Dell'Iran (non capiamo niente)

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L’Iran non è mai quello che ti aspetti. Quando verso la fine di dicembre abbiamo iniziato a sentir parlare di proteste, la prima immagine che abbiamo messo a fuoco era quella di una donna giovane che si toglieva il velo e lo sventolava in una strada di Teheran. Semplice e perfetta. Per Roberto Saviano era “il simbolo della rivolta in Iran. Non una rivolta contro il velo ma contro l’obbligo del velo”.

Nel giro di poche ore abbiamo però scoperto che la foto, per quanto potente, non aveva a che fare con le proteste, che non erano nate a Teheran ma a Mashhad (seconda città dell’Iran) e che non sembravano riguardare il velo, ma i rincari dei prezzi e le difficoltà economiche causate da una crisi finanziaria. È una protesta molto diversa dall’Onda Verde del 2009, scriveva una settimana fa sul New York Times lo scrittore iraniano-americano Amir Ahmadi Arian. A protestare non è la classe media, ma quella metà della popolazione a cavallo della soglia della povertà (40 milioni di iraniani): “la folla dei mangiapatate”, come li definisce il giornalista dissidente Ebrahim Nabavi. È una classe sociale che non solo non ha il velo tra le proprie priorità, ma che osserva con rabbia crescente lo spettacolo dei giovani rampolli iraniani, la riccanza locale che ostenta un lifestyle ben poco islamico. “I giovani ricchi iraniani si comportano come una nuova classe aristocratica, inconsapevoli delle origini della loro ricchezza”, scrive Arian. Quel che è peggio è che la postano su Instagram, su account eloquenti come TheRichKidsOfTeheran (“Questo è RKOF, ti avvertono: se sei politicamente frustrato, scoreggiati altrove”). Altro che obbligo di portare il velo: qui c’è gente che posa in bikini a bordo piscina, semplicemente perché può permetterselo (continua su TheVision).


Ci aspettavamo un movimento per i diritti civili, per la libertà di espressione, e invece questi mangiapatate se la prendono per cose proletarie come il carovita. Pensavamo che le protagoniste delle dimostrazioni fossero le donne, ansiose di togliersi il velo, e invece a dominare la scena sono gli iraniani delle aree rurali, ostili verso chi il velo può permettersi di toglierlo, in barba alla shari’a. Speravamo che gli smartphone li avrebbero aiutati a coordinarsi e a comunicare con l’estero (via Telegram e Signal), e invece salta fuori che molto spesso si riducono a uno spaventoso catalizzatore di invidia sociale (via Instagram). Ci aspettavamo una protesta civile, nonviolenta, come l’Onda del 2009, e abbiamo una massa scomposta e forse manovrata dalla frangia ultraconservatrice: l’ex presidente Ahmadinejad sarebbe agli arresti con l’accusa di aver “incitato alla rivolta”. Durante i suoi mandati le cooperative di credito avevano attirato i piccoli risparmiatori, offrendo interessi inverosimili e mandandoli sul lastrico: quando il governo del successore Rouhani ha tentato di normare il settore il sistema è crollato come un castello di carte e ora chi ha perso tutto se la prende con i politici.

Le cose probabilmente sono ancora più complicate di così, soprattutto ora che la protesta è arrivata a Teheran ed è diventata più interclassista. Azar Nafisi (l’autrice di Leggere Lolita a Teheran) su Repubblica domenica scorsa ha ribadito che le donne sono “sempre in prima fila”, e che “stanno portando avanti questa campagna contro il velo”, anche se “non è contro il velo e basta che si battono. È in nome della libertà di scelta…” Anche la Nafisi è un’esule, vive negli USA: uno dei motivi per cui facciamo fatica a raccapezzarci su quanto accade in Iran è che molte delle informazioni filtrano attraverso i contatti – complicati – mantenuti da parte di chi è fuggito. I corrispondenti esteri sono pochi e faticano a uscire da Teheran, che come tutte le capitali non è la città più adatta a capire quel che succede nel Paese profondo.

In una situazione del genere è abbastanza normale che ciascuno proietti sul mistero dell’Iran le proprie ombre: e il velo in questi casi è sempre la prima cosa di cui si parla, il dettaglio più appariscente. Può darsi che non sia l’attuale priorità dei manifestanti che scendono nelle strade a rischio della propria vita: ma di sicuro è una nostra priorità, di occidentali globalizzati che con le donne velate nei luoghi pubblici hanno appena cominciato a convivere, perlomeno in Italia. Forse per gli iraniani il velo è davvero un simbolo, di sicuro lo è per noi. Ed è di noi che stiamo parlando quando crediamo di parlare dell’Iran. Una popolazione povera che protesta contro un brusco rincaro dei prezzi (contro la fame, insomma) è qualcosa di lontano dalla nostra quotidianità, dalla nostra sensibilità. Un gruppo di donne che vuole sfilare a testa scoperta è molto più facile da capire.

L’Iran moderno è un Paese isolato che comunica per lo più attraverso i suoi dissidenti. Gran parte di loro facevano parte di una classe media che forse è quella che ha maggiormente sofferto l’avvento del regime oscurantista degli ayatollah. È lo spicchio sociale descritto con straordinaria efficacia in Persepolis, il fumetto e libro di Marjane Satrapi – anche lei esule, in Francia. La Teheran in cui cresce la protagonista è una città che partecipa alla rivoluzione del 1979 con entusiasmo. La famiglia di Marjane è relativamente benestante (la giovanissima protagonista scopre di discendere da una famiglia di principi); uno dei suoi zii è un dissidente comunista, scarcerato durante la rivoluzione e prontamente riarrestato quando i pasdaran prendono il potere. Di fronte alla notizia che gli islamici hanno stravinto le elezioni, reagisce con la flemma del materialista storico: l’Iran è un Paese di contadini – dice – è normale che votino per gli uomini di religione. La Satrapi non potrebbe raccontare la storia di quei contadini, e quel che rende Persepolis una storia straordinariamente onesta ed efficace è proprio il fatto che nemmeno ci prova: il suo è il punto di vista di una figlia della borghesia che durante gli anni della guerra assiste alla perdita dei propri privilegi. È un milieu che tenta di risollevarsi il morale organizzando feste clandestine in cui si può ancora ballare la disco e bere alcolici: fuori, in strada, pattugliano ragazzini fanatici talmente giovani che non riescono a farsi crescere la barba – l’età media della popolazione non raggiunge i 30 anni.

In una delle scene più rivelatrici, una conoscente di Marjane, costretta a chiedere un visto per far operare suo marito all’estero, scopre con orrore che il funzionario che glielo può concedere – l’uomo che ormai ha diritto di vita o di morte su suo marito – è il suo ex lavavetri. Per lo spettatore progressista occidentale è un po’ il momento della verità: fino a che punto saresti pronto ad accettare una rivoluzione? E se il ribaltamento degli assetti sociali portasse il tuo lavavetri su un gradino più alto del tuo? Dal nostro punto di vista è difficile accettare che quella del 1978-1979 sia stata una vera rivoluzione, dal momento che ha condotto l’Iran a un regime teocratico e oscurantista. Per il ceto borghese delle città è stato senz’altro un passo indietro: ma per il popolo delle campagne? Ogni tanto un quotidiano italiano ripubblica foto di donne iraniane prima della rivoluzione, a capo scoperto e vestite nelle tinte sgargianti che negli anni ‘60 e ‘70 potevano andare di moda anche da noi. Il messaggio è chiaro: la Persia dello Shah era un Paese in procinto di diventare una democrazia occidentale, gli ayatollah hanno interrotto quello che ci sembra il progresso naturale delle cose. Ma quelle foto selezionano una classe sociale ben precisa, la borghesia cittadina: nelle campagne, e nei ceti più umili, il velo resisteva. Possiamo considerarlo un simbolo religioso, e odiarlo per la sottomissione che implica, ma è anche un simbolo sociale: è la campagna (tradizionalista, clericale) che vince sulla borghesia cittadina e sulle sue velleità cosmopolite. Appena sentiamo che l’Iran si rivolta, speriamo che c’entri in qualche modo il velo: vorremmo che fosse una protesta moderna, una campagna sui diritti civili, come quelle che combattiamo in occidente e che ormai coincidono con l’agenda progressista di qualsiasi partito di centrosinistra.

Lo zio marxista di Marjane forse direbbe che abbiamo perso la coscienza di classe, e che ci siamo dimenticati che anche l’obbligo del velo è una sovrastruttura. Che le donne smetteranno di indossarlo quando conquisteranno un potere contrattuale che nella società iraniana ancora non hanno, e che conseguiranno quest’ultimo dopo aver conquistato il lavoro e il diritto di voto: perlomeno nelle nostre campagne è andata così. Allo zio, però, potremmo rispondere che le cose si sono rivelate più complesse; per esempio si è scoperto che la Storia non va necessariamente in una direzione. Si pensava che una rivoluzione sociale diretta dal clero sciita fosse un controsenso, ma è un controsenso che va avanti da 40 anni, ormai. Forse più che di progresso bisogna parlare di adattamento all’ambiente, e che finché funziona, il regime degli ayatollah ha dimostrato di sapersi adattare. Un giorno comunque finirà, perché tutto finisce: possiamo sperare che finisca presto, anche se da qui ci è impossibile capire come.
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Uno spettro si aggira nel Nordafrica

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Pensate che c'è gente che, di fronte ai moti che scoppiano tra Maghreb e Medio Oriente, continua a porsi il problema se avesse o no ragione Bush. Ma chissenefrega di Bush, scusate, e poi chi era questo Bush, in fin dei conti. Qui c'è bisogno di idee nuove. Per capire una realtà in rapido movimento. Nuove teorie. Pensatori originali. Per esempio, questo signore:


sulle rivoluzioni, ha dei punti di vista molto interessanti. Lo spettro che si aggira nel Nordafrica è sull'Unita.it, e chi non vuole condividerlo e commentarlo su facebook (cosa vi avrà poi fatto di male facebook), può farlo qui sotto.

Io delle ultime rivoluzioni del Nordafrica non ho capito un bel niente. Tanto vale ammetterlo. Non le avrei mai previste, fino a qualche mese fa; quando Ben Ali scappò pensai che una cosa del genere non sarebbe potuta accadere a un leader potente e universalmente rispettato come Mubarak; quando se ne andò pure Mubarak pensai che questo poteva succedere in una società dinamica come l'Egitto, mentre in quella caserma stagnante che era la Libia Gheddafi avrebbe conservato il suo potere per sempre. Insomma, non ne capivo niente, continuo a non capirne niente, difficilmente migliorerò in futuro.

Mi consola l'essere in ottima compagnia. I più grandi esperti di geopolitica. I diplomatici più consumati. Gli statisti più potenti. Nessuno di loro ha previsto quello che sta succedendo. L'inverno del 2011 è stato ancora più sorprendente dell'autunno 1989; a quei tempi la glasnost di Gorbaciov aveva già fatto annusare un po' di aria diversa a chi se ne intendeva. Ma chi avrebbe scommesso tre mesi fa un euro o un dollaro sull'esilio di Mubarak? Voi no? Complimenti, ve ne intendete più o meno come i consulenti della Casa Bianca. O gli opinionisti del New York Times. Siamo tutti cascati dalle nuvole, insieme.

Ma davvero era così difficile prevedere tutto questo? Ora confesserò una colpa grave, anche se credo che i lettori dell'Unità saranno comprensivi. Senza essere uno studioso di Marx – perché davvero, non lo sono – io mi ritengo di impostazione marxista, anche se di un marxismo imparaticcio, di terza o quarta mano. Davanti a una rivoluzione, per esempio, sarò portato a domandarmi quali siano le classi sociali in lotta tra loro, chi detenga i capitali e i mezzi di produzione, e se per caso non ci sia una carestia in giro, perché già nel 1848 in Europa l'andamento delle rivoluzioni sembrava legato all'aumento dei prezzi dei cereali. Sembra infatti che la gente scenda in piazza quando ha fame. Poi trova anche altri argomenti (costituzioni democratiche, diritti civili, diritti del lavoro, nazionalità, libertà religiose...), altri spettri da agitare, però la fame ha tutta l'aria di essere un elemento scatenante. Tutto questo io lo so – credo di saperlo – semplicemente perché l'ho studiato nei testi di persone che avevano studiato su testi di persone che avevano studiato Marx, quindi non è affatto detto che la cosa funzioni. Eppure.

Eppure un marxista vecchio stampo in questo caso avrebbe potuto prevedere qualche rivolta nel mediterraneo con qualche anticipo sui teorici della Jihad mondiale o del complotto CIA (sì, c'è pure chi crede che sia tutto un complotto CIA, con Barack Obama che finge di non sapere dov'è la Libia sulla cartina, ma nell'ombra trama ghignante; Marcello Foa sul Giornale ha scritto dei pezzi molto divertenti sull'argomento). È un peccato che non li facciano più, questi marxisti vecchio stile, perché con tutti i loro enormi difetti, forse sarebbe bastato mettergli in mano i prezzi dei cereali quattro mesi fa, e avremmo avuto una previsione di rivolta nel medio-breve termine. E invece cosa abbiamo? Analisti e opinionisti che si guardano smarriti e si affidano più o meno alle loro emozioni. Com'è possibile che tutto accada nel giro di pochi mesi, si domandano? (in realtà accade sempre tutto nel giro di pochi mesi: basta leggere i manuali di Storia... ah, già, ma li hanno tutti scritti i marxisti, maledizione). Stimati osservatori traggono auspici dal fatto di non avere ancora visto bruciare una bandiera americana; in Libia per la verità si vede poco o niente, ma se domani da qualche fotoblog uscisse fuori una bandiera bruciacchiata del genere, cominceremo a gridare Mamma li jihadisti? Se qualche migliaio di egiziani posta la rivolta su Twitter, la rivoluzione diventa un affare di Twitter; poi torna dall'esilio un imam, fa un comizio davanti alle telecamere, e improvvisamente la Twitter generation cede il passo alla Repubblica Islamica. Un esercito depone il dittatore? Un sacco di pensosi opinionisti si precipitano a scrivere che non è mai una buona notizia quando un esercito depone qualcuno. Già, di solito quando si fanno le rivoluzioni l'esercito rimane neutrale, consegnato nelle caserme. È un peccato che costoro non fossero già in servizio attivo ai tempi di La Fayette, o della Rivoluzione dei Garofani, o quando Badoglio sostituì Mussolini: avrebbero potuto gridare al golpe già allora.

Ma i più buffi di tutti restano i Neocons – non quelli originali; diciamo quelli all'amatriciana che, come certi personaggi di telefilm, bloccati per anni su isole deserte, nel 2011 continuano a combattere una lotta senza quartiere per difendere fuori tempo massimo il loro eroe, che in caso ve lo foste dimenticato, era George W. Bush. Ancora lui? Ebbene sì, è lui il vero ispiratore della rivoluzione egiziana, scrivono. Come si fa a capirlo? Semplice: quand'era presidente finanziava gruppi egiziani anti-Mubarak (ma finanziava molto di più Mubarak). Poi Obama ha tagliato quei finanziamenti. Poi il prezzo dei cereali è andato alle stelle. Infine l'Egitto si è ribellato a Mubarak. Come si fa a non vedere che è tutta una geniale strategia di Bush e dei suoi sapienti consiglieri? Se poi dopodomani un partito islamico antisionista dovesse vincere le elezioni al Cairo, saranno pronti a scrivere che aveva ragione Bush a sostenere Mubarak, vicino affidabile di Israele. Ma in realtà i Neoconi più che aiutarci a risolvere un mistero, ne aggiungono un altro: cosa c'era di così affascinante in Bush per continuare a sostenerlo anche oggi che non è nemmeno più ricandidabile? Come se la pagina dell'Iraq non si riuscisse più a voltare. Bisogna assolutamente dimostrare che quella guerra lunga e sanguinosa sia servita a qualcosa, e allora si arriva a dimostrare che i rivoltosi egiziani hanno preso l'esempio da quelli iraniani, che a loro volta avrebbero cominciato a manifestare perché hanno visto che in Iraq un regime si poteva cambiare. È una congettura interessante: la guerra in Iraq che causa le manifestazioni in Iran che causano il crollo di Mubarak...  anche solo per l'acqua che perde in tutti i passaggi: a noi che non siamo neocons sembrava piuttosto che le invasioni di Iraq e Afganistan avessero portato l'Iran a un arroccamento intorno al suo commander in chief (Ahmadinejad); quando poi gli studenti delle città hanno manifestato sono stati repressi nel sangue: il che a rigor di logica avrebbe dovuto demotivare gli aspiranti rivoluzionari del Cairo, piuttosto del contrario... ma noi che ne sappiamo, in fondo? Niente.

Proviamo ad articolare questo niente, con le categorie che il nostro imparaticcio marxismo ci ha lasciato in eredità. Sappiamo che il prezzo di acqua e cereali aumenta, e continuerà ad aumentare per un po'. Le nazioni arabe sono mediamente ricche di risorse naturali, ma acqua e cereali li devono importare. Questo può avere avuto l'effetto di rendere insostenibili ai popoli quei governi che per decenni non hanno redistribuito le ricchezza del sottosuolo. Ora i prezzi non diminuiranno – non basta assediare i forni, questo prima di Marx ce lo aveva mostrato Manzoni – ma alcune sacche di corruzione erano insostenibili, dovevano sgonfiarsi. Cosa accadrà adesso? Dipende dai gruppi sociali, che in un primo momento vanno insieme sulle barricate per sconfiggere il tiranno, ma poi cominciano a lottare tra loro per il famoso controllo dei mezzi di produzione. Se nessun Paese arabo del Medio Oriente, fin qui, sembra essere riuscito a evolversi in una democrazia parlamentare nel senso europeo del termine, questo non è accaduto perché gli arabi siano etnicamente inadatti alla democrazia (come sostiene qualche criptofascista o qualche uomo di paglia dei neoconi) ma perché questi regimi parlamentari sono espressione del ceto medio, e in queste nazioni il ceto medio spesso non c'è. Talvolta l'unico vero ascensore sociale è l'esercito, l'unica ombra di 'classe media' è rappresentata da militari e funzionari statali: in questi casi molto spesso è l'esercito a gestire le rivoluzioni, dalla Turchia di Ataturk fino alla Libia del ventisettenne colonnello Gheddafi. Se in molte aree  la classe media è quasi inesistente (ma non nel popoloso e urbanizzato Egitto), esiste in questi Paesi un cospicuo bacino di abitanti sotto la soglia della povertà – proletari e sottoproletari, li avremmo chiamati – che sono il terreno più adatto alla diffusione del fondamentalismo islamico (un'etichetta un po' di comodo: confondere la Fratellanza Islamica ad Al Qaeda è una bestialità). In casi come questi, dunque, la seconda fase della rivoluzione potrebbe vedere la contrapposizione tra fondamentalismo nelle province ed esercito nei centri urbani, con il primo che cerca il consenso dei più umili sviluppando un welfare alternativo a quello statale, e il secondo che cerca di legittimarsi (anche all'estero) come difensore di istanze progressiste e laiche. Non sappiamo se andrà così: diciamo che è andato più o meno così in Turchia e in Algeria negli anni '90. Perché dovrebbe andare diversamente, per esempio, in Egitto? Perché l'Egitto è grande, giovane, ha ormai sviluppato un ceto medio che non può sottomettersi agli imam né ai colonnelli di turno, e ha insomma tutta l'energia per stupire i veteromarxisti con le loro categorie ottocentesche.

Ma in Libia? O in Bahrein? Chi lo sa. In realtà ne sappiamo veramente troppo poco. Alcuni dettagli – l'indipendentismo della Cirenaica – ci sfuggono del tutto, siamo già contenti di ricordare dove sta sulla mappa, la Cirenaica. La dialettica tra Sunniti e Sciiti, nel Bahrein, non è così facilmente riconducibile allo schemino marxista di ricchi e di poveri (anche se gli sciiti sembrano occupare ovunque il gradino più basso della società). Le teorie si elaborano a partire dalle informazioni, e informazioni ce ne arrivano poche. Finché continuiamo ad avere dieci opinionisti por ogni reporter sul campo... d'altro canto, i dieci opinionisti costano meno e riempiono più fogli...

In attesa di vedere cosa succede, almeno qualcosa lo abbiamo imparato. Che le rivoluzioni sono un po' più imprevedibili, specie da quando abbiamo smesso di leggere Marx. Se oggi Mubarak e Ben Ali non sono più al loro posto, se lo stesso Gheddafi potrebbe non esserci più da un momento all'altro non è grazie alla Cia, non è grazie a Bush, non è grazie ai leader europei che, con le tutte le loro meravigliose idee sulla democrazia d'esportazione, avrebbero continuato ad abbracciare e baciare questi tiranni finché non avessero ceduto il potere ai figli. La Storia non la fanno sempre i potenti con le loro idee: più spesso la fanno i popoli, soprattutto quando hanno fame. Ecco la mia teoria – assai poco originale.
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Ma quest'Africa, poi, dove sta?

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Professione Disastro

Quello che è riuscito a fare Walter Veltroni nelle ultime settimane è incredibile. Stupefacente anche per chi pensava di conoscerlo un po', Walter Veltroni; di essersi assuefatto, a Walter Veltroni. No. Veltroni ha questo, che riesce a essere sé stesso e a stupirti lo stesso sempre.

Vogliamo riassumere? Due settimane fa - Silvio Berlusconi era già discretamente a mollo nelle sue stesse secrezioni - Veltroni pensò bene di convocare un'adunata della sua corrente, un Lingotto Due dove lanciò, tra le altre, l'idea fantastica di una patrimoniale. Fantastica, sì, peccato che la presentò in un modo per cui praticamente la dovremmo pagare un po' tutti, la patrimoniale di Veltroni. A questo punto, ed è un'incredibile coincidenza, no? Un vecchio amico di Veltroni, praticamente uno di famiglia, Giuliano Ferrara, si è scrollato di dosso la polvere clericale che si era accumulata in anni di abbandono, ed è tornato a contare qualcosa nello staff berlusconiano. Esempio commovente di topo che non abbandona la nave che affonda, Ferrara ha scritto per conto di Berlusconi una commovente letterina in cui scongiura Bersani di non fare la patrimoniale. Bel colpo, no? Bersani (che ovviamente ha dovuto respingere la proposta) si è ritrovato cucito addosso una patrimoniale che non era nel programma del PD. La ha anche sconfessata pubblicamente a Ballarò - troppo tardi, tra un po' si va a votare e il PD sarà presentato come il partito che vuole carotare tutti gli italiani con una casa di proprietà. Tutto questo dimostra che Ferrara non è ancora un vecchio arnese, e poi? Che altro dimostra? Ah, sì. Che Veltroni è... Veltroni. Ma si può essere più disastrosi di Walter Veltroni? Si può fare? Qualcuno può superarlo?

Ma certo che si può. Veltroni stesso, ad esempio: lui può. Non c'è limite. No limits. Ieri è morta la dolce Maria Schneider, e voi direte vabbe' che c'entra. Cosa vuoi che c'entri. Assolutamente nulla, uff questi blog che saltano dal palo alla frasca. Sì, ma aspettate. Vi ricordate, vero, che Veltroni è uno studioso di cinema? Che ne conosce a mucchi, di cinema? Che scriveva le trame dei film in tv per il Venerdì, nello stesso periodo in cui faceva non so se il Ministro alla cultura o il Vicepremier o il segretario dei DS al minimo storico o tutte e tre le cose? Ebbene, Veltroni ha voluto scrivere il coccodrillo per Maria Schneider. Bene: è un esperto, scriverà cose belle su di lei. Bof. Cinque righe, non molto originali, senza un solo apprezzamento per le sue qualità di attrice.
Maria Schneider era bellissima. Di una bellezza assai rara. Era sfrontata, con il suo corpo rassicurante. Era angelica, con quello sguardo da adolescente impertinente. La sua sensualità era moderna, un impasto di solitudine e nevrosi. Era, esteticamente, figlia del ‘68 e della rivoluzione femminista. Era una ragazza del suo tempo. Un tempo giovane, per la vecchia Europa.
Par di capire che era bella e basta. Ma aspetta. Dove sta andando a parare?
Ci pensavo guardando in queste ore le immagini delle rivolte nel Nord Africa. In piazza sono tutti giovani, segno di società dinamiche. Ma, in piazza, sono tutti uomini. Indice di comunità che negano diritti fondamentali e protagonismo alle donne.

No, ma sul serio? Quindi insomma Walter "Vado-in-Africa" Veltroni non ha la minima idea di quello che sta succedendo al Cairo? E ci tiene comunque a dircelo? A lanciare il suo messaggino di ignoranza benpensante ad usum del lettore della Stampa, affinché tutti noi possiamo, domani, al bar, sentire più forte e chiaro il tizio che Signora mia, se va via Mubarak quelli metteranno le donne sottochiave? Roba che neanche Christian Rocca, ormai?

Via Lia, allego una gallery di foto di donne che stanno manifestando al Cairo. Adesso. Si trovano su Internet, una rete di condivisione delle informazioni di cui forse Veltroni non ha sentito ancora parlare. Va bene, non importa, è ancora un giovane, diamogli tempo, ne abbiamo così tanto.
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L'unica democrazia buona

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Cari egiziani, fate i bravi, tornate a casa. L'unica democrazia buona è quella che si esporta. Diffidate del prodotto locale.
(English version).
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Cercando un altro Egitto

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Cos'ha l'Egitto che non abbiamo noi? Un po' di coraggio, forse. Ma alla fine la principale differenza credo sia questa: se l'Egitto oggi è in crisi, se arranca e malgrado le risorse non riesce a garantire il benessere ai suoi cittadini, la responsabilità di Hosni Mubarak e dei suoi uomini è sotto gli occhi di tutti. E da noi?

Per arrancare, arranchiamo anche noi. Ma non riusciamo a identificare il colpevole. Quanto a Berlusconi, passava di lì per caso: pochi osano sostenere che il declino dell'Italia sia opera sua. Al massimo si ammette che non abbia fatto nulla per fermarlo, avendo egli altre priorità (salvare aziende sue e processi a carico suo). Anche i più incattiviti degli antiberlusconiani preferiscono concentrarsi sul bunga bunga, le offese al decoro, il corpo della donna eccetera. E se invece che da puttaniere cominciassimo a trattarlo da ladro? Se osassimo affermare che questa lunga discesa verso il sottosviluppo non è cominciata a fine '80 per una semplice coincidenza? Che le lussuose ville dentro le quali sarebbe “libero di fare quel che gli pare” (io se tocco una minorenne in casa mia vado in galera, ma tant'è) se le è prese coi soldi nostri? Che i milioni spesi in pastura di mignotte sono indirettamente prelevati dalla stessa cassa da cui non esce più un soldo per finanziare sviluppo, ricerca, scuola, turismo, spettacolo? Che è, sissignore, un re che fa i bagordi a spese nostre?

La rivoluzione che in Egitto si può fare, in Italia resta al palo per questo motivo: anche molti che di lui non ne possono più, non lo identificano come il responsabile. È solo un ostacolo, uno che sì, a questo punto dovrebbe andarsene, ma non perché ci opprime, no: perché ci impedisce di vedere i veri problemi. Come se lui non fosse un vero problema. E dire che lui, appena può, fa tutto il possibile per ricordarcelo. Giusto ieri ha scritto a Bersani una bella letterina in cui gli propone una rivoluzione liberale in comproprietà. Di cosa si tratta? Dunque, a sentire Berl. (o Ferrara per lui, cambia nulla) non bisogna fare la patrimoniale. Basta non fare la patrimoniale e il PIL s'impenna. In sostanza non tassiamo i ricchi e i ricchi s'impegnano a farci crescere del 3-4% in un anno, e... ma sì, anche a evadere un po' meno, dai. Allora. Berlusconi meriterebbe di cadere per questo, non perché mantiene un condominio a fine arrizzamento. La letterina di Berl. (o di Ferrara per lui, è proprio la stessa cosa) è un'offesa al senso comune e all'intelligenza degli italiani assai più molesta della telefonata a Lerner. Ma almeno fa chiarezza: chi è davvero Berlusconi? Chi rappresenta? Quali sono gli interessi che difende? Gli interessi di chi non vuole pagare la patrimoniale. Punto. I ricchi, chiamiamoli pure così, non è mica un'offesa. Una volta li avremmo chiamati classe imprenditoriale, ma era quando imprendevano ancora qualcosa. Una generazione fa, diciamo. Poi cos'è successo?

Ecco, è un po' questo il problema. I vecchi sono diventati un po' più vecchi, e anche se non hanno tutti sviluppato la scopofilia di B., non si può dire che rappresentino più una forza innovativa. I giovani sono quasi sempre figli dei vecchi e rappresentano, oserei dire, la classe dirigente più cialtrona dell'Europa occidentale: quella che ha studiato meno. No, non parlo di te che stai leggendo, parlo del tuo compagno di tennis, hai presente quell'idiota con la suoneria di Rihanna e il diplomino in ragioneria? Ecco, ci siamo capiti. Poi, chissà, può anche darsi che l'Italia fosse spacciata ugualmente, del resto campava di tessile e meccanica alla vigilia del boom cinese. Però dal momento che la grande risposta dei nostri eroici padroncini fu delocalizzare in Cina o in Romania e votare Berlusconi che tenesse a freno le fiamme gialle, cosa ci dovevamo aspettare? Allora, niente di personale, ma secondo me il declino dell'Italia siete voi. E Berlusconi vi ha rappresentato al meglio e al peggio. Certo, è riuscito a farsi votare anche dai vostri operai, è stato il suo capolavoro. Ma nel momento della verità è sempre lì che si ritorna: a quante tasse può togliervi. Lui vi toglierà le tasse e voi, all'improvviso, partorirete le geniali idee che non avete avuto in questi tristi vent'anni, creerete posti di lavoro con la sola imposizione del blackberry. Bisogna soltanto darvi fiducia, perché non vi abbiamo mai dato fiducia? Sì, è anche vero che abbiamo pagato le tasse anche per voi, però... però si vedeva che lo facevamo con poco entusiasmo, ecco, probabilmente è andata così, è mancato l'entusiasmo da parte nostra. Scusate.

Cos'ha l'Egitto che ci manca? Chiarezza. Al governo c'era una classe dirigente rapace, che dilapidava risorse e non garantiva il benessere ai suoi cittadini. Ma questo era almeno davanti agli occhi di tutti, in Egitto. Da noi no, da noi c'è sempre in mezzo una velina, un processo, una polemica, uno schizzo di fango, una proposta bipartisan, qualcosa che ci impedisce di vedere l'orribile realtà: l'oro per coprire Ruby e le compagne lo hanno preso dalle nostre tasche. Fosse appena un po' più chiaro, le piazze sarebbero piene già da un pezzo.
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La Salute Pubblica

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Io se fossi in Berlusconi non avrei certo paura delle Larghe Intese, anzi.
Non sarebbe certo un governo di Responsabilità Nazionale, a farmi perdere il sonno.
Un inciucio? Macché.
Un papocchio? Pffft.
Io, se fossi in Berlusconi, avrei paura solo di una cosa:


di un Governo di Salute Pubblica. Ecco, di quello sì. (Ho una teoria #30 è on line sull'Unità.it, e si commenta qui in tempo reale. Ci ho messo quattro ore a scriverlo! E dopo quattro ore era già superato! La vita del blogger è fantastica!)

Ma sì. Io, se fossi in Berlusconi, a questo punto andrei in ferie, e che si facciano pure le loro Larghe Intese.

In sostanza giovedì (se io fossi Berlusconi) rischierei di perdere la maggioranza alla Camera. Tutto a causa di un tale Brancher che ho provato a salvare da un processo con un trucco non proprio elegantissimo: l'ho nominato ministro di un qualche cosa che non ricordo nemmeno io. I finiani si sono arrabbiati, ma in realtà stavano soltanto aspettando un pretesto. E in fondo lo stavo aspettando anch'io.

Dunque l'IdV chiederà la sfiducia a Brancher. I democratici voteranno a favore, e probabilmente anche i casiniani e tutti i finiani che non sarò riuscito a comprare nel frattempo – però francamente se io fossi in Berlusconi non perderei né tempo né denaro per acquistare gente che mi può benissimo tradire di nuovo dopodomani. Io se fossi in Berlusconi giovedì andrei sotto, e poi mi dimetterei. Tanto è da mesi che sto pensando di andare alle elezioni anticipate. Se non è marzo è ottobre, che differenza mi fa? Qualche mese di vacanza in più, che in fondo mi meriterei – voglio dire, sono un settantenne che è appena tornato da un lungo viaggio intorno al mondo, sono stanco, non ho il diritto di essere stanco?

Perché io, se fossi Berlusconi, avrei un solo pensiero che non mi fa dormir la notte, e non è certo il destino processuale di quel tal Brancher, o persino del carissimo Dell'Utri. Io, in quanto Berlusconi, vorrei evitare di mettere la firma sulla prossima finanziaria, che sarà molto dura, soprattutto per le regioni del Sud. Che mi ama. Ecco, io posso sopravvivere agli scandali – è una vita che non faccio altro – ma il pensiero di deludere l'amore dei miei elettori è una cosa che davvero non mi farebbe dormire. Se solo potessi davvero far uscire l'Italia dalla crisi con una bacchetta magica – ma non ce l'ho. Tutto quel che ho è un bel sorrisone per dirvi coraggio, è andata, ce l'abbiamo fatta, siamo fuori. Poi però i conti li tiene Tremonti, e in più c'è Bossi che ormai non può più far finta di niente, è da dieci anni che promette il federalismo fiscale e prima o poi il contentino glielo dobbiamo dare. Insomma, se io fossi Berlusconi mi troverei un po' alle strette: da una parte la crisi, dall'altra Bossi, da un'altra ancora gli elettori del Sud, e io in mezzo con nient'altro che il mio solito sorrisone, le mie barzellette del secolo scorso...

A questo punto io (se fossi in Berlusconi) sarei il primo a desiderarle, le Grandi Intese. In pratica è come se il buon Bersani, è come se il caro Enrico Letta mi chiedessero: caro Silvio, ti vediamo un po' affaticato, non è che possiamo toglierti le castagne dal fuoco? Ma prego, accomodatevi. Fatela pure voi la finanziaria: se riuscite a spremere qualche soldo in più di Tremonti sarà un bene per tutti. Persino Bossi sarà contento: andrà a Pontida e dirà che il federalismo fiscale era pronto! Era pronto! Ma poi è andato tutto a rotoli per colpa di quel traditore di Fini... ecco, è fantastico, poi per un paio d'anni non se ne parla più, e poi chissà, magari la crisi finisce. Sarebbe anche ora.

In effetti io, se fossi in Berlusconi, avrei per voi una gran riconoscenza.Tutte le volte che ho perso temporaneamente il polso dell'Italia, voi me l'avete restituita in ottima forma. Addirittura con Prodi siete riusciti a farla entrare nell'Euro, i miei non ce l'avrebbero fatta mai, voi sì. Perché siete fatti così: siete stupidi. Voi pensate prima al bene della nazione, e poi, eventualmente, al vostro. Io faccio l'esatto contrario, e infatti vinco le elezioni. Non tutte: ne vinco una su due, l'altra la pareggio: così ogni cinque anni vi faccio governare un po', mi prendo una vacanza e intanto voi mi mandate su un Prodi o un Padoa Schioppa che mi mettono a posto il bilancio, mi fanno le pulizie in casa, a un prezzo onesto. Il bello è che nel frattempo io sto in villa, mangio, canto, scopo, e faccio abbaiare i miei cani in tv:Cattivo Prodi! Cattivo Padoa Schioppa! Oppressione burocratica! Oppressione fiscale! E dopo un paio d'anni vinco le elezioni anche meglio di prima. È un giochino che va avanti da 15 anni e voi ci cascate ancora. Perché?

Ma l'ho già scritto sopra il perché. Siete stupidi. Mettete sempre il bene dell'Italia davanti al vostro. Se giovedì perdessi la maggioranza e venerdì mi dimettessi, voi sabato stareste già lì a pensare seriamente a questo famoso Governo di Larghe Intese, cioè concretamente a quante poltrone dare a Casini o a Rutelli o a Fini. Son convinto che se Capezzone o Mastella fossero ancora sul mercato, voi imbarchereste pure loro. Gente assolutamente inaffidabile, gente che ha tradito qualsiasi padrone ed è pronto a tradirvi di nuovo dopodomani, e il bello è che lo sapete, ma li imbarchereste lo stesso, e perché? Perché dovete salvare l'Italia a tutti i costi, anche stavolta. Ma da cosa? da chi?

Ecco, il punto è sempre questo. Com'è che ogni tot anni vi ritrovate coinvolti in questa missione mortale, Salvare l'Italia? Ai tempi di Amato, nel '92, bisognava risanare i conti pubblici, o era la fine. Lui e Ciampi ci hanno fatto piangere lacrime e sangue, e poi le elezioni le ho vinte io. Per Prodi bisognava entrare nell'Euro, o era la fine. Ce l'ha fatta. E nell'Euro ci sono entrato io. Insomma, ci vuole così tanto a capire? Vabbe', peggio per voi. Fate pure il vostro governo di responsabilità nazionale. Passate sei mesi a scannarvi, Di Pietro contro Casini contro Vendola contro Fini...  Siete così furbi che non mi toglierete nemmeno Minzolini dal tg1. Ve lo farò abbaiare contro per sei mesi: oppressione burocratica! Oppressione fiscale!Ma forse non capirete neanche allora.

C'è stato solo un momento in cui ho avuto davvero paura. Questo famoso governo delle larghe intese, o di responsabilità nazionale, o inciucio o papocchio o come volete chiamarlo, a un certo punto qualcuno a corto di parole lo ha battezzato “governo di salute pubblica”. Ecco, lì ho avuto un brivido. Perché essendo Berlusconi ho fatto studi seri, io, coi salesiani; e quando penso a un comitato di salute pubblica non mi vengono in mente Rutelli o Fini. Piuttosto Robespierre e Saint-Just. Insomma, quella è gente che ha fatto rotolar la testa a migliaia di persone, sempre mettendo davanti l'interesse della nazione (infatti son durati poco anche loro), però insomma, con certe parole bisognerebbe andarci piano.

Ora, finché mi parlate di Larghe Intese io sarei d'accordo. Si tratta di subaffittare momentaneamente Palazzo Chigi, varare una dozzina di leggi impopolari e rifarmi vincere le elezioni al più presto. Ma se mi parlate di Salute Pubblica, ahimè, forse avete capito che c'è un virus da debellare con misure straordinarie. Insomma, avete deciso di sequestrarmi i beni, non fosse altro perché ormai c'è una sentenza che stabilisce che i miei uomini hanno fatto affari con la mafia per decenni: di sequestrarmi Mediaset, commissariarla e arrestarmi per alto tradimento. Ogni tanto me le immagino scene così, sapete? Da quando Marcello mi ha prestato quei diari maledetti, non posso fare a meno di pensarci.

Poi però riapro gli occhi. Sono ancora qui. In tv c'è il carissimo Enrico Letta che propone a Napolitano di mandarmi un po' in vacanza. Non è un caro ragazzo? Mi vede così affaticato e non vede l'ora di salvare un po' l'Italia per conto mio. Adorabile. Siete tutti adorabili. Io davvero non saprei come fare senza di voi.
Se fossi Berlusconi. http://leonardo.blogspot.com
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Sto pensando che forse ce la facciamo forse ce la facciamo forse ce la facciamo dai.
Ma se non ce la facciamo?

Io ai sondaggi non credo - ma ai brogli, ai brogli un poco sì.
Questa cosa del voto elettronico in Liguria, Lazio, Sardegna, Puglia… voti registrati su chiavette USB… voi vi fidereste di una chiavetta USB? Io no.
Io vedrò, non mi sbilancio, ma se i risultati sono un po' strani potrei anche prendere il treno e venire ad accamparmi in quella piazza, come si chiama, la Piazza di Monte Citorio. E invito tutti a pensarci seriamente: martedì mattina si prende un treno e via. Si fa picchetto, si denunciano i brogli, si chiede un riconteggio, un rivoto, qualunque cosa. Come l'Ucraina, ma senza bandierine colorate. Oppure sì, perché no, io non ho niente contro le bandierine colorate, prego. Come a Kiev, ma a Roma.
E Roma in aprile ha da esser bella.

I tre giorni che sconvolsero il mondo, a partire da domani

Sto pensando che mi piace questa idea di venir giù in treno martedì a far la rivoluzione a Roma. Che a Roma c'è gente che non vedo dai millenni. Sul serio, a Roma c'ho degli amici che a quest'ora li hanno messi coi Fori, da tanto che sono antichi. Ché già ce li vedo: lì c'è la Basilica di Massenzio, lì l'Arco dell'Imperatore Caio Sempronio, e lì i miei amici che non vedo, appunto, dal duemila avanticristo, e manco li chiamo più, dalla vergogna.
Ma t'immagini se martedì all'improvviso suona il telefono: "Ehi, son proprio io, indovina, sto venendo a Monte Citorio a fare la rivoluzione, esatto, hai sentito? siamo in parecchi, dai vieni pure tu!" Ci faccio persino una bella figura. E poi si sta un po' in piazza, si grida, si schiamazza, ci si informa su cosa abbiamo combinato negli ultimi secoli, e ne avremo di cose da dirci. Altrimenti finisce che non ci vediamo proprio mai più, mai più, la vita è una sola e a volte neanche tutta.
Insomma di motivi per fare una rivoluzione ce ne sono sempre, ma in aprile, a Roma, io fatico a trovare dei motivi per non farla.

Mi dispiace per la mia ragazza, che martedì sarà al lavoro, e ha ordini per tutta la settimana. Mi spiace un sacco. Ma la mia scuola è sede di seggio, io sono congedato fino a tutte le vacanze di Pasqua, e come me tanti studenti, così se m'immagino la rivoluzione d'aprile a Roma, ci vedo molti insegnanti e soprattutto studenti, torme di studenti, e ce li vedo bene gli studenti accampati in Monte Citorio a Roma, che di notte si stringono nel cellophane, come ai tempi di Tienammen – sono carini gli studenti, tutti gli vorranno bene, tutta l'Europa ci vorrà bene se in aprile si fa la rivoluzione a Roma, verranno delegazioni dall'Ucraina e da Parigi, sarebbe una cosa dolcissima.

Bisognerebbe solo stare attenti che nessuno si metta a bruciare le macchine – che tanto lo so come va a finire. Io sono quel tipo di rivoluzionario che finisce sergente nel servizio d'ordine, lo sfigato che di notte andrà di ronda per via che nessuno bruci le macchine. Andrà come Genova, io lo so. A Genova venne Manu Chao per un concerto, e io avevo la maglietta gialla del servizio d'ordine noglobal, una contraddizione in termini. Dovevo impedire alle persone di oltrepassare la linea gialla della corsia ambulanza – adesso ditemi voi come si fa a impedire a dei ragazzini venuti da tutto il mondo per oltrepassare una linea rossa a dirgli che oltrepassare la linea rossa è ok, ma quella gialla non si può – e poi cercavo anche di tenerli lontani dagli scogli, non volevo che si rompessero la testa, è da scemi rompersi la testa il giorno prima della revolución.

Mi dispiace per la mia ragazza, ma se vado a Roma è anche per una questione di responsabilità, i ragazzini non capiscono oggettivamente nulla, cominceranno a bruciare le macchine ancor prima di capire cosa sta succedendo, ci vuole qualche trentenne posato che mantenga un barlume di ragione in mezzo al carnevale, e se proprio devo essere io, io mi sobbarco, sarà come andare in gita scolastica, salvo che si fa la rivoluzione.

Poi se qualche giornalistucolo del cazzo, non sapendo chi inquadrare, inquadra me, io lo so già cosa dire: "rifiutiamo i risultati di queste elezioni, che riteniamo inquinate da brogli elettorali. Facciamo appello al Presidente della Repubblica affinché indica al più presto nuove elezioni sotto l'egida di osservatori stranieri eccetera"
"Ma lei a nome di chi parla?"
"Io parlo al nome del popolo, e lei in nome di chi fa le domande, scusi?"
"Ma è vero che bruciate le macchine?"
"Non è vero, però è fantastico. Vi hanno fottuto le scuole gli ospedali le pensione le tasse il futuro sotto il naso, ma se vi fottono la macchina guai, la macchina è sacra".
"Buona questa, però adesso me la devi ripetere con un'altra parola al posto di fottono, così la possiamo mandare in fascia protetta, ti va?"

Non sarebbe fantastico trovarsi di nuovo tutti lì, con gli amici di Roma e con gli amici di tutta l'Italia, e l'Europa, tutti quegli amici di amici che nemmeno ricordiamo di avere, davanti alle telecamere del cazzo a parlare in nome del popolo? E se piove non ci sarà neanche troppo fango, non c'è terriccio in sul Monte Citorio, se ricordo bene. E se qualche poliziotto viene a romperci la testa, sarà certo un danno, ma non ne sarebbe valsa la pena? Tutti quanti su Monte Citorio per tre giorni, non saprei immaginarmi una primavera più bella e più giusta. Mi spiace solo per la mia ragazza, ma se teniamo duro fino a sabato potrebbe scendere anche lei. Sarà Pasqua e avremo vinto. Campane, campane dappertutto. Quante campane ci sono a Roma? Andremo a suonarle tutte. Ci faremo dare la lista delle parrocchie e convinceremo educatamente ogni parroco di Roma. E il mondo intero starà ad ascoltare e capirà come si fanno le rivoluzioni fatte bene. Una rivoluzione che ce la copieranno a Teheran e a Washington, e in tutte le città dove c'è decisamente bisogno di una rivoluzione. E ancora per millenni gli studenti in gita scolastica si sentiranno dire: sulla vostra destra c'è la famosa Piazza di Monte Citorio, dove scoppiò la famosa rivoluzione che tutti da allora si sognano, la Rivoluzione delle Campane, ding dong, ding, dong

"L'hai sentita la sveglia, o no?"
"Scusa, stavo facendo un sogno".
"Un brutto sogno?"
"Lasciami pensare. No".
"Senti io devo andare, ho un sacco di lavoro e lo sai. La colazione è pronta. Ricordati di andare a votare".
"Votare".
"Così vinciamo e non se ne parla più".
"Vinciamo?"
"Non lo so se vinciamo, come faccio a saperlo? Ma sei sicuro di essere sveglio?"
"Temo di sì".

Sto pensando che forse ce la facciamo, ma se non ce la facciamo? Ma dovremmo farcela, ma se non ce la facciamo?
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Vai ed esplodi

Leonardo, caro vecchio coglione:
puoi smettere di pedalare ora.
Ma non voltarti. Non vale la pena, del resto, non mi riconosceresti. Io non sono di questo universo; l'involucro che indosso per parlare con te su PP1078 ti è completam sconosciuto.
Ti riformulo le domande di poco fa:
1. hai capito cosa ti chiedo di fare?
2. E hai capito perché lo sto chiedendo a te?

(1). Io voglio che tu ti faccia esplodere, tra qualche ora, nei pressi di un convertitore elettrico di PP1079. I convertitori sono meccanismi virtuali che trasmettono l'energia dall'universo reale U a tutti i PP. Volendo essere pignoli, a venire trasmessa da U a PP non è l'energia, ma l'informazione dell'energia – ma a questo punto io mi sarei anche stancato di queste dotte disquisizioni e, se sei d'accordo, me ne fotterei. In ogni PP, i convertitori sono mimetizzati nelle cabine dell'energia elettrica: un'idea semplice ed efficace, giacché di torrette elettriche ce n'è dovunque e nessuno le nota mai - hai mai letto un libro e guardato un film o giocato a un videogioco in cui si menzionava una torretta elettrica? Mai, esse sono dappertutto e invisibili. Perfette.

La maggior parte delle cabine convertono semplicemente quel poco di energia che serve a fare andar avanti il PP. Ma da qualche parte esiste un Convertitore Generale che trasmette anche una serie d'informazioni fondamentali sulla natura dell'universo. In pratica si tratta delle istruzioni per il montaggio del PP successivo. Queste istruzioni vengono trasmesse ad alcuni individui particolarmente sensibili e carismatici – gli Spiriti Eletti – che si mettono anima e corpo a edificare il nuovo PP.
Nel caso ti fosse venuto il dubbio: no, tu non sei uno Spirito Eletto. Non sei particolarmente sensibile, né carismatico. Vuoi sapere chi è un Eletto, invece? Papa Silvio, esatto. Ti sei chiesto diverse volte, quest'anno, come aveva fatto a risorgere dal coma vigile e a riprendere il controllo della situazione. È molto semplice: ha ricevuto il Messaggio. L'idea di avere una missione da compiere ha avuto su di lui un effetto tonificante.

Se ti può consolare, anche tu hai una missione, ed è quella di mettergli i bastoni tra le ruote. Morirai facendogli un dispetto, non è una gran consolazione? Non è quello che hai sempre sognato di fare, da quando eri piccolo e lui interrompeva Bim Bum Bam con la pubblicità? Bene, l'ora è giunta. Dimostrerai ai tuoi amici che hai le palle interrompendo il suo Paradiso a Pedali con la tua esplosione. Questa sì che è una promessa da fare a un uomo. Altro che le 72 vergini. Che poi, a quanto pare, non è vero che il Corano prometta 72 vergini ai martiri, è solo bieca propaganda fallaciana…

Ma perché divago sempre. Ogni volta che io e te potremmo dirci cose importanti… macché, divaghiamo. È una cosa che mi fa incazzare, a te non fa incazzare? Ma cosa ti stavo dicendo? Il Convertitore Generale. Se riuscissimo a farlo esplodere, a interrompere il flusso di energia e informazioni, tutti i PP si spegnerebbero di botto. Avremmo svegliato l'Italia. Perlomeno, quel poco d'Italia che non è ancora sotto il livello del mare.

È da un bel pezzo che lo cerchiamo – da gennaio, mi pare. Reclutiamo volontari come te, da tutti i PP. Gente che senza saperlo è stanca di pedalare all'infinito e di creare universi noiosi e insofferenti. Gli spieghiamo tutta la complicata storia, li convinciamo, e poi li mandiamo a esplodere contro le finte torrette elettriche. Confidando che in questo modo prima o poi troveremo il Convertitore Generale. È una strategia un po' grezza, lo so, ma altre per ora non ne abbiamo.

E veniamo al (2): perché proprio te? Beh, ti confesserò, per un bel pezzo ho cercato di non reclutarti. Ma i mesi passano, il Convertitore Generale non si trova, e tu corrispondi perfettamente al profilo del kamikaze che cerchiamo… non potevo continuare a far finta di niente, solo perché siamo amici.
Anche perché a volte, sai, mi vien da pensare… Amico? Cosa è amico? Quando t'iscrissero al corso di Rieducazione, facendoti firmare una liberatoria in cui affermavi di trovarti molto bene in quel Campo lì, che il vitto era ottimo e che nessuno ti torturava contro la tua volontà, tu eri ancora mio amico?
Forse che non ti hanno chiesto dove mi ero nascosto?
E tu, vecchio coglione, non hai forse cercato di tradirmi? Non lo hai fatto?

Ma non è questa la cosa che mi offende di più, sai? Vuoi sapere quel che mi offende di più? È che tu pensassi davvero che io mi fossi rintanato a San-Gem – il primo posto al mondo in cui mi avrebbero cercato. Possibile? Mi facevi davvero così idiota?
Guarda che sono un cittadino del mondo, io – io non mi sono ammuffito in un bilocale con bismoglie, io – io, mentre tu cambiavi il pannolino a una bimba non biologicamente tua, mi sono addottorato a Oxford, poi ho preso un perfezionamento a Salamanca, e di recente mi sono pigliato una cattedra a Rabat, Unione Europea! E in tutto questo sono rimasto un agente della Quarta Internazionale, proprio come ai vecchi tempi, un entrista spudorato – anche se tu eri già troppo coglione per accorgertene! E comunque, se ho accettato di lavorare a questo progetto di scardinamento del Paradiso-a-Pedali-versione-Teopop, è solo per puro spirito di servizio, perché alla fine credo che non ci sia nulla di più rivoluzionario di questo, nel 2025! Svegliare una mandria di pecoroni che ha deciso di annoiarsi a morte nei secoli dei secoli! Questa è la mia missione ed è anche la tua! E credo che per una missione del genere valga la pena farsi esplodere.
Perlomeno, credo che tu debba.
E che tu lo debba a me, soprattutto.
Tutto chiaro, ora?

"Defarge…"

Sì, Leonardo?

"Mi dispiace".

Sì, certo, come no. Però adesso, se non ti dispiace, vai.
Vai ed esplodi.
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Potere alle vecchiette (1)

Caro Leonardo,
È stato stamattina: dietro una porta a vetri Assunta e Antonio-Abate parlavano del mio destino. Io sedevo nel corridoio cercando di ripescare i ricordi nel modo sbagliato: concentrandomi. Volevo trovare un'immagine di Wojtyla che fosse solo mia: tutto qllo mi veniva in mente era un vecchio film di Don Camillo.
C'è Peppone che deve buttare giù una madonnina (e ci siamo io e Arci su un divano con due birre, e aspettiamo che il Papa muoia). Ha l'autorizzazione della Curia; ha l'autorizzazione di Don Camillo. Ma c'è una vecchietta che si mette tra la madonnina e l'autocarro, la gente sul ciglio della strada grida vergogna, e Peppone non sa che pesci pigliare. Alla fine smusserà l'angolo della Casa Popolare e ingloberà la Madonnina nel progetto.
"Ce ne sono di angoli smussati, da queste parti".
"Non ti immagini quanti".
La notizia arriva fino "a Roma", dove i "pezzi grossi del Partito mormorano": e Peppone, al telefono, perentorio: "mettetevi voi, contro un migliaio di vecchiette".
"Peppone aveva capito tutto".
"Naturalmente", feci io. "Cioè?"
"Le vecchiette. Ogni rivoluzione italiana finisce lì".
"Le vecchiette ci sono dappertutto".
"Ma in Italia è diverso. C'è un matriarcato nascosto. E la DC che si batte subito per il suffragio femminile. L'età media più alta del mondo. Tutto porta in una sola direzione: potere alle vecchiette!"
"E ai vecchi no?"
"Le donne vivono di più".
"Allora a 80 anni avremo l'imbarazzo della scelta, ih ih".
"Non sei divertente. E probabilmente non ci arriveremo, ad 80".
"Fanculo, perché no?"
"Perché, perché, il solito occidentale evoluto che crede che tutto gli sia dovuto. Nei prossimi anni l'età media si abbasserà".
"E come fai a saperlo".
"Vuoi davvero che ti tiri fuori i grafici e i calcoli per dimostrarti che…"
"Lascia perdere. Mi dicevi delle vecchiette. Erediteranno il mondo?"
"No, assolutamente. Ma hanno ereditato l'Italia. La prossima rivoluzione sarà con le vecchiette o non sarà".
"Uh, la vedo grigia".
"No, perché? Basta trovare un obiettivo comune. Qualcosa per cui le vecchiette siano disposte a combattere. Qualcosa che desiderano ardentemente, o che hanno una paura matta di perdere".
"E cosa?"
"E che ne so".

In quel mentre il film sfumò su un'edizione straordinaria. Comparve… come si chiamava… Emilio Fede, malrasato e scollettato ad arte, e disse: "Non avrei mai voluto dare questa notizia, il Papa è morto".
"Amen", dissi io.
"Alleluia", soggiunse Arci.
"Non essere blasfemo".
"Voglio ragionare da cristiano. Era anziano, sofferente, e puro di cuore. Al massimo stasera in cielo c'è un Santo in più, che c'è da piangere? È assurdo".
"Ma la pietà…"
"È roba da morti. È scritto sul Vangelo: lascia che i morti seppelliscano i morti. I vivi hanno altre incombenze"-
"…e la figura storica…"
"Sì, sì, certo. Ma voglio ragionare da cristiano cattolico. I Papi sono eletti dallo Spirito Santo, che è Dio, e che sicuramente non tarderà a ispirare un altro Papa infallibile e carismatico come questo. O dubitiamo dell'onnipotenza dello Spirito Santo Dio?"
"Ci sarà chi dubita un po', evidentemente".
"È scritto: chi bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonato".
"Sul Vangelo?"
"Sul Vangelo".
"Ma quando l'hai letto, tutto questo Vangelo".
"Ho fatto un corso, una volta".

Questo era il ritornello di Arci: una volta aveva fatto un corso, ecco perché sapeva tutto. Anni dopo mi sono reso conto che lo diceva con lo stesso tono di Stallone in Rambo-Tre, quando un pakistano gli chiede: "Ehi, ma vuoi andare in Afganistan da solo? Ma lì ci sono i sovietici, la guerra, tu te ne intendi un po' di guerra? Sai cos'è? Eh?" E lui, John Rambo Tre, risponde: "Ho sparato, qualche volta".

Ho sparato, qualche volta…
"Sveglia".
"Uh, Assunta, ciao. Mi ero messo a pensare e…"
"Stavi russando, Mac. Qui nel corridoio".
"Mm. Com'è andata?"
"Abbiamo concluso che sei un coglione".
"Ma qsto già si sapeva, no".
"Hai aggredito un collega di lavoro davanti all'ispettore della Propaganda Fidei. Hai messo nei guai il tuo capo e tua moglie che ha brigato per farti avere il posto. Diciamo che ieri hai stabilito nuovi standard di coglionaggine. Senza parlare del fatto che hai fornito ricordi fittizi, sui quali non c'è riscontro…"
"Ancora con qsta storia? Wojtyla è stato a Santiago, lo giuro su…"
"Non risulta".
"Ma i giornali…"
"Sono carta straccia e lo sai. Ricordi almeno in che anno sarebbe successo?"
"Io… non so, facevo il liceo… dall''87 al '92".
"Abbiamo cercato. Niente. Ha ragione Pioquinto".
"Oh, ma andiamo. Da quando in qua mi invento i ricordi".
"A volte succede, Mac".
"Succede agli altri. Ma io non… la canzone. Cerchiamo la canzone".
"Mac, stai parlando di avvenimenti oltre il Muro di Cristallo. Evidentem non sono stati salvati dalla cristallizzazione, quindi sono persi. Fine".
"Bisogna cercare la canzone".
"Ricordi l'autore?".
"No".
"Molto strano, non trovi?"
"Non l'ho cristallizzato, tutto qui. Può essere l'unica prova che il Papa sia stato a Santiago".
"Non è una prova. Anche se tu trovassi la canzone, e dubito, devi dimostrare che allude a un viaggio storicam avvenuto. Non capisco perché t'infervori tanto".
"Perché ti voglio dimostrare che non m'invento le cose. Taddei".
"Eh?"
"Devo trovare Taddei. Lui sa. Si ricorda".

(continua)
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