Gli abusi di don Inzoli, un po' abusi un po' no

Permalink
 Caro Corriere, cosa vuol dire "accusato"?
Dunque don Inzoli è stato scoperto tra gli spettatori del convegno omofobo patrocinato dalla Regione Lombardia, il che risulta imbarazzante per organizzatori e patrocinatori del convegno, perché don Inzoli è stato accusato di pedofilia. Tutto chiaro? No, non proprio.

Da un punto di vista mediatico, non c'è dubbio che l'identificazione di don Inzoli sia un grosso colpo per chi quel convegno lo stava osteggiando. Si tratta però di un'arma impropria che avrei pudore di impugnare: Inzoli è un privato cittadino che ha il diritto di andare dove vuole. E cosa significa che è "accusato di pedofilia", come molti organi di stampa hanno scritto il giorno dopo? Lo status di "accusato" non esiste in giurisprudenza, né dovrebbe essere ammesso dal buonsenso, specie quando l'accusa è così grave e infamante. Si è pedofili o non lo si è. Si è pedofili se si è stati indagati, processati, condannati: altrimenti no.

Tra il bianco e il nero è ammessa una sola sfumatura: si può essere indagati per pedofilia. È il caso appunto di don Inzoli, ma chi conduce l'indagine in questione finora è stato talmente discreto che fino a qualche giorno non ero riuscito a trovarne notizia on line (ringrazio chi mi ha aiutato). In questo caso però non solo dovremmo ricordare che siamo tutti innocenti fino a prova contraria, ma che indagini di questo tipo spesso si sono concluse con un nulla di fatto: se a molti probabilmente non dice più nulla il nome di don Giorgio Govoni, morto condannato e in seguito riabilitato, i casi di Brescia o Rignano Flaminio dovrebbero essere a portata di memoria collettiva. Si può essere indagati per tante cose, ma si è innocenti fino a prova contraria: e fino a prova contraria si è liberi di andare ai convegni; non si capisce nemmeno chi ci dovrebbe tenere fuori. Tutto chiaro ora?

No, nemmeno ora.

Il caso di don Inzoli è ancora più complicato. Dichiarandolo "accusato di pedofilia", i giornalisti semplificano per necessità una questione abbastanza spinosa. Inzoli in effetti è sia innocente che colpevole, una situazione in cui in Italia si può trovare soltanto un sacerdote. Innocente per lo Stato, Inzoli è colpevole per la Chiesa cattolica. La Congregazione della Fede si è già pronunciata sul suo caso non una ma due volte: nel 2012 e poi, dopo un ricorso, nel 2014, con una "sentenza definitiva" in cui si mette nero su bianco la formula "abuso di minori".

"In considerazione della gravità dei comportamenti - si legge nel documento a firma del cardinale Muller - e del conseguente scandalo, provocato da abusi su minori, don Inzoli è invitato a una vita di preghiera e di umile riservatezza, come segni di conversione e di penitenza".

L'"umile riservatezza" prescritta dalla Congregazione prevede che Inzoli non possa più celebrare messe in pubblico (può però consacrare l'eucarestia in privato, quindi è ancora un sacerdote). Non può risiedere nella diocesi di Crema e nemmeno "entrarvi", quasi che ai confini ci fosse ancora una guardia vescovile in grado di respingerlo. Non può attendere ad attività ricreative o pastorali che coinvolgano minori - una norma di buon senso - e deve intraprendere "per almeno cinque anni, un'adeguata psicoterapia", il che costituisce secondo me una notizia in sé (per la Chiesa la psicoterapia funziona! Chissà se gli psicoterapeuti sono tutti d'accordo).

Quindi, per questa grande e rilevante e autorevole comunità che è la Chiesa cattolica, don Inzoli non è "indagato", e nemmeno "accusato", ma è colpevole di gravi comportamenti e responsabile di uno scandalo provocato da abusi su minori. Per questo motivo non può più dir messa, circolare a Crema, e deve fare psicoterapia. Tutto qui? Tutto qui.

Ora i casi sono due: o ci fidiamo della Chiesa, o no. Chi tende a non seguire le sue direttive in materia di etica e sessualità forse dovrebbe prendere con le pinze anche le sue sentenze, che sono tutto quello che sappiamo: non conosciamo le motivazioni, gli atti, nulla. Solo una sentenza nel buio. Se capita ai tribunali della repubblica di condannare preti e laici e poi riabilitarli dopo anni, può succedere anche a questa Congregazione di cui non si sa poi molto.

Se invece ci fidiamo di quello che la Chiesa ci dice su don Inzoli, a questo punto vorremmo capire perché i suoi prudenti pastori, dopo averlo trovato colpevole di tanto scandalo, lo hanno lasciato libero di andare per le strade del mondo, purché fuori dalla diocesi di Crema: senza darsi pena di denunciarlo alle autorità dello Stato in cui vive: uno Stato che ha una sensibilità fortissima per gli abusi di questo tipo, e li sanziona con pene ben più pesanti di un ciclo di terapia. E infatti l'indagine della procura di Crema, quella di cui si sa così poco, è ferma alla fase della rogatoria internazionale. Per conoscere le prove che hanno portato la Congregazione a sospendere don Inzoli, i giudici di Crema hanno dovuto inoltrare una rogatoria in Vaticano. Tutto chiaro? Un prete commette abusi a Crema, un cardinale a Roma lo trova colpevole, un giudice a Cremona deve fare una rogatoria internazionale per scoprire il perché.

Se era un sistema per mettere a tacere la cosa, ha funzionato fino a un certo punto. Certo è impressionante quanto poco si sia parlato, fuori Cremona, di uno scandalo che ha coinvolto un prete già tanto potente e chiacchierato (in questo come in tanti altri casi Mazzetta resta un punto di riferimento prezioso e ormai unico). Allo stesso tempo, imprimere un segno indelebile di colpevolezza su un uomo e poi lasciarlo libero di intrufolarsi ai convegni poteva risultate alla lunga controproducente per la Chiesa che ancora rappresenta, e infatti così è stato. A tutti coloro che combattono quotidianamente contro le ingerenze del Vaticano suggerisco di desistere dal seguire a ruota ogni battutina di papa Francesco - le sta azzeccando tutte, fidatevi - e porre qualche semplice domanda: se un prete è innocente, perché non può più mettere piede in una diocesi? Perché non può più frequentare gli oratori? Se invece è colpevole, e di una cosa tanto grave, perché non lo avete denunciato a un tribunale vero?

Postilla: chiunque condividesse le idee di quel convegno, e ne avesse avuto a cuore la riuscita, e fosse stato presente, e abbastanza intimo con don Inzoli per chiedergli di andarsene per favore, lo avrebbe fatto. Se Formigoni non lo ha fatto, o non era così preoccupato della buona riuscita del convegno, o non è più in grado di farsi ascoltare nemmeno da un suo ex sodale caduto in disgrazia.
Comments (9)

Elogio del bavaglio

Permalink
Siamo alla fine.
Per qualche anno ci siamo informati, ci siamo indignati, eccitati, divertiti. Abbiamo ascoltato cose che in fondo sapevamo già – però fa tutto un altro effetto, sentirle con le proprie orecchie. È stata un'epoca pornografica, forse col tempo ce ne vergogneremo: ma certi momenti non li dimenticheremo mai, li terremo sempre con noi. Ecco l'elenco completo.


E la n. 1 tra le Intercettazioni Che Ci Hanno Fatto Sognare è...

1) Per sollevare il morale del capo
Noi italiani poi non è che chiediamo tanto. Magari un po' di chiarezza, questo sì. Siamo una democrazia o siamo in una dittatura? Non si riesce a capire; in entrambi i casi la situazione non ha senso. In un regime di democrazia, un dirigente politico intercettato che ammetta di aver lucrato favori sessuali per ottenere la maggioranza in Senato cosa fa? Si dimette? Non sarebbe nemmeno sufficiente. Rendetevi conto un attimo di quello che intendeva combinare questo signore: far cadere un governo, gettare un Paese intero nel caos (il nostro Paese), comprando una signorina a un senatore. Uno così, in una democrazia, se lo scoprono, che fa? Si ritira dalla vita politica? Ma probabilmente anche dalla vita pubblica: si ritira in uno chalet in montagna e passa il resto della vita a pregare che la vergogna non gli sopravviva. Questo in una democrazia.

In una dittatura, per contro, lo scambio di favori sessuali e politici potrebbe anche essere all'ordine del giorno: ma un'intercettazione di questo genere non si sarebbe mai ascoltata. I nastri sarebbero distrutti, i magistrati sollevati dall'incarico, i giornalisti multati e deportati. E quindi, insomma, noi cosa siamo? Forse il problema è tutto qui, nel non riuscire a essere né carne né pesce. Al punto che persino io, che non ho mai potuto soffrire il concetto del tanto-meglio-tanto-peggio, mi scopro pronto a intonare il mio piccolo elogio della ghigliottina: nascondeteci le intercettazioni, toglieteci la libertà di stampa, e non trascurerei la necessità di oscurare internet, o almeno recintarla, come in Cina. Perché è quello che siamo: inutile fingere di essere diversi.

Siamo cresciuti col mito del Watergate: nel nostro inconscio collettivo campeggiava l'immagine di Humphrey Bogart che fa ascoltare al prepotente smascherato il rumore delle rotative per telefono: that's the power of the press, baby, non puoi farci niente. Al giorno d'oggi gli riderebbero in faccia, al signor Bogart. The power of the press, ma fammi il piacere. Non si dimette nemmeno un mafioso, perché dovrebbe dimettersi un magnaccia? Non si dimette nessuno. Le campagne di Repubblica, le inchieste di Report, i comici a Raitre, non sono opposizione; sono una valvola di sfogo che impedisce al calderone berlusconiano di scoppiare. Ascoltiamo il nostro scandalo settimanale e ci sfoghiamo. Addirittura ogni tanto ci fanno persino vincere le elezioni, avete notato? Una farsa. Abbiamo avuto D'Alema, Amato, Prodi – sono venuti, hanno rimesso più o meno a posto i conti, ma intanto chi regnava sugli italiani? Chi plasmava il nostro immaginario? Chi teneva le fila del vero potere? Sentite come lo tratta Saccà: lo chiama “Presidente”. Presidente di che? Siamo nel 2007, in teoria SB è un privato cittadino. Non fosse esilarante per decine di altri motivi (il giudizio tranchant su Martinelli, "senza alcuna piangeria", "Perché Legnano è Legnano"), la madre di tutte le intercettazioni meriterebbe di essere imparata a memoria perché ci fa sentire la Voce del Padrone. Nulla che non intuissimo già, si capisce: è da una vita che ci immaginiamo che le cose in Italia vadano avanti con telefonate così. E poi finalmente un giorno ne abbiamo ascoltata una. Possiamo chiedere di più? Vogliamo un pornosilvio tutte le settimane? Non è possibile. Se fossimo una democrazia, Berlusconi non avrebbe resistito a una botta del genere. Evidentemente non siamo una democrazia.

Ma allora chiedo coerenza. È da vent'anni che il calderone antiberlusconiano fischia, fischia, non sa fare altro, non se ne può più. Diamoci un taglio. L'altro giorno ho rivisto il tg1, c'era Berlusconi al telefono, ha parlato per cinque minuti senza interviste né contraddittorio (diceva che non mi avrebbe messo le mani in tasca, ho stretto le natiche d'istinto). È ancora poco. Io voglio Berlusconi per venti minuti tutte le sere, a reti unificate. Mi stanno bene Santoro e Floris, purché i loro ospiti parlino unicamente di Berlusconi, e ne parlino bene. Io voglio sanzioni pecuniarie, non per chi parla male di Berlusconi, ma per chi omette di parlarne bene in qualsiasi discorso. Voglio una lode a Berlusconi in calce a tutti i resoconti sportivi della Gazzetta, a tutti gli oroscopi, a tutte le recensioni del Mucchio.

Io accetto di vivere sotto una dittatura, purché sia una dittatura seria, senza telefonate e altri siparietti; senza facili illusioni di opposizione e democrazia. Che il duce faccia il duce, non voglio più vedergli le mutande. E mentre scrivo questo io so che da qualche parte Tremonti e Berlusconi, davanti ai veri numeri di bilancio, fantasticano quanto sarebbe bello andare alle elezioni dopodomani e perderle di misura; e farsi governare per un altro paio di anni da un utile idiota, un Prodi o un Bersani: qualcuno che metta le mani nelle famose tasche e si faccia fischiare di conseguenza. E invece no, signori: avete voluto l'Italia, l'avete vinta, adesso ve la tenete. È la pagina più buia dal dopoguerra, e tocca a voi voltarla. Ogni disastro sarà colpa vostra e non ci sarà nessuno in tv o sui giornali a rinfacciarvelo. Solo signorine sorridenti che dicono che va tutto bene. Dobbiamo calare a picco con le marcette militari.

C'è stato in noi, nel nostro opporsi fermo, qualcosa di donchisciottesco. Ma ci si sentiva pure una disperata religiosità. Non possiamo illuderci di aver salvato la lotta politica: ne abbiamo custodito il simbolo e bisogna sperare (ahimè, con quanto scetticismo) che i tiranni siano tiranni, che la reazione sia reazione, che ci sia chi avrà il coraggio di levare la ghigliottina, che si mantengano le posizioni sino in fondo. Si può valorizzare il regime; si può cercare di ottenerne tutti i frutti: chiediamo le frustate perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia perché si possa veder chiaro.
Comments (36)

Le 10 intercettazioni che meritavano (5-3)

Permalink
Il decreto anti-intercettazioni sarà la morte del giornalismo italiano come lo conosciamo? Boh, chissà. Invece di ragionarci su, la redazione di Leonardo ha raccolto le 10 Intercettazioni Che Ci Hanno Fatto Sognare. Occhio che si entra in zona podio...

5. Quel pezzo di merda di quella vecchia troia.
È anche colpa dei vip, diciamolo. Perché straparlano al cellulare? Non possono essere più criptici? Non possono prendere esempio da... Vittorio Emanuele di Savoia? Lui nel marzo del 2006 sa benissimo di avere il telefonino “più ascoltato d'Italia”. È per questo che coi suoi soci in affari parla esclusivamente in un codice cifrato. È per questo che, malgrado gli ultimi rinvii a giudizio, a distanza di anni non abbiamo capito esattamente di cosa fosse colpevole. Chissà cosa intendeva veramente, quando diceva che al Casinò di Campione “ci sono quattro sacchi di soldi”. Chissà cosa stava chiedendo realmente Sua Maesta, quando chiede “una pucchiacca” o “una suora” per lunedì, perché deve fare “un salto in Vaticano”. E i sardi che “fanno schifo” e “puzzano”? Ci avete creduto davvero? Ma sul serio, è possibile pensare che a una raccolta fondi per le vittime di abusi sessuali quei due fantastichino di trovare “delle belle bambine, così le...” E quella “comunista di merda” “che ha fatto morire il nostro capo dei servizi segreti”, quella che “bisognerebbe portarla in una caserma di alpini e poi darla agli alpini che se la sollazzino”? Tutti subito a pensare alla Sgrena. E invece chissà di cosa si trattava. E le flebo del principe per il Terzo Mondo?

Avvocato: "E' roba per il terzo mondo, per cui non dico roba tarocca ma di basso costo, in barba a qualsiasi brevetto".
Narducci: "Ecco per esempio abbiamo un'azienda legata al principe che fa anche le flebo".
Avvocato: "Tieni conto che deve essere roba di bassissimo costo perché è per il terzo mondo".
Narducci: "Bassissimo costo, è acqua e zucchero". 

Chissà di cosa parlavano davvero. Ma il messaggio più enigmatico di tutti, a distanza di anni, resta questo:

Veltroni è un comunista, però è molto intelligente, eh?

Mai quanto il nostro erede al trono preferito. Incarcerato all'Aquila, nella prima notte cade dal letto a castello; poi rapidamente si ambienta e... ricomincia a straparlare. Senza che nessuno gli chieda niente di niente, riesce a farsi intercettare in cella mentre confessa un omicidio per cui era stato scagionato vent'anni prima. E uno si chiede: ma sul serio noi italiani avevamo un genio del genere, una risorsa così... e lo abbiamo tenuto in esilio per cinquant'anni?

Anche se avevo torto... devo dire che li ho fregati. È davvero eccezionale: venti testimoni, e si sono affacciate tante di quelle personalità importanti. Ero sicuro di vincere. Io ho sparato un colpo così e un colpo in giù, ma il colpo è andato in questa direzione, è andato qui e ha preso la gamba sua, che era steso, passando attraverso la carlinga.

4. Come uno che manda una raccomandata... e lui mi ha messo una bomba, ah ah! Perché non sa scrivere!



Questa in realtà meritava il podio. È un nastro antichissimo (1986), tornato in auge negli ultimi mesi. Parte del suo fascino deriva proprio da quella patina d'antico, come i colori sballati delle vecchie polaroid. Rimpianti per un passato che si meritava un presente migliore. Per esempio, si sente Berlusconi, ma ha una cadenza più svelta e milanese, e un quarto di secolo in meno. Assomiglia al nostro SB, e allo stesso tempo è del tutto diverso. Non gli stanno tirando statuette in faccia, no: le bombe, gli tirano. E lui che fa, si lamenta? Macché, ci ride su. Gli basta dare un'occhiata al chilo di polvere nera,”una cosa rozzissima, ma fatta con molto rispetto, quasi con affetto”, per capire chi è stato (Mangano) e cosa vuole (un posto da stalliere?) E che vuoi che sia una minaccia mafiosa per uno squalo come lui: roba da farci due risate con Marcello e con Fidel. È da un'intercettazione così che capisci che carisma doveva sprizzare SB nei suoi anni ruggenti. Le bombe gli esplodono intorno e non gli tolgono il malumore, anzi: gli tengono compagnia. “La povera Veronica è qui esterrefatta”. Aveva trent'anni, Confalonieri si stupisce che possa essere gelosa di un uomo che ne ha già... cinquanta.

3. Non è che c'è un terremoto al giorno!
Eh, magari. È l'intercettazione più recente, quella che è valsa la gogna mediatica per i due cacciatori di appalti Piscicelli e Gagliardi. Rei non tanto di aver lucrato sulla “ricostruzione” dell'Aquila, ma soprattutto di averne riso, nel loro letto, alle tre del mattino, mentre studenti e pensionati morivano intrappolati nel cemento male armato. E questo noi italiani non lo possiamo assolutamente consentire – non il terremoto, neanche la speculazione: ma che si possa ridere nel proprio letto mentre la gente muore. Speculate pure sulle vittime di un terremoto, ma almeno vestitevi a lutto, piangete a voce alta, pagate qualche prefica, perché gli italiani amano sentir chiagnere mentre li si fotte. Detto questo, ridere dei morti è un reato? Negli ultimi giorni su LeftWing si è riaperto il dibattito:

Senza le intercettazioni, ha detto Gramellini, non avremmo saputo nulla di quegli imprenditori che ridevano del terremoto. Ecco, è vero: non l’avremmo saputo. Non essendo però ancora previsti nel nostro codice i reati di cattiveria, cinismo e avidità, per quale ragione, domandiamo, la famosa “opinione pubblica” avrebbe avuto il diritto di conoscere il contenuto di quella telefonata?

Già, per quale diritto? Per nessun diritto. Le intercettazioni non sono un diritto. Non abbiamo nessun diritto di conoscere il cinismo e l'avidità del prossimo nostro... però ci piace. Le intercettazioni sono un lusso. Forse un vizio. Forse stanno al buon giornalismo come la pornografia sta all'amore. Per quale motivo la famosa opinione pubblica dovrebbe guardarsi un porno ogni tanto? Perché ne ha voglia, perché esiste, perché è divertente. È un suo diritto? Non credo. Non lo so. Però so che quando gliele toglierete sarà triste, l'opinione pubblica.


Ricapitolando:
10) Abbiamo una banca
9) I furbetti del quartierino
8) Imballati o sfusi, frega niente
7) Un personaggio importantissimo della politica ..a transessuali...
6) E che cazzo! finalmente uno che sbaglia!
5) Quel pezzo di merda di quella vecchia troia.
4) Come uno che manda una raccomandata... e lui mi ha messo una bomba!
3) Non è che c'è un terremoto al giorno!
Comments (7)

Le 10 intercettazioni che meritavano (7-6)

Permalink
La legge sulle intercettazioni sarà la fine del giornalismo italiano come lo conosciamo? Nel dubbio, la redazione di Leonardo vi presenta le 10 Intercettazioni Che Ci Hanno Fatto Sognare

10) Abbiamo una banca
9) I furbetti del quartierino
8) Imballati o sfusi, frega niente

7) Un personaggio importantissimo della politica ..a transessuali...
Il fotografo Max Scarfone ha scoperto i turpi passatempi di Silvio Sircana, braccio destro del presidente Romano Prodi. Lo ascoltiamo mentre ne rende conto al suo agente, Fabrizio Corona. Il risultato è un'intercettazione al quadrato: in un colpo solo scopriamo il sordido mestiere del fotoricattatore e le inconfessabili pulsioni del portavoce.
Certe intercettazioni sono, per lessico e sintassi, di una banalità sconcertante. Sembra che qualcuno le abbia ridoppiate in post-produzione perché aveva paura che il pubblico del pomeriggio non capisse. Scarfone e Corona parlano esattamente come parlerebbero due paparazzi in una fiction. In poche righe si delineano i personaggi: il fotografo senza scrupoli che sta tallonando Silvio Sircana con l'ossessione di fare il colpo e svoltare, di “gettà le basi per un gran futuro”: vaga fantasia di lusso sfrenato in cui compare, banalissima, l'immagine della "bottiglia da champagne da novecento euro". Corona, dal canto suo, non dice quasi niente, ma è quello che “ragiona” (“è il mio pane questo”): un genio del male. E pensare che magari manco sapeva chi fosse Sircana (infatti Scarfone si guarda bene dal dirglielo: cerca di venderlo come “un personaggio importantissimo della politica”, e a Corona viene in mente solo quello che comincia con la P).
In realtà Sircana, sconosciuto ai più, diventa famoso proprio dopo questa intercettazione. Ma era davvero “importantissimo”: qualche giorno prima era diventato portavoce unico del Governo Prodi. La solidarietà sbandierata da tutta la classe politica non basterà a restituirgli la faccia. Sarà lui stesso a chiedere la pubblicazione delle foto di Scarfone. Ne esce il ritratto malinconico di un uomo solo, il cui maximum di trasgressione è un puttantour in Volkswagen senza concludere. Non sarà più il portavoce di niente. Corona invece è diventato l'agente di sé stesso.

6) Io con simpatia a dire: “E che cazzo! finalmente uno che sbaglia!”
Vale la pena di ricordare che questa è la classifica delle dieci intercettazioni che ci hanno fatto sognare, non delle più utili ai magistrati. Le intercettazioni filtrate in tv, o sui giornali, o al cinema. Quelle di mafia meriterebbero una classifica a parte, anzi un libro a parte, anzi probabilmente qualcuno lo ha già scritto. Dovendo scegliere un personaggio su tutti, mi è sembrato giusto Totò Cuffaro: è anche grazie alle intercettazioni che oggi non fa più il presidente della Sicilia. In questa ambientale del 2001 (da La mafia è bianca) due mafiosi parlano di lui, e finalmente non sono due boss da fiction: non stanno complottando, piuttosto han l'aria di cazzeggiare amabilmente, e intanto ci offrono la chiave per capire il successo del personaggio nell'ambiente. In Totò, i mafiosi apprezzano l'umanità che resiste alla politica: perché lui non è come i soliti “cacarini”, è “una persona normale” con cui ci si può mettere d'accordo. Ma soprattutto è un “cristiano emotivo”, uno che ci mette il cuore, e a volte magari sbaglia, però... è così tenero quando sbaglia. Il vero realismo è nel dettaglio dissonante. Questi rudi uomini di affari e sangue, cresciuti alla morale del Silenzio, quando vedono il giovane Totò sbroccare in tv davanti a Giovanni Falcone vanno in sollucchero. Lui può fare quello che loro, ligi alle regole, non faranno mai: partecipare alla rissa mediatica, guardare Santoro e Costanzo a testa alta, e accusarli in diretta di “giornalismo mafioso”. Dieci anni dopo, il ricordo di quella memorabile figura a reti unificate è ancora limpido: a Samarcanda quella sera i mafiosi avevano trovato la loro mascotte.
Comments (5)

Le 10 intercettazioni che meritavano (10-8)

Permalink
Ci hanno fatto indignare, ci hanno fatto ridere, ci hanno fatto sognare: poche cose ci hanno tenuto compagnia in questi anni come le intercettazioni. D'estate soprattutto – cosa sarebbe stata l'estate scorsa senza la D'Addario? l'agosto 2005 senza i furbetti del quartierino? Ambientali o telefoniche, le intercettazioni ci hanno fatto sentire un po' detective, un po' voyeur, un po' cittadini responsabili che s'informano sui difetti dei loro potenti, un po' sceneggiatori italiani che prendono appunti per una fiction ma poi gettono la spugna: tanto alla fine la realtà ci batte sempre.
È stato bello, bisogna dirlo. Berlusconi non era così terribile, finché potevamo dargli un'occhiata sotto i pantaloni. Ma ormai è tutto finito. Mentre aderiamo a tutte le proteste e le raccolte di firme del caso, noi della redazione di Leonardo abbiamo pensato di fare una classifica delle dieci intercettazioni che hanno lasciato il segno. Un modo per rileggerle o riascoltarle e magari scoprire che poche cose, giornalisticamente parlando, invecchiano bene come una buona intercettazione. Gli editoriali sbiadiscono, la cronaca stinge, ma quel che disse Berlusconi a Saccà è ancora lì, come scolpito nel marmo.

10. Abbiamo una banca!
Se la ricordano tutti così. In realtà secondo il Giornale, che pubblicò l'intercettazione nel gennaio 2006, Fassino disse a Consorte (Unipol): “E allora siamo padroni di una banca?”, per poi correggersi immediatamente: «Siete voi i padroni della banca, io non c’entro niente».
Ecco, dovessi spiegare il fascino delle intercettazioni, farei questo esempio: rubano l'anima. Per esempio, in questo lasciarsi andare (“siamo padroni!”) e rettificarsi subito (no, anzi, "siete voi i padroni", io no) c'è tutto Pietro Fassino, in tutto il suo contorcimento interiore. Lui magari voleva soltanto festeggiare con un po' di familiarità, ma poi il suo superego gesuita si ricorda che festeggiare è da sfacciati, e cerca di rimediare con una genuflessione non richiesta ("siete voi i padroni"); e intanto lascia ai paranoici (noi) l'impressione di saperne un po' di più: intuiva che lo stessero spiando? Violante si azzardò a dire che Fassino aveva usato il noi in senso dialettale, pare che i piemontesi lo facciano (noi al posto del tu? Violante? Ci prendiamo per fessi?)
È una delle intercettazioni meno sexy in assoluto; in compenso è una delle poche che forse ha davvero fatto Storia. Era la campagna elettorale del 2006; sembrava che il governo Berlusconi fosse agli sgoccioli, invece all'ultimo momento la Casa delle Libertà pareggiò con Prodi. Si parlò molto in quei mesi della sinistra uguale alla destra, che trescava con finanziarie e cooperative e addirittura pretendeva di possedere banche. Un temino sull'argomento lo scrissero tutti gli opinionisti di sinistra, penso di averlo fatto persino io. Qualche mese fa un manager milanese, Favata, ha confessato di aver consegnato personalmente l'intercettazione a Berlusconi, alla vigilia del Natale '05, ricavandone in cambio una promessa di “eterna gratitudine”, peraltro non onorata. A distanza di cinque anni Berlusconi continua a vincere le elezioni, Favata è sul lastrico, Fassino è stato completamente scagionato (Consorte no), e Bossi dichiara candidamente ai giornali che la Lega deve avere una banca. Qual è il trucco? Che in Italia puoi dichiarare ufficialmente qualsiasi cazzata. Diventa uno scandalo solo se la dici in un'intercettazione.

9. I furbetti del quartierino
L'espressione idiomatica più usata nel 2005/06, al punto da meritarsi una pagina di wikipedia. Dove si scopre la curiosa inversione semantica: il “furbetto del quartierino” per eccellenza è l'immobiliarista Stefano Ricucci, ma l'espressione (perfetta e ridondante il giusto per descrivere il provincialismo gretto dei nostri imprenditori) la coniò lui, al telefono, parlando delle manovre ostili di certe banche estere. L'espressione gli si è poi ritorta contro.
Io, lo confesso, ho un ricordo assai vago di tutta la faccenda. Era estate e ci stavamo perdendo da qualche parte in Normandia, ogni tanto riuscivamo a metter le mani su qualche vecchia copia della Repubblica, di quelle stampate in bianco e nero in un inchiostro che ci restava tra le mani. Ci stendevamo sulla spiaggia e leggevamo i dialoghi stentati dei potenti, e non li invidiavamo. Le uniche cose che ricordo un po' sono le affettuosità di Ricucci ad Anna Falchi, e di Gnutti alla sua Ferrari nuova. (A quei tempi anche l'intrusione nell'intimità di un palazzinaro ci sembrava qualcosa di rivoluzionario: a riascoltarle oggi, dopo aver sentito i consigli di Berlusconi a una entraineuse, le storielle dei furbetti ci farebbero tenerezza).

8. Imballati o sfusi, frega niente
Ma chi l'ha detto poi che servono i vip per appassionarsi a un'intercettazione. Quelle di Biutiful cauntri sono anonime e iperrealiste (forse a loro devono qualcosa gli sceneggiatori di Gomorra). L'audio è ottimo, la caratterizzazione dei personaggi impeccabile, l'accento perfetto, forse i dialoghi sono un po' telefonati, ma è il paradosso delle intercettazioni: se dovessimo scriverlo noi, un dialogo tra due imprenditori del nord che buttano tonnellate di veleno in una discarica illegale, non ce ne usciremmo con frasi stereotipate ed eloquenti del tipo “è stato fatto un accordo per non spaventare la popolazione, bisogna andare con i piedi di piombo”. Ma questi signori non stanno fingendo: stanno veramente avvelenando l'Italia, e quando parlano si permettono tutti gli stereotipi e che vogliono. “Però quello te lo tieni per te dopo il 16... se no vanno tutti i comunisti con bandiera rossa davanti”.

Comments (6)

- sulla crosta sottile

Permalink
Quaquaraquà generation

Io vorrei che anche nei giorni meno ispirati, la linea ""editoriale"" di questo blog fosse la seguente: evitare i commenti tanto-un-chilo, cercare di prendere ogni argomento come se fosse solo un aspetto di un problema più vasto. Una maglia del tessuto. Un elemento di una struttura. O un pezzo dell'animale, come direbbe Baricco (che è più bravo di me, ribadisco).

Nello specifico, non si tratta di sottolineare quanto siano stronzi e maiali Principe, Sottile e compagnia, quanto di notare una volta per tutte l'epoca eccezionale in cui stiamo vivendo.

Quest'epoca eccezionale è quella in cui una tecnologia davvero rivoluzionaria (la telefonia cellulare) è stata resa disponibile anche a persone di una certa età. Il che nel passato non avveniva: quando inventarono le automobili o gli aeroplani, non credo che i sessanta-settantenni ci si dilettassero. Ma in generale, i politici, i funzionari, i principi, non sono mai stati così all'avanguardia tecnologica come adesso. Hanno imparato a usare i cellulari, adesso li usano piuttosto bene, fin troppo bene, e il risultato da un anno a questa parte è una serie infinita di scandali seguiti a intercettazioni telefoniche. Prima Ricucci e compagnia, poi Fassino un po' spregiudicato che al telefono con Consorte sbotta in un "Abbiamo una banca!" (salvo pentirsi subito, perché è Fassino). Poi Moggi. E adesso Vittorio Emanuele, che comunque di Moggi non ha né il potere né il bieco carisma. Tutta gente un po' troppo chiacchierona, e poi hai voglia a lamentarti della fuga di notizie. E star zitti?

Una volta il malavitoso di successo era il tizio con la voce bassa e roca, che parlava poco o nulla, e sempre per interposta persona. Con l'avvento del cellulare è arrivato il Chiacchierone. Indubbiamente la pubblicazione seriale delle intercettazioni è un malcostume, ma suvvia. Quante possibilità aveva di resistere il modello-Chiacchierone? Il mondo del malaffare, lo sappiamo tutti, è ferocemente darwiniano: vince chi si adatta meglio all'ambiente. Moggi parlava troppo per sopravvivere. Deve prendersela solo con sé stesso.

Il bello è che questi Chiacchieroni, lo sono diventati grazie a una tecnologia innovativa. Prima erano probabilmente intrallazzoni riservati. Il mondo del malaffare Italiano è una specie di Afganistan tecnologico, dove si è passati direttamente dalla sciabola al razzo Terra-Aria, dai pizzini di Provenzano al telefono cellulare. Risultato? Uomini potenti che si sputtanano per un nonnulla. Vittorio Emanuele si vantava di essere "il telefonino più intercettato d'Italia". E poi passava a spiegare come avrebbe rotto il naso a una giornalista tv rea d'essere brutta e comunista. Allora, a prescindere dai reati contestati, a uno così il cellulare bisogna toglierglielo. Come si sequestrano i motorini ai tredicenni.

C'è stato un periodo nella vita mia e di alcuni miei amici, in cui i nostri numeri di cellulare erano su liste della Digos. Niente di drammatico, ma c'eravamo e sapevamo di esserci. E sui nostri cellulari si sentivano clic strani: autosuggestione, probabilmente; in ogni caso era meglio non dire cazzate. Un normalissimo principio di precauzione: non si cammina su un cornicione, non ci si accende da fumare se si sente puzza di gas. E non si dicono cazzate su un cellulare. Ma noi eravamo giovani e assolutamente sfigati, non dirigevamo la Banca d'Italia né i Democratici di sinistra, né la Juventus, né la guardia al Pantheon. Questo periodo è eccezionale perché c'è un giro un sacco di vecchi furboni che di fronte a un cellulare non sanno resistere, non hanno introiettato il principio di precauzione. Come i pellerossa nei cantieri dovevano ancora introiettare il senso di vertigine. Che t'impedisce un po' nei movimenti, ma a volte ti salva la vita.

Le intercettazioni sono un colpo basso, indubbiamente. Ma posso dire una cosa poco correct? Questa gente doveva farsi furba, punto. Il reato di imbecillità non esiste, lo so bene. Ma una società che non si protegge dagli imbecilli non funziona.
Comments (5)

- lo spettacolo nell'era in cui è da idioti pagarlo

Permalink
Bisogna essere scemi

Scusate se continuo a parlarne come se me ne intendessi, ma il calcio è davvero una metafa potente. Come a dire che è tutta una finta, non è di calcio che si sta parlando qui.

Uno dei paradossi del calcio contemporaneo, ad esempio, è la selezione naturale degli utenti più scemi. Intendo dire che come molti altri servizi voluttuari, il calcio, nell'era della riproducibilità digitale e gratuita, è destinato a fare affidamento sugli unici che insistono ancora per pagare, vale a dire quelli che non apprezzano una partita di calcio per quello che è, ma ne fanno un feticcio, deformato da una serie di connotazioni extracalcistiche (attaccamento ai colori, campanilismo, cameratismo, non saper come passare la domenica pomeriggio, ricerca di un senso della vita). Ma i feticisti sono, per definizione, irrazionali e irresponsabili. Spero di non offendere nessuno se li definisco, per amor di brevità, scemi. Ebbene, l'industria del calcio oggi distilla i più scemi tra gli utenti, e ne diventa schiavo.

Cerco di spiegarmi meglio. Il grande problema dell'industria dello spettacolo, oggi, è farsi pagare. Questo, a causa delle tecnologie su cui viaggia lo spettacolo, autostrade dell'informazione, via banda larga o satellitare, che sono meravigliosamente efficienti e indispensabili, ma hanno un grosso difetto: sono insofferenti ai pedaggi. Appena individui un tratto dove mettere un pedaggio, tutt'intorno si mettono a fiorire le scorciatoie. Legali o meno. Di solito meno.

Ora, attenzione: fingiamo per amor di teoria che le persone siano catalogabili unicamente per la loro intelligenza: che non vi siano persone più o meno belle, simpatiche, abbronzate, stronze, furbe, ma solo più o meno intelligenti. Detto questo, chi saranno secondo voi i primi a trovare la scorciatoia per pagare meno un servizio (o non pagarlo affatto)? I più intelligenti e informati. È ovvio.
E chi saranno gli ultimi ad accorgersene e a smettere di pagare? I meno intelligenti.
Può darsi che lo facciano perché sensibili a un concetto di legalità, o per tradizione, per senso di responsabilità, attaccamento alla maglia, eccetera eccetera: ma tutte queste cose nel nostro modello non risultano, il nostro è un modello in bianco e nero in cui appare soltanto questo: chi continua a pagare per vedere una partita di calcio è un deficiente.

Naturalmente non è tutto bianco e nero, ci sono miliardi di sfumature: in alto (bianco puro) abbiamo l'ingegnere trafficone che guarda tutto via adsl sul sito pseudoclandestino – oppure ha clonato SKY – seguono sfumature di neve sempre più sporca (chi va al bar, chi ha approfittato della super-mega-offerta del mese), fino al grigio cupo di chi la partita la paga fino all'ultimo centesimo. E poi le varie sfumature di nero di chi la partita la va ancora a vedere allo stadio: tribuna, gradinate, curva. Nel nostro modello costoro sono i più scemi: pagano relativamente di più per usufruire di meno servizi (niente primi piani, replay, commenti) e per correre più rischi (fila al WC, pioggia, tafferugli, precipita dal terzo anello un ciclomotore). Nella realtà naturalmente non è così: non è idiozia quella che li porta allo stadio alla domenica, ma attaccamento ai colori, sano cameratismo, voglia di dare un senso alla vita… ma tutte queste cose nel nostro modello, purtroppo, non si vedono. Nel nostro modello, ripeto, l'utente che paga di più per usufruire di meno servizi è considerato il deficiente.
Si tratta anche dell'unico tipo di utente che porta soldi alla maggior parte delle squadre – i soldi di Sky e company, com'è noto, se li pigliano le grandi, quindi…

Quindi, diabolicamente, le squadre medie e piccole devono investire sugli utenti scemi: ossia quelli che invece di procurarsi un'adsl, una carta clonata, una carta vera, un amico che ce l'ha, un bar… preferiscono venire allo stadio, per tutti quei famosi motivi: attaccamento ai colori, necessità di passare il pomeriggio della festa scandendo cori a rischio di beccarsi ciclomotori e mazzate. Gli ultras, insomma. Gli unici abbastanza idioti da pagare per quel che vedono: le squadre si sono messe nelle loro mani.

Verso la fine, l'Impero Romano si basava su un tacito accordo tra Imperatore e plebe romana. L'Imperatore manteneva la pace tra i confini e continuava a distribuire razioni di grano gratis da tutte le regioni dell'impero: la plebe mangiava a sbafo e non rovesciava l'imperatore. In sostanza, il bacino del mediterraneo era soggetto all'appetito della plebe romana. Il calcio contemporaneo, che smuove miliardi, è nelle mani delle plebi di una ventina di città, che in virtù della loro idiozia (pagano per vedere ciò che è gratis su tutti gli schermi ad alta definizione del mondo!) possono fare e disfare squadre, cacciare presidenti e allenatori, addirittura creare bolle di illegalità garantita. Se io non posso saldare un debito, dopo alcuni mesi verranno a pignorarmi. Ma se sono il presidente della SS Lazio, posso saldare comodamente in una trentina d'anni. Perché? Perché il presidente ha un po' di plebe dalla sua parte, perché se la sua squadra fallisse quel po' di plebe ruggirebbe forte, e fa paura la plebe quando ruggisce.

Il paradosso, purtroppo, funziona per tutta l'industria dello spettacolo. Prendiamo la musica: perché negli ultimi dieci anni le major sembrano avere investito soltanto su sgallettate improponibili? Perché bisogna essere idioti per pagare una canzone, oggi, e gli idioti non sono sensibili a virtuosismi musicali, non hanno un grande orecchio per la melodia, ma sanno riconoscere un culo se gli balla davanti. Del resto è una corsa disperata: ormai anche un deficiente sa scaricare gratis un mp3 o una suoneria. Il settore musicale è più dinamico – il calcio è più lento. Ci sono un sacco di fattori cosiddetti 'culturali' (le tradizioni, l'attaccamento, il campanilismo) che ancora impediscono una manifestazione di idiozia pura. Ma la strada più o meno è tracciata: pian piano ogni riferimento vagamente culturale verrà via, come la farina dal setaccio, e sulle gradinate vedremo soltanto una congerie di scemi paganti. Giudicate voi quanto siamo vicini o lontani da quel giorno.

Spero di non avere offeso nessuno con questo pezzo, non era mia intenzione, mi state tutti simpatici. Ma mi è ancora più simpatica la realtà.
Comments (14)

- la fiaccola sotto Moggi

Permalink

Eppure c'è gente che per il circo mediatico-giudiziario non riesce proprio a scandalizzarsi. Io, per esempio.
Lo confesso, è un mio limite, ci sono tante cose che non mi commuovono: le zingare ai semafori con preghiere di cartone, per dirne una, e un'altra sono i politici in manette. Massì, capisco, è un abuso di potere, lo so, però non mi commuovo. E anche Luciano Moggi può piangere tutte le calde lacrime che vuole, io resto di pietra. Sono giustizialista? Sono forcaiolo? Oppure semplicemente ho un'alta soglia di sopportazione.

Ognuno ha la sua, del resto. C'è fior di giornalisti, là fuori, che sapeva sapeva sapeva e nulla ha scritto, per anni, perché si sa come vanno le cose, finché ora basta, non se ne può più, la soglia di sopportazione è stata oltrepassata. Da chi? Da Moggi e Giraudo? Macché. Dai magistrati che torchiano, dagli intercettatori che non rispettano la privacy, dal circo mediatico-giudiziario.

Per contro, noi populisti forcaioli, è da vent'anni che ci scandalizziamo; da dieci che nel campionato italiano di calcio non ci crediamo semplicemente più: e oggi che c'è da inveire contro il circo mediatico-giudiziario, che ci volete fare, siamo un po' stanchi. Inveite voi, si fa un po' a turno.

Tutto questo in realtà non ha molta importanza. È molto più intrigante chiedersi: Luciano Moggi è un semplice accidente di percorso, o un difetto strutturale? Se è un accidente di percorso, è sufficiente farlo piangere ancora un po', interdirlo fino alla settima generazione, e poi passare ad altro. Ma siccome siete su Leonardo Blog, avete già capito dove voglio parare, vale a dire: secondo me Moggi è strutturale. Il che significa che il catrame e le piume non serviranno proprio a niente: cacciato con infamia un Moggi, ce ne servirà subito un altro. Perché il problema non è tanto Moggi, quanto… la struttura.

E che razza di struttura sarebbe il calcio, sentiamo. Beh, possiamo descriverla in vari modi. Struttura neoliberista: in un universo de-regolato, dove ogni squadra-società-per-azioni è libera di raccattare sul mercato qualsiasi giocatore a qualsiasi prezzo, prima o poi qualcuno doveva arrivarci: gli arbitri costano meno. E come investimento sono relativamente più sicuri. È proprio una semplice questione logica: perché svenarsi per i giocatori? Per gli sponsor, d'accordo, per il pubblico pagante. Ma se poi la squadra all-star non funziona? Se il Real Madrid galattico non quaglia? Se l'Europeo lo vince una squadra qualsiasi, tipo la Grecia? È il bello del calcio, ma comporta rischi economici che una squadra-società-per-azioni non può correre. E se intrallazzare con gli arbitri costa relativamente meno che procurarsi un paio di rinforzi a centrocampo, perché no? Sul serio, perché no? Morale: il calcio non può essere quotato in borsa. Una cosa è il professionismo, un'altra la speculazione, e Luciano Moggi è solo uno di quei manager che hanno agito per il bene degli azionisti, come i soldatini tedeschi obbedivano agli ordini del Führer. Fucilatelo se vi fa sentire meglio, ma il problema non è lui.

Questo in un universo neoliberista. Ma il calcio italiano è davvero in quell'universo? Qualche anno fa scrissi tre pezzi un po' naïf (1-2-3) in cui paragonavo il calcio inglese al calcio italiano, sull'unica base di un libro illustrato che stavo traducendo. La morale era questa: il calcio inglese è nato e si è sviluppato come una piccola industria, semi-artigianale. I calciatori hanno lottato per i loro diritti. Le squadre provinciali campavano costruendo dei campioni e rivendendoli alle Grandi. Le Grandi erano in realtà piccole ditte che si autofinanziavano con i biglietti negli stadi di loro proprietà. E tutto questo, fino agli anni Ottanta, generava ricchezza e la ridistribuiva.

Nel frattempo, in Italia, il calcio prosperava al di sopra delle sue possibilità. John Charles, “the first rich British footballer”, divenne "il primo calciatore britannico ricco" solo in Italia: la Juventus lo pagava quattro volte lo stipendio massimo consentito nel Regno Unito. Che senso avevano, questi ingaggi stratosferici?
Nessun senso strattamente economico. Il calcio non è mai stata un'attività veramente remunerativa in Italia – se così fosse le squadre sarebbero state società indipendenti, e non fiori all'occhiello dell'industriale, del petroliere, del palazzinaro di turno. Il calcio italiano del dopoguerra si è sviluppato come uno status symbol – un'attività in cui buttare un bel po' di soldi per dimostrare ai tuoi concittadini che ce l'hai fatta, sei in tribuna vips. E se avessimo dubbi sulla moralità e sull'effettiva intelligenza della nostra classe imprenditoriale, ci basterebbe fare i conti di quanti padroncini hanno rovinato sé stessi e i loro dipendenti con surreali operazioni di calciomercato. Da Zico all'Udinese all'Europarma di Tanzi, quanti soldi, quante energie buttate. E stiamo a prendercela con Moggi.

Moggi è semplicemente il capo dei briganti, e come tale lo considerava il suo padrone, Gianni Agnelli. Lo stesso che paragonava i suoi calciatori ai pittori del rinascimento: ecco cos'è il calcio in Italia, non un'industria, ma puro mecenatismo. Gli industriali contribuiscono alla pace sociale pagando la loro quota di circenses. Altro che neoliberismo. Stiamo ancora all'evo antico, ai Gladiatori. Oppure il guaio è stato passare troppo in fretta dal Circo Massimo alla Parabola, dal panem et circenses alla Società per azioni.

Rimedi? Si potrebbe cavar fuori il calcio italiano dall'evo antico, obbligandolo a diventare uno sport moderno, in cui tutte le squadre hanno rose di 22 giocatori e, udite udite, lo stesso budget: e si mantengono con il pubblico pagante.
Non c'è bisogno che me lo facciate presente, tutto ciò è frutto di un delirio, il tentativo di tornare a un modello europeo che non esiste più, perché a ben vedere è l'Europa che si sta italianizzando. È il calcio europeo che sta riscoprendo il modello pre-medievale del circo massimo: le squadre come brand mondiali, il calciomercato globale che serve anche a riciclare i soldi della malavita globale (pensare al Chelsea). L'Italia, che ha inventato il fascismo e il berlusconismo, continua ad esportare il peggio di sé. E c'è mercato.
Comments (8)