Scuola di ballo al sole

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Ce ne sarebbe da dire, ma



Ennio Morricone (10/11/1928, 6/7/2020).
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Dylan e il capolavoro involontario

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Tell Tale Signs: Rare and Unreleased 1986-2006 (The Bootleg Series, Vol. 8)

(Il disco precedente: Modern Times.
Il disco successivo: Together through Life).

Io comunque su Pasolini ho una teoria: secondo me, mentre girava il Decameron lui...
"Ma che c'entra Pasolini adesso".
Ma niente, mi viene sempre in mente sotto l'Immacolata, perché sai.
"Ti confondi col ponte dei morti".
Ah già.
"Ma senti è un po' che non passo a leggerti, li hai poi finiti i dischi di Dylan?"
No, effettivamente ne ho ancora un po'.
"Ancora? Ma quando hai cominciato? Sembrano anni".
In effetti è esattamente un anno.
"Ma ne ha fatti così tanti?"
Più di una cinquantina, sì. E parecchi persino belli.
"Beh io a un certo punto ho smesso di leggerli, però..."
Non devi mica scusarti.
"...quando li raccoglierai in volume di sicuro io... perché pensi di raccoglierli in volume, vero?"
Eh, dipendesse da me.
"Ma hai mai scritto a un editore?"
Sì, e mi hanno anche risposto, ma...
"Cioè è chiaro che bisogna lavorarci un po' su, togliere le cose che in un libro non funzionano, però..."
Ma alla fine non resta niente.
"In che senso".
È come coi Santi. Uno dice: sto facendo una rubrica dei Santi che ha un suo seguito, insomma funziona, che ne dite? E loro all'inizio wow, in effetti è interessante, però... bisogna lavorarci.
"Ma ti fa così schifo lavorarci?"
Ma no io ci lavorerei anche, però... senti, non mi sto lamentando, ok? È un problema mio. Si vede che non funziono sulla carta.
"Ma cosa dici".
Di solito va così: mi dicono, metti tutto in un pdf e mandacelo. E io: guardate che è tanta roba.
"Tagliane un po'".
Ma certo che ne taglio.
"E alla fine ti restano..."
Quelle due, trecento cartelle.
"Così tanto?"
In un blog non sembra tanto, ma su carta è come se si gonfiasse. Poi ti dicono: bello eh, ma bisogna togliere tutti gli interventi in prima persona, i siparietti autobiografici... in un libro non hanno senso. E sai una cosa?
"Hanno ragione".
Hanno assolutamente ragione, e allora io li tolgo. E tutte le battute stagionali, le trovate estemporanee, le cose che hanno senso soltanto nel giorno in cui le scrivi, tolgo tutto. E a quel punto...
"Non sono più interessati?"
Non sono più interessante.
"Però su Dylan..."
Ma certo, figurati se fuori non c'è la fila di gente che mi vuole pubblicare quattrocento cartelle su Dylan.
"Ma saranno meno, dai".
Specie dopo aver tolto tutte le digressioni personali, le battutine, le cose da blog, tutto quello che lo renderebbe diverso dall'ennesimo libro su Dylan.
"E allora cosa farai?"
E allora cosa farò? Mi inventerò altre cose da scrivere e andrò avanti così.
"Ma non ci pensi che un giorno qui sparirà tutto?"
"Ci penso sempre, ma alla fine non è quasi mai successo".
"Tra un po' finisce la net neutrality e ciao".
"Troverò un sistema".
"Un server si pianterà e puf, non resterà nulla. Solo tanti link che puntano nel vuoto".
Ogni tanto faccio un backup.

Got nothing for you, I had nothing before
Don't even have anything for myself anymore
Sky full of fire, pain pourin' down
Nothing you can sell me, I'll see you around

Resto convinto che Pasolini, mentre girava il Decameron, se la deve esser vista brutta. Ma veniamo a Dylan, sennò pensate che io voglia cincischiare; che il disco di questa settimana non l'abbia neanche ascoltato, e in effetti parliamo di un disco triplo dal prezzo scandaloso (ma su Spotify ci sono solo i primi due, quelli che venivano venduti a una cifra ragionevole). Invece non solo l'ho ascoltato, ma lo riascolterei volentieri anche adesso, toh. Sono sinceramente convinto che sia uno dei dischi migliori di Bob Dylan - sì, tra i cinquanta e più dischi che ho ascoltato quest'anno, Tell Tale Signs sta nei primi quindici, forse anche tra i primi dieci. Credo addirittura che sia il disco migliore della sua ultima fase, ed è un'affermazione abbastanza forte, visto che Tell Tale Signs è perlopiù una collezione di scarti dalla lavorazione di Oh Mercy (1989), World Gone Wrong (1993), Time Out of Mind (1997), Modern Times (2006): com'è possibile che gli scarti siano migliori del prodotto? Con Dylan è possibile, anzi.

I was thinking of a series of dreams
Where nothing comes up to the top
Everything stays down where it's wounded
And comes to a permanent stop



È quasi inevitabile. Avete sentito che l'ultimo Leonardo Da Vinci disponibile sul mercato è finito in Arabia Saudita? Secondo me era una sòla, però io non me ne intendo e anzi ho in materia idee molto estreme, ad esempio nutro qualche dubbio sulla Gioconda del Louvre: e se non fosse l'autentica? Perché non ha le sopracciglia e mancano due colonne che ci sono in alcune copie molto vecchia - ma è comunque una Gioconda fantastica, se dubito di lei figurati quanto posso fidarmi di un Salvatore col volto ieratico (ma asimmetrico!) con dei ricciolini da Botticelli, ritratto di fronte... cioè hai Da Vinci a disposizione e gli chiedi un ritratto di fronte? È come chiedere alla Ferrari se ti fanno un motorino 50 cc, dai, non esiste... (continua sul Post)
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Litigare con don Pasolini

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Una di queste notti mi sarebbe piaciuto riprendere i fili del discorso un po' confuso che avevo fatto su Pasolini l'altro giorno (visto che ha suscitato un minimo d'interesse) - però tutto sommato è giusto che rimanga confuso. Pasolini è per me, come per molti, un feticcio polemico da una vita. Anch'io posso passare serate intere a litigare idealmente con Pasolini. Se non sto attento mentre do l'aspirapolvere puoi notare che muovo le labbra, sto insultando Pasolini. Quel suo atteggiarsi a profeta, a Geremia di un genocidio immaginario - che nervi l'Abiura a rileggerla.

Alla fine poi che colpa ne ha avuto lui. In qualsiasi altro periodo storico avrebbe trovato la sua nicchia abbastanza presto, e invece a causa di una guerra mondiale e altri equivoci si è ritrovato in una sezione bolognese del PCI invece che in seminario. Che prete ci siamo persi, ma soprattutto che vita da prelato si è perso lui. La sua passione per le dispute dottrinali gli avrebbe ispirato dotte dissertazioni teologiche che lo avrebbero reso uno dei protagonisti del concilio - vuoi mettere anche solo per un attimo, tra litigare coi lefebvriani o col Gruppo '63? Nel frattempo avrebbe potuto cullare la sua sensibilità decadente coltivando la poesia, la scrittura, l'arte, senza la necessità di impastoiarle con categorie marxiste che non c'entravano poi parecchio. Le periferie sottoproletarie, le avrebbe potute frequentare con molta più libertà, nessuno ci avrebbe avuto niente da ridire - son cose che a Roma si fanno da secoli e chi siamo noi per giudicare un alto prelato, un benefattore. Le sue naturali pulsioni avrebbero trovato molta più tolleranza in Curia che in certe sezioni di partito un po' retrograde. Le sue inchieste sulla sessualità degli italiani le avrebbe potuto condurre in modo assai più capillare nel confessionale. Nel frattempo avrebbe saputo diluire in comode omelie settimanali il suo presentimento dell'apocalisse, del genocidio culturale, della massificazione indotta dalla tv, dalla legalizzazione dell'aborto, dalle maschere di Halloween, le lucciole! cosa hanno fatto alle lucciole! Persino in Africa avrebbe più convenientemente potuto andarci da missionario; che prete sarebbe stato Pietro Paolo Pasolini, e invece gli è andata così. Eppure chi ancora si inginocchia al suo santino è sempre di un prete che sembra aver bisogno, uno che ti faccia le predica sulle false lusinghe della modernità, sul vuoto dei valori, uno che ti dica "io so", anche se non è chiaro come faccia a saperlo - ma già, il confessionale - in ogni caso i preti sanno sempre tutto, bisogna stare attenti, perché verrà un giorno... Don Pasolini, così come fra Lindo Ferretti, è uno di quei personaggi che in Italia abbiamo sempre avuto, forse addirittura il frutto dell'evoluzione, dell'adattamento a un certo tipo di ambiente; la novità è che seminari e conventi sono meno diffusi di una volta e così a gente che sembra nata per spiegarti il mondo da un pulpito capita di ritrovarsi scrittore, regista, cantante, comico, e non se la cavano neanche così male in verità. Sempre però un po' predicatori, se ci fai l'orecchio.

Per dire che Muccino un po' lo capisco.

Però poi ogni volta che vedo qualcuno cedere al mio stesso impulso, e di attaccare una tirata antipasoliniana, mi rendo conto che è vittima di un equivoco, se non di tanti. Ad esempio vedo in giro roba del genere.



E ci rido pure sopra, però intanto penso: ma uno che ha scritto una battuta del genere, l'avrà mai davvero sentito parlare, avrà letto qualcosa di Pietro Paolo Pasolini? Non solo il fatto che in realtà un film come Ricordati di me gli sarebbe davvero potuto piacere; una volta assorbito lo choc di un ritmo action che ai suoi tempi non esisteva nemmeno nei film di 007, figurati in un prodotto cosiddetto intimista, credo che avrebbe potuto vederci una conferma delle sue tesi sul vuoto della neoborghesia. Ma lasciamo stare: come fai a immaginare Pasolini che risponde "mi pulisco il culo"?

Se hai anche solo aperto a caso le Lettere Luterane, se hai ascoltato distrattamente la voce del corvo di Uccellacci e Uccellini, come fai? Ma neanche in una vignetta. Te lo immagini, boh, Hitchcock che dice la stessa cosa in una vignetta? Moravia? Viene il sospetto che nel modellare il feticcio PPP le giacche di pelle abbiano avuto più peso delle pagine di Empirismo Eretico dove Pasolini si permetteva eleganti frecciatine sul prognatismo di Sanguineti, ma non avrebbe mai usato il sintagma "pulisco il culo".

Forse funziona così: oggi la gente in giacca di pelle che va in tv a parlare di qualsiasi cosa è, boh, Scanzi? E così ci immaginiamo che Pasolini sia stato uno Scanzi dei suoi tempi; che di fronte a una provocazione si sarebbe comportato come lui: fanculo, stronzi, ecc. Di solito quando parliamo di lui non abbiamo la minima idea di quello di cui stiamo parlando. Anche quando lo citiamo, lo fraintendiamo; lui poi perlopiù parlava in una lingua che abbiamo messo via, il marxismo; una lingua che maneggiava un po' disinvolto, se non proprio alla carlona, perché gli era capitato di esser marxista per accidente, era semplicemente il clima culturale in cui era nato e aveva imparato a discutere - e di discutere aveva una gran voglia e un gran bisogno e non solo coi sottoproletari: anche e soprattutto coi suoi pari, intellettuali, artisti. Lui poi era convinto che i sottoproletari stessero per scomparire, parlava di genocidio, non si vergognava di scomodare Hitler per un po' di speculazione edilizia - ma non aveva previsto che anche il suo milieu culturale si sarebbe prosciugato nel giro di due decenni, al punto che oggi non c'è uno che mentre ti cita Pasolini ti dia la sensazione di aver capito quello che stava dicendo. Equivocano tutti, un po' perché devono tirare acqua al loro mulino (lui stava dalla parte dei poliziotti! Non è vero stava coi pankabbestia!), un po' perché davvero, leggerlo è troppo sbattimento.

Poi se la prendono con Muccino. Lui almeno ha una tesi: una volta il cinema italiano era un'industria, poi c'è stata una crisi strutturale, non sarà stato per caso Pasolini? Secondo me no, Pasolini in certi casi faceva un cinema di nicchia, "di poesia", insomma era un autore nel senso che la parola aveva già in quegli anni; in altri casi stava sperimentando soluzioni che oltre ad avere un successo immediato (il Decameron), aprivano le porte a nuovi linguaggi che sarebbero diventati di massa: in sostanza stava aprendo le porte al porno, col vecchissimo alibi dell'esotismo medioevale o terzomondista (da questo punto di vista certi stilemi amatoriali hanno un senso che Pasolini non vedeva e Muccino non coglie; il motivo per cui a lui piacevano gli attori non professionisti in pose discinte è simile a quello per cui noi digitiamo "amatoriale" in determinati siti). Però sia quando faceva Teorema per il pubblico dei festival, sia quando girava i Racconti di Canterbury - e in giro c'era una tale fame di nudità medievali che in sala era già uscito un seguito apocrifo al Decamerone - Pasolini era perfettamente organico all'industria cinematografica in cui lavorava - molto più di quanto se ne rendesse conto. Quando se n'è reso conto si è molto arrabbiato. Poi quell'industria è crollata per altri motivi - banalmente, la tv - e oggi non riusciamo nemmeno a capire che Teorema era pensato per un certo pubblico e Canterbury per un altro. Sono due film talmente diversi da quelli che vediamo nelle sale, che potrebbero averli girati i Lumière o Giotto di Bondone. È roba strana, da intellettuali. Niente che valga la pena rivedere - finché Muccino non ne parla male, allora guai a chi ce la tocca.

"Ma hai finito con l'aspirapolvere?"
"Perché?"
"È la seconda volta che lo passi in cucina".
"Scusa, ero sovrappensiero".
"Con chi stai litigando stavolta?"
"Con nessuno".
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Muccino e la Pasoliniexploitation

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L'altra sera, proprio quando i detrattori più moderati di Pasolini sembravano aver conquistato il campo, si è svegliato mano-lieve Muccino e ha dato un ceffone all'arbitro.



Quel che è successo poi potrebbe persino far storia: un'intera nazione di appassionati di cinema si è scossa dal torpore ipnotico dei trailer di Star Wars rallentati alla ricerca di qualche dettaglio rivelatore sul destino di Jar Jar Binks, e si è stretta intorno al suo maestro e ispiratore, il geniale cineasta Pietro Paolo Pasolini. A quarant'anni dalla sua scomparsa (e dalla distribuzione di Salò), l'amore del pubblico per il suo beniamino è tale che l'account facebook di Muccino sembra essere stato sospeso per eccesso di insulti. E io ho scoperto di vivere nell'universo dei miei sogni, dove le piattaforme sociali non servono per litigare sugli spintoni tra Valentino Rossi e Marquez, ma per dibattiti sull'estetica, perdio, sulla tecnica cinematografica! Vi rendete conto, possono bannarci mentre litighiamo sull'uso del carrello o del controcampo.

Ok, proviamoci.

Però facciamo finta di saperne qualcosa per favore - cioè davvero, potete avere mille motivi per odiare Muccino, ma per difendere Pasolini dovreste almeno aver visto un film suo. Sennò come potete essere sicuri che non ci abbia azzeccato? Definire Pasolini amatoriale non è cosa campata così in aria. Il suo primo approccio diretto con la macchina da presa fu abbastanza garibaldino. Era già uno scrittore affermato, aveva collaborato con Fellini, quest'ultimo intuisce del potenziale e gli propone di produrre Accattone - ma quando vede i primi tentativi blocca tutto, erano inguardabili. Pasolini comincia così, saltando a piedi pari tutto l'apprendistato del regista (anche se può contare da subito su un collaboratore preparato come Bernardo Bertolucci). E potendo contare sulla sua reputazione extracinematografica - tanto che quando alla fine Accattone arriva a Venezia, viene contestato da gruppi di estrema destra che gettano inchiostro sullo schermo. È appena il 1961: gli anni di piombo molto in là da venire; Pasolini è già in qualche modo un personaggio che attira l'attenzione qualsiasi cosa dica o faccia.

È interessante che nel suo primo comunicato antipasoliniano (poi prontamente cancellato da facebook), Muccino raccontasse di aver cominciato a detestarlo molto presto - è così che funziona, no? Se ti piace Pasolini (o Kubrick, o i Vanzina) te ne accorgi a 16 anni. Il resto della vita ti serve a trovare i motivi, le giustificazioni, le pezze d'appoggio. Muccino - chi sa un po' di cinema non ha nessuna difficoltà ad ammetterlo - è uno dei registi italiani più dotati della sua generazione, che è anche il motivo per cui in questo momento twitta dalla California. È facile risolvere la questione tracciando una retta: da una parte l'approccio amatoriale di Pasolini, che con scarsa o nulla conoscenza del mezzo riesce comunque a mettere in scena un'opera prima apprezzata in tutto il mondo; dall'altra la professionalità di Muccino, il campioncino nazionale dei carrelli circolari. Facile, no? Già, troppo facile.

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Pasolini amatoriale                                               Muccino professionale

Perché è vero anche il contrario: Pasolini arriva in regia sapendone poco o nulla, ma è determinato a fare del cinema la sua dimensione - tanto che si mette molto presto a teorizzare di semiotiche e di cinémi - quanto a Muccino, avrà fatto i suoi compiti, ma il modo in cui liquida Pasolini dimostra una scarsa conoscenza della storia del cinema italiano.

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Muccino praticone                                                     Pasolini accademico


L'eredità di Pasolini.
Cosa direbbe Pasolini dell'accusa di essere "sgrammaticato"? Probabilmente la rivendicherebbe (facendo però sfoggio di un'ottima grammatica), così come rivendicava l'"ingenuità" che gli aveva affibbiato Umberto Eco. "Che io sia ingenuo, non c'è dubbio: e anzi, poiché non sono - con tutta la violenza di un maniaco anche nel non voler esserlo - un piccolo-borghese - non ho paura dell'ingenuità: sono felice di essere ingenuo, e anche magari qualche volta ridicolo" (Il codice dei codici, in Empirismo eretico).

Ricapitolando: da una parte il cinema contemporaneo, professionale ma del tutto inconsapevole della storia che ha alle spalle. Un cinema senza tempo e senza luogo, che potrebbe farsi dovunque e infatti si fa in California. Dall'altra la visceralità di Pasolini, ma anche lo strutturalismo di Pasolini. L'ingenuità, ma anche la Cultura con la C. Il sottoproletariato urbano, ma anche l'intellettuale organico e/o declassato. Tutto quello che ci siamo lasciati alle spalle nel Novecento, dopo quella famosa frattura antropologica. Ma non è ancora troppo facile, così?

È da ieri che cerco ovunque un'intervista che sono sicuro di aver visto, una mattina, a un "montatore di Pasolini" (Nino Baragli?) Ormai mi sono convinto che sia in questa teca rai che non si riesce ad aprire. Mi ricordo questo signore mentre spiega in romanesco come si montava ai suoi tempi, con lo sputo: cioè prima di incollare i pezzi di pellicola con l'acetone, in un primo momento era sufficiente applicare un po' di saliva. E poi quando spiega che i raccordi di Pasolini li faceva un po' diversi da quelli degli altri film, perché sembrassero strani, perché sembrassero 'artistici': gli spettatori dovevano avere la sensazione di trovarsi di fronte all'opera sofisticata del poeta Pasolini, mica, chessò, la robaccia di Sergio Leone. L'artigiano della cabina di montaggio aveva perfettamente introiettato gli stilemi di quel Cinema di Poesia che secondo Pasolini stava sorgendo "contemporaneamente in tutte le cinematografie mondiali" ("l'alternarsi di obbiettivi diversi, un 25 o un 300 sulla stessa faccia, lo sperpero dello zum, coi suoi obiettivi altissimi, che stanno addosso alle cose dilatandole come pani troppo lievitati, i controluce continui e fintamente casuali con i loro barbagli in macchina, i movimenti di macchina a mano, le carrellate espressive, gli attacchi irritanti, le immobilità interminabili su una stessa immagine ecc. ecc.") (Il cinema di poesia, in Empirismo eretico).

Quando vidi per la prima volta il Decameron in cineteca a Bologna, approfittando del corso monografico del Dams, mi fu preventivamente spiegato che l'approccio di Pasolini era "poetico" - e già la cosa mi innervosiva, provenendo io da un altro corso di studi: perché mettere la poesia nel Decamerone, che è prosa? E l'approccio poetico, poi, consisterebbe nel fatto che i raccordi sembrano tutti sbagliati, gli attacchi irritanti, le immobilità interminabili, ecc. ecc? E aggiungi gli attori non professionisti sempre sul punto di mettersi a ridere. Cioè, insomma, "poetico" significa "fatto male apposta"? Probabilmente avevo la stessa età in cui Muccino cominciò a detestarlo.

I HAVE NO IDEA WHAT I'M
Però a leggere più attentamente il saggio di cui sopra, non è che Pasolini rivendichi il "cinema di poesia" per sé. Lo isola nei film di un gruppo di cineasti della sua generazione (Antonioni, Bertolucci, Godard), e ne propone immediatamente una spiegazione politica: "la formazione di una traduzione di "lingua della poesia del cinema" si pone come spia di una forte e generale ripresa del formalismo, quale produzione media e tipica dello sviluppo culturale del neocapitalismo". Pasolini stava assistendo alla nascita del moderno cinema d'autore - e non ne sembrava poi così entusiasta. Lui forse puntava in altre direzioni. E però i film vanno quasi mai nella direzione del proprio regista: specie se i cabina di montaggio c'è un praticone che ha deciso che il ritmo è lento, perché il tuo è un film d'artista e al tuo pubblico piacerà di più così.

Muccino è convinto che Pasolini abbia inferto un colpo mortale alla cultura cinematografica italiana - dopo di lui qualsiasi inetto avrebbe deciso che bastava munirsi di cinepresa e montare spezzoni a caso per fare cinema poetico ("improvvisati registi che non sapevano come comunicare col pubblico"). È andata così? Da qua non sembra. Sotto l'ombra del monumento che gli è cresciuto addosso in questi anni, sfugge forse quanto Pasolini fosse organico all'industria cinematografica che Muccino rimpiange - ricordiamo: comincia a lavorare con Fellini, esordisce con Bertolucci, all'inizio non ha ben chiaro che lenti montare ma si circonda di maestranze di primissimo livello: realizza film non convenzionali ma nemmeno assimilabili a quelli autoriali di Antonioni o Godard; film che fanno discutere, ottengono premi e - particolare cruciale - a volte riempiono le sale.

A Muccino forse manca un dettaglio: la trilogia della vita fu un successo al botteghino. Successo che imbarazzava Pasolini per primo, e che lo portò nel suo ultimo anno di vita a una tragica abiura. Oggi lo ricordiamo come un grande intellettuale fuori dagli schemi e dalle mode, ma l'effetto immediato del successo del Decameron fu precisamente la nascita di un vero e proprio filone, il cosiddetto decamerotico. Sono fenomeni difficili da indovinare oggi. che andiamo al cinema molto meno: nel giro di pochi mesi c'era già un Decameron II apocrifo in circolazione; quando l'anno successivo uscì I racconti di Canterbury, gli artigiani della pasolini-exploitation avevano già provveduto a confezionare Gli altri racconti di Canterbury, che arrivò nelle sale in contemporanea. Secondo Muccino senza Pasolini non avremmo avuto Nanni Moretti; mi sembra molto discutibile, invece è abbastanza pacifico che senza Pasolini non avremmo mai avuto Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda.  Persino l'abiura totale di Salò, così disperata e senza compromessi... Persino Salò diede vita a una rapida vague di film di serie B a base di nazisti sadici.

Tornando al Decameron: è il film di Pasolini con cui ho più familiarità, per via della mia abitudine a proiettare in classe (con un certo sprezzo del pericolo) la novella di Andreuccio di Perugia. Non è che abbia fatto pace con gli attacchi irritanti e le immobilità interminabili, ma per mostrare uno scorcio di medioevo urbano non saprei trovare di meglio. È anche utile per fissare nella memoria le condizioni igieniche nel tempo - Ninetto Davoli che sprofonda nella merda è il miglior antidoto a qualsiasi visione fiabesca del medioevo. Ma soprattutto c'è qualcosa di arcaico, di irriconciliabile con la modernità, che è poi la sensazione che vorrei suscitare quando insegno storia.

Quando la primavera scorsa è uscito Il racconto dei racconti, sono entrato in sala con molte speranze. Basile è un altro autore che bisognerebbe affrontare alle medie - altrimenti quando? Per qualche minuto ci ho creduto davvero. Più o meno finché gli attori hanno aperto la bocca, dichiarandosi per quel che sono: attori di una fiaba in costume. Molto professionali, per carità.

In quel momento mi è venuta nostalgia di Pasolini, e di quei non-attori sempre sul punto di mettersi a ridere.
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L'innocente era lui

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(Cinque anni fa esisteva una bella rivista on line che si chiamava Sacripante!. Io avevo una rubrica in cui rispondevo a lettere immaginarie. I pezzi che ho scritto per Sacripante ogni tanto li ritrovo qua e là per la rete: non portano il mio nome, né il mio link, sono in assoluto i figli più orfani che ho.
Di questo in particolare provo molto pudore, e ogni volta che qualcuno lo ritirava fuori andavo a nascondermi dalla vergogna. Però è vero che l'ho scritto io, e dopo cinque anni è ora di riconoscerlo: brutto o bello che sia, viene da qui).


(2005). È vecchio, stanco e scazzato, con quel vago senso di vergogna che l'assale tutti gli anni verso la festa dei morti.
Perché? Non sa esattamente il perché. Saranno i tanti amici sepolti là fuori, che reclamano un saluto, una preghiera, un mazzetto di fiori. Ma Dio, che sciocchezze. Che banalità neo-pagano-vetero-borghesi. Dovrebbe fregarsene di queste cose. Dovrebbe.
Ma la mamma. Il solo pensiero.
Avrebbe dovuto farla cremare. Non ha avuto il coraggio. Così adesso è lì, e il solo pensiero di non andarla a trovare, gli ficca ogni due novembre un artiglio nel cuore.
"Ci vado. Ci vado. Ma oggi no, troppa confusione. E poi si è fatto tardi, che ora è?"
Sono le tre e lui è ancora in vestaglia. Un vecchio in pantofole e vestaglia, ecco quel che è. Lui un tempo così pieno di energia, di voglia di fare: ora gli ci vuole mezza giornata solo per mettersi a tavolino.
Il computer è il vecchio pentium che gli ha lasciato il povero Raffaele – fu lui a insistere che bisognava aggiornarsi, a buttargli via a tradimento la vecchia Lettera 22.
"Stai diventando un feticista della macchina da scrivere, Paolino, te ne rendi conto? Un vecchio rudere che scrive madrigali sui bei tempi andati. Svegliati! Tra un po' è il Duemila!"
"Mi fa schifo il Duemila, Raffaele".
"Ti fa schifo il Duemila, ti faceva schifo il Novanta, l'Ottanta, già il Settanta ti faceva piuttosto schifo. Dov'è la novità? La novità è che ormai il Duemila se ne frega, di quello che pensi tu. Se non impari ad accendere il computer, manco se ne accorgerà, il Duemila. E sai cosa vuol dire se nessuno se ne accorgerà?"
"Cosa vuol dire?"
"Vuol dire che sei morto! Quando nessuno ti leggerà più, quando nessuno ti capirà più, sarai morto, Paolino! Prima ancora di andare sottoterra! Perciò devi imparare a spedire le mail, capito? Le mail ai giornali! Così magari riescono a pubblicarti un pezzo in giornata".
"Ma per favore…"
"E aprire un sito, perché no? Un sito Internet in cui dialoghi coi tuoi ammiratori, e…"
"No. Col porno ho chiuso, e lo sai".
"Ma cos'hai capito. Non c'è solo il porno su Internet…"
Buon vecchio Raffaele. Anche lui era morto, qualche anno prima, di una morte ideale: un arresto cardiaco, istantaneo, indolore per lui e per chi gli stava accanto. Solo, si era dimenticato di lasciar scritto che lo cremassero. Così ora si trattava di scegliere se farsi tumulare accanto all'amata madre o al compagno di vita. Un altro pensiero fastidioso, un'altra spina. Benché certo, Raffaele non si sarebbe offeso – non si offendeva mai.
Si erano incontrati tardi, nel modo più improbabile. Com'era potuto accadere, a un pederasta incallito come lui, sempre a caccia di ragazzini, di innamorarsi di un borghese, un funzionario Rai con moglie e figli? Raffaele non divorziò finché la cosa non divenne davvero di dominio pubblico, e ci volle ancora molto tempo.
Nel frattempo lo aveva aiutato a rimettersi in piedi – lui veniva da anni complicati, processi per oltraggio al pudore e debiti con gli avvocati; film sequestrati dalla magistratura, e persino dalla malavita – per giunta era una fase di crisi creativa, in cui gli sembrava di non aver fatto nulla di buono, anzi: suo malgrado aveva creato un mostro, il filone erotico-medievale; e ora le sale di periferia pullulavano di pellicole pecorecce a base di dame e castelli, ed era una vera tortura portarci i ragazzini…
"Forte questo, aho! L'ha fatto lei?"
"Ma per favore…"
Gli sembrava di non aver mai capito nulla – per anni si era creato un mondo immaginario, perfetto, ingenuo, ignorante, popolato da ragazzini altrettanto perfetti, ingenui e ignoranti: tutta spazzatura da cinema di serie B, fantasie da vecchio pervertito: ora gli era tutto chiaro. Avrebbe voluto spazzare via tutto, distruggere sé e la sua opera, con un film davvero criminale, una fantasia sadomaso. E poi stava scrivendo un libro impubblicabile, un diario di tutte le perversioni sue e del suo tempo. In realtà stava scendendo una china pericolosa, chissà che fine avrebbe fatto, se una sera in trattoria non si fosse fermato a parlare con quell'uomo simpatico e brillante – Raffaele.
Raffaele che voleva fargli scrivere sceneggiati televisivi; in un qualche modo si era messo in testa che lui potesse scrivere dialoghi per la Rai TV.
È il futuro, diceva (proprio come avrebbe detto poi del Videoregistratore, del Fax, e infine di Internet). È il futuro che ti sfida, e tu non puoi rinunciare. Lasciati alle spalle tutte quelle menate sulla civiltà contadina. Lascia perdere tutti i tuoi teoremi politici, quelle orazioni da signor "So tutto io"… che poi cos'è che sai, realmente? Un cazzo, sai. E anche il sesso – lascia perdere anche il sesso per un po': è ancora troppo presto, ma vedrai. Io sogno una tv libera e intelligente. Fatta dai grandi autori come te – io so che tu sei un grande autore, se solo la smettessi di girare porcate per il puro gusto di fartele sequestrare, se solo superassi quella fase infantile del comunismo, quella fase, lasciamelo dire, anale…
Ora, mentre aspetta di caricare il file a cui sta lavorando, si chiede seriamente se Raffaele non avesse alla fine torto.
E se non abbia avuto torto lui a dargli retta. Aveva superato la fase anale: distrutto l'ultimo film maledetto, bruciato il romanzo-fiume. E si era messo a macinare dialoghi di qualità per l'industria culturale. Come l'ultimo corsaro della Regina, che si fa nominare baronetto e aspetta la marea giusta per tornare in mare aperto e innalzare la bandiera nera, come tanti altri in quel periodo – ma alla fine la marea non era tornata mai. Erano invece arrivati gli anni Ottanta, e lui si era trovato a bazzicare quel sottomondo di nani e ballerine. Aveva scoperto Eros Ramazzotti, si era fatto riscoprire da Bettino Craxi. Ogni tanto lo intervistavano, specie in autunno quando gli studenti occupavano le scuole; e l'intervistatore cercava sempre di fargli dire qualcosa di cattivo sugli studenti.
"Ecco, lo vedi, Raffaele? Sono diventato una maschera nel teatrino, sei contento?" E Raffaele, tranquillo: "Sta a te trasformare il teatrino in un teatro serio". "No, Raffaele, no. Il teatrino è più forte di me. Mi ha mangiato, digerito e cacato, come tanti altri". E lui scuoteva la testa e sorrideva. Sempre scuoteva la testa e sorrideva, ed era impossibile non amarlo. Per lui non c'erano sconfitte, solo sfide.
Ma ora che se ne andato, è difficile scambiare per sfide così tante sconfitte. Il file si è aperto, finalmente, cos'è che stava scrivendo? Un pezzo sulla cocaina, ancora. La cocaina? Ma è roba che andava quindici giorni fa! È da quindici giorni che ci lavora? E quale giornale gliela vorrà mai pubblicare?
Spegne tutto, si sente stanco. Stanco e scazzato. Non dovrebbe farlo, ma prende in mano il telecomando. La vita va avanti, più stupida che mai, e sapere che può andare avanti senza di lui è quasi consolante. Sul primo c'è una Medea moderna, che uccide il figlio e si getta in pasto agli avvocati. Sul due c'è un reality show per celebrità, lo conosce perché glielo avevano proposto. ("Ma guardate che ho 83 anni!" "Beh, al massimo esce subito, ma vedrà, in fondo lei è un personaggio, Tarantino le ha appena dedicato un documentario, i suoi vecchi film in dvd stanno andando forte, e poi l'omosessuale anziano funziona, e lei potrebbe approfittarne per parlare al grande pubblico delle sue idee. Purché non bestemmi…"). Sul tre cercano le zingare che rapiscono i bambini. Sul quattro e cinque e sei l'immaginario americano, eccola qua – l'immaginazione al potere. Sul sette c'è un grassone che pontifica di guerra al Terrore, e ogni volta che lui lo vede ha un sogghigno – guardalo lì, uno di quei coglioncelli di Valle Giulia. Restano i canali di video musicali. Li guardava a volte, di sera, assieme a Raffaele – gli piacciono i gruppi giovani, i ragazzini sono sexy. Non sono innocenti, non sono ingenui, a vent'anni sono già perfetti stronzi che sanno quanto possono spremere dalla vita, e gli va bene così. E anche a lui va bene così. Ha passato la vita a rimpiangere un mondo innocente, e troppo tardi si è reso conto che l'innocente era lui.

2/11/2005 Caro Leonardo
A volte non riesco a non chiedermi: e se? Lo so che è stupido, ma non ci posso fare niente. Per esempio in questi giorni mi chiedo: e se Pasolini non fosse andato all'Idroscalo, trent'anni fa, cosa farebbe adesso? Come sarebbe? Tu che ne pensi? Perdonami. IF '75.

È vecchio, stanco e scazzato, con quel vago senso di vergogna che l'assale, tutti gli anni, verso il giorno dei morti.
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Il senso di Marcello per la sòla

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Insomma, questo capitolo inedito di Pasolini, Dell'Utri ce l'ha oppure no? Prima diceva di sì, che l'avrebbe mostrato alla tal fiera del libro antico. Adesso sostiene di no: l'ha solo visto, ma non ha fatto in tempo a comprarlo. I critici fanno appelli. Veltroni porta il caso in Parlamento. E dopotutto perché no, è giusto indagare, è giusto volerci veder chiaro. Però non si può fare a meno di riflettere sull'uomo che ha aperto il caso. L'uomo che ha annunciato alla stampa di possedere un inedito di Pasolini prima ancora di averlo acquistato. Marcello Dell'Utri. Si possono dire molte cose di lui, nessuna bella. Concentriamoci però su una delle meno brutte: è un bibliofilo. Laddove uomini del suo medesimo rango spendono e spandono per le femmine, Dell'Utri spende e spande per rettangoli di carta rilegati su un lato. Un vizio più di nicchia, ma comunque non sconosciuto presso i notabili di destra (ricordo anni fa la tragedia di un intellettuale postfascista che durante una causa di separazione aveva lasciato in ostaggio alla moglie una biblioteca personale con qualcosa come quindicimila tomi; e la tipa glieli buttava via. Vanitas vanitatum e tutto il resto).

I bibliofili non sono tutti uguali, proprio come gli altri puttanieri. Ci sono quelli che apprezzano le cose antiche, quelli che vorrebbero mettere le mani su qualcosa che nessuno ha mai toccato (sì, è paradossale, ma è così), quelli che cercano l'insolito, quelli che hanno fiuto per i pezzi autentici... Dell'Utri non è tra questi. Ci sono anche quelli che sembrano pronti a farsi rifilare qualsiasi sòla, e poi non vedono l'ora di vantarsene in giro. Dell'Utri è più probabilmente tra questi, come l'episodio dei diari di Mussolini dovrebbe aver abbondantemente dimostrato. O no?

In breve: c'erano in giro alcune agendine attribuite a Benito Mussolini, in cui il dittatore tanto amato dagli italiani svelava un lato più umano (e figurati), oltre a lamentarsi delle bieche leggi razziali che aveva appena fatto emanare. Queste agendine avevano provato a rifilarle un po' a tutti: Feltrinelli, Panorama, L'Espresso, e chissà quanti altri. Sapevano di sòla da molto lontano. Perché, rifletteteci, chiunque sarebbe felice di trovare diari inediti di Mussolini (finalmente materiale nuovo per le dispense in edicola); però quando il grafologo ti dice no, lo storico ti dice no, il linguista ti dice no, insomma, alla fine è no. Puoi credere a tutto, ma devi per forza credere a un Mussolini che fa errori di quinta elementare? Ehi, non stiamo mica parlando di un pittorucolo, di un bohemien alla Hitler, o di un seminarista alla Stalin: Benito aveva fatto l'insegnante, prima di diventare un instancabile giornalista. Uno che con la sua firma ti fa vendere il giornale: quando durante la Grande Guerra non aveva più potuto mandare corsivi al Popolo d'Italia, le vendite erano crollate di botto. Un polemista non raffinato ma efficace: uno scrittore prima di tutto; divenuto poi - gli scherzi del destino! - dittatore di un popolo analfabeta. Uno così, con le manie di grandezza del caso, non indulge a errori di ortografia nella scrittura privata. Un ex socialista che di Marx non si era mai fidato troppo, ma era cresciuto a pane e Nietzsche: uno così non sbaglia a scrivere il nome di Nietzsche sui suoi diari. Se poi sbaglia anche a scrivere la data di nascita di sé stesso, insomma, no. Non è il vero Mussolini. E poi è plausibile scrivere tutte quelle pagine di diario senza introdurre un solo dato che gli storici non conoscessero già, neanche il cognome di un'amante inedita di Ciano, niente di niente, solo che gli dispiace tanto per i poveri Ebrei che sta facendo interdire dai pubblici uffici? Insomma, nessuno si sentiva di comprarle, 'ste agendine.

Poi un giorno arriva Marcello Dell'Utri, con una specie di scritta in sovraimpressione COMPRO QVALSIASI SOLA A QVALSIASI PREZZO, e fa lo scoop.

La cosa fantastica è che ci crede ancora: ogni tanto qualche cronista cattivello ritira fuori la storia e lui conferma: li sto rileggendo, penso proprio che siano autentici, ne esce fuori un Mussolini molto umano, ha perso la guerra perché era troppo buono. Va bene.

A questo punto mettetevi nella testa di un falsario d'Italia: uno che piazzando una sòla del genere ci campa per degli anni. E volete che non ci provi? Non bisogna nemmeno sforzarsi. Qual è lo scrittore più chiacchierato del Novecento? Ha scritto incompiuti? C'è da qualche parte un riferimento a un capitolo mancante? Benissimo. Che macchina da scrivere usava? Con un po' di fortuna è ancora in commercio. La carta si trova. Addirittura si sa già cosa doveva contenere il capitolo: scottanti retroscena su Mattei. Si conosce addirittura il libro che Pasolini stava saccheggiando usando come fonte. Capite: Mattei morto ammazzato in circostanze misteriose, Pasolini pure, prime pagine assicurate, Dell'Utri compra sicuro. Ti piace vincere facile? Vendi un falso Pasolini a Marcello Dell'Utri.

In realtà non si può escludere che da qualche parte quel capitolo ci sia - i parenti e i curatori dicono di no, Carla Benedetti sembra più per il sì, io non me ne intendo e proprio non lo so. Ma che a Dell'Utri possano avere mostrato l'originale... a Dell'Utri si rifilano le sòle, per definizione. Perché lui, anche se non lo ammetterà, cerca proprio quelle: cerca il Mussolini più umano, il Pasolini che non è mai esistito. L'equivalente bibliofilo di andare a donne e ritrovarsi a trans. Senza riuscire ad ammettere che ti ci ritrovi perché è esattamente quello che cercavi, ti piace più il finto del vero, hai il gusto della sòla, e che male c'è? Piace a tutti. Si chiama fiction. (Massimo rispetto allo scrittore che ha buttato giù un capitolo finto di Petrolio, non vedo l'ora di leggerlo; spero che oltre Dell'Utri prenda in giro anche Pasolini, che la prima lettera di ogni paragrafo componga la scritta F O R Z A C A L V I N O, cose del genere).
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Parlare per non capirsi

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Mi me son fato 'na lengua mia

(2013. Il mondo non è finito, purtroppo, e così i leghisti sono rimasti al potere. Trieste, sede della Regione, Assessorato alla Pubblica Istruzione:)

“Ventiquattro. No! Daccapo. Per uno, sette; per due quattordici; per tre ventuno, per quattro... per quattro... Maledigne!”
Toc, Toc.
“E adesso chi è?”
“Commissario, avremmo un problema”.
“Adesso no, sono impegnato. Sto ripassando la tabellina del set...”
“Il fatto è che tra gli aspiranti insegnanti per la regione Friuli Venezia Giulia c'è un candidato che ci sta dando dei grossi problemi”.
“E alore bocciatelo, che problema c'è”.
“Ecco, il punto è proprio questo. Non possiamo bocciarlo. Ha superato tutti i test senza fare un errore”.
“Non capisco. Se è così bravo che problemi vi dà? Come si chiama?”
“Totò di Gennaro”.
“Ah, forse ho capito. Totò sta per Salvatore?”
“No”.
“Per Antonio?”
“Neanche. Totò sta per Totò e basta, ci ha fatto vedere i documenti, lui si chiama così. E pretende che lo assumiamo”.
“Eh, certo, poi quando si ritrovano in classe un maestro di nome Totò la colpa è nostra... va bene, ai casi estremi, estremi rimedi. Fategli il test sul dialetto”.
“Ma commissario...”
“Lo so, di solito non si fa, ma questo è appunto uno dei casi. Chiedetegli due frasi in triestino e mandatelo a casa. E se verranno i giornalisti, pazienza”.
“Commissario, non creda che non ci abbiamo già pensato”.
“E quindi?”
“Il punto è che il triestino non lo sa nessuno in commissione. Lei ne parla un po'?”
“Ma che razza di triestini siete?”
“O soi furlan, o ven di Udin”.
“Eh?”
“Dicevo che sono friulano, di Udine”.
“Ah! Ma che lingua parli?”
“Friulano”.
“Ma non mica una lingua quella lì”.
“Come no, certo che è una lingua”.
“Ma no, lo sanno tutti che vi capite a gesti, come i macachi... va bene, vengo io. Voglio proprio vedere come se la cava, il Totò Esposito”.
“Totò di Gennaro”.
“Esposito, di Gennaro, stessa roba. Faccia strada”.

(Entrano nell'aula. Al centro, una fila di esaminatori terrorizzati – tutti rigorosamente nativi della regione Friuli – Venezia Giulia. Davanti a loro, Totò di Gennaro si sta pulendo l'angolo di un'unghia con studiata non chalance. Ha appena finito di illustrare il teorema di Fermat, con una meravigliosa dimostrazione che per amor di sintesi qui vi risparmio).


COMMISSARIO: “Di Gennaro Totò?”
TOTO': “Songhe io”.
“Lei mi sembra molto determinato a conquistare una cattedra nella nostra bella regione”.
“E cosa vuole mai, commissario... se debbo scegliere tra il Friuli e la disoccupazione...”.
“È meglio il Friuli”.
“Della disoccupazione? Mmmsì”.
“Però, vede, per insegnare qui da noi non basta conoscere le materie, anche alla perfezione, come lei... ci vuole un certo attaccamento che forse, da parte sua, ancora non abbiamo riscontrato... insomma, è sicuro di riuscire a interagire con gli studenti?”
“Ma sì, penso di sì”.
“Per esempio, metta che le chiedano che tempo fa... in triestino”.
“Sùfia 'n'arieta cruda e piovarà diboto: se se sera el capoto, se fica le man drento”.
“Eh?”
“Le ho risposto in triestino: soffia un'arietta cruda e pioverà fra poco: ci si chiude il cappotto...”
“Ma sì, sì, ho capito... più o meno... ma i triestini di solito non parlano così”.
“Dice di no?”
“Dico di no”.
“Sulla base di quali elementi?”
“Elementi? Non c'è bisogno di elementi, sono di Trieste e lo so”.
“Mi dispiace che lei triestino sconfessi in questo modo i versi di Virgilio Giotti”.
“E chi sarebbe questo Virgilio...”
“Il massimo poeta in lingua triestina del Novecento”.
“Poeta in lingua triestina?”
“Eh, sì”.
“Ma scusi, un conto è la poesia scritta, un conto è... il dialetto”.
“In che senso?”
“Il dialetto non è mica una cosa che si può imparare a memoria sui libri... è una cosa viva, mobile...”
“Può anche darsi: però un esame è una prova oggettiva, in cui lei mi fa una domanda e io le do una risposta. E c'è un verbale scritto, dal quale deve risultare che lei mi ha fatto una domanda in triestino e io le ho risposto”.
“E lei si aspetta che noi la promuoviamo semplicemente perché ha mandato a memoria due versi di un poeta triestino che...”
“Me 'speto senpre, 'speto incora, che fassa l'alba, che fassa aurora, e che la vegna a dame un baso, a ufrime el so geranio in vaso”.
“Ancora questo Virgilio...”
“No, questo è Marin”.
“Marino chi?”
“Biagio Marin, uno dei più grandi poeti...”
“Triestini?”
“Ma no, non lo sente? Marin è di Grado, provincia di Gorizia. Non si parla solo triestino, nella vostra bella regione”.
“Ah, perché se io le chiedessi di parlarmi in friulano, lei...”
“Na greva viola viva a savarièa vuèi Vinars”.
“Stop. Non ci ho capito niente, ma non m'importa. Lei non può fare così”.
“Così come? Sapevo che durante l'orale era previsto un esame di dialetto e me lo sono preparato; che altro avrei dovuto fare?”
“Lei non può fingere di conoscere i nostri dialetti”.
“Io non fingo niente. Ho solo imparato le vostre poesie”.
“Le nostre poesie, fantastico, adesso solo perché stiamo a Trieste o a Grado queste sono le nostre poesie”.
“Non lo sono?”
“Per esempio, io non le avevo mai sentite”.
“Ma sono sui libri, sulle maggiori antologie della letteratura italiana, e insomma io per superare la prova di dialetto cosa avrei dovuto fare? Studiarmi quindici grammatiche diverse che non sono neanche in commercio?”
“No. No. No. Il dialetto non s'impara”.
“O bella, e perché?”
“Perché... è la lingua che uno si trova in casa... ci nasce dentro, non ha bisogno di nessuno che te la insegni, capisce? È una radice. Uno ce l'ha o non ce l'ha”.
“E quindi non c'è neanche bisogno di un maestro che ve l'insegni a scuola, no?”
“Giusto. Però comunque i maestri li vogliamo tutti radicati”.
“Comincio a capire. Vi serviva qualcosa che fosse il contrario della cultura. Qualcosa che non si può insegnare, non si può imparare, non si può comunicare. E avete trovato il dialetto”.
“Appunto”.
“Ma è solo una vostra idea di dialetto. Bastava guardarsi un po' in giro per rendersi conto che anche i vostri dialetti sono lingue, con le quali sono stati scritti libri, che tutti possono leggere e apprezzare... persino un neolaureato avellinese, perché no”.
“Certo che voi meridionali siete tremendi. Facciamo una legge e trovate un inganno”.
“Credete che il triestino sia solo quello delle bestemmie dei bar, e ci hanno scritto poesie d'amore. Il più famoso poeta in friulano è nato a Bologna, è morto a Roma. E poi siete arrivati voi, che non sapete un cazzo”.
“Ehi, come si permette?”
“È un'espressione dialettale. Significa che vivete in una dimensione di non comprensione di sé e dell'altro”.
“Cioè in parole povere...”
“Non capite un cazzo, a un punto tale che vorreste fare esami sul cazzo che non capite. E pretendete pure di avere delle radici, le radici, ma dico io, del concime tossico sparso tutt'intorno ne vogliamo parlare?”
“L'esame è finito, può accomodarsi, grazie”.
“Un giorno o l'altro mi tornarò, / No' vùi fra zénte strània morir, / Un giorno o l'altro mi tornarò / Nel me paese”.
“E adesso che fa... scenda da quella cattedra”.
“Dentro le pière che i gà inalzà / Su le rovine, mi cercarò, Dentro le pière che i gà inalzà, Le vecie case”.
“Dobbiamo chiamare le camicie verdi? Scenda giù”.
“Sarò pai zòveni un forestier, / Che varda dove che i altri passa, / Sarò pai zòveni un forestier, / No' lori a mi”.
“Ma in che lingua sta parlando, qualcuno ci capisce? Sembra arabo”.
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la pistola sbagliata

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La castrazione linguistica

Sarkozy dice che non dobbiamo avere paura a parlarne, e allora coraggio, parliamone: se scrivo la parola castrazione, qual è la prima cosa che vi viene in mente?

A me, le forbici. O un coltello. O una tenaglia da norcino. Senza insistere oltre, insomma, nel mio vocabolario interiore “castrazione” è una parola irrevocabilmente associata a un concetto chiaro: mutilazione. Mi conforta in questo anche il De Mauro Paravia: castrare significa “asportare o far atrofizzare gli organi della riproduzione di un animale”. Asportati o atrofizzati che siano, si dà per scontato che quegli organi siano irrecuperabili. Anche l’accostamento immediato con “chimica”, una bella parola moderna, asettica, non cambia molto il risultato; una mutilazione è una mutilazione anche se al posto della lama di coltello è praticata mediante capsule colorate. Sempre legge del taglione è, e la legge del taglione la pensavo abolita, non già grazie a Beccaria, ma addirittura da Rotari re dei Longobardi. E la discussione potrebbe finire qui: grazie Monsieur le President, ma l’alto medioevo non c’interessa, neanche nella versione chimica. A questo punto di solito interviene qualcuno con l’argomento “il medioevo non ti piace perché non hanno ancora toccato i tuoi bambini”, e la discussione prosegue all’infinito, senza peraltro offrire più nessuno spunto di interesse.

Perché in realtà non stiamo parlando di niente. La “castrazione chimica” proposta da Sarkozy, sperimentata in qualche Paese europeo, e praticata allegramente in qualche Stato Usa nell’imbarazzo di giuristi e medici, non è una misura definitiva. Quindi, a rigor logico e linguistico, non è una castrazione. La cosa funziona così: se il colpevole di reati a sfondo sessuale è recidivo (e spesso purtroppo lo è), il giudice, sovrapponendosi bizzarramente al medico, gli commina una “cura” di ormoni che lo rende sessualmente impotente. Finché prende gli ormoni: se smette, in teoria potrebbe tornare sessualmente attivo. In teoria. I medici si lamentano che la cura abbia effetti collaterali, questi sì, definitivi. Ma facciamo finta che della salute di un maniaco sessuale non c’interessi nulla, facciamo finta che una giuria moderna possa considerare un cancro come parte della pena. Poniamoci un solo problema: la cosiddetta castrazione è efficace o no?

Un maniaco sessuale è una persona sessualmente frustrata. Renderlo impotente significa renderlo ancora più frustrato (peraltro alcuni maniaci sessuali sono già impotenti). Magari qualche volta funzionerà, ma in altri casi rischia di essere controproducente: d’altronde, siccome in tutto il continente i castrati chimici non superano ancora il centinaio, è un po’ presto per le conclusioni statistiche. In America, dove ne hanno castrati un po’ di più, hanno notato che la castrazione chimica “rende il soggetto più aggressivo”. Rendere un maniaco sessuale più aggressivo non mi sembra un buon risultato, anche alla luce di un semplice fatto: il pene non è mai l’unica arma a disposizione. Da solo un pene può fare ben poco: per commettere violenza ha sempre bisogno di un supporto: pugni, calci, coltelli, pistole. Atrofizzare un pene e lasciare le pistole a portata d’armeria mi sembra un’ipocrisia enorme. Questo è il motivo per cui sarei contrario alla castrazione chimica… se fosse una cosa seria. Ma non lo è. Semplicemente non lo è.

La castrazione chimica è una cosa che non esiste. È un nome feroce, che evoca lame arrugginite e barbare mutilazioni, appioppato a una banale cura ormonale senza effetti definitivi. Come andare dal barbiere a “decapitarsi” barba e capelli. O dal dentista affinché ci “amputi” un dente cariato. Allo stesso modo, da qualche anno in alcuni Paese europei (sicuramente Germania o Svezia) il condannato per reati sessuali può chiedere di essere “castrato” chimicamente per usufruire di uno sconto di pena. È chiaro? In cambio di un po’ di pilloline tornano fuori prima. E una volta fuori, chi di voi madri e padri premurosi sarà in grado di accertare che il maniaco continui ad assumere la pillolina?

Aveva ragione Orwell: chi controlla il significato delle parole, controlla il Potere. Allo stesso tempo aveva torto: lui pensava che il Potere avrebbe chiamato “libertà” la dittatura, “amore” le torture; per ora le cose vanno in modo diverso. C’è in circolazione una cura (per la verità ancora non molto sicura), per i maniaci sessuali, e il Potere decide di chiamarla “castrazione”, per darsi un tono. Sarkozy non è un boia che si atteggia a damerino, ma l’esatto contrario. Per rimanere popolare deve fare il gradasso. Certo, se proponesse ai francesi la libertà anticipata ai pedofili in cambio di una cura ormonale senza effetti definitivi, sarebbe sommerso di fischi. Ma è proprio quello che sta facendo: salvo che la cura ormonale ha questo nome formidabile, “castration chimique”. Senti che suono che fa, senti come ti riempie la bocca. E tanto meglio se nel frattempo ti svuota anche le galere, con quel che costa un carcerato.

E funziona? Dipende dai punti di vista. Probabilmente non salva nessun bambino dalle insidie dei pedofili, anzi. Ma come arma mediatica è fenomenale: vuoi mettere quant’è liberatorio e popolare poter affacciarsi al balcone e gridare “castration chimique”, ogni volta che un bambino ci va di mezzo? Tanto più che se si trovasse qualcosa di realmente efficace contro la pedofilia, il mondo si svuoterebbe di bambini abusati e genitori impauriti, e a quel punto gridare al balcone non servirebbe più, bisognerebbe inventarsi qualcos’altro. Ma finché c’è un problema vero, e uno slogan efficace, non c’è nessuna necessità di risolvere il problema. No, neanche quello dei vostri bambini, mi spiace.

Forse allora aveva ragione Pasolini, in una sequenza di quel film orribile. Perché mai il Potere dovrebbe mutilare realmente le sue vittime, quando può mettere in scena la mutilazione all’infinito? “Imbecille, non lo sai che vorremmo ucciderti mille volte fino all’infinità possibile prima di ucciderti per davvero?”
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Caro amico Barbaro

Forse è l’Italia la terra dei mille piccoli pasolini. Prima si sono ammazzati l’originale, e poi: “presto, su, mangiatene tutti”. Il risultato sono trenta milioni di opinionisti da bar e qualche migliaia di commentatori sui blog, tutti con quel ritornello pronto: “Io so. Anche senza le prove, so”.
Come no. Hai sentito due chiacchiere, hai visto due foto, scorso i titoli, e sai. Sai anche la formazione della nazionale, se te la chiedono. Ma è chiaro che i pedofili di Rignano stamattina hanno un valore aggiunto.

Di quelli di Brescia invece nessuno parla più – eh, come? C’è stato un caso di pedofilia in una scuola materna a Brescia? Un prete, un bidello, sei maestre? Tutti assolti? Ne sai qualcosa? Niente. Quando l’inchiesta cominciò, quando ci furono i titoloni e i servizi in tv, tu sapevi tutto. Mi avevi anche spiegato cosa avresti fatto al bidello o alla maestra “se li avessi avuti tra le mani”. Adesso invece non sai niente. Ed è curioso, non trovi? La tua conoscenza dei fatti è inversamente proporzionale ai gradi di giudizio. Cioè: man mano che le sentenze diventano definitive, tu cominci a non saper nulla, a dimenticarti proprio. Eh? Un caso a Brescia? Dove? Come? Quando?

Io e te abbiamo una cosa in comune: non sappiamo niente. Non per maleducazione o negligenza. La nostra è un’ignoranza tecnica: le poche cose che abbiamo imparato, le sappiamo da servizi giornalistici confezionati non troppo professionalmente.
Siccome io non so niente, come te, non ho molto da dire su Rignano. Mi sembra tutto pazzesco. Ma non avendo ancora accennato all’idea di strozzare le maestrine a mani nude, probabilmente passerò come un innocentista. In realtà no: non sono innocentista: sono uno che non sa niente. Ma non ha importanza: per uno come te, che “sa”, quelli che non sanno sono ultra-garantisti, piagnoni intellettuali, checche, e non checche qualsiasi, ma checche passivamente complici di reati di pedofilia, per cui domattina dovrai cambiare bar e spiegare a qualcun altro cosa faresti “se mi avessi tra le mani”.

Se posso in qualche modo venirti incontro, credo che una certezza ci sia, ed è la peggiore: quei bambini sono stati molestati. Che sia stata una squadra di maestre con un autore televisivo e il primo benzinaio di pelle scura recuperato nei dintorni, o che sia stato un pool di psicologi, assistenti sociali e genitori un po’ allarmisti, qualcuno ha fatto grossi danni a quei bambini. Cosa preferisco pensare? Che le graduatorie degli insegnanti siano infestate da satanisti pedofili o che psicologi e genitori in Italia siano psicologicamente predisposti a una caccia alle streghe? La seconda opzione sembra meno terribile, ma è comunque terribile.

Io però non avrei voluto nemmeno parlare, di quell’orribile caso: perché non ne so niente, davvero, e le chiacchiere non rimediano l’ignoranza dei fatti. Io volevo parlare di te, perché ti conosco bene: e non mi piaci.
Finché è un bar, pazienza: ci si viene per altri motivi, e le chiacchiere sono inconcludenti per definizione. Ma quando vai su un blog (come questo o questo), tu non cerchi generi di conforto. No. Tu ci vai esattamente per scrivere i commenti che scrivi: se li avessi tra le mani li strozzerei, li impalerei, non so cosa farei (finalmente una cosa che non sai: quale costume da boia ti calzi a pennello) E la presunzione d’innocenza? Ma “ci sono tante cose che qualcosa per forza dev’esser vero”. Come no.
Tu non mi piaci perché in questa società, in questa civiltà, ci stai da ospite. Avremmo dovuto essere un po’ selettivi alle frontiere: non solo a Lampedusa, ma anche all’esame di maturità. Forse servirebbe una specie di giuramento sulla Costituzione. Non lo so. So solo che tu sei un barbaro, che approfitti di tutti i comfort di uno Stato di diritto ma pensi allo stesso tempo di poter venire in un bar o su un blog a parlare di Legge del Taglione e diritto alla Faida. Vienmi poi a parlare di Civiltà occidentale. Civiltà? E imparare un alfabeto?
Non solo sei un barbaro, ma un barbaro pre-cristiano: Teodorico l’ostrogoto ti sopravanza in civiltà di diverse spanne. Guarda che il cristianesimo lo hanno fondato anche un po’ per te, per toglierti quell’ansia primordiale di strozzare i colpevoli. Se tu fossi un buon cristiano, ti rilasseresti: Dio vede tutto e chi ha fatto male i piccoli brucerà in un fuoco eterno. Strozzarli oggi non aggiunge nulla al castigo.

Ma se uno la fede non ce l’ha, mica se la può inventare… e va bene. Per quelli come te c’è lo Stato laico. Ma ha le sue regole. La giustizia laica è tutt’un’altra cosa rispetto a quella che tu pensi. per certi versi è stata inventata proprio per difendere i colpevoli dai barbari come te… e per difendere i barbari come te da sé stessi.
E non ti voglio dire, con Beccaria, che la pena dovrebbe essere educativa: e chi ci crede più in Beccaria? Mi basterebbe che tu capissi che lo Stato non è un’istituzione preposta alle vendette corporali. Punire i colpevoli è importante, ma è molto più importante evitare che altri reati siano commessi. E a tale scopo questo tuo insanabile prurito alle mani è dannoso, te ne rendi conto? Quando esterni la tua voglia di strozzare, dai quasi l’impressione di voler occultare delle prove. Se quanto denunciato a Rignano fosse vero, i servitori dello Stato dovrebbero per prima cosa far luce su una rete di complicità ramificata e spaventosa. Altro che strozzare i colpevoli, allora: bisognerebbe farli parlare, con ogni mezzo. Magari con la tortura (il carcere duro italiano è tortura) ma persino con delle concessioni, se fosse necessario. Perché la priorità non è strozzare un colpevole: la priorità è prevenire gli abusi sui bambini.
E qui arriviamo alle accuse gravi. No, non contro i pedofili, contro di te.

Ogni volta che ti sento parlare, o che ti leggo, caro amico Barbaro, mi domando: qual è la tua priorità? Prevenire altri casi di abuso sui minori o strozzare qualcuno? Qualcuno che sicuramente, forse, chissà, è colpevole?
Questo tuo gettarti con le mani avanti, ogni volta che i giornali ti servono il mostro pronto, è molto sospetto. Non appena nasce un caso, tu vuoi strozzare i colpevoli. Il che significa che tu desideri che ci siano colpevoli. Come a dire che desideri che il caso non scoppi come una bolla di sapone. Se poi si scoprisse che i bambini non sono stati toccati, tu rischieresti persino di mostrarti deluso.
Io non so se Rignano sia una bolla di sapone, ma so che in passato ce ne sono state. Negli anni Ottanta negli Usa ci fu una vera e propria epidemia di casi di questo tipo nelle scuole dell’infanzia (via Macchia). Molti furono arrestati. Quasi tutti poi assolti.
Questo tipo di bolle nascono precisamente per colpa tua. Sono i barbari come te che comprano i mostri pronti in prima pagina. Sono quelli come te che si attaccano al tg più urlato e colpevolista che può offrirti il mercato. Questa tua ansia di strozzare qualcuno crea il mostro, lo capisci? Quattrocento anni fa era l’untore, oggi è il pedofilo, con qualche variante.

La volontà di sapere, l'ansia di strozzare. Per colpa della tua curiosità malata, e del tuo mal sublimato prurito alle mani, innocenti vanno in galera e bambini si auto-convincono di cose orribili. E tu nel frattempo te ne vai in giro per i bar o per i blog, a dire quanto ami i bambini. È possibile che tu, da piccolo, abbia effettivamente preso qualche ceffone di troppo. Ma qui da noi non è una scusa. Forse non commetti nessun reato, ma sei un ospite della civiltà, e alla lunga gli ospiti puzzano. Tornatene nella tua grotta, vuoi?
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Nome in codice: Agente CoPro.
Operazione Stay Besides!


Riassunto dell'ultima puntata: da qualche parte, in un posto che rassomiglia curiosamente al Paradiso a Pedali, Bar Taddei (per gli amici Teddi, il Neocone) è a rapporto. O credevate che gestisse il suo blog filoamericano a gratis, come quello di un fesso di neocone qualunque? Macché, Teddi è un evoluzione del neoconismo, è il neocone che sa associare passione e concretezza, ideali e $: Teddi è agente della Cia, cioè, non proprio un agente, perché mica ti assumono per scrivere stronzate su un blog: solo un Collaboratore a Progetto (Nome in codice CoPro). Verso la fine del 2005 iniziò a farsi pagare dall'Agenzia un cent ad accesso. Era l'inizio di una non entusiasmante carriera. E ora, vent'anni dopo, è finalmente giunto il momento di vendicarsi del suo diabolico nemico, ovvero…

"Eppure qualcosa non mi torna, Bar. Voglio dire, dovevamo essere davvero disperati per pagare gente come te, vent'anni fa. Eravamo così disperati?"
"Abbastanza, Signore. Vi eravate infilati in una guerra al Terrore virtualmente infinita, e stavate perdendo il sostegno di tutti i governi europei. La cosiddetta coalizione della Buona Volontà stava abbandonando l'Iraq alla chetichella. Avevate bisogno di riconquistare le opinioni pubbliche della Terra di Mezzo…"
"Finanziando siti amatoriali?"
"Signore, era un'idea all'avanguardia! Erano i tempi del viral marketing, del nanopublishing…"
"Parla la mia lingua, agente Bar".
"Questa è la sua lingua, Signore!"
"Allora dev'essere successo qualcosa alla mia lingua, perché io sono nato nel 2001 e non le ho mai sentite con le mie americanissime orecchie*, queste stronzate".
"Davvero è nato nel 2001, Signore?"
"Sì, perché?"
"Complimenti, Signore".
"Chi ti capisce è bravo, Bar. E io non sono bravo. Ma scusa, non potevamo finanziare qualche opinion-leader serio?"
"Signore, nessun opinion-leader di qualche peso si sarebbe messo a difendere l'uso del fosforo a Falluja o cose così".
"Ma non ne avevamo già a libro paga?"
"Alcuni sì. Giuliano Ferrara, ad esempio".
"Giuliano chi?"
"Con tutto rispetto, signore, un ex comunista che vi rifilò un paio di sòle. Organizzava fiaccolate bianco-azzurre a Roma, e cercava di dimostrarvi che l'Italia stava diventando filoisraeliana grazie a lui".
"E non stava diventando filoisraeliana".
"No, signore, non abbastanza almeno".
"Va bene, e così abbiamo iniziato a finanziare la gente come te. Ho qui il tuo dossier… ci sei stato utile in varie occasioni, Bar, questo è indubbio. Per esempio, ehm… l'operazione Stay Besides"
"Un'idea geniale, Signore".
"Già, già. Beh… in realtà il dossier in vent'anni s'è un po' deteriorato… facciamo così: spiegami con parole tue cos'era questa operazione Stay Besides".
"Semplice, signore. Avevamo deciso – pardon, avevate – di riscrivere la Storia d'Italia dal dopoguerra sotto una luce diversa. Per cinquant'anni ce l'eravamo raccontata come se si trattasse di pacificare un Paese del Patto Atlantico sulla soglia della Cortina di Ferro: Comunisti e anticomunisti, anni di piombo, caduta del muro, fine delle ideologie, ecc.. Questo modello non vi soddisfaceva più".
"Naturalmente".
"Vi serviva un nuovo modello, che proiettasse le ombre della Guerra al Terrore sul passato dell'Italia. Occorreva dimostrare che molto prima di Al-Quaeda, molto prima dell'11/9, l'Italia era già stata colpita dal terrorismo islamico".
"E come… potevamo fare?"
"Non era così difficile, Signore. Bastava trovare piste islamiche per tutte le stragi impunite degli ultimi 40 anni".
"Ah, perché in Italia c'erano state stragi impunite?"
"Parecchie, Signore. E tanti altri casi misteriosi. Per esempio, nel 1980 era esplosa una bomba a Bologna, una città governata dal Partito Comunista: 80 morti. Il processo andò avanti per vent'anni, e alla fine condannarono un paio di fascisti. Ma restavano molti misteri. E a questo punto arrivammo noi, con l'Operazione Stay Besides".
"E cioè?"
"Qualche suo collega andò a spulciare in un cartone di un vecchio Servizio Segreto Italiano – lì si trova qualsiasi cosa, a cercarla. Si scoprì infatti che c'erano indipendentisti palestinesi a Bologna quel giorno".
"Ma Bologna è una città molto grande, no?"
"Sissignore. In ogni caso venne confezionato un articolo sulla «pista islamica». Fu pubblicato sul peggior Giornale italiano e lì sarebbe rimasto, Signore, se noi blogger filo-Bush non gli avessimo dato una spinta".
"E qualcuno se l'è bevuta?"
"Signore, era solo l'inizio. Nei mesi seguenti dimostrammo che l'ordine di assassinare Aldo Moro era partito dal noto nazista Arafat".
"Aldo Moro?"
"Che l'assassinio di Pier Paolo Pasolini era la naturale conseguenza di una fatwa proclamata da un oscuro Ulema di che aveva avuto una sincope assistendo a una proiezione del Fiore delle Mille e Una Notte in un cinema per adulti di Alessandria d'Egitto".
"Pier Paolo Pasolini?"
"Che la strage del Cermis era stata provocata da un kamikaze siriano che si era rotolato nella neve causando una valanga che aveva trascinato con sé i tiranti della funivia, malgrado l'eroico sforzo dei piloti USA di salvare i passeggeri…"
"Stop. Stop. Io non so chi sia questa gente, Taddei. Non ne ho sentito parlare. Per me potrebbero essere tutte frottole (**)"
"Certamente, signore".
"Perché non erano frottole, vero?"
"Non lo so, signore. Io linkavo, copiavo, incollavo".
"Ma eri sicuro delle notizie che linkavi, copiavi, incollavi?"
"Ero sicuro della Causa, Signore. La Causa prima di ogni cosa".
"Taddei, guardami negli occhi. Hai raccontato altre bugie?"
"Per la Causa, Signore. Per la Causa".


(*) Lui in realtà dice: "All-american ears"
(**) "Bullshit"
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Fate colpo in società con il…
Leonardo’s Basic Culture Simulator!

Se lavorate dalle sei alle otto ore al giorno (e non dite di più, cazzeggiatori dissimulati che non siete altro), se passate un’ora nel traffico urbano e un’altra oretta e mezza nel traffico telematico, a evadere posta elettronica e leggere blog sempre interessantissimi, come questo; se appartenete a quella bolsa schiera di persone che non riescono a fare a meno di dormire almeno sei ore su 24; se mangiate, bevete, evacuate con la medesima banale regolarità; se avete una famiglia che gradirebbe in qualche modo interagire con voi nelle restanti ore del giorno (tacendo degli amici, della tv, dei concerti e di quando forse vale la pena di restare fermi a fissare il soffitto), la domanda sorge spontanea: che tempo vi resta per farvi una cultura?
Una cultura seria, dico, mica i fumetti.

“Adesso che ci penso hai proprio ragione, è da tanto che non leggo un libro, e l’ultimo era una scemenza pompata dal tale ufficio stampa, ma quando in società si parla di Dostoevskij mi faccio piccolo piccolo”.

Beh, non temere, amico utente! Sono qua per aiutarti col mio nuovo trendissimo progetto! Il Leonardo’s Simulatore di Cultura di Base 1.0!
Come si usa? Facile. Tu impari a memoria la frase e non devi più leggere nulla dello specifico autore. Lo so che sembra assurdo, ma ti garantisco che funziona! Io lo sperimento da anni, e la gente mi porta rispetto. Provalo! È gratis!

Calvino, Italo: scrittore del Novecento. Ha scritto da qualche parte che bisogna essere leggeri, sempre molto leggeri. Ogni volta che qualcuno tira fuori la parola “leggerezza”, voi rubategli le parole di bocca ribadendo immediatamente: “Eh, sì, la leggerezza di Calvino”. La discussione si avvierà rapidamente alla conclusione.
(Calvino è uno degli scrittori italiani più complessi e pesanti, ma questo non occorre saperlo).

Pasolini, Pierpaolo: gay del Novecento. Quando i poliziotti menavano i sessantottini, lui stava coi poliziotti, perché erano veri proletari. Citarlo il giorno prima e il giorno dopo di qualsiasi scontro di piazza.
(Poi un giorno qualcuno, probabilmente più vicino a un poliziotto che a un sessantottino, gli passò e ripassò sopra con una macchina, ma questo non occore saperlo).

Brecht Bertolt: chi dice un comunista, chi un rapinatore, comunque del Novecento. Di lui bisogna saper recitare: “il vero ladro non è chi rompe una banca, ma chi la fonda”. È una frase che ti dà un tono, specie se ti trovano con una spranga davanti a un bancomat. Ha detto anche che, se tutti i posti sono occupati, bisogna sedersi dalla parte del torto. Cosa volesse dire non lo so, ma intanto accomodiamoci.

Manzoni, Alessandro: scrittore che si studia a scuola, quindi l’avete studiato anche voi, fa nulla se non vi ricordate il finale, tanto si sapeva fin dall’inizio che quei due si sposano. Cattolico, noioso, superato. La Divina Provvidenza, figurati. Una volta, al dipartimento d’Italianistica, una tipa mi disse che forse era gay.

Leopardi, Giacomo: poeta che si studia a scuola, di solito in quinta superiore a novembre (e le statistiche sui suicidi degli adolescenti levitano). Gobbo che viveva a Recanati e odiava tutti, tranne le donzellette già morte. Ha scritto poesie immortali sull’infelicità, però, diciamocelo, in quanto gobbo gli venivano facili.

Baudelaire, Charles: poeta dell’Ottocento. Eh, chissà che roba che si fumava. Ha scritto… ha scritto… ha scritto delle poesie indimenticabili, come per esempio… per esempio… il Battello Ebbro, non era suo? Ah, era di Rimbaud? Vabbè, tanto più o meno si fumavano la stessa roba.

Schopenhauer, Arthur: filosofo dell’Ottocento. Insegnava nelle stesse ore di Hegel per fargli dispetto. Diceva che tutto è vanità. Ai banchetti si abbuffava e tesseva le lodi del suicidio. Buttò una vecchietta giù dalle scale.

Wittgenstein, Ludwig: filosofo del Novecento. Ha scritto: “di quello che non si può parlare bisogna tacere”: è una frase che può venire molto utile, specie dopo le due del mattino. Picchiava i bambini.

Dostoevskij, Fëdor: scrittore dell’Ottocento. Nei suoi romanzi ci si interroga sul cos’è il Bene, così il Male, e se esista Dio: problemi che potevano venire in mente solo a un vecchio russo pazzo come lui. Forse ha s t u p r a t o dei bambini, ma non è sicuro.

Heidegger, Martin: filosofo del Novecento, uno dei più importanti. Ecco, io, se devo essere onesto, non ho mai capito assolutamente di cosa parlasse, e nelle conversazioni mi sono più di una volta rifugiato nel luogo comune: “Heidegger, ah, sì, quel nazista di merda”. Ma sotto sotto mi vergognavo. Poi, finalmente, domenica scorsa ho trovato sulla Repubblica un pezzo di Gianni Vattimo (pag. 35), e mi ci sono buttato con impegno:

La filosofia di Heidegger è una filosofia dell’emancipazione attraverso la riduzione del peso dell’essente a favore dell’essere. La frase di Sein und Zeit: “Essere, non ente, si dà nella misura in cui c’è verità; e verità c’è solo in quanto c’è l’esserci”, va letta, alla luce di tutta l’opera heideggeriana e anche dell’ermeneutica che si è sviluppata da lui, come un “imperativo” più che un indicativo. Dal resto non si può pensare che Heidegger voglia mai comunque “descrivere” o enunciare una qualche verità su come l’essere, le cose, l’esserci, è: giacché non ha mai creduto alla corrispondenza e dunque alla filosofia come descrizione dell’essere o del reale…

Heidegger dunque, beh…
Che nazista di merda
.

(volete collaborare alla prossima release del Leonardo’s Simulatore di Cultura di Base?: scrivete!)
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