A furia di esportarla, la democrazia è finita
19-02-2025, 02:35democrazia d'esportazione, Russia-Ucraina, TrumpPermalinkSono giorni molto confusi: sarebbe saggio non scrivere niente. Ma nella confusione tante cose si rivelano: certo, rischio di svelarmi anch'io. Rispetto ad altri ho un vantaggio: non ho mai confuso gli Stati Uniti d'America con mio padre. Non ho mai dato per scontato che sarebbero venuti a salvarmi da qualsiasi guaio in cui mi sarei cacciato – ragion per cui non ho mai creduto molto in questa cosa di dichiarare guerre, o di combattere a oltranza quando altri me ne dichiaravano, e forse qualche volta ho ceduto territori che mi spettavano, ma l'alternativa era perderne ancora di più, e così me ne sono fatto una ragione. Crescere è anche questo, ma molta gente qui da noi non è mai cresciuta, e probabilmente adesso è tardi. È ingiusto immaginarli mentre si ingegnano di salire sul carro del vincitore, perché anche per quello serve un ingegno che loro non hanno mai applicato. La realtà è che non sanno saltare: i loro genitori o nonni su quel carro sono saliti nel 1944/45, e da allora la questione non si è più posta, la questione non esisteva, Washington era il fulcro morale del mondo. L'idea che abbia trascinato l'Ucraina in una proxy war non è accettabile; la possibilità che ora la molli al suo destino (cioè alla povera Unione Europea), accordandosi con quello che fino a ieri mattina era l'Impero del Male, non è assolutamente immaginabile, dev'essere un incubo. Proprio ora che i filistei si avvicinano, Dio non ci parla più. Persino i governanti sono sotto choc: convocano vertici non si sa nemmeno più di cosa, UE più Regno Unito ma senza gli staterelli troppo riottosi. C'è chi propone di continuare a combattere, ora sapete come dovevano sentirsi i giapponesi in certe isole.
In mezzo a tutto questo, bisogna ammettere che Giorgia Meloni galleggia meglio di altri corpi, per tutta una serie di motivi, e il primo è che galleggiare è il suo mestiere. A differenza di tanti altri statisti e governanti, l'atlantismo per lei è solo un episodio: il giorno prima di abbracciarlo con tutta sé stessa stava ancora spacciando qualche palla delle content farm putiniane, come il piano Kalergi; e dopodomani potrebbe ricominciare imperterrita, qualsiasi cosa pur di stare a galla. Per tanti altri sarà più difficile, a certe ironie della sorte non si sopravvive: credevano che la guerra in Ucraina avrebbe portato a un regime change a Mosca, e invece è cambiato il regime a Washington. Immagino il dilemma: farsi trumpiani, o inventarsi all'improvviso un europeismo in cui non credevano neanche lunedì scorso? Quel che è certo è che non diranno mai scusate, ci siamo sbagliati, credevamo che gli USA fossero sinceramente interessati a riportare i confini dell'Ucraina al '92. Credevamo che gli ucraini avrebbero combattuto fino all'ultimo uomo per questi sacri confini, ma d'altro canto non credevamo che ce ne sarebbe stato bisogno perché credevamo che qualche mese di guerra di posizione avrebbe fatto saltare Putin, e inoltre credevamo che il sistema di potere russo consistesse essenzialmente in questo malvagio Putin; una volta saltato, la Russia si sarebbe trasformata in una democrazia liberale. Credevamo, credevamo. Scusate, con questa idea di esportare la democrazia facciamo gli stessi errori di calcolo da trent'anni, ma l'ipotesi che la calcolatrice sia un pezzo di plastica coi numeri finti non ci ha ancora sfiorato; confondiamo la geopolitica con la morale e abbiamo la morale di un bambino di otto anni; la maestra è uscita da un po' senza incaricare nessuno di scrivere buoni e cattivi alla lavagna e questo ci destabilizza. Siamo tutti troppo deboli e immaturi per confessare di essere deboli e immaturi, e così anche stavolta stringeremo i denti e faremo finta di andare avanti. Dio non ci parla più, ma fingeremo di ascoltarlo lo stesso.
Morire per il Donbass sì ma quanto
21-04-2022, 03:00democrazia d'esportazione, guerra, Russia-UcrainaPermalinkAh bisogna vedere come considerare i morti dello yemen, ma diciamo che non contano perché a ucciderli direttamente è soprattutto l'arabia saudita (capiranno)
Biden ha fregato metà dei soldi afghani per darli alle vittime del'11 settembre e Guaido si è pagato spese personali coi soldi del Venezuela.
Sul "team liberaldemocratico" del Venezuela,anche!
Cara/o(dacci il tuo genere)quello che vedi nella propaganda che a te aggrada, è un compendio che anche l'altra parte utilizza.
Uscire dal loop propagandistico è un effetto della civilizzazione.
Restarci è lecito,ma privo di senso.
Se tu credi nella rivoluzione chavista dovresti accedere di persona alla bella vita proposta. Se reputi l'autocrazia un bene per l'umanità,nn hai che la scelta di dove domiciliarti.
Io credo che,in Italia,ci sia ampio spazio "divergente" in cui nuotano tanti sgamati capitalisti.
Se tu credi di vivere col fiato sul collo,qui in Italia o Occidente,trova la tua libertà dove la vedi esistente.
...forse poiché negli anni 2000 tutti coloro che erano contro i conflitti generati dai Neocon USA in Mediooriente usavano la bandiera della pace: le città italiane erano strapiene di bandiere della pace ed imponenti manifestazioni contro la guerra riempivano le piazze, ma magari tu in quegli anni eri troppo occupato a lamentarti di qualcos'altro per accorgertene.
Era questo l'articolo che avrei dovuto postare,ma anche quello sopra è interessante.
Buona giornata!😘
Semplicemente pressioni politiche,come volere i rubli come pagamento.
Sul Venezuela ho trovato questo,a mio parere,interessante articolo dove le azioni giudiziarie e nn le ricostruzioni,hanno svelato una parte del potere chavista "dessinistra". Tra l'altro tratto dalla rivista di Orsini. Come puoi vedere nn mi affido ai "papersera ritagliati sulle mie esigenze" come invece tu appari ricorrere a piene mani(che siti frequenti!😳🤓).
https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2022/01/25/venezuela-guaido-avverte-lofferta-usa-di-alleggerire-le-sanzioni-non-e-illimitata/
Io dico che nessuno ha mai mandato armi per ajutare gli iraqeni invasi, non c'era l'inno iraqeno a reti unificate, la banidera iraqena non sventolava sui balconi o all'ipercoop, chi resisteva a Bassora o a Fallujah (non meno tenacemente di come stanno facendo gli ucraini ad est) non era un eroe ma un terrorista, quando Ferrando dosl dire che Nassirya era un atto di resistenza fu ordinata una replica del supplizio di Damiens.
La domanda è: questa differenza come si spiega?, c'è uno straccio di motivazione?, che cambia tra quella guerra e questa da provocare reazioni così antipodiche nelle società occidentali?
Mama Africa mai sentito, Mama Afrika è Miriam Makeba.
Su Guaido ho questo pezzo salvato nei segnalibri.
Esercizio: sempre a febbrajo per sopprimere la manifestazione del "Freedom Convoy", il Canada ha (inter alia) bloccato i conti in banca dei camionisti; riesci a trovare da solo la notizia?
Un ottimo ragionamento.
Aggiungerei che la prossima volta che cercheranno di far fuori Navalny basterà dire "E allora con Sacco e Vanzetti come la mettiamo?"
visto che gli stati uniti (missili a cuba, irak, afghanista, ecc) hanno combinato sfracelli sti cazzi dell'ucraina (oggi) e (domani) della moldavia, della finlandia, della svezia, delle repubbliche baltiche... dimmi tu quando fermarmi
visto che a biden mettiamo in conto tutto, dai missili di cuba alla siria, a putin possiamo mettere in conto ungheria, cecoslovacchia, cecenia e ucraina
quindi se ho ben capito: gli stati uniti hanno combinato disastri quindi ora la russia ne può combinare altrettanti, senza aver neanche avere noi il diritto di protestare (e si fottano i russi che protestano e finiscono in galera)...
ah, spoiler: qualcuno di noialtri ha protestato sempre, per (quasi) tutto: a cominciare dal colpo di stato in cile (sì, ci ho 'na certa età)
un'ultima cosa suggerirei a putin: siccome negli stati uniti i poliziotti ammazzano qualche nero ha acquisito il diritto di far ammazzare dai poliziotti qualcuno di una o più delle minoranze etniche in russia, giusto?
L'uso dell'antificio retorico dell'argomento spaventapasseri è astuto, così come l'uso di fonti selezionate con cura.
Per dire: contro la guerra di Bush vi furono manifestazioni oceaniche e molti stati occidentali (esempio: la Francia di Chirac) si smarcarono.
Ma la cosa più interessante di tutte è ciò che già altri avevano fatto notare: siccome ieri ci son state le guerre Puniche che hanno fatto morti a bizzeffe, possiamo fregarcene dei conflitti di oggi.
Carina anche la logica di mancata prevenzione: il fiume potrebbe straripare, ma lo giudico pericoloso solo dopo che ha straripato, quindi non innalzo nessun argine e aspetto che esondi per vedere se era davvero pericoloso.
Direi che ci siamo chiariti le idee e ti ringrazio di esserti finalmente aperto.
La tua linea politica per il futuro è dunque quella di uscire dalla NATO il prima possibile, in modo da metterci in salvo dalla loro minaccia.
Buona serata e grazie per avere espresso il tuo pensiero. Ai posteri l'ardua sentenza.
"Madre Russia" è un'espressione standardizzata al pari di "Bella Italia" o "Mama Africa".
Però è bello notare come la Settimana Enigmistica colpisca ancora: attaccarsi a dettagli linguistici per sviare la discussione.
Ciò detto, altre premesse. Qui una delle questioni è minaccia vs percezione della minaccia; ognuno considera la minaccia a suo danno come oggettiva e inaccettabile, quella a danno della controparte come risibile e paranoide. Poi non credo molto a questa cosa del singolo individuo che controlla centinaia di milioni di persone, dalla politica estera alla scelta dei capoclasse delle primine. Capisco perfettamente che Putin sia un nemico per un polacco o per un lituano, ma una buona metà di questa inimicizia è pregiudizio, razzismo, quindi non voglio averci nulla a che fare. Nè ragiono in termini di "minaccia all'Europa"; l'Unione Europea è un baraccone molto molto meno democratico dei suoi stati membri (in cui la democrazia non è che se la passi alla stragrande), così com'è, è parte del problema, ed ha un'inerzia mastodontica, non roba che rivolti come un calzino.
Ciò premesso, come stimo se Tizio è un pericolo per l'umanità?, dal codazzo di morti che si trascina dietro. Quello di Putin, se gli metti in conto la Cecenia, sarà di qualche decina di migliaia di tizi su un arco di 23 anni; non male, ma i vari Bush, Obama e Clinton hanno messo su numeri molto migliori in molto meno tempo; la storia ci insegna che anche le rimonte più clamorose sono possibili, per cui un giorno Putin magari scavalcherà i vari mr president agguantando la vetta della classifica. Ad ora, è nolto staccato. Fammi aggiungere, che su quest'ultimo punto sono in buona compagnia (almeno apparentemente), negli ultimi vent'anni i vari sondaggi su chi costituisca la principale minaccia alla pace nel mondo, condotti a livello mondiale dai vari istituti demoscopici occidentali, sono stati tutti stravinti dagli sceriffi.
Se manco questa risposta ti va bene, boh, pace, io ci ho provato.
Immettere le fonti,pleise.
Strano: eppure sono "guerre" completamente diverse, le altre erano di pace e democrazia, e noi vi partecipavamo allegramente, queste sono di terrore e morte, e l'invasore è disegnato come un orco. L'elenco dovrebbe essere banale e sterminato.
Anche se giusto due mesi fa Biden ha fregato 3.5 triliardi afghani; e il "presidente" Guaido sono ormai diversi anni che campa coi soldi fregati al Venezuela; insomma avere le leve del potere finanziario serve anche, se non sostanzialmente, a fare questi giochini, da sempre. Fregare i soldi russi pare presentare più problemi del solito, ma è operazione liberaldemocratica già in corso, non temere.
Da una parte ci sono non so quanti fantastiliardi di dollari di fondi russi congelati in banche estere, dall'altra l'Ucraina ha bisogno di una carriolata di spaventiliardi di dollari per la ricostruzione.
L'articolista di Al Jazeera proponeva un simpatico bypass: avendo la Russia scatenato la guerra, è dunque giusto requisire i fondi russi congelati per pagare la ricostruzione.
Sì, lo so: adesso arriverà Atlantropa a dirci che Al Jazeera è una testata occidentale asservita alla NATO e in realtà dell'Ucraina non gliene frega nulla a nessuno.
Malpancismi di Atlantropa a parte, mi sembrava una proposta da non sottovalutare, sebbene occorra valutarne bene gli aspetti legali.
Quelle di Nadia le servirebbero per farsi 15 anni nelle confortevoli galere della madre Russia.
Nulla vieterebbe di trasferirsi in Russia(o in Bielorussia, come il tale americano tra i fautori del mancato colpo di stato in USA)per chi crede si starebbe meglio che in Stati "soggiogati" alla Nato o all'autocrazia della UE.
Credo che un bel trasferimento di "sinceri democratici" nell'illuminata Russia putiniana nn possa che essere di gradimento,sia a Putin che a tutti coloro che piace vivere sotto i talloni di alleanze atlantiche o di sovrastrutture statuarie che ne tarpano le libertà.
Queste sono le vere domande! :P
Se vuoi ti compro la Settimana Enigmistica.
Tu ritieni che Putin non costituisca una minaccia per la tua comoda vita, io lo ritengo pericoloso.
Punti di vista diversi. Non vi è molto altro da aggiungere.
E dunque, che c'è di unico in queste guerra da farti preoccupare maggiormente "della gente che muore, soprattutto civili ucraini"?, per l'Iraq un'autorevolissima rivista occidentale, se non erro Lancet, parlò di 700 mila morti in due o tre anni di conflitto; tutti soldatini?
Ribadisco la domanda: visto che Italia ci sono molti femminicidi potrò essere scusato se ammazzo mia moglie?
Che c@&%# c'entra l'Ucraina con l'invasione dell'Irak o dell'Afghanistan?
Mentre noi stiamo qui a disquisire la gente muore: soprattutto civili ucraini.
Ma immagino sui vostri blog ci stiate aggiornando sui civili ammazzati in Yemen o in Siria... immagino.
Spero che nessuno in Svizzera tratti male gli italiani del Canton Ticino, sennò ce toccherà invade la Svizzera!
Quindi per te Putin non costituisce un pericolo, quindi la tua proposta concreta è di non fare nulla, tanto anche se Kyev cade a noi cosa interessa?
La nostra vita continuerà a scorrere come prima: ricca, indisturbata, inattaccabile nella nostra fortezza di diamante.
Ovviamente non sono d'accordo, ma in fondo se vi sono persone che sono andate a costruire le proprie case dentro ad un vulcano attivo senza avvertire il pericolo, non si vede perché tu ti debba sentire minacciato da Putin.
Magari, a differenza mia, sei pure eterosessuale ;)
Recitata la mia filastrocca, le mie perplessità qui sono essenzialmente (a) come può gente che ha provocato milioni di morti e decine di milioni di profughi (e tuttora continua a lavorare stolidamente nello stesso modo) pensare di sanzionare, squalificare, escludere e addirittura fare la morale a chicchessia; (b) che senso ha essere contro la guerra di Putin e allo stesso tempo non-contro tutte le altre: per me è come essere contro il singolo furto, il singolo omicidio, il singolo stupro. Dopo di che credo che questi dubbi ce li abbiano anche altrove, magari declinati in altro modo, ma poi che ne so.
Ho capito bene? Oppure no?
Alcuni ritengono che Putin sia una minaccia per l'Italia e l'Europa è chiedono di intervenire.
Altri ritengono che Putin non sia una minaccia per noi e chiedono di non fare nulla.
Tu ritieni che Putin non sia una minaccia per il Mozambico, mentre per quanto riguarda la sua pericolosità per l'Italia preferisci non prendere posizione.
Va bene, legittimo.
Atlantropa: non sa/ non risponde.
Buona serata:)
Non so quale sia la percezione che del conflitto attuale in Argentina o in Mozambico; personalmente leggo una volta al giorno SCMP, ma capire cosa pensino gli altri bimbi è sempre molto arduo, specie da quell'angolo di mondo che crede di essere tutto il mondo, e si ripete ossessivamente la propria stessa opinione, come un mantra ipnotico. Tirando un po' a indovinare, questa idea di straordinarietà, di evento senza precedenti, di lotta del bene contro il male, che qui da noi è ubiquo, ha tutta l'aria di essere solo cosa nostra. Il mio cent è che per miliardi di persone si tratti di un evento come mille, e meno importante di mille altri, che non abbisogna di sanzioni, nè di invio di "aiuto letale", nè di indignæsibizione. E del resto non vedo motivi per cui l'umanità dovrebbe pittarsi la lagrima sulla guancia per la guerra "nel cuore dell'europa", così come per l'attacco "al cuore dell'america" del 2001.
Dopodiche: Rocco può proporre a Nadia qualcosa che sia nelle possibilità di Nadia e Rocco, da prendersi un gelato a prendersi a schiaffi. Risolvere la questione ucraina non è tra queste. Tantopiù che la risoluzione, qui, è stata già individuata in sfasciare la Russia quanto più possibile, meglio se definitivamente. Se ti va posso provare ad articolare, ma non facciamo finta che quel che pensiamo noi abbia influenza su queste decisioni, anche solo a livello di battito d'ali della farfalla.
E se non ti piace (cosa legittimissima, visto che la definisci "per quanto del cazzo"), cosa proporresti di alternativo?
I bambini dicono "non ne ho voglia", gli adulti fanno controproposte.
Fanne, dunque, poiché ne sei perfettamente in grado, oppure dì che sei d'accordo e finiamola qui ;)
Qui penso abbia ragione Nadia da Lucca: come vogliamo essere ricordati (noi nel senso di popoli-paesi occidentali)?
Quelli che hanno detto so' cazzi loro o quelli che hanno scelto di rispondere (in parte) alle richieste d'aiuto?
Si possono fare cose giuste in modo sbagliato o cose sbagliate (gli Stati Uniti hanno fatto entrambe le cose).
C'è solo una cosa che non capisco: ai tempi del boicottaggio e dell'isolamento internazionale del Sud Africa io mica li leggevo tutti questi contrari alle sanzioni e all'isolamento (anche nello sport), o forse mi ricordo male...
Bene, è tempo dunque di entrare nel concreto. Supponi di essere parlamentare e di sedere in commissione esteri. Cosa proponi, di preciso? Qual è la "Mozione Atlantropa in merito alla crisi ucraina ed i rapporti fra Italia, Unione Europea, Federazione Russa e Ucraina" ?
S
Il problema è che qualunque cosa uno faccia, i posteri la giudicheranno errata.
Sono nata nel 1995 e durante la mia adolescenza ho visto il Medio Oriente in gran subbuglio; tutte le volte che cercavo di risalire al bandolo della matassa, saltava sempre fuori che il ginepraio era esploso quando l'Occidente aveva scatenato una guerra per impossessarsi del petrolio con la scusa di andare a liberare le donne.
Però esistevano guerre già concluse, tipo i conflitti balcanici, dei quali era facile chiedere informazioni.
"Vedi, piccola Nadia, in Jugoslavia siamo stati per anni alla finestra, permettendo che accadessero i peggio orrori: stupri etnici, l'assedio di Sarajevo, la strage di Srebrenica... soprattutto Srebrenica è la nostra più grave macchia, permessa dall'inazione dei Caschi Blu nederlandesi che consegnarono le vittime ai carnefici"
"Quindi quando c'è aria di massacro, occorre intervenire?"
"Sempre, altrimenti si fa come la conferenza di Monaco, che dette il via libera a Hitler"
"Questo fatto di ridurre tutto a Hitler non è che mi piaccia molto, ma ho capito il concetto. Dunque quando io stavo imparando a non fare la pipì a letto, bene fece la NATO a bombardare Belgrado per difendere i kosovari"
"Ehm... no: lì abbiamo fatto sì che i belgradesi odiassero l'occidente. La NATO fu molto imperialista"
"???"
Trascorrono gli anni e sull'onda di tali insegnamenti, nel 2016 Nadia decide di andare ad aiutare concretamente i profughi fra Ungheria e Serbia.
"Ma sei pazza? Una ragazza ventenne, perdipiù bionda e di corporatura minuta? I profughi ti violenteranno, ti deruberanno, ti faranno a pezzi!"
Sono sopravvissuta ed i problemi devo dire sono arrivati dalla polizia magiara più che dai pastori afghani.
E adesso siamo nel 2022, abbiamo di nuovo un conflitto dietro casa... che facciamo?
Se ci voltiamo dall'altra parte, saremo giudicati come i caschi blu di Srebrenica; se invece aiutiamo gli ucraini, saremo giudicati come chi ha bombardato Belgrado.
Tutti i miei 11/9
11-09-2021, 16:5111/9, anniversari, autoreferenziali, democrazia d'esportazione, neoconi, terrorismoPermalink- L'11 settembre 2001 è uno dei momenti più cinematografici della mia vita: non perché abbia fatto un granché, anzi non ho proprio fatto niente, ma l'Evento mi ha preso proprio in quella brevissima fase in cui lavoravo in un open space di un'azienda che aveva a che fare coi media, insomma ero veramente una di quelle comparse che nei film catastrofici di quel periodo girano smarrite con una cartella in mano da un monitor all'altro cercando di capire se saranno i prossimi a essere schiacciati da Gozzilla o un asteroide. Un altro ricordo che ho è i notiziari in formato video sui siti web, non mi ricordo di averne mai visto uno prima dell'11/9, Youtube era ancora molto al di là da venire. In tutto questo riuscii a scrivere un paio di cose – che dovevano catturare l'emozione del momento anche se ero dall'altra parte del mondo e oggettivamente non rischiavo nulla. Sensazione particolare (narcisistica anche indubbiamente) su cui in seguito avrei riflettuto un po'. E poi cercavo ovviamente già la chiave moralistica, su Repubblica trovai il titolone "Crollano i Future" e mi suonava solenne questa cosa che mentre la gente precipitava da grattacieli in fiamma il vero crollo, quello che minava la società occidentale, fosse quello dei titoli obbligazionari. Poi andai alla festa dell'Unità perché c'era un evento sul Genoa Social Forum; poi mi addormentai sul divano con il tubo catodico acceso su Rainews, trasmise tutta la notte.
Conflitto: terrorismo vs speculazione.
- L'11 settembre 2002, in piena fase di attivismo (due mesi dopo il Social Forum di Firenze sarà l'apice del Movimento dei Movimenti) scrivo il mio primo vero temino sull'11/9 che al netto di qualche ingenuità mette già a fuoco il modo in cui avevo deciso sin da allora di interpretare l'Evento. Non solo da un punto di vista ideologico, ma persino i tic retorici sono già gli stessi: si parte irridendo il tormentone del "niente sarà più come prima" per poi riconoscere che nulla è veramente come prima, l'11/9 è uno dei nodi al pettine che annunciano la fine di un'era, lo stile di vita occidentale è insostenibile ma piuttosto di cedere su quel fronte l'Occidente farà la guerra al mondo. La chiave non è più il crollo dei Future ma un discorso che Bush aveva fatto poche ore dopo, in cui chiedeva agli americani di non mettersi l'elmetto in testa ma di uscire e consumare. Così si sarebbe combattuta la vera guerra: consumando. Chiedevo anche già scusa per il tono apocalittico. Già mi lamentavo di invecchiare. Che palla che sono a rileggermi.
Conflitto: Consumismo vs Resto del Mondo.
- L'11 settembre 2003 non ricordo cosa fosse successo nel frattempo, ma la spinta propulsiva del Movimento mi sembrava a quanto pare già esaurita, al punto che scrivo questa cosa in cui Genova e 11/9 sono visti come due eventi che si annullano a vicenda, o meglio uno annulla l'altro. "Quando su un tavolo di biliardo una boccia colpisce un’altra, trasferisce su di lei gran parte della sua energia cinetica. La boccia che era immobile schizza via. La boccia che correva si ferma di colpo. Ma se potessimo rallentare come in un filmato, scopriremmo che c’è un istante in cui le due bocce sono ferme, immobili, e l’energia cinetica è trattenuta da qualche parte. La collisione c’è già stata, ma le reazione non ancora. L’11 settembre ci sentivamo così. Venivamo da Genova, andavamo forte, siamo andati a sbattere contro questa cosa enorme. E sapevamo già che non ci saremmo più mossi, e che anche questa cosa enorme in breve sarebbe schizzata via, per la sua rovinosa strada: ma intanto eravamo lì, a bocce ferme, disperati e impazienti".
Conflitto: 11/9 vs Genova.
- L'11 settembre 2004 osservo che ormai l'evocazione dell'11/9 è diventato un genere letterario – del resto anche la spinta propulsiva dei blog si stava smorzando; si comincia a fare i conti col fatto che scriviamo tutti le stesse cose. Cedo la parola a Defarge che usa già la parola "panopticon" e preferisce occuparsi di scrittori, notando però che anch'essi tendono allo stereotipo: "Ad animare la premura topografica e il primo piano sui gesti individuali, pero', non puo' essere solo una generica mania di protagonismo. Gli scrittori non sono ne' poliziotti, ne' adolescenti. Loro protagonisti lo sono tutto il tempo, senza bisogno della t-shirt, sulle copertine del New Yorker e del Time, ai party della Quinta e di Holliwood, nei talk-show e sui nostri comodini. La spinta all’autodenuncia potrebbe allora dipendere da una roba simile a quella che condanna Fabrizio Del Dongo, nella Certosa di Parma, a morire con il dubbio di non aver fatto la guerra: l'esigenza di esserci, certo, ma anche la paura di non esserci nel modo giusto. Di non aver capito, di aver confuso la guerra con un bivacco e l'Imperatore con un attendente di cavalleria..."
Conflitto: Storia vs Biografia.
L'11 settembre 2005... è complicato. Tutti i pezzi del 2005 sono ambientati in una distopia situata 20 anni più tardi, dunque come mi immagino il 24ennale dell'Evento? L'idea è che sia ancora considerata una data storica, ma per motivi del tutto imprevisti. Dai bassifondi di Wikipedia porto alla luce una notiziola strana: il 12 settembre 2001 è stato il primo giorno senza aviazione civile sul Nordamerica (quindi senza... scie chimiche!) il che combinato con un cielo molto limpido ha portato a un aumento della temperatura media di 1° (il più importante da 30 anni, c'è ancora scritto, 15 anni dopo). Che senso aveva? Non ne avevo idea, ma ci costruisco sopra un delirio sul riscaldamento globale, le scie chimiche, il tramonto dell'occidente, ecc.
Conflitto: Umanità vs Ambiente.
- L'11 settembre 2006 potevo finalmente confrontare l'11/9 con un evento commensurabile: l'uragano Katrina. Perché ci ostiniamo a sentirci più newyorkesi che neworleanseani, mi domandavo (retoricamente)? Perché non accettiamo che il nostro futuro non è il film d'azione coi grattacieli, ma la palude coi caimani? La contrapposizione ormai è guerra al terrorismo vs cambiamenti climatici: e comincio anche ad ammettere di avere provato, 5 anni prima, una particolare euforia. "Eravamo sulla Tangenziale Ovest, ma ci sentivamo sulla West Side Highway; oppure eravamo in ufficio, ma in quel momento il nostro ufficio era la succursale del centro direzionale più alto del mondo: ci affacciavamo alla finestra e gli aerei che decollavano dal Marconi ci strappavano un brivido. Ci sentivamo tutti newyorkesi, era terribile ma anche fantastico. Sentirsi neworleansiani, invece, fa schifo. La possibilità – nemmeno tanto remota – che anche il mediterraneo possa essere scosso da qui a qualche anno da catastrofi da Paese tropicale, non ha nulla di cool: è deprimente e basta".
Conflitto: Capitale vs Periferia.
- L'11 settembre 2007 non ho scritto niente (finalmente). La pressione sociale che ci costringeva a rimodulare gli stessi pensieri commemorativi si stava allentando. Anche i teatri di guerra cominciavano ad annoiare, se ne discuteva un po' quando era ora di votare i rifinanziamenti, o se moriva uno dei nostri. Si sperava molto in Obama.
- L'11 settembre 2008... continuo a non scrivere niente ma qualche giorno dopo alla Blogfest di Riva del Garda un influencer, in realtà non so come li chiamassimo allora, definisce l'11/9 "la campagna pubblicitaria meglio riuscita degli ultimi dieci anni", il che mi fornisce il pretesto per tornare sul luogo del massacro ma da un angolazione finalmente diversa: dalla parte del carnefice/pubblicitario/artista-concettuale. L'ipotesi è che sotto i costumi islamici covi un fantasma occidentale: per la prima volta suggerisco che il miglior film per spiegare la mente dei terroristi sia Matrix (riciclerò la cosa sull'Unità.it qualche anno dopo). Se qualche anno prima mi ero interessato agli argomenti dei complottisti, adesso m'intriga la loro mentalità.
Conflitto: L'Occidente vs i suoi fantasmi.
- L'11 settembre 2009 calma piatta, ma pochi giorni dopo si riparla di Afghanistan (non ricordo perché) e butto fuori un pezzo sul mito dell'esportazione della democrazia che un mese fa avrei quasi ripubblicato senza modifiche: "La guerra afgana non è stata costruita su una bugia, come la campagna d'Iraq. Ma a ben vedere poggiava su un fondamento ideologico altrettanto catastrofico. L'idea di “democrazia” come valore in sé, a-storico, a-geografico, una specie di diritto naturale comune agli uomini di ogni età e latitudine. Mancava solo che lo trovassero inciso in un filamento di Dna, e non è detto. Non so neanche esattamente chi abbia concepito un'idea così – i neocon americani? – di certo smentiva persino il pensiero corrente fino al 10 settembre 2001, il mito dello scontro di civiltà. No, macché scontro: per i neocon in fin dei conti esisteva una sola vera civiltà, un solo sistema, una sola fede: la democrazia. Non solo, ma era anche facilmente trasportabile, una specie di kit, la democrazia da campo. Ti bastava sfondare con un paio di divisioni, puntare alla capitale, aprire un Parlamento, et voilà, democrazia..."
Conflitto: Neocon vs il buon senso.
- L'11 settembre 2010 non pervenuto.
- L'11 settembre 2011, a dieci anni dall'Evento, i tempi sono maturi per affrontare l'elefante nella stanza: l'euforia (un sentimento che avrei riprovato di lì a poco, durante il sisma emiliano).
Conflitto: Status Quo vs Niente Sarà Come Prima
- L'11 settembre 2012 una delle variazioni sul tema di cui sono meno insoddisfatto, di nuovo centrato sulla figura del terrorista: avevo scoperto che Mohammed Atta prima di dedicarsi alla jihad si era laureato in architettura con una tesi critica nei confronti dei grattacieli di Aleppo, insomma: l terrorismo come prosecuzione della tesi di laurea con altri mezzi. Nel frattempo Aleppo era stata distrutta durante la guerra di Siria e la Mecca stava diventando il luogo distopico che è oggi. Questa foto continua a darmi i brividi.
Conflitto: globalizzazione vs buona architettura
- L'11 settembre 2013 si parla ancora di Siria ma io ormai sono stanco di guerre, anche le guerre di chiacchiere le vivo ormai da veterano: c'è tutto un modo di discutere su qualsiasi guerra che ci riporta sempre sugli stessi luoghi, sugli stessi delitti retorici e ideologici. Le discussioni tra 2001-2003 sono state talmente furiose che chiunque c'è passato non fa che ripeterle all'infinito, come i reduci traumatizzati. Questo vale per me e vale anche per chi litiga con me. "Gli elefanti sanno che nel 1991 hai occupato il liceo contro la Guerra nel golfo, e quindi le tue mani sono sporche di sangue bosniaco e kossovaro, e non intendono passarci sopra. In effetti non hanno la minima idea di cosa stia succedendo in Siria o altrove da almeno dieci anni in qua, continuano a prenderla coi pacifinti dei cortei del 2003. Si sono legati al dito delle cose che ormai si ricordano soltanto loro. L'unica guerra che gli interessa davvero è quella che hanno combattuto dall'11 settembre in qualche forum o blog dimenticato da Dio in cui si annidano ancora, gli ultimi giapponesi".
Conflitto: ideologia vs buon senso
- L'11 settembre 2014 non pervenuto, del resto ormai c'era Renzi in giro e qualsiasi altro argomento cedeva il passo.
- L'11 settembre 2015 ormai si parla di disimpegno americano, e la tentazione di infierire sui neocon calpestando i loro sogni infranti è irresistibile. "Tutto questo dev'essere difficile da mandar giù soprattutto per quei commentatori che non si sono mai ripresi dalla sbornia interventista dei tempi di G. W. Bush. Continuano a fantasticare di bombardamenti neanche troppo mirati, di violenze incomparabilmente superiori, come se nel pugno tenessero dozzine di divisioni corazzate, quel che ti capita quando hai venti territori a risiko e un tris di carte, e invece in mano non hanno un cazzo: neanche quei due spicci che riuscivano a passarti ai bei tempi. Si è scoperto nel frattempo che la guerra di civiltà è un po' onerosa per una democrazia evoluta: che presto o tardi vince le elezioni chi promette di disimpegnarsi - magari regalando un contentino a chi si è affezionato alla narrativa, un grande vecchio da ammazzare in diretta e seppellire in mare, e poi farci un film..."
Conflitto: neocon vs buon senso. - Gli 11 settembre del 2016, del 2017, del 2018, del 2019... non pervenuti. Esauriti gli argomenti, dopo quindici anni. Inoltre settembre sta diventando un mese sempre più pieno di impegni, a volte non scrivo niente per settimane.
- L'11 settembre 2020 sono molto indaffarato. Stiamo cercando di riaprire la scuola in piena pandemia, è un problema più logistico che didattico, dobbiamo far entrare e uscire 18 classi da tre corridoi diversi, frughiamo negli scaffali in cerca di planimetrie, scopriamo che da qualche parte c'era un piano "antiterrorismo" risalente al 2001 e ci domandiamo: ma cos'era successo di terroristico nel 2001? Ci metto un po' a ricordarmene, l'Evento ormai è lontano, non bazzico più uffici open space ma corridoi affollati. Sono un'altra persona.
Conflitto: Niente Sarà Come Prima vs Ma cos'era successo poi?
- L'11 settembre 2021 sono passati vent'anni, la maggior parte per fortuna facendo altro. Non sapendo cosa aggiungere, metto in fila tutti i pezzi sull'11/9 sperando che l'effetto d'insieme significhi qualcosa. Forse no.
Capire un Caucus
05-02-2020, 12:31Americana, democrazia d'esportazionePermalink![]() |
IlPost |
Possiamo notare come anche a questo minuscolo livello può succedere che il candidato X prenda meno voti ma più delegati del candidato Y, come insomma la democrazia uninominale non funzioni nemmeno in vitro. Possiamo ignorare la logica circolare per cui il primo Stato a indire una consultazione primaria è quello che influenza le consultazioni primarie successive, e non chiederci più perché uno stato qualsiasi con appena tre milioni di abitanti (tutti bianchi) si sia preso questo diritto, e perché nessuno glielo contesti – sono americani, a loro va bene così, e più non dimandare. L'altro giorno sul Washington Post notavano che nel senato USA le vacche sono meglio rappresentate degli esseri umani, e anche se fosse? In altre nazioni sono sacre, negli USA determinano la differenza tra un territorio più o meno degno di essere rappresentato, è un criterio come un altro, un candidato lo sa e si regola di conseguenza. Alla fine non importa quanto siano astruse le regole, no? Basta che tutti le sappiano in partenza e il gioco ha un senso. Possiamo infatti decidere che è soltanto un gioco.
Possiamo metterci a scrollare metri di smaglianti infografiche alla ricerca dell'unico dato che direbbe qualcosa a noi poveri proporzionalisti, ovvero: ma su quei tre milioni di abitanti di uno stato rurale, quanti sono davvero andati a votare? Che importa, di solito quelli che ci vanno azzeccano il vincitore, e quindi la profezie deve autorealizzarsi anche stavolta. Possiamo metterci lì a spiegare perché funziona così, perché non è sbagliato che funzioni così in terre lontane dove la democrazia non è una cosa arrivata all'ultimo momento (imposta anche un po' da fuori, riconosciamolo) ma una consuetudine secolare con i suoi vezzi, i suoi miti, i suoi riti di iniziazione. Possiamo fare tutto questo, se vogliamo, e allora facciamolo.
Solo una cosa.
Mai più ironie su Rousseau, è chiaro? Perché in confronto al caucus dell'Iowa, Rousseau è una piattaforma affidabile ed efficiente.
Trump resiste grazie ai borghi putridi
07-11-2018, 15:11Americana, democrazia d'esportazionePermalinkAnche se ormai si è capito com'è andata (i Democratici si riprendono la Camera, i Repubblicani tengono il Senato), ci vorrà ancora qualche ora per conoscere tutti i numeri di queste elezioni USA di metà mandato. E anche quando gli ultimi seggi saranno stati assegnati (ballottaggi esclusi) servirà ancora un po' di tempo per avere i due dati che in Europa sarebbero i più importanti di tutti, ovvero: sul 100% dei cittadini USA che si sono recati alle urne, quanti hanno votato democratico, quanti hanno votato repubblicano? In fondo non dovrebbe essere difficile ottenere questo paio di numeri. Ma fate l'esperimento: provate ad andare in uno degli aggiornatissimi speciali on line che le testate anglosassoni più prestigiose hanno dedicato alle elezioni. In mezzo a tanti coloratissimi grafici e tabelle e mappe provate a cercare se c'è questo semplice dato: quanti elettori hanno scelto il partito di Trump, quanti hanno scelto l'altro. Non lo troverete.
Non troverete nemmeno la considerazione che sto per fare, e che credo dovrebbe essere condivisa da qualsiasi sincero democratico (e repubblicano): il sistema elettorale USA è profondamente iniquo, ed è solo in virtù della sua iniquità che un partito continua a governare il Paese e a esercitare il controllo su un ramo del Congresso, malgrado la maggioranza degli elettori abbia votato per un altro Presidente due anni fa e per un altro partito oggi. A questo punto, se si trattasse di un Paese dell'Europa continentale, la questione sarebbe chiusa: è abbastanza ovvio, da questa parte dell'oceano, associare a una maggioranza di elettori una maggioranza parlamentare e un esecutivo. Negli USA non è così e forse sarebbe il caso di cominciare a preoccuparsene di più. È vero, è la culla della democrazia moderna. Ma poi la democrazia è andata per il mondo, è cresciuta, ha imparato a fare di conto.
Negli USA invece è successo qualcosa, o forse è meglio dire che non è successo niente: si vota ancora come due secoli fa, quando ci si recava ai seggi in calesse. In apparenza tutto è più sofisticato: l'informazione, soprattutto, ha fatto passi da gigante e segue le campagne con un grande dispiego di mezzi, ipnotizzandoci con grafici luccicanti che, fateci caso, omettono le percentuali crude degli elettori. Tanto è un numero inutile: contano soltanto i seggi. Al Senato, soprattutto – e infatti i Repubblicani resistono lì. Al Senato ogni Stato esprime due seggi, che sia grande come la California, denso come il New Jersey o quasi disabitato, come l'Indiana. Ecco, prendiamo per esempio l'Indiana. A queste elezioni dovrebbero aver votato due milioni di cittadini, su quattro milioni e mezzo di elettori registrati e sei milioni di abitanti. Al repubblicano Mike Braun è quindi bastato poco più di un milione di voti per ottenere un seggio in Campidoglio, mentre al democratico Beto O'Rourke, che correva per i democratici in Texas, quattro milioni scarsi non sono stati sufficienti (Ted Cruz, il suo avversario repubblicano, ne ha presi appena duecentomila in più). Se l'affluenza fosse più alta (e in queste ultime elezioni sta aumentando), il sistema risulterebbe ancora più iniquo, dal momento che prevede che il mezzo milione di cittadini del Wyoming sia rappresentato a Washington da due senatori, esattamente come i quaranta milioni di cittadini della California. Neanche a farlo apposta, in Wyoming votano per lo più repubblicano, mentre in California la sfida era un derby tra candidati democratici. Il calcolo è abbastanza brutale: il voto di un elettore californiano al Senato vale ottanta volte meno di quello del Wyoming. Chi può avere concepito un sistema così iniquo? Nessuno.
Il principio che assegna due rappresentanti a ogni Stato si trova nel primo articolo della Costituzione del 1787, quando di Stati Uniti ce n'erano appena tredici, tutte ex colonie inglesi aggrappate sulla costa est. I firmatari non potevano sapere quanto sarebbe diventata grande e complessa l'Unione che tenevano a battesimo. Soprattutto non avrebbero potuto immaginare quanto grande sarebbe stato lo squilibrio tra le zone più urbanizzate e quelle che dopo 250 anni risultano ancora scarsamente popolate. Un principio comunque lo avevano ben chiaro, visto che lo avevano appena impugnato per scacciare gli inglesi: non c'è tassazione senza rappresentazione. I californiani pagano meno tasse degli abitanti del Wyoming? Di sicuro non ottanta volte in meno. Perché il loro voto deve valere così poco? Nel Regno Unito dell'Ottocento, anche a causa delle migrazioni interne causate dalla rivoluzione industriale, i distretti elettorali spopolati in cui bastavano poche centinaia di voti per ottenere un seggio a Westminster venivano chiamati Rotten boroughs, "borghi putridi". Il sistema era così iniquo che una riforma si rese inevitabile. Negli USA purtroppo sta succedendo l'opposto: invece di rendere più equo il meccanismo di rappresentanza al Senato, i legislatori approfittano della loro posizione per distorcere quello più proporzionale della Camera, attraverso il procedimento che già nell'Ottocento era stato battezzato Gerrymandering, (dal nome di un governatore del Massachussetts, Gerry, che aveva ridisegnato un distretto a forma di salamandra). Non sono stati soltanto i Repubblicani ad approfittare del diritto di poter ridisegnare i distretti a piacere, ma è soprattutto grazie a loro che qua e là in tutta l'Unione abbiamo distretti a forma di drago o di serpente. Il principio è sempre lo stesso: disseminare le comunità da cui ci si aspetta un voto omogeneo in tante diverse circoscrizioni dove il loro voto risulterà in minoranza. Il Gerrymandering è un fenomeno odioso, ma perfettamente legale, e in un qualche modo autorizzato dalla consuetudine: in fondo la stessa mappa dei Cinquanta Stati (alcuni piccoli e popolatissimi, altri grandi e disabitati) è a suo modo un Gerrymandering.
Il Gerrymandering è solo uno dei tanti fenomeni che di fatto limitano o distorcono il meccanismo elettorale USA. Rispetto ad altri forse ci interessa di più perché a un certo punto abbiamo pensato di importarlo in Italia – del resto si sa, gli americani ci piacciono con tutte le loro magagne. Una delle primissime bozze della riforma costituzionale Renzi-Boschi prevedeva che il Senato italiano diventasse una copia di quello federale americano, con due seggi per ogni regione (tranne la Val d'Aosta). Il risultato non sarebbe stato iniquo quanto quello di Washington, ma comunque il voto di un cittadino lombardo (ce ne sono dieci milioni) sarebbe stato trenta volte meno determinante di quello di un cittadino molisano (ce ne sono appena trecentomila). L'idea per fortuna tramontò abbastanza presto, ma è indicativo anche solo che qualche politico italiano ne abbia parlato come di una proposta ragionevole. La versione definitiva della riforma aveva riabbracciato l'idea che i seggi vanno assegnati in modo più proporzionale, ma anche a causa della necessità di riconoscere alle regioni a Statuto Speciale una quantità fissa di seggi, manteneva un rapporto assolutamente sbilanciato, al punto che il voto dell'elettore molisano sarebbe stato comunque cinque volte più determinante di quello dell'elettore ligure. Uno squilibrio senza senso, che penalizzava le regioni più popolate ed economicamente dinamiche senza un motivo chiaro che non fosse quello di imitare le istituzioni USA, se non nei loro pregi almeno nei difetti più evidenti. La riforma non è passata, probabilmente per altri motivi: ma prima o poi qualcuno tornerà a parlarne, e gli stessi Renzi e Boschi non è che si siano dati per vinti. Ecco, per quando succederà, meglio farsi un appunto: magari certe cose dagli americani le possiamo ancora copiare, ma il Gerrymandering per favore no. Molise e Val D'Aosta sono bellissime regioni che hanno diritto a essere rappresentate equamente, non borghi putridi.
Semplificando così non c'è da meravigliarsi del successo di chi raccoglie consensi su Twitter
guarda caso, sul Guardian
Stoc.... è la culla della democrazia moderna, una "democrazia" per i maschi bianchi proprietari e schiavisti. Una democrazia del genere c'era anche in Grecia 2500 anni fa. E gente come Trump l'avrebbe cacciata con l'ostracismo a velocità record.
FAlso. Le uniche elezioni nazionali erano quelle per la Camera, e sul NYT si vede chiaramente che il GOP in due anni è passato da +1.5 milioni di voti ad (al momento) -4 milioni rispetto ai DEM.
https://www.nytimes.com/interactive/2018/11/06/us/elections/results-house-elections.html
E ricordiamo che due anni fa fu il partito a trainare Trump (che prese 3 milioni di voti in meno della Clinton) e non il contrario.
La realtà è che un partito pieno di trumpiani perde, mentre ai democratici aver imbarcato tanti "sandersiani" ha fatto bene.
grazie mille per aver ripreso a scrivere. Gabriele
Andate avanti voi
22-03-2011, 16:12Berlusconi, democrazia d'esportazione, guerraPermalink- Gli dei dell'Odissea sono una famiglia allargata di entità litigiose e scostanti, non proprio onnipotenti ma comunque piuttosto potenti, che questo potere lo usano un po' come gli viene, tifando ora per questo ora per quel mortale: sicché anche il destino di Odisseo è tirato un po' di qua un po' di là finché Zeus Atena e Poseidone non si stancano del giocattolo.
Gli dei di Odissey Dawn, migliaia di anni più tardi, continuano a rifarsi ai modelli classici. Hanno folgori più veloci del suono, ordigni invisibili e micidiali, però non è che abbiano le idee molto chiare su cosa colpire e perché. Arrivano sempre in ritardo, quando i guai sono stati commessi e i mortali che li invocavano già da qualche giorno morti; quando infine colpiscono, colpiscono comunque in fretta e male, senza obbedire a un disegno preciso, a un coordinamento. Si capisce a questo punto la fretta di Gheddafi nei giorni scorsi: si trattava di spicciarsi a far deserto prima che i lamenti dei ribelli disturbassero troppo le orecchie degli dei. Stava per farcela, ma poi l'Oracolo internazionale, che si chiama ONU, ha rilasciato una delle sue enigmatiche Risoluzioni, in cui chiedeva di salvare i civili in qualsiasi maniera. Anche bombardandoli a tappeto? In qualsiasi maniera: quindi pronti, partenza, via. Chi comanda? Non si sa. Alla fine probabilmente sarà Zeus Obama, per via che possiede più folgori e più possenti; ma finché esita, è una gara a chi fa più casino. È anche lo stato dell'arte del diritto internazionale: una cosa che a 66 anni dalla nascita dell'ONU, a venti dalla prima guerra del Golfo, a dieci dall'intervento in Afganistan, continua a non assomigliare a niente di sensato. Semplicemente, gli Oracoli di New York o di Ginevra rilasciano risoluzioni e poi chiunque abbia degli aeroplani da quelle parti può iniziare a bombardare. Stavolta è stato Sarkozy, e gli altri a ruota. C'è evidentemente qualcosa che non va, ma cosa?
Potrebbe essere l'Europa. Non esiste. È un'espressione geografica. Lo abbiamo sempre saputo, ma fa comunque male constatarlo, perché noi europei invece esistiamo. E senza essere antiamericani per principio, ma avendo sofferto il protagonismo USA in Medio Oriente che ci ha esposto agli attentati dei terroristi islamici, per una volta tanto che lo Zeus a stelle e strisce era riluttante a prendere il comando delle operazioni, avremmo potuto dimostrare che sappiamo prenderci cura del nostro cortile (perché la Libia in fondo è questo: una tirannide affacciata sul nostro cortile). Avete sentito parlare qualche rappresentante di quella cosa che eleggiamo ogni cinque anni e si chiama Parlamento Europeo?
Quanto all'Italia, siamo onesti. È una piccola nazione sempre in mezzo ai guai, cronicamente assetata di gas e petrolio, a cui si poteva giusto chiedere qualche baciamano in meno, prima, e meno capricci sui profughi, adesso. Non siamo onnipotenti e lo sappiamo da generazioni: per questo i nostri padri saggiamente scelsero di cedere parte della nostra sovranità a quegli organismi sovranazionali che, in teoria, dovrebbero saper guardare un po' più in là. Non dovremmo essere messi nella condizione di trattare paci separate con questo o quel tiranno, però è successo: è solo colpa nostra? Del resto, nessuno sembra volercelo rimproverare, per il solito motivo che gli dei hanno bisogno delle nostre basi. Noi però vorremmo più chiarezza e chiediamo che l'operazione passi sotto il controllo Nato, insomma, o arriva subito zeus Obama o non se ne fa più niente. È penoso doversi dire d'accordo con Frattini, ma sembra una richiesta ragionevole. Almeno la Nato si sa cos'è: l'alleanza militare di cui ci onoriamo di essere, da sessanta e più anni, i generosi albergatori. E ci ritroviamo così, atlantici per inerzia, filoamericani per paura d'essere europei.
Nel frattempo sui media possiamo passare il tempo con uno dei nostri passatempi preferiti, dalla prima guerra di Libia in poi (giusto un secolo fa): il cancan neutralisti/interventisti. Come se poi il nostro parere contasse qualcosa, come se gli dei ci stessero a sentire. A sinistra ci sbraneremo come al solito, sarà divertente, ma un po' già visto. Più interessante l'atteggiamento della stampa filogovernativa, che a momenti si mette a sventolare la bandiera arcobaleno. Non è del tutto una sorpresa: anche ai tempi feroci del 2003, quando su decine di blog liberali (nati tutti all'improvviso) garriva la bandiera stelle-e-strisce, l'unico organo di stampa genuinamente neocon era il Foglio, e già allora serviva più a punzecchiare i pacifisti che a motivare i berlusconiani. Questi ultimi in fondo non si sono mai scostati molto da quella posizione che storicamente più ci appartiene, almeno dal 1915: se proprio deve essere guerra, occorre attendere finché non sia chiaro che i nostri amici la stanno vincendo; in caso contrario, cambiare amici. Così, mentre a sinistra si discute di massimi sistemi, di diritto internazionale, al limite di dubbi interiori, si gioca a chi l'ha più duro e puro (l'ideale), a destra si ostenta il pragmatismo dei furbacchioni, quelli che la sanno lunga e si mettono in guardia gli uni gli altri contro quel Sarkozy che vuole rubarci il petrolio, dopo la fatica e la saliva spese da Silvio e dalle altre hostess per aspirarlo a Gheddafi. Spicca nel coro dei furboni la voce bassa e greve dei leghisti, sulla nota costante del “no” agli sbarchi: in fondo, in mezzo a tanti strateghi da bar sport, sono quelli che danno l'impressione di maggior concretezza. Per loro non c'è crisi internazionale e umanitaria che non si possa nascondere sotto il tappeto, tutto è subordinato alla quantità di vuccumprà che con la scusa dello status di profughi di guerra potrebbero avvicinarsi alle porte di Varese o Bergamo. Per evitare questa invasione i leghisti sono disposti a mandare un Silvio a sbaciucchiare qualsiasi beduino pianti la tenda in Villa Pamphili: la concretezza dei leghisti è questa cosa qui, l'astuzia del cumenda che si cautela dagli zingari lasciando le chiavi di casa alla badante.
Quanto al Silvio in questione, forse ha ragione Libero a mostrarcelo mentre saluta i liberatori e gli scappa da ridere. Non sa dirci nemmeno se i nostri aerei stiano bombardando o no, non che abbia molta importanza. Notate: di fianco c'è ancora la pubblicità del finto diario del clown precedente, più professionale, ma meno divertente. Anche lui stringeva patti pericolosi con dittatori criminali, ma poi li prendeva sul serio, si prendeva sul serio, e la cosa alla lunga lo rovinò. Silvio invece è il trastullo degli dei: farà qualsiasi cosa per divertivi, e se alla fine sarà costretto a bombardarvi, la cosa comunque gli dispiacerà. Siamo brava gente, noi.
Leonardo sei impazzito a riscrivere sulla guerra in Libia?
Io incomincerei a mettermi l'elmetto, tra poco arriva tibi con i tornado :)
Saluti
Mauro
Era solo una precisazione incidentale, la mia, laddove inesattezza=errore rosso, imprecisione, ed il consiglio era scherzoso (giuro su dio), solo detesto le faccine. In altre parole, "sono stato frainteso".]
[E comunque, che cazzo di nome è Odissey Dawn?]
Saluti
Mauro
Che non c’è più.
Acquista i voti da persone viscide al par suo
Mandandando loro un chiaro messaggio
Onorate il contratto e vivrete ricchi e contenti.
in quanto a me io sono (CESARE) l’intoccabile
come attila dove passo io a gli altri non rimane che piangere.
I danni che stà creando sono incalcolabili
Se cadesse ora, per rimediare quelli fatti a tuttoggi , ci vorranno minimo 2 legislature
Se gli lasciate finire il mandato, cari giovani velo ciuccerete a vita.
Prima lui, la sua genia dopo.
di quanti figli sarà la sua genia? Booh AUGURI VITTORIO
(PS) in mille hanno dato il via alla scintilla che a unito L'ITALIA.
in mille debosciati a ROMA la stanno distruggendo.
c'è il titolo di un film,che calza a pennello in questo tragico momento, TUTTI A CASA
i politici invece no,sono troppo stupidi.
Acquisti consigliati: n=1 atlanti storici.
chi sono quelli che hanno convinto gli italiani a farsi masochisti ed a rinunciare alle centrali nucleari ? Bene questo è il risultato e che nessuno si scandalizzi se il Berlusca per non prenderla in .... lui e gli italiani , si abbassi e baci la mano a qualche beduino ! Claudio , in VIterbo
http://notiziedelfuturo.blogspot.com/2011/03/profughi-in-piazza.html
Forse dovremmo intervenire in Libia
23-02-2011, 20:06democrazia d'esportazione, guerraPermalink- Può darsi che la mia Patria non sia proprio il mondo intero, può darsi che in un mondo di risorse limitate la mia sopravvivenza implichi la non sopravvivenza di qualcun altro che quindi è un mio nemico. Può darsi che io non mi possa sobbarcare di tutto il dolore e di tutta l'ingiustizia del mondo, perché non sono onnipotente, anzi. Può darsi.
Ma non sono neanche del tutto impotente: per esempio, potrei essere l'Italia: la Libia allora sarebbe uno spiazzo poco lontano da casa mia, dove ai tempi del nonno avevo pure piantato qualche bandierina. Io che da dieci anni mi segno sul calendario di ricordarmi di piangere per l'undici settembre, cosa scriverò sulla mia agendina il ventuno, sul ventidue, sul ventitré febbraio? “Nulla”, come Luigi XVI il 14/7/1789?
Allora, accantoniamo per favore la svenevole polemica su chi abbia più baciato e abbracciato Gheddafi. Lo hanno fatto tutti, da Andreotti a Berlusconi; se quest'ultimo in particolare ci diede la sensazione di aver calato le braghe, non è questo il momento per rimproverargli una mancanza di stile che è cronica. Questo è il momento del disastro, il momento in cui si accantonano le nostre beghe familiari perché là fuori ci sono i nostri vicini, che gridano, e bruciano vivi.
Se fossi l'Italia, sarei una nazione in crisi, che sta stagliuzzando a sangue servizi essenziali (sanità, istruzione, pubblica sicurezza, giustizia), ma continua a non tagliare un settore strategico. La Difesa. Ci spendo tutti gli anni il 2% del PIL, qualcosa come 24mila milioni di euro: sono un sacco di soldi. Ecco, appunto. Dove li sto mettendo? Ora c'è un folle incendiario, uno stragista assassino che sta bombardando un popolo amico alle porte di casa: non dovrei intervenire? Non sono intervenuto per molto meno, in passato? Dove sono le mie navi, i miei jet, i miei uomini? In Asia centrale, a insegnare la democrazia ai sassi. Ma siamo sicuri che sia ancora la priorità?
E l'Unione Europea dov'è? Perché se fossi l'Italia avrei la fastidiosa sensazione di essere trattata un po' come io trattavo la Libia, da parente povero e scemo a cui appaltare un bel campo profughi in riva al mare. Non è il caso di chiamare dal deserto: guardate che qui o si fa il Mediterraneo o si affonda tutti? A chi spetta, se non a noi? Tra dieci anni potremmo avere un Nordafrica civile, democratico, che scambia le sue enormi risorse energetiche in cambio di cibo (e l'Europa dovrebbe averne in sovrappiù); che per costruire infrastrutture assorbe manodopera da Europa e Africa Nera. Oppure potremmo avere la costa settentrionale del Sahel, il porto della disperazione, un'enorme Somalia piagata da lotte tribali o religiose e appaltata a bande di pirati. Democratici di sinistra, cinici di destra, o viceversa; leghisti, nazionalisti, cattolici, lo chiedo a tutti: cosa ci conviene avere, in quello spiazzo poco lontano da casa nostra? Può darsi che le sorti dell'Antartide e di Haiti non dipendano da noi, ma possiamo davvero lasciare che un pazzo massacri i nostri vicini di casa? Scusate, io d'impostazione sarei un pacifista, ma non posso evitare di pormi la questione: se le forze armate non mi servono a intervenire in situazioni di questo genere, per cosa mi servono? E quindi, insomma, per cosa le pago?
Se invece siete di quelli che avevano buoni motivi per la guerra in Afganistan o in Iraq, allora vi prego, moltiplicate quei buoni motivi per cento, per mille. Gheddafi possiede armi di distruzione: Gheddafi le sta usando, ora.
Se poi i libici si libereranno da soli, tanto meglio per loro: ma con che faccia tratteremo coi loro nuovi capi? E se l'assassino invece dovesse vincere, se dovesse trionfare su un deserto di fosse comuni, andremo a stringergli le mani al prossimo summit? Sul serio è ancora realpolitik, ma cosa c'è di realistico nell'idea che un incendio nello spiazzo dietro casa si spenga facendo finta di niente?
http://www.repubblica.it/esteri/2011/02/28/dirette/consiglio_di_transizione_no_a_interventi_stranieri-12994714/?ref=HRER2-1
"quando sento parlare dell'idea ..." ecco sono proprio d'accordo, qui.
Leonardo, sicuramente posso aver scelto un parallelismo poco felice, ma di certo non ti è sfuggito il senso di ciò che intendevo: ognuno il proprio risorgimento se lo deve fare con il sangue suo. Ogni ingerenza, se la storia è destinata a ripetersi (e spesso è così) è un piegarsi al farsi mettere le mani in tasca.
D'altronde, credi che UK e USA siano là adesso ad addestrare i rivoltosi lo facciano per compassione?
Andrea
Così poi Leo può riporre l'elmetto e dormire tranquillo, ché la quarta sponda è salva e l'investimento immobiliare pure.
Il bello è (anche) che, a forza di fare il motore immobile dell'universo (non è lui che ha cambiato idea, sono gli altri che gli ruotano attorno), ha tamponato Camillo (o è Camillo che l'ha plagiato, visto che ha postato dopo):
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-02-24/scimmiette-deserto-063947.shtml
tibi
Ciò detto, quando sento parlare dell'idea che i nostri soldatini vadano in giro ad ajutare i nostri fratelli più sfortunati mi sembra più naturale pensare ad un prolungamento della mentalità coloniale che non ai vari garibaldi che la combattevano.
Leo, ma quei campi di concentramento non sono forse lì per noi? costruiti a nostro uso e consumo?, e con i nostri soldi? Gheddafi probabilmente avrà qualche responsabilità in più dei muratori che li han messi su, per certo ha barattato (peraltro sfacciatamente, come piace ai Ferrara) "operazioni di polizia" di frontiera in cambio aiuti economici; ma poco altro. E ora vorresti fare una guerra per andare ad aprirli? [che diremo ai nostri figli? che è stata colpa di qualcun altro, magari Gheddafi, oppure che non c'era altro da fare, come per Hiroshima]
Qualcuno prima l'ha messa giù bene: visto che al momento non c'è nè il coraggio nè la necessità di cannoneggiare i disperati, e visto che sfortunatamente il Mediterraneo è un mare calmo, per ora l'unica è alzare le mura della Fortezza Europa.
Se i nostri soldati andranno in Libia, io ho il sospetto che sia per quel motivo lì.
Mi diverte questa cosa per cui sarei diventato leghista per via del mutuo. Senza dubbio in nome di un mutuo sono stati commessi i più atroci misfatti; resta che io non voglio andare là a sparare ai "negri" (come più o meno Bossi chiedeva di fare, anche per interposto rais), ma per aiutare a risolvere una situazione, magari aprendo quei campi di concentramento che sono una cosa di cui i nostri figli si vergogneranno. Se poi questo significa prendersi un "negro", per un po', nel tinello di casa, pazienza, me lo prenderò: mi sembra un sacrificio più sensato di quello di mettersi un elmetto in testa. Peraltro il mio stipendio lo pagano già in discreta parte altri stranieri come lui, quindi in linea di massima un "negro" in più mi spaventa meno di Tibi e di quelli come lui.
Secondo me intervenire è sempre sbagliato.
La Libia, come gli altri, ha diritto alla sua rivoluzione. Chè se mai qualcun altro aiuterà, finirà per pretendere una fettina della torta.
Se fossi un rivoltoso Libico sarei daccordo con quello di Mauro:
"Se intervengono gli stranieri rinunciamo a lottare contro Gheddafi per lottare contro di voi"
Io però non l'ho trovato inquietante, ma rinfrescante, dopo le cose che ho letto tra i commenti di questo blog. Questo è il loro '48. Sanno benissimo che nessun aiuto arriverà a gratis e pretendono di poter avere la loro primavera. Sacrosanto.
L'ingerenza negli affari interni di uno stato, nella sua autodeterminazione, è sempre sbagliata IMHO.
Se qualcosa è lecito fare, al limite, è creare un corridoio umanitario verso una zona sicura. Per dare l'opportunità ai non combattenti di allontanarsi dai combattimenti. Ma questa cosa è difficile da realizzare e richiede un sacco di risorse.
Andrea
Parmi lo stesso brillante argomento usato per pretendere "il contraddittorio" in tivvù.
Rapidi flash sul resto:
1. Bosnia: io mi ricordo schermaglie pulp iniziali, poi Nato tiene fermo Tizio mentre Caio randella con piccone, poi spunta sole orizzonte e scritta cubitale Iustitia - e poi Caio randella altro po'.
2. organizzazioni internazionali, missioni col bollino blu: e sticazzi; Rambouillet, Libano, Somalia (risoluzione 242, partizione della Palestina, processo di Norimberga); class 1 laser product.
3. dittatori: non so a voi, ma ai tiggì m'era parso che Mubarak decadesse molto rapidamente da presidente a dittatore (passando per rais); lungi da me dubitare che un dittatore non rechi sul suo viso la scritta "dictator" in Times New Roman tutto majuscolo; però, pensavo, magari si può nasconderlo col cerone - almeno per un po', come Philadelphia.
[e poi un dubbio: ma se il malvagio di turno una volta tanto fosse cazzuto? chessò, Hitler; li fanno ancora i russi di una volta?]
Che poi, tradotto in italiano, che significa?
Se "concertato" vuol dire "andate avanti voi, che a noi viene da ridere", il tuo inedito (checche' tu ne dica) ardimento e' alquanto velleitario, visto che da soli non credo riusciremmo ad invadere alcunche'.
Se si trattasse di una coalizione internazionale stile Iraq o Afghanistan, a me potrebbe anche star bene fare la nostra parte; ma a parte che l'UE non riesce neppure a mettersi d'accordo su chi debba spupazzarsi i profughi e gli americani hanno altre gatte da pelare, non si capisce perche' dovrebbe star bene a te adesso, o perche' non ti doveva star bene allora, appunto, visto che di "emergenze umanitarie", anche la', hai voglia.
No, l'unico discrimine, l'unico vero tuo impulso alla pugna e' la "prossimita'", leggasi: senza Gheddafi, tra un po' ti arriveranno i negri fin nel tinello, e ancora non hai finito di pagarci il mutuo.
tibi
Evidentemente a questa destra piace intervenire per imporre la democrazia come pare a lei, ma non per aiutare chi si sta lottando per essa.
E' un po' come dire che Hitler e Herzl avevano lo stesso obiettivo strategico: risolvere la questione ebraica una volta per tutte.
Credo che sarebbe chiara a un bambino (ma a un bambino in buona fede) la differenza tra Iraq 2003 e Libia 2012: oltre alla prossimità, nel secondo caso c'è una guerra civile e un'emergenza umanitaria, nel primo bisognava invadere una nazione assediata, che ha resistito a lungo, anche dopo la caduta del dittatore.
Tu puoi rovistare all'infinito nel mio archivio alla ricerca di chissà quali delitti d'incoerenza: va tutto bene, la gente cambia idea e io in particolare non faccio fatica ad ammetterlo, anzi, di solito ci scrivo su pezzoni di cinquemila battute. Però non vedo nessun motivo per rivedere il mio giudizio sulla guerra in Iraq: mi sembrava una cazzata e lo scrissi, mi sembra tuttora e confermo. Quando cambierò opinione su Bossi, quando non mi sembrerà più un demente mandante di stragi, lo scriverò, e tu sarai tanto contento.
La tua ossessione per la coerenza altrui è ben buffa, visto che tu stesso hai cambiato idea: nel 2003 eri interventista, adesso fai tante storie. Potrebbe anche c'entrare la delusione per come sono andate le cose.
"Saddam? Lì si trattava di mettersi in un ginepraio, come i fatti hanno dimostrato."
Già, invece la Libia, con una guerra civile in corso, divisioni tribali, presenza di estremismo islamico, dove gli italiani non sono esattamente amati (pure i giornalisti: http://www.corriere.it/esteri/11_febbraio_24/libia-giornalisti-malmenati_b45a6de4-4045-11e0-9e6f-a362a9c0857e.shtml figurarsi i soldati), sarebbe Disneyland?
O pensi di risolvere tutto con l'aviazione? La nostra, senza l'appoggio Nato, non credo valga molto più di quella libica, tra l'altro.
"Stavolta il cattivo è uno solo, non c'è un'altra parte di cattivi."
Sicuro? Li conosci uno ad uno? Pensi che ci accoglierebbero tutti come liberatori?
tibi
Qua, si vuole far finire un massacro che per di più destabilizza il giardino di casa nostra. Stavolta il cattivo è uno solo, non c'è un'altra parte di cattivi. Ci sono mercenari che massacrano un popolo, tanto più spietati perché sanno che se esitano anche solo un istante, la gente li massacrerà in massa.
L'idea della no-fly zone è ottima, comincino i politici dei paesi seri ad attuarla subito.
Rassegnati, hai lo stesso obiettivo strategico di Bossi, fermare le masse di disperati (l'ultima volta che Gheddafi ha represso una rivolta con l'esercito, non mi risulta che tu abbia suonato l'adunata), by all means necessary.
E con ogni verosimiglianza, i tuoi mezzi farebbero più morti dei suoi (anche tra i civili: o improvvisamente i 'danni collaterali' sparirebbero? abbiamo mirini migliori degli americani, noi? o il cuore più tenero?), senza garanzie di successo.
tibi
E' un dato di fatto che la percorribilità delle distanze sì, è relativa e da questo punto di vista il globo si è ristretto: le invasioni barbariche, con un impatto demografico probabilmente inferiore alle migrazioni odierne (per dire, goti e longobardi erano qualche migliaio di guerrieri con famiglie al seguito), sono durate secoli.
Ma il punto che ti sfugge è che 'bum' l'hai fatto anche tu, ovvero hai deciso che, gratta-gratta, per i tuoi interessi, per difendere il tuo stile di vita, quando la minaccia arriva 'alle porte di casa tua', trovi accettabile che si spari e si ammazzi. Non sei 'migliore' di Bossi, vorresti solo regole d'ingaggio diverse, con il risultato immediato di più, non meno morti ammazzati e risultati strategici assai più incerti: che si sia in grado di occupare un Paese vasto e con una situazione sul campo assai fluida senza farci decimare, è tutto da dimostrare; a fermare qualche barcone dovremmo essere capaci.
tibi
Le proposte di Bossi sono riassunte nell'espressione, testuale, "Bum". Non si tratta di semplice "pattugliamento armato delle coste", ma di speronare e affondare i disperati che ci provano, e subappaltare i campi di concentramento a Gheddafi. Quindi sì, Bossi era e resta un povero criminale. Io di idee ne cambio tante, ma questa per ora no. Arrivederci alla prossima idea che cambio.
Ovvero: il problema vero sono le masse di disperati (libici, o non più filtrati dai libici) che potrebbero sbarcarci in casa. E quelli, come dire, preoccupano un tantino anche un fior di cosmopolita come Leo.
Ma se il problema è quello, e si è disposti ad affrontarlo con la forza militare, la soluzione più efficiente (e a rischio perdite praticamente zero) non è lo sbarco e l'occupazione, ma il pattugliamento armato delle coste; solo che quando lo proponeva Bossi, Leo gli dava del matto.
(Oh, non c'è niente di male a cambiare idea, eh? Basterebbe dirlo.)
tibi
leonardo spesso concordo con le tue parole, non questa volta. e se mi posso permettere trovo che dire che con l'elmetto faresti poco ma i soldati pagati(chiamarli professionisti e' un eufemismo) con tue tasse debbono "armarsi a partire" sia una nota stonata alla luce di tutte le belle guerre umanitarie o missioni di pace che abbiamo visto susseguirsi negli ultimi 20 anni.
Il problema è molto più semplice: sei a favore di _questa_ guerra _adesso_?
Bene: armati e parti.
Guarda, sono anche disposto a non minarti il fronte interno andando in piazza coi cartelli 'Not in my name' e 'L'Italia ripudia la guerra.'
E' sempre quella la questione: non pretendere dagli altri quello che non si esige da se stessi.
Più nel merito, un esempio peggiore della Somalia non ti veniva? T'informo che la Somalia è diventata quello che è adesso _dopo_ che ci sono andati i marines, l'Onu... e gli italiani: do you remember Checkpoint Pasta?
tibi
l'ho trovato inquietante
Saluti
Mauro
Tibi, fingerò ancora una volta che tu sia in buona fede: probabilmente nei mesi che precedettero la guerra in Iraq eri bloccato in una caverna e non sai con quanta insistenza, per molti mesi, un sacco di eroi da tastiera che non avevano mai preso in mano uno schioppo chiesero l'intervento in Iraq che avrebbe portato la fiaccola della democrazia e interrotto la perniciosa produzione di armi di distruzione di massa. La guerra poi c'è stata e tutti quei signori, abbastanza prevedibilmente, sono rimasti col culo ben saldo sulla loro poltroncina: anche se alcuni a un certo punto il blog lo hanno chiuso, forse per vergogna.
Io mi sono chiesto, ieri, perché non ci poniamo il problema di intervenire in una situazione di oggettiva emergenza che si trova alle porte di casa nostra. Che qualcuno mi chieda l'elmetto ci sta (resta che c'è ben poco che potrei fare con l'elmetto in testa: però le tasse le pago e ho il diritto a chiedermi a cosa serve il settore della Difesa, se non interviene in casi come questi). Purché non siano i poveri fessi dell'"Armiamoci e partite" 2002/3: quelli un giorno o l'altro impareranno a non sprecare le occasioni per tacere.
Ma no, c'è qualcuno che non imparerà mai.
Poi c'è un problema costituzionale: un atto di guerra nostro può avvenire, al fine di dare possibilità alla pace, solo con l'assenso, meglio il mandato degli organismi internazionali. è la conseguenza di aver scelto la pace come valore fondamentale, ed anche di aver perso una guerra... Certo sembrano incoerenti le spese militari, le nostre missioni "di pace" all'estero e via dicendo: ma semmai il problema è dare un senso a quelle....
poi c'è il problemino dei razzi a Lampedusa, che sì, vabbè, i Lampedusani stanno in mezzo al mare e sono un po' sfigati... ma insomma è pur sempre territorio italiano da tutelare in qualche modo senza portargli la guerra dentro casa e sulle spiagge...
tibi
BTW, ma voi sulla Cambogia che opinioni avevate? (No, scherzo, non me ne può fregar di meno).
la guerra (perchè che sia per la pace o altro sempre di guerra si parla) comunque tibi non la dobbiamo fare noi civili ma appunto i militari che sono pagati apposta per farla.
Il problema è che Berlusconi non si intende di guerre e nemmeno Maroni e men che meno La Russa (con tutte le arie da macho che si da)
questi non sanno neanche da che parte incominciare, non riescono neanche a rimpatriare gli italiani rimasti in Libia
prima che l'Italia (figurati) decida di fare qualsiasi mossa la rivolta sarà già finita da un pezzo (sia che prevalga il beduino o i rivoltosi)
aspettiamo e vediamo come va a finire come facciamo sempre quando non siamo obbligati dagli americani a tirare fuori i fucili
Saluti
Mauro
al momento abbiamo solo le testimonianze dei disertori atterrati a Malta e testimoni sul posto. nessuno ha confermato. c'è chi cita aljazeera ma neanche un link.
ora l'ex ministro della giustizia libico ha confessato che Gheddafi ordinò la strage di Lockerbie.
anche qui: abbiamo bisogno di certezze, altri hanno interesse a manipolare queste informazioni...
Giova ricordarglielo, anche perché è la miglior risposta al Leonardo con l'elmetto del 2011:
"E commosso da tanto slancio io “povero illuso”, io “sognatore” volentieri verrei a darvi manforte, sennonché: dove ci si arruola? Dove sono questi famosi sacchi di sabbia da sistemare nel cortile? Non vedo niente. [...] E insomma, tutto questo parlare di guerra nelle vostre camerette, non trovate che ci si possa fare dell’ironia? Mi ricordate un po’ l’Eroe ar caffè di Trilussa, che è stato ar fronte, sì, ma cór pensiero: “Avressi da vedé come combatte…”
Spiana li monti, sfonna, spara, ammazza...
Per me - barbotta - c'è una strada sola...
E intigne li biscotti ne la tazza.
Io sarò sognatore, sarò illuso, sarò perfino pavido: ma il primo motivo per cui critico la guerra è che non sarei in grado di andare a combatterla. E voi, sareste in grado? O si tratta solo di scrivere qualche proclama e poi pagare qualche poveraccio che vada a combatterla per voi? [...] C’è una guerra? Vale la pena di combatterla? Benissimo: il fronte è là, e non mi sembra che ci sia nient’altro da dire. Sul carro armato, e pedalare."
(Leonardo, 1-12-2003)
tibi
Il problema dell'appoggio ONU e' un non-problema, basta dare un po' di spazio ai russi e ai cinesi e l'ONU ti appoggia tutto quello che vuoi; le riserve petrolifere poi te le giochi con i nuovi governi, un po' di lobbying e via, tanto ENI e compagnia ormai sono compromesse.
Il problema vero e' che l'impero e' ancora sotto pressione tra Afghanistan e Iraq, e ulteriori mosse militari in medio-oriente sono molto rischiose se non infattibili. Non mi sorprenderei se venisse fuori, tra 30 anni, che il fomentare queste rivolte e' stata una precisa scelta strategica per mettere pressione sull'Iran in maniera indiretta.
Tutto cio' non toglie che Gheddafi stia usando dei mercenari per ammazzare il proprio popolo, ed e' una cosa indegna. Ci sono tanti modi non-militari per fermarlo (tipo congelare i fondi svizzeri etc), e bisognerebbe usarli subito. Garantiamogli un bell'esilio in Brasile e che si tolga dalle scatole.
Più cinicamente, qualcuno al governo pensa che qualche morto in più di là significa meno immigrati di qua.
Sarebbe imperialismo, poi puoi fare il piddino e girarci intorno finché vuoi ma quello è. Ma anche, almeno.
Le forze armate servono proprio a quello e l'impero (non tu: tu ci metti solo i soldi, ma non decidi) le mantiene proprio per quello.
Se gli Usa fossero davvero una forza democratica darebbero più potere all'ONU e sarebbe l'ONU a intervenire.
Non si tratta di "24000 miliardi di €", ma di "20400 milioni di €".
C'è un fattore 1000 di differenza...
Saluti,
Mauro.
Mah
Per favore, non ricominciamo a litigare sulla Bosnia, io non ricordo nemmeno che parere avevo, sulla Bosnia.
Io mi chiedo perché non ci sia stato nemmeno lo sforzo di finanziare sottobanco un'opposizione, soprattutto noi dell'opposizione, che poi si sarebbe rivelata utile in momenti come questi. Ma anche qui, troppo tardi. Troppo tardi.
Se oggi muovessimo la marina a "occupare" (o a "liberare" o a "mettere in sicurezza") Bengasi, gli insorti non ci accoglierebbero di certo come liberatori. Figuriamoci a Tripoli, dove ci danno persino in combutta coi bombardamenti.
Siamo in tanti a chiederci a cosa serve l'esercito oggi, se non a mandare un po' di uomini al seguito dell'esercito imperiale nelle sue conquiste. E magari anche a chiederci a cosa servono tutte queste forze di polizia, se continuiamo ad essere un paese in balia alla criminalità. Evidentemente, le risorse sono mal distribuite. E aggiungerei che la nostra politica è guidata da un uomo che fa bunga bunga di notte e dorme di giorno, cioè è abbandonata a se stessa.
L'unica democrazia buona
03-02-2011, 20:00democrazia d'esportazione, medio oriente, rivoluzioniPermalinkCari egiziani, fate i bravi, tornate a casa. L'unica democrazia buona è quella che si esporta. Diffidate del prodotto locale.
(English version).
ecco... fosse stato un Palestinese era ... cosa ... un t. un te. su Fonzie, prova a dirlo, non è difficile.
"Vai a farti fottere, Leonardo. Punto."
Gratti un antisionista e ottieni cosa? Un antisionista grattato equivale a...?
Puoi essere, per favore, un po' più precisa sullo psicoreato che commetterei affermando che gli integralisti ebraici esistono e condizionano la politica interna ed estera di Israele?
Magari riesci anche a farcela senza passare per una reductio ad hitlerum, chissà (mi ci gioco un caffè, diciamo).
PS: Non saranno certo i tuoi algoritmi a farci sorridere ma la tua incapacità a comprendere un problema serio,di cui non ne sai un accidenti
Bello schemino, se Obama conta davvero qualcosa è qui che ha cambiato(un po' per mancanza di alternative) il modo di agire usa: vogliono democrazia, aiutiamoli a costruirsela senza andar li a far casino, o al massimo non caghiamoli proprio che ci pensano da soli.
Non è poco
Ooh, era da un po' che non arrivava qualcuno col sofisma del matrimonio gay. Hai fatto bene a scrivere che le unioni gay "sono riconosciute", visto che i gay (ma anche i musulmani/e che vogliono sposarsi con ebrei/e) devono andare a Cipro.
Ricapitolando:
1. Assassini politici.
2. Coloni che occupano la Palestina perché c'è scritto sulla Bibbia che è giusto così.
3. Shas al governo e alla Knesset a fare da ago della bilancia.
Però è tutta gente isolata, se ne parli sei in malafede o non rispetti le proporzioni, i gay a Tel Aviv si divertono un mondo.
Isreaele è uno stato democratico che al proprio interno, purtroppo, contiene alcuni gruppi fondamentalisti (che comunque non incidono più di tanto sulla società nel suo complesso; quanto meno, non più di quanto la chiesa cattolica incida sulla società italiana: in Israele, ad esempio, le unioni gay sono riconosciute); viceversa, ci sono paesi arabi completamente governati dai fondamentalisti islamici (Iran, per dirne uno).
Mettere il fondamentalismo islamico sullo stesso piano di un presunto "fondamentalismo ebraico" significa essere in mala fede o, semplicemente, non avere il senso delle proporzioni.
Anche i coloni ebraici nei territori occupati, in realtà non vedono l'ora di andarsene, è solo che i palestinesi non li fanno uscire.
Del resto è un po' così che accade: quando un fondamentalista è ebreo, non è più un fondamentalista, al massimo è un democratico un po' criticabile.
Andrea
p.s. ti linko a bomba su fb
francesco
Il segno di una resa indelebile
18-09-2009, 01:03Afganistan, democrazia d'esportazione, guerra, neoconiPermalink
Ma se ci raccontassero che tanto tempo fa, in un Paese lontano, le tribù per contarsi (e dimostrare di essere più potenti delle altre tribù) costringevano i loro membri, maschi e femmine, a lasciare un'impronta del dito su un brandello di tessuto finissimo, con un un pigmento che rimaneva indelebile sulla pelle per giorni e giorni; e che poi questi brandelli venivano pazientemente raccolti, e contati, e che la tribù che alla fine riusciva a portare più impronte aveva il diritto di spadroneggiare sulle altre per cinque inverni, noi la chiameremmo democrazia?
Il momento in cui ce ne andremo dall'Afganistan – presto, tardi, dipende dalla fibrillazione mediatica di un governo distratto e di un Paese che si ricorda di una guerra solo quando ammazzano i suoi soldati – sarà il momento in cui ci saremo rassegnati a considerare “democrazia” una cosa del genere. Per alcuni andare via sarà come perdere l'onore; io che l'onore non so bene cos'è mi preoccupo piuttosto di perdere il senso di una parola. Siamo in Afganistan per difendere la “democrazia”; la “democrazia” afgana consiste nel mandare contadini analfabeti a macchiarsi le dita con una scheda in cui devono identificare il referente della loro tribù. Il feudalesimo coi plebisciti: questa è la “democrazia” che stiamo difendendo.
Forse il primo esempio compiuto di democrazia postmoderna; nel senso che combina liberamente e creativamente citazioni di civiltà e millenni diversi: il suffragio universale, il colore indelebile, la tribù, il partito, la legge del taglione (nell'Helland se ti trovano col dito sporco te lo mozzano), tutto assieme in un calderone che per gli ottimisti è solo il brodo primordiale, l'inizio di una civiltà; e per i pessimisti è la negazione stessa del concetto di progresso. Per quale motivo al mondo l'Afganistan dovrebbe migliorare? Quando mai è migliorato? E per quale concatenazione di cause la democrazia tribale afgana dovrebbe evolversi in qualcosa di più occidentale? Se fosse invece l'Afganistan il futuro dell'Occidente?
La guerra afgana non è stata costruita su una bugia, come la campagna d'Iraq. Ma a ben vedere poggiava su un fondamento ideologico altrettanto catastrofico. L'idea di “democrazia” come valore in sé, a-storico, a-geografico, una specie di diritto naturale comune agli uomini di ogni età e latitudine. Mancava solo che lo trovassero inciso in un filamento di Dna, e non è detto. Non so neanche esattamente chi abbia concepito un'idea così – i neocon americani? – di certo smentiva persino il pensiero corrente fino al 10 settembre 2001, il mito dello scontro di civiltà. No, macché scontro: per i neocon in fin dei conti esisteva una sola vera civiltà, un solo sistema, una sola fede: la democrazia. Non solo, ma era anche facilmente trasportabile, una specie di kit, la democrazia da campo. Ti bastava sfondare con un paio di divisioni, puntare alla capitale, aprire un Parlamento, et voilà, democrazia. Con tutto quello che ha di bello: pluralismo, libertà di stampa (che gioia a quei tempi, per i primi fogli usciti a Bagdad o Kabul), e poi via il burqa e tutti in discoteca: tutto facile, tutto immediatamente desiderabile, perché chi è che non ama la democrazia? Bisogna essere fessi.
Chi in quel periodo osava ricordare che la democrazia non è un Monolite piovuto dal cielo, ma il risultato ultimo di un processo storico (alfabetizzazione, industrializzazione, affermazione dei ceti medi, crisi della famiglia patriarcale, emancipazione femminile) veniva bollato come un razzista, quindi un nazista, uno che “è convinto che la democrazia sia solo cosa nostra” mentre invece piace a tutti, un apologeta della superiorità dell'occidente, uno snob, quindi anche un comunista, però un po' filoislamico, e naturalmente antisemita – e qualche etichetta devo averla persa per strada, ma quelle qui sopra me le hanno appiccicate tutte. Erano i giorni in cui si metteva in copertina la foto della ragazza afgana col dito macchiato – che coraggio nel macchiarsi il dito, che fierezza, lei sì che è orgogliosa della sua democrazia, una lezione per tutti noi che tra un'elezione e un'altra perdiamo regolarmente il tesserino.

Ah, e nel frattempo avevano anche la faccia tosta di parlare di fine delle ideologie. Io a dire il vero una sbornia ideologica così pesante non la ricordo: al confronto i famosi sessantottini avevano qualche piede piantato per terra. È di questa sbornia che stiamo ancora pagando i postumi.
Il giorno che ce ne andremo da Kabul, sarà il giorno che ci sveglieremo in un mondo più cattivo: senza destino, senza sacre missioni, senza progresso. Parola un po' abusata, anche da me: forse non c'è nessuna direzione verso cui tendere, forse progredire significa semplicemente adattarsi all'ambiente. Il tirannosauro era già perfettamente progredito, dal suo punto di vista; poi è cambiato l'ambiente. L'Afganistan è una gola tra il Karakorum e deserto, e ci cresce bene l'oppio; forse il tribalismo non è un retaggio del passato, ma il sistema di governo più adatto all'ambiente. E non è neanche vero che non progredisce: smette le lance e passa ai razzi terra-aria, sostituisce i messi coi telefoni cellulari, e si trasforma nella versione più evoluta di sé stesso: la narcomafia.
Il giorno che ce ne andremo da Kabul, temo, ci porteremo un po' di Kabul con noi. Sarà la fine di un'ideologia sbrigativa e facilona, roba da fighetti americani decisamente, ma comunque ultima incarnazione di un'idea lunga tre secoli: il progresso. Torneremo con l'idea che in certi casi il medioevo è inevitabile, che bisogna venirci a patti; e se si fa a Kabul, perché no a Scampia.
Il giorno che ce ne andremo – ma perché ci siamo andati, poi? D'accordo, ci sentivamo responsabili, ma eravamo già una piccola nazione in crisi d'identità. Questa idea di andare in capo al mondo a fare i missionari armati – ma davvero siamo così bravi? Quanto ci costa ammettere che il mondo non poggia sulle nostre spalle?
Il punto è tutto qui. L'escalation delle ultime settimane e una chiara e prevedibile conseguenza delle elezioni col dito colorato. Non sono democrazia, gli esperti e gli osservatori se glielo chiedi te lo dicono. E allora cosa sono?
La mia sensazione è che siano una recita che facciamo fare a loro per uso nostro. Loro si tingono il dito, loro poi rischiano di farselo mozzare perché non siamo in grado di difenderli, e noi ci raccontiamo che stiamo riscattando l'Afganistan dal medioevo. Poi si tira una riga sulla lavagna, e quelli che ci credono sono "progressisti"; quelli che hanno dubbi sono "reazionari".
Se uno però insiste, metti uno un po' incarognito come me, se non si fa fregare... i progressisti calano la maschera e dicono ok, lo sappiamo che non è la vera democrazia, è solo una specie di paravento, per la democrazia vera servono i decenni... in realtà l'Afganistan ci serve per ammazzare gli esponenti di Al Qaeda in loco, così non si fanno esplodere da noi. Cioè, in pratica la dottrina Bush. Che quasi ogni anno fa più morti dell'11 settembre: ma siccome muoiono da qualche altra parte, e non parlano inglese, la consideriamo una riduzione del danno.
Va tutto bene, eh. Basta non andare in giro a sostenere che "siamo progressisti" o "siamo buoni". No: non siamo buoni e non stiamo progredendo.
Ma Dio Santo e Misericordioso, ma in Italia abbiamo un problema di tolleranza religiosa (e io sono il primo a credere che lo abbiamo) ci sono migliaia di cose che possiamo fare per risolvere il problema, prima di andare a fare la guerra in Afganistan. Con gli stessi soldi possiamo aumentare gli insegnanti e l'orario scolastico (la scuola è il primo luogo di integrazione dei ragazzi e delle famiglie). Apriamo consultori inter-religiosi, così se il padre della tua ragazza ti manda un sms con scritto "ti ammazzo" tu vai a parlare del problema con uno che non è subito un carabiniere, ma magari un assistente sociale di origine araba. Cerchiamo le associazioni islamiche più aperte al dialogo, le finanziamo, (e perché no, infiltriamo le altre). Magari li lasciamo liberi di aprire luoghi di culto, come è previsto dalla Costituzione, di modo che sia anche più facile entrare e sentire cosa dicono.
Tutto questo si può iniziare a fare coi soldi dei Lince. L'idea che quello che succeda nei nostri quartieri vada risolto a Kabul è aberrante.
I Caschi Blu, l'Onu, sono solitamente presentati all'opinione pubblica come l'antitesi delle "guerre umanitarie pelose", chiamiamole così. pPrò i caschi blu fanno pochissimo, non hanno mandato, sono vittima dei veti incrociati, in Ruanda hanno lasciato fare nonostante il loro comandante avesse un piano. Dunque? Lasciare le cose come stanno? Aspettare che i popoli maturino autonomamente ecc. ecc. ? Non è meglio infilarci dentro le mani, in questa materia ribollente? Non è meglio chiedersi se economia, diplomazia, eserciti e cooperazione allo sviluppo possono darsi una mano, per esempio? Senza illudersi che qualcuno abbia la bacchetta magica, ovviamente.
E' tutto vero, ovviamente. Non viviamo nel migliore dei mondi possibili, solo uno sciocco lo sosterrebbe. Ciononostante, credo che nessuno di noi vorrebbe vivere nel mondo dei talebani, o di Ceausescu, se è per questo. Il punto è che nel mondo dei talebani non ci dobbiamo vivere noi ma gli afgani. Gli afgani - almeno una parte di essi - vogliono vivere in un mondo che non sia dominato dall'integralismo talebano? Io credo di sì. In questo caso, vanno aiutati? Io credo di sì.
La guerra è un aiuto? Beh, non è il migliore degli aiuti possibili, siamo tutti d'accordo, compreso Bossi, mi pare. Certo la democrazia non la esporti semplicemente con i blindati. Invito solo a considerare una cosa. Siete proprio sicuri che democrazia, legalità stato di diritto ecc. (non parole vuote, cose concrete, concretissime, per me) siano un'esigenza che germoglia spontaneamente nel cuore dei popoli? Secondo voi nell'Italia del '43 c'erano queste esigenze? Siete proprio convinti che i caduti nella spiaggia di Anzio (per citare - sicuramente a vanvera, caro Leonardo - un nostro grande poeta) non abbiano nulla a che fare con la nostra democrazia, quantunque imperfetta e berlusconizzata?
Io una volta avevo delle certezze, in proposito. Adesso non più.
In quanto a chi dice che l'equazione talebani-fascismo sia una stupida semplificazione neocon, sono d'accordo: forse i talebani sono anche peggio. Sono un impasto di ignoranza, supponenza, integralismo religioso, violenza generalizzata, sete di potere, delirio identitario, machismo del cazzo, narcomafia. Basta e avanza.
Fu proprio per reazione a quei provvedimenti di rottura verso i costumi tradizionali che ebbe inizio l'orrenda pratica ritorsiva di sfigurare con l'acido, se non uccidere, donne e bambine - fenomeno su cui la grande stampa libera dell'occidente, pur essendone al corrente, ha sempre nobilmente taciuto.
Qui da noi è invalsa la pratica di resocontare i dieci anni dell'invasione russa come una sorta di equivalente del Vietnam, ovvero quegli anni in cui all'Indocina fu corrisposto il saldo della liquidazione coloniale mediante una democratica distribuzione di napalm; [questa roba è curiosa, peraltro: quasi si vorrebbe che all'occorrenza la storia funzioni come lo specchietto magico che il bambino evoca con le dita per riflettere la presa in giro o il malaugurio a lui rivolto;] ma una differenza, a voler guardare, esce sempre: per esempio che i sovietici, al fine di controllare realmente quel territorio - e non di insediare un sindaco di Kabul, peraltro burattinabile almeno quanto compromesso, e per giunta vestito da spaventapasseri - hanno mandato un bel quantitativo di "loro ragazzi" a disfarsi di una gamba o più sulle nostre mine; e tutto questo probabilmente senza il profluvio degli isterici piagnistei de noantri.
E allora a sto' punto che famo? chiediamo scusa pure a Breznev?
F
Quindi l'invasione militare dell'Afghanistan è avvenuta senza che l'idea statunitense della legittima difesa avesse ricevuto alcuna legittimazione internazionale.
E non mi risulta che qualcuno, neanche i buonisti (ma ancora si usa 'sto termine?) di sinistra, abbiamo mai giustificato un assassinio o detto che il suo autore non vada punito.
Il problema è il maschilismo. Se rileggi i giornali degli ultimi mesi, ma anche ultimi anni, troverai diversi femminicidi compiuti dal marito\fidanzato\convivente italiano, che considerava la moglie\fidanzata\convivente sua proprietà privata. Ma in questi casi non si fa il collegamento assassino-cultura cristiana, anzi si tende a giustificare il poverino che temeva di essere lasciato. Che poi le religioni monoteistiche siano intrise di maschilismo, non ci piove.
Ma certo questo non cambia quasi nulla rispetto alche fare qui ed ora.
Comunque sono totalmente d'accordo che la strategia dell'invasione militare è sbagliata, non funziona, dovremmo passare all'invasione cultural-cooperante-costruttiva (e nel lungo termine a un mondo dove non ci si debba scannare per il petrolio): il problema è il come, che a questo punto non è un problema da poco.
Quanto all'aria da 2001, ti faccio notare che ieri in piena Italia un immigrato islamico ha ammazzato la figlia tra gli applausi della sua famiglia perchè frequentava un italiano. La cultura medievale di cui parli è già qui, già minaccia la nostra società da molto vicino: solo il buonismo terzomondista della sinistra italiana fa sì che metà del nostro Paese (purtroppo la metà più colta e preparata) insista a far finta di niente. Cioè: se il Papa mette becco su qualsiasi minima cosa tutti a protestare (e giustamente, il Vaticano dovrebbe essere cacciato a calci nel sedere dalle sale della politica italiana), ma quando si parla di Islam, eh vabbe', alcuni di loro trattano le donne come bestie e non vogliono che i loro figli si integrino con i nostri ma suvvia, son poveretti, lasciamoglielo fare...
Invece noi dobbiamo assolutamente portare la cultura islamica fuori dal medioevo prima che vi tiri dentro noi; le bombe sicuramente non sono la via giusta, ma ciò non toglie che, a livello internazionale, questa sia una priorità per tutti.
Quanto all'idea che l'Italia tutto sommato possa fregarsene delle questioni internazionali perché è un paese piccolo piccolo, io proprio non la condivido: io voglio che l'Italia si riprenda da questa mostruosa crisi (culturale prima che economica) e ridiventi un Paese che guida la storia, non che va al traino un po' sfigato degli americani o del resto d'Europa...
"Ma intanto, ai nostri soldati che sono lì perchè ce li abbiamo mandati noi, cosa diciamo": non lo so, e siccome non sono finanziato dal Ministero degli Esteri (magari: lì non tagliano), io ai nostri soldati non dico niente: c'è tanta gente che già gli scrive, e a retorica mi danno senz'altro i punti. Ovvero, potrei scrivere le solite cose di circostanza, e se non lo faccio magari è per rispetto.
In generale non sto chiedendo a nessuno di ritirarsi da niente: al massimo sto cercando di spiegare perché in un qualche modo ci ostiniamo a stare lì, anche se sospettiamo tutti di sbagliare (non di aver sbagliato: di sbagliare in questo preciso momento, appoggiando Karzai). Non è nemmeno chiaro se rispetto ai talebani ci sia stato un miglioramento (qualcuno si è messo a contare i burqa in meno?)
L'unico dato oggettivo è che l'Afganistan non esportava più oppio e ora è tornato il primo produttore mondiale, non si ferma il progresso.
E grazie per farmi respirare ancora quell'aria di 2001: dobbiamo intervenire in Afganistan perché altrimenti si espanderanno e metteranno il burqa a nostra figlia! Ma io faccio fatica a pensare che ci fosse gente che ci pensava seriamente nel 2001, a queste cose, figurati oggi. E' propaganda da prima guerra mondiale, il capitano che dice al fantaccino che bisogna sfondare il fronte altrimenti gli austriaci arrivano ad Avellino e gli stuprano la famiglia.
Siamo andati in Afganistan perché preparavano gli attentati "contro di noi": vedete come siamo? Siamo al centro dell'attenzione, al centro della terra, appena succede qualcosa è senz'altro contro di noi. Ma "noi" non eravamo un obiettivo di Al Qaeda: al massimo lo siamo diventati dopo essere intervenuti in Afganistan. E siamo intervenuti in Afganistan quando ormai Bin Laden era scomparso, e in agenda c'era la cosiddetta democratizzazione del Paese. Io capirei se fossimo una grande potenza militare, ma siamo un piccolo Paese e appena ci ammazzano sei militari ci mettiamo a frignare: si faceva una figura migliore stando a casa.
L'Afganistan è un casino, ma, se non è abbastanza chiaro, noi non siamo il grande Paese con la bacchetta magica che risolve i problemi degli altri. Però è davvero difficile ammetterlo.
Tra le altre cose sostiene che l'agire in seguito a sbornia ideologica rischia di portarsi via anche le idee: rischio che mi sembra molto concreto.
Poi sarebbe bello che, quando possibile, i dibattiti non si limitassero a invasione si/invasione no, ritiro si/ritiro no.. ma, per quel che ci sompete, COSA e COME ci stiamo.
Ovvero: la presenza militare, da sola, rischia di star li all'infinito. Oltre al suo mandato, ai pro e i contro, sarebbe fondamentale analizzare l'intervento "civile": quanto la ricostruzione è un business degli occupanti? Se costruiamo una scuola a Kabul spendiamo cifre enormi per un progetto fatto come se si trattasse del centro di Milano, oppure si favorisce la piccola associazione, i progetti concordati con le eraltà locali? La successiva gestione, con chi la si fa? Come si favorisce, in una situazione di guerra, la patecipazione femminile assieme alle forze locali, senza catalizzare l'ira delle altre forze fondamentaliste? Quanto conta l'eventuale ritiro della forza militare in queste cose?
Non scalfisco neanche la superficie, ma confesso che dopo aver parlato con chi ci ha lavorato, diventa sempre più difficile tollerare i dibattiti superficiali a slogan (che prescindono dalla sorte degli interessati) e la stucchevole retorica militarista.
Presa di posizione col culo al caldo?
È semplicemente quella di Emergency.
@ anonimo
Allora perchè non siamo andati piuttosto in Pakistan e arabia Saudita?
anonimoindividualista
Grazie
P.S.: personalmente in Afghanistan ci lascerei Emergency, che era lì da ben prima delle nostre democratiche bombe e che se le cava decisamente meglio.
Per il resto trovo molti punti di accordo, sopratutto nella seconda parte del post.
Concordo sul fatto che la democrazia sia il prodotto dell'evoluzione socio culturale tipica dell'europa degli stati nazionali. Concordo meno nel fatto che essa sia in fondo piu' che una serie di regole.
Cio' che penso e': in ogni societa' ci dev'essere un sistema pratico per prendere le decisioni. Si chiama governare. Noi abbiamo scelto un modo che implica una serie di delegati a legiferare e un gruppetto distinto che prende le decisioni gestionali (il governo). Questa e' l'essenza della democrazia. Non la stampa, non l'educazione, non tutto il contorno di "sovrastrutture". La democrazia e' un metodo per decidere chi prende le decisioni. Il resto (stampa, classe media, ecc...) sono figlie (principalmente ma non solo) delle conquiste sociali dell'Europa centroccidentale degli ultimi 6 secoli.
La democrazia e' esportabilissima, come metodo. Come ideologia no. Ecco perche' fallisce. Perche' come metodo e' semplicemente un sistema, che si piega agli itneressi locali.
Perche' la democrazia rappresentativa dovrebbe essere implicitamente meglio di un metodo alternativo (democrazia diretta, oligarchia, monarchia ereditaria) non ce lo ha mai spiegato nessuno. In pratica non credo sia dimostrabile. Funziona per noi perche' fa parte della cultura (con gli sfaceli che vediamo oggi, ma in un certo modo funziona).
Di certo e' funzionale a tenere il popolo lontano dalle leve del potere tanto quanto le alternative. L'illusione costante che invece non sia cosi', pero' fa un gran bene all'autostima dei popoli che si governano con la democrazia. Che e' appunto, il piu' grande successo di questo metodo di governo. Ci si crede, martellati dalla propaganda (che si chiama giornalismo, in democrazia, e fa molto piu' chic) al posto di guida ed invece si e', se va bene, passeggeri.
Chi governa, in ogni caso, sono i grandi gruppi economico finanziari. In altri sistemi governano le elite religiose, le oligarchie di partito, le famiglie reali, ecc...
Un sistema in cui il potere e' realmente in mano al popolo (inteso come la maggioranza della gente) non e' stato ancora sperimentato in societa' da grandi popolazioni. Oggi forse ci sarebbero le tecnologie, e l'idea comincia ad affiorare.... e spaventa molti.
Andrea
Per il resto sono d'accordo con te, soprattutto per un motivo: l'Afghanistan (come molte altre ex colonie europee, unica eccezione forse l'India) non esiste, è un'invenzione ottocentesca degli inglesi che avevano bisogno di un cuscinetto tra l'impero russo e la loro India. Lo stesso vale per l'Iraq e per l'Africa, dove lo stato è un'entità artificiale, distante, al contrario della tribù. E in parte vale anche per il meridione d'Italia e per Scampia, dove lo stato è ancora per molti quello dei colonialisti piemontesi, roba non nostra.
Tracciare dei confini e pretendere che ciò che vi è contenuto si adatti magicamente al contenitore, come il criceto alla sua gabbia: la tipica supponenza razzista dell'uomo bianco.
Ritiriamo i soldati e mandiamo medici, libri e ingegneri, che servono di più. E poi diamo tempo al tempo, in Europa la democrazia è stato il frutto di un processo plurisecolare, magari loro ci metteranno di meno.
Vorrei ricordare (qualcuno ogni tanto lo dimentica) che i soldati occidentali, in Afghanistan, non imbracciano fiori. I soldati occidentali sparano.
Dopo tutti questi anni la situazione non accenna a migliorare, semmai il contrario. Perché dovremmo restare? Abbiamo già abbondantemente dimostrato che non siamo capaci di migliorare le cose.
Non posso migliorare le cose e allora smetto di peggiorarle. È immaturo?
Chi non può migliorare le cose e continua a voler agire vuole peggiorare le cose.
Perché peggiorare le cose è più bello che non fare niente.
È più maturo?
Se poi invece di andare ad ammazzare altra gente in Iraq, per puro sfizio, si fosse fatto qualcosina di più per gli afgani, sarebbe stato meglio.
Concordo che esportare la democrazia, come se fosse un container di scarpe Nike, sia un'assurdità.
La democrazia è una naturale esigenza di una collettività, che ad un certo punto della sua storia cerca la partecipazione alla cosa pubblica, ritenendo inappropriato lo status presente.
Sono certo che sia una tendenza naturale dei popoli.
Ed è sempre un conquista che comporta lacrime e sangue.
L'errore sta nel fatto che, in Afghanistan, il popolo non sentiva questa esigenza, non viveva come un soppruso la gestione tribale della res publica.
Quindi andavano tolti di mezzo i talebani e le loro medievalissime leggi, ma andava lasciato status quo nell'organizzazione statale.
Tu dici: visto che la democrazia afghana è molto lontana dall'essere matura, meglio se li lasciamo diventare un paese controllato dalle narcomafie. Ma che discorso è? Ti giri dall'altra parte come si girarono dall'altra parte i paesi europei alle prime annessioni di Hitler, e poi quando l'espansione continuerà e ti ritroverai in casa una cultura medievale, integralista e violenta cosa farai, accetterai pure quello perchè non vuoi combattere per i tuoi valori? Metterai a tua moglie il burka perchè è intellettualmente figo e tanto tollerante e progressista?
Ma se l'Occidente se ne va dall'Afghanistan, in Afghanistan tra qualche anno ci sarà più "alfabetizzazione, industrializzazione, affermazione dei ceti medi, crisi della famiglia patriarcale, emancipazione femminile" o ce ne sarà di meno?
Dopodiché è chiaro che il modello è sbagliato, che la guerra in Afghanistan è dovuta a motivi economici e ad americani conservatori e infoiati, che fino a che saremo una società basata sulla crescita e sul consumismo fioriranno le guerre per il controllo delle risorse, che le nostre democrazie sono tutt'altro che perfette (la nostra in particolare), che dobbiamo cambiare radicalmente il nostro sistema socioeconomico... va anche bene parlare di ritiro, ma nei modi giusti, non come una fuga abbandonando l'Afghanistan al suo destino... ma intanto, ai nostri soldati che sono lì perchè ce li abbiamo mandati noi, cosa diciamo: morite pure? non servite a niente? in fondo sono meglio i talebani di noi? speriamo che facciano ancora un paio di attentati così poi scappiamo e chi se ne frega se voi crepate?
Ma non vi sembra una reazione tremendamente immatura?
E bravo anche l'ultimo commentatore, GiacomoL.
Ogni tanto ci vuole qualcuno che ricordi agli ideologi di turno quello che gli storici e i militari sanno da sempre, e cioé che le due cose più stupide che una potenza occidentale possa fare sono: marciare su Mosca e occupare l'Afghanistan.
Non ci sono exit o transition strategies dall'Afghanistan: c'è solo la runaway strategy che prima o poi tutti sono costretti ad adottare.
Più difficile decidere di esportare "alfabetizzazione, industrializzazione, affermazione dei ceti medi, crisi della famiglia patriarcale, emancipazione femminile" quando nella pratica si cerca di azzerarli in casa propria.
Il paragone Islamismo/Fascismo/Nazismo/Comunismo e i continui richiami al Patto di Monaco sono alcune tra le idee più stupide dei Neocon.
Zagabart
A marco vorrei dire che senz'altro le nostre moderne democrazie sono un miglioramento rispetto ad Hitler ed Himmler...ma -in vero- non sono il mezzo migliore possibile...e se avessi fatto altri 'confronti' avresti ben visto che non stiamo messi così bene. La nostr attuale -sedicente- democrazia è in realtà una oligarchia mascherata e, peggio, burocraticizzata. Con la scusa della 'sicurezza' ci siamo resi la vita impossibile, con la scusa 'capitalistica' dei consumi, ci siamo resi schiavi...lavoriamo in due e produciamo il reddito appena sufficiente per vivere, se poi la famiglia si allarga, se arrivano figli...siamo sempre impegnati, i cellulari ci hanno resi 'reperibili' 24/365...poi però scopriamo che non possiamo fare quello che fino a ieri avevamo fatto, in nome della sicurezza, della burocrazia, del fatto che siamo semplicmente, schiavi, in una prigione d'orata...che sia tutta colpa dei neocon?
via saluto
RA
A ben vedere di democratico questa cosa ha ben poco....
Però onestamente io sento di comprendere (mio malgrado, forse) anche quelli che ritengono che la forza armata possa servire, in certi contesti, a meno di non distogliere semplicemente lo sguardo. La Germania nazista non era una nazione più civile dell'Afghanistan tribale, no? Il fatto che fosse stata la patria di Goethe non gli aveva impedito di inventare i campi di sterminio. Qualcuno può dire che fare la guerra a Hitler non abbia portato la democrazia? Che Angela Merkel è equivalente a Himmler? Certo, i raffronti non sono facili da fare: però questa, dopotutto, è l'esperienza che l'Ocidente ha fatto della democrazia negli ultimi 2-3 secoli. Rivoluzioni e guerre non sono estranee al suffragio universale o alla parità dei diritti fra uomo e donna. Forse siamo noi che tendiamo a dimenticarlo.
Anche tu costituzionalista!
09-07-2009, 11:59cattiva politica, democrazia d'esportazionePermalink
Tante cose sono cambiate, e oggi la Costituzione è più simile alla formazione della nazionale: saremmo capaci tutti di scriverla meglio, vero? Dai, suggerisci anche tu la tua riforma costituzionale a capocchia.
Per esempio, questa pagina è un luogo molto interessante, dove si possono trovare proposte politiche concrete – e poi, ogni tanto, qualche riforma costituzionale a caso, di quelle che vanno di moda adesso. Ne prendo due che trovo emblematiche di un certo atteggiamento spensierato nei confronti della nostra carta dei diritti e dei doveri: il Senato Delle Regioni e l'Abolizione del Quorum nei referendum abrogativi.
1) Il Senato delle Regioni
Tutti lo vogliono. È una cosa che fa tanto federale, tanto USA, e poi insomma che senso ha tenersi due camere se nessuna delle due è federale? Ecco quindi trovato un modo per diventare subito più federali: trasformiamo il vecchio e polveroso Senato della Repubblica in una camera all'Americana coi seggi ripartiti su base regionale.
C'è solo un piccolo problema: che da questo punto di vista il Senato della Repubblica è già federale: vedi l'articolo 57, che recita “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale [...] Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno. La ripartizione dei seggi tra le Regioni, [...] si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall'ultimo censimento generale”.
Il punto è che di solito i federalisti de noantri non si accontentano che le circoscrizioni ricalchino i confini regionali (del resto che altri confini dovrebbero ricalcare)? No, e a volte lo dicono apertamente: loro vorrebbero una cosa come il Senato degli Stati Uniti: due senatori per Stato, totale cento senatori, e amen. Certo, un bel risparmio. Volendo mantenere il numero di cento, basterebbe assegnare cinque senatori a ogni regione.
Se poi provi a chiederglielo: ma sul serio vuoi assegnare alla Val d'Aosta (centomila abitanti) lo stesso numero di senatori della Lombardia (dieci milioni)?, loro rispondono che no, la Val d'Aosta non conta. Probabilmente non conta neanche il Molise. Però le altre regioni sì: le altre regioni dovrebbero eleggere lo stesso numero di Senatori, perché... perché gli americani fanno così, e guarda che bella democrazia che hanno.
Io ora non voglio entrare nel merito degli Stati Uniti. Se in duecento anni non hanno mai pensato di cambiare le regole per cui un cittadino della California (36 milioni di abitanti) conta al Senato settantadue volte meno di un cittadino del Wyoming (500mila abitanti) saranno anche fatti loro. Ma dev'essere un problema nostro? Chi propone un Senato del genere sta chiedendo agli elettori della Lombardia (10 milioni di abitanti) di contare sedici volte meno degli elettori della Basilicata (600mila abitanti). Undici volte meno degli umbri (900mila abitanti). Quasi la metà dei campani (6 milioni).
Secondo voi il federalismo consiste in questo? Pensavo avesse a che fare con un maggiore decentramento amministrativo. Invece il primo risultato di un “Senato delle Regioni” organizzato in questo modo sarebbe ridurre in maniera drammatica la rappresentanza delle regioni più popolate. Per fare un esempio: in questo momento l'Italia settentrionale (Emilia Romagna inclusa) è rappresentata da 136 seggi su quasi 300 (al netto di senatori a vita e circoscrizione estero). Questo dovrebbe rispecchiare il fatto che in alta Italia vivono quasi la metà degli italiani, 27 milioni circa. Bene, nel vostro “Senato delle Regioni” le 7 regioni del nord (Val d'Aosta esclusa) avrebbero soltanto 28 seggi, passando da “quasi la metà” a “neanche un terzo” dell'Assemblea. Una riforma così autolesionista perché non la lasciamo alla Lega?
Se gli americani hanno una rappresentanza così arbitraria, avranno i loro motivi, in parte dovuti alla forte dialettica tra le metropoli e l'immenso Midwest. Da noi avete mai sentito di un'analoga dialettica? L'Italia non è articolata in piccole regioni super-popolate e grandi distese disabitate. Viceversa, con una riforma del genere alcune zone (non solo del Sud) rischierebbero di diventare i “borghi putridi” dove con pochi voti ci si può guadagnare un seggio altrove costosisssimo. L'unica vera dialettica che ci divide è quella tra Nord e Sud, e da una riforma del genere il Nord avrebbe soltanto qualcosa da perdere. Bisognerebbe spiegarlo agli elettori leghisti – ma no, dobbiamo ancora spiegarcelo tra noi.
(Per inciso, le proposte parlamentari di riforma "in senso federale" del Senato contengono anche cose peggiori: ad esempio, si prevede che i senatori non vengano più eletti dal popolo 'sovrano', ma dai consigli regionali, seguendo l'esempio dell'antica e nobilissima democrazia, er, austriaca. Per dire cosa intendono, i nostri Riformatori della Costituzione, quando parlano di federalismo).
2) L'abolizione del Quorum
(No, ho già perso troppo tempo, ci torno un'altra volta. Solo un'anticipazione: se davvero pensate che si possa abolire il quorum nei referendum abrogativi SIETE DEI PAZZI SCATENATI E DOVETE ESSERE FERMATI SUBITO).
Per quanto riguarda i sistemi elettorali delle due camere, da qualche parte nella costituzione dovrebbe essere prescritto che devono essere diversi - ed ammesso sia così, ignoro del tutto i dettagli. Per quanto riguarda, invece, le competenze delle camere, là si che si smanetta di costituzione - per abolire il bicameralismo "perfetto" bisognerebbe metterci mani in maniera massimale.
eh beh, in realtà il popolo va a vivere in Veneto (o altrove) perché casa sua, la Sarcazzia, è già fottuta. C'è pure chi ritorna, però, e procura che lo stupro non si ripeta;)
Ah, ho visto ora che parli di VdA: per mera cronaca (non so quanto, giustamente, interessi) qui frega ben poco del peso delle altre regioni a Roma.
Abbiamo l'uninominale secco: un deputato e un senatore votati qui e così resta, per legge regionale.
Per quel che riguarda la grana, le nostre tasse restano qui da sempre e vengono amministrate come vuole la giunta regionale. In più, ne arrivano altri da Roma.
Su quest'ultimo aspetto (soldi in più) si creano ciclicamente contrasti col governo italiano, talvolta giustificabili, talvolta no.
Credo che, appunto, a coloro che vogliono modificare il nostro ordinamento la più grande obiezione da fare sarebbe "c'è ben altro".
Accettando, nel proprio contesto, tutte le critiche di Leonardo credo che il punto stia tutto sulla necessità o meno di avere due camere che svolgano la stessa funzione.
Io dico di sì, affermando il principio che in una democrazia rappresentativa più passaggi di riflessione su una qualunque decisione ci sono meglio è.
Si perde troppo tempo? Si creano leggi conglomerate da migliaia di leggine annesse?
Si lavori dunque a migliorare/snellire questi aspetti.
Non credo che sia necessario per forza stravolgere il nostro assetto istituzionale per migliorarlo.
Altrimenti, a sto punto, ci copiamo pari pari la costituzione di un paese che ci sta simpatico e la finiamo lì.
Per quel che riguarda il referendum senza quorum, io sul mio blog l'avevo buttata così
http://cartolinedamarte.wordpress.com/2009/06/25/54a-cartolina-anche-al-mare-non-votare
(c'è in più la proposta del referendum propositivo, che in Valle d'Aosta, dove abito io, è già stato sperimentato)
Un "Senato delle Regioni", in cui tutti i "territori" contino uguale, o in altre parole, in cui tutti i territori siano ugualmente degni, evita che i territori più popolosi si coalizzino contro quelli meno abitati.
Ah, perché questo è il problema oggi in Italia? Una coalizione di territori più popolosi che schiaccia i poveri lucani e i molisani?
Intanto: cosa sono i "territori"? Zolle di terra con confini disegnati dai Borbone o dai Savoia. C'è scritto in qualche carta costituzionale che essi debbano essere "tutti ugualmente degni"? No, da nessuna parte. Ce ne sono di più grandi e di più piccoli, di più popolosi e di meno popolosi. La sovranità non è divisa tra i territori in parti uguali perché, art. 1, appartiene al popolo, e se il popolo ha deciso di andare a stare in Veneto e non in Sarcazzia, la Sarcazzia si fotte.
Ora, per quel che ne so non mi risulta che Val d'Aosta, Basilicata e Umbria stiano protestando perché la Lombardia e la Campania sono coalizzate contro di loro. Quello che ho sentito negli ultimi 20 anni è un diffuso malessere degli abitanti del nord, che sono quasi la metà del Paese e che si sentono poco rappresentati a Roma.
Se la Basilicata fa 600.000 abitanti, non è che deve contare di più "come regione": deve contare esattamente per il numero di abitanti che ha, perché, ripeto, la sovranità appartiene al popolo e non ai chilometri quadrati. Questo famoso "riequilibrio" cosa doverebbe portare, esattamente? Soldi a pioggia nei parchi naturali? Non mi vengono in mente altri effetti pratici.
E poi, Mauro, se una metà dell'ipotesi è una fregatura, l'ipotesi intera difficilmente sarà buona. In altre parole: non accetterei mai una macchina usata da uno che non dove si cambia l'olio, e non accetterei una Costituzione riscritta da gente che butta via il principio della proporzionalità nella rappresentazione.
(Resta il fatto che sul quorum referendario Leonardo è un pazzo scatenato eccetera eccetera.)
Matteo
Riguardo al quorum per i referendum, forse il problema è che lo strumento referendario è adatto per i grandi temi, quelli di rilevanza davvero epocale, come estrema difesa del cittadino da una scorretta rappresentanza uscita dall'urna o da un macroscopico abuso. Non prevedeva il generale allontanamento degli italiani dall'interesse alla politica e il crollo dei partiti di massa che avevano la capacità di mobilitarli anche in una bella domenica assolata. Soprattutto la Costituzione non aveva previsto questo individualismo ignorante e menefreghista: se a nessuno importa di muovere il culo per un certo quesito, allora sarà di certo di scarsa rilevanza.
Probabilmente il referendum è stato utilizzato male, interrogando gli italiani su temi anche sacrosanti che richiedono però un minimo di comprensione delle necessità altrui. Destinati, perciò, al fallimento.
Che senso ha obiettare 'ma alla Camera dei Deputati no?' Come dire sì, ti stiamo fregando, ma solo a metà.
Parli di fregatura, osservando solo metà dell'ipotesi. Avere lo stesso numero di senatori per regioni rafforza le regioni meno popolate e fin qui sono d'accordo, ma 1) come ha scritto rectoscopy, serve ad evitare che le regioni più popolate ricevano maggiori attenzioni; 2) l'altra camera darebbe al nord il giusto peso in termini di popolazione e in un sistema bicamerale (perfetto o imperfetto, la questione è al momento la metterei da parte) permette di equilibrare la rappresentanza al "popolo" in quanto tale. Di conseguenza il criterio di rappresentatività non verrebbe stabilito pensando solo alla popolazione o pensando solo alle regioni o pensando solo al concetto di "migliori" come nel vecchio Senato del Regno, che l'attuale Senato ha in parte ereditato, ma in una commistione dei tre principi.
Personalmente i borghi putridi li associo ad una situazione in cui, impostato un numero di parlamentari proporzionato al numero di abitanti, questi poi vengano distribuiti in collegi disomogenei rispetto alla realtà. In un senato delle Regioni, la Basilicata - che guarda a caso con l'attuale Senato "a base regionale", ma riproporzionato con il peso del numero degli abitanti è una delle regioni che ci perde dal punto di vista del sostegno economico - conterebbe come "regione Basilicata" e non per i suoi 600.00 abitanti, come avviene nella Camera dei Deputati.
PS: sul quorum del referendum siamo d'accordo.
Mi sembra più scandaloso avere quasi un migliaio di parlamentari e un bicameralismo quasi perfetto. Quasi perchè il Senato rappresenta "i vecchi"... Vuoi vedere che c'è una correlazione con la gerontocrazia italica? Boh, non so, io la butto lì...
La maggioranza minima di elettori che vogliono l'abrogazione sarebbe la stessa di ora, ma quelli che vorrebbero mantenere la legge non potrebbero fare altro che fare campagna per il "no", perché un loro invito all'astensione sarebbe inutile.
L'unico inconveniente è che le schede nulle o bianche equivarrebbero a un'astensione perché non concorrebbero a formare un quorum così congegnato.
Spero di essermi spiegato...
Claudio
Poi credo che un dibattito serio sulla necessità di restare ancorati ad sistema di competenze forse superato sia necessario. Ma credo anche che ogni voto debba pesare allo stesso modo,o quasi (dico quasi perché solo con un'unica circoscrizione sarebbe possibile. Ma questa soluzione, utilizzata se non sbaglio solo in Israele, crea comunque altri problemi...)
daniele
Sulla 2 sono parzialmente d'accordo. Non abolire il quorum, ma ridurlo a 1/3 +1 del corpo elettorale e aumentare le firme necessarie all'indizione di un referendum.
Ehi, costituzionalista: un lavoro che chiunque può fare, che c'è vò? :)
forse ho frainteso io quello che tu hai scritto. Evidentemente, mi ha sviato la tua affermazione in base alla quale "il Senato della Repubblica è già federale: vedi l'articolo 57, che recita: Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale".
Mi premeva chiarire che ciò che fa la differenza non è la composizione, ma la funzione dell'organo istituzionale.
Potrei aggiungere che, in base alla funzione che vogliamo dargli, può (può! non: deve) anche non rispettare il criterio della rappresentanza territoriale. Un esecutivo, per esempio, non ha ragione di avere più ministri lombardi che molisani, perché il criterio dovrebbe (notare il condizionale) essere quello della conoscenza della materia, della capacità di governare quel particolare settore della pubblica amministrazione e non quello di essere nato a Mondovì o rappresentare i cittadini rodigini.
E, secondo me, la questione di diversificare le competenze delle due Camere è primaria rispetto ad altre riforme istituzionali, a prescindere dal federalismo.
Detto questo, anch'io penso che sarebbe meglio che un organo come il Senato mantenesse il criterio della rappresentanza.
Ma vorrei anche sottolineare un altro aspetto. In Italia abbiamo tanti parlamentari, ridurne il numero è giusto, ma non è indispensabile usare il machete. Se prendiamo il rapporto abitanti / parlamentari che hanno in Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna vediamo che basterebbe ridurre di un 200 / 300 circa il numero complessivo nostro (da mille scendere a 700, per esempio: 475 deputati e 225 senatori) e saremmo perfettamente in media anche senza scendere a 100 e rispettando il criterio della rappresentanza.
f.b.
Questo sarà il tuo punto. Io non entro nel merito delle competenze da attribuire al Senato. Mi pongo il problema della rappresentanza. A te non interessa? Interessa ad altri.
Anche se per assurdo il Senato diventasse la camera che decide soltanto la quantità di latte da mettere nel gelato, resta il problema: perché l'elettore lucano deve poter contare di più dell'elettore lombardo in materia di latticini? Perché rappresenta più "territorio"? Ma non è nemmeno vero.
http://parma.repubblica.it/multimedia/home/6802625
Aloha
Il punto non è la rappresentanza o la quota di senatori assegnata all'una o all'altra Regione, ma l'insieme delle competenze. Oggi Senato e Camera hanno le solite funzioni, precise identiche. E questo ha due effetti: il primo, è la moltiplicazione delle leggi (perché ogni senatore e ogni deputato si sente in diritto di firmare la sua propostina; fai 945 parlamentari moltiplicato sedici legislature e poi vedi te...); il secondo, è la macchinosità dell'iter legislativo. In Germania (ma anche in Francia e in Gran Bretagna che non sono Stati federali) le due Camere hanno competenze diverse e il Bundesrat (i cui componenti, peraltro, non sono eletti dal popolo, ma nominati dai governi dei vari Lander) può legiferare solamente su alcune questioni inerenti il rapporto Stato - Lander.
Fermo restando che uno Stato che da unitario diventa federale affronta una sfida molto difficile, il problema reale è allora la ripartizione dei compiti tra Camera alta e Camera bassa. Una questione che si propone, come accennato, anche in caso di Stato non federale.
f.b.
Il Quorum e' invece una vera follia, in cui ci sono i sostenitori del Si che devono battere non solo i sostenitori del No, ma anche i sostenitori del "che bella giornata, ma che me ne frega a me della cosa pubblica, preferisco andare in spiaggia".
Chi e' per il No ma non va a votare sperando che il referendum fallisca e' un pusillanime che non ha il coraggio delle proprie idee... (IMHO). Il Quorum e' un escamotage che consente a chi vuole il No di confrontarsi ad armi dispari con la propria antitesi. Bella democrazia!
Come se, alle elezioni, un partito si appropriasse dei voti degli astenuti. Ti sembrerebbe giusto?
Andrea
Questa idea che ci dev'essere equilibrio tra popolazione e territori l'ho già sentita, ma non è affatto chiara. Per adesso la Costituzione della Repubblica Italia assegna la sovranità al popolo, e non ai territori.
In ogni caso anche se si decide (con decisione un po' spigliata) di assegnare una parte delle rappresentanza parlamentare ai territori, resta da spiegare perché alcune grandi regioni debbano contare sullo stesso numero di senatori delle piccole regioni. A meno che non crei delle circoscrizioni ogni tot kmq, cosa che nessuno ha proposto di fare. Peraltro il Bundesrat è proporzionale sulla base della popolazione.
Mauro, non ho capito la tua obiezione. E' vero, i federalisti come te propongono di dare una quota fissa di senatori a tutte le regioni. Ma solo al Senato, alla Camera no. Embè? Comunque la Basilicata al Senato diventerà un borgo putrido. Che senso ha obiettare 'ma alla Camera dei Deputati no?' Come dire sì, ti stiamo fregando, ma solo a metà. Questo sì che mi pare un giochetto retorico.
"Una volta riviste al ribasso (e di molto) le funzioni del senato, chisseneimporta se gli emiliani saranno rappresentati di meno dei lucani."
Ci sarà sempre qualche emiliano a cui dispiacerà e che voterà il primo partito populista che gli proporrà di rimediare all'ingiustizia. Davvero non riesco a capire perché si tratta con tanta leggerezza un principio cardine della democrazia italiana, che è la proporzione tra elettori ed eletti. Per una volta che abbiamo un principio sensato, lo dobbiamo buttare via... per guadagnarci cosa? Qualcuno lo sa?
Facci un salto, Leonardo, e partecipa. Perché no?
I miei prof di scienza della politica e di diritto pubblico ti darebbero 1/30 per il primo punto! La camera rappresenterà la popolazione e il senato i territori con competenze diverse e non sovrapponibili! In questi casi non si può guardare né all'Italia (unico caso di bicameralismo perfetto) né agli USA (unico caso di Senato con un ruolo superiore alla camera). L'Italia deve guardare ad Austria e Germania... http://it.wikipedia.org/wiki/Bundesrat_(Germania)
Il sistema tedesco funziona, mentre la via indicata dal pd porterebbe ad un lento avvicinamento all'ibrido spagnolo.
Non può esserci uno stato federale senza un senato federale. Ma istituire il senato delle regioni senza una vera riforma federale (non quello spot inutile promosso dalla lega) sarebbe una sciocchezza.
per quanto riguarda il referendum abrogativo, ormai è diventato uno strumento inutile, una presa per i fondelli degli elettori e un mero spreco di soldi. l'ultimo referendum che ha superato il quorum è stato quello del 1995 sulla regolamentazione della pubblicità in TV, da allora ci sono stati altri 24 quesiti referendari e nessuno di questi 24 ha superato il quorum.
io sono favorevolissimo all'abolizione del quorum e all'aumento del numero di firme necessare a indire un referendum da 500mila a 2 milioni,
Peccato che la struttura pensata dai "federalisti de noantri", come me, non prevede di abolire la Camera dei Deputati, che riconosce un peso maggiore alle regioni più popolate. Non c'è rischio di avere borghi putridi.
Il resto è un simpatico giochetto retorico.
bisogna stare attenti ad abolire le garanzie (anche se rompono il c%@#).
ovviamente come dice vanamonde si può giustamente abbassare il quorum (ma forse il 30% è troppo) e alzare le firme.
anche se col 50% di favori della popolazione avresti (of course) il quorum, quando hai più del 50% dei votanti no evidentemente.
ma secondo me è ora di finirla con le modifiche truffaldine: una mezza parola qui, un avverbio là e si cambia (a c%&@# di cane) una legge.
bisogna vere le idee chiare e schieramenti ampi: non c'è niente da fare, se fai dei comitati raccogliticci, con personalità che hanno intenti diversi e finalità perfino opposte...
io spero tanto che il pd faccia un congresso vero, che non ci sia un'altra scissione e che arrivino a mischiarsi un po' ex dc ed ex pds.
un partito vero, con tessere, militanti e sezioni (o come si vogliono chiamare), e dibattiti ecc.
con la "selezione naturale" della futura classe dirigente: non perché sta in tivvù o su iutùb
Basterebbe alzare la quota di firmatari, troppo bassa rispetto agli aventi diritto, e magari si sprecherebbero meno soldi e tempo (e forse avrebbero un senso).
E' evidente dall'andamento dei referendum negli ultimi vent'anni che l'esistenza del quorum ha di fatto completamente svuotato di senso l'istituzione referendaria. Da quando viene considerato normale fare propaganda per l'astensione, chi vuol far fallire un referendum arruola automaticamente dalla sua parte tutti gli ammalati, disinformati, disinteressati o comunque assenti, in blocco. Per vincere un referendum non basta più avere dalla propria più del 50% della popolazione, occorrono maggioranze bulgare. Di fatto, in Italia non passa più un referendum da vent'anni.
Tra l'altro la cosa ha anche pesanti conseguenze sulla segretezza del voto, dato che, se vai a votare, sei evidentemente un sostenitore del "sì", altrimenti faresti meglio a rimanertene a casa, dato che votando "no" rischi comunque di contribuire alla vittoria dei "sì".
Ora, è evidente che abolire il quorum sic et simpliciter comporterebbe il rischio di avere piccole minoranze che fanno approvare referenum astrusi fatti a loro immagine e somiglianza, nell'indifferenza generale. Però a questo ci sono rimedi piuttosto semplici, a mio avviso.
In primo luogo, basta non abolire del tutto il quorum, ma abbassarlo a una soglia che tenga conto dell'astensione fisiologica. Per esempio, un quorum del 30% renderebbe del tutto svantaggioso fare campagna per l'astensione, ma comunque sarebbe sufficiente a far fallire i referendum che non riscuotono l'interesse generale.
In secondo luogo, andrebbe alzato, e di parecchio il numero di firme necessario per indire un referendum. In questo modo si renderebbero molto difficili i referendum su temi poco sentiti dal pubblico.
Io penso che sarebbe una riforma molto utile. E, se fatta come ho appena esposto, non ne vedo i pericoli.
ci vorrebbe un Nemico
20-03-2007, 11:08Afganistan, democrazia d'esportazione, giornalisti, guerra, Iraq, medio orientePermalink
Adesso tutti, sull’Afganistan, dovranno farsi un’opinione. Facciamo la guerra? Dialoghiamo coi talebani? Ce ne torniamo a casa e facciam finta di nulla? Ecc ecc.
Il problema è che dell’Afganistan nessuno sa niente.
Qui non è questione di informazione superficiale: l’informazione, semplicemente, non c’è. Non ci sono giornalisti, né da una parte né dall’altra. Possiamo avere mille, centomila opinioni, possiamo aggiornare i nostri blog o guardarci un bel programma di approfondimento: il problema è che non c’è nulla da approfondire, perché al mulino manca l’acqua, e l’acqua la portano soltanto i reporter. Nel giorno in cui siamo tutti felici perché Mastrogiacomo è tornato, vale la pena di notare questa cosa: ora laggiù non c’è nemmeno lui, ed è difficile pensare che qualcuno segua le sue tracce per parecchio tempo.
È un discorso che va esteso anche all’Iraq. Ogni giornalista, ogni cooperatore che è tornato felicemente a casa, è un giornalista o un cooperatore in meno sul territorio. Da quattro anni a questa parte le informazioni che abbiamo su questi due Paesi sono diventate sempre più confuse e frammentarie – il problema è che siamo troppo indaffarati, distratti o partisan per accorgercene. Del resto diamo per scontato di vivere in una piccola sfera dove le informazioni sono ovunque immediatamente accessibili. Sbagliato: Iraq e Afganistan sono due buchi nel medioevo. Non passano più notizie. Nemmeno ai tempi del Vietnam era successo qualcosa del genere: due grandi nazioni scomparse dalla rete mondiale dell’informazione.
Pensate a questa semplice evidenza: non sappiamo contro chi stiamo combattendo. Per dire, gli americani in Vietnam lo sapevano. I russi in Afganistan lo sapevano. Oggi non lo sappiamo. Perché non vogliono dircelo? Oppure non lo sanno proprio?
Proviamo a ragionare da agit-prop: dobbiamo convincere il crasso Occidente a picchiare duro in Iraq e in Afganistan. Ci serve per prima cosa un Nemico. Osama Bin Laden andava benissimo, salvo che da qualche anno in qua comincia un po’ a puzzare, il cinquantenne ex-dializzato nascosto in una caverna. Continuare a insistere sul fatto che sia vivo, a 2-3 anni dall’ultimo filmato, è quasi un boomerang. E infatti sulla carta stampata si comincia timidamente a darlo per morto. Ma se muore, bisognerà trovare un altro Nemico, ugualmente cattivo ed emblematico, e non è semplice.
Qualche anno fa ci fu l’ondata dei Numeri Due. Il Numero Due era un modo abbastanza elegante per scalare dal concetto di “Bin Laden è il Male” a quello di “Il Capo di Al Quaeda in carica è il male”. Io ho onestamente perso il conto di quanti Numeri Due di Al Quaeda gli americani abbiano catturato e processato. Verso il 2004 la carica di Numero Due si è cristallizzata su Al Zarqawi, un tale che ai tempi non lavorava nemmeno nella stessa organizzazione di Bin Laden, ma era comunque il personaggio più sporco e cattivo in circolazione. Tagliava le teste occidentali, metteva gli snuff in rete, aveva ormai le dimensioni del mito.
Intorno ad Al Zarqawi si è detto di tutto. Proprio come Bin Laden, che fino a un certo punto si dava per dializzato, e poi miracolosamente è guarito, anche Al Zarkawi all’inizio sembrava uscisse e rientrasse dall’Iraq con una gamba finta (generoso regalo di Saddam Hussein) – finché a un certo punto non gli è ricresciuta. Viene in mente il personaggio di Gambadilegno: lo sapete perché si chiamava così? Nelle prime strisce americane aveva una gamba di legno, ma i disegnatori perdevano troppo tempo a disegnarla, e soprattutto non si erano mai messi d'accordo su quale gamba fosse. Finché Walt Disney o chi per lui decise di montargli un “modello nuovissimo” di gamba in tutto e per tutto uguale a quella vera: problema risolto. I Nemici degli americani hanno un po’ la consistenza dei cattivi da fumetti, o delle action figures smontabili.
A dicembre del 2004 Al Zarqawi a furia di decapitare occidentali si era fatto una fama talmente cattiva che Bin Laden in persona è resuscitato da qualche grotta di Tora Bora per nominarlo suo luogotenente in Iraq. Bene. Anzi no, perché a differenza di Bin Laden, Al aveva un difetto: era vivo e operante in Iraq. E se sei vivo e operante, prima o poi qualcuno ti cattura (lo stesso Zarqawi pare non fosse molto popolare nemmeno tra gli iracheni, che del resto ha massacrato a centinaia). E quando ti cattura, poi tocca inventarsi un nuovo Numero Due. Ma a questo punto i lettori occidentali cominciano a spazientirsi: sono abituati a trame di telefilm più verosimili (maledetto intrattenimento di qualità).
Dalla cattura in poi di Al Zarqawi non s’è più capito niente – non che prima si capisse molto. A un certo punto nell’autunno del 2005 Falluja è diventata la roccaforte dei sunniti. C’è stata una battaglia terribile, con armi al fosforo, Falluja è stata espugnata, e poi? E poi evidentemente non era la roccaforte, visto che la guerra coi sunniti è proseguita. O no? Giuro, ho provato a informarmi, ma non ci si capisce nulla. I giornalisti a Bagdad e Kabul e tirano i pastoni con quel che possono. Un’espressione ricorrente, nell’identificare il Nemico, è “un mosaico di formazioni”. Quando non è un mosaico è una mescolanza o un caleidoscopio o un ammasso o una pletora o qualunque cosa. Mai un nome. Mai un progetto politico o nazionale. Mai la faccia di un vero Nemico.

Gli effetti sono paradossali: in gennaio in Occidente abbiamo assistito all’esecuzione di Saddam Hussein per mano di un tribunale legittimo, giusto? Ma in Medio Oriente hanno assistito all’esecuzione di Saddam Hussein per mano di un boia sciita, e circola voce che l’abbiano appeso davanti a Muqtada-al-Sadr. Ognuno ha la sua verità. Persino Camillo, che tra tanti difetti non aveva l’incoerenza, a fine anno si è messo a parlar bene dell’ayatollah Al Sistani. Per carità, ognuno dosi come vuole le sue idealità col realismo: ma partire dall’esportazione della democrazia per arrivare, in capo a tre anni, agli ayatollah, mi sembra abbastanza triste.
Quanto a me: io qualche anno fa avevo una certa idea, su Iraq e Afganistan. Da lì in poi non l’ho cambiata; non per coerenza, ma perché non ci ho più capito nulla. Se mi dimostrassero con dati alla mano che a questo punto è meglio restare là, sarei disponibile a cambiare idea. Penso che le idee abbiano una loro durata, come la biancheria; ogni tanto cambiarle è doveroso.
Il problema è che le informazioni, semplicemente, non arrivano: nessuno si attenta più ad andarle a prendere. Onore a Mastrogiacomo. Tutto il poco che sarà riuscito a portare indietro da questa esperienza, è oro puro per noi.
Il resto è fuffa, teatrino delle ideologie. “Stiamo combattendo contro i talebani”. “Dobbiamo dialogare coi talebani”. Entrambe sono opinioni rispettabili, il problema è che non hanno senso. La parola “talebano” non ha senso. I talebani del 2000 erano diversi da quelli del 2007. Quelli, per dire, pare avessero vietato la coltivazione del papavero da oppio per motivi religiosi - con conseguente crisi mondiale dell'offerta di eroina. Questi invece con l’oppio ci comprano le armi. Ne producono talmente tanto che la quotazione dell’eroina è ai minimi storici. Tra un po’ ai nostri ragazzi cominceranno a offrire schizzi gratis che nemmeno nel ’78. Un buon motivo per restare laggiù? O per andarsene? E chi lo sa? Non ne sappiamo nulla.
Verrebbe voglia di dire “Sì, restiamo”, giusto per ricordarci che l’Afganistan esiste. Bisognava che sequestrassero Mastrogiacomo perché in tv e sulla carta stampata tornassero notizie di attentati, stragi, combattimenti. Se ce ne andiamo, c’è il rischio oggettivo di dimenticarcene. Ma è solo un’opinione come un’altra. Ci scambiamo opinioni, in mancanza di informazioni.
Mah, più che i nazisti a Berlino nel '45, in questo momento i talebani mi sembrano gli ottomani a Costantinopoli nel 1453.
Il problema è che i bizantini non avevano uno stratega fine come Piero Fassino, altrimenti gli ottomani si sarebbero sicuramente seduti a un tavolo.
Però .... se ne è riparlato. E' un problema di tutto l'Occidente, ammenochè non si decida di ritirare le truppe, chiudere la porta e buttare via la chiave. Spesso i giornalisti (non quelli sul campo), per non dire i politici, non sanno neanche che lingua/e si parla in Afghanistan, quali sono le etnie principali ed il sistema di clan su cui si regge/si è sempre retto il Paese. Ma questo fa parte dell'ignoranza diffusa di chi si occupa di informazione (a tavolino), e politica. Non so perchè ma le cose mi sembrano sempre più congiunte.
Scusa per i pensieri sparsi.
tittirossa
Il solo fatto di parlare di "donne a Kabul" rende abbastanza chiara l'estensione della copertura: Kabul faceva 800.000 abitanti, come Bologna e dintorni. Il resto dell'Afganistan non mi sembra molto coperto.
Se ne parla parecchio, per carità, le analisi non mancano: si monta molta panna con poco latte. Del resto se rapiscono i reporter c'è poco da fare.
Ho anche la ricetta dei frollini sotto mano, se interessa.
Ti sbagli: si era partiti dalle Armi Di Distruzione Di Massa.
L'Esportazione Della Democrazia era già il Numero Due dei motivi.
Come vedi, impiccano anche le idee.
fioretti per l'anno nuovo, 1
03-01-2007, 14:48Bush, camillo, democrazia d'esportazione, fioretti dell'anno nuovo, Iraq, medio oriente, neoconi, YalePermalink
Numero uno, non si sfottono più i Neoconi. Basta. Finito.
Aveva un senso nel Duemilaetré. Continuava a essere divertente nel Duemilaequattro. Nel Cinque era trito, ma funzionava. Ma nel Sette basta, ormai è roba da Vanzina.
Eppure la tentazione c’è, voglio dire, come si fa? Basta un clic, e ti trovi davanti Camillo stizzito perché si sono permessi di mettere in dubbio l’intelligenza di George W, uno che si è laureato in STORIA a Yale. Scritto proprio così, tutto maiuscolo, perché si capisca che è Yale, mica un corso di ricamo. No, dico, provatevi voi a laurearvi in STORIA a Yale. E "con voti migliori di John Kerry” (John chi?)
Sì, sì, certo, ma è facile adesso. Ben altra cosa quattro anni fa. A quel tempo tutto sommato i neoconi erano il massimo. Viaggiavano col vento il poppa, avevano l’aria di chi risistema la Storia con una giocata. Era un bluff, ma è così facile, visto dal fosso del senno del poi. In realtà uno come Camillo è da apprezzare per la coerenza. È lì sulla linea da sei anni, e non si muove di un centimetro. Vi ricordate quando lanciò l’islamofascismo? Beh, lui è ancora lì: Con gli islamofascisti non si discute! Averne, di uomini come lui.
Io dico che con l’anno nuovo bisogna iniziare a preoccuparsi di una razza diversa. È tempo di dare un sano colpo alla botte.
Perché a furia di dire che gli americani hanno sbagliato tutto, qui si perde il lume. Tutti questi festeggiamenti per la tremillesima bara a stelle e strisce sono repellenti. Tutta questa intelligenza col nemico – ehi, guardate che è pur sempre un nemico. Un fanatico. Il migliore c’ha la rogna.
Prendete al Sistani. Ce l’abbiamo col Papa perché non vuole i Pacs; provate a chiederli ad al Sistani, che proibisce di parlare alle donne non sposate. No, giusto per mantenere le proporzioni. Perché tra un po’ rischiamo di farne un santino, di questo al Sistani. C’è persino un giornalista italiano che lo ha già nominato Uomo del 2007 – al Sistani, non so se ci siamo spiegati.
Che giornalista? Mah, uno di quelli dal dialogo facile con l'islam... uno senza permalink, maledizione. Aspettate, eccolo qui.
Poi, mi sono perso il documento in cui "la sinistra senza se e senza ma" parla bene di Ahmadinejad, che con la sinistra non è che c'entri molto. Ma senz'altro mi puoi aiutare.
Quindi il senso dell'intervento tuo è: per un Camillo che dice una cazzata, c'è sempre qualcuno a sinistra che dice una più grossa? Mah, probabilmente sì. Ma è una gara che non m'interessa.
A me interessa Camillo come esempio di intellettuale laico, razionalista che, partendo da un'impazienza (molto 'giovane') nei confronti dello status quo, con un'impostazione quasi trotskista, s'imbarca in un avventura e, a distanza di tre anni, si scopre a flirtare con degli imam.
Che è una cosa vecchia come il mondo, per carità: però tra il Mussolini predicatore anticlericale itinerante e quello che firma i Patti Lateranensi c'era almeno una decina d'anni.
Bella roba.
http://www.boston.com/news/nation/washington/articles/2005/06/07/yale_grades_portray_kerry_as_a_lackluster_student/
no, sbagli. era facilissimo anche allora capire che dicevano solo stronzate. questa cosa del senno di poi è uno dei più facili, ipocriti e vuoti espedienti retorici in circolazione.
per quanto riguarda rocca: lui non ha mai lanciato l'islamofascismo. magari. come tutti i militanti inquadrati e un po' stupidelli si è solo riempito la bocca di terminologie d'ordinanza inventate da altri. poi adesso spera in un pretone barbuto e questo effettivamente rende il senso del ridicolo e del personaggio.
per quanto riguarda me: io non ho festeggiato la 3millesima bara, il mio articolo risale a prima. il tono poi, spero si capisca, è amaramente ironico e paradossale. resta il fatto che se tu sei militare e accetti di andare in iraq ti abbiamo già perso, prima ancora che ti facciano la festa fisicamente.
Troppo forte.
Però, dovremmo essere buoni.Quest'uomo non sa più che pesci pigliare. Insomma, in tutti questi anni ha fatto la groupie di Bush, ed ora non sa più che dire per giustificarne gli errori. Voi non sareste più caritatevoli, verso di lui? Hum, fatemici pensare. Io no.
'Altra notizia che riguardando l'Onu e non gli Usa non leggerete altrove: "Members of the United Nations peacekeeping forces in southern Sudan are facing allegations of raping and abusing children as young as 12".'
Peccato che mentre la segnalava lui, è uscita anche sui siti di Repubblica e del Corriere...
ha sostenuto pervicacemente
anche lo Euston Manifesto, in
pratica un manuale per la destra
ma che secondo lui lo doveva
adottare la sinistra, l'ha menata
per molti giorni, ancora non
si da pace per la juventus, è fatto
cosi un bimbo autorevole ma capriccioso, e bello vederlo
scodinzolare quando Ferrara lo
fa andare ad 8 e mezzo.
- help i'm a rock #357
27-01-2006, 04:39camillo, democrazia d'esportazione, Israele-Palestina, medio orientePermalink
la prossima volta che l'orrido sito dice che qui si scrivono "cazzate", faccia degli esempi. Dove? Come? Quando?E va bene. Hai scritto una cazzata, Camillo.
Quando?Ieri, 26 gennaio.
Dove?Ma sul Foglio, naturalmente, la prestigiosa joint venture tra Veronica Lario e noi umili contribuenti.
Come?Diciamo che ti sei lasciato un po' trasportare. Succede agli ideologi, e tu, volente o nolente, quello sei. Quando la realtà ti delude, te ne fai un'altra su misura.
Per esempio, in questo pezzo hai scritto che i palestinesi hanno votato a Gaza. Proprio così. L'ho letto e l'ho riletto, e mi sembra proprio che di Cisgiordania non parli. Se abitassi in cima al mondo, e il mio unico contatto con i miei simili fosse il quotidiano mio e di Veronica (e se fossi uno che si fida di quel che scrivi), dovrei dedurne che l'altro ieri i palestinesi hanno votato solo a Gaza.
Ora, io non sottovaluto affatto l'importanza di Gaza: in quella strisciolina di costa un tempo ridente vive più di un milione di palestinesi. Però la maggioranza sta altrove: in Cisgiordania. E a Gerusalemme est. E hanno votato pure loro. L'hanno detto tutti i telegiornali, e tu li guardi i telegiornali, sì? No? L'avrà detto anche la Gazzetta di Los Angeles e il Corriere di Tulsa, Oklahoma. Insomma, è una notizia di dominio pubblico. Ma tu nel tuo articolo parli solo di Gaza. E io mi sono chiesto il perché. Cos'ha Gaza che, per dire, Hebron non ha? O Gerico ? O Gerusalemme est?
L'unica differenza che mi è venuta in mente è che Gaza è stata sgomberata dai coloni, e il resto dei Territori no. Come se tu volessi istituire un rapporto di causa-effetto tra le due cose – ah, furbetto!
L’ultimo rifugio di quelli che dall’11 settembre 2001 a oggi non-ne-hanno-azzeccata-una è un nostalgico “si stava meglio quando si stava peggio”. I palestinesi votano a Gaza? Un disastro, signora mia. La democrazia per gli arabi? Una pia illusione di quei pasticcioni degli americani. Trattandosi di ex territorio occupato da Israele, i nostalgici che scrivono sui giornali non arrivano a rimpiangere i carri armati con la stella di David. Restano però più che scettici sul futuro democratico dei popoli arabi, quasi fossero “unfit”, incapaci di vivere senza un bel dittatorone coi baffi che li educhi e li bastoni per benino.Chissà chi saranno poi questi signori "non-ne-azzecco-una". Di sicuro è gente poco informata. Visto che i palestinesi stanno facendo elezioni democratiche da dieci anni. Dieci, esatto. Le prime elezioni presidenziali e legislative dell'autorità palestinese ebbero luogo il 20 gennaio 1996. È vero che furono boicottate da Hamas, dalla Jihad e da gruppi meno importanti ma storici, come il FPLP e il FDLP. Ma è anche vero che la partecipazione fu massiccia per gli standard medio-orientali: il 73% in Cisgiordania e l'86% nella Striscia di Gaza. Ci furono brogli? No, secondo i 650 osservatori internazionali sotto la responsabilità dell'Unione europea (c'era anche Jimmy Carter). È probabile che Camillo non si fidi di loro.
È probabile che si trovi più d'accordo con Joel Mowbray del National Review, secondo cui Arafat vinse le elezioni presidenziali del 1996 troncando il dibattito interno nella sua coalizione (rifiutò i risultati delle primarie dell'OLP), e occupando massicciamente i media. Ma è davvero il caso di fare così gli schizzinosi? Dobbiamo escludere dal mondo democratico tutti i paesi in cui un leader di coalizione blocca il dibattito interno e occupa massicciamente i media? Meglio di no, per ora, eh? Se ne riparla in aprile.
Badate bene: non è che Camillo contesti le elezioni del 1996; non ne parla proprio. Sembra che non siano mai esistite. Del resto Israele è "l'unica democrazia del Medio Oriente", no? La Palestina non conta, la Palestina non è neanche uno Stato.
Scorriamo il suo pezzo ancora un poco.
Quando, mannaggia a Bush e a Sharon, si è formata una nuova leadership palestinese, Israele si è ritirata dai territori, si è cominciato a parlare concretamente di Stato palestinese e a Kabul, Baghdad e Gaza si è votato veramente, gli editorialisti accigliati hanno convenuto che nella regione si sarebbero aperti foschi scenari teocratici.Così giovane, e già così revisionista. La "nuova leadership palestinese" si sarebbe formata grazie a Bush e a Sharon. Camillo probabilmente allude a quella fase farsesca della roadmap in cui Bush decretò che Arafat era corrotto e che quindi doveva nominare un Primo Ministro, e che quel primo ministro doveva essere Abu Mazen. Forse che chiese d'indire le elezioni, Bush? No. Non c'era bisogno di elezioni, era sufficiente che il corrotto Arafat nominasse l'immacolato Abu Mazen. Si esporta così, la democrazia: a colpi di diktat. Funzionò?
Funzionò quattro mesi: isolato da Hamas, Jihad e dallo stesso Arafat, si dimise in ottobre (si era insediato in marzo), accusando Israele e gli USA di non avergli dato quel sostegno che si aspettava almeno da loro. Questo fu il concreto contributo di Sharon e Bush alla creazione della "nuova leadership palestinese" (tra parentesi, Abu Mazen è una degnissima persona, ma di "nuovo" non ha poi molto: è del '35 ed è stato uno dei padri fondatori di Al Fatah nel '57).
Però alla fine è chiaro quel che Camillo intende, no? La democrazia in Medio Oriente si può fare, a patto che lo voglia Bush. A patto che lo sottoscriva Sharon. Insomma, purché sia d'esportazione! La democrazia fatta in casa non ci piace. Al punto che se i palestinesi votano, per la terza volta in dieci anni (l'anno scorso ci sono state le presidenziali e le ha vinte proprio Abu Mazen), lui si trova a dover fingere che la vera novità siano le elezioni a Gaza. E perché solo a Gaza? Ma perché è l'unica strisciolina di terra da cui Sharon ha avuto la buona creanza di ritirarsi. Un ritiro unilaterale, senza nessun progetto comprensibile dietro. Ma per Camillo tutto ha un senso: muore Arafat, Sharon si ritira, e i palestinesi possono finalmente votare. Tutto sta andando per il meglio, nel migliore dei mondi eccetera.
In definitiva sì, credo sia il caso di dirlo: stai scrivendo cazzate, Camillo. Io non ho mai nutrito eccessiva simpatia per Arafat; ma infilarlo in un elenco tra Saddam Hussein e il mullah Omar è fare violenza alla complessità delle cose. Non era Arafat a impedire lo sviluppo democratico della Palestina. Era una cosa che si chiama occupazione. Militare. Dei territori occupati. Dura da quarant'anni, ormai, e rende oggettivamente difficile qualsiasi transizione verso la democrazia. Ieri spingeva i palestinesi tra le braccia di un rais corrotto. Oggi li porta ad abbracciare il credo di Hamas. Quella che poteva essere la culla del laicismo arabo è diventata la prima regione del Medio Oriente dove i Fratelli Musulmani vanno al potere con elezioni regolari. Che bel risultato, per Bush.Ma ora le forze democratiche mediorientali hanno l’opportunità di avere un impatto reale nel futuro dei loro paesi, un’eventualità che non avrebbero mai avuto se Saddam, Arafat e il mullah Omar fossero rimasti al potere.
Secondo solo a quanto avvenuto in Iraq: tre anni di guerra e guerriglia per mandare al potere gli ayatollah. Ora, in franchezza, sei assolutamente sicuro che Bush stia esportando la democrazia, Camillo? Non è che stia piuttosto contribuendo a seminare un bel po' di fondamentalismo religioso? Una cosa di cui si sentiva il bisogno.
E tu ti congratuli. Si congratula anche Mahmoud Ahmadinejad. Avrete qualcosa in comune.
Sì, ma cosa? Beh, una certa impostazione ideologica, forse. Quando la realtà non vi piace, la cambiate. Certo, è peggio lui che pasticcia con l'uranio. Tu in fondo le spari solo grosse su un giornale. Che però è anche il mio giornale, ricorda (e di Veronica).
Forse dovresti trattarci con più rispetto.
(E a tal proposito: ma i permalink, ci fanno proprio così schifo?)
1/29/2006, 8:14:00 PM
Io, per esempio.
Se c'è modo, in seguito, di venire a spargere il sale sulle rovine dello stadio, sappiatemi dire.
vorrei segnalare un fatto che si può definire solo con una parola: SCANDALO!
Mi riferisco alla travagliatissima cessione del Parma FC, il quale è in attesa di essere acquistato da ben 7 mesi, in un valzer continuo di proroghe, personaggi di dubbia serietà, silenzi, voci, smentite e quant'altro.
Questa situazione ha messo in allerta anche il Comune di Parma, nella persona del Sindaco Ubaldi, il quale ha auspicato tempo fa che tale vicenda giungesse al termine, ovviamente rimanendo inascoltato.
La squadra, com'è ovvio, risente di questa situazione di incertezze, è minata psicologicamente (e lo si nota nella prestazione durante la singola partita), si sente abbandonata, non conosce il proprio futuro.
La tifoseria crociata, da sempre nota per la propria correttezza che la distingue da ben altre piazze, ha reagito con la consueta signorilità, limitandosi a civili proteste, cioè una manifestazione e cori durante le partite. Ma la situazione è diventata insostenibile per tutti noi.
Ci siamo rivolti anche al Governo con un'interrogazione parlamentare al Ministro Scajola (presentata ieri, giovedì 26/01), il quale nemmeno si è presentato ma ha delegato qualcun'altro (una onorevole del ministero della pubblica istruzione...) che ovviamente non ci ha fornito ALCUNA risposta, dicendo solo che "hanno dato piena fiducia a Bondi".
Essendo stati ignorati anche dal Governo, cosa dobbiamo fare? Le domande sono molte, così come i punti oscuri e il dubbio che ci sia sotto qualcosa di troppo grosso, qualcosa che va ben al di là della semplice cessione del Parma FC.
Se non ci acquistano entro aprile, falliremo? Vogliono farci fallire per acquistarci a un prezzo minore? Qualcuno ha interesse a vederci in B, o magari in C1? Perchè Bondi non si pronuncia? Perchè queste continue proroghe? Chi trae vantaggio dal depauperamento e dal conseguente fallimento del Parma FC?
Spero vogliate prendere in considerazione la nostra richiesta di aiuto. Non sappiamo più a chi rivolgerci, e siamo ormai in piena emergenza da quando questa tortura ha avuto inizio, due anni fa.
Ringraziando anticipatamente per l'attenzione accordatami porgo distinti saluti.
--------------------------
ok?
And now for something completely different (come a dire un breve OT) ho letto la tua notazione su it.wiki circa il mio eponimo, e concordo, quindi nell'ambito della completa ristrutturazione della sezione mitologia mesopotamica che ho intrapreso :) provvederò a ridurre ai minimi termini il riferimento a Star Trek.
Cieli Sereni, e buon week-end
Verissimo. Le seconde?
Non bisogna crederlo stupido, non lo è. Ha un’intelligenza pratica, intuitiva, brillante: ma anche grossolana, priva di quelle finezze che si apprezzano negli uomini di mondo. La parola esatta dovrebbe essere “furbacchione”, o “furbastro”: abbastanza furbo da essersi preso più volte gioco di tanti più astuti e sottili di lui. Ma anche abbastanza grossolano da farci cascare le braccia, ogni volta che dichiara qualcosa. Di chi sto parlando? Ma del Capo, no? Se n’è stato in silenzio per tutta la guerra, e appena ha visto Baghdad libera, eccolo qui: pronto a dire che la guerra in Iraq l’ha vinta lui e l’ha persa il Centrosinistra.
Ecco allora che insieme ai "rallegramenti" per quella che il premier definisce "la fine della guerra", e alla rivendicazione di una "posizione filoamericana risultata vincente", il capo del governo spende molte parole per polemizzare con il centrosinistra, colpevole, a suo parere, di "non aver manifestato la nostra stessa allegrezza, perché evidentemente non ha apprezzato compiutamente il senso della liberazione di un popolo".
Vogliamo dire una piccola verità? A parte l’indubbio merito di essere stato zitto quando c’era da tacere, e avere festeggiato quando c’era da festeggiare, il filoamericano Berlusconi non ha fatto un bel niente per l’America. Più che un alleato, è stato un tifoso. Il suo sostegno alla coalizione ha avuto l’importanza che può avere, durante Milan-Nocerina, un signore calvo sulla sessantina con una sciarpa rossonera sul quarto anello di San Siro. Questo spiega anche gli sfottò al centrosinistra, che hanno il senso del gesto dell’ombrello che si mostra ai tifosi avversari: io rido, tu piangi, tiè.
E se la coalizione avesse perso? Impossibile. Ma se avesse perso in termini di immagine, logorandosi in una guerra lunga e ancora più sanguinosa? Allora l’anziano signore avrebbe riposto con fare circospetto la sua sciarpina nella borsa, e sarebbe uscito dallo stadio senza farsi notare. E tu chiamalo scemo. Per non sapere leggere e scrivere, Berlusconi ha capito perfettamente come funziona la diplomazia.
Così le settimane della guerra, e quelle che l'hanno preceduta, dimostrano che "la sinistra è in una crisi profonda", e che, "se ci fosse un Blair nella sinistra italiana, dovrebbe battere un colpo".
Ecco un lapsus interessante. Tony Blair non è soltanto il leader della sinistra inglese (ammesso che lo sia ancora); è anche, e soprattutto, il capo dell’esecutivo del Regno Unito. Lamentandosi della mancanza di un Blair italiano, Berlusconi non si rende conto (o finge di non rendersi conto) che quel Blair poteva benissimo farlo lui. Se era così persuaso della necessità di un’invasione cruentissima, perché non se n’è fatto promotore in Italia, come Blair a Londra? Perché se n’è stato sulle sue, mentre Blair, Bush e perfino Aznar confabulavano alle Azzorre? Già, perché? Perché è un furbastro, il nostro grande capo. Sa benissimo di essere il Presidente non di una nazione di guerrieri della libertà, ma di sessantenni come lui, a cui si può chiedere al massimo di sfoggiare la sciarpina coi colori dell’Occidente. Ha dato un occhio ai sondaggi, ha contato i giorni dalle elezioni, e ha pensato: col cavolo che mi metto nei guai per venti milioni di arabi che neanche so dove stanno sull’atlante. Son mica un petroliere, io, io vendo emozioni. La guerra mi piace giusto giusto alle sette di sera su Retequattro. (Anche perché, mentre a sinistra si discettava di guerra lunga, breve, media, ecc., lui era già in giro in campagna elettorale).
In questi giorni si sono viste casacche di ogni colore in Golfo. Perfino tedeschi e (mi pare) francesi, tanto polemici nei confronti dell’invasione, hanno reso qualche servizio nelle retrovie. L’Italia, niente. L’Italia suonava la trombetta dagli spalti. In un certo senso Berlusconi è stato l’unico vero governante pacifista. Di un pacifismo autentico, viscerale, antieroico: il pacifismo dell’otto settembre: tutti a casa, che la mamma sta in pensiero.
Purtroppo c’è un purtroppo: non sempre si può restare sul quarto anello: presto o tardi questi noiosi alleati chiedono il conto, in termini di “contingenti di pace”. L’Afganistan ce l’ha insegnato, ormai si è rassegnato anche il Ministro Martino, l’idolo di tutte le mamme e le nonne d’Italia: inutile cercare di sottrarsi.
Tornando all'Iraq, il presidente del Consiglio spiega che c'è la disponibilità del governo, "dopo un voto del Parlamento", a fornire un contingente di pace, perché "da tempo sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna, ci hanno rivolto la richiesta di inviare soldati dopo la guerra"; ma sulla richiesta alleata di inviare i Carabinieri, di cui si parla da ieri, non si sbilancia: "Sono famosi per il loro operato, ma è presto per dire quale Corpo sarà mandato in Iraq".
Non so se è una mia suggestione, ma mi sembra di leggere tra le righe il piccolo fastidio di doversi decidere a mandare in giro carabinieri o altri, a rischio che qualcuno inciampi in un fucile carico, o venga ucciso in un agguato, o venga sorpreso a torturare nativi, o qualsiasi altra cosa per cui le nostre forze armate sono conosciute nel mondo.
[Probabilmente fanno anche bellissime cose, i nostri militari, ma è sempre il peggio a fare notizia].
E qui finisce la speranza (ridicola speranza) di un Presidente pacifista, che pur plaudendo alla lodevole iniziativa di Iraqi Freedom, se ne stava in disparte e ci teneva al riparo dai venti di guerra. Berlusconi non sa, o finge di non sapere, che la differenza tra “guerra” e “pacificazione” è puramente nominale: dicesi “guerra” quella sotto i riflettori di tutto il mondo, con un sacco di giornalisti rompicoglioni che attizzano i sensori dei carri armati intelligenti. La “guerra” finisce con la presa della capitale, una chiassata in piazza e qualche pittoresco saccheggio. Dopodiché le truppe scelte e la maggior parte dei giornalisti se ne va (svelti, che c’è la Siria in cartellone), e ha inizio la “pacificazione”, che dura anni e anni e miete vittime su vittime, senza che nessuno si prenda più la briga di contarle.
(Per maggiori dettagli sulla “pacificazione”, consiglio di consultare WarNews alla voce Afganistan. Così, già che ci siamo, possiamo anche renderci conto in che inferno abbiamo mandato i nostri cari Alpini, in missione di pace).

(Continua da venerdì)
I cittadini, dicevo, gli abitanti di quella sedicente Repubblica fondata sul lavoro (precario), erano giustamente un po’ perplessi.
Fin dal medioevo essi si erano mostrati molto inclini a dividersi in bande, a sfoggiare emblemi di colori sgargianti, e a dividersi su qualsiasi problema, la politica così come lo sport. Negli ultimi anni l’operazione Libertà Infinita aveva polarizzato la cittadinanza in due grandi fazioni: i pacifisti e i filo-Iperpotenti. Ma non bisognava pensare che tutti i pacifisti fossero di indole pacifica (ad alcuni prudevano parecchio le mani), né che tutti i filo-Iperpotenti fossero convinti assertori della democrazia e della libertà: ma siccome l’Iperpotenza era manifestamente la più forte, ritenevano doveroso tifare per lei, come si tifa per la squadra che vince sempre, che si può permettere i giocatori più costosi e gli arbitri più compiacenti. Come se la vittoria degli altri potesse riscattare la nostra mediocrità: un’idea piuttosto singolare, eppure a quel tempo era credenza condivisa da larghe fasce della popolazione.
They sentenced me to twenty years of boredom
for trying to change the system from within.
I'm coming now, I'm coming to reward them.
First we take Bassora...
Il contrasto tra Pacificisti e Iperpotentisti era stato serrato, un tempo; poi con gli anni si era un po’ moderato: la gente continuava a esporre le bandiere comperate ai vecchi tempi, ma con i colori era un po’ sbiadita la passione. I cortei e i controcortei assecondavano il ritmo eterno delle stagioni: c’era sempre una guerra da sostenere o da avversare. Però non si litigava più come una volta: tanto ormai ognuno aveva fatto la sua scelta di campo, e nessuno si sognava di cambiare idea, o di cambiarla a un conoscente, un famigliare, un collega di lavoro. E ci si annoiava parecchio, francamente.
Finché un giorno, Tac! L’Iperpotenza cominciò a minacciare bombardamenti e invasioni, e all’improvviso fu tutto un fioccare di dubbi, ripensamenti, conversioni: nessuno era più sicuro di niente. Molti iperpotentisti dovettero riconoscere con sé stessi che sì, d’accordo, la democrazia, la libertà erano valori fondanti, ma essere bombardati era pur sempre una grossa seccatura. Così, quatti quatti, senza ritirare la bandiera dell’Iperpotenza dal balcone (che poteva tornare utile in caso d’invasione) iniziarono a prendere contatti col Comitato Pacifista di Quartiere, che si riuniva di solito il martedì sera in Parrocchia.
Ma immaginatevi la sorpresa di un ex guerrafondaio, un timorato padre di famiglia, improvvisamente tentato dal pacifismo gandhiano, quando a queste riunioni sentiva gente della sua stessa età brontolare che sì, d’accordo, l’Iperpotenza era proprio un’Iperarroganza, ma un po’ di bombe in fondo ce le meritavamo, col regime che ci eravamo fatti in casa. Che era una cosa mai vista al mondo: per prima cosa i programmi tv erano uno schifo (curiosamente, il palinsesto tv era sempre in cima alla lista delle lagnanze), e poi le leggi su misura dei potenti, l’inflazione, i lavori sempre più precari, le pensioni sempre più ridotte, gli ospedali e le scuole un macello, le forze di polizia una macelleria, e la tv, soprattutto la tv, mai visto uno schifo simile. “Un po’ di bombe ci vorrebbero, altroché”, diceva il pacifista medio. Certo, soggiungeva, “mica così, un tanto al chilo. Ma un missile ben mirato… su chi ho in mente io…”.
E – sorpresa! – molta gente intorno assentiva con la testa: tutti sembravano avere in mente qualche obiettivo strategico da mirare con precisione.
“Ehm, scusate”, azzardava allora il padre di famiglia. “Ma stiamo parlando di bombe su palazzi, voglio dire, di vite umane”.
“E tu chi sei?”, interveniva il campanaro, “che non ti ho mai visto. Dov’eri quando gli azeri massacravano gli armeni?”
Questo era un vecchio trucco dialettico per mettere in difficoltà il pacifista medio: tirare fuori un massacro un po’ esotico, per il quale sicuramente si era dimenticato di protestare, per distrazione, o per un esame, o perché era troppo giovane. Un pacifista un po’ scafato sapeva reagire, ma il signore in questione era ancora un novellino, ignorava totalmente l’ubicazione dell’Armenia e dell’Azeria, e non replicò.
“Probabilmente eri a casa a guardare la tv di merda. Non ti è mai fregato nulla degli Armeni. E invece dei tuoi connazionali ti frega. Solo perché hanno il tuo stesso colore della pelle. Vergogna”.
Un po’ brusco, ma come dargli torto?
I'd really like to live beside you, baby.
I love your body and your spirit and your clothes.
But you see that line that's moving through the station?
Il Paese era insomma in subbuglio. Bisognava amare gli Iperpotenti, anche quando recavano bombe e carri armati? E chissà che un po’ di bombe e di carri armati non avrebbero risolto certe eterne pendenze… Il Governo, che conosceva i suoi polli, non si era fatto illusioni sulle capacità dell’esercito o dei cittadini di opporre resistenza all’invasore; oltretutto era antica consuetudine, in questo Paese, consegnarsi al nemico appena possibile.
Gli stessi rami del parlamento non promettevano nulla di buono. Il Partito dei Celti non trovava nulla di male che bombardassero il Sud del Paese, purché gli sfollati se ne restassero a casa loro; il Partito della Mafia salutava l’iniziativa degli invasori, che venivano a sopprimere l’ingiusto ordinamento carcerario, il carcere duro già severamente criticato da Amnesty International. Il Partito Fascista Pentito fremeva di rabbia, ma ormai si era pentito e doveva contenersi.
A sinistra le posizioni erano più variegate. I leader si distinguevano in distinguo: alcuni accettavano di essere bombardati, purché sotto l’egida dell’ONU. Altri auspicavano un conflitto lungo e doloroso. Ex capipopolo di marce della pace promettevano: “combatteremo casa per casa: non oltrepasserete mai la linea rossa del bagnasciuga!”
Altri ancora tentavano l’autoanalisi: “Se mi guardo allo specchio”, scrisse un opinionista, “Vedo una parte di me contraria alla guerra, una parte di me che spera di vincerla, un’altra parte che risponde: seeee, figurati, e il naso che non sa mai da che parte stare, s’innervosisce e gli vengono i brufoli. Succede anche a voi?”.
Visto l’andazzo, il Presidente, un vecchio mascalzone non privo di fantasia, tentò di proporre una resa incondizionata all’amico invasore. Si sarebbero così evitati inutili spargimenti di sangue e di costosi armamenti; quanto a lui (ormai in età di pensione), si contentava di una modesta tenuta all’estero e mani libere sui suoi conti in Svizzera. Un buon affare, no?
Ma i diplomatici Iperpotenti, consultati, risposero che la resa incondizionata non bastava. Apprezzavano la buona volontà, ma loro la guerra la facevano anche per smaltire armamenti e mostrare a tutto il mondo quant’era efficace la guerra preventiva. Quindi, prima di arrendersi, i nemici dovevano rassegnarsi a fare un po’ i nemici, suonare le sirene e rifugiarsi in cantina per un qualche sera. Tanto i bombardamenti avevano raggiunto un tale grado di qualità e di precisione, che spesso le città colpite diventavano più belle di prima (e poi ci sarebbe stata la ricostruzione, e tanto lavoro per i piccini e appalti per i più grandicelli, promesso!)
(Continua, sorry).
First we take Bassora, then we take Berghèm (primo episodio)
I'm guided by a signal in the heavens
I'm guided by this birthmark on my skin
I'm guided by the beauty of our weapons
First we take Bassora...
Fu lunga, breve, giusta, sbagliata, preventiva, mal preventivata, disumana, umanitaria, fu tante cose, la Seconda Guerra del Golfo, finché un giorno finì: e mentre i soldati dell’Iperpotenza sgomberavano (sostituiti dagli effettivi degli Stati vassalli), l’attesa montava, di conoscere quale sarebbe stato il prossimo obiettivo della Libertà Infinita; quale altro Stato Canaglia avrebbe avuto il privilegio di assaggiare il dolce sapore della democrazia, con quel vago retrogusto di uranio. In Occidente si accettavano scommesse; nel Medio Oriente s’incrociavano le dita e le code di paglia, lunghe assai.
Perciò la sorpresa fu grande, quando si scoprì che il fortunato prescelto era un Paese mollemente sospeso tra Africa ed Europa, ma da millenni iscritto nel catasto Occidentale; un antico faro di Civiltà, anche se negli ultimi tempi sbirluccicava appena, e un amico di vecchia data dell’Iperpotenza (come l’Iraq, del resto). Cosa poteva giustificare una simile scelta? Il petrolio? No, petrolio non ce n’era. Appena appena un po’ di metano, ma chi farebbe una guerra per il metano? No, ormai le guerre non si facevano più per il profitto, ma per la democrazia, punto e basta. L’Iperpotenza riteneva che non ce ne fosse abbastanza, in quel Paese, e aveva deciso di rovesciargliene un po’, lei che non sapeva più dove metterla.
A chi obiettava che quel Paese era, ufficialmente, una Repubblica democratica fondata sul Lavoro, gli ideologi dell’Iperpotenza replicavano con franche risate. Una Democrazia, quella? Con un Presidente che possedeva in forma privata metà dell’etere televisivo e in forma pubblica l’altra metà? Con un Parlamento che varava riforme della giustizia ogni volta che un parlamentare veniva beccato con le mani nel sacco? Con intere regioni in mano a tribù e a clan della malavita organizzata? Forse che Saddam Hussein era un Presidente democratico perché vinceva le elezioni col 99%?
E poi c’erano alcuni diabolici dettagli, che alimentavano il sospetto – qualcosa di più di un sospetto – nel cuore della diffidente Iperpotenza. Già da tempo essa aveva imparato a dubitare degli amici ancor prima dei nemici, specie se erano amici grandi produttori e commercianti di armi.
Perché, proprio nel corso della guerra del Golfo, il Parlamento di quel Paese aveva sentito l’esigenza di consentire ai propri produttori di vendere armi ai Paesi che violavano i diritti civili? Pura coincidenza? E che dire di due anni prima, quendo ancora fumava Ground Zero e il mondo faceva la fila per esprimere le condoglianze all’Iperpotenza ferita al cuore? Non era stato forse lo stesso Parlamento *democratico* a votare una norma sulle rogatorie internazionali che era come un invito alle organizzazioni criminali e terroriste del mondo a nascondere i propri capitali in quel bel Paese? Insomma: si trattava di uno Stato amico o di uno Stato canaglia? Certe volte era difficile distinguere. Ma nel dubbio, si bombarda: era una prassi consolidata, ormai.
Certo, i governanti di quel Paese avevano avuto tante belle parole di solidarietà con l’Iperpotenza. E quanta retorica sulla Terra della Democrazia, sulla bellezza delle stelle e delle strisce… ma aiuti concreti? Pochini. Invio di truppe al fronte? Solo a guerra conclusa. Uso delle basi? Sì, ehm, no, solo per azioni umanitarie, solo se ci mettete davanti al fatto compiuto.
“Ma insomma”, sbottavano i diplomatici dell’Iperpotenza, “siete nostri alleati o no?”
“Ma sì. Ma no. Cioè, dipende dai sondaggi”.
E intanto la situazione degenerava, giorno per giorno. Nel Paese era scoppiata da anni una violentissima guerra civile, detta Guerra del Traffico. Ogni giorno (e ogni notte) su strade e autostrade i civili si scontravano in duelli suicidi, col tacito consenso dell'autorità, che incoraggiava le fazioni a rottamare e acquistare auto sempre più veloci e distruttive, in nome dell'interesse nazionale e del Prodotto Interno Lordo. Ogni anno il numero di morti superava di gran lunga quello dell’Intifada palestinese. Urgeva un’invasione, per ripristinare, se non la libertà e la democrazia, almeno il Codice Stradale. Sarebbe morto qualche innocente, certo. Ma non si poteva far finta di niente, nascondere la testa nella sabbia.
I don't like your fashion business, mister.
I don't like these drugs that keep you thin.
I don't like what happened to my sister.
First we take Bassora...
Furono così avviate le procedure d’invasione, i colloqui multilaterali, i siparietti con gli ispettori ONU, e tutto l’armamentario che serve a far rilassare il telespettatore tra una guerra e l’altra, e a stimolargli l’appetito (parla di guerra per sei mesi, e alla fine ti supplicheranno di cominciarla). Ma nel Paese in questione, pigramente sospeso tra Europa e Africa, la tensione cresceva. Non era cosa di tutti i giorni, diventare un target militare.
I cittadini, specialmente, erano un po’ perplessi. (Continua...)

Dov’eravate quando la NATO bombardava la Serbia?
Alcuni erano qui, altri erano via, alcuni erano contro i bombardamenti, altri pensavano che fossero giusti. Il dibattito fu feroce, ma è proprio il caso di riaprirlo adesso? La situazione in Iraq è molto diversa.
Ma anche se, per assurdo, avessimo sostenuto tutti la Nato in quell’occasione: e allora? Non ci sarebbe consentito cambiare idea? Molti che espongono bandiere ai balconi non l’avrebbero sicuramente esposta nel 1991 o nel 1999. Ma il pacifismo in Italia è cresciuto anche perché i Paesi Occidentali ultimamente viaggiano al ritmo di una guerra all’anno: una cosa mai vista sui libri di Storia.
E allora attenti, perché in democrazia sono proprio le persone che cambiano idea a far vincere o perdere le elezioni. Dov’eravamo ai tempi della Cecenia, della Bosnia, del Ruanda, del Congo, delle Falkland? Non sono fatti vostri. Adesso siamo qui, è questo il problema.
(Perché invece, voi dov’eravate ai tempi della Cecenia, della Bosnia, del Ruanda, del Congo, delle Falkland?)
Siete sicuri di non essere anti-americani?
E l’America è sicura di non peccare di arroganza? Sempre, davanti all’ostentazione del potere, qualcuno storce la bocca. Un grande potere dev’essere gestito con molta saggezza, per evitare di destare intorno a sé invidia e rancore. In passato, negli USA, ci sono state amministrazioni che hanno dato prova di questa saggezza. Non è il caso dell’amministrazione Bush jr.
L’opposizione all’America, in ogni caso, non è dettata dalla semplice invidia (così come il vostro filoamericanismo non è necessariamente servilismo). La politica estera dell’amministrazione Bush jr è tutt’uno con la politica interna e con il modello economico che sottende. La guerra è il modo in cui il gigante proclama al mondo che “il tenore di vita dei cittadini americani non è in discussione”. Noi, se ci permettete, non siamo d’accordo.
Poi, certo, finché siamo cittadini occidentali istruiti siamo anche in grado di distinguere tra un’amministrazione americana (che ci sta antipatica) e il popolo americano (che adoriamo, col suo cinema, la sua musica e la sua letteratura). I ragazzi nati nei campi profughi di Gaza non sono in grado di fare questa distinzione. E i ragazzi nascono nei campi profughi di Gaza da cinquant’anni.
E siete sicuri di essere meglio degli americani? Anche voi consumate petrolio. Non trovate che gli americani stiano combattendo anche per voi?
Il nostro stile di vita è molto simile a quello degli USA. Ma mentre cerchiamo di moderare i nostri consumi, non possiamo fingere di non vedere che gli americani si accaparrano il 60% delle risorse mondiali. La loro avidità crea un forte squilibrio nel mondo, e li rende impopolari presso una parte crescente della popolazione mondiale. Nei Paesi meno sviluppati questa impopolarità prende la forma dell’integralismo religioso; in Occidente dà vita ai movimenti di protesta. Gli USA (e i loro Paesi satellite) devono combattere contro gli uni e gli altri, e nel frattempo accaparrarsi le risorse necessarie a mantenere il proprio status di superpotenza. La guerra in Iraq non è che un fotogramma di questo lungo conflitto, che è iniziato anche prima dell’11 settembre.
Ma allora voi e Bin Laden siete dalla stessa parte…
No. Noi e Bin Laden non parliamo la stessa lingua e non saremmo in grado di capirci. Il fatto che anche lui attacchi l’egemonia USA non ce lo rende in nessun modo più vicino a noi. Dal nostro punto di vista c’è più distanza tra noi e lui che tra lui e Bush. Del resto sono stati gli USA a inventarlo, e non è escluso che in futuro tornino a usarlo contro di noi. Come fa ogni capetto locale quando grida all’intelligenza fra sinistra pacifista e terrorismo islamico: è una demonizzazione dell’avversario indegna di una democrazia, e di chi si sente così ricco di democrazia da volerne anche esportare.
Come ci si sente a essere la seconda superpotenza mondiale?
Hai letto troppi giornali. Noi non siamo la seconda superpotenza, siamo ancora una potenza di terzo o quart’ordine. Ma in questa fase storica siamo gli unici che possono diventare una superpotenza senza correre il rischio di essere bombardati preventivamente.
È per questo che facciamo un po’ paura ai nostri governi. Non tanta paura: appena un po’.
C’è altro?

(Intanto in Senato votano la 185...)
I Pacifisti dovrebbero essere persone tranquille, pacate.
I Vincenti dovrebbero essere persone sicure di sé, serene.
E siccome gli italiani si dividono in Pacifisti e in Vincenti (che nessuno si sogna di dichiararsi guerrafondaio, o di stare dalla parte del perdente), i dibattiti dovrebbero svolgersi in un clima di sbadigliante serenità. E invece.
E invece ai pacifisti capita d’incazzarsi, e parecchio, come se la pace riguardasse solo la politica estera e non il nostro quotidiano; e ai vincenti capita di replicare istericamente, come se, in luogo di un poker d’assi, si trovassero in mano una coppia di sette, o giù di lì. Qualcosa non va.
E intanto bombardano. Ma questo non significa che dobbiamo farci la guerra anche tra noi, (e che guerra patetica sarebbe). Qualche concessione a vicenda potremmo pure farcela.
Io, per esempio, che sono un pacifista (anche se tante volte m’incazzo) potrei, in linea teorica potrei, riconoscere che la scelta di intervenire subito da terra, riducendo le perdite civili, è una cosa positiva. Ecco, l’ho detto (e non è stato facile). Proprio perché la guerra non mi piace, e perché trovo che le guerre più ipocrite della storia siano stati i massicci bombardamenti dell’Iraq (1991), della Serbia (1999), e in parte dell’Afganistan.
In cambio, però, chiederei da parte dei Vincenti una maggiore sobrietà. Perché non c’è nulla da festeggiare in un bombardamento. Le persone educate, se proprio devono appoggiare un bombardamento, lo fanno a mezza voce, con espressione contrita. Perché il bombardamento è per prima cosa l’ammissione di una sconfitta. La sconfitta della politica di contenimento delle amministrazioni americane dal ’91 in poi. La sconfitta dell’embargo, che ha affamato centinaia di migliaia di persone e non è riuscito a sconfiggere il regime. La sconfitta di tutto un modo di gestire il Medio Oriente, che viene da lontano, dagli anni Ottanta e forse anche prima.
Noi occidentali abbiamo sbagliato tutto in Iraq. Abbiamo appoggiato un despota sanguinario, lo abbiamo spinto a combattere contro l’Iran, gli abbiamo fornito i mezzi per reprimere le minoranze e il dissenso nel suo Paese. Quando ce ne siamo stancati gli abbiamo tirato la sòla del Kuwait, lo abbiamo bombardato al tappeto, e poi lo abbiamo lasciato lì, a marcire col suo popolo. Finché all’improvviso non ci è venuta voglia di portare la democrazia nel Medio Oriente… andiamo. Con questi bombardamenti non facciamo che mettere una pezza, che si attacca ad altre pezze messe male, che fanno del Medio Oriente una delle regioni più pasticciate del mondo, e della comunità araba una polveriera umana. Non c’è nulla di cui andare fieri.
Tanto più che voi non siete esattamente i Vincenti, ma soltanto i tifosi locali, e non vestite in grigioverde, non pilotate gli Stealth, vi va già grassa se in tv vi fanno vedere i missili con gli infrarossi. Le vostre bandiere americane sono soltanto un simpatico attestato di stima, che non cambia di un millimetro quello che era già stato deciso dagli strateghi militari mesi e mesi fa.
Mentre le nostre pacchiane bandiere arcobaleno – questo dovete riconoscercelo – giorno dopo giorno hanno scalfito la sicurezza di un governo prima filoamericano, poi sempre meno entusiasta della guerra. Senza le nostre bandiere Berlusconi sarebbe stato il quarto ospite al vertice delle Azzorre (se hanno invitato una mezzasega come Aznar potevano invitare anche lui). Invece il nostro amato presidente è rimasto a casa, a dichiarare la “non belligeranza” alle Camere blindate.
La guerra, comunque, non l’abbiamo impedita. Questo lo ammettiamo tranquillamente. Anche voi, potreste ammettere tranquillamente che non siete riusciti a convincere la maggior parte degli italiani, così come il vostro Bush non è riuscito a convincere la maggior parte della comunità internazionale. Forse la colpa non è solo dei pacifisti ignavi e stupidi; forse è anche un po’ vostra: magari non siete stati abbastanza convincenti. Magari siete stati un po’ troppo supponenti. Tante volte avete fatto capire che le bandiere arcobaleno vi facevano perdere la calma, e questo è un segno di debolezza. Ma i Vincenti non possono mostrare debolezza. Noi sì, noi possiamo. È il nostro piccolo vantaggio.
Eppure, forse, ogni tanto qualche dubbio farebbe bene anche a voi. Per esempio: siete sicuri che l’Iraq liberato sarà una democrazia? Da dove salterà fuori il ceto medio necessario a esprimere una classe dirigente democratica? Non è più probabile che le masse dei profughi subiscano il richiamo del fondamentalismo islamico, come purtroppo è successo in Palestina? Avete le prove per dimostrare che le cose andranno come desiderate voi? Studi sociologici, statistiche, previsioni scientifiche? No. Andate avanti per sentito dire. Come anche noi, del resto. Ma allora un po’ di dubbio farebbe bene a entrambi.

Io, che non sempre ho cose intelligenti da dire, passo la palla al vecchio Defarge:
Il monopolio della realtà
A questo punto è una questione di ore, poi i missili cominceranno a fischiare. Missili convenzionali, missili cui manca qualche trascurabile diottria, missili con una scritta divertente e liberatoria, ³in culo a Saddam² o ragazzate affini. Due o tre di questi missili rovineranno subito sul Ministero dell¹Informazione, tranciando i cavi che permettono a Saddam di cucinare le notizie di guerra e di drogare l'opinione dei suoi sudditi. Dalle competizioni eletorali alla guerra, la superficie sulla quale si estende il dominio della rappresentazione deve essere totale, senza increspature e zone franche, tanto da tramutarsi in una vera e propria privatizzazione della realta'. A settembre, quando i ministri dei paesi che aderiscono al WTO si troveranno a Cancun, in Messico, per aggiornare l'elenco dei servizi privatizzabili, bisognera' che qualcuno lo dica: la realta' non e' in vendita, se ne sono esaurite le scorte. Chi gestisce il telecomando e' il vero padrone di casa. I padroni della realta' controllano il modo in cui viene rappresentata e rendono narcotica la sovranita' del padrone di casa. C¹e' tutta una storia della guerra a luci soffuse che comincia con l¹invasione delle Malvinas, passa per il Kossovo e la Cecenia e arriva a Kabul...
Non e' solo una storia di falsi e di contrabbandieri, ma un romanzo dozzinale di ciechi e di black-out che arrivano a scioglierne l'intreccio. Oggi quel romanzo ricomincia: bisogna tagliare la lingua di Saddam, per questo il Ministero dell¹Informazione rimane uno dei target più prevedibili. Poi la guerra delle notizie tracimera' in un secondo tempo, più delicato e paradossale: quello in cui chi e' bombardato riceve informazioni, sul fatto di essere bombardato, da chi lo bombarda. Non tramite la tivu', la radio, gli SMS, il satellite o internet. Niente di tutto questo. Probabilmente - visto che da qualche giorno se ne fa un uso massiccio in alcune zone del paese - verra' rispolverato lo stesso mass-media adoperato dal generale Alexander, nel 1944, per sbandare i nostri partigiani: il volantinaggio aereo. Privatizzare, anche nel caso della realta', non significa fornire un buon servizio, all¹avanguardia e competitivo, ma evitare che ne vengano forniti altri.
Ma e' davvero possibile? Davvero crediamo che un buon grafico e un signor volantinaggio possano intaccare lo spirito nazionale di un popolo temprato da decenni di esclusione (su tutti i fronti, compreso quello della pieta' internazionale)? Che la promozione della guerra scalfisca gli orientamenti prodotti dalla miriade di Saddam che tappezzano quelle strade e quelle piazze? Che l¹operazione di marcketing degli alleati faccia fiorire bande di patrioti e comitati di liberazione nazionale? Che gli iracheni possano rimanere ammaliati da un nuovo e cosi' compromesso erogatore di realtà, insomma? Io francamente sono molto scettico. E penso inoltre che farsi questo genere di illusioni significhi aver drammaticamente perso il senso della misura, sovrastimarsi, non essere piu' capaci di ammettere che ci sono identita' culturali e situazioni politiche più resistenti della nostra al nostro modo di smerciare modelli di vita. C¹è parecchio eurocentrismo (come lo si chiamava una volta) in chi crede di convincere gli altri con un volantinaggio: un¹inconscia teologia del tutto-mercato, che giustifica e redime, che si vende in ogni contesto e che, anzi, lo riconfigura.
Questa prospettiva può convincere i fattorini della democrazia d¹asporto, ma difficilmente modifichera' gli orientamenti di chi riceve dagli stessi aerei il lutto, la morte e la buona novella. Per la buona novella non si uccide: al limite, ma proprio al limite, si muore. Del resto lo sanno anche al Pentagono, nonostante lo ignorino parecchie migliaia di elettori che vivono dell¹area di egemonia del Dipartimento di Rumsfelds e che commettono l'errore imperdonabile di confondere la democrazia con le definizioni commerciali che escono dai nostri centri di comando. Il 15 febbraio, se non altro, sta li' a testimoniare che il numero di questi elettori e' in una fase di erosione.
[...]
Madame, ma quando torni?
Perché in questa foto ha un sorriso gentile, simile a quello che abbiamo visto in altre ragazze che abbiamo salutato, e a cui abbiamo consigliato prudenza, che non sempre si può sfidare i carri armati a mani nude e spuntarla; perché in definitiva il suo volto assomiglia al nostro, è un volto pulito, senza rabbia e senza povertà, ci pesa troppo la morte di Rachel Corrie, ricoperta di sabbia e schiacciata da un bulldozer.
Ci pesa più della morte degli altri due palestinesi di oggi: ma quella è routine, e poi quella gente sembra predestinata alla miseria e alla violenza.
Rachel Corrie no. Veniva da Olimpia, Washington, USA, e qualcuno ben informato avrà già concluso che poteva benissimo starsene a casa sua, invece di ostacolare i democratici bulldozer d’Israele.
Da una lettera scopriamo che era bionda, ma nei campi preferiva teneva i capelli coperti per non urtare nessuno; che era vegetariana, ma che le era stata promessa una pastasciutta, uno di questi giorni. E che di solito parlava lentamente, con ricercata tranquillità. In questa foto però la troviamo sorpresa in un accesso d’ira, mentre brucia una rudimentale bandiera israeliana: un gesto che a un palestinese costerebbe probabilmente il carcere, ma che un cittadino occidentale pensa ancora di poter fare, nei Territori. Un gesto che qualcuno disapproverà, che qualcuno giudicherà antisemita, ma in tutta franchezza, signori: per voi Rachel Corrie era una pericolosa agitatrice? Merita di essere morta così?
Voi liberi pensatori, che difendete Israele perché è una democrazia e non un califfato, probabilmente siete dispiaciuti quanto me di questa ragazza forse un po’ troppo idealista, e pensate che ci dev’essere stato un errore, un incidente, una svista del conducente, e che un’inchiesta chiarirà le colpe e le responsabilità.
Posso rispondervi con un nome? Raffaele Ciriello.
Vi ricordate chi era Raffaele Ciriello? Un reporter italiano senza contratto fisso, che mentre fotografava l’avanzata dell’esercito a Ramallah fu colpito in petto da una democratica pallottola, partita da un democratico carro armato. È successo appena un anno fa, il tredici marzo.
Nei giorni successivi si sollevò un polverone, poi in Italia fu ucciso Marco Biagi e i giornali si misero a parlare d’altro. Nel frattempo i responsabili dell’esercito israeliano avevano dichiarato che la responsabilità era del reporter, che si trovava là dove l’esercito aveva consigliato di non restare. Perché c’è pur sempre una guerra, in Palestina, e in guerra, evidentemente, l’esercito democratico d’Israele si considera autorizzato a far fuoco sui giornalisti stranieri, se si trovano dove non dovrebbero trovarsi.
Ed eccoci qui, alla vigilia di una guerra. Una guerra che, come tutti sanno, si combatte per portare più democrazia nel Medio Oriente, dove ce n’è poca. E io, che sono italiano, occidentale, etnicamente affine a Rachel Corrie, anche se molto meno testardo e coraggioso, mi permetto di dire che a me non interessa affatto estendere la democrazia nel Medio Oriente; che anzi, se dipendesse da me la ridurrei. Vorrei che l’unica democrazia del Medio Oriente, che occupa da più di quarant’anni territori non suoi, opprimendone gli abitanti, fosse commissariata; che le fosse impedito di nuocere ancora a sé stessa e agli altri. Perché i crimini non sono meno odiosi quando sono commessi da un regime democratico, anzi.
La democrazia non è Baywatch, signori, la democrazia non è quel simpatico teatrino, riedizione televisiva dei panem e circenses, che piace tanto qui da noi: la democrazia è una cosa seria, nasce nel sangue e nel sacrificio, cresce lentamente e a volte degenera all’improvviso. La democrazia è una condivisione del potere e delle responsabilità. La responsabilità della morte di Rachel Corrie ricade sul governo che ha autorizzato la demolizione di quel villaggio, e sul popolo che l’ha votato.
Quanto ai crimini dei terroristi palestinesi, essi sono odiosi, e non possono essere giustificati. Ma non sono stati autorizzati dall’assemblea di un popolo. Sono opera di gruppi fondamentalisti che prosperano nel vuoto di potere e nella miseria dei Territori. Invece di favorire la nascita di una leadership palestinese, Israele ha fatto di tutto per ostacolarla, imprigionando ed eliminando i leader emergenti, lasciando il vecchio e screditato Arafat praticamente solo.
Oggi sentiamo che il liberatore del Medio Oriente, George W. Bush, promette la nascita di un nuovo Stato Palestinese. A tale scopo, ha chiesto ad Ariel Sharon che non siano più costruiti insediamenti nei Territori. Gli israeliani hanno avuto a disposizione un paio di anni per costruire nuovi insediamenti e fare tabula rasa dei villaggi palestinesi scomodi: ma ora basta, perdiana. Queste ruspe che ancora demoliscono case (e occasionalmente schiacciano qualche uomo o donna o attivista) sono le ultime. Poi si traccerà un nuovo confine, e i palestinesi dovranno accontentarsi di quello che gli israeliani non hanno già preso: il deserto e un paio di bidonvilles. L’acqua e la benzina, dovranno comprarla dagli israeliani.
Naturalmente diranno di no, perché non basta mettere un cartello davanti a un campo profughi per trasformarlo in uno Stato Palestinese. E ancora una volta, i signori bene informati di tutto il mondo scuoteranno la testa: ma come sono testardi questi palestinesi, ma cos’è che vogliono ancora? Quante guerre devono perdere per rassegnarsi a scomparire?
E ci saranno ancora ragazze ingenue o testarde come Rachel Corrie, o giornalisti inegnui e imprudenti come Raffaele Ciriello? Io ho paura di sì, che ci saranno. Anche se preferirei di no. Se questo è il prezzo della democrazia, io propongo di farne a meno, per ora.