Le 10 intercettazioni che meritavano (10-8)

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Ci hanno fatto indignare, ci hanno fatto ridere, ci hanno fatto sognare: poche cose ci hanno tenuto compagnia in questi anni come le intercettazioni. D'estate soprattutto – cosa sarebbe stata l'estate scorsa senza la D'Addario? l'agosto 2005 senza i furbetti del quartierino? Ambientali o telefoniche, le intercettazioni ci hanno fatto sentire un po' detective, un po' voyeur, un po' cittadini responsabili che s'informano sui difetti dei loro potenti, un po' sceneggiatori italiani che prendono appunti per una fiction ma poi gettono la spugna: tanto alla fine la realtà ci batte sempre.
È stato bello, bisogna dirlo. Berlusconi non era così terribile, finché potevamo dargli un'occhiata sotto i pantaloni. Ma ormai è tutto finito. Mentre aderiamo a tutte le proteste e le raccolte di firme del caso, noi della redazione di Leonardo abbiamo pensato di fare una classifica delle dieci intercettazioni che hanno lasciato il segno. Un modo per rileggerle o riascoltarle e magari scoprire che poche cose, giornalisticamente parlando, invecchiano bene come una buona intercettazione. Gli editoriali sbiadiscono, la cronaca stinge, ma quel che disse Berlusconi a Saccà è ancora lì, come scolpito nel marmo.

10. Abbiamo una banca!
Se la ricordano tutti così. In realtà secondo il Giornale, che pubblicò l'intercettazione nel gennaio 2006, Fassino disse a Consorte (Unipol): “E allora siamo padroni di una banca?”, per poi correggersi immediatamente: «Siete voi i padroni della banca, io non c’entro niente».
Ecco, dovessi spiegare il fascino delle intercettazioni, farei questo esempio: rubano l'anima. Per esempio, in questo lasciarsi andare (“siamo padroni!”) e rettificarsi subito (no, anzi, "siete voi i padroni", io no) c'è tutto Pietro Fassino, in tutto il suo contorcimento interiore. Lui magari voleva soltanto festeggiare con un po' di familiarità, ma poi il suo superego gesuita si ricorda che festeggiare è da sfacciati, e cerca di rimediare con una genuflessione non richiesta ("siete voi i padroni"); e intanto lascia ai paranoici (noi) l'impressione di saperne un po' di più: intuiva che lo stessero spiando? Violante si azzardò a dire che Fassino aveva usato il noi in senso dialettale, pare che i piemontesi lo facciano (noi al posto del tu? Violante? Ci prendiamo per fessi?)
È una delle intercettazioni meno sexy in assoluto; in compenso è una delle poche che forse ha davvero fatto Storia. Era la campagna elettorale del 2006; sembrava che il governo Berlusconi fosse agli sgoccioli, invece all'ultimo momento la Casa delle Libertà pareggiò con Prodi. Si parlò molto in quei mesi della sinistra uguale alla destra, che trescava con finanziarie e cooperative e addirittura pretendeva di possedere banche. Un temino sull'argomento lo scrissero tutti gli opinionisti di sinistra, penso di averlo fatto persino io. Qualche mese fa un manager milanese, Favata, ha confessato di aver consegnato personalmente l'intercettazione a Berlusconi, alla vigilia del Natale '05, ricavandone in cambio una promessa di “eterna gratitudine”, peraltro non onorata. A distanza di cinque anni Berlusconi continua a vincere le elezioni, Favata è sul lastrico, Fassino è stato completamente scagionato (Consorte no), e Bossi dichiara candidamente ai giornali che la Lega deve avere una banca. Qual è il trucco? Che in Italia puoi dichiarare ufficialmente qualsiasi cazzata. Diventa uno scandalo solo se la dici in un'intercettazione.

9. I furbetti del quartierino
L'espressione idiomatica più usata nel 2005/06, al punto da meritarsi una pagina di wikipedia. Dove si scopre la curiosa inversione semantica: il “furbetto del quartierino” per eccellenza è l'immobiliarista Stefano Ricucci, ma l'espressione (perfetta e ridondante il giusto per descrivere il provincialismo gretto dei nostri imprenditori) la coniò lui, al telefono, parlando delle manovre ostili di certe banche estere. L'espressione gli si è poi ritorta contro.
Io, lo confesso, ho un ricordo assai vago di tutta la faccenda. Era estate e ci stavamo perdendo da qualche parte in Normandia, ogni tanto riuscivamo a metter le mani su qualche vecchia copia della Repubblica, di quelle stampate in bianco e nero in un inchiostro che ci restava tra le mani. Ci stendevamo sulla spiaggia e leggevamo i dialoghi stentati dei potenti, e non li invidiavamo. Le uniche cose che ricordo un po' sono le affettuosità di Ricucci ad Anna Falchi, e di Gnutti alla sua Ferrari nuova. (A quei tempi anche l'intrusione nell'intimità di un palazzinaro ci sembrava qualcosa di rivoluzionario: a riascoltarle oggi, dopo aver sentito i consigli di Berlusconi a una entraineuse, le storielle dei furbetti ci farebbero tenerezza).

8. Imballati o sfusi, frega niente
Ma chi l'ha detto poi che servono i vip per appassionarsi a un'intercettazione. Quelle di Biutiful cauntri sono anonime e iperrealiste (forse a loro devono qualcosa gli sceneggiatori di Gomorra). L'audio è ottimo, la caratterizzazione dei personaggi impeccabile, l'accento perfetto, forse i dialoghi sono un po' telefonati, ma è il paradosso delle intercettazioni: se dovessimo scriverlo noi, un dialogo tra due imprenditori del nord che buttano tonnellate di veleno in una discarica illegale, non ce ne usciremmo con frasi stereotipate ed eloquenti del tipo “è stato fatto un accordo per non spaventare la popolazione, bisogna andare con i piedi di piombo”. Ma questi signori non stanno fingendo: stanno veramente avvelenando l'Italia, e quando parlano si permettono tutti gli stereotipi e che vogliono. “Però quello te lo tieni per te dopo il 16... se no vanno tutti i comunisti con bandiera rossa davanti”.

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la classe talebana non piace all'insegnante

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Primavera dei papaveri

Ma è solo Fassino, o stiamo diventando tutti scemi?

Probabilmente il peccato originale è stato chiamarla “missione di pace”. Ma a questo punto dovremmo saperlo tutti che si sparacchia un po’, in Afganistan. Che la vita, insomma, costa poco.

Però, come dire, siamo italiani. Siam convinti che non ci sia argomento abbastanza duro per noi. Parla e parla, e vedrai che ammorbidiamo anche i Talebani. Con un po’ di pazienza, un paio di salotti in tv, due giorni di dibattito, tre giri alla frittata, e vedrete che dopo Sircana e il trans riusciremo a cucinarci anche il Tavolo di Pace in Afganistan. Onorevole Fassino: il Tavolo di Pace in Afganistan? Coi talebani? Ma ha presente la situazione?

Mettiamola così. I talebani stanno a sud, ma anche a est. A nord, guerra tagiko-uzbeka permettendo, ci stanno i talebani. Ah, pare che siano anche a ovest. Insomma, alla nostra alleanza, c’è rimasta solo Kabul e periferia. È un assedio, per così dire. Per di più da un paio di mesi gli americani – che queste cose le studiano – se la stanno menando con la prossima offensiva di Primavera. Può anche essere una scusa per le future irradiazioni di uranio e fosforo, ma per quanto ne sappiamo le cose stanno così: ci hanno circondato e adesso ci attaccano. Come i Sioux a Little Big Horn.

Ma noi siamo più furbi di Custer, perché ci abbiamo Piero Fassino, noi! Che ha deciso che li invita al Tavolo della Pace! "Qualsiasi persona di buonsenso non può che essere d'accordo", ha detto. Eh, beh, certo, controllano due terzi del Paese e stanno per attaccare, vuoi che non accettino la proposta di Piero Fassino? Non sarebbe buonsenso.

E poi ci sono quelli che non sono d’accordo con Fassino, quelli che i talebani, al Tavolo della Pace, non ce li vogliono. Perché sono brutti e sporchi e cattivi, dei veri tagliagole. Eh, beh, certo, se la butti sui diritti umani, effettivamente... Luca Sofri si augura che i sequestratori di Mastrogiacomo siano arrestati. E anche questo, in fondo, è buonsenso. Voglio dire, non fa una grinza, no? Controllano due terzi del Paese? Chiamiamo la polizia che li arresti, così imparano.
Perché, non c'è una polizia, in Afganistan?
Ah, saremmo noi?
Ah.

È due giorni che ne parlano: tavolo-della-pace sì, tavolo-della-pace no. Quanto buonsenso, gente. Nessuno ancora ha provato a chiedersi cosa ne pensino i Talebani. Probabilmente se lo sapessero ghignerebbero alla grande, i Talebani, con quei denti che Mastrogiacomo ha trovato curati e bianchissimi. C’è un piccolo Paese a ovest della Turchia, dove i cani infedeli litigano se invitarci o no a un tavolo! Il 54% vuole e il 51% 41% non vuole. Non fa ridere?

No, non è solo Fassino: 54 + 41 = 95% di italiani un po' confusi. Siamo in armi in Afganistan da 4 anni e non riusciamo ad accettare che laggiù ci sia un nemico. Uno che al tavolo, con noi, non ha mai detto di volersi sedere. Probabilmente pensiamo che ci sia un bottone, da qualche parte. Lo premi e puf! Il nemico non c’è più. È diventato un simpatico signore che ha voglia di sedersi con noi. Che ci abbiamo tanto buonsenso.

***
Vien da dire: meno male che i giovani non vi ascoltano. E invece no. Qualcosa è arrivato anche ai ragazzini.
Stamattina in classe dovevo spiegare cos’è un Soviet. Non è molto difficile: è un’assemblea dove tutti parlano, e chi ha la voce più grossa spesso vince. La rappresentante ne ha approfittato per chiedere cinque minuti di discussione sull’Annuario. Devono decidere se fare la foto in costume. Bello, sì, ma che costume?

Qualcuno propone: personaggi famosi. Onde prevenire una gara a chi somiglia più a Paris Hilton, intervengo col vocione: guardate che Garelli resta Garelli anche se lo vestite da Brèdpitt. No, nemmeno un cartello con su scritto Brèdpritt lo farà sembrare meno Garelli.

“E allora ci vestiamo tutti da Talebani”.
“Non se ne parla nemmeno, no”.
“Ma prof, perchè?”
“Perché? Mi state chiedendo perché?”
“Sì, perchèèè?”

Perché no.
Perché se vi fate una foto conciati da Talebani finite in prima pagina sulla gazzetta, e ci finisco anch’io.
Perché non è uno scherzo, stavolta: c’è una guerra, e ci siamo anche noi.
Io non posso avere opinioni, ma questa non è un'opinione: è un fatto e basta.
Loro sparano ai nostri soldati.
Arrestano i nostri giornalisti e li scambiano coi loro parenti che noi abbiamo fatto prigionieri, perché loro sono i nostri nemici. Come posso spiegarlo più chiaro di così. Nemici.
Si finanziano col papavero, e voi avete studiato cosa si estrae dal papavero. Hanno fatto saltare la borsa mondiale degli oppiacei. Tra due ore sarete a casa e al tg vi diranno che hanno sequestrato un quintale di eroina afgana in Toscana. Un q u i n t a l e.

Ci sparano, ci sequestrano, ci bombardano di droga. Non vogliono fare la pace con noi. Non hanno mai detto di voler fare la pace con noi. Ci hanno circondato e forse in primavera ci attaccano.
“Ma prof, primavera è oggi”.
“Appunto”.
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- prima pagare

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Find the cost of freedom (buried in the ground).

Ma lo sapevano, i simpatici arancioni ucraini dell'anno scorso, che la Libertà tanto sospirata implicava pagare la bolletta del gas almeno due volte tanto? Probabilmente no. Adesso che l'hanno scoperto (proprio sotto il solstizio d'inverno), forse sono meno arancioni – e anche meno simpatici. L'Europa che l'anno scorso li appoggiava con tanta determinazione, si è sgonfiata al primo calo di pressione, e Putin ha vinto il negoziato. E noi cittadini del libero occidente? Continueremo a incoraggiare i nostri liberi, freddolosi amici ucraini con tante belle parole, consigli preziosi. Questi del Riformista, ad esempio.

La libertà ha un prezzo, no free lunch. Dovranno pagare l'energia a prezzi di mercato, diversificare i fornitori, riconvertire la loro industria. Non è una operazione che si fa in poco tempo, tanto meno va fatta sotto il bastone di Putin. Però non si scappa. Gli arancioni di Kiev, verso i quali continua ad andare la nostra simpatia e il nostro sostegno, debbono dirlo chiaramente agli ucraini e non gridare soltanto al grande complotto.


Notate: non è che gli ucraini devono preoccuparsi del "bastone di Putin". Però, siccome il bastone c'è, e funziona, "non si scappa". Ed è inutile gridare al complotto, perché questa è semplicemente la libertà secondo il Riformista: un libero mercato in cui i prezzi per ora li stabilisce Putin (che ha il libero bastone più lungo), e poi si vedrà.

Poi uno ha voglia a dire: sono tramontate le ideologie. E discutere così, per assoluti, di "Libertà", "Democrazia", "Cultura", "Cristianesimo", "Islam", che cos'è, se non purissima ideologia? Trentenne come sono, devo dire che questi discorsi mi circondano da sopra e da sotto; e non so dire se mi nausea di più la malafede dei vecchi o la dabbenaggine dei giovani. Ma i vecchi ormai la testa l'hanno fatta e finita: non mi resta che guardare in giù e avvisare: guardate che si sta parlando di nulla, qui. La Libertà con la "L" non esiste, non esiste la Democrazia, la Cultura è più delle volte un complesso mix d'ignoranze, eccetera. Tutta ideologia, per l'appunto: specchi per le allodole, sovrastrutture. L'unica cosa di cui abbia senso parlare è l'economia, per cui (vi prego) ogni volta che qualcuno vi propone esportazioni di democrazie, rivoluzioni pacifiche e liberali, o anche solo riforme e privatizzazioni e liberalizzazioni… voi, prima di dire di sì o di no, ponetevi l'unico quesito che valga la pena: chi paga? Per favore, non fate come gli ucraini, che ci hanno messo il cuore e si sono visti arrivare il conto un anno dopo.

E questo è un principio generale, che vale anche per il caso Fassino: prima di qualunque moralismo, di qualunque autocritica o passo indietro, fatevi una domanda semplice: ma chi lo paga, poi, Fassino? Chi dovrebbe finanziarlo? Non crediate che la risposta stia scritta nera su bianca da qualche parte: non è vero. A 15 anni da Mani Pulite noi cittadini non ci siamo ancora chiariti su come si debbano finanziare i partiti. Ma i partiti, nel frattempo, esistono: e costano. Il centrodestra una soluzione provvisoria l'ha trovata: si è messa a libro paga del riccone. Bene, bravi, anzi no, corrotti, buuh! Ma la sinistra, intanto? Dovrebbe campare d'aria e di gettoni di presenza? Un partito come i DS non è solo una consorteria di parlamentari e amministratori: sotto c'è una struttura, i quadri, il servizio d'ordine, le redazioni di giornali e rivistine che nessuno acquista ma che vanno scritte bene, per le rassegne stampa, e i redattori devono sapere anche l'inglese per scrivere no free lunch senza errori… e poi c'è da studiare una fuoriuscita per i mediocri, quelli che non ce l'hanno fatta e si sono persi lungo il cursus honorum (la settimana scorsa, su Diario (23/12/05, pag. 6), Deaglio ricordava i trascorsi di Sandro Bondi: Era il sindaco del Pci di Fivizzano, cittadina della Lunigiana. Una congiuretta di paese lo fece fuori e lui si rivolse al partito: avete lavoro per me? Sì, gli dissero, va’ a raccogliere polizze per l’Unipol a Pontremoli. Lui rispose: “È un umiliazione!” (Erano gli anni in cui Consorte rendeva forti le coop). E bussò a casa Berlusconi, che lo assunse).

…E last but not least ci sono le spese di campagna elettorale, col non trascurabile dettaglio che l'Italia è in campagna elettorale permanente da dieci anni; e che l'avversario, le regole, non le ha mai rispettate e mai le rispetterà, per definizione. Lui ha il quasi-monopolio del mercato pubblicitario, può tappezzare le città di manifesti stampati e incollati a prezzo di favore, e Fassino intanto che fa? Prendi anche solo un consulente all'immagine del calibro di Klaus Davi, l'uomo che ha portato Fassino da Maria De Filippi: chi lo paga, il conto di Klaus? I mangiatori di porchetta al Festival dell'Unità? Ma anche i Festival hanno un loro prezzo (sia detto per inciso che la generazione dei volontari di ferro, patrimonio inestimabile di friggitori di porchetta, non durerà in eterno, e forse neanche altri dieci anni). Per fortuna che c'è Unipol che sponsorizza. E quanto costa, all'Unipol, sponsorizzare il Festival dell'Unità? E chi decide dove termina la sponsorizzazione e dove comincia il collateralismo? Non lo decide nessuno. O se preferite, lo decidiamo adesso qui. Ma sì: proponiamo una legge che proibisca qualunque sponsorizzazione a qualunque evento di natura politica. La moglie di Cesare dev'essere al di sopra di ogni sospetto, e anche le cugine e le cognate fino alla settima generazione – non ha nessuna importanza se qui di fronte la moglie di Gneo Pompeo ha aperto un lupanare.

Quello che indispettiva tanto in Craxi, quindici anni fa, era quel tutti rubavano, tutti sapevano. Quello che oggi indispettisce in Fassino è quel gesuitismo di ritorno, quel mettere le mani avanti, abbiamo una banca, anzi no, scusa, non vorrei che gli intercettatori equivocassero, la banca è solo tua, mi informo solo per cultura generale. C'era della grandezza in quel mariuolo di Ghino di Tacco, c'era della spavalderia, c'erano gli anni Ottanta. Fassino invece è uno che non si può nemmeno dire che rubi, tecnicamente, ma comunque già se ne vergogna. Craxi – certo – era molto più facile da odiare. Fassino fa semplicemente cascare le braccia. Ma scusa, ti fai chiamare sul cellulare? Ti fai dettare le percentuali? E scriversi una mail, ordinata, criptata, no?

Sia Craxi che Fassino, in ogni caso, non hanno fatto che cercare a modo loro una risposta alla sola domanda che valga la pena: chi paga? Dice Prodi che bisogna tracciare nuovi confini. Perfetto, sono d'accordo. E a quella "massiccia maggioranza, di Italiani per bene (per bene, non perbenisti), di cittadini onesti (moralmente onesti e non moralisti)", propongo allora di tracciare il seguente confine: mettete nero su bianco quanto siete disposti a sborsare, per avere una politica non commista alla finanza. Unipol-BNL non deve finanziare la campagna elettorale? Perfetto: fate un prezzo voi. Quanto sarebbe disposto a dare, ciascuno di noi, per togliersi Berlusconi dai piedi e avere un partito solido, strutturato e "pulito"? Bando alle ciance e alle autocritiche: fuori i soldi. Prima pagare, poi democrazia. In Ucraina hanno fatto il contrario: a momenti finivano sottozero.
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Il Cattivo Supplente
(sì, è sempre Lui)

E io ti dico, Spoon River,
e dico a te, Repubblica:
guardatevi dell’uomo che sale al potere
e una volta portava una sola bretella.


Edgard Lee Masters, John Hancock Otis

A proposito di Mussolini, ho scoperto un’altra analogia con Saddam Hussein. La prima, famosa, era il pallino per le bonifiche: pare che quando lo abbiano tirato fuori dalla buca, una delle prime cose che abbia detto sia “come vi permettete di trattarmi così, io ho fatto le bonifiche, ecc.” (questo è Saddam, non Mussolini).

L’altra, notevole, è il bullismo. Un anno fa scoprivamo come Saddam Hussein fosse il terrore della scuola elementare di Tikrit; non da meno il giovane Benito. Quando dopo la Marcia su Roma i giornalisti cominciarono a salire a Predappio in cerca di materiale per i loro instant book, raccolsero testimonianze abbastanza eloquenti: “Un dscuréva; e pciéva!”, dicevano di lui i suoi coetanei (Per chi non fosse pratico: “Non discuteva: picchiava”).

Il fascismo, poi, nella versione littoria che meglio conosciamo, è una sorta di bullismo elevato a sistema politico: se la scuola tradizionalmente tenta di correggere il bullo (o almeno di allontanarlo…), la Milizia lo incoraggia, lo seleziona: così negli anni neri si potevano leggere biografie sull’infanzia del duce di questo tenore:

(Y. De Begnac, Vita di Mussolini, Milano 1936; citato in De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, 1965):
“provocatore, sempre desioso di fare a pugni, di gareggiare nella corsa e nella scalata degli alberi da frutto… che cerca la lotta per puro spirito agonistico e sempre vuol dominare, e quando vince vuol più del pattuito, e quando perde non vuol pagare la posta in gioco […]
La sua violenza e la sua volontà di dominio lo spingevano a battersi. Il pugno, il calcio erano le sue armi preferite. Si abituò presto al sangue altrui e al proprio. Provocato quasi mai, provocatore sempre…”


Un esempio per tutti i balilla d’Italia. (Non dovevano avere vita facile, i maestri, a quel tempo).

Il bello è che lo stesso Mussolini, dieci anni dopo i suoi exploit da bullo, cercò lavoro nelle scuole del Regno come maestro: con esiti disastrosi. Disastrosi per lui e per noi, perché a quel punto decise di darsi al giornalismo e alla politica…
La prima esperienza è come supplente in una scuola di Gualtieri, nel 1902: non andò malaccio, considerati i suoi 19 anni. In effetti fu scacciato per aver intrecciato una relazione con una donna sposata (con un marito sotto le armi). Ma la professione non doveva essergli piaciuta particolarmente, se preferì emigrare in Svizzera con la prospettiva di fare il manovale.
In Svizzera poi fece molto altro: il giornalista, l’oratore, l’organizzatore politico… avrebbe riprovato l’avventura dell’insegnamento soltanto nel 1906, a Tolmezzo (Udine). Per rendersi conto una volta per tutte che il mestiere non faceva per lui.

Sin dai primi giorni m’avvidi che la professione del maestro non era la più indicata per me. Avevo la seconda elementare, che contava quaranta ragazzetti vivaci, taluni dei quali incorreggibili e pericolosi monelli. Inutile dire che lo stipendio era modestissimo. Appena 75 lire mensili. Feci tutti gli sforzi possibili per tirare innanzi la scuola, ma con scarso risultato, poiché non ero stato capace di risolvere sin dal principio il problema disciplinare.
(Mussolini, citato sempre da De Felice).

Questo episodio vuole senz’altro dirmi qualcosa, ma non sono sicuro di cosa.
Da una parte, i “quaranta ragazzetti vivaci” sono il contrappasso perfetto per quel bullo che “voleva sempre dominare”… Certo, che se i ragazzetti fossero stati un po’ più buoni (e lo stipendio anche) magari avremmo avuto un dittatore in meno.
D’altro canto, il fatto che il futuro duce di trenta milioni d’italiani non fosse in grado di domare 40 ragazzini di seconda elementare, la dice lunga sulla difficoltà del mio mestiere. Un supplente fallito può sempre riciclarsi giornalista, politico, tiranno efferato: è un pensiero consolante. No. Inquietante. Volevo dire inquietante.

Dovevano passare ancora vent’anni prima che l’ex-bullo, ex-maestro, ex-socialista, cominciasse a riformare l’ordinamento dello Stato – e in particolare dell’educazione – su basi bullistiche. Ma perché lo fece? Lo fece perché anche lui da bambino era stato un bullo, o perché da maestro aveva capito che coi bulli bisogna venire a patti?

Domanda oziosa. La scuola non è la società. Ma la classe di scuola, come metafora della società, funziona sempre. Vedi ad esempio questo pezzo di ieri, su Macchianera, in cui si demolisce Fassino con una sola accusa, sleale quanto micidiale: avere un'aria da primo della classe:

Ciascuno di noi ha avuto in classe un fassino, a un certo punto della vita. Era quello allampanato, con il naso a proboscide, che fiero della sua scoliosi stava seduto al terzo banco, malgrado la statura, perché i randa delle ultime file non lo volevano.

Niente di personale, ma un tipo così non può fare "Il capo della cumpa":

Il capo della cumpa è un’altra storia. È uno che va o non va. Che si allea o non si allea. Che fa la guerra o non la fa. Anche perché di dubbi ne abbiamo già per i fatti nostri...

Uno come Lui, insomma. (Lui?)

***

Rimane questo fatto curioso: spesso i fondatori dei regimi totalitari sono persone di origini relativamente umili: se non proletari, comunque borghesi spiantati, come il pittore-imbianchino Hitler o il maestro Mussolini. L’anno scorso lo avevamo chiamato Paradosso di Otis-Findlay, dai protagonisti di due poesie di Edgard Lee Masters (le trovate ancora qui).

Questo è un grosso problema, che dovrebbe tormentare tutti gli esportatori di democrazia: di solito i regimi totalitari si sviluppano in nazioni che passano un po’ troppo velocemente dal medioevo alla modernità, dal feudalesimo al suffragio universale: Unione Sovietica, Italia, Germania, Spagna nel primo dopoguerra. Sudamerica, Iraq, Iran e altri Paesi in via di Sviluppo nel secondo dopoguerra. Cosa manca in questi Paesi? Forse il famoso ceto medio, a fare da camera di compensazione (in Germania c’era, ma era stato risucchiato dalla crisi).
È come la risposta a uno shock: la democrazia “delle opportunità” arriva prima della democrazia “dei diritti”: ma proprio i più bravi a cogliere questa opportunità (i migliori scalatori sociali) sono i più feroci a negarla agli altri. È quel tipo di dittatore che vince le elezioni e poi le abolisce.
In pratica, è il bullo: “che cerca la lotta per puro spirito agonistico e sempre vuol dominare, e quando vince vuol più del pattuito, e quando perde non vuol pagare la posta in gioco”.

E noi insegnanti, noi buoni e cattivi supplenti, in realtà a cosa serviamo? A crescere buoni cittadini, o a tener buoni i tiranni prossimi venturi? È l’interrogativo delle due meno un quarto.
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Fermati, Piero

(ma tu non udisti, e il tempo passava...)

Io temevo, andando a Roma sabato, di annoiarmi un po’: tanto ormai il copione della Grande Manifestazione di Primavera lo conosco, e anche voi.
Ma non mi aspettavo quello che è successo.
Per prima cosa non mi aspettavo che un milione di persone scegliesse, come me, di sottoporsi a questa routine sfibrante (e se non erano un milione, non erano comunque molti meno, e non fa veramente differenza).
E poi non mi aspettavo di restare tre ore fermo in Piazza della Repubblica, perché… il corteo non partiva. Ma perché non partiva?
Per tutto ieri ho pensato a un problema di gestione della folla. Eravamo veramente troppi. Ma non poteva essere solo questo. Oggi forse sono riuscito a capire il perché. Dal newswire di Indymedia

Il tir dei disobbedienti è stato fermo a piazza dei Cinquecento dalle 14 alle 16 (eppure all'appuntamento della manifestazione era quasi all'inizio del corteo) perchè il cordone dei Ds/Cgil messo a protezione e, soprattutto a far paura, voleva far entrare lo spezzone del "partito" e far finire in coda tutti gli altri; a questo punto "anch'io con la tessera in tasta dei Ds" sono andata a fare un cordone contrapposto al loro per far passare il tir dei disobbedienti ed l'autobus di Global Tv! Dal loro Cordone è volato qualche schiaffo ma nessuno ne parla perchè il nostro cordone è stato abbastanza responsabile da chiudure comunque via Amendola per far passare il corteo che seguiva il normale tragitto della manifestazione (senza fare i "furbi" come invece etichetta Fassino tutti gli altri!!).
Quando il cordone dei disobbedienti si è tolto perchè il loro spezzone era passato, e stavano già passando anche gli universitari, i Ds si sono inseriti alla fine del corteo. Ora se sono stati presi a parolacce e al lancio lattine o aste "di plastica" di bandiere subito dopo è una conseguenza dei fatti "da loro stessi" architettati (hanno voluto forzare la mano per dire c’ero anch’io!


Come sono andate le cose non lo sapremo mai: come in molti incidenti, credo che sia lecito ipotizzare un concorso di colpe: alcuni disobbedienti (o simili) aspettavano Fassino al varco, e Fassino è stato abbastanza impudente da mostrarsi proprio a quel varco lì. Il che spiegherebbe l'enigmatica frase riportata stamattina da Repubblica a pag. 3, "Infilarci qui è stato un azzardo fottuto": no, non sono i Guerrieri della Notte, bensì un tizio del servizio d'ordine Diesse (ma siccome la Repubblica è un giornale moderno, e i DS sono un partito moderno, si parla di un "responsabile dei bodyguard").

Il problema, poi, non è soltanto chi abbia menato chi, ma chi abbia provocato chi. Ed è curioso che i DS, partito di massa (almeno nelle intenzioni) con un robusto servizio d'ordine, riescano a passare per vittime sacrificali. Ne è perplesso pure Paolo Flores D'Arcais, noto estremista anarcoinsurrezionalista:

I giornali di oggi danno eguale rilievo alla manifestazione “per la pace e contro il terrorismo” e alla aggressione dei “disobbedienti” contro Fassino. Verrebbe da notare che i manifestanti erano oltre un milione e gli aggressori qualche decina. Diciamo pure un centinaio: sarebbero lo 0,01%. Un tasso di stupidità statisticamente fisiologico in qualsiasi iniziativa anche la più perfettamente riuscita. Dare alle due notizie lo stesso peso vuol dire, perciò, scambiare il giornalismo con la manipolazione propagandistica. Ma la seconda notizia – l’aggressione – era davvero tale? Perché a leggere riga per riga le cronache, mettendo a confronto quelle delle testate più diverse, si riesce ad enucleare solo questa sequenza di fatti: Fassino viene contestato esclusivamente sul piano sonoro-verbale (fischi e lazzi) dunque assolutamente nella norma. Il suo servizio d’ordine reagisce in modo eccessivo, passando ai “fatti” e spedendo a terra qualche manifestante, compresa una ragazza giovanissima. Qualche decina di minuti dopo che il segretario Ds ha abbandonato il corteo, passano inammissibilmente “ai fatti” anche alcuni isolati manifestanti, gettando qualche asta di bandiera (di plastica sottilissima) e qualche bottiglia (vuota e di plastica sottilissima, o di leggerissima “lattina”).

In queste ore ho letto diversi predicozzi ai disobbedienti: in linea di massima mi associo, non si fa così, bricconi, e insomma, ecc.

Ora però vorrei fare un discorso più in astratto. Mi sbaglio a dire che una cosa del genere può succedere soltanto in Italia, o meglio, soltanto in una manifestazione della sinistra italiana? Com'è possibile che il partito-massa (nelle intenzioni), il primo partito della sinistra, non riesca a scendere in strada in occasione di un corteo che mette insieme tutti, dalle suore agli anarchici? Possibile che sia tutta colpa di Caruso? Accidenti, però, 'sto Caruso, che organizzazione.

Ora, il problema è che nei giorni scorsi Fassino si è comportato proprio con la supponenza che Caruso e altri gli hanno rimproverato. Si è auto-invitato, ha preteso di cambiare la piattaforma, non ce l'ha fatta, ha aderito all'aborto di contro-manifestazione indetto da Berlusconi (un piccolo tranello a cui ha smesso di credere per primo lui stesso) e alla fine ha preteso di scendere in piazza come se nulla fosse successo. Ha ragione il signore, è stato un azzardo fottuto.

Quel che butta giù è il paragone con la Spagna. Là c'è un popolo di sinistra che nel momento di crisi ha fatto quadrato intorno ai partiti della sinistra, e in particolare intorno al candidato del Psoe, Zapatero. Ora, non è che la posizione di Zapatero sulla guerra sia limpida e cristallina: via dalla guerra, sì ma non subito, anzi, restiamo ma sotto l'Onu… finché qualcuno non fa notare che l'Onu ci sarebbe già, almeno nelle intenzioni. Ma l'opinione pubblica spagnola (ed europea) è disposta a perdonare a Zapatero questa e altre confusioni: quello che importa è che Zapatero non sia un filo-Bush, e che la linea della Spagna, in un qualche modo dovrà cambiare. Il ritiro delle truppe, l'egida dell'Onu… i "se" e i "ma"… sono dettagli. Importanti quanto si vuole, ma dettagli.

E torniamo in Italia. Qui vediamo che i "se" e i "ma" diventano imprescindibili, e che Fassino, che sull'Iraq ha più o meno la stessa linea di Zapatero, non riesce neanche a fare cinquanta metri di corteo senza essere fischiato. Solo dai disobbedienti? No. Da tutti. Di chi è la colpa?

Credo che la colpa non sia in particolare di Fassino, che sconta un sacco di errori non suoi.
Credo che la colpa sia un po' di tutti noi, che non riusciamo ad andare d'accordo, e soprattutto dei vertici dei DS. Cioè di tutti i DS, visto che si tratta di un partito che da anni, ormai, rappresenta soltanto il suo apparato.
L'aggressività, la profonda irritazione, il prurito alle mani che fanno venire i vertici dei DS in piazza, non sono un raptus collettivo, ma il risultato di una lunga storia di incomprensioni. Diciamo pure che i DS continuano a scontare l'errore di aver chiesto a tutti gli italiani di non andare a Genova il 21 luglio 2001: ma non è stato l'ultimo caso. Negli anni successivi molti elettori si sono abituati a scendere in piazza ignorando le indicazioni dei loro vertici. Ma lo scollamento data da un sacco di tempo prima. È il destino di un partito che ha rinnegato la sua vocazione (essere il grande partito della sinistra italiana) per andare in cerca di una manciata di voti al centro. Questa idea, che poteva ancora essere giustificabile qualche anno fa, non lo è più da quando a destra dei DS c'è un partito dalla fisionomia robusta e dall'identità riconoscibile: la Margherita. Ora forse i DS dovrebbero smettere di contendere i voti al loro alleato più affidabile, e cercare di rosicchiarli altrove: a sinistra. Dando un'immagine di sinistra. Votando in parlamento come deve votare un partito di sinistra. E perché non lo fanno?
Questo è il grande mistero. La prima ipotesi che mi viene in mente (che non lo facciano perché siano troppo rincoglioniti dallo pseudopotere che ricavano dalle amministrazioni locali e da un po' di poltrone in parlamento) la rigetto, in quanto inverosimile.

Per Fassino le cose sono molto più semplici: è tutta colpa di Cossutta, Rizzo, Occhetto, Gino Strada... "Ora basta", dice, "qualcuno dovrà cambiar registro". Anvedi Fassino…
A Roma si fa una manifestazione di un milione di persone o quasi: il misero spezzone blindato di Fassino non riesce per ore a trovare un punto dove partire senza essere contestato, e per Fassino è tutta colpa di tre persone elette in qualche "collegio sicuro". Dove si capisce che per Fassino il sentimento popolare non esiste proprio: è fuori dalla sua forma mentis. Per Fassino può esistere soltanto una manciata di parlamentari che sobilla la folla. Altrimenti a nessuno verrebbe in mente di fischiare un dirigente DS. Scherziamo?

Non viene nemmeno in mente, a Fassino e ai suoi, che se in Italia ci fosse un grande partito di sinistra, aggregante e non di apparato, personaggi come Cossutta, Rizzo e Occhetto non avrebbero nemmeno ragion d'essere. Perché non sono sobillatori, ma cani sciolti che fiutano il malcontento e cercano di cavalcarlo. Mostrando, almeno in questo, più fiuto dei vertici DS.

(Quanto a Occhetto, l'ho visto a Pza Repubblica e non stava sobillando: cercava disperatamente di infilare il suo striscione tra Attac e quei pirla del PMLI).

Personalmente, mi dispiace per come sono andate le cose, e mi unisco alla ferma condanna… per quel che servono i "personalmente". Per quel che servono le "ferme condanne". Storicamente, quando un partito di massa non riesce nemmeno a stare in piazza, ha già smesso di essere un partito: resta un cartello di professionisti che puntano a spartirsi un po' di ministeri col portafoglio. Ne abbiamo visti tanti, tanti ancora ne vedremo. Il grande partito della sinistra italiana è tutto da fare. Se qualcuno dei DS ci si vuole mettere di buona lena, è benvenuto.

Sullo stesso argomento: Michele Marziani.

Le manifestazioni se le dovrebbero organizzare ad hoc pagando anche degli interinali per andarci... (Anonimo su Indy)
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Noi vagamente intuiamo che la nostra vita potrebbe cambiare ogni giorno, compreso domani, 10 gennaio ’03.
Ma per ora è molto più plausibile che si tratterà di un giorno come un altro. I giornali parleranno di Cofferati che replica a Fassino, e in tv Fassino ri-replicherà a Cofferati. Qualcuno, in mancanza di migliori argomenti, proporrà una riforma costituzionale a caso. Magari Berlusconi racconterà una barzelletta, di cui ci ricorderemo per mesi. Ci sarà qualche morto in Cisgiordania e qualche altra calamità nel resto del mondo. E la vita continuerà, senza pretese.
O forse no.

Per noi cittadini europei il 10 gennaio ’03 è il termine ultimo per dare il proprio parere sulla privatizzazione indiscriminata dei servizi pubblici. Lo sapevate? No, scommetto di no.

Magari qualche giorno fa avete sentito dire che è stato liberalizzato il riscaldamento, e non aveva l’aria della notizia che vi cambia la vita. D’ora in poi le società del gas sono libere di farsi la concorrenza per scaldarvi la casa. Caleranno le tariffe? Forse (quanto avete risparmiato in bolletta da quando hanno privatizzato la Telecom?).
E forse taglieranno i costi, licenzieranno qualche tecnico per assumere precari, smetteranno di servire quel paesino di montagna perché è uno spreco, e gli sprechi si tagliano: è l’economia.
O forse no. Non è che tutte le privatizzazioni debbano finire per forza come le ferrovie britanniche, ma è giusto chiedersi: chi ha deciso di liberalizzarci il gas? Siamo stati noi italiani? I nostri rappresentanti in Parlamento? Ma ce ne avevano parlato?

No. Non tanto. I nostri politici sanno quello che c’interessa: in primo luogo, i dibattiti sulle riforme, i premierati e i presidenzialismi. Poi le grandi opere: la quarta corsia dell’Autosole, per non sollevare l’accelleratore da casello a casello. Il ponte sullo Stretto. E così via. Il gas… non è un argomento che appassiona gli italiani. Del resto per il gas (e la luce, e tante altre cose), il parlamento si attiene alle direttive della Commissione Europea.
La Commissione Europea, dal canto suo, si attiene alle indicazioni del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Quanto al WTO, non è ben chiaro a chi si attenga. È un’istituzione internazionale di dubbia democraticità, nata nel 1994, che non ha mai fatto mistero di voler liberalizzare il mercato dei servizi. Per “Servizi” intendiamo Luce, acqua, istruzione, sanità, trasporti, e altri 160 settori economici che insieme valgono un terzo del commercio mondiale, più di un migliaio di miliardi di fatturato.
Un bel bocconcino, da immettere nel Mercato Globale, proprio adesso che langue. A chi giova? A noi cittadini-utenti? Forse, chissà. Ma sicuramente gioverà alle multinazionali (64 tra le prime 100 multinazionali nel mondo si occupano di servizi).

Finora la liberalizzazione globale dei servizi non c’è stata, per una serie d’impedimenti, tra i quali il malcontento popolare. Forse vi ricordate solo le vetrine rotte, ma a Seattle si protestava proprio contro i disegni del WTO.
Sono passati quattro anni, ormai, dal naufragio del famigerato Accordo Multilaterale degli Investimenti (MAI). I vertici WTO non si svolgono più in città affollate, i delegati preferiscono posticini appartati, come Doha (Qatar).
È in questi rifugi fortificati, al riparo dai teppisti e dei giornalisti (che senza teppisti non si scomodano) che dalle ceneri del MAI è nato il GATS.

In italiano GATS si direbbe Agcs: accordo generale sul commercio dei servizi. È una trattativa complessa, che parte nel 2000 e dovrebbe terminare nel 2004. Ogni membro del WTO ha la possibilità di chiedere qualcosa, ma alla fine dovrà concedere qualcos’altro. Al grande round l’Italia non partecipa da sola, ma fa squadra con l’Unione Europea.
Bene. E cosa chiede l’Unione Europea agli altri Paesi? Qualcuno lo sa? E chi l'ha deciso?
Ma soprattutto: cosa ha intenzione di concedere?

Credo che in quanto cittadino europeo dovrei essere al corrente di queste cose. Di più: dovrei aver partecipato alla decisione, perché l’Europa è una democrazia. È stato così? Qualcuno ha chiesto il mio parere?
La risposta è sì: qualcuno ha richiesto il mio parere.
Dal novembre scorso la Commissione Europea ha sottoposto al “pubblico” un cospicuo documento intitolato RICHIESTE DEI MEMBRI DELL'Organizzazione Mondiale del Commercio alla Commissione Europea E AI SUOI STATI MEMBRI RELATIVE AD UN MIGLIORE ACCESSO AL MERCATO PER I SERVIZI. Dove? Ma che domande, su internet! Di modo che tutti possano accedere più facilmente.
In cima Pasqual Lamy, Commissario al Commercio, si presenta:

Da quando sono entrato in carica, nel 1999, ho sempre cercato di operare all'insegna della trasparenza e di mantenere un dialogo permanente con tutte le parti interessate su tutte le questioni, più o meno fondate, sollevate dalla liberalizzazione del commercio […] Vi invito pertanto ad esaminare attentamente il presente documento e a comunicarci i Vostri commenti in proposito entro il 10 gennaio 2003.
Ma a chi sta parlando, Lamy? Chi sono le “parti interessate”? I cittadini d’Europa, i loro rappresentanti politici, la società civile, le ONG? Lamy non s’indirizza a nessuno. Curioso lapsus. (Nella versione inglese, le “parti interessate” sono gli stakeholders, “soci azionisti”).

Beh, in ogni caso non abbiamo scuse. Avevamo due mesi di tempo per leggere le 58 pagine di richieste e comunicare le nostre valutazioni a Lamy. Perché non le abbiamo notate? Forse perché i giornali parlavano di presidenzialismo e di Byron Moreno?

Chi ha avuto il tempo, ha notato qualche lacuna. Una macroscopica: mancano le richieste formulate dall’UE agli altri Paesi: sono 109. Non abbiamo il diritto di sapere quello che vogliamo, oltre a quello a cui dobbiamo rinunciare?

Il GATS è una cosa seria. Rivoluzionerà il rapporto tra pubblico e privato. Il modello è il mercato comune di Canada, USA e Messico, dove le imprese private possono citare in giudizio i governi che si attentino a privilegiare il loro servizio pubblico rispetto a un concorrente privato. Statisticamente, la giustizia dà torto al governo. Recentemente L’UPS ha denunciato le Poste Canadesi (teste Ralph Nader).

Ora vi chiedo una cortesia. Parliamoci chiaro: io non l’ho letto, il dossier di Lamy. Forse non ne sarei in grado nemmeno avendo il tempo. Ma ho la sensazione che quel tempo non ci sia stato concesso, e trovo che questo sia molto grave. Anche se fossi un fan sfegatato delle liberalizzazioni.
Per questo scriverò una mail a Lamy, manifestando il mio disappunto, e vi chiedo di fare lo stesso. Qui trovate un testo già pronto.

Poi potremo tornare alla nostra vita quotidiana, a Fassino che si lamenta perché tutti gli remano contro (nel frattempo due esponenti del suo partito fanno passare un emendamento che obbliga i Comuni a privatizzare gli acquedotti).
Torneremo a parlare di quanto sarebbe bello avere un presidente eletto dal popolo invece che dal parlamento -- come se cambiasse qualcosa, quando l'agenda dei nostri politici la compila il WTO.

E così il 10 gennaio passerà, come passano tanti altri giorni, senza cambiarci la vita.O forse sì. Non lo sapremo mai -- ma togliamoci il pensiero.
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