Ognuno potrà farsi la sua Storia su misura
18-04-2025, 02:43intelligenza artificiale, Russia-Ucraina, tvPermalinkProvo a riassumere. Bottura (che stimo e che saluto) scrive un programma su rai3, che come tutti i programmi rai durano un'ora, un'ora e mezza più di quanto dovrebbero durare per essere divertenti. Riempirlo di contenuti di qualità è economicamente impossibile, e questo conduce rapidamente il nostro autore a un patto col diavolo, ovvero con l'AI: la quale AI forse un giorno scriverà davvero testi interessanti, ma nel frattempo, ricordiamolo, il motivo per cui qualcuno la progetta e qualcun altro la usa è la possibilità di produrre ingenti quantità di contenuti scadenti in tempi brevissimi e a costo zero. È da sempre che su Splendida Cornice compaiono dei video deepfake, anche se di solito più brevi e soprattutto la Cucciari avvisa immediatamente che sono deepfake. Da cui la domanda: ma c'è una sostanziale differenza da quando i deepfake li usava Striscia per far ballare la macarena ai politici a quando li usa Bottura per far dire Barbero che armarsi è giusto? A parte il fatto che a tutti, ogni tanto dovrebbe venire il dubbio: ma se lo facessero a me, un video in cui dico cose in cui non credo, ne sarei contento? A parte questo ognuno risponda secondo coscienza.
Il video in questione proponeva un paragone storico notevolmente più bislacco del solito. Di solito chi fa propaganda cerca di paragonare quello che sta succedendo oggi (chiamiamolo A) con quello che è successo in un altro periodo storico (chiamiamolo B) che infallibilmente è il 1939 – siccome la propaganda al 90% serve a giustificare delle guerre, e l'unica guerra che la coscienza collettiva dà per giustificata sin dalla scuola dell'obbligo è quella contro i nazisti, B è praticamente sempre il 1939. Bottura invece se ne esce con questa idea senza senso di un tentativo degli austriaci di conquistare l'Italia che non solo non è mai successo (cioè inventati uno scenario e poi arrabbiati perché nel tuo scenario accadono cose ingiuste) ma è anche una grottesca inversione di quello che hanno sperimentato i sudtirolesi dopo il 1918: dal loro punto di vista sono gli italiani che li hanno invasi, sono loro che li hanno forzati a parlare in italiano e/o, dopo il 1939 a levare le tende.
Il video fora l'attenzione collettiva, come purtroppo non succede mai alle cose meglio riuscite; tra i critici c'è anche chi nota che in questo caso qualcuno sta speculando sull'immagine di uno storico con un minimo di competenza per raccontare una storiella che non ha senso, uno scenario fittizio che non funziona. Lo stesso Bottura a un certo punto capisce di avere esagerato, almeno dal punto di vista tecnico, e ammette che in futuro starà più attento. Barbero dal canto suo la prende sportivamente, e quindi perché ne stiamo parlando ancora? Perché la fuori c'è gente che non solo è convinta che mettere in bocca a Barbero un messaggio opposto a quello che dice Barbero non sia una pratica scorretta, ma trova il contenuto del finto Barbero interessante. Parliamo di giornalisti, di esperti di comunicazione, di gente che sostiene di condividere con Barbero una passione per la Storia. Quello che hanno in comune, è l'avere sostenuto con molta causa una certo tipo di narrazione intorno al conflitto ucraino, e una non-accettazione del fatto che questa narrazione non avrà evidentemente un lieto fine. Il che li porta a contorsioni logiche e retoriche spettacolari – per chi vi assiste – ma forse anche pericolose.
In controluce c'è tutto un problema di ridefinizione della satira, un genere da cui la mia generazione si aspettava la "resistenza umana", ovvero la creazione di una dimensione altra in cui i torti del potere venivano vendicati da un'eletta schiera di autori satirici che in effetti erano molto bravi, fu un'età dell'oro, ma è finita; e ha lasciato questi cinque-sessantenni orfani non già di un'ideologia, ma di una cosa un po' meno interessante: una retorica. Se non si sono mai chiesti quale sia la differenza tra "satira" e "propaganda", non è per un caso, ma perché la risposta li schianterebbe: non c'è nessuna differenza. La chiamiamo "satira" quando se la prende coi nostri nemici – e in quel caso a quanto pare tutto le è concesso, anche rubare l'immagine e l'anima dei suoi avversari e indossarla per far loro dire il contrario di quello in cui credono – e "propaganda" quando se la prende coi nostri amici, nel qual caso, va da sé, è di regime. Ma se una la vediamo rossa e l'altra la vediamo blu, l'unica cosa che sappiamo davvero è la direzione verso la quale ci stiamo spostando. E questo è forse il motivo per cui continuiamo a parlare di questa storia abbastanza minuscola, mentre fuori si bombardano ospedali: qualcuno sta precipitando, non può più fidarsi dei maestri, come Barbero, nei quali aveva riposto illimitata fiducia; deve ricostruirsi un sistema morale e deve farlo alla svelta; e per quanto non sembri una buona idea, l'AI è lì a disposizione: non costa niente, è veloce, convincente, ormai la usano tutti, insomma perché no.
Armiamoci, e qualcuno partirà
17-03-2025, 03:28Euro, giornalisti, guerra, Russia-UcrainaPermalink– La manifestazione europeista di sabato aveva una piattaforma talmente confusa che avrei potuto andarci anch'io – perché per quanto "riarmo" sia una parola indigesta, se si trattasse di sganciarci dagli USA e riconoscere che abbiamo priorità diverse (al di là del matto che cambia idea tutti i giorni, anche prima e dopo di lui gli USA avevano e avranno priorità diverse), se si trattasse di dissolvere la Nato e riprenderci le nostre responsabilità difensive, io non avrei obiezioni. Ma nessuno in piazza ha osato proporlo, e quindi dopo esserci andato mi sarei andato parecchio a disagio. Avrei trovato perlopiù anziani preoccupati non tanto dal rischio di un'escalation militare nell'Europa orientale, ma dal fatto che a est c'è un dittatore cattivo che tortura la gente, cosa che noi europei a quanto pare non facciamo (in effetti queste cose le amiamo delegare). Anziani preoccupati non tanto dalla necessità di ridefinire il nostro rapporto con gli USA, ma perché a ovest c'è un matto cattivo che non rispetta i trattati – come se invece tutte le decisioni che abbiamo preso fin qui fossero sagge e razionali. Dagli anziani ci si aspetterebbe almeno saggezza, e invece sembrano il segmento più eccitato da semplificazioni che fino a qualche anno fa avrebbero trovato offensive.
– La causa di tanta eccitazione e tanta semplificazione sono i quotidiani, di cui i boomer sono ormai gli ultimi lettori. Viene spontaneo ricordare i girotondini di vent'anni fa – la confusione esistenziale di Michele Serra ricorda molto quella di Nanni Moretti. Coi girotondini Repubblica cercava di intestarsi una resistenza antiberlusconiana del ceto medio-riflessivo che dopo le elezioni del 2001 era perlopiù rimasto in casa, terrorizzato prima dal Movimento dei Movimenti bastonato a Genova, e poi dal contraccolpo dell'11 settembre. Ma era un'altra repubblica, e soprattutto un'altra Repubblica. Quella di adesso è, le piaccia o no, l'house organ di Stellantis, che ha bisogno del piano di riarmo molto più di quanto Putin abbia bisogno dell'Ucraina occidentale. Non so quanto Serra se ne renda conto e alla fine temo non abbia molta importanza, se non per una questione mia affettiva che non ha senso approfondire.
– L'età media era molto elevata, anche se confrontata con quella di un 25 aprile medio. Al 25 aprile la bandiera più sventolata ormai è la palestinese, ieri era proibito portarla: qualche cosa vorrà dire. Dopodiché immagino che gli organizzatori non si siano sospettati neanche per un istante razzisti, mentre parlavano a una piazza tutta bianca (non solo di capelli) dell'eccezionalità della nostra cultura occidentale europea. Nel frattempo a Gaza manca l'acqua potabile perché i nostri alleati israeliani hanno staccato la corrente agli impianti di desalinizzazione. La coincidenza la noteranno più i posteri, forse sarà la cosa che più noteranno della manifestazione di sabato.
– La questione ucraina sembra davvero troppo cruciale e delicata per farla descrivere agli ucraini, che pure in Italia ci sono, ma sui palchi di queste manifestazioni non salgono, non parlano. Forse qualcuno si dimentica di invitarli. Oppure un tipo di retorica è diventata fastidiosa a loro molto prima che a noi.
– Mettiamoci un po' di ottimismo della volontà. È servita una micidiale guerra di posizione con centinaia di migliaia di morti, ma i tedeschi hanno ufficialmente smesso di credere nell'austerità. Ottocento miliardi è una cifra ipotetica, buttata lì per spaventare il nemico, ma una volta accettato che situazioni emergenziali giustificano spese eccezionali, sarà molto più facile individuare le eccezioni, anche perché il futuro di crisi ce ne riserva tante, probabilmente più climatiche che geopolitiche. Ma se possiamo investire in furgoni, purché blindati, si tratterà di convertirli in autoambulanze e camion dei pompieri e siamo abbastanza creativi per farlo. Se poi il M5S torna al governo, non si può escludere che scopriamo la necessità di un bonus facciate per rendere finalmente le nostre dimore sicure anche da un punto di vista strategico: e prima che i tedeschi capiscano che li abbiamo presi in giro anche stavolta, potrebbero passare altre due eurolegislature. Viva l'Europa.
– Credo che Elly Schlein – che da due anni si muove su una lama sottile ondeggiando molto ma non è ancora precipitata – abbia bisogno del sostegno di tutti noi, dove "noi" è un insieme che probabilmente include gente molto più a sinistra di me ed Elly Schlein. Il PD poteva spaccarsi, o appiattirsi sulla linea dell'Armiamoci e Partite che piace molto ai suoi parlamentari, e molto meno ai suoi elettori. È riuscita a elaborare una risposta più complessa, a mantenere la linea e a parare i colpi, presentandosi anche lei in piazza (anzi, è stata tra i primi ad aderire, depotenziando tutta l'iniziativa perché tra la sua idea di Europa e quella molto vaga di Serra c'è una sensibile differenza). Si poteva fare di meglio? Ovviamente. Qualche politico oggi in Italia avrebbe saputo fare di meglio? Guardatevi in giro.
Verso nuove radiose giornate
06-03-2025, 01:57Euro, fascismo, guerra, neoconi, Russia-UcrainaPermalink– First we take Aviano. Che aria frizzante, che voglia di armarsi, che subbuglio tra i nuovi eroi al caffè. Per quanto potessimo averlo previsto, è abbastanza sorprendente vederlo realizzato nel giro di un mese: là dove era tutto un "difendiamo l'Occidente", adesso c'è scritto che dobbiamo difendere l'Europa, e mica a parole: servono armi e servono subito. Non vi commuove tutto questo improvviso europeismo? E chissà cosa difenderemo l'anno prossimo. Poi per carità: se è la fine della Nato, io non ho molto da obiettare, e immagino che un massiccio riarmo sia inevitabile – ma solo se è la fine della Nato, altrimenti è una farsa. Fare la guerra a Putin a questo punto non è troppo diverso dal fare la guerra a Trump; non mi sembra un'impresa all'altezza delle nostre forze, ma soprattutto non è cosa che possiamo pensare di fare mentre ospitiamo militari e agenti americani in centinaia di basi del nostro territorio. E quindi, amici interventisti, un po' di chiarezza: volete davvero strappare l'Occidente, e in che modo? Sono sinceramente curioso. – Le nuove Radiose Giornate. Uno dei motivi per cui a volte chi viene qui a commentare non mi capisce, è che più che due lingue diverse, parliamo due guerre diverse. Molti commentatori parlano la Seconda Guerra Mondiale: per loro non è semplicemente l'ultima guerra importante, ma il mito fondativo dell'Occidente, l'architrave morale che definisce il Male assoluto (il nazismo) nonché giustifica qualsiasi male relativo (se devi combattere il nazismo puoi anche spianare Strisce e deportarne la popolazione). Quindi arrivano qui e si giocano invariabilmente la carta dello Spirito di Monaco. Qualsiasi guerra è necessaria, perché l'alternativa alla guerra è l'appeasement e l'appeasement è la colpa primigenia, senza l'appeasement non vivremmo del frutto del nostro sudore e le donne non partorirebbero con dolore. Va bene. (Cioè no, non funziona così, non è più Storia, è un mito, ma io credo nella tolleranza religiosa e quindi devo tollerare anche la vostra buffa religione). Però io parlo un'altra guerra, la Prima: e ogni volta che si dibatte sui motivi per farne una – che molto spesso sono i motivi per farla fare agli altri – io mi ritrovo di nuovo nel 1914 nelle bagarre tra Interventisti e Neutralisti, a litigare con futuristi, lacerbiani, dopo un po' è arrivato anche quel socialista romagnolo che prima scriveva quei fondi trucidi sull'Avanti, tutti avventurieri con scarse nozioni di strategia, tutti eroi ar caffè, voi venite qui a darmi del Chamberlain e non sapete neanche quanto somigliate a Giovanni Papini e quanto sia offensiva questa cosa che vi sto dicendo.
– Scurati ci vorrebbe più guerrieri. Ieri sulla Repubblica appare un pezzo di Scurati che segnala "la principale carenza europea rispetto alla possibilità di combattere autonomamente una guerra difensiva: la mancanza di guerrieri". Siamo già a questo? L'intellettuale che pochi mesi fa era diventato l'icona dell'antifascismo, è già pronto a litigare coi compagni e rifondare il Popolo d'Italia? Sì e no; Scurati queste cose le ha sempre scritte, salvo che non se ne accorgevano in molti perché i riflettori erano altrove. Se lo conoscessi un po' di più mi azzarderei a dire che un certo gusto melodrammatico per la guerra guerreggiata Scurati lo ha sempre conservato nello stile: certi fregi liberty come, nel pezzo su Repubblica, la definizione del nostro continente come "scoglio euroasiatico popolato di guerrieri feroci, formidabili, orgogliosi e vittoriosi". Da cui il sospetto che l'approccio romanzesco a Mussolini fosse anche un'accettazione di certe radici stilistiche nietzscheano-dannunziano-lacerbiano-futuriste, nonché un tentativo di rovesciarle, profanarle, ricordare a sé stesso e al suo pubblico che un certo stile ha un esito pratico, tante parole culminano portano a un punto, e questo punto è la guerra. Va bene. Diciamo che Scurati è un intellettuale che in questo preciso momento torna utile mettere sulle prime pagine, come certe Fallaci d'antan. E così come il Popolo d'Italia, per sensibilizzare il pubblico italiano sulla necessità di salvare l'eroico Belgio dall'imperialismo prussiano prendeva fondi dalla Fiat, questo pezzo di Scurati, che auspica che "l’Europa ritrovi lo spirito combattivo e, con esso, il senso della lotta", ricordiamocelo, ci è offerto da Stellantis. (La guerra, poi, se proprio dovremo farla, la faremo combattere agli immigrati. Un'alternativa interessante ad assemblare macchine già obsolete in Tunisia o in Serbia).
– Il nuovo irredentismo. L'avreste mai detto che ci sarebbe toccato morire, tra tanti motivi, proprio per il Donbass? Un posto tuttora difficile da trovare sulla cartina. La sensazione è di assistere a una partita a carte che doveva essere una cosa alla buona, tra amici che si erano portati un pollo da spennare in fretta, questo Vladimir Putin. Molte ore dopo, Putin sta vincendo ed essi hanno perso talmente tanta credibilità che l'idea di alzarsi dalla sedia e salutare non li sfiora nemmeno; devono rifarsi in qualche modo, ritirarsi adesso significherebbe ammettere che i polli erano loro, e questa cosa è inammissibile. Gli USA, che avevano organizzato la partita, se ne sono già andati a casa e senza perdere un soldo, anzi a ben vedere ci hanno guadagnato. I tedeschi ci hanno perso due gasdotti e la certezza di essere la locomotiva d'Europa, ma questo è impossibile da accettare: per cui ora cominceranno a firmare assegni e andranno avanti fino all'alba, metodici nella sconfitta com'erano stati metodici nella vittoria.
– L'ideologia è sempre quella degli altri. Michele Serra lancia un appello per andare tutti in piazza senza bandiere o stemmi, non per la Palestina che si sa, la pulizia etnica è un tema divisivo, bensì... per l'Europa. Che è una cosa bellissima, lo dico senza ironie, ma Europa in che senso? Per fare la pace con Putin prima che la faccia Trump (e pigliarsi le materie prime prima che lo faccia Trump) o per proseguire la guerra anche se Putin si mette d'accordo con Trump, ovvero a questo punto farla a un Putin spalleggiato da Trump? Serra non lo dice, sarebbe un tema divisivo.Elly Schlein fa subito sapere che ci sta, in due righe: noi ci siamo, senza bandiere, ok. Poi per chi vuole leggerla c'è una lenzuolata di motivazioni in cui, senza chiarire nessuno dei punti lì sopra (trattiamo subito una pace o proseguiamo la guerra, magari con contingenti europei) avanza comunque una serie di proposte operative (federalismo soprattutto fiscale, togliere l'unanimità, un'altra next generation da 800 miliardi), insomma un po' di politica la Schlein la fa: accetta una piattaforma molto vaga e con tanta cautela introduce i temi che le interessano. E verso la fine fa anche notare la debolezza dell'avversario politico, l'indecisione daa Meloni tra UE e Trump.
A questo punto, con fragore di tromboni e fagotti, irrompe Mattia Feltri e intona Nooooooo! Come ti permetti Elly Schlein, sei troooooppo divisiiiiiva! Vuoi trasformare una piazza non politica in una piazza politica, e così Forza Italia non verrààààà! Tod und Verzweiflung. Dove si vede che la "politica" è sempre quella sporca che fanno gli altri, perché se in quella piazza Elly Schlein incontrasse Tajani e scoprisse una corrispondenza di amorosi sensi che fosse propedeutica a un governo Draghi 2 che spianasse la strada a un'UE draghiforme, ebbene Mattia Feltri non troverebbe nulla di "politico" in ciò, nulla di divisivo, perché le uniche divisioni che contano sono tra i soggetti politici che vorremmo vedere a letto assieme. Questa mania di trovare "ideologica" solo l'ideologia degli altri, questa ottusa incapacità di Feltri e similfeltri di capire che anche loro hanno un'ideologia, anche loro hanno un'agenda politica, che a volte uno pensa: ma lo sanno benissimo, fanno solo finta, e invece no; i loro genitori facevano finta, loro no.
Grande televisione, terribile diplomazia
02-03-2025, 12:47Russia-Ucraina, TrumpPermalinkAlla fine credo che la sintesi migliore l'abbia fatta proprio Trump: This is going to be great television. Quello che abbiamo tutti visto l'altro giorno nella Sala Ovale è un esempio di cosa succede quando selezioni una classe dirigente in televisione. Per quanto Trump e Zelensky siano personaggi a più dimensioni, la dimensione che hanno in comune è appunto la tv: una grande parte della costruzione del personaggio Trump proviene da The Apprentice (compreso il tormentone, "You're fired", che è poi quello che sta applicando al personale federale), Zelensky prima di fare il presidente dell'Ucraina ha recitato in una serie in cui faceva il presidente dell'Ucraina. Entrambi sono piuttosto bravi sotto i riflettori ed entrambi, a questo punto della loro carriera di successo, possono essersi convinti di poter svoltare la situazione improvvisando in diretta. È deformazione professionale: se metti sotto i riflettori un insegnante, lui cercherà di farti una lezione; se metti due personalità televisive nella stanza dei bottoni, inevitabilmente ne verrà fuori un talk e potrà anche essere un successo (prova è che ne stiamo tutti parlando), ma non diplomazia: almeno una diplomatica di professione a un certo punto si è coperta agli occhi dall'orrore.
La diplomazia non funziona così, ma a tanti osservatori oggi questo non interessa perché, da anni, non si stanno interessando più alla concreta situazione delle forze in campo – alla politica, insomma – bensì al teatro, dove ogni questione politica viene immediatamente trasformata in un apologo morale: i buoni devono essere ricompensati, i cattivi puniti, il pubblico non sarà contento finché non succederà, e in effetti oggi il pubblico è inquieto e deluso. Se davvero c'era soltanto "un invasore e un invaso", perché tutto sembra doversi decidere a Washington, che non è né l'uno né l'altro? Si cerca di capire se Zelensky abbia o fatto una bella o una brutta figura, e si cerca di capirlo contando i tweet o i comunicati di sostegno, come se davvero si trattasse di un attore la cui efficacia si misura sulla popolarità, e bisogna concedere che Zelensky in questi anni è stato anche questo, un testimonial molto efficace. Ma le guerre non si vincono così.
Chi avesse sul serio a cuore la situazione dovrebbe applicare lo sforzo costante di intravedere le quinte; Trump interpreta il ruolo del padrone arrogante, ma dietro di lui c'è un sistema militare-industriale che non ritiene più necessario sostenere la resistenza ucraina. Zelensky interpreta il ruolo di eroico presidente integerrimo e sono pronto a convenire che lo interpreta in modo convincente, mettendoci il cuore e a rischio della vita: ma dietro c'è una nazione che non ce la fa più. Questi sono i fattori di cui tener conto: chi vuole restare in superficie può senz'altro inveire alle smorfie di Trump o godere perché 'ha messo Z. al suo posto', cioè può restare nel teatrino, nel ruolo di pubblico che applaude ride e piange a comando.
Sono cresciuto pensando che l’America fosse “the land of the free and the home of the brave”. Che la torcia in mano alla Statua della libertà rappresentasse per chi arrivava da ogni parte del mondo sulle coste degli Stati Uniti la prevalenza della democrazia e dello Stato di…
— Ivan Scalfarotto 🇮🇹🇪🇺🇺🇦 (@ivanscalfarotto) February 28, 2025
Una parola per gli americanisti che professano ad alta voce la propria delusione: ricomponetevi. Davvero siete cresciuti pensando che l’America fosse “the land of the free and the home of the brave”? E si vede che non siete cresciuti abbastanza, non so quanto sia il caso di farlo sapere in giro. Capisco quanto sia comodo immaginare che Trump non sia quell'America, bensì un marziano venuto chissà dove e arrivato a Washington per puro caso. Ma Trump non è un incidente, Trump è la necessaria evoluzione di un capitalismo in fuga e di una politica imperialista in un mondo che cresce a ritmi che l'impero non riesce più a reggere. Trump è un imprenditore tipicamente americano, un palazzinaro di NY che ha ereditato un po' di soldi dai genitori come succede tipicamente ai ricchi americani, attirando l'attenzione dei media americani con un'ostentazione tipicamente americana; si è candidato alle elezioni americane e grazie alla deregolarizzazione dei media consentita dalle amministrazioni americane da Reagan in poi, è riuscito a costruirsi un consenso che gli ha consentito di vincere due elezioni presidenziali col sistema elettorale tipicamente americano – addirittura in un caso ha preso più voti dell'altra candidata, una cosa che negli USA non è nemmeno necessaria per vincere le elezioni, ma lui lo ha fatto lo stesso. Nel frattempo era stato complice di un tentativo di colpo di Stato, ma le autorità giudiziarie americane non hanno ritenuto necessario evitare che si ricandidasse e rivincesse. Una volta reinsediato, benché si sia comportato in modo straordinariamente arrogante, non ha fatto nulla che la costituzione americana e la prassi non gli consentano di fare. Certo, ha reso questa arroganza molto più trasparente di prima: è questo che non gli perdonate, ma cercate di capire. Intorno a voi ci sono persone che si ricordano cos'è successo con l'intervento americano in Afganistan – un disastro, e ora il giogo dei talebani è più stretto di prima – e con l'intervento in Iraq: un milione di morti. Ci sono persone che hanno visto tutte le amministrazioni USA, nessuna esclusa, spalleggiare Israele in operazioni di pulizia etnica sempre più tendenti al genocidio. Se oggi scoprite che l'America è arrogante coi suoi alleati e spietata coi suoi nemici, almeno non fate quella faccia stupita: ora sapete come ci sentiamo noi da sempre, benvenuti.
A furia di esportarla, la democrazia è finita
19-02-2025, 02:35democrazia d'esportazione, Russia-Ucraina, TrumpPermalinkSono giorni molto confusi: sarebbe saggio non scrivere niente. Ma nella confusione tante cose si rivelano: certo, rischio di svelarmi anch'io. Rispetto ad altri ho un vantaggio: non ho mai confuso gli Stati Uniti d'America con mio padre. Non ho mai dato per scontato che sarebbero venuti a salvarmi da qualsiasi guaio in cui mi sarei cacciato – ragion per cui non ho mai creduto molto in questa cosa di dichiarare guerre, o di combattere a oltranza quando altri me ne dichiaravano, e forse qualche volta ho ceduto territori che mi spettavano, ma l'alternativa era perderne ancora di più, e così me ne sono fatto una ragione. Crescere è anche questo, ma molta gente qui da noi non è mai cresciuta, e probabilmente adesso è tardi. È ingiusto immaginarli mentre si ingegnano di salire sul carro del vincitore, perché anche per quello serve un ingegno che loro non hanno mai applicato. La realtà è che non sanno saltare: i loro genitori o nonni su quel carro sono saliti nel 1944/45, e da allora la questione non si è più posta, la questione non esisteva, Washington era il fulcro morale del mondo. L'idea che abbia trascinato l'Ucraina in una proxy war non è accettabile; la possibilità che ora la molli al suo destino (cioè alla povera Unione Europea), accordandosi con quello che fino a ieri mattina era l'Impero del Male, non è assolutamente immaginabile, dev'essere un incubo. Proprio ora che i filistei si avvicinano, Dio non ci parla più. Persino i governanti sono sotto choc: convocano vertici non si sa nemmeno più di cosa, UE più Regno Unito ma senza gli staterelli troppo riottosi. C'è chi propone di continuare a combattere, ora sapete come dovevano sentirsi i giapponesi in certe isole.
In mezzo a tutto questo, bisogna ammettere che Giorgia Meloni galleggia meglio di altri corpi, per tutta una serie di motivi, e il primo è che galleggiare è il suo mestiere. A differenza di tanti altri statisti e governanti, l'atlantismo per lei è solo un episodio: il giorno prima di abbracciarlo con tutta sé stessa stava ancora spacciando qualche palla delle content farm putiniane, come il piano Kalergi; e dopodomani potrebbe ricominciare imperterrita, qualsiasi cosa pur di stare a galla. Per tanti altri sarà più difficile, a certe ironie della sorte non si sopravvive: credevano che la guerra in Ucraina avrebbe portato a un regime change a Mosca, e invece è cambiato il regime a Washington. Immagino il dilemma: farsi trumpiani, o inventarsi all'improvviso un europeismo in cui non credevano neanche lunedì scorso? Quel che è certo è che non diranno mai scusate, ci siamo sbagliati, credevamo che gli USA fossero sinceramente interessati a riportare i confini dell'Ucraina al '92. Credevamo che gli ucraini avrebbero combattuto fino all'ultimo uomo per questi sacri confini, ma d'altro canto non credevamo che ce ne sarebbe stato bisogno perché credevamo che qualche mese di guerra di posizione avrebbe fatto saltare Putin, e inoltre credevamo che il sistema di potere russo consistesse essenzialmente in questo malvagio Putin; una volta saltato, la Russia si sarebbe trasformata in una democrazia liberale. Credevamo, credevamo. Scusate, con questa idea di esportare la democrazia facciamo gli stessi errori di calcolo da trent'anni, ma l'ipotesi che la calcolatrice sia un pezzo di plastica coi numeri finti non ci ha ancora sfiorato; confondiamo la geopolitica con la morale e abbiamo la morale di un bambino di otto anni; la maestra è uscita da un po' senza incaricare nessuno di scrivere buoni e cattivi alla lavagna e questo ci destabilizza. Siamo tutti troppo deboli e immaturi per confessare di essere deboli e immaturi, e così anche stavolta stringeremo i denti e faremo finta di andare avanti. Dio non ci parla più, ma fingeremo di ascoltarlo lo stesso.
Se l'Ucraina stesse perdendo, cosa ci racconteremmo?
22-05-2023, 00:36fascismo, guerra, Russia-UcrainaPermalinkTra i libri che mi piacerebbe riuscire a salvare dalla muffa anche quest'anno (ma è sempre più difficile) c'è un classico dei mercatini dell'usato che potrebbe anche essere usato contro di me. S'intitola La nostra guerra ed è stato pubblicato nel 1942-XX dalla "Consociazione turistica italiana" (in seguito si sarebbe di nuovo chiamato Touring Club Italia).
Si tratta di un agile volumetto, dalla grafica razionale e pulitissima (c'è un font meraviglioso, il Semplicità) che spiega tutti i motivi per cui Italia Germania e Giappone, che proprio non avrebbero voluto fare la guerra, oh, alla fine si erano trovati praticamente costretti dal blocco plutodemobolscevico che li stritolava, e che comunque meglio così perché stavano vincendo tutto – l'Italia in particolare passava di trionfo in trionfo, con giusto qualche ripiego strategico in Africa – e che l'Eurasia del futuro sarebbe stata un luogo di pace e civile rispetto per i popoli. Un'ucronia, però non cupa e angosciosa alla Dick: una cosa molto istruttiva. La gente che la scrisse – e sapeva scrivere – viveva già in quell'eclissi della coscienza individuale descritta pochi anni dopo da Orwell: riuscivano a raccontare tutto come se tutto avesse un senso e mentre leggi per un attimo anche tu trovi che due più due faccia cinque. È solo un attimo, ma capisci che funziona, e che quindi può funzionare anche oggi: e che quindi ti conviene stare attento. Ho sempre avuto la tentazione di mostrarlo in classe, ho sempre avuto la paura di essere frainteso.
Ci ho ripensato un poco in queste ore, quando in capo a un mese in cui mi era capitato di leggere come i russi si fossero impantanati a Bakhmut, di come la Wagner si ritrovasse disperata senza più munizioni a Bakhmut, di come gli ucraini stavano eroicamente resistendo a Bakhmut, di come i russi con la loro economia devastata ormai non avessero più le risorse per prendere Bakhmhut e stessero abbandonando Bakhmut, ecco, sugli stessi organi di stampa ho letto per la prima volta che può darsi che gli ucraini si siano ritirati da Bakhmut – la quale Bakhmut poi, diciamolo, è un obiettivo assolutamente secondario che non senso intestardirsi a difendere, tanto più che è tutto macerie.
Tutto questo è probabilmente vero; non voglio dare l'impressione di essere quello che la sa più lunga semplicemente perché diffida delle uniche informazioni che trova: è un atteggiamento che ho visto dilagare sui social e decisamente crea dei mostri. Non ho seri motivi per dubitare che a un certo punto la Wagner fosse in difficoltà, a Bakhmut, né che gli ucraini non vi abbiano resistito eroicamente, fino al momento in cui non restavano che macerie e non valeva la pena andare avanti. E che si trattasse di un obiettivo più simbolico che tattico ce lo diciamo da mesi, dopodiché magari ucraini e russi sanno cose che noi non sappiamo, ma se non le sappiamo è inutile fantasticarne.
Prendiamo atto che anche sul fronte a vincere è per ora il pantano; l'offensiva russa è stata lenta e deludente, e quella ucraina per ora non si è vista: magari parte domani, capacissimo. Non posso comunque impedirmi di pensare – sono stato allenato a pensare – che se questa guerra la stessimo perdendo, le notizie che ci arriverebbero dal fronte non sarebbero molto diverse da quelle che leggiamo: i russi fanno fatica, i russi si ritirano, i russi non ce la fanno, i russi in effetti si sono presi una città ma era una città inutile, ormai sono spacciati. Significa che invece stiamo perdendo? Non necessariamente, ma nemmeno si può escludere. Zelensky è molto attivo in questi giorni, ha bisogno del nostro aiuto e non ha pudore a chiederne di più. Non è un fatto nuovo. È anche stato dal papa, e questo forse sì, è un fatto nuovo, perché Francesco in quest'anno è riuscito a mantenere, non senza fatica, una posizione terza che potrebbe tornare utile nel momento in cui si cominciasse a parlare di pace. Forse si sta cominciando a parlare di pace, il che però significa anche che non stiamo vincendo.
Sulla guerra in Ucraina esistono sostanzialmente due narrazioni. Quella russa somiglia abbastanza a quella che troviamo sui vecchi libretti fascisti che conserviamo per capire come riuscivano a raccontarsela: è il solito imperialismo che quando è frustrato assume sempre tinte paranoiche. Gli ucraini erano russi, poi la Nato li ha corrotti, ma molti ancora vorrebbero essere russi, specie in Donbass, e i fascisti ucraini li hanno bombardati finché non siamo entrati per difenderli. È un copione che la Russia è pronta a recitare in tutti i Paesi confinanti e non vassalli: gli abcasi vorrebbero essere russi ma i georgiani glielo impediscono, i transnistriani vorrebbero essere russi ma i moldavi glielo impediscono, ecc. ecc. Giova ricordare che sia Abcasia sia Transnistria sono militarmente (non ufficialmente) occupate da militari russi. È il vittimismo tipico dei prepotenti sulla difensiva, in Italia lo conosciamo bene, lo abbiamo quasi inventato e continuiamo a praticarlo. Questa per quanto riguarda la narrazione russa.
Poi c'è la narrazione della Nato, che più o meno corrisponde a quella dell'Ucraina, e che per quanto possa avvicinarsi alla realtà in campo più di quella russa, non può per definizione essere la realtà oggettiva: questo per vari motivi. Il primo motivo che mi viene in mente è che l'oggettività non esiste, possiamo soltanto tirare una media di tante osservazioni soggettive, Pirandello, Heisenberg, e così via. Il secondo motivo è che la Nato ha i suoi interessi strategici, non è che appoggia le nazioni gratis et amore libertatis. Il terzo motivo è che nessuno in guerra dice solo la "verità". Se poi si passa ai giornali italiani, è molto improbabile che dicano la verità anche in tempo di pace, e quindi insomma è chiaro che non possiamo fidarci al 100% di Zelensky – che comunque, per tanti motivi, consideriamo assai più affidabile di Putin. Dobbiamo allenarci a fare la tara a tutto quello che sentiamo, senza scadere nel complottismo, e non è facile. Come facevano i nostri bisnonni? Ascoltavano l'Eiar, poi Radio Londra, e poi? Probabilmente stavano attenti soprattutto alle posizioni. A El Alamein, se avessimo vinto come titolavano i giornali, non ci saremmo ritirati. Allo stesso modo, a chi ci ripete che la guerra è necessaria e che la Russia va ricacciata dietro i confini del 1992, bisogna far presente con molto tatto che i russi oggi sono su posizioni più avanzate che un anno fa. Magari domattina comincia la controffensiva, magari Zelensky che oggi chiede armi a tutti dopodomani sarà a Mariupol e in giugno a Sebastopoli. Magari. Oggi no. L'economia russa che doveva cascare più di una volta, in un qualche modo tiene: se i cinesi si sfilano, gli indiani comprano di più e questo forse è sufficiente perché la situazione arrivi a uno stallo, uno stallo costosissimo sia in termini di risorse (russe e Nato) sia di vite umane (russe e ucraine). Uno stallo che potrebbe anche andare avanti fino all'autunno, cioè per un altro anno, e poi? È chiaro che noi avremo ancora per molto armi da buttare nel piatto – per qualcuno è anche un affare, teniamone conto. Anche i russi probabilmente avranno per molto tempo effettivi da mandare al fronte. Il primo serbatoio che potrebbe esaurirsi, a occhio, è quello degli ucraini: per quanto continuiamo ad armarli, non è che possano reggere all'infinito.
A volte mi chiedo cosa succederà a molti attivisti pro-Nato quando all'improvviso la narrazione smetterà di dire "confini del '92" e si sposterà su "trattative di pace". È una domanda retorica: molte persone cominceranno non solo a chiedere la pace, ma anche a credere di averla sempre chiesta; perché è l'unica opzione logica, perché le vittime sono troppe, perché protrarre un conflitto di queste proporzioni sul suolo europeo è terribilmente pericoloso, e per tanti altri motivi che diventeranno improvvisamente ragionevoli tanto quanto era ragionevole, fino a poche ore fa, chiedere ai soldati ucraini di resistere tra le macerie di Bakhmut. Certo, è lecito cambiare le proprie opinioni. Spesso è indizio di spirito critico. A tal proposito, vorrei proporre a molti alfieri della Nato un esercizio: provate per una volta ad avere un'idea che non corrisponda a quella del Dipartimento di Stato USA. Anche solo per un istante, come in quei film di androidi in cui a un certo punto il protagonista umano si stagliuzza il braccio per essere sicuro di non essere, a sua insaputa, un androide; voi invece alla terza guerra che vi sembra giusto combatterla mentre i pacifisti sono tutti automaticamente Chamberlain; alla terza guerra che a un certo punto finisce in un mezzo disastro e non non se ne parla più, provate a formulare un'opinione su voi stessi, ci riuscite? I bot non è detto che ci riescano.
Giuliano Ferrara invoca l'apocalisse di fuoco, digital art
17-03-2023, 18:47Giuliano Ferrara, guerra, neoconi, Russia-UcrainaPermalinkBisogna che un’apocalisse sacrosanta di fuoco costringa le ributtanti milizie dello stupro e dell’eccidio a fare retromarcia... (Giuliano Ferrara, il Foglio, 15/3/2023)
Giuliano Ferrara è stato tante cose nella sua vita – di biografie n'è piena la rete – e forse i più giovani non sospettano quanto sia stata ingombrante la sua figura per vent'anni e più, il berlusconiano con pretese culturali che proprio per questo andava irriso più degli altri, l'agente provocatore da cui ci si faceva provocare più volentieri perché almeno si aveva la sensazione di giocarsela su un piano elevato. Anche se poi per quanto elevato fosse il piano si finiva lo stesso a torte in faccia. Giuliano Ferrara è stato anche un neocon, un appassionato sostenitore degli interventi militari dell'era Bush Jr, nel breve periodo in cui questa cosa tirava, e per coincidenza si trattava anche del periodo in cui Berlusconi finalmente aveva trionfato sugli avversari, stava al potere e non sapeva che farsene. Bisognava trovare nuove battaglie e l'11 settembre /fu una manna dal cielo/ /cascò proprio a fagiolo/ fu provvidenziale per il suo personaggio. Tutte guerre inutili, mal combattute e deleterie, ma nel frattempo Giuliano Ferrara era altrove (a far cosa? Ah già, a salvare i feti dal genocidio).
Giuliano Ferrara è obeso, il che ha reso sempre un po' più difficile criticarlo senza indulgere nel fatshaming – lui stesso è stato abbastanza astuto da mantenere la sua stazza in primo piano, da farsene scudo. L'obesità lo espone a seri rischi di salute, per cui a un certo punto della sua vita Ferrara ha dovuto cominciare a prendersela un po' più calma, a costruirsi un personaggio più riflessivo, di intellettuale sardonico e molti ci sono cascati, molti hanno trovato comodo cascarci. Non è vero quasi nulla, l'intellettualismo di Ferrara è una posa, le sue basi culturali malferme, il suo gaddismo finto come l'ottone e basta ancora un qualsiasi picco glicemico per tirargli fuori l'animale. Ferrara, come tutti, è stanco di questa guerra che non è breve e risolutiva come tutti speravamo che fosse; del resto non succede così a qualsiasi guerra? ogni volta deve essere breve e risolutiva, magari l'ultima. I russi le prendono, e poi le prendono, e poi le prendono ancora, insomma continuano a prenderle eppure restano lì: è snervante, non dite di no. Un giorno qualsiasi Ferrara si stanca e decide di invocare gli "angeli sterminatori", che poi sarebbero – par di capire – l'aviazione Nato. Insomma è ora di superare certe ipocrisie, dichiarare guerra alla Russia o anche no, bombardare subito senza perder tempo in formalità. Dopo un anno di battaglie, con un numero di vittime che già rivaleggia con quello di alcuni dei più grandi eventi bellici dell'era contemporanea, si tratterebbe di ratificare che la terza guerra mondiale è già scoppiata, e quale sarebbe il casus belli? Hanno sparato a un arciduca, defenestrato i messi imperiali? Beh, quasi. Hanno dato del cazzaro a Crosetto. Accidenti, queste cose non si fanno. Non che Crosetto non stia facendo il cazzaro – Ferrara non ci prova nemmeno a difenderlo – ma è il nostro ministro della Difesa, "right or wrong", e quindi basta, adesso bisogna bruciare tutto, più precisamente l'Ucraina, quell'eroica nazione che senz'altro preferisce essere bruciata che ceduta al nemico. Il russo deve capire che anche a noi piace Wagner, nel senso del compositore: Ferrara scrive proprio così (no, in effetti lo scrive peggio). Qualcuno deve pure il falco, qualcuno deve pure invocare morte e distruzione in modo che risulti più moderato questo nostro temporeggiare, questo nostro tollerare un po' di morte, accontentarci di un po' di distruzione.
Giuliano Ferrara, sono già passati nove anni, un mattino si svegliò dichiarando una "guerra di religione" contro l'Isis: altro che polizia internazionale, ci spiegava, contro la violenza dei jihadisti serviva una "violenza incomparabilmente superiore". Anche quella volta, cos'era successo di intollerabile? Avevano decapitato un giornalista americano. Come rappresaglia a un bombardamento. Per cui, insomma, una violenza circoscritta (l'esecuzione di un ostaggio) era stata usata per rispondere a una violenza già molto superiore (un bombardamento), ma sono finezze che la glicemia non sempre consente di apprezzare. Si intravede comunque un pattern, l'uomo reagisce allo stesso impulso: hanno offeso un uomo bianco che mi rappresenta; ha la mia stazza (Crosetto) o fa la mia professione (il reporter James Foley). E reagisce sempre allo stesso modo: invocando l'escalation militare di una Potenza Superiore che Ferrara nella vita ha sempre cercato e ha contorni ambigui – tanto tempo fa era Berlusconi, più di recente la Nato, più spesso il Pentagono, ma insomma è qualcuno potentissimo che vince tutte le battaglie per definizione, e se non le vince non è per debolezza ma perché non le vuole combattere davvero, Giuliano Ferrara ha 71 anni e ancora quando lo minacciano pesta i piedi e chiama papà.
Giuliano Ferrara, come tutti noi, è convinto di avere ragione. Non solo per gli argomenti, che di volta in volta hanno a che fare con la democrazia, la libertà, sissì vabbe' non è che ci creda così tanto neanche lui: Ferrara è convinto di avere ragione perché sta dalla parte del più forte. È sempre stato dalla parte del più forte, che quando era ragazzo era il movimentismo, poi il Partito (incidentalmente, il partito dove lavorava suo padre e dove ha lavorato anche lui), poi la Rai finché non lo ha pagato meglio Berlusconi, poi Berlusconi, poi Washington, tutti fari di cultura e democrazia e libertà e insomma cosa aspettano questi fari ad accendersi sul serio al massimo voltaggio e incenerire i nemici di Giuliano Ferrara. Non varrebbe la pena di parlarne se la sua sindrome non fosse la nostra: siamo talmente abituati a guerre asimmetriche che non capiamo che questa non lo è. Ciò malgrado anche le guerre asimmetriche non è che siano esattamente andate come ritenevamo necessario che andassero: ce lo ricordiamo l'Afganistan? No, è acqua troppo passata. Ma insomma il nostro fastidio per un nemico che non si ritira è lo stesso che proviamo per un insetto che continua a ronzarci attorno: l'idea che una guerra contro la Russia sia una guerra totale non ci passa nemmeno per la testa, cos'è poi una guerra totale? Un anno fa temevamo di passare l'inverno al freddo (agli ucraini è successo), oggi ci si lamenta perché le auto elettriche non sono competitive – non tra dieci anni: adesso. Vogliamo vincere la guerra ma risparmiarci anche dei soldi, perché siamo fatti così?
È possibile che settant'anni di responsabilità limitata in politica estera ci abbiano un po' viziato? Siamo convinti che da qualche parte si trovi un esercito potentissimo, soprattutto un'aviazione potentissima, che sconfiggerà sempre i nostri nemici, così come ha sconfitto noi. E ogni guerra ci sembra un gioco delle parti in attesa che questa Violenza Incomparabilmente Superiore non si manifesti in tutta la sua gloria. Avevamo il duce e la sua arma segreta; quando sono stati spazzati via abbiamo accolto gli americani come il nuovo duce e abbiamo dato per scontato che l'arma segreta l'avessero loro. Dopodiché scriviamo più o meno gli stessi corsivi del 1941, magari un po' peggio perché almeno la scuola gentiliana un po' di retorica te la lasciava; laddove Ferrara si barcamena tra un anglismo e l'altro come un menager brianzolo. Se davvero il Pentagono gli desse retta, sarebbe il primo a stupirsi di essere stato decifrato e compreso: quello tra falchi e colombe è sempre un gioco delle parti, anche in Russia c'è chi propone di spianare Polonia e Lituania. Nel frattempo il calendario va avanti, e ogni giorno di guerra in più cresce la possibilità di un incidente nucleare.
L'incidente nucleare non dev'essere per forza una bomba che distrugga qualche città. Più facilmente sarà una fuga radioattiva da qualche reattore, qualcosa che i posteri registreranno senza troppo sgomento – volevate l'energia nucleare e volevate la guerra di posizione, nello stesso continente? nella stessa nazione? A loro sembrerà la conclusione inevitabile. Non causerà necessariamente migliaia di morti, o magari lo farà col tempo, si sa che le radiazioni hanno tutto il tempo del mondo per danneggiare noi e nostri figli. I nostri figli, già. Ferrara non ne ha. E in fondo è un peccato: così tanti padri, così niente figli.
Un anno di guerra e non stiamo vincendo
24-02-2023, 03:04guerra, Russia-UcrainaPermalinkPer una diabolica coincidenza, il giorno in cui la guerra ha compiuto un anno è lo stesso in cui mi è arrivata la bolletta del gas di dicembre e gennaio; che straordinaria occasione per scrivere un pezzo in cui dettagliavo quanto era costata a me, proprio a me in quanto consumatore, la sciagurata invasione russa dell'Ucraina. Ebbene salta fuori che rispetto a un anno fa ho risparmiato più di cento euro. L'invasione non diventa meno sciagurata ma insomma, se da qualche parte su un social qualcuno vi attacca un pippone sul fatto che l'Europa stia sbagliando tutto, e che il suo appoggio all'Ucraina gli costerà salatissimo in gas, ebbene, è probabilmente vecchio materiale riciclato da gente che non ha molto interesse a scrivere cose nuove, magari non gliele pagano più.
Un anno e qualche giorno fa, non dico che rimpianga quel periodo, ma l'idea di una guerra in Europa con più di trecentomila morti mi sarebbe sembrata un brutto film distopico. Da allora, come tutti, mi sono assuefatto all'idea e sono tra quelli che ormai sulle notizie dall'Ucraina non cliccano nemmeno. È sempre stato abbastanza difficile trovare notizie oggettive su una guerra, e stavolta mi pare lo sia ancora di più. Probabilmente è anche una questione di percezione; trent'anni fa mi sembrava di poter isolare con più precisione fatti e opinioni, ma trent'anni fa mi bevevo anche quello che scriveva Zucconi. Internet da una parte mi ha reso più critico ed esigente; dall'altra ha compresso lo spazio per un'informazione di qualità: ormai non mi fido più nemmeno dei Pulitzer e nel frattempo i giornali italiani sono un bivacco di stagisti analfabeti.
Questo può essere uno dei motivi per cui un sacco di gente si rifugia nel complottismo: trova un tizio tipo Giorgio Bianchi che almeno sembra saper scrivere (e crede a quel che scrive) e magari gli sfugge il dettaglio che si tratta di un cronista embedded dell'esercito russo. Il complottismo è anche il risultato di una deriva ideologica che indubbiamente conduce in un mondo di matti, ma se uno vuole conservare un minimo di atteggiamento critico nei confronti della Nato, quanti altri mondi gli restano? Ti ritrovi in una strana terra di nessuno dove Berlusconi dice più o meno le cose di Travaglio, qualcuno è ancora in para dura per il green pass o perché nel marzo 2020 gli è stato interdetto un transito nel parchetto, e questo sembra veramente tormentarlo più di una possibile escalation nucleare a mille km da qui. Sono anche terrorizzati dagli hamburger di grilli, dio sa il perché. Probabilmente qualche content factory ha deciso che quest'anno il malcontento di una determinata fascia sociale si deve sfogare contro gli hamburger di insetti, Greta Thunberg dev'essere passata di moda e un po' mi dispiace.
Ma insomma in mezzo a questi matti mi ritrovo anch'io e non posso dire di trovarmi bene – per dirne una: vado ancora in giro con la mascherina. Berlusconi non lo sopporto dal 1984; Travaglio, se ci pensate, non mi è mai stato molto congeniale; insomma cosa ci faccio qui? Banalmente, sono un pacifista. So bene che certe guerre sono inevitabili, ma ho una forte diffidenza verso chiunque le trova giuste, e le fa combattere agli altri. Detesto sinceramente l'imperialismo russo, ma non ho simpatia per quello atlantico; posso provare ammirazione per la resistenza patriottica degli ucraini, ma l'ammirazione non m'impedisce di vedere gli interessi occidentali in ballo.
L'invasione russa, un anno fa, mi ha sorpreso; ma poi ho fatto i compiti e ho scoperto che era un'evoluzione non così imprevedibile di un braccio di ferro più che decennale. A chi mi spiega che le cose sono molto semplici, e che per spiegarle basta una lavagnetta con i Buoni e i Cattivi (anzi gli Invasori e gli Invasi), rispondo che sì, in effetti possiamo accontentarci di questa narrazione, se siamo persone semplici; non è un modo del tutto sbagliato di descrivere la cosa e forse è quello che userei con un bambino di otto anni; già a nove sarebbe lui a non accontentarsi più. Sarei tentato di aggiungere che nulla mi spaventa più di questa gente che a cinquant'anni improvvisamente decide che vuole di nuovo pensarla come a otto, vuole i cattivi che invadono e i buoni che si difendono e soprattutto che vincono, a prezzo di enormi sacrifici (loro): ma non è vero, mi spaventa molto di più l'incidente nucleare, che più passa il tempo più diventa probabile. Anche solo un'altra Chernobyl, ma con mezza Italia impazzita perché se gli dici che non possono più mangiare verdure a foglia larga come nel 1986 loro si metterebbero a divorare lattuga a colazione, nessuno può dirgli cosa devono fare! Oggi niente lattuga e domani i grilli, vi rendete conto? I grilli!
Sono pacifista, dicevo: lo sono sempre stato. Ogni volta che scoppiava una guerra la trovavo ingiusta e prevedevo che non sarebbe finita bene, e non c'è previsione più facile: nessuna guerra finisce bene. Ho anche avuto la fortuna di poter studiare, e questo spiega alcune mie idiosincrasie – ad esempio, ogni volta che sentivo dire che la Russia poteva essere sconfitta rapidamente, sentivo salirmi un brivido dietro la schiena, sarà che mi hanno fatto leggere Rigoni Stern? Tolstoj? Littel? Maledetta scuola gentiliana. Ma insomma la Russia è piena di fosse e le fosse sono piene di gente a cui qualcuno aveva raccontato che si può fare, è un gigante dai piedi d'argilla, una bella offensiva in primavera e via che si va. Bisogna anche ammettere che nessuno si immagina più di entrare a Mosca con la cavalleria: il sogno che va per la maggiore è la fuga di Putin, una rivoluzione colorata, dopodiché tutti amici come prima, salvo che prima non eravamo amici e da un punto di vista economico e geopolitico non ci sono le condizioni perché lo diventiamo. È per questo che si combatte? Il Regime change? Lo ribadisco: se funzionasse sarei il primo a essere contento. Per quanto sia un'idea profondamente neocon; per quanto non abbia funzionato dall'Iraq in poi; per quanto abbia riso in faccia per vent'anni a chi lo propugnava, se stavolta funzionasse non avrei pudore a festeggiare. Non posso fare a meno di notare che fin qui non ha funzionato e viceversa, potrebbe aver contribuito a cementare un regime che comunque non coincide con la permanenza al potere di un singolo uomo (caduto Putin potrebbe arrivarne uno peggiore, e meno esperto).
Sono pacifista ma so benissimo che a questo punto la pace è molto complicata. Sta arrivando la primavera ed entrambi gli eserciti hanno controffensive lungamente programmate. I giornali poi ci diranno che la controffensiva russa ha deluso le aspettative dei generali mentre quella ucraina è stata rapida e sorprendente – non dico che non sarà vero, ma in ogni caso ci diranno così, perché è quello che dicono i giornali italiani in questi casi, nel 2023 come nel 1942. In ogni caso la guerra potrebbe durare ancora a lungo, come tutte le guerre che passano in quella zona. Uno dei motivi per cui i negoziati vanno a rilento è che un cessate il fuoco, a questo punto, sembrerebbe una sconfitta per entrambi. Che i russi stiano perdendo lo avete sentito dire da più parti e non credo sia necessario ripetere il perché: all'inizio Putin pensava di arrivare a Kiev, persino da Kherson ha dovuto sgomberare, ecc. Molto più difficile risulta ammettere che anche gli ucraini non stanno vincendo: che malgrado gli sforzi e il prezzo pagato in vite umane (un prezzo che nessuno quantifica con precisione, ma supera senz'altro i centomila) il territorio difeso dall'esercito ucraino è oggi meno esteso che un anno fa. A Mariupol ci sono i russi: è vero, non è quello che si aspettavano; inoltre per prenderla hanno dovuto ridurla in un deserto di macerie. Ma la regione chiave dell'industria estrattiva ucraina è occupata dai russi, che la difendono più saldamente oggi che un anno fa – magari tra un mese sarà tutto diverso, ma oggi per quanto ci è dato vedere la situazione è questa. Abbiamo sostenuto gli ucraini con armi e aiuti; abbiamo ospitato i loro profughi e li abbiamo incitati a combattere: hanno combattuto e hanno perso terreno, e non siamo sicuri che lo recupereranno mai. Dopodiché bando al disfattismo, poteva andarci peggio, le bollette non sono così salate, ai produttori di armi si starà svuotando qualche magazzino, forza Ucraina.
Morire per il Donbass sì ma quanto
21-04-2022, 03:00democrazia d'esportazione, guerra, Russia-UcrainaPermalinkDubbi dello spettatore occidentale
15-04-2022, 00:28Russia-UcrainaPermalinkLo spettatore occidentale è perplesso. Le emozioni lo tradiscono, la razionalità non lo aiuta, anche la memoria a volte gli è d'impiccio. È chiaro che questa non è la solita guerra in un teatro lontano: stavolta è diverso, è tutto molto più vicino e su una scala più grande. Questo lo spettatore occidentale lo capisce, ma si ricorda anche di esserselo sentito dire tante altre volte. La guerra fa paura, è uno spettacolo ipnotico e osceno ma soprattutto surreale: un giorno una città esiste, un mese dopo è rasa al suolo, gli abitanti scappati o schiacciati per motivi che tutti cominciano a considerare logici e inevitabili, ma lo spettatore occidentale no. Qualcosa non va, qualcosa dovrebbe essere fatto per evitare tutto questo, qualcuno dovrebbe saperlo, qualcuno dovrebbe dircelo e non lo fa. Lo spettatore odia la guerra, ma soprattutto odia sentirsi fregato: d'altro canto è uno spettatore, che altro può fare a parte sedersi, guardare e lasciarsi fregare.
Lo spettatore occidentale si domanda se non sia in parte colpa sua (e dell'Occidente in generale). È una reazione tipica, prevedibile: mette insieme quasi tutto quello che l'Occidente ha prodotto: c'è dentro Kant e Marx e Freud, per restare agli strati più superficiali: più sotto una coltre spessa di senso di colpa coloniale (qualsiasi cosa succeda nel mondo è colpa nostra) che dovrebbe occultarci il sottostante senso di superiorità coloniale (qualsiasi cosa succeda nel mondo l'abbiamo cominciata noi); più in profondo si intravedono ancora Cristo e Aristotele. Scoppia una guerra da qualche parte: possibile che non l'abbiamo causata noi, coi nostri peccati di pensiero, parola, opera, omissione; semplicemente esistendo in un'oggettiva condizione di privilegio? Un dittatore ordina l'invasione di un Paese confinante, certo, sembra tutto abbastanza chiaro, ma guardiamoci dentro: non l'avremo provocato in qualche modo? Dopo averlo magari illuso, coccolato – quanti errori abbiamo fatto nei suoi confronti, e ora non dovremmo far finta di non vederli, dovremmo raccontarci che è perfido per natura?
Nella sua forma più immediata e inconsapevole, questa reazione si chiama razionalizzazione: che bel paradosso. Significa che ogni cosa assurda, guerra compresa, dev'essere rimasticata fino a prendere una forma ragionevole: ma anche che ogni cosa che apparentemente non dipende da Me, per quanto immensa e indescrivibile, dev'essere infilata in un imbuto lunghissimo che prima o poi ne distilli almeno una goccia che il mio individuale senso di colpa possa assorbire. Putin bombarda Kiev, e io gli sto comprando il gas per il mio scaldabagno: sono un mostro. Ma non basta, sto persino vendendo armi all'Ucraina: non abbastanza perché respingano i russi, ma abbastanza perché la guerra si protragga fino alla trasformazione di un popoloso Paese europeo in un altro Afganistan. È la cosa giusta da fare?, si domanda lo spettatore occidentale: come se davvero qualcuno gli avesse chiesto un parere o addirittura un permesso per comprare gas e vendere armi. Razionalizzare è anche un modo per illudersi di non essere uno spettatore: non in mio nome, dice. Se davvero vivo nel mondo libero (grazie alla Nato), perché non dovrei essere libero di criticare le scelte della Nato? Se davvero ho la libertà di dire che due più due fa quattro, perché non posso usarla per dire che un tiranno paranoico in difficoltà, più una valigetta nucleare, nel medio lungo periodo causano una catastrofe? Difendere l'Ucraina è una bella cosa: trasformarla in una steppa di rovine già sembra meno bello; farlo nella speranza che Putin ne venga travolto non sarà l'ennesima fantasia americana di regime change, una di quelle cose che provano a fare da vent'anni e il risultato è sempre peggiore della situazione di partenza?
La risposta potrebbe anche essere "no": ma lo spettatore occidentale queste domande vorrebbe almeno continuare a porsele. È un po' il senso di vivere in occidente piuttosto che altrove: dovrebbe esserci spazio per il dubbio, un minimo di margine per chiamarsi fuori (la libertà implica una coscienza, la coscienza richiede di essere lavata). Ma ecco, pare non ci sia un modo di farlo senza passare per fessi o essere additati come collaborazionisti. Bisognerebbe essere molto bravi ed equilibrati e questo è un altro problema, che a quanto pare nessuno più lo è. Chi prova a mostrarsi dubbioso nei talk si trasforma ovviamente in una macchietta, un Goldstein da esibire a intervalli regolari quando scoccano i due minuti d'odio. Chi si lascia intervistare dai giornali italiani (giornali che anche in tempi più semplici non hanno mai avuto rispetto per i virgolettati) cade nei più vieti trabocchetti retorici. Non aiuta certo il prosperare sui social di putiniani ruspanti, un po' volontari un po' alla giornata, tutti rigorosamente fuori dal coro anche quando dicono tutti in simultanea le stesse cose.
Intanto, a un clic di distanza, gli atlantisti si scatenano, ormai sono alla caccia all'uomo. Vent'anni di frustrazioni, di armi di distruzione di massa che non si trovavano e democrazie malamente esportate, finalmente possono liberarsi in una scossa di energia che rianimerebbe il cadavere di Joseph McCarthy, anzi forse lo ha rianimato. Una tabella ritagliata da un articolo pubblicato su Limes è sufficiente per denunciare il putinismo della redazione tutta; una bandiera disegnata a rovescio, in prima pagina sul Corriere, è quanto basta per dichiarare l'ANPI intelligente col nemico. Questo è più grottesco del domandarsi se Putin non l'abbiamo provocato noi, ma ormai passa in fanfara, come cosa naturale: dopo due anni di pandemia non siamo più abituati a tollerare opinioni diverse dalle nostre. Bisognerebbe ricordarsi che le opinioni non ci mandano in terapia intensiva – non in questo caso, almeno. E che tutto questo setacciare i feed dei nostri avversari preferiti alla ricerca di affermazioni da ritagliare ed esibire in quanto imbarazzanti, tutta questa corsa al dossieraggio, ecco, non salverà la vita a un solo sfollato ucraino: non è un modo per aiutare a liberarli; al massimo per liberare noi stessi da qualcosa che ormai non sappiamo nemmeno più cos'è. Potrebbe essere il dubbio, appunto: bisogna farlo emergere, lasciare che si incarni in un pagliaccio televisivo, e poi condannarlo in effige. Lo spettatore occidentale ricorda vagamente di un tempo in cui le cose non funzionavano così, in cui manifestare i propri dubbi era una pratica apprezzata, indizio di apertura mentale, disponibilità al dialogo, capacità di riconoscere i propri errori. E tante volte si esagerava, si cercava di dialogare con gente in malafede e si insisteva a cercare i propri errori negli errori evidentemente altrui. Ma a quanto pare da qui in poi succederà sempre meno, anche in occidente.
Vogliono sapere chi è il Buono (i ragazzi)
16-03-2022, 02:25Russia-UcrainaPermalinkI ragazzi vogliono sapere se ha ragione Putin piuttosto che Zelensky, e se i russi sono i buoni e gli ucraini i cattivi. Le cose sono più complesse ma i ragazzi vogliono sapere questo, e fino a una certa età non hanno torto. Ne sono abbastanza convinto. Per capire le cose complesse devi prima averle studiate semplici. I ragazzi vogliono sapere chi ha cominciato: non puoi ogni volta ripartire da Pietro il Grande o da Ivan il Terribile. Vogliono sapere chi è il nazista, e quando scoprono che ce n'è da entrambe le parti ci restano male. Perché sono ragazzi. Ed è giusto che siano così.
Ma è giusto anche crescere. E un sacco di gente qui sopra dovrebbe farlo. Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Da quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. Questo è Paolo di Tarso, dalla prima lettera ai Corinzi, che forse ha fondato il Cristianesimo ma era anche un infiltrato del Sinedrio, o più probabilmente dei Romani, per dire quanto siano complicate le cose. E subito soggiunge: adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro. Questo è essere adulti: trovarsi davanti a uno specchio – e quindi, tra le altre cose, ingombrati dalla nostra stessa figura che ci impedisce di capire le cose interessanti sullo sfondo: il nostro cosiddetto punto di vista è anche il nostro limite, l'orizzonte insuperabile. Certo, Paolo un modo per superarlo sosteneva che lo avremmo trovato. E siccome parla di uno specchio, viene da pensare che il suo Regno dei Cieli ci avrebbe colto alle spalle: all'improvviso ci saremmo voltati, e avremmo visto la realtà, simile a come la vedevamo specchiata ma anche completamente diversa – uno straniamento simile a quello che ci dà il nostro volto quando lo vediamo in videocamera invece che allo specchio – e soprattutto senza il nostro Io tra i piedi, finalmente affrancati dalla nostra Soggettività, dai nostri desideri, dalle nostre paure, un giorno noi avremmo visto il mondo com'è davvero, come i ragazzi pretendono di vederlo.
I ragazzi possono anche accettare che esistano diverse narrazioni: che i russi la raccontino in un modo e gli ucraini in un altro. Però poi vogliono sapere qual è quella vera. Non gli interessa Pirandello, non li appassiona Rashomon, loro pretendono l'Oggettività e se gli chiedi: esiste questa classe quando non ci siete dentro? propongono di accendere la webcam. L'eterogenesi dei fini è molto al di là del programma di terza media – le avessero trovato un nome più sexy chissà, ma io stesso comincio a sbadigliare appena dico eterogenesi.
Parlando di specchi (e di voltarsi all'improvviso) mi è venuto in mente Cartesio. Almeno una volta all'anno mi piace raccontare la storia di Cartesio che a furia di dubitare di tutto, scopre di non avere nessuna prova per sostenere che esista alcunché: tutto potrebbe essere stato creato da un demone un istante fa, ecco, questa cosa fa sempre il suo porco effetto perché anche oggi alla fine i ragazzi stanno crescendo a pane, bufale e antibufale, ogni tanto rivelano una propensione ormai istintiva al debunking, qualsiasi cosa gli racconti potrebbe essere falsa e alla fine il dubbio cartesiano non è che il punto estremo a cui tende ogni complottismo e ogni debunking: tutto quello che sappiamo è falso; il demone ora si chiama Bill Gates o George Soros ma il suo mestiere è più o meno lo stesso. E l'unica via di uscita sembra ancora quella scoperta da Cartesio, che se devo essere onesto mi è sempre parsa un cunicolo fragilissimo, ma tant'è: Io Penso.
Potrei essere una gelatina in fondo al mare, uno schiavo in una caverna, un servo sciocco dei potenti della terra, ma qualcosa sto pure pensando. Leggo storie, le confronto, alcune mi sembrano più verosimili perché col tempo ho sviluppato un gusto per la verosimiglianza, un senso per i rapporti causa effetto, alcuni trucchi che di solito mi danno soddisfazioni (ad es. se c'è chi parla di sesso e chi parla di economia, di solito ha ragione chi parla di economia: insomma è più facile che questa guerra si faccia per un gasdotto che per il gay pride. Ma potrei sbagliarmi). Tutto questo l'ho sviluppato perché ho studiato storia, sin da bambino. E all'inizio l'ho studiata molto semplice, su libri con tante illustrazioni, perché ero bambino. Ma le illustrazioni erano molto belle, la storia era ben raccontata, e oggi eccomi qui. Vedo gente intorno a me che non riesce a staccarsi dallo specchio: credono di vedere la Russia e l'Ucraina, e perfino la Crisi dell'Occidente – secondo me si stanno guardando i brufoli del naso. Ma come posso dirlo? Forse che non ho anch'io il mio bello specchio davanti? Sì, e infatti i miei brufoli li vedo benissimo: ho imparato a strizzarli e anche che nella maggior parte dei casi è meglio ignorarli, un giorno se ne andranno o forse no, ma comunque non sono interessanti. Come faccio a sapere che quel che vedo io è più oggettivo di quel che vedono tanti altri? Ragazzi, mi dispiace, non posso saperlo. Posso solo leggere, informarmi, ascoltare più campane possibili, e poi.
E poi devo scommettere.
Ovvero, no, non sono obbligato. Posso anche aspettare e vedere come va a finire. Ma non lo trovo sportivo, ecco. La storia che ho studiato è piena di gente che si è guardata intorno, ha fatto un po' di calcoli, e poi si è buttata. Non sempre ci hanno preso, è il senso del gioco. Io non ho le responsabilità di una Giovanna d'Arco o di un Churchill, ma da che pulpito potrei mai giudicarli, se non provo qualche volta a buttarmi anch'io? Vivere nella storia significa buttarsi, ogni giorno è l'otto settembre, le informazioni non sono mai complete, chi ti spara addosso non è necessariamente quello a cui dovresti sparare tu. Senz'altro posso nascondermi in un angolo, continuare a leggere storie su storie e aspettare che arrivino i vincitori a bruciare quelle dei perdenti. Un sacco di gente ha sempre fatto così, e un'altra cosa che la gente fa è eliminare i documenti imbarazzanti. Sarà interessante, tra qualche tempo, verificare come si riposizioneranno i sostenitori di Putin, se Putin perde. Oppure vincerà, e in quel caso sarà interessante vedere come mi riposiziono io. So benissimo che nessuna delle due parti ha il 100% di ragione, lo 0% di torto. So persino che "ragione" e "torto" non sono categorie storiografiche. Io però qualcosa ai ragazzini lo devo dire, e gli dico così: studiate, leggete il più possibile, quando qualcuno vi sembra molto convinto andate a cercare qualcun altro che sembra molto convinto della tesi opposta. Imparate anche a riconoscere in voi stessi un limite, perché se la fuori c'è gente che la racconta esattamente come vi piace, non significa che conoscono meglio la storia; più probabilmente conoscono meglio voi e verificate subito se non vogliono vendervi qualcosa; e a parte questo, per quel che mi riguarda, dopo aver lungamente studiato e ponderato, mi prendo la responsabilità di dirvi che questa è una guerra imperialista e che la Russia non ha alcun diritto di devastare l'Ucraina. Almeno questo è quel che penso io: voi studiate e poi ditemi se ho ragione. Io posso sbagliare e non ho idea di come andrà a finire.
Ma sono contento di avervi mostrato il dottor Zivago all'inizio dell'anno, perché ho appena letto che i russi stanno scavando trincee intorno a Kiev (chissà se è poi vero) e mi è venuta in mente una delle scene che vale il film intero, il momento in cui ai soldati si rompono gli stivali, si rompono i coglioni e tornano a casa, dove c'è il nemico più serio: ecco, se potessi scegliere un finale, io indicherei questo.