato la metafora della gomma che perde sapore? Te lo chiedo perché è molto bella, così pensavo di fregartela: ma se poi salta fuori che l’hai presa da Shakespeare, che figura ci faccio? Io credo che nella tua metafora il sapore della gomma rappresenti il processo di semiosi, vale a dire il magico momento in cui un oggetto (un film, una gomma da masticare, una spada laser; ma anche un gesto, una parola) si legano a un significato. Il significato di una gomma è il suo sapore; il significato di una spada laser è “sarebbe bello esser lassù nello spazio a combattere il Male” (o in alternativa: “sarebbe bello esser bambini di nuovo come quando sognavamo di esser lassù nello spazio a combattere il Male”). Quello che con la metafora della gomma hai inteso perfettamente, è che la semiosi non dura in eterno, ma si consuma con l’uso. Per quanto ci impegniamo, prima o poi le cose perdono il loro significato. La gomma perde il gusto, la spada laser torna a essere un pezzo di plastica.

La maggior parte delle volte, in verità, il significato sopravvive come un guscio vuoto, un rimando mentale a un’esperienza del passato. Passeggiando per il nostro quartiere, noi non vediamo più case né alberi, ma pallidi segni che la nostra memoria interpreta subito come “case”, come “alberi”. Caro critico, fumi? Bevi? E ne trai un vero piacere, o solo una pallida eco di una sigaretta che ti piacque, di un bicchiere che un giorno lontano hai gustato?

Non a caso hai chiamato “epifania” la tua brutta esperienza. L’epifania è il momento in cui le cose ci appaiono senza significati, in tutta la loro nudità. A certi dà la nausea, per altri è uno sballo: per te, mi sembra di capire, è stato solo deludente. Questo vino sa di tappo. Questo film è una puttanata. Viene un bel giorno in cui i ricordi non riescono più a tenere insieme oggetto e significato. Persino le parole, dopo un po’ non vogliono più dire le rubriche niente: così che restiamo a masticare parole a vuoto. Non sapendo che altro fare, nel recinto.

Ma questo, caro critico, non deve buttarti giù. Perché c’è un punto in cui la metafora non tiene. C’è una differenza sostanziale tra un film (e una parola, uno sguardo, una casa, un albero) e un chewing gum. Il chewing gum, una volta perso il suo significato originario, va gettato via.

Un film, un quartiere, un racconto, una parola, una volta nudi del loro primo significato, possono prenderne uno nuovo. Quale? Dipende da te, il critico sei tu. Credo che da questo momento in poi la tua abilità consisterà nel trovare significati originali ai soliti fi lm che girano. Sarai un Adamo alla rovescia: lui se ne andava in giro nudo nell’Eden a dare un nome agli animali; tu passeggerai per il nostro mondo, libero di dare significati nuovi a nude cose che non li hanno più. Semiosi creativa: sarà divertente, forse non divertente come quando maneggiavi una spade laser, ma rassegnati: le spade laser, alla tua età, non esistono più. È un’età di pezzi di plastica, ma non ti scoraggiare. Semiosi creativa, ricorda. E buon divertimento
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Lettere Vitruviane #3: sui corsi di scrittura creativa

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[Nel 2005, mentre il blog viaggiava nel futuro, collaborai tra l'altro alla webzine Sacripante!, di cui in Rete non rimane quasi traccia. Incollo qui i pezzi che scrissi per i sei o sette numeri che uscirono: da qualche parte li devo pur conservare. Non sono affatto sicuro della data in cui uscirono, comunque tra il 2005 e il 2006].

Ciao e complimenti. Volevo chiederti una cosa per un mio amico. Lui è fissato con questa cosa, che da grande vuole diventare uno scrittore, e naturalmente uno grande. Hai qualche consiglio da dargli? Non so, un corso da frequentare? Grazie in anticipo. 


No.

Perdona la franchezza, ma quando mi è stata affidata la rubrica, ho fatto giuramento solenne di non scrivere mai nient’altro che la nuda e brutale verità, che è questa: io non ho nessun consiglio da dare al tuo amico, se non quello banale e sempre valido di fuggire, più in fretta che può, da consigli del genere e chi li dispensa.

Vale anche in questo caso, infatti, l’Obiezione a Wanna Marchi, un semplice principio logicoesistenziale che recita così: se qualcuno è in grado di prevedere i numeri del lotto, perché invece di venderteli non se li gioca lui? Per il gusto di abbassare il montepremi? Allo stesso modo: se io conoscessi qualche buon numero per diventare scrittore (uno grande), credi che in questo momento me ne starei qui, sulla pur pregevole rivista sacripante!, a dare consigli a chicchessia? Col rischio che poi chicchessia se ne esca con un Grande Romanzo prima di me? Crede, il tuo amico, che il Genio sia altruista e ben disposto nei confronti del prossimo? Non lo è. Dia un’occhiata alle quarte di copertina: più sono grandi più sono pazzi e solitari, e quasi mai campano tanto da godersi il copyright. C’è da stupirsi che tanta gente sogni per sé un simile destino: tanto più oggi, che non si legge poi molto. Certo, mica tutti possono sognare di fare i calciatori. Certo, i libri restano i soprammobili più a buon mercato, eleganti e comodi da spolverare; e su nessun altro oggetto viene dato tanto risalto al nome dell’autore, a parte forse alcune felpe e mutande. Tutto questo è vero. E però.

E però, caro amico del tuo amico, è vero anche che le lettere non danno il pane. Io te la dico così, in volgare, ma avrei potuto usare anche una lingua di duemila anni fa: segno che il problema è un po’ tignoso. Negli ultimi tempi alcuni scrittori, (mica per forza mediocri) hanno trovato questa ingegnosa soluzione: i corsi di scrittura creativa. Non solo vendono i libri (pochi), ma anche i trucchi del mestiere. È una cosa che mi riesce difficile capire, ma del resto io sono sempre quello che non riesce a capire Wanna Marchi e l’oroscopo, forse è un problema mio e della mia testa medievale. Per me Mestiere vuole ancora dire Mistero: qualcosa che nel borgo so fare solo io, e peste a chi cerca di rubarmi i segreti. Il mio vecchio Maestro me li spiegò in un orecchio, e io forse li passerò a mio figlio, ma per adesso zitti: il Cantastorie sono io, e se ce ne fosse anche solo un altro in piazza, ci sarebbe già troppa confusione.

Oppure, se il medioevo non ti piace, pensa al bravo scrittore come a un chimico: può spiegarti come usare le ampolline, ma quello che ha scoperto il principio della coca cola non è che si sia subito messo a organizzare un ciclo di seminari per divulgare la formula, no. Non è così che funziona. E non mi si parli di democrazia, il Genio non c’entra: è un tiranno nato, il suo sogno è di conquistarci tutti, e non si fa certo scrupolo della nostra ingenuità.

Infatti, se io fossi davvero un grande scrittore, ecco cosa organizzerei: seminari fasulli, in cui spillo denaro ai gonzi spiegando che i grandi romanzi vanno scritti on the road, su una Remington Portative del ‘52, bevendo tot litri di gin tra un autogrill e l’altro. Mi aggirerei tra i banchi suggerendo cazzate del tipo: “Partite sempre dai vostri problemi, c’è tutto un mondo nella vostra cameretta”, o anche “Il protagonista del noir-all’italianatipo è un ex movimentista con qualcosa da rimproverarsi”; “usate molta carta carbone”; “mi raccomando, frasi lunghe e contorte”; “più avverbi, più avverbi perdio! E meno vocali tra quelle consonanti!”; “partite dalla fine e risalite dall’inizio passando dalla prefazione”, eccetera.

In questo modo, oltre a divertirmi molto, avrei la possibilità di strangolare nella culla tutti i miei giovani potenziali rivali, avviandoli su sentieri inconcludenti, oppure già battuti e strabattuti, verso un’esistenza umiliante di malesseri epatici, frustrazioni e incidenti stradali. Ecco il tipo di consigli che darei al tuo amico. Se fossi davvero uno scrittore, uno grande. Nessuna pietà per i mediocri; le rubriche e ai bravini, merda. Ma è evidente che tanto grande non sono.

Sono invece piuttosto piccolo, e tutto quello che ho imparato dopo tanti sforzi, e tentativi, e frustrazioni, e manoscritti persi, e consigli ricevuti e rimandati al mittente, è tanto piccola cosa che non perdo nulla a condividerla con te: e decidi tu poi se passarla al tuo amico. Scrivere serve a poco, e quasi mai vale la pena: difficile e ingrata è la via al successo, non c’è pensione né ferie pagate. D’altronde, ci sono persone che non potrebbero fare altro. Io li chiamo individui S. Non sono necessariamente i più bravi, i più ispirati. Ma se non scrivono, soffrono. Se il tuo amico è un individuo S, non ha bisogno di consigli. Continui a scrivere per le persone che lo apprezzano, o al limite per sé.

Per capire se il tuo amico è un individuo S, attenda la prossima crisi di emicrania, o di colite, e provi a mettersi a scrivere. Se non ce la fa, è sano, e può trovarsi un hobby meno frustrante. Ma se di colpo l’emicrania svanisce, e la colite si interrompe, almeno fino al punto fermo, ecco: il tuo amico è un individuo S. E che gli posso dire, in bocca al lupo. Questo è tutto quello che so, e non ha prezzo. Nel senso che non ho ancora trovato qualcuno che me le paghi, queste stronzate. Ma se smetto sto peggio. È un problema mio, scusate.
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Lettere vitruviane #2: molte mie amiche sono metropoli

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[Nel 2005, mentre il blog viaggiava nel futuro, collaborai tra l'altro alla webzine Sacripante!, di cui in Rete non rimane quasi traccia. Incollo qui i pezzi che scrissi per i sei o sette numeri che uscirono: da qualche parte li devo pur conservare. Non sono affatto sicuro della data in cui uscirono, comunque tra il 2005 e il 2006].

Ciao, come mi chiamo non ha importanza, ma ho visto che ti hanno messo a rispondere le mail, anche se non ne sei capace. Niente di personale, eh? Ma ci vuole acume e savoir faire e tu non ne hai. Hai solo il tuo solito bla bla bla, che da anni ammorba la tetra internet italiana: ormai chi più chi meno si è rassegnato. Io meno. Ti scrivo perché ti volevo solo dire: ma lo hai capito che sei un mediocre? E tra i mediocri, neanche uno dei più mediocri? Cos’è che vuoi ancora dimostrare? So già come risponderai: che in fondo tu non dai fastidio a nessuno. Ti scrivo appunto per smentirti: a me, ad esempio, dai fastidio. Mi dai fastidio perché coi tuoi blabla sempre meno ispirati rubi spazio a chi potrebbe usarlo per qualcosa di più utile, o più bello. Mi dà fastidio constatare come iniziative collettive finiscano sempre per puzzare dei soliti nomi, rancidi. Mi dà fastidio leggerti, fondamentalmente, e ti leggo spesso. E anche scriverti non allevia il fastidio, per cui ora smetto. Crepa. 

Caro lettore dal nome irrilevante, ho riflettuto a lungo sul tuo problema, che credo sia condiviso da molti, e sono giunto a formulare un’ipotesi. Secondo me tu vivi in una città molto grande. Non sotto gli 800.000 ab., perlomeno.

Sia chiaro, io non ho niente contro le grandi città, molte delle mie migliori amiche sono metropoli. È solo che le trovo un po’ piccole.

Vedi, io sono nato e cresciuto in una frazione di 2000 abitanti. Non me ne lamento, ma ho tuttora difficoltà a immaginarmi grandi quantitativi di persone. Questo fa sì, ad esempio, che io non abbia alcuna fede nei sondaggi. Quando sento dire: “il 60% degli iracheni…”, “venti milioni di telespettatori…”, io, con tutta la mia buona volontà, non visualizzo. Sono capace di contare le persone soltanto posandogli una mano sulla testa, come coi bambini in gita scolastica. E dopo il trenta, comunque, perdo il conto. È proprio un limite del mio cervello.

Un altro mio limite è questo: che quando vado in una grande città (magari anche la tua), la trovo sempre un po’ più piccola di come dovrebbe essere. Insomma, prendi Parigi. A giudicare dai romanzi e dalle sfilate, sarebbe enorme.

Beh, in un giorno a piedi la attraversi (io, almeno, l’ho fatto). Oppure prendi Mosca, la Piazza Rossa. Secondo me la piazza centrale della Russia dovrebbe essere sconfinata, con le cupole del Cremlino che spuntano appena all’orizzonte. Macché: è solo una piazza appena un po’ più grande di tante altre piazze grandi. E Manhattan? Per come ne parlano tutti, il ponte di Brooklyn dovrebbe attraversare l’Atlantico, e l’Empire State giocare a baseball con la luna. Poi, per carità, è tutto molto alto: ma in tv, in tv sembrava veramente più alto.

Quanto agli abitanti delle grandi città: naturalmente li invidio. Loro sanno cos’è un milione di persone: basta contare il vicinato. Giganti sono, indubbiamente. E in quanto giganti, talvolta un po’ provinciali. Nei loro calcoli, il mondo è tutto compreso in una manciata di metropoli coi relativi giardini. Se potessero vedere coi loro occhi quanto spazio vuoto c’è nel North Dakota, nel Tian Shan, o nel Polesine, può darsi che impazzirebbero.

I Giganti, in quanto tali, sono condannati alla grandezza. Prendi, che so, gli studenti di filosofia. Ce n’è in tutti i cantoni, come i roditori. Qui da noi vengono su ruspanti, alla buona. Nessuno pretende troppo da loro. Ma uno che fa filosofia a Parigi, come minimo deve studiare da Sartre (Sartre in effetti ha iniziato così). E un romanziere a New York, se proprio non ce la fa, al limite è un Tom Wolfe. La mediocrità, lì da voi, dev’essere davvero dura da mandar giù.

Da noi è diverso. Io non vorrei farti la pippa che in provincia l’aria è buona e il vicino lettere vitruviane di leonardo le rubriche è simpatico, anche perché quest’ultimo mi ha appena rigato la macchina (oh, beh, tanto c’è il blocco totale). Quello che ti vorrei spiegare è che in provincia c’è una diversa percezione del mondo. Per noi esso è vasto e alieno, e la mediocrità non è una tragedia. Anzi, è la condizione umana. Ci hai mai riflettuto? La maggior parte delle persone sono mediocri. Farsi venire complessi sulla propria mediocrità è la cosa più idiota del mondo, è come lamentarsi perché si hanno due braccia e due gambe.

Inoltre, in provincia c’è un sacco di spazio (perlomeno in senso metaforico). Se vuoi metter su un complesso, vedrai che un locale dove suonare lo trovi, e una decina di scemi che venga ai tuoi concerti pure. E nessuno, vedrai, nessuno, si lamenterà perché non siete i Beatles. Tanto qui non ci crediamo veramente, nei Beatles. Per essere Beatles avrebbero dovuto pesare tre tonnellate per un chilometro d’altezza, e sul tetto della Apple a suonare Let It Be non ci stavano. È uno sporco complotto. Per te invece (lo so), i Beatles erano quattro simpatici musicisti ad altezza naturale. E un filosofo dovrebbe come minimo essere Sartre. E uno scrittore dovrebbe come minimo scrivere il Falò delle Vanità. Altrimenti aria, che non c’è posto. Non c’è mai posto, da voi. Appena uno arriva, c’è subito un milione di persone che si lamenta perché gli togli l’aria. Per dirti che lo capisco, il tuo problema. Però, secondo me, non dovresti portartelo su Internet. Tu credi che Internet sia una grande città, e ti sbagli. È solo una vastissima provincia. In un punto imprecisato di questa provincia c’è la rivista Sacripante!, dove scrivo anch’io, perché cortesemente mi hanno invitato. Sei proprio sicuro di abitare di fianco a me? Sei proprio sicuro che il mio appartamento rubi luce al tuo? No problem, prova a trasferirti diecimila chilometri più in là. C’è tutto lo spazio che vuoi, ti rendi conto? E spostarsi non costa niente. Internet è la provincia perfetta.

In questa provincia perfetta, in una zona qualsiasi, io vado in giro a raccontare cose mediocri in stile mediocre, e capita che trovo anche trenta persone che m’ascoltano. Trenta, t’immagini. Io no, non riesco ancora. Trenta persone: mi gira la testa.
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Lettere vitruviane (#1: sugli oroscopi)

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[Nel 2005, mentre il blog viaggiava nel futuro, collaborai tra l'altro alla webzine Sacripante!, di cui in Rete non rimane quasi traccia. Incollo qui i pezzi che scrissi per i sei o sette numeri che uscirono: da qualche parte li devo pur conservare. Non sono affatto sicuro della data in cui uscirono, comunque tra il 2005 e il 2006].

Ciaooooooo! Quando ho saputo ke rispondi alle mail, mi sono subito precipitata a scrivertene una, xké ti stimo un kasino… e penso ke magari tu puoi consigliarmi su cosa fare: è da un mese ke ho messo gli okki su un ragazzo di Terza ke è… insomma, non c'è altro modo di dirlo…. È TROPPO FIGO! Secondo le mie amike lui ci starebbe pure, ma c'è un grosso problema… sì, insomma… io sono leone ascendente scorpione e lui è gemelli ascendente non so, ma lo capisci anke te ke leone e gemelli non può funzionare… cioè magari una botta è via, però…BLEAH… io sono per le storie lunghe… insomma è un casino! Mi puoi aiutare? Almeno, mi rispondi? 
Skombu '89 

Cara Skombu '89, eccomi qui. Ho trovato molto simpatica la tua mail, e ringrazio sin d'ora la redazione che mi ha dato la possibilità di rispondere pubblicamente alla tua cara missiva. Riguardo il tuo problema: io naturalmente non posso sapere se questo ragazzo sia quello giusto per te: ma una cosa la so per certa, e te la dico molto volentieri: se l'unico impedimento al vostro è costituito da un segno zodiacale, potete procedere immediatamente all'accoppiamento (dopo aver preso le opportune precauzioni, ovviamente).

Cara Skombu, quello che ti sto per dire ti renderà ancora più skombu, ma qualcuno prima o poi deve. Hai presente Keanu Reeves in Matrix Uno quando prende la pillolina e scopre di aver passato tutta la sua vita immobile come un pollo d'allevamento? Be', tieniti forte, perché anch'io ora ho una pillolina per te.

Cara Skombu, Il ragazzo che ti piace, non è "Gemelli".

E tu, anche tu, non sei "Leone ascendente Scorpione".

E questo, cara Skombu, per il semplice motivo che il Leone non esiste: è solo una serie di stelle lontanissime tra loro, che se ne fregano di te e del tuo destino. Anche i Gemelli, del resto, non esistono. Gli ascendenti, men che meno. È tutta illusione, una presa in giro ai danni dei creduloni.

Questa presa in giro si chiama "astrologia", e risale a tremila anni e più anni fa, quando in Mesopotamia c'erano i Sumeri, che amavano molto guardare il cielo notturno, soprattutto perché non c'era altro da guardare. Immagina la situazione: “Cosa c'è di bello stasera?” “C'è Marte nello Scorpione”. Oppure: “Cosa fai, esci anche stasera?” “Sì, c'è Giove nell'Acquario e non me lo perderei per niente al mondo”. O ancora: “Ciao, senti, usciresti con me domani sera? Potremmo andare nella radura e guardarci Venere in Ariete”. E siccome le stelle e i pianeti son bellissimi, per carità, ma più o meno girano sempre allo stesso modo, gira che ti gira, qualche sumero più fantasioso o più annoiato degli altri pensò che magari si potevano usare i moti celesti per parlare d'altro, del tipo:

GIOVANE SUMERO: “Lo sai, adesso che tu sei qui, stesa nella radura accanto a me, e c'è Venere in Ariete, io credo che tu e io…”.
GIOVANE SUMERA: “Giù le mani, scusa, neanche ti conosco”.
GIOVANE SUMERO: “Sì, però, vedi, oltre a Venere in Ariete oggi c'è anche Marte in Cassiopea, e questo…”
GIOVANE SUMERA: “Cassiopea? A me sembrava il Sagittario”.
GIOVANE SUMERO: “Quel che è, comunque è un segno delle stelle! È il segno che io e te…”
GIOVANE SUMERA: “Giù le mani! Un segno delle stelle? Ma chi te l'ha detto?”
GIOVANE SUMERO: "Lo so, perché… perché ho studiato molto gli astri, e quando Venere in Ariete s'incontra con Marte in Sagittario vuol dire che…”
GIOVANE SUMERA: "Senti, tu sei un ragazzo carino e hai molta fantasia, però io ho già detto a Gilgamesh che sono la sua ragazza, perciò…”
GIOVANE SUMERO: “No, no, no! Gilgamesh non va bene assolutamente! Non è il tuo tipo!”
GIOVANE SUMERA: “Perché?”
GIOVANE SUMERO: “Perché… perché… è nato col Sole nello Scorpione, figurati. Non sarete mai felici”.

Questo, cara Skombu, succedeva più di tremila anni fa, in camporella tra il Tigri e l'Eufrate. Nel frattempo abbiamo scoperto tante cose: per esempio, che il sole e la volta celeste non girano intorno alla terra; che ci sono altri pianeti che i Sumeri non potevano vedere; che in natura esistono almeno quattro forze che conosciamo, e nessuna potrebbe spiegare l'eventuale influsso degli astri sul nostro destino. E intanto persino le costellazioni si sono spostate, a causa di un movimento dell'asse terrestre, per cui dove prima c'erano i Pesci adesso c'è l'Acquario etc. ma gli astrologi non se ne sono accorti! Continuano a fare gli oroscopi come duemila anni fa. Del resto, se tanti hanno abboccato, perché smettere?

Sai, Skombu, il fatto che una stupida superstizione possa essere sopravvissuta a millenni di religioni e filosofie molto più serie e argomentate, non depone a favore dell'intelligenza della nostra razza. Pensa solo a tutti quei professoroni, più o meno freschi di conversione, che negli scorsi mesi hanno pontificato di “radici cristiane dell'Europa”: ma lo sanno lorsignori che dai tempi di Abramo e Maometto, una seria religione monoteista si fonda sulla distruzione degli idoli, di tutti gli idoli, e sullo sradicamento di tutte le sciocche superstizioni pagane? E allora cosa aspettano lorsignori a chiudere le riviste che osano ospitare una rubrica zodiacale? Cosa aspettano a linciare sulla piazza del Duomo tutti i ciarlatani laccati che vengono ospitati dalla televisione pubblica, a nostre spese, per inventarsi quattro palle sul nostro futuro? E voi sareste dei cristiani, sì? E permettete che esistano aziende che assumono sulla base dell'ascendente, come se non fosse una discriminazione assurda e altrettanto grave di quella razziale?

Dammi retta, Skombu: lascia perdere quei segni, son cazzate. Un sistema perverso per classificare le persone che ancora non conosciamo: divertente finché lo usiamo noi, odioso quando qualcuno lo usa con noi. Nessun astrologo ha mai dimostrato di azzeccare più del 50% delle sue previsioni: il che significa che l'astrologo più attendibile è attendibile quanto una monetina. Il che significa anche che siamo tutti in grado di scrivere il nostro oroscopo. Ed è quello che devi fare a partire da domani mattina: piantala di tentare i numeri babilonesi, e scriviti da sola il tuo futuro. Cogli l'attimo, gettati sul figo di terza, spiegagli che dovete assolutamente stare assieme perché, perché, perché Leone e Gemelli è perfetto. Hai il 50% di opportunità, che aspetti.
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