La faccia che abbiamo perso su facebook

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La violenza politica in Italia è ai minimi storici. Sembra incredibile, in un momento tanto difficile, in cui gli uomini politici godono di universale discredito. Eppure tutti i "muori" o i "crepate" che ci è capitato di leggere in calce agli articoli on line di alcuni quotidiani non ci devono far scordare che oggi i politici non li ammazza più nessuno. Ancora trent'anni fa non era così. Oggi, nel mezzo della crisi economica più grave dalla fine della guerra, qualche centinaia di dimostranti con forconi di cartapesta e qualche cartello trucido ci fanno sudare freddo. Quarant'anni fa in mezzo a cortei di migliaia di persone non era difficile intravedere qualche p38. Silvio Berlusconi, il più amato e detestato degli italiani, in un ventennio di bagni di folla ha rimediato appena un treppiede e un duomo in miniatura. Quindi? Quindi niente, forse tra la violenza verbale che ha trovato sfogo su internet e la violenza vera, quella che rende i politici bersagli di aggressioni o attentati, non c'è correlazione. Se ci fosse, potrebbe persino essere inversa: da quando la gente si sfoga su internet, ai politici non spara più nessuno.

Quella che si scatena su Internet, più che violenza, è maleducazione. È comunque irritante, quando non lascia semplicemente sbigottiti: il buon padre di famiglia che, tra un commento sulla partita e un autoscatto-ricordo della settimana bianca, sente la necessità di infilare qualche augurio di morte a Bersani, non sta offendendo tanto Bersani quanto sé stesso. Non dovrebbe essere difficile da capire. (continua sull'Unità, H1t#213)

 Quando mi capita di spiegarlo a scuola, perlomeno, mi sembra che il messaggio passi con facilità: non fare su Facebook nulla che non faresti davanti a un giornalista o in una caserma di carabinieri – dal momento che sia l’uno che gli altri, se vorranno cercare informazioni su di te, ti troveranno lì. Il tredicenne medio questa cosa la capisce. La mia speranza a questo punto è che la spieghi anche ai genitori: molti di loro evidentemente persuasi che i social network siano bolle di non-realtà dove è sospeso non solo il codice penale, ma anche il più elementare buon senso: quelle per cui non si mette il proprio nome e cognome e il visino sorridente accanto a un augurio di morte.
Quando qualche tempo fa diversi quotidiani on line (compresa l’Unità) decisero di trasferire i commenti dei propri articoli su Facebook, la parola d’ordine era “Metterci la faccia“.  La scelta aveva anche un senso economico, ma fu in molti casi giustificata come un modo di responsabilizzare il commentatore. Facebook è la piattaforma sociale che più di tutte ha scommesso sul desiderio dell’utente di uscire allo scoperto, rivelando nome e cognome e tanti altri dati più o meno sensibili. Quello con Facebook era una specie di patto col diavolo: si sarebbe preso i nostri dati sensibili, ma almeno ci avrebbe reso impossibile scannarci a vicenda in calce a un pezzo su un quotidiano. Chiedere ai commentatori di registrarsi su Facebook significava dare un volto a una pletora di commentatori anonimi che – si pensava – non si sarebbero più attentati a scrivere cose sciocche o volgari. Chi mai vorrebbe associare il proprio nome e il proprio volto a parole sciocche e volgari?
Ora lo sappiamo: anche una volta abolito l’anonimato, le idiozie e la volgarità restano dove sono. Facebook ci ha tolto un po’ di privacy (e magari se l’è rivenduta alla NSA o chissà a chi altri), ma non ci ha resi più gentili. Ci abbiamo messo la faccia, l’abbiamo persa. http://leonardo.blogspot.com
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- 2025

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È strana stacosa dei commenti, non riesco a disabilitarli.
(Di sicuro adesso non mi servono).
E se ci clicco sopra mi dà errore. Oh beh.
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A questo punto qualcuno si sarà anche chiesto:
Ma perché Leonardo non ha i commenti?

# 30: I sanitari dell’Alma Mater

(PARENTAL ADVISORY, explicit lyrics)

Io, se ci ripenso, ho fatto l’università in un contesto alquanto sudicio.
Le sale studio in particolare. I cessi delle sale studio per la precisione. Scritte zozze, fango, peli, acqua marrone, si stava come suini sul camion. A volte non c’era il bidet: qualcuno per protesta usava il lavabo.
Tuttora, quando il bisogno impellente mi porta in autogrill di seconda categoria, o nell’orinatoio di una stazione o di un centro sociale, sento che qualcosa nel mio profondo si smuove, come letame appena rivoltato (una scatologica madeleine), e mi trovo a esclamare, senza vergogna: “oh, che è, l’Università degli studi di Bologna?”

Ai miei tempi il laureando in lettere occupava un piano molto basso della piramide sociale. Non così basso che non ci fosse qualcuno messo peggio: i laureandi in Filosofia. Più già ancora quelli del Dams. Poi i pancabbestia. Poi i cani dei pancabbestia, quelli che in realtà se la passano meglio di tutti. Tutte queste categorie dividevano la stessa isola pedonale, studiavano, mangiavano, spacciavano fumo e biciclette negli stessi ambienti. E pisciavano negli stessi servizi.
L’idea che l’umanista sia un parassita della società di solito è un retropensiero, una cosa che si ha pudore a manifestare. Ma Bologna, sotto questo punto di vista, non aveva pietà. Vuoi fare l’umanista? Impara a vivere come una piattola. L’alternativa è la progressiva nazificazione: transitare in via Zamboni a testa bassa, portarsi l’acqua minerale da casa, imprecare sottovoce ai bonghisti delle tre del pomeriggio.
(Una cosa che mi fa sentire vecchio è il sottotitolo di Inkiostro, “uno studente bolognese”. Si sente che è passato del tempo. Io ai miei tempi non mi sarei mai definito uno studente bolognese. Non dico che ci fosse nulla da vergognarsi, ma era qualcosa da esibire il meno possibile, come una panda bianca arrugginita, un cesso sporco, il lavello quando non sciacqui i piatti da tre giorni. Questa era Bologna).

Dopo aver studiato laggiù, il resto del mondo sembrava un posto più pulito, diciamo pure più fighetto: lavoro non te ne danno, ma le pareti sono marmorizzate o color pastello, e i sanitari odorano di timo e di lavanda. E un po’ ti manca, la città delle piattole. Quegli odori, quei colori (il giallino, soprattutto).
Poi un bel giorno torni sotto quel portico e ti rendi conto dell’amara verità: non era la città a essere sudicia, era la tua generazione. Là dove c’era l’assemblea permanente dei bonghisti adesso ci sono tre, quattro camionette della polizia. Qualcuno ha strappato i manifesti e ritinteggiato tutti i muri. Il vecchio bar dello studente, un postaccio dove il caffè costava 600 lire e i camerieri ti chiedevano di buttare le cicche per terra, ora è un mediacenter strafighetto. E tu non puoi più pisciare, all’Università. Ovunque vai, c’è bisogno di un’esclusiva tessera magnetica, e tu non ce l’hai, sei escluso. Questo sì che è uno choc.

In questi casi tocca fare così: ci si appoggia al muro di fianco, col fare noncialante di un Joe Falchetto, e si aspetta che qualcuno munito di tessera arrivi, sospinto dal medesimo bisogno che vi ha portato lì. Quel che rende piccante la cosa è che all’Università i bagni tendono a essere bisex (perché?).
Quando alla fine arriva la ragazza – statisticamente è sempre una ragazza – ed estrae la preziosa tessera, occorre farle notare, con un’occhiata gentile, che si avrebbe tanta voglia di entrare con lei, tanto là dentro c’è posto per tutti.

La società del controllo è anche questo: doversi munire di una carta magnetica per pisciare.
“Ma almeno adesso l’ambiente si è ripulito, no?”
Sì e no. Prendi le scritte sui muri. I piccoli annunci di prestazioni sessuali. Finché l’Università era aperta al popolo, uno poteva anche ipotizzare una genìa di maniaci che venissero lì apposta. Ma ora non ci possono essere dubbi: sono i laureandi in lettere a offrire i loro corpi ad altri laureandi. Magari è quello stangone biondo al tavolo di fronte, che sta compulsando Cino da Pistoia: tra un po’ si alzerà, andrà in bagno, estrarrà una bic dai pantaloni e scriverà: offro pompini con ingoio, chiamate xxxxxxyyyx. Beh, fatti suoi, dopotutto.
Ma è possibile che tra le scritte sui cessi dell’Università e su quelle di una qualsiasi stazione non ci siano sostanziali differenze di stile? Nessuno che scrive endecasillabi a rima baciata, parolacce tratte dall’Inferno dantesco, distici elegiaci? No, il solito umorismo da cesso standard. E quel modo di dialogare a finestrelle, per esempio:

W i Korn!

I
I

SFIGATO, PASSA A STEVE VAI

I
I

PROBABILMENTE SEI UN FROCIO DI MERDA CHE SI ECCITA ASCOLTANDO I QUEEN CON UN CETRIOLO NEL CULO FOTTITI



Questo tipo di interfaccia grafica non vi ricorda niente? Molto prima dell’introduzione delle finestre di commento nei blog, molto prima della nascita dei blog, molto prima della stessa invenzione del World Wide Web, gli esseri umani usavano una tecnica simile per comunicare informalmente nei cessi pubblici.

Ma perché qualcuno sente la necessità di comunicare nei cessi pubblici? Perché non vuole essere visto, (a) e perché vuole comunicare con gente che non conosce (b); e che forse non ha nessuna intenzione di conoscere. Una ben strana modalità di comunicazione. Ma perché no? Dopotutto che c’è di male?
C’è che dopo un po’ le scritte stancano. Sono brutte. Sono volgari. Per una cosa divertente, ci sono dieci stronzate che ti fanno pensare al tramonto dell’occidente. Sembra che al riparo di quattro muretti piastrellati, ognuno di noi riesca a dare soltanto il peggio di sé.

E non si può trovare un modo per ripulire i quattro muretti, trasformarli in un elegante tazebao, limitare gli accessi soltanto a gente distinta, o agli addetti ai lavori? No. L’esperienza dei cessi dell’Università di Bologna ci mostra che è inutile.
Una volta potevamo dare la colpa ai pancabbestia, brutti, sporchi e cattivi. Ma oggi le tessere magnetiche ci inchiodano alle nostre responsabilità. Il troll che perde tempo a sporcare i muri con le sue stronzate, è uno di noi. Se non è proprio dentro di noi. È inutile che diamo la colpa agli altri. Siamo noi umanisti a scrivere quelle cose, nell’intimità dei nostri cessi pubblici. Ci piace. Del resto, siamo umani (forse troppo).

Ma umani o no, ve ne andate da un’altra parte a pisciare. Non a casa mia.

(Il biondone che compulsa Cino da Pistoia è un parto della mia immaginazione, che è malata).
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Aggregatore della domenica

Oggi, 29 febbraio (San Precario), nevicava. Ma io sulla neve non ho altro da aggiungere.

Ma non temete, finirà anche questo inverno, come tutti gli altri, si squaglierà come neve al sole, e sotto la neve Modena vi offrirà una primavera carica di stupende iniziative culturali. Venerdì prossimo alla Tenda comincia un ciclo sulle Narrazioni in Movimento: verranno quasi tutti gli scrittori che hanno parlato del G8 di Genova nei loro romanzi: Bosonetto, Bugaro, Dazieri, Lestini, Tassinari, Carlotto. Camilleri aveva un impegno. Qui c’è il programma.

Martedì 30, poi, nel trendissimo locale Juta di Via del Taglio, presenteremo Blogout a chi non se lo fosse ancora procurato, in compagnia dei polaroidi e di altri blog di scuola modenese. Rispetto all’ultima presentazione, posso garantire che il bar resterà aperto, e qualsiasi dibattito sui Commenti verrà punito in modo esemplare (notate che qui non metto nessuna faccina ironica).

Codesto blog darà a tali iniziative tutto il risalto che meritano. Invece non darà risalto a Sanremo, né in generale a nessuna trasmissione tv d’intrattenimento. Per i motivi già spiegati l’anno scorso, ma anche per uno molto più banale: io di tv ne guardo poca, perdo troppo tempo coi blog.
Da quel poco che ho capito, comunque, “Bisturi” segna lo sputtanamento finale della body art, e non me ne posso che rallegrare. (Grazie, Spocchia):

Nelle oziose performance delle due operatrici dell'estetico albergava uno spirito piccolo-borghese e narcisista, tipico d'altra parte di tutta quella body art e arte concettuale che fa del proprio ombelico il centro dell'universo. Uno non lo dice per non essere accusato di zdanovismo e maschilismo. Ma poi l'idea che sta alla base di tutte le esibizioni di Orlan (operazioni di chirurgia estetica in diretta) viene ripresa senza sostanziali modifiche da un programma di Irene Pivetti e Platinette. E quindi è inutile nasconderlo, stavolta sono contento, time is on our side.

In realtà parlare di tv non è facile come può sembrare. Bisogna essere ironici, e io ultimamente non ci riesco. Mi cascano le braccia subito e non so come raccoglierle. Prendete – non so – gli spot della Tim. Io vorrei tanto riuscire a fare ironia sugli spot della Tim, ma non ci riesco. Quando le cose sembrano troppo facili, in realtà si fanno davvero difficili. E infatti ci riesce solo Personalità Confusa. Sulla scala della mia invidia, se volete saperlo, X§ sopravanza Sergio Romano di parecchi gradini.

Qualche gradino lo ha salito anche Secondavisione con questa esilarante letterina a Laura (non la Laura dei cocktail, un’altra meno giovane che fa l’attrice).

Poi, uno ha un bel da dire che la differenza culturale è un feticcio: ci sono cose che ti lasciano sgomento. Per dirlo con Cronaca Vera: Per mettere a suo agio l’ospite occidentale del figlio, coppia di coniugi egiziani gli regala una cassetta porno… D’altronde, come dice Lia, l’importante è venirsi incontro…

Chi è arrivato fin qui si merita letture impegnative. Bene. Avete ancora 5 giorni di tempo per leggere questo bel pezzo di Pierpaolo Ascari su Casanova, Stendhal, Paul et Virginie e Mme Bovary, prima che il Manifesto lo cancelli come genialmente fa con tutto quello che pubblica. Segue dibattito.

E anche febbraio ce lo siamo tolti di mezzo. Secondo me è andato un po’ meglio di gennaio, ma secondo voi no.
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Non siamo insensibili alla domanda che da più parti ci viene rivolta, e cioè: "Ehi, sì, tutto molto bello, ma perché non metti i commenti? Eh? E' già da un po' che non dici perché non metti i commenti! Cos'è, hai già finito i motivi per cui non metti i commenti?"

Perché, perché, perché questo blog non ha i commenti? (Quarta puntata di innumerevoli)

#22 (dogma 2004) Una delle regole di questo piccolo sito è che, per quanto possibile, si riassumono le puntate per chi è appena arrivato. I commenti sono un posto dove molte cose accadono di nascosto, fra iniziati. Non mi piace. Davanti a una colonna di commenti il nuovo arrivato si spaventa e scappa via. Io voglio che si senta a casa, come se questo blog fosse nato l’altro giorno.

#23 (confessioni di una mente bacata) Ragazzi, già ci ho la scimmia di shinystat, che se la curva del mese s’ammoscia m’ammoscio pure io. Figurati se poi metto i commenti e una volta ne arrivano dieci e un’altra volta neanche uno. Peggio che l’ansia da prestazione. Fortuna che era un gioco.

#24 (arriva il nostro amico Leo!) Già se becco uno in birreria e mi dice: “Ieri hai scritto una stronzata”, ci rido su, ma sottosotto ci resto male. Sarebbe come aprire una birreria per tutte le cose che scrivo. Stasera piove, meglio se sto a casa.

#25 (questa era divertente tre mesi fa) E mettiamo anche che io apra una birreria, o perlomeno un baretto, bene o male frequentato che sia: e se arriva Filippo Facci a rimorchiare? Eh no. Per il nostro bene e il suo.

#26 (ma ve l’ho mai detto?) Perché sono già fidanzato.

#27 (statistico) perché in tre anni che scrivo su internet mi sono pentito di tre cose che ho scritto sul blog e di nove che ho scritto sui commenti. Qualcosa vorrà dire.

#28 (paranoico! Sempre più paranoico!) Di solito la gente che mi fa questa domanda è da mesi che mi insulta sul suo sito – credendo che non me ne sono accorto, ih, ih. Col cavolo che ti faccio scrivere qui dentro. Ci ho scritto “giocondo” qui? No? Ecco, vedi.

#30 (intollerabili crudeltà) Io faccio delle ricerche, mi leggo degli articoli, ci penso su parecchio, metto il mio cuore a nudo, faccio le ore piccole, poi arriva uno e si lamenta perché la Juventus ha perso in casa. Con tutto che io sarei granata, ma non è questo il punto.

#29 (fighetto) My God, comments are so uncool, so … 2003. Pensate che li ha messi persino Polaroid
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La grande sfida della settimana scorsa era: finirà prima Macchianera di pubblicare le liste dei massoni, o Leonardo a pubblcare i motivi-per-cui-non-ha-i-commenti? Non c'è stata gara, ovviamente.

Ma perché, perché, Leonardo non ha i commenti?

#21. Il Griso
L’altro giorno Il Griso era triste e non sapeva di cosa parlare, così è andato a spulciare Indymedia.

Insomma, per farla breve, quando nelle lunghe sere d'inverno mi rannicchio accanto al fuoco e preferisco evitare di uscire alla caccia di miei simili che la Natura, il cieco Fato, o qualche altra divinità beffarda ha colpito più crudelmente di me, mi vado a fare un giretto su Indymedia.
[…]
-Sì, ma andare a pescare nel newswire non vale! Perchè quello è open publishing, e c'è troppo open publishing in giro. Cioè, l'open publishing sarebbe la ricchezza della rete, però poi ci sono quelli che ne approfittano e pubblicano messaggi sessisti, o fascisti. Che poi magari non sono i fascisti che li pubblicano - comunque: l'ideale è che ciascuno coltivi il suo orticello virtuale e sia responsabile di quel che ci cresce, ecco.
A parte il fatto che è quello che dicevo già io un annetto fa (e non è colpa mia se voi alle cose ci arrivate sempre tardi e sempre col braccino corto)...


È una sensazione mia, è una paranoia mia, o qui il Griso (come sempre simpaticissimo) cercava di prendermi in giro?

Naturalmente bisogna accettare le frecciate, specie quelle simpaticissime, perché ti aiutano a crescere: probabilmente in questo caso mi si voleva rimproverare una certa incoerenza nel mio rapporto con l’open publishing, e un certo affanno nello spiegarmi in italiano. Mentre lui, lui un anno fa aveva già capito tutto. Capito cosa?

Sono andato a controllare. Un anno fa io ce l’avevo con quelli che cercano di dimostrare di essere intelligenti criticando i blog altrui, e cercavo di spiegare il perché. Ma probabilmente mi sono spiegato male, visto che il Griso non ha capito. Del resto in quel periodo lui era occupato a fare una simpaticissima predica a Hans Blix, che sosteneva che non ci fossero armi di distruzione di massa in Iraq, povero merlo.

In seguito c’è stata una discussione con Wittgenstein a proposito del newswire di Indymedia. Ecco, uno dei sintomi di decadenza del presente blog è che l’anno scorso polemizzavo con Wittgenstein, quest’anno col Griso. Non tanto perché W sia un giornalista di un certo successo e il Griso no: ma perché allora una polemica serviva a chiarire le proprie posizioni, e condividerle con altri: dopodiché ognuno era libero di restare sulla sua. Mentre ora ci punzecchiamo su cose arcinote.

Io dicevo che Indymedia non va confusa con i commenti sul newswire di Indymedia. La scorsa settimana ho ribadito: si rischia di confondere Internet con l’open publishing. Non mi pare di essermi contraddetto. Un anno fa, come oggi, io coltivavo il mio orticello virtuale. C’era solo una differenza, che a me sembrava piccola: ogni mio post in calce conteneva il link al forum. Siccome il forum tendeva a sviluppare una personalità tutta sua, io a un certo punto ho ritenuto che il rimando in calce fosse fuorviante, e l’ho tolto. Apriti cielo. Il Griso si è sentito censurato. Letteralmente: riaprici il tombino, che a noi piace sguazzare nel torbido. Notate che io non avevo chiuso un bel niente: avevo semplicemente economizzato un link.

Questa era la posizione a cui il Griso era “già arrivato” un anno fa: tutti hanno un loro giardino, dove gli altri (non lui) sono tenuti a lasciare aperti i tombini, perché al Griso piace sguazzare nel loro torbido (ma non nel suo). Il suo blog, naturalmente, non ha mai avuto né forum né commenti.

Io, invece, che da due anni cerco di trovare una soluzione per interagire coi lettori in maniera positiva (e non la trovo), se metto i commenti vengo accusato di aprire un tombino; se li tolgo vengo accusato di chiuderlo. Ma in maniera sempre simpaticissima, per fortuna.

Allora: un motivo molto importante per cui non tengo i commenti è perché in giro ci sono persone come il Griso, che hanno rispetto solo per il proprio orticello virtuale, e una curiosità ossessiva verso gli orticelli degli altri, a cui attingono ogni volta che si sentono soli e non hanno nulla da dire.

Il Griso continua dicendo che non ha intenzione di criticare Indymedia per i commenti, ma per “l’homepage”: vediamo cosa fa. Trova l’appello per Cesare Battisti, e manifesta il suo dissenso: perfetto, è quello a cui servono i blog.
Poi salta un bel po’ di robe interessanti. Un aggiornamento generale sui fatti di Genova, in cui si dice chi è sotto processo e chi no: se l’avesse studiato un po’, forse avrebbe capito perché molta gente continua ad avere sentimenti ostili verso le forze dell’ordine. E ancora: le acciaierie dell’Ilva; il petrolchimico di Marghera: tutti cose di cui il Griso non parla mai. È proprio sicuro di essere in un qualche modo ‘migliore’ di Indymedia? P2P, fecondazione assistita… il 31 gennaio è stata la giornata europea per la regolamentazione dei clandestini, il Griso lo sapeva? E delle manifestazioni dei bananieri in Nicaragua? No. E gli interessa qualcosa? No, pare che non gli interessi niente. Gli interessa soltanto di trovare qualcosa di cretino per poter sembrare, per contrasto, intelligente e simpaticissimo: e infatti la trova. In fondo alla pagina. La bellicosa dichiarazione di guerra di un gruppuscolo che termina col canonico “appendere un fascista non è reato”. Soltanto che il pezzo, abbondantemente citato dal Griso… è un commento. Cioè: prima aveva detto di non voler prendere di mira i commenti. Poi lo fa. È più forte di lui.

Il Griso vorrebbe tanto scoprire su Indymedia il brodo di cultura dell’eversione di sinistra. Ora, il guaio è che un brodo del genere c’è, come hanno dimostrato le perquisizioni di ieri. Ma non è una scoperta del Griso. È davanti a tutti noi, grazie a Indymedia. (Con l’avvertenza che un terrorista serio si guarderà bene da mettere le sue idee su uno strumento open publishing). Per questo IMC Italia continua a essere un sito molto più interessante del Griso, non me ne voglia. È libero e aperto al contributo di tutti, esclusi fascisti, razzisti e sessisti: una limitazione che molti blog a questo punto troveranno eccessiva. Su Indymedia assistiamo alla guerriglia quotidiana tra estremisti di destra e centri sociali; i migranti reclusi nei CPT; i processi che riguardano anche le forze dell’ordine. Indymedia fornisce un altoparlante a tanta gente che non ne ha: se qualcuno è tanto fesso da usarlo per autodenunciarsi, peggio per lui. Rimangono comunque testimonianze interessanti, anche quando non si condividono.

Il Griso, però, non pare troppo disponibile a interessarsi. Lui cerca solo il materiale per un altro pappappero. Lui fa la predica ai disobbedienti. Non sui commenti di Indymedia, per carità: qualche disobbediente potrebbe sentire. No, lui si chiude nel suo orticello virtuale e perfeziona le sue frecciatine, che piaceranno molto a chi la pensa esattamente come lui. Ecco a cosa servono i blog: non a dialogare, ma a ripeterci le cose che già sappiamo. Come le favole di mamma e papà.

(E dire, per esempio, che una cosa come il Noglobbal Speech Generator) era pure divertente: ma perché non la posti nel newswire? Così, solo per vedere l'effetto che fa. Credi che nessuno sappia apprezzare l'ironia? Credi che nell'ambiente tutti apprezzino le tirate dei disobbedienti?)

E io? Non sto facendo esattamente la stessa operazione del Griso? Non sto riempiendo un post con lui, come lui ne ha riempito uno con Indymedia? Probabilmente sì. Probabilmente dovrei farmi i fatti miei e lasciarlo nel suo brodo (non di eversione). Il fatto è che sono un po’ stanco.

Sì, sono stanco di queste frecciatine, che non aggiungono e tolgono più nulla a quanto ci siamo già detti e stradetti, e che mi sembrano un’insistente richiesta di attenzione. Ma continuare a dialogare col Griso significherebbe spiegargli cosa penso ultimamente di lui. E io non vorrei. Ma se insiste:


Omissis


Io, però, non avevo aperto un blog per giudicare le persone. Specie quelle che praticamente non conosco. E poi mi chiedi perché non ho i commenti. Ma se siamo a questi livelli forse vale la pena di chiudere il blog, altro che i commenti.

Questa faida da quattro soldi, temo, sarà la mia fine. Exit Leonardo, vecchio blog di periferia: una volta tutti gli pronosticavano un glorioso futuro, ma lui ha continuato a frequentare cattive compagnie e ad azzuffarsi per delle sciocchezze. Finché non l’hanno trovato disteso su un tombino, con un commento ficcato nello sterno. Ben gli sta.
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bocage irlandeseQuando vi ho detto che di motivi per non mettere i commenti ne avevo più di sessanta, e li avrei pubblicati dieci alla volta, magari pensavate che scherzavassi. E invece no.

E mi rendo conto che tutto questo smetterà molto presto di essere divertente, ma domattina la sveglia è alle sei, così stasera va così. Enjoy.

Ma perché Leonardo non ha i commenti? Motivi dall'#11 al #20

#11 (Lo dico sempre anche al lavoro) Ragazzi, piano. Io sono uno solo, voi siete ventisei. Non posso dialogare con tutti i ventisei, sennò facciamo notte. Piuttosto facciamo così: voi state zitti e buoni e io vi dico tutto quello che voi volete sapere

#12 (sfigato) Vedrete che il giorno che li metterò quel server lì s’incepperà, come si è inceppato le tre volte che ho provato a metterli. Invece il forum di Quicktopic ha avuto i suoi svarioni, ma funziona. Per favore, portate pazienza.

#13 (paranoico - 2) Perché se voi mi chiedete i commenti e io ve li do, poi mi chiederete anche i feed, e dovrò darveli, e poi, e poi, e poi, non c’è limite alla vostra ingordigia. Gli dai un’unghia e ti prendono un braccio. Le mazzate ci vogliono con voi, le mazzate.

#14 (attacco preventivo) Ho un’altra idea: perché non li togliete voi dai vostri siti? Magari vivremmo in un mondo migliore.

#15 (attacco preventivo, 2) Sissignore, io spesso vado a scrivere commenti su altri blog. Non sono io che sono incoerente, sono loro che mi invitano, coi loro link seducenti (“Commenta…”, “Scrivi un altro commento…”). Un giorno una commissione parlamentare stabilirà che i commenti danno dipendenza, e che i titolari dei blog coi commenti sapevano e non hanno fatto nulla per mettere in guardia i loro commentatori. Quel giorno io verrò a ballare sulle vostre tombe, ahah.

#16 (col cuore nell'altra mano) I blog dei miei amici con i commenti mi danno un po’ di angoscia. Ho paura che si offendano se non li commento. Ho paura che credano che non li leggo. Ehm, a volte è vero che non li leggo. Ho paura che se lascio un commento poi loro risponderanno al mio commento e si accorgeranno che io non sono passato a rileggere la risposta al mio commento. Ho paura. Ho paura. Brutte vibrazioni, brutte.

#17 (ormai questa cosa mi ha preso la mano) Adesso mettiamo che mi rimangio tutto e monto i commenti. E se poi non viene nessuno a commentare, che figura ci faccio? Mettetevi in me.

#18 (diciamolo) Con gli svarioni grammaticali che faccio in queste settimane, non mi pare propio il caso.

#19 (perché ho perso tutto questo tempo quando avevo un motivo così buono?) C’è il problema dello spam. In Italia gli spammatori non hanno ancora scoperto i commenti, ma arriveranno, arriveranno. Una volta sui miei commnenti è arrivata un’offerta per la renault twingo. In America ci sono già dei casini. Credo che bisogna limitare l’open publishing sulla rete.

#20 (mi avete sentito bene) Sì, credo che in Rete ci sia troppo open publishing. Non dico che sia sbagliato, dico che ce n’è troppo e che molta gente rischia di confondere la Rete con l’open publishing. Naturalmente stiamo parlando per massimi sistemi. Però credo che sia meglio per tutti se io resto responsabile del mio piccolo contenuto e voi del vostro. Sono un giacobino (o un girondino? boh): quando sogno l’Internet del futuro, immagino un mondo di piccole proprietà intellettuali, un reticolato di siepi, come la Normandia.

Nota: io a dire il vero i Feed di blogger li ho attivati, ma non funzionano e non capisco il perché.
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Parliamo di blog! Bisogna parlare più spesso di blog! Me l’ha detto il dottore.

C’è questa famosa polemica sui commenti, sul fatto che questo sito non ha i commenti, mentre dovrebbe averli.
In realtà blogger non ha un sistema di commenti. Quando io cominciai a scrivere qui, i servizi esterni sui commenti non esistevano: cominciarono a diffondersi in Italia nell’autunno del 2001. Oggi è pieno di sbarbi convinti che sia nato prima il commento e dopo il blog, come la gallina dall’uovo e il cinema dalla tv, e neanche s’immaginano che una volta tutti i blog non si potevano commentare – e si viveva lo stesso (neanche male, vi dirò).

D'altro canto, oggi sarebbe difficile credere in una blogpalla priva di commenti e commentatori.
Io, però, dopo alcuni tentativi proprio nell’autunno del 2001, ho deciso di fare senza. Perché? Non c’è un vero perché. Cioè, se frugo dentro me ne trovo parecchi. Una sera, aspettando un treno, ho cercato di contarli, ed erano più o meno una sessantina. Così ho deciso che farò così: nei giorni in cui non so cosa fare, scriverò qualche decina di motivi per cui non ho i commenti.

Ma perché Leonardo non ha i commenti?

#1: (paternale) Ma perché ha il forum, sciocchini. (E mi sembra già un luogo abbastanza deviante).

#2: (con la mano sul cuore): Questo affare mi toglie già tanto tempo e tanta fatica. Se montassi anche i commenti, rischierei di stare connesso tutto il giorno a rispondere a tutti quelli che passano. Vi prego, risparmiatemi questo calice. Tengo famiglia. (Cioè, ci terrei a farmene una).

#3: (piccato) Prima pagare, poi commenti.

#4: (didattico) A questa domanda mi sembra di averti già risposto sul tuo blog, nel quindicesimo commento a un post che avevi fatto tre mesi fa, in cui appunto dicevo che i commenti tendono a essere dispersivi e a rendere poco reperibili i frammenti di un dibattito. Cioè, mi sembra di averti risposto così, ma non riesco più a trovare il post né il commento, se lo trovi scrivimi un commento… ah, già, non puoi.

#5: (paranoico) Risponderò, ma prima levati il berretto. Voglio controllare se non hai le orecchie a punta. Internet è piena di gente con le orecchie a punta che mi odia. Levati il berretto. Levati il berretto, ho detto! Guarda che sparo.

#6: (viscido) Perché amo troppo i miei lettori per vederli svaccare sui commenti.

#7: (cybersocialdemocratico) Perché io credo che internet sia una democrazia di uguali, e trasformare ogni post in un potenziale forum significherebbe mettersi sopra i miei lettori. Se i miei lettori vogliono discutere di un mio post, possono farlo sui loro blog: in questo modo il rapporto è orizzontale. Ma non voglio essere il vassallo di un'anche piccola comunità di servi della gleba. Commentatori, affrancatevi dalle vostre catene! Siate liberi! Siate anelli orizzontali di una catena democratica!

#8: (sfacciato) Ragazzi, io voglio essere letto da più gente possibile, per cui voglio essere linkato. Per questo scrivo pezzi controversi e provocatori. Se vi do la finestra dei commenti, voi reagite lì, lasciate il vostro link al vostro sito e me ne andate. Non è quello che voglio da voi. Io voglio che voi reagiate non in una finestrella di commenti, ma sulla main page del vostro sito: che mi linchiate, che trasferiate un po’ dei vostri accessi sul mio contatore. Cosa che già fate, ma non abbastanza. Dovete impegnarvi di più.

#9: (stronzetto) Perché non voglio umiliare Quintostato, che dopo tutto il casino sull’Espresso ecc.., ancora non li commenta quasi mai nessuno. Fossi in loro, anzi, li disabiliterei, ci fan più bella figura.

#10: (reo confesso) Perché non voglio essere umiliato da Personalità Confusa ogni volta che scrive un pezzo e lo commentano in centoventi. Preferisco che la gente mi creda una blogstar. Se solo sapessero.

Per oggi basta
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La confraternita dei pirla

(tante scuse, tutte non richieste)


1. I blog non sono un argomento interessante.
Non così interessante, almeno, nel 2003. È crollato il WTO, c’è la guerra infinita, l’inflazione, Fini vuole il voto agli immigrati, Annalena Tonelli è stata uccisa nel Somaliland... Io un po’ mi vergogno.

2. Io vivo offline.
E anche il mio blog è scritto offline, non so se ci avete mai fatto caso. La maggior parte dei tenutori di blog scrive en plein air, può controllare i link al volo, modificare in corsa, tornare ogni tanto a leggersi i commenti. Io scrivo, correggo, e poi mi connetto, una volta al giorno. Mi connetto per aggiornare il blog, scaricare la posta, leggermi i titoli dei giornali e farmi un giro tra i blog. Non ne leggo tantissimi, e probabilmente torno sempre agli stessi. A volte non resisto e commento qualcosa: grave errore. Non si dovrebbero mai scrivere cose d’impulso, e i commenti favoriscono questa cattiva abitudine. Inoltre se scrivi un commento ti aspetti una reazione, per cui i tempi on line si allungano: è un circolo vizioso.

3. Non segnalo mai blog nuovi e interessanti
In linea teorica, se invece di leggere ottusamente gli stessi blog, ogni giorno ne leggessi di nuovi e sconosciuti, senz’altro troverei ottime sorprese. Il guaio è che quando mi connetto non ho voglia di leggere degli sconosciuti: ho voglia di leggere quelli che conosco. Come ogni essere senziente, cerco in ogni modo di risparmiare energia mentale (e come ogni essere umano, alla lunga mi annoio). Forse c’è stata una fase in cui mi piaceva sperimentare link stravaganti, ma col tempo vince sempre la pigrizia. Anche voi, la sera, cosa ordinate? Cambiate aperitivo tutte le sere? No, chiedete il solito. C’è qualcosa di male?

4. Ma intanto la marea monta…
Il fatto che i blog continuino ad aumentare rafforza la mia pigrizia. Qualunque sito pescassi, farei comunque un gesto arbitrario nei confronti delle miriadi di blog interessanti che senz’altro meritavano la mia attenzione. Così resto al bancone e ordino il solito. In fondo lo sapevo che sarebbe finita così: quando tutti avranno un blog, ognuno leggerà il suo e non avrà più attenzione per gli altri. Al massimo lo useremo per comunicare con gli amici, ma difficilmente ce ne faremo di nuovi. È il normale decorso della diffusione di una tecnologia di massa: c’è un periodo epico, in cui alcuni geni (più alcuni pirla che passavano di lì per caso) attirano l’attenzione facendo cose che nel giro di pochi anni tutti diventano in grado di fare. Io mi metto tranquillamente nel novero dei pirla per caso, e sono sicuro che se cominciassi a scrivere oggi otterrei un decimo dell’attenzione che ho ottenuto negli ultimi mesi. Sono stato fortunato, questo è tutto. Ma non ci ho fatto un soldo, anzi ho speso bollette salate, per sentirmi oggi dire che faccio parte di una lobby o una loggia di blog pretenziosi che si citano tra loro. Il che può darsi benissimo: ma di tutte le lobby e le logge che ci sono a questo mondo, santiddio, doveva capitarmi proprio la loggia dei pirla?

5. Granieri ha ragione, tuttavia
Granieri secondo me ha sempre ragione:
quando dice, per esempio, che la blogosfera è un ambiente non competitivo. Il problema è che la blogosfera è occupata da esseri umani, che sono terribilmente competitivi. Forse una blogosfera di calamari sarebbe diversa. Ma siamo umani, e siamo disposti a invidiarci anche le nostre statistiche farlocche. Se non ci fossero, le blogstar, le avrebbero inventate, e infatti è così: le hanno inventate.
Granieri ha ragione quando sostiene che nessuno legge un solo blog. Anche se, adesso che ci penso, io per cinque mesi della mia vita ho fatto proprio questo: ho letto un solo blog, il mio. Non sapevo nemmeno che esistessero altri blog italiani, finché non mi ha scritto la Pizia (e Wile, e Max Boschini). E – credeteci o no – stavo benissimo. Scrivevo solo per me? No. Ma non scrivevo nemmeno per una comunità di lettori e lincatori che, come tutte le comunità, richiede costi di gestione: lincare, ringraziare, rispondere alle mail, rispondere a delle attese nei miei confronti. Scrivevo, esattamente come oggi, per chiarire la mia posizione nei confronti del mondo. Questa è la cosa più importante, per me. Che poi alla lettura del mio quotidiano testamento assistano testimoni, è cosa che indubbiamente fa piacere. Ma di testamenti si tratta, roba scritta da una persona offline che nel frattempo, per quel giorno lì, non ha niente da aggiungere, è come se fosse morta. Non siete d’accordo con me? Neanch’io, spesso, il mattino dopo. Siete d’accordo con me? Troppo tardi, ho cambiato idea. E poi: ma è così importante essere o no d’accordo con me? Chi sono io? Perché una scemenza come “il ’68 ha strasfracellato i coglioni”, se detta da me, diventa una frase importante e scatena addirittura dei dibattiti? Sapete quanta gente ne scrive di cose così, se solo avreste voglia di cercarle. E allora, solo perché io appartengo alla confraternita dei pirla, qualsiasi mio rutto o scoreggia può scatenare il dibattito? E quindi… non ho più il diritto di ruttare e scoreggiare sul mio sito personale?
Prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr!

6. Paesaggisti e soggettisti
Studiando mi sono reso conto che ci sono due tipi di artisti: quelli che disegnano uno spazio e quelli che disegnano una figura. Li ho chiamati, per comodità, paesaggisti e soggettisti. Dopodiché, mi è sempre più sembrato di voler vivere da soggettista in un mondo di paesaggisti. Quasi tutte le persone che conoscevo ragionavano in termini di spazi, sognavano di gestirne uno. Ho partecipato anche a delle riunioni. Di solito si pensava a una rivista che fosse anche un sito internet, che fosse anche un progetto, che fosse inoltre un ambiente polivalente, un circolo, dove ognuno avrebbe espresso qualcosa, e in un angolo il bar. Questi spazi, il più delle volte, rimanevano mentali: in alcuni casi invece si sono concretizzati, per breve tempo: non perché i paesaggisti non fossero entusiasti e competenti, ma perché in quello spazio ben organizzato nessuno sapeva esattamente cosa venirci a fare, e intanto il bar aveva i suoi costi.
Io sono diverso, non nel senso che sono migliore, anzi: stimo molto i paesaggisti, credo che dovrebbero ereditare la terra. Ma io sono un soggettista. Io faccio la mia cosa: scrivo. Se mi date uno spazio, io sono felice. Ma non potete chiedermi di creare uno spazio per gli altri: so che esistono gli altri, ma creare gli spazi non è il mio mestiere.
Io ho sempre scritto, e quando mi hanno dato un blog, ho continuato a scrivere lì. Fine della storia. Invece ci sono persone che appena arrivate si sono messe a ragionare in termini di spazi: come fare a creare uno spazio confortevole, a mettere insieme il più gran numero di link senza offendere nessuno, eccetera. Gente come Strelnik, o Granieri, si sono comportati da veri paesaggisti: entusiasti e competenti.
Dopodiché, lo spazio non serve a nulla se non ci sono dei soggetti dentro. Questo è quello che faccio io: disegno le figure. Può darsi che lo faccia male, in tal caso scrivetemi e cercherò di emendarmi, ma non chiedetemi i paesaggi, sono un disastro. Lo dico perché lo so.
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