Bonini vs Bonini

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Io ora farò una cosa facile e antipatica. Affiancherò su due colonne due articoli di un giornalista di Repubblica che stimo, Carlo Bonini, scritti a cinque anni e un mese di distanza: in mezzo c'è tutto l'iter giudiziario del caso Rignano Flaminio.
Lo farò per un ovvio spunto polemico: in quei giorni Repubblica sposò tesi colpevoliste che furono condivise anche dal famoso ceto medio riflessivo, che certe volte potrebbe riflettere un po' più a lungo. Ma lo farò anche per una curiosità umana. Tra un pezzo e l'altro c'è un'inversione a U che secondo me non deve essere additata come una vergogna. C'è qualcosa di eroico in un italiano che cambia idea, e in un giornalista che cambia idea, e Bonini è un giornalista italiano. Sarebbe ancora più eroico se volesse spiegarci come ha fatto a cambiarla: perché cinque anni fa la pensava in un modo; cosa gli ha fatto capire di essersi sbagliato, come si è sentito, come si sente adesso. Potrebbe essere una testimonianza importante per tanti Fonzarelli che il coraggio ancora non lo trovano. Ecco qui.

Pelouche, narcotici e "giochi" / così l'accusa racconta l'orrore

di CARLO BONINI (27 aprile 2007, dalla prima pagina)


ROMA - Le voci dei bambini - sedici - e i loro disegni. Il loro quadro psichiatrico. Cento pupazzi chiusi in sacchi di plastica, ammucchiati nel ripostiglio di un terrazzo. Una piscinetta abbandonata in un giardino. Molecole di farmaci "neurologico-sedativi" ("clonazepam" e "diazepam") nei capelli di due bimbe. 

I referti medici dell'ospedale Bambino Gesù. "Formazioni pilifere e tracce di altre sostanze organiche" nella Fiat 500 rossa di una delle maestre (Marisa Pucci) e dvd, e cd, e cassette Vhs, e hard disk di computer fissi e portatili della cui natura dirà un futuro incidente probatorio. Le testimonianze di due agenti della polizia municipale e di una colf. 

Nel perimetro giudiziario che, al momento, definisce e attribuisce le responsabilità per gli orrori della "Olga Rovere", il gip Elvira Tamburelli e il pm Marco Mansi declinano il quadro indiziario con la certezza dell'indicativo. La pietra angolare dell'istruttoria - documentano nell'ordinanza di custodia cautelare - è in ciò che i bambini riferiscono prima "ai loro genitori" e quindi nell'"esame scientifico" ("test di Roscharch, disegno della figura umana di K. Machover, questionario Ceipa, test dell'albero di K. Koch; disegno della famiglia reale di M. Porot") condotto dalla dottoressa Marcella Battisti Fraschetti, consulente psichiatra del pm. 

E' nei "riscontri obiettivi" che questi racconti hanno trovato con "i luoghi dell'abuso", con "l'identificazione dei responsabili". E' in un argomento logico-deduttivo. Quel che i bambini e i loro genitori hanno detto "non può essere frutto di mitomania e fantasticheria", perché "l'abuso è fenomeno denunciato in modo analogo da nuclei familiari completamente diversi, socialmente e culturalmente". "Perché i bambini, vista la loro piccolissima età, non hanno la malizia per organizzare una versione comune". 

I bambini, dunque. Per come è ricostruita, la violenza ha uno schema fisso. Durante l'orario scolastico, i bambini vengono fatti uscire in piccoli gruppi dal retro della "Olga Rovere". Invitati a percorrere a piedi un breve tratto di sterrata e quindi caricati su "un'auto rossa". Accompagnati nelle case di una delle maestre (con maggiore frequenza in quella di Patrizia Del Meglio) e quindi abusati da chi li attende. Quando questo non è possibile, le violenze si consumano all'interno della scuola. Nei bagni, nel cortile, in uno sgabuzzino che si apre in fondo ad uno dei corridoi su cui affacciano le aule. Gli abusi vengono descritti con precisione. Ciascuno ha un nome. "Il gioco della patatina"; "del dito a punta"; "della penna azzurra"; "del tavolo"; "dello scatolone"; "della mamma e dei figli"; "del dottore"; "del lupo e dello scoiattolo". Scrive il gip: "Le vittime erano costrette a pratiche sessuali spesso cruente, valendosi anche di iniezioni o inoculazione di narcotici e sostanze varie (...) Le vittime venivano riprese e fotografate". I loro carnefici "effettuavano riti di sangue e violenza con chiari richiami a pericolosi rituali di sette sataniche: maschere, vestizioni da diavoli o conigli neri, cerchi di fuoco, croci, cappucci". 

Né il gip, né il pubblico ministero, né i carabinieri della compagnia di Bracciano hanno mai incontrato i bambini di Rignano. Del loro esame da parte della consulente del pubblico ministero non esiste registrazione. Il loro racconto - nei casi in cui ne è conservata traccia - è documentato dagli appunti presi dai loro genitori. In tre casi, da videoregistrazioni domestiche. Il gip avverte la difficoltà del passaggio. Scrive: "Della credibilità e affidabilità dei racconti dei genitori non è motivo dubitare. E' anzi apprezzabile il loro sforzo di rispettare il più possibile le modalità logiche ed espressive dei bambini. Né inficia in alcun modo l'affidabilità delle loro denunce la circostanza che i genitori si siano ad un certo punto confrontati su quanto andava emergendo". 

Certo, resta il problema del metodo di lavoro della dottoressa Marcella Battisti Fraschetti. Ma la spiegazione che la consulente del pm fornisce è ad avviso del gip sufficiente per mettere in un canto ogni dubbio: "I bambini sono ancora nella fase acuta della disorganizzazione del pensiero e questo non ha reso possibile di poter procedere a forme di registrazione, ai cui tentativi i minori hanno opposto un deciso e netto rifiuto". 

I referti obiettivi di cui conta l'istruttoria sono quelli medico-pediatrici. Uno soltanto - redatto al Bambino Gesù - documenta cicatrici nella carne ("la presenza di "setto" dell'imene" in una delle bambine), pur senza trarne conclusioni univoche ("conformazione congenita? esito cicatriziale?"). Gli altri, accertano un'infezione genitale rara ("anite rossa") o ferite profonde della psiche. "Reazione di ansia, con irrigidimento del corpo, al momento della visita ai genitali, con immediata erezione"; "balbuzie emozionale"; "aggressività inesplosa"; "ipercinetismo". 
Nell'argomentare del gip, la sproporzione tra la descrizione delle violenze e l'assenza di significative cicatrici fisiche è argomento aggirabile con l'incertezza sui tempi in cui gli abusi si sarebbero consumati. Verosimilmente tra il 2005 e l'autunno dello scorso anno. 

E, nell'ordinanza, l'argomento viene puntellato con l'esame tossicologico sui capelli di due bambine. Gli investigatori scelgono quelle che li hanno più lunghi, "tali da consentire una loro analisi retroattiva al 2005-2006". In quelle ciocche, i laboratori fissano tracce di "benzodiazepine". I sedativi dei racconti dell'orrore - chiosa l'accusa - I sedativi che una delle arrestate, Patrizia Del Meglio "ha negato di aver mai assunto durante il suo interrogatorio con il pm", ma che, "al contrario, dopo un ricovero per crisi depressive, acquistava in una farmacia diversa da quella di Rignano, assumeva con prescrizione medica e nascondeva in casa". 

I racconti dei bambini e il loro esame medico-psichiatrico fermano il tempo dell'inchiesta al giorno in cui è cominciata - luglio 2006 - e al successivo autunno del "blitz", quando si è arricchita di nuove denunce. Dunque, cosa è accaduto in questi nove mesi in cui gli indagati sono rimasti in quotidiano contatto con le loro presunte vittime? E perché arrestarli soltanto martedì? Il gip dà atto che non molto è accaduto. Che, allo stato, non sono state trovate né foto né video degli orrori. 

Scrive: "I servizi di osservazione degli indagati non consentivano un'efficace controllo per la carenza di personale dell'Arma, né risultati utili sono venuti dall'attività di intercettazione telefonica". 

Quel che dunque salta fuori è questo. In un ripostiglio della casa di Patrizia Del Meglio, erano stipati in sacchi di plastica "maschere, vestiti" e 100 pupazzi che i bambini "hanno riconosciuto come quelli utilizzati durante i giochi erotici, riuscendo anche a collocarli nei diversi locali della casa". E dove, "al contrario di quel che l'indagata afferma", "i bambini venivano portati". Simona Baldoni, colf della Del Meglio dal 1999 al 2001, ricorda due singoli episodi. Aver "sorpreso" la signora, "in una occasione", rientrare da scuola con alcuni dei suoi piccoli alunni. Aver osservato sullo schermo del pc del marito, Gianfranco Scancarello, "foto di maschietti e femminucce con grembiulini rosa o celesti, che mi venne detto fossero per lo Zecchino d'oro". 

Parlano anche altre due donne: Elisabetta Palamides e Nadia Di Luca, agenti della municipale di Rignano. Nel maggio-giugno 2006 sorprendono "un gruppetto di bambini della "Rovere" fuori dalla scuola". Chiedono dove se ne stiano andando da soli. Gli viene risposto: "In gita alla fattoria. Aspettiamo il pulman". "Quel giorno - scrive il gip - è stato accertato che non c'era alcuna gita alla fattoria". Parlano infine, "confermando i racconti dei bambini", i colori. Meglio, un colore: il rosso. "Rossa era l'auto Suzuki che aveva la Del meglio nel 2001". "Rossa è la Fiat 500 della maestra Marisa Pucci". "Rossa è la vasca chicco a forma di conchiglia" trovata nel suo giardino di casa. 
Per il gip ce ne è abbastanza per aprire le porte di un carcere. Anche a distanza di nove mesi dall'accertamento dei fatti. Le motivazioni non prendono più di una cartella e mezzo. Indubbiamente - scrive - "non si ravvisa un pericolo di fuga", ma "i reati commessi sono gravissimi. 

Esiste un concreto pericolo di inquinamento delle prove, a cominciare dai bambini, facilmente condizionabili e noti agli indagati. Il presidente dell'Associazione genitori di Rignano Flaminio, Arianna Di Biagio, e la segretaria, Antonella Paparelli, hanno subito minacce da ignoti". 

Troppe suggestioni e niente prove / così è crollato il teorema dei pm

29 maggio 2012 —   pagina 25   sezione: CRONACA
ROMA - Non esistevano dunque né orchi, né streghe nella scuola per l' infanzia "Olga Rovere". I sei sventurati, inquisiti e come tali processati, sono un abbaglio da psicosi e contagio collettivi. 

I ventuno bimbi che si volevano abusati o comunque "esposti" a un trauma sessuale di nessuna violenza sono mai stati vittime. E la storia di una catastrofe processuale, umana, civica, arriva così al suo inevitabile compimento. Con un' assoluzione che prende atto con coraggio e limpidezza di un vuoto probatorio macroscopico. Che mette a nudo l'ostinazione di una Procura della Repubblica e di un ufficio gip che pur di non riconoscere i propri errori, di non arrendersi all' evidenza contraria del fatto che si intendeva provare, hanno trasformato questa storia in un' interminabile ordalia che ha schiantato per sempre le vite di chi ne è stato inghiottito. 

Ventuno bambini che hanno consumato e continuano a consumare la loro infanzia (avevano 4 anni quando questa storia è cominciata, ne hanno oggi 10) tra psico-terapeuti e visite ginecologiche, necessarie ad esplorare gli anfratti della loro psiche e dei loro corpi. 

Le loro famiglie, che hanno finito per convincersi di essere state vittime di un orrore al punto tale da non riuscire oggi a provare sollievo nell'apprendere che così non è stato. Quattro donne e due uomini che hanno perso tutto. Il lavoro, gli affetti, la dignità e che continueranno ad essere inseguiti fino all' ultimo dei loro giorni dal sospetto infame di essere in fondo quei pedofili che «un tribunale di merda» (come gridava ieri pomeriggio qualcuno alla lettura del dispositivo della sentenza) non avrebbe avuto il coraggio di condannare. 

Eppure, a questa catastrofe si sarebbe potuti non arrivare. Perché i suoi inconfondibili indizi erano sotto gli occhi di tutti già in quel lontano aprile del 2007. Solo a volerli vedere. Perché quando ai sei indagati vengono strette le manette ai polsi appare già chiaro quello che il tempo renderà ancora più nitido. E che una sentenza del Tribunale del Riesame prima (10 maggio 2007) e una pronuncia della Cassazione poi (18 settembre 2007) provvederanno a documentare con parole inequivoche. «L' accusa nei confronti degli indagati - scrivono quei due primi "giudici terzi" nel motivare il perché gli indagati non debbano restare in carcere un minuto di più - non trova riscontri esterni alle dichiarazioni dei bambini». Non una testimonianza, non una prova documentale (che sia l'oscenità di una foto, di un diario, di un file custodito in qualche computer) o un' intercettazione telefonica. 

Non un' evidenza medica sui corpi dei piccoli, non una traccia biologica sugli oggetti maneggiati dagli "orchi" o nei luoghi indicati come teatro dei loro indicibili riti (peluche, automobili, abitazioni degli indagati). Per giunta, non il ricordo di un genitore che pure avrebbe dovuto accorgersi delle tracce di violenza (e che violenza) sul proprio figlio. 

«L'istruttoria fa una indebita confusione tra indizie prove» e «la forte pressione dei genitori sui minori» non consente di escludere «un contagio dichiarativo», scrive allora la consigliera di Cassazione Claudia Squassoni. Non un giudice qualunque, ma un'autorità in materia di diritti dei minori e tra e le autrici della "Carta di Noto" sui diritti dell' infanzia violata. Ma c'è di più. La discovery degli atti istruttori compiuti dal pm Marco Mansi documenta con quale approssimazione si è lavorato sui racconti dei bambini. 

Marcella Fraschetti, la consulente scelta dall' accusa per raccogliere e valutare significato e rilevanza delle parole di bimbi tra i 4 e i 5 anni, è, almeno in origine, laureata in scienze politiche ed è alla sua prima esperienza in un caso di questa portata. Al punto che di quel suo primo, cruciale lavoro di raccolta delle testimonianze, non provvede a conservare alcuna traccia né filmata, né fonica. «Quando mi chiamarono i carabinieri per incaricarmi - racconterà durante la sua deposizione al dibattimento - pensai a uno scherzo». 

Già, i carabinieri. Sono i militari della stazione del lago di Bracciano quelli che lavorano al caso. Non esattamente una polizia specializzata. Al punto che non hanno la forza né di opporsi, né di far desistere quei genitori che hanno filmato e continuano a filmare "interrogatori domestici" ai propri figli in cui chiedono di raccontare e mimare gli abusi. Al punto da convincersi che nel mazzo dei sospetti vada certamente infilato un benzinaio cingalese, Kelum De Silva (arresteranno anche lui). Che con la "Olga Rovere" non ha nulla a che vedere. Ma di sfortune le ha tutte. Il colore della pelle. Il mestiere che fa. La cattiva idea di esibirsi in una linguaccia, pensando di strapparle un sorriso, con la bambina che è a bordo della macchina cui in un giorno d'estate sta facendo il pieno di benzina. Diventa «l'uomo nero» e si fa 15 giorni a Rebibbia (prima di essere "archiviato" nel febbraio 2010). Dove conosce l' inferno riservato a chi entra in una galera con l' accusa di aver stuprato innocenti. 

E dove l'umiliazione può anche essere quella che conosce Patrizia Del Meglio, maestra di mezza età, che, in due settimane, verrà sottoposta, senza alcuna comprensibile ragione, a tre visite ginecologiche nella medicheria del carcere. In realtà, l' inchiesta sulla "Olga Rovere" è chiusa già il 28 luglio del 2008, quandoi 21 bambini, per un anno, saranno sottoposti al calvario di un incidente probatorio che deve fissare a futura memoria i demoni che li tormentano. 

Nessuno, a quel punto, ha il coraggio di fermare un treno che è evidente andrà a deragliare. La magistratura si convince che il «processo è dovuto». Anche se due anni di processo a porte chiuse non portano una sola prova o un riscontro che sia uno. Diventano solo un crudele redde rationem tra adulti. Che, purtroppo, non finirà neppure con questa sentenza.
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