I nuovi iconoclasti
31-07-2024, 01:06arti figurative, Chiesa, Mondo Carpi, santiPermalinkSe qualcuno si fosse mai chiesto come fa una civiltà a diventare iconoclasta – a rinunciare all'arte figurativa, dopo averla coltivata per secoli – le polemiche sul banchetto degli Dei durante la celebrazione dei Giochi Olimpici potrebbero darci un'idea. Il che non significa che non si tratti di polemiche pretestuose, elaborate e propagate da agenti in cattiva fede: ma insomma si prende una qualsiasi immagine e si decide che è offensiva in quanto rappresenta in modo caricaturale una raffigurazione sacra. A nulla valgono le obiezioni più sensate (non era l'ultima cena, ma appunto il banchetto degli Dei), perché dopo secoli di arte religiosa, anche raffigurazioni pagane o secolari non possono che richiamare modelli adoperati nell'arte sacra: l'ultima cena l'abbiamo in mente tutti, per il banchetto degli Dei serve un minimo di cultura specialistica.
Sappiamo che qualcosa di simile è successo agli artisti durante le fasi iconoclastiche: se dipingevano persone, potevano essere accusati di avere dipinto personificazioni di Dio; se dipingevano animali, non era escluso che qualcuno li ritenesse così empi o pagani da avere raffigurato Dio come un animale. Non restava che dipingere fiori o frutta, e poi sempre più spesso motivi astratti. È il nostro destino? Dopo avere tolto ogni limite a ciò che si poteva raffigurare, cominceremo a fare passi indietro perché la gente comincia a offendersi? Credo di no; perlomeno non penso sia l'obiettivo di chi oggi si definisce scioccato da Philippe Katerine tinto di blu. Ormai abbiamo capito che offendersi è un modo di esistere, e per quanto molti offesi di questi giorni si definiscano cattolici, non è la Chiesa di papa Francesco ad avere necessità di queste campagne di indignazione per far notare la propria esistenza. Si tratta anzi di una frangia identitaria che alla Chiesa cattolica fa la guerra da tempo, i cui temi e soprattutto i toni richiamano sempre di più gli evangelicali americani (ma anche certi ortodossi).
Forse è il momento giusto per raccontare di una cosa che è successa al mio paese pochi mesi fa. Anche se non credo di essere pronto – come tutto quello che mi capita attorno, ho la sensazione di perdermi davanti ai dettagli. Ma può essere utile per capire che questi nuovi iconoclasti non esistono solo sui social, e che a furia di seminare diffidenza e odio, qualcuno si fa male davvero.
All'inizio di marzo un quotidiano on line "cattolico", che quasi nessuno aveva sentito nominare, fa uno scoop: in una chiesa di Carpi è esposto un quadro in cui San Longino pratica una fellatio a Gesù. "Ma come è possibile? Una fellatio in una chiesa e su un quadro che raffigura Gesù Cristo?" La "chiesa" in realtà è il museo diocesano, che però per secoli è stata una chiesa vera e ne mantiene la forma e l'atmosfera; il quadro non mostra nessuna fellatio, ma si segnala per la soluzione inedita al problema che affligge gli artisti sacri da duemila anni: come mostrare Gesù crocefisso senza svelarne le nudità?
Invece del classico mutandone, il pittore Andrea Santini decide di nascondere il basso ventre di Gesù all'ombra della testa di Longino. Ora, qui è veramente una questione molto soggettiva, ma a mio parere per immaginare che la scena descriva una fellatio serve una determinata immaginazione; non medievale, non barocca e di certo non romantica; un'immaginazione assolutamente anni Venti del secolo XXI, che attesta l'egemonia figurativa dei siti porno. Così come non riusciamo a vedere un banchetto degli Dei senza che ci venga in mente il cenacolo, allo stesso modo non riusciamo a pensare che una testa si frapponga tra noi e un membro virile senza immaginare che tra testa e membro virile non stia succedendo qualcosa. Omnia immunda immundis. Tutto l'articolo del resto mi sembra trasudi l'ipocrisia di chi conosce benissimo le scene che in teoria dovrebbero indurlo immediatamente a coprirsi gli occhi (o a cavarseli, diceva Gesù). Un po' come Pillon che invece di pensare solo alle cose del cielo twitta pubi femminili, e ormai è pure fiero di farlo, ecco, non è escluso che si arrivi all'iconoclastia anche così: perché stiamo cercando di tenere nella nostra testa paradigmi troppo diversi. Cresciamo studiando una Storia dell'Arte che per secoli consta soltanto di santi, cristi e madonne; nel frattempo su internet qualsiasi posizione sessuale è a portata di clic: alla lunga lo choc culturale ci brucia il cervello. Il quotidiano on line "cattolico" in questione è stato fondato da un signore che ha già scritto un paio di libri contro "le bugie degli ambientalisti"; ha una linea decisamente governativa ma soprattutto non perde occasione per attaccare la "Chiesa oligarchica". Un dettaglio interessante è che non contiene pubblicità: neanche una vignetta, niente. Il che forse significa che qualcuno ci sta investendo.
Nei mesi successivi lo scoop diventa una campagna, sempre meno indirettamente rivolta alla diocesi di Carpi che aveva patrocinato la mostra (e che continuerà a difenderla, con una flemma che va riconosciuta). Accadono altre cose abbastanza strane. Vengono organizzate raccolte di firme, indette veglie di preghiera contro la "mostra blasfema", anche altri organi di stampa cominciano a chiamarla così, con le virgolette o anche senza, tanto ormai che differenza fa. Ogni sabato pomeriggio, una folla si raccoglie in preghiera davanti alla "chiesa profanata": non sono carpigiani, vengono da altre regioni coi pullman, si portano i bambini ai quali spero non abbiano spiegato troppo dettagliatamente la questione. Sono praticamente tutti bianchi, e questo in Corso Fanti fa un certo effetto; per distinguere i passanti curiosi dai fanatici in gita basta un colpo d'occhio. Fanno capannello intorno a un prete che prega in latino e si veste ancora come Don Camillo, a proposito di choc culturali. È il paradosso della destra postmoderna: rimpiange la Chiesa preconciliare e intanto vede porno dappertutto; il che significa quanto meno che i porno li vede. Alla fine non sono così tanti, e però in capo a un mese qualcuno si fa male.
Un tizio entra nel museo con una bomboletta: comincia a usarla sul quadro di San Longino; quando interviene lo stesso autore, il vandalo tira fuori un coltello. Saltini viene ferito, il tipo scappa, le adunate di preghiera proseguono. Oltre ai fanatici da fuori, cominci a sentire qualche concittadino borbottare che forse la diocesi ha davvero esagerato, che certi quadri non andavano davvero esposti in una chiesa: e vagli a spiegare che Sant'Ignazio non è più una chiesa. C'è una distanza sempre più evidente tra la Chiesa com'è e come la immagina la gente che a volte nemmeno ci entra; una frattura tra cristiani comunitari e cristiani identitari che immaginare rimarginata non è né plausibile né giusto.
Poi c'è un artista che si è fatto accoltellare per difendere le sue immagini, e che meriterebbe un discorso a parte. Saltini è un artista contemporaneo che cerca di riprendere temi e stilemi dell'arte sacra, davanti a un pubblico che scambia qualsiasi nudità per pornografia. Almeno in una prima fase era il primo a rivendicare il carattere ambiguo e provocatorio delle sue opere, né poteva fare diversamente: l'arte contemporanea è provocatoria per definizione. Finché non si è trovato davanti a un'interpretazione che non poteva accettare di avere provocato; il che lo ha portato a passare lunghi pomeriggi accanto alle sue opere per spiegare agli spettatori curiosi o indignati che no, non aveva dipinto una fellatio. Fatica probabilmente sprecata: qualcuno l'avrà convinto, qualcun altro lo ha accoltellato. In una città più grande, con un pubblico più smaliziato, le cose sarebbero andate diversamente. Ma l'Italia non è fatta di città molto più grandi della mia.
L'esercito delle donne nude
31-07-2023, 10:48arti figurative, Berlusconi, coccodrilli, vita e mortePermalinkNon solo i tesori che accumuliamo in vita non ci salvano dal transito mortale, ma è possibile che lo rendano più disagevole. In Cina stanno ancora scavando soldati di terracotta, non finiscono mai; l'imperatore che si fece seppellire con loro aveva forse un piano che pure ai contemporanei del terzo secolo avanti Cristo poteva risultare puerile: sul serio vuoi portarti i soldatini? Pensi che diventeranno guerrieri veri e ti aiuteranno a soggiogare l'Altro Mondo? O vuoi semplicemente lasciare il segno più grosso che puoi in questo? Non lo sapremo mai veramente, e nel frattempo ci troviamo a gestire la dipartita del nostro imperatore, e il suo esercito di donne nude.
Secondo Repubblica l'ossessione di Berlusconi per i brutti quadri esplode in una fase molto tarda, in cui non solo il suo ruolo politico è diventato marginale, ma anche la liaison con Francesca Pascale è agli sgoccioli. L'ipotesi che si tratti di un tentativo di compensazione è servita su un piatto di cattivo gusto: come in politica e in amore, B. non perde tempo a farsi una cultura (tempo non ce n'è più) e si preoccupa soltanto della quantità: accende la tv e compra tutto quello che c'è. Nessun capitale potrebbe fare di lui un buon collezionista d'arte, mentre c'è ancora tempo e denaro per diventare il più grosso. Il suo consulente è un televenditore, e occasionalmente un critico d'arte più televisivo che accademico, Vittorio Sgarbi. La tv, questo vetro ormai appannato, rimane la sua sfera di cristallo per vedere il mondo e non è una tv qualsiasi, ma proprio quella equivoca e maleodorante dei primi Ottanta; quella che non ha inventato, ma che ha acquistato quasi in toto in pochi anni, creando un network che poteva rivaleggiare col servizio pubblico ma che perse quasi subito quella genuinità filibustiera che B. evidentemente rimpiangeva.
Ora non c'è più: ci lascia un Paese allo sbando, percorso da onde di populisti senza scrupoli che continuano a promettere il Bengodi o al limite il 1982; un network poco competitivo che prima o poi verrà rilevato da qualche fondo; e un capannone pieno di brutti quadri, paesaggi madonne e donne nude, che forse sognava di poter portarsi con sé dall'Altra Parte: ehilà guardate tutti, come mi sono divertito.
"E a noi che interessa?"
"Mah, speravo che... ma siete tutti soldati, qui?"
"Guardie dell'imperatore Qin. È lui che comanda quaggiù".
"Ma tu pensa. E... che tipo di quadri piacciono al tuo imperatore?"
"A lui piacciono le armi".
"Le armi, capisco, ho qui un Napoleone che passa le Alpi che sembra quasi l'originale, guarda che cavallo, che slancio... questo in camera da letto funziona, te lo posso dire in confidenza".
"L'imperatore non ha un letto".
"Beh questa è una vergogna cui dobbiamo assolutamente rimediare... se mi fai controllare qui dietro dovrei avere un baldacchino roccocò che è un bijou, pensa che me l'ha regalato..."
"Sparisci dal cospetto della guardia imperiale".
"Ma che maniere... se solo riflettessi su quanto sei fortunato".
"Io?"
"Sì, proprio tu, un soldato di terracotta a guardia del regno dei Morti da mille anni..."
"Duemiladuecento".
"Quel che è, come ti chiami?"
"Non lo so".
"Ti chiamo io Fedele per comodità. Fedele, io la vedo così. La sotto c'è un imperatore che si caga il cazzo da duemilaeduecento anni, e qui sopra c'è un bravo venditore con un sacco di roba veramente molto interessante, e in mezzo a questi due soggetti chi c'è?"
"Chi c'è?"
"Ci sei tu, Fedele, ti rendi conto?"
"Ci sono io?"
"Sei cinese, davvero? Ai cinesi poche parole e molti numeri. Tu mi fai passare, io comincio a piazzare prima due o tre pezzi, poi la voce si sparge, e tu ti prendi il cinque per cento".
"Non se ne parla".
"Ma Fedele, riflettici".
"Tu resti qui, mi dai un pezzo, io lo piazzo e ti rendo il cinquanta".
"Ma stai scherzando, ma io torno tra i Vivi piuttosto. Fedele tu sei una brava guardia, anzi sicuramente sei la migliore, sennò non saresti qui, ma non sei un venditore. Non ci si improvvisa venditore".
"E tu?"
"Io sono il migliore che c'è... la sai la barzelletta di quello che vende frigoriferi agli eschimesi?"
"Eri tu?"
"No io ho fatto di più. Io ho venduto la mafia agli italiani".
"Mi prendo il dieci per cento".
"Fedele, credimi, questo potrebbe essere l'inizio di una grande amicizia, ma devi avere fiducia in me. Il sette per cento dei primi cento pezzi e poi ti prendo in società. Qua la mano".
"Non posso mollare la spada, siamo della stessa argilla".
"Ah ti capisco, anche io non riuscivo a mollare niente. Dai io vado eh? Da' un occhio qui al carico, ripasso appena ho fatto".
La barbuta crocifissa
19-02-2023, 23:31arti figurative, miti, omofobie, santiPermalink20 febbraio: Santa Paola la barbuta, leggenda di Avila
Crocefisso di Santa Wilgefortis Museo diocesano di Graz By Gugganij - Own work, CC BY-SA 3.0 |
Una donna con la barba, quindi, è considerata più forte di una donna senza, ancorché indesiderabile. Che i digiuni scombinati intrapresi da alcune mistiche nei conventi potessero causare squilibri ormonali con annesse complicazioni tricologiche non è del tutto implausibile, ma la leggenda non sembra alludere a questo, né agli ermafroditi degli antichi miti (nessuna vergine barbuta risale a prima del 1200). La vergine barbuta potrebbe invece essere una di quelle leggende che nascono da un equivoco iconografico, ovvero in quelle situazioni in cui a un certo punto alcuni fedeli si trovano davanti un'immagine sacra che non riescono bene a spiegarsi: in questo caso una donna barbuta e crocefissa. Ma chi avrebbe mai crocefisso una donna barbuta, e perché?
Il Volto Santo di Lucca Di Joanbanjo - Opera propria, CC BY-SA 3.0 |
In questo caso l'equivoco potrebbe essere stato generato dalla circolazione di souvenir – sì, anche nel medioevo li fabbricavano e vendevano, ma nella maggior parte dei casi si trattava di riproduzioni di immagini sacre molto famose. Ad esempio i pellegrini che transitavano da Lucca (ed erano molti) avrebbero molto facilmente riportato a casa una piccola copia del Volto Santo, il crocefisso che è il vero simbolo della città, dall'origine piuttosto misteriosa. Secondo i lucchesi risaliva ai tempi di Gesù, e non era stato scolpito da mano umana: si tratterebbe invece di un'immagine acheropita, una copia 3D del corpo di Cristo ritrovata da San Nicodemo e in seguito salpata dalla Palestina su una nave senza marinai, e ritrovata presso il porto di Luni dai lucchesi. Per molto tempo abbiamo pensato che la leggenda coprisse un'origine orientale del crocefisso, che però resta tutta da dimostrare: lo stile è meno bizantino di quanto vorrebbe sembrare, e faceva propendere i critici per un rifacimento medievale di un oggetto più antico andato perduto. Nel 2020 un esame col carbonio14 ha messo in crisi questa ricostruzione: a quanto pare il Volto Santo è davvero un oggetto molto antico, risalente più o meno all'800. Può darsi che a quei tempi e in quei luoghi fosse normale scolpire un crocefisso completamente vestito dalla testa ai piedi, con una tunica dalle maniche lunghe: non ci sono rimasti molti crocefissi dello stesso periodo, mentre alcune immagini posteriori abbastanza simili sembrano proprio basate sul Volto di Lucca, che già prima del 1000 era diventato un'immagine molto famosa e diffusa. Perlomeno da questa parte delle Alpi, dove una riproduzione del Volto sarebbe stata facilmente interpretata come un crocefisso 'alla lucchese'.
Nel resto d'Europa invece questa immagine, emersa dalle tasche di qualche pellegrino, lasciava perplessi: la tunica sembrava più adatta a un corpo femminile. Questo avrebbe stimolato il fiorire di leggende, tra cui si sarebbe imposta quella della figlia cristiana di un re pagano che non volendo sposare il suo promesso sposo (pagano) avrebbe pregato fino ad ottenere da Cristo quella barba necessaria a sventare il matrimonio – per essere poi crocefissa dal padre deluso e disgustato. Messa in questi termini, la storia ha avuto un discreto successo fino al Cinquecento, quando le forme più estrose della religiosità popolare sono state messe al bando sia dalla riforma protestante che dalla controriforma cattolica: anche se Vilgefortis (invocata anche contro i mariti violenti) ha resistito in qualche martirologio fino al Concilio Vaticano II, e ad Avila Santa Paola si venera ancora.
Beato il pittore (che sa stare al suo posto)
18-02-2023, 01:07arti figurative, santiPermalink18 febbraio: Beato Giovanni da Fiesole, meglio noto come Beato Angelico, pittore e frate domenicano (1387-1455).
Dettaglio della Crocefissione, convento di San Marco (Firenze) |
Secondo il meccanismo sociale noto come principio di Peter, se premiamo le persone competenti con una promozione, presto o tardi le porteremo a un livello in cui non saranno più competenti: a quel punto, se non li degradiamo con altrettanta prontezza (ma è molto difficile che accada), gli incompetenti resteranno lì, e in breve tempo tutta la nostra struttura sarà composta di gente sbagliata nel posto sbagliato. Giovanni da Fiesole seppe riconoscere il livello di incompetenza nel momento in cui stava per oltrepassarlo, insomma ebbe l'accortezza di restare al suo posto: la sua competenza, sin da ragazzo, era stata la pittura, e la pittura fu tutta la sua vita. Questo è più o meno quello che ci racconta Vasari, partendo forse dall'osservazione che se aveva davvero dipinto tutte le opere che gli venivano attribuite, l'Angelico doveva essere stato un lavoratore instancabile ("Lavorò tante cose questo padre, che sono per le case de’ cittadini di Firenze, che io resto qualche volta maravigliato, come tanto e tanto bene potesse, eziandio in molti anni, condurre perfettamente un uomo solo"). Eppure.
Eppure sappiamo che fra Giovanni non era solo il Maestro Beato Angelico. Nel 1450 sarebbe diventato priore del suo convento a Fiesole (subentrando a un fratello defunto). Già in precedenza aveva accettato incarichi amministrativi – quel tipo di accolli che un artista puro dovrebbe rifuggire come la peste. E la stessa generosa offerta che declinò, della cattedra arcivescovile di una capitale come Firenze, dimostra l'alta considerazione del papa per un uomo che conosceva di persona e che evidentemente doveva mostrare altre doti oltre a quella, indiscutibile, per la pittura. È possibile che già intorno al 1440 l'Angelico (ormai conosciuto ben oltre i confini della Toscana) più che un pittore fosse diventato il direttore artistico del suo brand: la rapidità con la quale completa uno dei suoi lavori più famosi e titanici, il ciclo di affreschi del nuovo convento domenicano di San Marco a Firenze, ci fa supporre che a realizzarli sia stata una vera e propria squadra di collaboratori, in grado di replicare lo stile del Maestro (il quale magari interveniva direttamente nei punti decisivi, come i volti che negli affreschi calamitano l'attenzione e sembrano tanto più moderni degli sfondi in cui sono immersi).
È la stessa squadra che una volta trasferitasi a Roma, riesce durante un intervallo di poche settimane a Orvieto a decorare una buona parte della cappella di San Brizio (che poi Signorelli completerà con quegli straordinari affreschi sulla fine del mondo). Professionisti rapidi che procurano all'ordine domenicano appalti prestigiosi e remunerativi. Lo stile sviluppato dal loro leader è precisamente quello che i committenti religiosi dovevano preferire: una via intermedia tra le eleganze tardo-gotiche di Gentile da Fabriano e la rivoluzione realista di Masaccio: panorami naturali ma non troppo, che non distraggano dalla gentilezza delle figure in primo piano, piacevoli – annota Vasari – ma mai sensuali.
Dopodiché non è nemmeno impossibile che fra Giovanni piangesse tutte le volte che dipingeva una crocifissione, come raccontano: la religiosità che emanano le sue composizioni è innegabile, e unita alla sua fama di frate modesto e pio fece sì che l'arte di Beato Angelico diventasse un modello per la pittura sacra, in contrapposizione a quella di altri maestri del primo rinascimento dallo stile più mondano, che un confratello della generazione successiva, Girolamo Savonarola, avrebbe fatto bruciare nel rogo purificatore in Piazza della Signoria; ma le opere di Giovanni a quanto pare non furono toccate. Chiamato "Angelico" già dai contemporanei, e "Beato" dai primi biografi, fra Giovanni è stato ufficialmente beatificato assai più tardi, nel 1982 da Giovanni Paolo II, che contestualmente l'ha nominato patrono degli artisti.
Il Cristo come non l'avevano mai visto
04-05-2019, 09:01arti figurative, fotografia, santiPermalink4 maggio – Santa Sindone.
Sempre lei. Il telo più studiato del mondo, a quanto dicono. Qualche mese fa l’ennesima ricerca sulla Sindone approdò sulle prime pagine, il che di solito è un buon segno: quando si tira fuori la Sindone di solito è perché non sta succedendo niente di troppo drammatico nel mondo. Scoprimmo che “metà delle macchie di sangue sono false“, un titolo che è capolavoro nel creare dibattito senza scontentare nessuno e suggerire che metà del sangue potrebbe anche essere vero. Non credo che i responsabili dello studio in questione abbiano sollecitato un titolo del genere, eppure in un qualche modo un titolo del genere è il compendio di tutta la sindonologia: anche chi vuole dimostrare che la Sindone non è acheropita, ovvero è stata dipinta da mani umane, dà la sensazione di non desiderare mai dimostrarlo del tutto. Perché da un punto di vista epistemologico forse è impossibile dimostrare una cosa senza ragionevole dubbio? Certo, ma soprattutto perché a quel punto il mistero finirebbe, e non si potrebbero più finanziare ulteriori ricerche. Per fortuna dall’altra parte ci sono e ci saranno sempre sindonologi convinti che quel tessuto è acheropita, è miracoloso, è una proiezione tridimensionale di un cadavere palestinese del primo secolo. I sindonologi scettici lottano contro i sindonologi credenti, ma solo gli uni danno in fondo agli altri la ragione d’essere, e viceversa. A volte viene il sospetto che ormai si siano messi d’accordo, che una volta al mese vadano in trattoria insieme e alla dodicesima bottiglia di rosso ci scappino anche gli scherzi da prete, professoressa, stia più attenta guardi che macchia ha fatto, sembra il costato di Nostro Signore. Monsignore, ha ragione! e la sua chiazza di sugo sembra la stimmate sul piede. Forse dovremmo testare il tessuto per il ragù, è mai stata fatta una prova col ragù? Attenzione attenzione adesso io con la delizia al lampone provo a fare la stimmate della mano destra, se viene credibile il conto lo pagate voi. Eccetera.
La Sindone, tra le altre cose, è un insieme di macchie, e le macchie sono pericolose, anche lasciando stare Rorschach. Nelle macchie ognuno trova sempre quello che vuole trovare. La pareidolia ha origine dalla nostra stessa necessità di riconoscere al volo i volti, e decifrare rapidamente le loro espressioni. Nel corso di milioni di anni siamo diventati piuttosto bravi; il prezzo da pagare è che ogni macchia sul muro ci sembra una faccia, e ogni faccia ci vuol dire qualcosa, c’è chi ci perde la testa. Prima di affrontare la Sindone avevo studiacchiato un po’ un’immagine acheropita persino più famosa, la vergine della Guadalupe: anch’essa, come il Mandylion di Edessa, non fu immediatamente considerata acheropita: all’inizio i fedeli sapevano che era stata dipinta da un pittore (l'”indio Marcos”) ma forse all’inizio anche la pittura era una dote così rara e pregiata che si confondeva col miracolo; come nel secolo iconoclasta a Bisanzio, la sola capacità di disegnare qualcosa di simile al vero faceva di te un medium tra il divino e l’umano; poi il tempo passa, un sacco di gente impara a disegnare anche meglio di te, addirittura qualcuno inventa la fotografia e a quel punto un’immagine eccezionale deve distinguersi in qualche altro modo: nasce la leggenda dell’indios José che avrebbe ricevuto la tilma miracolosa dalla madonna sul sacro monte (sacro alla dea azteca Tonantzin, ma quella è un’altra storia). La vergine della Guadalupe diventa dunque una foto, salvo che dopo un po’ siamo talmente abituati alle foto vere che non riusciamo più a credere che la vergine della Guadalupe lo sia. Servono altre prove, e così qualcuno comincia a ingrandire le foto alla ricerca di cosa? Di macchie, si trovano soltanto macchie, ma le macchie dicono tutto quello che vuoi. La vergine ha praticamente gli occhi chiusi, ma se ingrandisci quella piccola fessura di occhio aperto ci trovi… niente, probabilmente non ci trovi niente, i buchi del tessuto, ma se ingrandisci le foto in bianco e nero trovi macchie d’inchiostro e la pareidolia fa il resto: in quelle macchie d’inchiostro vengono identificati i testimoni del miracolo, le persone che stavano guardando la tilma nel momento in cui s’impressionò con l’immagine della vergine. Che storia affascinante, che puttanata incredibile, a che livello ci si abbassa quando si cercano motivi per credere in qualcosa. Ci sono studiosi che sfidano il ridicolo, e a volte lo vincono.
Nel 2009 Barbara Frale è una stimata medievalista. I suoi studi sui Templari – studi rigorosi, basati sulla lettura degli atti del processo francese del XII secolo, finalmente resi disponibili dal Vaticano – sono stati apprezzati tra gli altri da Umberto Eco. La Frale in realtà ha anche altri interessi, non vorrebbe fossilizzarsi sull’argomento della sua tesi di laurea, ma (spiega in un’intervista), ogni volta che propone agli editori un argomento, quelli le rispondono: non hai mica invece qualche cosa sui Templari? Barbara Frale qualcosa in effetti ce l’ha. È un’idea spericolata, che potrebbe appannarne la reputazione. Le si è presentata alla mente durante lo studio dei verbali del processo, in uno di quei momenti in cui all’improvviso unisci due puntini e ti capita di urlare Eureka, sì, succede anche agli storici. È un’intuizione folle, bisognerebbe essere prudenti. Ma gli editori insistono, e l’idea rimane lì, un chiodo fisso.
Quel che succede in seguito sembra un capitolo di un romanzo di Eco: la storia appassionante di una studiosa sedotta dal demone più insidioso (per uno storico): lo spettro della Somiglianza. Cosa altro può spingere la Frale a pubblicare per il Mulino un libro in cui cerca di dimostrare che la Sindone non è, come dicono gli esami al carbonio, un panno trecentesco, ma lo stesso Mandylion custodito prima a Edessa e poi fatto portare a Costantinopoli dal basileo Romano I? È una tesi temeraria, che finisce per posarsi su una premessa ancora più ardita: la Sindone sarebbe un tessuto medio-orientale del primo secolo, le lesioni dovute alla piegatura sono compatibili con i contenitori in cui nel deserto gli Esseni tenevano i lenzuoli; sul panno oltre alla sagoma del morto si vedono delle scritte, in greco, degli sgorbi che potrebbero essere ebraico, e sia il greco che l’ebraico sono del primo secolo, nel tredicesimo sarebbero risultati incomprensibili; ciò dimostrerebbe che la Sindone non è un documento del XIV secolo ma del primo dopo Cristo; insomma la Sindone è vera, la Frale non arriva a dirlo, ma afferma che prima era custodita in un recipiente dagli Esseni, poi è passata a Edessa, poi a Costantinopoli, poi durante l’imbarazzante saccheggio del 1204 i templari l’hanno presa, l’hanno trovata un documento incredibile che provava che Gesù Cristo oltre a Dio era stato un uomo ed era morto come un uomo (seppure temporaneamente): una testimonianza che avrebbe messo a tacere ogni rigurgito monofisita, ogni tentativo degli eretici di sostenere che Gesù fosse solo Dio e non uomo, che il suo corpo fosse un fantasma, un mero involucro, eccetera eccetera.
Di eretici del genere ce n’erano molti al tempo: in particolare nella Francia meridionale, dove avevano prosperato i Catari (Albigesi) fino ai massacri del 1222-1229; qui anche i Templari avevano molte basi, il che forniva ai loro detrattori un argomento irresistibile: siete catari mascherati, vi siete fatti templari per sfuggire alle persecuzioni. Contro queste dicerie, i Templari decidono di ricorrere alla Sindone, simbolo ma anche dimostrazione della corporeità del Cristo; la usano per le cerimonie di iniziazione ma non raccontano a nessuno di esserne giunti in possesso, forse perché poi avrebbero dovuto ammettere di averla rubata ai bizantini. La Frale scrive tutto questo, il Mulino glielo pubblica, il libro viene recensito con tutti gli onori (un paginone centrale su Repubblica), molti colleghi restano perplessi. Roba da Indiana Jones, anzi peggio, da Dan Brown. La Frale non demorde, risponde alle critiche più cattive, scrive altri due libri sull’argomento, ormai tra le due squadre di sindonologi ha scelto da che parte stare; e indietro non si torna.
La pareidolia è probabilmente un vantaggio evolutivo: ci consente di riconoscere i volti e decifrare le emozioni. E allo stesso tempo ci condanna a riconoscere anche quello che non c’è, a trovare il senso anche a macchie che non lo hanno. Da uno storico rigoroso ci aspettiamo che resista alle seduzioni della pareidolia; non di quella che ci fa identificare occhi e naso in una macchia di umidità sul muro, ma quella che ci istiga a riconoscere cause ed effetti nelle macchie casuali della storia. La pagina più bella del libro della Frale è quella in cui Costantino Porfirogenito scopre le forme del Cristo sul Mandylion, appena recuperato dagli arabi di Edessa. Ricordiamo la scena: i figli dell’imperatore sono davanti alla tela e non vedono niente. Costantino invece (che dell’imperatore è soltanto il genero, ma poi ne diventerà il successore) vede l’immagine e ne resta profondamente turbato. Questo per la Frale significa due cose: primo, l’immagine si vede solo da lontano. Proprio come la Sindone. Secondo: è un’immagine incredibile, scandalosa per i bizantini del tempo, abituati a icone ieratiche e stilizzate. Il mandylion non è ieratico, non è stilizzato, è un’immagine di realismo insopportabile, pare dipinto col sangue e col sudore. Il mandylion è la sindone (per la Frale). Da qualche parte era stato pur scritto che il mandylion era “piegato in otto”: ecco spiegato perché veniva rappresentato solo come un piccolo panno col volto di Gesù; il resto del corpo restava nascosto sotto, difeso da quelle pieghe che col tempo lo avrebbero consumato. È una scena affascinante, ed è a quel fascino a mio parere che la Frale non ha saputo resistere. Il resto sono dettagli: le scritte greche con gli errori di grammatica, gli sgorbi che forse sono alfabeto ebraico ma si vedono così male che potrebbero essere rune di Tolkien, addirittura le tracce di monete sugli occhi (monete con scritte in latino!) e una traccia di terriccio sul naso – dunque il modello doveva essere caduto, sulla via del supplizio, almeno una volta. Tutte macchioline, che la Frale ha voluto leggere così perché ormai si era convinta che la Sindone è autentica: pareidolia. Uno storico deve diffidarne, ma a quel punto forse si troverebbe senza più piste da seguire, senza più storie da raccontare. Io che storico non sono, potrei contribuire semplicemente mostrando come le macchie possono assomigliare anche a tutt’altro. Per esempio:
Torniamo al ritrovamento del Mandylion. Ricordiamo i dettagli. Nel 943 l’imperatore Romano I aveva mandato un suo plenipotenziario a trattare coi musulmani di Edessa, una città che se davvero aveva avuto il Mandalyon, ormai lo aveva perso da più di un secolo. Il plenipotenziario fa un’offerta davvero irrifiutabile: libertà per i prigionieri, immunità eterna, eccetera. I musulmani decidono che se il prezzo da pagare per un accordo del genere è un’immagine del Cristo, si può anche provare a farne una. Dev’essere però un falso credibile. Bisogna trovare un pittore. Ahi, non ce n’è. Siamo in terra d’Islam, l’iconoclastia ha vinto, i pittori non dipingono Dio e per sicurezza ormai non dipingono più nessuna figura umana, nessuna figura vivente, nessuna figura tout court. Solo figure geometriche e calligrafia. Ormai non c’è più nessuno che sappia mettere assieme due occhi e un naso sulla tela, e alle porte della città c’è un nemico che offre un sacco di soldi e la liberazione dei personaggi in cambio di una faccia su una tela. Se solo ci fosse un modo di fissare una faccia su una tela.
E se qualcuno avesse trovato il modo?
Abbiamo già visto che un primo Mandylion viene rifiutato dal plenipotenziario in quanto falso. Nell’occasione però il plenipotenziario ha avrà avuto la possibilità di chiarire alcuni dubbi sull’immagine, insomma di spiegare che immagine si aspettava di trovare a Edessa: dai, siete saraceni, veniamoci incontro, io devo riportare al mio boss un’immagine così e così, trovatemene una e siamo a posto. È una proposta ragionevole; salvo che a Edessa non c’è nessuno che la sa realizzare. Che si fa?
Va bene, si sarà detto qualche notabile di Edessa, se non sappiamo disegnare i volti, ci sarà pure qualche modo per ottenerli senza disegnare. Abbiamo tintori, abbiamo tessitori, abbiamo un sacco di artigiani: ingegniamoci. Qualcuno magari ricordava d’aver letto da qualche parte di un antico sistema per proiettare immagini su tela; qualcuno in sostanza potrebbe aver ricostruito la camera oscura, come l’aveva descritta secoli prima Aristotele e come la descriverà cinquant’anni più tardi il grande scienziato egiziano Alhazen (Ibn al-Ḥasan). E qualche altro artigiano potrebbe anche aver trovato qualcosa in più, qualcosa che in Occidente ci abbiamo messo altri secoli a scoprire o forse non abbiamo nemmeno scoperto: un processo chimico, un reagente strano, insomma, qualcosa che lascia impronte di luce sulla tela. Fantastico.
Però a questo punto serve un modello. Che assomigli al Cristo, ma che ne sanno i musulmani di Edessa del cristo? È un profeta del Corano, morto malissimo, in seguito a una di quelle barbare torture occidentali. Sanguinava qui, qui, e qui. Hmmm. Ci vorrebbe un modello. Andate al suk a prendermi un mendicante che abbia libera una mezza giornata. Uno abbastanza giovane, con la barba e coi baffi e i capelli lunghi. Se non vanno di moda procurate parrucca e barba finta. Ah, eccolo qua. Dunque, dobbiamo immaginarcelo che sanguina. Come si sanguina quando ti fustigano e poi ti crocefiggono? Qualcuno ha un’idea? Le frustate anche anche, ma la crocefissione è proprio un mistero. E quei maledetti cristiani vorrebbero un ritratto dal vero, ma come si fa? (I cristiani in realtà non pretendono tutto questo realismo; non sono nemmeno pronti per accettarlo, ma i musulmani di Edessa non se ne rendono conto. Per loro qualsiasi disegno di un corpo umano è qualcosa di estremo: quando si trovano costretti a realizzarne uno, ottengono il più estremo di tutti).
Ma insomma stiamo parlando di una ricompensa di 12.000 corone d’oro, oltre alla libertà per duecento prigionieri di guerra. Non possono correre il rischio di sbagliare, così qualcuno prima o poi lo propone: crucifiggiamo il modello, vediamo come reagisce, dove si raggruma il sangue ecc. Il tizio magari non è entusiasta, ma lo confortano: non ti faremo male davvero, beh, magari un po’ sì, ma sarai adeguatamente ricompensato, inoltre diventerai famoso, presso quei cani idolatri. E poi magari quando si calma lo ammazzano davvero, non si può escludere, e la Sindone oltre a essere la prima foto dell’umanità sarebbe il primo snuff. Il trucco riesce: gli artigiani di Edessa riescono a produrre un sudario con la figura intera e sanguinante, avanti e dietro. Questa è roba forte, questo farà impazzire quei pagani adoratori del corpo e del sangue. Lo impacchettano, lo consegnano al plenipotenziario, e appena quello è partito a cavallo scoppiano a ridere e a tirarsi manate sulle spalle: c’è cascato, chi l’avrebbe detto. Il plenipotenziario in realtà ci crede fino a un certo punto, è anche lui uomo di mondo, ma magari intasca una percentuale, e in ogni caso è sempre meglio che tornare a Bisanzio a mani vuote.
La Veronica vaticana |
Oppure potremmo strabuzzare un po’ gli occhi e cedere alla tentazione delle macchie. Le macchie raccontano la storia che vorremmo sentirci raccontare, che nel mio caso magari è questa: il realismo occidentale nasce un po’ per caso in una città musulmana del decimo secolo, dove un gruppo di artigiani, costretti a produrre il ritratto di un cadavere senza avere nessuna competenza pittorica, inventa per caso un procedimento fotografico. Dopo averlo inventato lo dimentica subito, perché le raffigurazioni sono comunque devianze occidentali di cui diffidare. Quanto agli occidentali, per quattro secoli nemmeno si rendono conto nemmeno di cos’hanno per le mani, finché dopo essere passato di mano più volte, il primo negativo fotografico della Storia arriva a Torino e comincia a ispirare qualche pittore che passa di lì. È una storia che non si può dimostrare. Soltanto raccontare. Ecco fatto, spero che nessuno se la prenda.
JLB, pimpami la cattedra
22-02-2019, 01:21arti figurative, cristianesimo, pontefici, Roma, santiPermalinkÈ anche impossibile da fotografare, non ci sta tutta e comunque non rende l’idea. |
Un Papa può decidere che non è più in grado di fare il Papa? Certo che può (lo prevede anche il Diritto Canonico): è infallibile. Ma un Papa che dice di non essere più infallibile, ammette di potersi sbagliare; e quindi potrebbe anche sbagliare quando dice di non essere più in grado di essere il Papa, cioè infallibile… ma può essere infallibile anche quando annuncia di non poter esserlo più? Se non è più infallibile, forse si sbaglia anche quando dice che non è più infallibile… non se ne esce. Ma è solo un passatempo per sofisti. E poi: chi l’ha detto che il Papa è infallibile?
Mi fa sempre venire in mente l’Avvocato del Diavolo, il film, lo so, non c’entra niente. |
Zitto, muto, fermo, ci ho tante di quelle idee in testa che un’eternità non mi basta guarda. |
Una riproduzione della cattedra originale: dai temi delle formelle si deduce che è quella donata da Carlo il Calvo. |
“Non mi posso più sedere su una cosa del genere, che figura ci faccio coi patriarchi”, disse dunque Alessandro VII. “Non potresti pimpare la mia cathedra?”
Potrei sbagliarmi, eh? Ma non ci ho mai visto seduto nessuno, secondo me non c’è neanche una scala dietro. |
Le frecce di Sodoma
22-01-2019, 17:30arti figurative, omofobie, santiPermalink"So-do-ma!", "So-do-ma!", "So-do-ma!"
Questa storia ce la siamo già raccontata: comunque siamo a Firenze intorno al 1515, è un bel pomeriggio di giugno. Ma chi è che urla così? Sono i festeggiamenti per il palio di San Barnaba: i ragazzini stanno chiamando a gran voce il vincitore – che non è il fantino, ma il cavallo – anzi no, il proprietario del cavallo: Giovanni Antonio Bazzi, nato a Vercelli e residente perlopiù a Siena, soprannominato il Sodoma. Lui stesso ha detto alla folla festante di chiamarlo così!
Un San Sebastiano del Mantegna (1456), con un buffo nodo al perizoma. |
Che sfacciato, però. E infatti appena "certi vecchi da bene" se ne accorgono ("Che porca cosa, che ribalderia è questa, che si gridi per la nostra città così vituperoso nome?") anche i "fanciulli" cambiano atteggiamento. Da festosi diventano violenti e intolleranti. Basta un attimo. Di maniera, che mancò poco, levandosi il rumore, che non fu dai fanciulli e dalla plebe lapidato il povero Soddoma, et il cavallo e la bertuccia che avea in groppa con esso lui.
Forse la Storia ci piace perché ci fa sentire meno soli. In qualsiasi secolo ci capiti di dare un'occhiata, troviamo sempre persone che amano, odiano, combattono, si stancano, si ammalano: proprio come noi. Tutto quello che succede a noi, è già successo infinite volte e questo a volte ci dà la vertigine, ma più spesso ci è di conforto. Ci è tanto di conforto che conviene diffidare: non è vero, tutte queste persone non erano necessariamente così simili a noi. Leggiamo un aneddoto di Gian Battista Vasari su un collega che gli stava antipatico, e ci sembra di aver trovato un episodio di omofobia tale quale potremmo leggerlo domani sul giornale ("artista gay inseguito e malmenato"). Non solo, ma ci sembra anche di aver messo a fuoco il prototipo di artista queer del Cinquecento: il Sodoma è una pazza.
San Sebastiano in boxer attillati (Antonello Da Messina) |
Il Sebastiano del Sodoma guarda in alto, verso un angelo che sta per deporre la sua testa l'agognata corona del martirio. È un errore curioso che molti critici e storici dell'arte non notano, appunto perché sono critici e storici dell'arte e non sono obbligati a sapere che Sebastiano non fu martirizzato con le frecce. Ovvero, la versione ufficiale (che nel Cinquecento era ancora quella di Iacopo da Varazze) stabilisce che Sebastiano fu attaccato a una colonna e sagittato "come un porcospino": è senz'altro l'episodio più famoso della sua vita... ma non è il martirio. La corona deve ancora aspettare.
Alle frecce, infatti, Sebastiano sopravvive grazie alle cure di Santa Irene di Roma e della sua domestica, Lucina. Queste due pie donne, venute a seppellirlo, si accorgono che respira ancora: nottetempo lo trasportano nella ricca casa di Irene (patrizia romana) e gli estraggono le frecce a una a una: lunga fatica clandestina che a noi lettori moderni sembra già accanimento terapeutico. Perché prolungare la vita a chi si è votato al martirio? E infatti appena guarito, Sebastiano corre a riconsegnarsi all'imperatore che lo ri-condanna, stavolta a morire flagellato: ed è la volta buona. Ad altri santi servono quattro o cinque supplizi prima di ottenere corona e paradiso.
Luigi Miradori (XVII sec.): Sebastiano curato dalla vedova Irene. |
Ancora il Mantegna: una freccia è orientata diversamente dalle altre, ed è quella che più lo fa sanguinare. |
Il Savonarola di Fra Bartolomeo. Il suo San Sebastiano invece è talmente peccaminoso che hanno tolto anche le foto da Internet, giuro, non riesco a trovarne. Consolatevi col profilo di fra Girolamo. |
I pittori del Rinascimento sono anche anatomisti: la figura di Sebastiano consente loro di indagare su aspetti che altri soggetti non consentivano. È l'unico santo di cui è consentito abbozzare sulla tela il pene, anche se coperto (e a volte la copertura ha una consistenza fallica: vedi quel maliziosetto del Perugino). Un pene lo abbozza persino l'austero Piero della Francesca, nel polittico della Madonna della Consolazione; per notarlo dobbiamo confrontarlo con il Cristo dello stesso polittico, a cui il pittore non osa aggiungerlo. In più di un caso i pittori, non potendo aggiungerlo, vi alludono puntando una freccia proprio in quella direzione (ed è la ferita che produce più sangue). Il messaggio è ambiguo: la freccia è il peccato, o la punizione che Dio ci riserva per esso, o la sofferenza di amore che il soggetto (passivo) deve sopportare, oppure va' a sapere, spesso i pittori non sanno perché decidono di dipingere una cosa invece di un'altra. E dobbiamo presumere che anche i committenti non fossero tutti bacchettoni ipocriti come i frati o i benedettini: che ci fosse anche chi desiderava Sebastiani bellissimi e non troppo trafitti; non si spiega altrimenti la sopravvivenza del modello anche dopo la Controriforma, quando gli alti prelati già avevano messo nero su bianco che Sebastiano andava dipinto come nel medioevo, barbuto e magari vestito. Lo stesso Michelangelo nel Giudizio Universale non rinuncia a raffigurare un ragazzone aitante, che brandisce le frecce e sembra dire ai dannati sottostanti: io il Paradiso me lo sono sudato. Anche l'iconografia di Sant'Irene che cura il soldato ferito continua ad avere successo, e anche in questo caso Irene non è sempre una vedova in età avanzata.
All'Irene della Leggenda Aurea capita poi di scoprire in sogno che il cadavere di Sebastiano è stato gettato nella Cloaca Massima. Lo seppellisce lì nei pressi, in quelle che poi saranno chiamate Catacombe di Sebastiano.
Il selfie di Gesù
11-07-2018, 18:44arti figurative, cristianesimo, Cristo, fotografia, santiPermalinkGrazie Gesù (e chi ti smacchia più) (Mattia Preti). |
Una fotografia, diremmo noi.
La Veronica di Hans Memling (1475, notate le due punte della barba). |
È forse la prima volta nella storia della fantasia occidentale che la fotografia viene non inventata, ma almeno immaginata: e per essere una fantasia è già sorprendentemente nitida. C'è già l'idea del ritratto, e soprattutto dell'istantanea, dello scatto, ovvero la cosa che più distingue la pittura dall'arte fotografica molto al di là da venire (anche dopo l'invenzione della camera oscura e del dagherrotipo, ci vorrà ancora parecchio tempo prima di ottenere immagini istantanee). È un'idea straordinaria, che nasce nelle terre dell'Impero d'Oriente, in una situazione storica molto particolare, ma alla Chiesa d'occidente non è andata sempre a genio: e così nella Via Crucis approvata da Roma, Veronica dovette limitarsi a raccogliere sangue e acqua, senza ricavarne nessun'immagine miracolosa. I predicatori confondevano volentieri Berenica/Veronica con un'altra comparsa femminile dei vangeli, l'emorroissa guarita da Gesù. La leggenda però non era sparita del tutto e ogni tanto qualcuno riportava dalle terre d'oriente una santa veronica. Il telo era meno richiesto della scheggia della Vera Croce o della Vera Lancia, ma comunque anche per gli asciugamani col volto di Cristo c'era un mercato. Non si doveva nemmeno dimostrare che fosse la veronica originale: i fedeli si sarebbero accontentati di una copia il più possibile conforme.
Il Volto di Vienna. |
La Veronica di Roma |
L'arte dei mostri è l'unica interessante
13-12-2017, 20:37arti contemporanee, arti figurative, delitti e cronaca, TheVision, Woody AllenPermalinkQuando usciva un film di Woody Allen mi imbattevo regolarmente in qualcuno che, tra tanti motivi per non andarli a vedere, tirava fuori quella triste accusa di molestie alla figlia. Pensavo fosse una forma un po’ stravagante di boicottaggio. Ma poi è scoppiato lo scandalo Weinstein e mi sono reso conto che molte persone intorno a me non sembrano riconoscere la differenza tra contenuto dell’opera e vissuto dell’artista – no, in realtà è più sottile di così. Non è che non la riconoscono: chiunque sa riconoscere la differenza, poniamo, tra Adolf Hitler e uno dei suoi mediocri paesaggi. È che non la vogliono riconoscere. Carino quel paesaggio, di chi è? Di Adolf Hitler? Ah, allora è orribile.
(Ho scritto un pezzo su TheVision che parla di Woody Allen, Dostoevskij, e di quanto Leni Riefenstahl fosse una schiappa a girare i film).
Esagero? Leggo di gente che apprezzava molto l’umorismo di Louis CK, le sue gag sulla masturbazione seriale. Poi scoprono che Louis CK si masturbava davanti a delle sottoposte e all’improvviso le stesse gag non sono più divertenti. Fioriscono sul web mille domande, che all’inizio credevo retoriche, e invece no: possiamo ancora guardare i film con Kevin Spacey? E i film prodotti da Weinstein? Quando Lasseter ha ammesso di aver commesso qualche errore e si è preso una pausa alla Disney, qualcuno ha iniziato a domandarsi se possiamo ancora guardare Toy Story. Ok, sono solo titoli esagerati per attirare l’attenzione. Ma nel frattempo Jonathan Franzen ammette candidamente di avere delle difficoltà ad ammirare i quadri di Caravaggio, perché sai, “ha ucciso un uomo”. La scrittrice Claire Dederer si domanda “cosa fare dell’arte degli uomini mostruosi” – nel suo elenco troviamo Polanski, Cosby, Burroughs, Wagner, Caravaggio… ma il mostro dei mostri è sempre lui, Woody Allen. La Dederer non ha nemmeno bisogno di credere alle accuse di Dylan Farrow: la relazione con Soon-Yi è più che sufficiente a formulare un giudizio di mostruosità. “Era una teenager affidata a lui la prima volta che andarono a letto assieme, e lui il più famoso regista del mondo”! Puoi apprezzare ancora Manhattan, dopo avere scoperto una cosa del genere?
Lei dice di no, ma in questo caso effettivamente i confini tra autore e opera sono più ambigui che altrove: un film in cui un quarantenne trova assolutamente normale scoparsi una liceale, girato da un grande regista che qualche anno dopo si è messo con una 17enne. Siamo di nuovo di fronte al paradosso di Louise CK? Ovvero: un film che parla di desideri e pulsioni diventa discutibile quando scopri che è autobiografico? Gli interlocutori della Dederer (maschi) si oppongono con affermazioni ridicolmente parnassiane: ribadiscono piccati la necessità di giudicare l’opera d’arte soltanto in base ai criteri estetici, e quando affermano di apprezzare in Manhattan “l’equilibrio e l’eleganza”, il lettore ha il sospetto che direbbero la stessa cosa di Olympia di Leni Riefenstahl (l’elegantissimo, ben equilibrato inno ai successi olimpici del Terzo Reich).
In effetti di fronte all’ammissione di Franzen, o ai dubbi della Dederer, è molto facile reagire in modo categorico, magari accatastando un bell’elenco di artisti con la fedina penale complicata (in queste liste Caravaggio non manca mai). Stavo cominciando anch’io, ma mi sono bloccato al primo nome – chissà perché, mi è venuto in mente Dostoevskij. Ma mentre mi fermavo a controllare la grafia esatta, mi sono reso conto che stavo confondendo Dostoevskij coi suoi personaggi: con l’assassino di vecchiette Raskolnikov, con lo stupratore di bambine Stavrogin. Forse perché li ho letti quand’ero troppo giovane e quel famoso esercizio di separare l’autore dall’opera non riusciva neanche a me. Ammesso che mi sia riuscito in seguito. I quegli anni io cercavo nei libri le cose che non avevo la possibilità o il coraggio di vivere in prima persona, ed erano perlopiù cose criminose: leggevo Christiane F perché pur non avendo l’inclinazione per la dipendenza l’eroina mi sarebbe piaciuto vedere com’era da dentro; leggevo Il giovane Holden perché mi sarebbe piaciuto ogni tanto mandare al diavolo scuola e famiglia, ma non ne avevo il coraggio; e Dostoevskij, appunto, mi forniva un prezioso succedaneo ogni volta che mi veniva voglia di ammazzare una vecchietta ricca e improduttiva. Non credo di essere stato l’unico a cercare nella letteratura e nell’arte una forma di turismo nelle perversioni che non avevo i soldi o il fegato di permettermi. Ero un ragazzino.
Se avessi potuto da ragazzino rispondere a Franzen, gli avrei detto qualcosa di insopportabilmente arrogante, del tipo: io se l’artista non è un assassino non mi scomodo neanche a dargli un’occhiata. E alla Dederer: guarda per me Manhattan è molto meglio adesso che so che a Woody Allen piacciono le ragazzine – non che ci fossero molti dubbi prima, eh? – ma non lo trovi anche tu molto più genuino, ora, più sincero? E se ti fa incazzare, ok: non è mica un paesaggio, non è una natura morta, è un film di Woody Allen. Arte moderna, quella che a volte può essere equilibrata ed elegante, ma il più delle volte è disarmonica e dissonante e ci puoi anche litigare. Cioè, non ci vai mai al cinema a litigare col regista, con gli attori, con gli scenografi? È uno dei piaceri della vita e del cinema, io in mancanza di meglio me la prendo anche col direttore della fotografia. Insomma alla domanda cosa facciamo dell’arte degli uomini mostruosi, il me stesso ragazzino risponderebbe: facciamo un gran casino! Li stronchiamo tutti senza pietà, anche se sono bravissimi, chissenefrega (sei una frana con la macchina da presa, Leni). Lo scopo dell’arte è stimolarci; se certa roba ci stimola rabbia e indignazione, prendiamo la nostra rabbia e trasformiamola in una meravigliosa stroncatura che farà incazzare a sua volta qualcun altro eccetera – insomma, ero un coglione, ero arrogante, ero ignorante, ma avevo già chiara internet in testa.
Oggi non la penso più così, ma forse non sono molto più sgamato di quelli che non riescono più a vedere una sit-com con Bill Cosby. Forse anch’io non sono così bravo a separare l’opera dallo scrittore, dopotutto, se continuo a preferire gli artisti e gli scrittori che hanno qualcosa da rimproverarsi. Quel che mi piace di Franzen è il modo in cui fa oscillare i suoi personaggi davanti a un abisso morale prima di dare una spintarella: lo fa con l’aria di chi c’è stato lì sul bordo, di chi sa benissimo cosa si prova. In un angolo della mia testa non ho smesso di pensare che Dostoevskij abbia davvero ammazzato una vecchietta, e anche Franzen secondo me deve aver fatto qualcosa di inconfessabile. Persino Woody Allen, che tante volte ha messo in pellicola lo stesso canovaccio: un uomo di successo è ricattato da qualcuno che minaccia di rivelare qualcosa di torbido sul suo passato, finché non decide di ucciderlo. A quel punto lo spettatore si aspetta una giusta punizione che (spoiler) quasi sempre le sceneggiature di Allen non prevedono: l’assassino salva il suo buon nome e il suo status. Crimini e misfatti è del 1989, Match Point (il più dostoevskjiano dei suoi film) del 2005, Irrational Man del 2015: come se Allen volesse dirci qualcosa.
Un altro film di Woody Allen a cui non saprei rinunciare nemmeno se Allen invadesse la Polonia è Pallottole su Broadway. Racconta la storia di David Shayn, un tizio che si crede un artista, un commediografo, ma a un certo punto si accorge che non lo è. Se ne accorge perché incontra un artista puro, Cheech, un talento naturale che ha la sfortuna di essere cresciuto in una gang criminale. Non solo è più bravo di lui a scrivere dialoghi, ma soprattutto non è disposto ad accettare compromessi: per salvare la sua opera è disposto a uccidere. David no. Il momento in cui si accorge di non essere un vero artista è il momento in cui capisce di non essere un criminale.
Dylan e il capolavoro involontario
10-12-2017, 01:14arti figurative, Bob Dylan, musica, PasoliniPermalinkIo comunque su Pasolini ho una teoria: secondo me, mentre girava il Decameron lui...
"Ma che c'entra Pasolini adesso".
Ma niente, mi viene sempre in mente sotto l'Immacolata, perché sai.
"Ti confondi col ponte dei morti".
Ah già.
"Ma senti è un po' che non passo a leggerti, li hai poi finiti i dischi di Dylan?"
No, effettivamente ne ho ancora un po'.
"Ancora? Ma quando hai cominciato? Sembrano anni".
In effetti è esattamente un anno.
"Ma ne ha fatti così tanti?"
Più di una cinquantina, sì. E parecchi persino belli.
"Beh io a un certo punto ho smesso di leggerli, però..."
Non devi mica scusarti.
"...quando li raccoglierai in volume di sicuro io... perché pensi di raccoglierli in volume, vero?"
Eh, dipendesse da me.
"Ma hai mai scritto a un editore?"
Sì, e mi hanno anche risposto, ma...
"Cioè è chiaro che bisogna lavorarci un po' su, togliere le cose che in un libro non funzionano, però..."
Ma alla fine non resta niente.
"In che senso".
È come coi Santi. Uno dice: sto facendo una rubrica dei Santi che ha un suo seguito, insomma funziona, che ne dite? E loro all'inizio wow, in effetti è interessante, però... bisogna lavorarci.
"Ma ti fa così schifo lavorarci?"
Ma no io ci lavorerei anche, però... senti, non mi sto lamentando, ok? È un problema mio. Si vede che non funziono sulla carta.
"Ma cosa dici".
Di solito va così: mi dicono, metti tutto in un pdf e mandacelo. E io: guardate che è tanta roba.
"Tagliane un po'".
Ma certo che ne taglio.
"E alla fine ti restano..."
Quelle due, trecento cartelle.
"Così tanto?"
In un blog non sembra tanto, ma su carta è come se si gonfiasse. Poi ti dicono: bello eh, ma bisogna togliere tutti gli interventi in prima persona, i siparietti autobiografici... in un libro non hanno senso. E sai una cosa?
"Hanno ragione".
Hanno assolutamente ragione, e allora io li tolgo. E tutte le battute stagionali, le trovate estemporanee, le cose che hanno senso soltanto nel giorno in cui le scrivi, tolgo tutto. E a quel punto...
"Non sono più interessati?"
Non sono più interessante.
"Però su Dylan..."
Ma certo, figurati se fuori non c'è la fila di gente che mi vuole pubblicare quattrocento cartelle su Dylan.
"Ma saranno meno, dai".
Specie dopo aver tolto tutte le digressioni personali, le battutine, le cose da blog, tutto quello che lo renderebbe diverso dall'ennesimo libro su Dylan.
"E allora cosa farai?"
E allora cosa farò? Mi inventerò altre cose da scrivere e andrò avanti così.
"Ma non ci pensi che un giorno qui sparirà tutto?"
"Ci penso sempre, ma alla fine non è quasi mai successo".
"Tra un po' finisce la net neutrality e ciao".
"Troverò un sistema".
"Un server si pianterà e puf, non resterà nulla. Solo tanti link che puntano nel vuoto".
Ogni tanto faccio un backup.
Got nothing for you, I had nothing before
Don't even have anything for myself anymore
Sky full of fire, pain pourin' down
Nothing you can sell me, I'll see you around
Resto convinto che Pasolini, mentre girava il Decameron, se la deve esser vista brutta. Ma veniamo a Dylan, sennò pensate che io voglia cincischiare; che il disco di questa settimana non l'abbia neanche ascoltato, e in effetti parliamo di un disco triplo dal prezzo scandaloso (ma su Spotify ci sono solo i primi due, quelli che venivano venduti a una cifra ragionevole). Invece non solo l'ho ascoltato, ma lo riascolterei volentieri anche adesso, toh. Sono sinceramente convinto che sia uno dei dischi migliori di Bob Dylan - sì, tra i cinquanta e più dischi che ho ascoltato quest'anno, Tell Tale Signs sta nei primi quindici, forse anche tra i primi dieci. Credo addirittura che sia il disco migliore della sua ultima fase, ed è un'affermazione abbastanza forte, visto che Tell Tale Signs è perlopiù una collezione di scarti dalla lavorazione di Oh Mercy (1989), World Gone Wrong (1993), Time Out of Mind (1997), Modern Times (2006): com'è possibile che gli scarti siano migliori del prodotto? Con Dylan è possibile, anzi.
I was thinking of a series of dreams
Where nothing comes up to the top
Everything stays down where it's wounded
And comes to a permanent stop
È quasi inevitabile. Avete sentito che l'ultimo Leonardo Da Vinci disponibile sul mercato è finito in Arabia Saudita? Secondo me era una sòla, però io non me ne intendo e anzi ho in materia idee molto estreme, ad esempio nutro qualche dubbio sulla Gioconda del Louvre: e se non fosse l'autentica? Perché non ha le sopracciglia e mancano due colonne che ci sono in alcune copie molto vecchia - ma è comunque una Gioconda fantastica, se dubito di lei figurati quanto posso fidarmi di un Salvatore col volto ieratico (ma asimmetrico!) con dei ricciolini da Botticelli, ritratto di fronte... cioè hai Da Vinci a disposizione e gli chiedi un ritratto di fronte? È come chiedere alla Ferrari se ti fanno un motorino 50 cc, dai, non esiste... (continua sul Post)
La falsa e vera Gioconda
10-08-2015, 11:43arti figurative, La grande gara di spuntiPermalink(Questo pezzo partecipa alla Grande Gara degli Spunti! Se vuoi provare a capirci qualcosa, leggi qui. Puoi anche controllare il tabellone).
Quella notte si sveglia di soprassalto, madido. Si rende conto di aver visto qualcosa che non può assolutamente stare nella riproduzione ingiallita di una Gioconda, ad es. la balaustra sui due lati, o le sopracciglia. Nessun falsario mette la balaustra in una Gioconda, non da un secolo in qua. Benché sia ben visibile in versioni più antiche, nel Novecento tutti si basano sulla Gioconda del Louvre, che la balaustra non ce l'ha. E non ha nemmeno le sopracciglia. E la pennellata. Quella pennellata. Come minimo ha trovato una copia d'autore di qualche secolo fa. Ma quella pennellata. Patrizio non può impedirsi di concepire un'idea folle: in casa di quella signora c'è la Gioconda più vera di tutte, quella sottratta al Louvre nel 1911.
In effetti, la storia di Vincenzo Peruggia non lo ha mai convinto. Mentre lavorava a un cantiere nel museo, era uscito dal Louvre con la tela sottobraccio, e per due anni era sparito. Poi si era fatto pescare come un minchione mentre la offriva per cinquecentomila lire al direttore degli Uffizi. E se in quei due anni Peruggia avesse fatto uno scambio con qualche collezionista? La Gioconda originale, con la balaustra e le sopracciglia, contro quella esposta al Louvre, e poi diventata iconica. Se oggi la consideriamo l'unica Gioconda vera, è perché l'abbiamo vista riprodotta dappertutto: ma sappiamo che Leonardo ne dipinse più d'una (anche una versione young adult), e che nel corso dei secoli varie copie d'autore furono scambiate per l'originale. Patrizio decide di indagare. Ricorda che a un certo punto nel XVIII secolo la Gioconda custodita a Parigi era stata messa via, non era più considerata quella originale. Perché? Ne era stata trovata una copia migliore? Nel frattempo, tutta una serie di riflessioni su cos'è la Gioconda, perché la gente fa la fila per vederla anche se può vederla dappertutto, perché Leonardo decise di portarla con sé e farla invecchiare, la Gioconda di Duchamp e quella di Warhol, cos'è il falso e l'autentico ecc. ecc. Se vende un decimo di Dan Brown, mi sistemo. Se pensi anche tu che ci sia del potenziale - e sulla Gioconda del Louvre hai qualche dubbio puoi votare per La falsa e vera Gioconda, che oggi se la gioca contro Il chiar di Luna non passerà. Potete cliccare sul tasto Mi Piace di Facebook, o linkare questo post su Twitter, o scrivere nei commenti che questo pezzo vi è piaciuto. Grazie per la collaborazione, e arrivederci al prossimo spunto.
Il più grande furto d'arte di tutti i tempi, forse
22-08-2014, 08:00Almanacco, arti contemporanee, arti figurative, Leonardo sells outPermalinkI ladri fotografati mente si portano via l'Urlo in pieno sole. |
Definito da Arthur Lubow "la Gioconda dei nostri tempi", l'Urlo di Munch ha in comune anche la complicata questione dell'originalità: non esiste 'un' Urlo, ma almeno quattro versioni d'autore, tutte considerate originali. Persino il furto dell'Urlo, dieci anni fa, non è originale: nel '94 un'altra copia era sparita dieci anni prima, sostituita da un biglietto in cui si ringraziava la galleria nazionale di Oslo per la scarsa sorveglianza. Due anni fa una versione a pastello è stata battuta da Sotheby's per 119 milioni di dollari; solo un Francis Bacon è stato venduto a un prezzo più alto. Attualmente quell'Urlo è la decima opera d'arte al mondo per quotazione, in una classifica guidata dai giocatori di carte di Cézanne, dove la Gioconda neanche compare (non c'è più nessun maestro del Rinascimento: tutti spodestati a partire dagli anni '80). A proposito, quanto costa la Gioconda?
Difficile dirlo. L'ultima volta fu assicurata per cento milioni di dollari (durante il tour americano del 1962, in cui incontrò anche Kennedy - i Beatles due anni dopo non fecero in tempo). Tenuto conto dell'inflazione, oggi sarebbero 780 milioni, più del doppio del quadro di Cézanne. Ma è una cifra senza senso: l'assicurazione non è stata rinnovata. Il Louvre ha ritenuto preferibile investire in sicurezza. Peraltro, a questo punto l'oggetto è diventato talmente iconico che persino un mitomane, un terrorista o qualsiasi Etostrato non potrebbe che distruggerne l'involucro esteriore, quella fragile tavola di legno che è destinata a deteriorarsi comunque nel giro di qualche secolo. L'immaginario collettivo non ci perderebbe nulla: l'immagine ormai è fissata in miliardi di terabyte che saranno nella nuvola finché ci sarà un'umanità interessata a questo tipo di cose. Anzi, una fine tragica renderebbe l'icona ancora più indelebile nelle nostre coscienze. Anche il Louvre in realtà non avrebbe che da perdere un quadro molto complicato da gestire e custodire: la fila che oggi si forma davanti al capolavoro si sbrigherebbe a trovare qualche altra opera-feticcio; non è che la gente abbia smesso di andare a NY perché non ci sono le due torri (tutto il contrario, direi). Insomma Monna Lisa a levarsi di mezzo ci farebbe quasi un piacere.
E poi magari a quel punto salterebbe fuori l'originale.
10 gioconde più originali dell'originale
21-08-2014, 15:07Almanacco, arti figurative, Leonardo sells outPermalinkBerlusconi, ci scommetto, mi preferisce. |
La prima reazione è uno choc. La Gherardini ringiovanita sembra uscire da una copertina di Visto: come se, esasperata da un secolo di speculazioni sul suo stato di salute (alta glicemia, bruxismo, ecc.) avesse optato per una plastica facciale. Salvo che nessuno riesce a farle così bene. La seconda è un tentativo di esorcizzare un'idea che stravolge tutto quello che sai di un'opera che credi di riconoscere: chi è il folle collezionista che a un certo punto ha deciso di commissionare la versione ringiovanita di un capolavoro? E, viste le premesse di dubbio gusto, com'è possibile che il risultato sia così convincente?
La chiave sta nei dettagli - le colonne, in questo caso. Un falsario non le mette: un allievo di Leonardo sì, perché anche Leonardo in un primo momento ce le aveva messe (Vasari vide colonne e balaustra in una delle versioni più antiche). Le mani sono leggermente più scure del volto, come capita spesso nei suoi ritratti. Anche a non voler dare troppo credito alla perizia di parte che afferma che la tavola è del primo Cinquecento, rimane l'evidenza: la Mona Lisa ritrovata nel primo dopoguerra da un collezionista inglese in una placida villa del Somerset non è un tentativo meccanico di ringiovanire un soggetto adulto. L'ipotesi inversa - che Leonardo abbia cominciato il ritratto molto presto, e lo abbia sottoposto a continue modifiche - combacia viceversa con alcune cose che sappiamo di lui (la sua abitudine a non lasciare mai nulla di finito) e altre che abbiamo cominciato a raccontarci: la Gioconda come ritratto della madre o addirittura autoritratto dell'autore. Forse, più semplicemente, Leonardo sentiva il quadro talmente suo che decise che sarebbero invecchiati assieme. Questo spiegherebbe anche l'evanescenza del velo nella versione del Louvre, dove se non state attenti nemmeno lo notate: nella Gioconda giovane non c'è, ma se decidi di farla crescere devi mettercelo per forza: solo le donne di malaffare posano coi capelli sciolti e scoperti (e senza un anello al dito).
Ce l'ho mica scritto in fronte |
Se ne stava placida da secoli in uno scantinato del museo di Madrid, la classica copia d'autore di fattura pregevole ma di scarso interesse. Finché qualche anno fa qualcuno ha pensato di dare un'occhiata seria sotto lo sfondo nero, che fino ad allora sembrava l'ammissione di inferiorità di un falsario negato coi paesaggi. E' saltato fuori che sotto la mano settecentesca di nero c'era un paesaggio straordinario, non del livello dell'originale, ma meglio conservato: e databile nel primo Cinquecento (le colonne ci sono ancora, benché relegate all'estremità della tela). E' di Leonardo? La pennellata ci dice di no, manca lo sfumato. La riflessografia però ci dice che il pittore, che lavorava su tela, ebbe fino a un certo punto gli stessi ripensamenti che Leonardo nascose nella tavola. La Gioconda del Prado dunque sarebbe stata dipinta in contemporanea con l'originale - qualcuno si è anche ingegnato a calcolare l'angolo tra i due pittori, rispetto al soggetto. Forse l'unico modo di non rinunciare all'originale era lasciare dietro di sé qualche buona copia che testimoniasse una o più tappe del work in progress (e che si poteva anche smerciare facilmente).
Il sorriso della Gioconda del Prado ha una sfumatura ironica che risalta se la accosti all'originale. Sembra dire: io? La Gioconda? Ma figurati.
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E se la Gioconda non fosse 'quella vera'?
21-08-2014, 02:08Almanacco, arti figurative, Leonardo sells outPermalinkDue anni dopo l'affare era ormai archiviato. Poliziotti e gendarmi avevano interrogato chiunque, perquisito dappertutto. Era stato sospettato persino il giovane Pablo Picasso; si era fatto una notte in cella anche il povero Apollinaire per quella sua tirata futurista sui musei da sventrare - ma anche per le accuse di un'ex, mitomane e piuttosto vendicativa. Niente, nessuno ne sapeva davvero niente, e la Gioconda non c'era più. Chissà dove se n'era volata. Che dire: cose che capitano - no, in realtà no, c'è una prima volta di qualsiasi cosa, e il furto della Gioconda fu il primo grande colpo in un museo pubblico. Evidentemente la sicurezza era un po' da ripensare. Fino a quel momento si era probabilmente pensato che certe opere si difendessero da sole: chi mai avrebbe pensato di procurarsi illegalmente un Leonardo originale? Erano ancora begli oggetti che meritavano di essere visti anche a costo di lunghi viaggi e costosi - tanto più che le riproduzioni stampate non potevano assolutamente reggere il confronto con l'originale. Proprio per questo motivo, non c'era ancora la necessità di trasformarli in qualcos'altro: in simboli, cifre, capolavori ineffabili.
Non c'era nemmeno bisogno di esorcizzare il senso di delusione che provi quando arrivi lì e scopri che l'opera è esattamente come l'hai vista su un buon libro - e dunque qual è il senso di tutto il tuo viaggio?
Bastardi senza estetica
18-02-2014, 12:0821tw, arti contemporanee, arti figurative, cinema, Cosa vedere a Cuneo (e provincia) quando sei vivoPermalinkC'è un treno che sta per partire da Parigi, pieno zeppo di capolavori che Paul Labiche non saprebbe riconoscere. Lui è solo un ferroviere nella Resistenza. Ed è Burt Lancaster, quindi il Terzo Reich quel treno se lo può scordare. Che gran film, Il treno di Frankenheimer. Che voglia di correre a casa a guardare Burt che suda e schioda traversine, invece di restare in sala a guardare i Monuments Men, domandandoci continuamente se è più un problema di messa in scena confusa, di scrittura sfilacciata, o di produzione distratta: se insomma le responsabilità del disastro vanno maggiormente ascritte al regista (George Clooney), allo sceneggiatore (George Clooney) o al produttore (George Clooney). Bella lotta.
“Labiiiiche! Cosa sono questi quadri per te? Come una collana di perle per uno scimmione!” |
Sono gli Alleati, piuttosto, a sembrare piuttosto disinteressati ai patrimoni dell’umanità. La squadra dei Monuments Men è un’armata brancaleone che deve raggiungere il teatro delle operazioni con mezzi di fortuna. Generali e sottufficiali non gli danno retta né copertura; continuano a ripetere che non lasceranno morire un solo uomo per salvare una stupida cattedrale. Ai buoni la bellezza più di tanto non interessa. È un bene di lusso, la trovi più facilmente nel museo del condottiero vittorioso. Montecassino non l’hanno mica distrutta i nazisti. Quanto a Dresda… ehi, George, hai mai sentito parlare di Dresda?
Ecco. Si può fare un film sul patrimonio artistico minacciato dalla Seconda Guerra Mondiale facendo finta che Dresda non sia stata completamente carbonizzata dai bombardieri angloamericani? Mentre George e colleghi si aggirano nelle retrovie del fronte occidentale, disperati perché non riescono a trovare qualche figurina mancante nell’album della cultura occidentale, la capitale culturale della Sassonia sta bruciando a mille gradi centigradi. Della Madonna Sistina di Raffaello coi suoi putti pensosi, e di centinaia di altre opere importanti della Gemäldegalerie Alte Meister, non sarebbe rimasta che cenere – se i rapaci nazisti non avessero pensato per tempo a nasconderle. Le ritroverà la Brigata Trofeo dell’Armata Rossa, che il film tratta più o meno come una banda di ladri al soldo di Stalin: e però i sovietici dopo qualche anno le opere le riportarono a Dresda. Insomma, salta fuori che i predoni hanno salvato più opere dei Salvatori dell’Umanità. I buoni hanno altre priorità – soprattutto se sono democratici ed è nell’interesse elettorale dei loro leader ridurre al massimo le proprie perdite bombardando dall’alto obiettivi non necessariamente militari. Se per sconfiggere i cattivi c’è da radere al suolo una città non si preoccuperanno di due o trecento opere d’arte inestimabili.
Piuttosto di accreditare una tesi del genere, Clooney finge che Hitler abbia ordinato ai generali in ritirata di distruggere il bottino di guerra. Le cose non stanno esattamente così: il famigerato “decreto Nerone” intimava agli ufficiali di fare terra bruciata dietro di sé, ma non parlava di opere d’arte; in ogni caso il decreto non fu di dominio pubblico che alla fine della guerra, e nelle settimane precedenti era comunque evidente che Albert Speer e i sottoposti non lo stavano eseguendo. Un discorso a parte meriterebbe l’arte contemporanea, che i nazisti (non tutti) distruggevano in quanto degenerata: ma è un discorso che Monuments lambisce appena. È un film sull’arte che di arte parla pochissimo: non c’è nemmeno il tempo per nominare gli autori della Pala di Gand, che nel film è la Pala di Gand-punto-e-basta: nessuno ci spiega cosa la renda la figurina più importante dell’album. Non è che Frankenheimer si intendesse molto di più della quadreria che stipava nel Treno; ma almeno adottava il punto di vista di un ferroviere ignorante che ha una questione privata con uno spocchioso collezionista tedesco. Invece gli amici di Clooney sono architetti, curatori di musei, collezionisti: e non ce n’è uno a cui scappi di spiegarci perché la tale opera è importante, perché valga la pena di combattere per riaverla. Monuments Men è un film che se ne va in giro per le sale tronfio come certi milionari texani che si comprano un Van Gogh e lo infilano in cassaforte senza neanche darci un’occhiata. Che lo abbia scritto e diretto un liberal come George Clooney è una cosa che imbarazza e addolora.
Monuments Men è al Cityplex di Alba (20:00, 22:15); al Cinelandia di Borgo S. Dalmazzo (20:10, 22:45); al Multisala Impero di Bra (20:15, 22:30) ai Portici di Fossano (21:15); al Politeama di Saluzzo (20:00, 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20, 22:30). Invece Il Treno è da qualche parte in streaming, un patrimonio dell’umanità.
Pimp My Cathedra
22-02-2013, 12:49arti figurative, pontefici, santiPermalink22 febbraio - Cattedra di San Pietro, panca medievale incastonata in un capolavoro visionario.
Un Papa può decidere che non è più in grado di fare il Papa? Certo che può (lo prevede anche il Diritto Canonico): è infallibile. Ma un Papa che dice di non essere più infallibile, ammette di potersi sbagliare; e quindi potrebbe anche sbagliare quando dice di non essere più in grado di essere il Papa, cioè infallibile... ma può essere infallibile anche quando annuncia di non poter esserlo più? Se non è più infallibile, forse si sbaglia anche quando dice che non è più infallibile... non se ne esce. Ma è solo un passatempo per sofisti. E poi: chi l'ha detto che il Papa è infallibile?
Siccome non si registrano rivelazioni divine al riguardo, non può che essere stato un altro Papa, per definizione (chiunque altro lo avesse detto poteva pur sempre sbagliarsi). Invece Pio IX preferì parlarne al Concilio Vaticano Primo nel 1870 - lui non è che nutrisse molti dubbi in riguardo, però preferiva che nessuno ne avesse. Il giorno prima del voto una sessantina di vescovi lasciò Roma in silenziosa protesta. Ci fu anche un piccolo scisma con alcune comunità sparse tra Svizzera Germania e Paesi Bassi - i "vecchi cattolici". Di lì a poco la Prussia dichiarò la guerra alla Francia e il concilio fu sospeso; dalla guerra dipendeva anche il destino di quel che restava dello Stato della Chiesa, di cui Napoleone III era il migliore alleato. Infallibile in materia di fede, Pio IX evidentemente non lo era quando si trattava di scegliere le alleanze, perché la guerra fu subito un disastro, Napoleone scappò, Parigi issò la bandiera rossa, e il 20 settembre a Roma arrivarono i bersaglieri italiani - si sa che gli italiani hanno una vocazione per attaccare chi ha già perso contro qualcun altro. Il concilio rimase sospeso a data indeterminata: solo nel 1962, quando Papa Giovanni (VOTA BERSANI) volle aprirne un altro, ci si ricordò che era rimasto aperto tutto il tempo, come un'imposta in solaio, e lo si chiuse ufficialmente. Insomma, il Papa ha governato la Chiesa e il suo Stato per un millennio e mezzo senza sostenersi infallibile; appena ci ha provato si è trovato i piemontesi in Vaticano, forse questo potrebbe significare qualcosa, forse.
Comunque nemmeno Pio IX sosteneva di essere infallibile in qualsiasi cosa dicesse: il Papa lo è solo quando parla ex cathedra, dall'alto della sua autorità suprema di vicario di Cristo, a proposito dei dogmi della fede. Il problema è che il Papa di fede ne parla continuamente, ci mancherebbe, è il suo mestiere: è infallibile ogni volta? Secondo alcuni no, l'infallibilità "tecnica" sarebbe stata usata una volta sola, da Pio XII nel 1950 per proclamare l'Assunzione di Maria. Ma ci sono delle ambiguità, dei non detti, che permettono ad alcuni di considerare infallibile il Papa ogni volta che dice due cose dal balcone. L'ambiguità non è accidentale, bensì necessaria, tiene aperto alla Chiesa e ai suoi pastori lo spazio per eventuali retro-front: metti che a un certo punto si accorgono che si sono sbagliati ad es., sul Limbo: "ah sì, ma quelle erano soltanto ipotesi, mica parlavamo ex cathedra". Per poter essere davvero infallibile, il Papa ha bisogno che la sua cattedra si veda un po' sì e un po' no, come certi insegnanti che un momento scherzano e il momento dopo ti stanno facendo il quinto grado - ma forse stanno scherzando ancora - no aspetta mi ha messo un quattro sul registro maledettobastardofigliodi - i Papi come tutti si riservano il diritto di cambiare idea, solo gli imbecilli non lo fanno mai, e quindi alla fine non si sa mai esattamente se stanno parlando ex cathedra o no. La cathedra del Papa non è come il martelletto del giudice, che trasforma le sue parole in sentenza dotata di valore reale, effettivo: la cathedra è come sospesa nell'aria, un po' c'è, un po' no, e la cosa incredibile è che molti secoli prima Gian Lorenzo Bernini già lo aveva capito (continua...)
Che è successo sotto il fico?
24-08-2012, 02:52arti figurative, etimologie, santiPermalinkQuando Papa Gregorio XIII seppe del massacro, ne fu molto lieto, e commissionò al Vasari questa graziosa scenetta edificante. |
Buongiorno! Passata una buona notte di San Bartolomeo? Vi siete ricordati di ferire almeno un protestante o, se non ne avevate a tiro, un miscredente qualsiasi? Neanche una bastonatina, un pestotto di piedi, un buffetto, niente? e vabbe', poi non lamentatevi se si perdono le tradizioni. Comunque ormai il 440esimo anniversario della strage degli ugonotti è andato, concentriamoci sulla figura (piuttosto sanguinolenta, vi avverto) di Bartolomeo Apostolo. Cosa sappiamo di lui?
Quasi niente, come al solito. In sostanza Bartolomeo nei vangeli è una comparsa, un nome. Il nome però è interessante, perché è fatto di una particella aramaica, "Bar", che si usa per costruire il patronimico (vuole dire "figlio di"), e "Tolomeo", che invece è un nome greco con una lunga storia che riassume tutta l'era ellenistica: è il nome del generale macedone che segue Alessandro il Grande in capo al mondo, per ritrovarsi alla fine in Egitto e fondare l'ultima dinastia dei faraoni. In realtà esiste anche il nome "Talmai" in ebraico e in aramaico, però non è da escludere la possibilità che il nome sia diventato popolare nell'area medio-orientale con la diffusione dell'ellenismo, quella forma antica di globalizzazione a cui gli ebrei avevano opposto il loro senso di appartenenza a una tradizione e a un unico Dio. Ai tempi di Gesù comunque ormai la lingua dei colonizzatori, il greco, era penetrata fino ai patronimici, fino a saldarsi con le particelle aramaiche. Quando compaiono nomi come "Bartolomeo", tu capisci che il melting pot ha funzionato. Prendi un accrocchio come "Bart Simpson": all'orecchio mondiale suona perfettamente americano - ed è stato scelto proprio per questo - ma poi cominci a smontarlo e ti accorgi per esempio che in "Simpson" c'è una radice latina, simplex: anche se l'originale inglese era Simme, e non aveva lo stesso significato, il cognome è stato evidentemente scelto per l'assonanza con un termine che allude alla semplicità, diciamo, della famiglia media americana. Poi c'è "son", che in tutta l'area germanica significa "figlio" e come suffisso funziona più o meno come il prefisso "bar" aramaico. Insomma, nelle tre sillabe di Bart Simpson c'è il latino, il germanico, l'aramaico, e in quella "t" resta anche una traccia di greco - ma del nome greco di un macedone diventato faraone d'Egitto. I nomi sono storie, che rimastichiamo tutti i giorni mentre parliamo d'altro (continua sul Post...)
Da porcospino a icona gay
21-01-2012, 13:03arti figurative, omofobie, santiPermalink...A parte offrire il torso a frecce tutt'altro che metaforiche. Comunque se avete notizie più precise, potete commentare sul Post. Alla prossima.
Era oltre ciò uomo allegro, licenzioso, e teneva altrui in piacere e spasso, con vivere poco onestamente; nel che fare, però che aveva sempre attorno fanciulli e giovani sbarbati, i quali amava fuor di modo, si acquistò il sopranome di Soddoma, del quale, non che si prendesse noia o sdegno, se ne gloriava, facendo sopra esso stanze e capitoli e cantandogli in sul liuto assai commodamente. (continua…)
Onde, avendo i fanciulli a gridare come si costuma dietro al palio et alle trombe il nome o cognome del padrone del cavallo che ha vinto, fu dimandato Giovan Antonio che nome si aveva gridare, et avendo egli risposto Soddoma, Soddoma, i fanciulli così gridavano. Ma avendo udito così sporco nome certi vecchi da bene, cominciarono a farne rumore et a dire: “Che porca cosa, che ribalderia è questa, che si gridi per la nostra città così vituperoso nome?”. Di maniera, che mancò poco, levandosi il rumore, che non fu dai fanciulli e dalla plebe lapidato il povero Soddoma, et il cavallo e la bertuccia che avea in groppa con esso lui.
La Madonna ti dà una mano
05-12-2011, 18:32arti contemporanee, arti figurative, santi, vignette satanichePermalink4 dicembre - San Giovanni Damasceno (676ca.-749ca.), dottore della Chiesa
Il calendario dei Santi è un oggetto infido. Certe settimane non sai più a che Santo votarti, non ce n'è uno che ti ispiri; poi magari in una grigia domenica di dicembre ti piazza due pezzi da novanta come Santa Barbara, patrona della folgore, degli artificieri e di una ridente contea californiana; e San Giovanni Damasceno, l'Ultimo dei Dottori dell'Est. La prima ha scalzato dal suo patronato nientemeno che Giove Pluvio, il secondo ha fatto crescere una mano alla Madonna. Non me ne voglia la Santa così esplosiva da essere divenuta sinonimo di arsenale, se scelgo il secondo che per una volta è un personaggio storico; però davvero Giovanni “tre mani” di Damasco presenta notevoli motivi d'interesse.
Per prima cosa, al secolo si chiamava Mansour Ibn Sarjun, e probabilmente era di etnia araba, in un momento in cui Damasco con tutta la Siria erano ormai definitivamente entrate a far parte del Califfato e del mondo islamico. Per cui la prossima volta che dal barbiere sentite dire che le moschee in Italia non è giusto farle perché gli arabi non ci lasciano fare le chiese là, poi potreste obiettare che “là” è un termine vago, che in Egitto ci sono chiese per almeno dieci milioni di cristiani, e che in Siria persino ai tempi degli antichi Califfi un arabo cristiano poteva mantenere un lignaggio di alto funzionario e produrre teologia ai massimi livelli, tant'è che Mansour-Giovanni di Damasco è il vero eroe dell'ultimo vero Concilio della Chiesa unita, con esponenti occidentali e orientali, il Niceno Secondo; a quel punto probabilmente nessuno oserà più obiettare, ma se ci provano voi aggiungete, perentori, che se non ci fossero stati i musulmani a proteggerlo, la mano sinistra Giovanni l'avrebbe persa davvero. Perché la leggenda dice che gliela fece tagliare il Califfo, sì, ma soltanto su istigazione dell'Imperatore cristiano di Costantinopoli, Leone III, che fece avere quest'ultimo dei documenti top secret in cui Mansour-Giovanni veniva descritto come uno dei capi di una fantomatica rivolta cristiana.
Tutte infamie, calunnie, illazioni; la verità – che filtra anche da una leggenda farlocca come questa – è che l'unico vero nemico di Giovanni era l'imperatore Leone III, l'iconoclasta che a partire dal 730 bandì e fece distruggere tutte le immagini di Cristo e dei Santi dalle chiese bizantine. Giovanni invece fu la voce più autorevole degli iconoduli, quelli che volevano continuare a venerare mosaici, affreschi e legni policromi. Sulle prime Leone sembrò averla vinta: aveva dalle sue non soltanto il potere militare, ma anche una certa insofferenza del popolo minuto nei confronti del clero e dei monaci, che di icone facevano già un grosso commercio. C'era poi da dare risposta a una sensazione diffusa: che il cristianesimo con le sue figurine fosse un po' la religione del passato, che la novità dell'ottavo secolo fosse questa nuova fede semplice, guerriera, minimale: l'Islam. Anche i musulmani erano iconoclasti, sin da quando Maometto aveva distrutto gli idoli presso la Ka'ba.
Ma in fondo Gesù non aveva fatto qualcosa di simile scacciando i mercanti dal tempio? E Mosè, fondendo il vitello d'oro e facendolo inghiottire ai suoi stolti adoratori? Non era forse scritto nel Libro dei Libri: non ti farai alcuna immagine [di Dio]? Per uno strano paradosso, dal momento che gli iconoclasti si presentavano come i nemici delle superstizioni, a fare di Leone III e di alcuni suoi successori degli iconoclasti fu un riflesso superstizioso: la tendenza a vedere nelle proprie disfatte militari, o nelle eruzioni dei vulcani, la reazione di un Dio irritato con tutti quelli che pretendevano di ritrarlo in figurine e adorare il legno o il marmo. Tutto questo mentre sull'altro lato del confine l'Islam iconoclasta fioriva e si espandeva, riempiendo il Medio Oriente e il Maghreb di arabeschi e intricate architetture astratte. Insomma, ci fu un momento tra ottavo e nono secolo in cui sembrava che il futuro del Mediterraneo sarebbe stato iconoclasta: anche Carlo Magno era tentato dal fare pulizia nei santuari (era anche un'ottima scusa per raccattare parecchio oro e preziosi), forse se i sovrani bizantini avessero tenuto duro avremmo avuto anche noi un Alto medioevo astratto e poligonale...
Nel frattempo, nel suo monastero nel deserto, Giovanni-Mansour preparava il contrattacco. (Continua...)
La mano fatta mozzare dal Califfo, vuole la leggenda, gliela fece ricrescere la Madonna, per la quale Giovanni aveva una devozione speciale (come teologo non teorizzò soltanto la sua verginità, ma anche quella della madre, Sant'Anna: così Maria si ritrova a essere vergine, figlia di vergine e madre di vergine, tutta una dinastia). Da un'icona della Madre di Dio, adeguatamente venerata, uscì una mano nuova che si andò ad attaccare al moncherino del Santo: è una leggenda, appunto, anche se molte icone orientali mostrano una Madonna con una mano in più che sembra uscire dal quadro. La verità è che mentre i preti iconoduli oppositori di Leone III venivano perseguitati e degradati, obbligati a passeggiare mano nella mano con una donna (punizione suprema!)... nel suo eremo in mezzo all'Islam, Giovanni era l'unico teologo in lingua greca libero di criticare Leone quanto voleva: agli islamici iconoclasti non doveva affatto dispiacere tenersi in casa l'eretico dei propri avversari. La sua risposta ai nemici delle icone è sottile: Giovanni chiarisce da subito che gli iconoduli non adorano la materia (il legno delle icone, il marmo delle statue), ma la venerano, sì, perché no? Dopotutto anche la materia è opera di Dio; non solo, ma è attraverso la materia che Dio, facendosi uomo, ha salvato i cristiani. “Non offendere dunque la materia: essa non è spregevole, perché niente di ciò che Dio ha fatto è spregevole”. Qui si capisce che non c'erano in gioco soltanto le rendite delle manifatture di icone e dei santuari forniti di reliquie. Siamo all'ultimo round di una lotta che è durata secoli, nel cristianesimo orientale, tra spregiatori della materia (gnostici, ariani, monofisiti) e rivalutatori della medesima. Le omelie di Giovanni, scritte in un Greco semplice (ma Mansour era un erudito coltissimo, oltre a un musicista e poeta raffinato) passano rapidamente il confine e infiammano il dibattito.
Alla fine, anche grazie a un'imperatrice affezionata alle sue icone di famiglia, l'iconoclastia sarà rigettata come eresia. Cinquant'anni più tardi un'altra sconfitta militare e un altro imperatore perplesso rimetteranno in gioco tutto quanto, ma ormai la strada è segnata: di là dal confine l'Islam diventerà sempre più iconoclasta e astratto (ben presto dopo Dio anche Maometto diventerà irraffigurabile); al di qua produrre icone diventerà sempre più redditizio: le icone foreranno la seconda dimensione, gli italiani scopriranno la prospettiva, nel Quattrocento si riapproprieranno delle forme della classicità... e così via, fino al realismo moderno, che forse non avrebbe messo il corpo umano al centro della scena, se mille anni prima Giovanni Damasceno non avesse intimato ai cristiani di non offendere la materia. Forse. Certo, di sussulti iconoclasti nella nostra Storia ce ne sono stati altri. Per esempio la riforma protestante, che sostituì la lettura e la meditazione della Bibbia alla venerazione per le immagini; per la verità in molti distretti di Francia e Germania i contadini iniziarono a mozzare le statue delle chiese prima ancora di imparare a leggere, segno che pure in questo caso Lutero non faceva che dare un volto a un'avversione condivisa. Insomma, è curioso, ma periodicamente la gente si stanca delle icone. Curioso ma fino a un certo punto, in fondo un certo tipo di iconoclastia popolare e istintiva esiste ancora oggi, anche se lo chiamiamo vandalismo. Ed esiste anche l'iconoclastia degli intellettuali: almeno fino a qualche anno fa “iconoclasta” era un complimento, specie quando si rivolgeva agli artisti. “Il suo talento iconoclasta”. “La sua furia iconoclasta”. Il culmine della modernità sembrava in effetti la distruzione delle icone – e quindi anche dell'arte in sé.
Oggi, anche se “iconoclasta” conserva ancora qualche residuale eleganza, mi pare che si apprezzi ancora di più il termine “icona”. L'icona della rivolta, l'icona del cambiamento, l'icona gay, la postmodernità sembra dedicarsi con sommo zelo alla produzione di icone. È un atteggiamento più pragmatico: artisti e comunicatori in fondo hanno accettato che anche la distruzione delle icone è un'icona. Axl Rose, per fare un dotto esempio, non è mai stato tanto idolo come quando sfoggiava la scritta Kill Your Idols. Prima non riconoscevamo più il sacro, ora siamo pronti a riconoscerlo in Lady Gaga. È il postmoderno. Ma mi domando se non sia anche una sorta di reazione alla civiltà iconoclasta che ci è cresciuta accanto: l'Islam. Nel medioevo ci ha dato l'aritmetica e l'arte calligrafica, trionfi di un atteggiamento 'astratto' nei confronti dei fenomeni. In seguito sembrava aver ceduto al materialismo dei coloni europei. Il moderno integralismo religioso coincide con una nuova stagione iconoclasta. I talebani si presentano al mondo facendo saltare due statue di Buddha, anche se il mondo per l'occasione lì degnò appena di qualche occhiata di sdegno. Andò diversamente sei mesi dopo: buttar giù le due torri di Babele del World Trade Center, quello sì fu il vero gesto iconoclasta.
Dunque è così, la guerra tra iconoclasti e iconoduli non è finita? Siamo ancora arruolati? Non lo so, credo che nemmeno Giovanni (Mansour) oggi sarebbe sicuro di capire da che parte siamo della barricata. Prendiamo il caso delle vignette. A un certo punto alcuni disegnatori europei si sono fatti un punto d'onore nel voler mostrare il volto di Maometto, infrangendo un divieto che non è nemmeno nel Corano ma che è ormai prassi da più di un millennio. In gioco cosa c'era esattamente? L'idea che qualsiasi raffigurazione, qualsiasi icona, in Occidente sia possibile. Il fatto che ci sia anche un solo volto, che per questioni delicate non si può mostrare, appare agli occidentali, iconoduli da più di mille anni, semplicemente scandaloso. Non solo si può mostrare tutto: tutto deve essere mostrato, altrimenti siamo fuori dalla civiltà. E tutto deve essere mostrato a scopo di potersene burlare: il volto di Maometto non può essere al di sopra di quell'autorità suprema che è la Satira Occidentale. Ora, fermo restando che per me ha sempre torto chi usa l'esplosivo, mi resta il dubbio su chi in questa situazione sia il vero iconoclasta: gli autori di Charlie Hebdo che reclamano il diritto a raffigurare e farsi gioco anche dell'immagine del Profeta, o gli integralisti che gli fanno saltare in aria la redazione? Più iconoclasta il libico che protesta contro la maglietta scema di Calderoli o il ministro Calderoli che in piena emergenza mondiale sul terrorismo islamico si sforza di offendere qualche musulmano con una maglietta scema?
In fondo anche Charlie Hebdo era l'icona di un'istituzione sacra all'Occidente: la Satira o la Libertà di Espressione. Chi è il vero iconoclasta, l'integralista Osama che per lottare contro il Grande Satana non disdegnava di mostrare in video la sua figura ieratica, o il democratico Obama che dopo averlo dichiarato morto non ha voluto né divulgare foto, né indicare il luogo di sepoltura? La motivazione ufficiale è che non si voleva creare un monumento, o altri materiali per future icone. Del suo martirio di Osama non circolerà alcuna immagine: sul suo volto devastato dalla sparatoria Obama ha tirato una tendina, simile a quelle che usavano i pittori medievali per coprire il volto dell'irraffigurabile Maometto. C'è dell'ironia. E c'è dell'iconoclastia. Ma non si capisce da che parte del velo.
Cecilia vuole silenzio
22-11-2011, 14:22arti figurative, musica, santiPermalinkChé magari lei vuole solo dormire. (Cecilia, you're breaking my heart si legge sul Post, ovviamente, l'unico magazine on line con Paul Simon titolista).
22 novembre - Santa Cecilia, vergine e martire (100-200 ca.)
Tra i Santi ci sono, come tra noi, celebrità indiscusse e perfetti sconosciuti; e come tra noi, a volte a fare la differenza è un nonnulla: ci sono Santi che si sono sbattuti tutta la vita e non li conosce nessuno, Santi che passavano di lì per caso e hanno santuari in tutto il mondo. Perché a fare la fortuna di un Santo sono elementi imponderabili, per esempio gli errori di trascrizione. Voi non avete idea di cosa possano combinare gli errori di trascrizione. Prendi Santa Cecilia: pale d'altare di Raffaello, canzoni di Simon e Garfunkel, insomma, una star. E cosa ha fatto per meritarsi tutto questo? Niente. Oddio, “niente”: ha pur sempre dato la vita per testimoniare il Vangelo durante le persecuzioni dei primi secoli. Ma come lei tanti altri martiri romani che non ci hanno lasciato altro che un nome, e che in mancanza di testimonianze circostanziate sono stati successivamente raschiati dai calendari. Cecilia invece è sopravvissuta, diventando addirittura patrona dei musicisti, che di Santi in paradiso avevano un disperato bisogno. Come ha fatto? Qual è stato il suo segreto? Un errore di trascrizione, appunto.
Sul serio. Non è tanto il romanzesco resoconto del suo martirio, che come molti del suo genere (le Passiones) è probabilmente da attribuire alla fantasia di monaci medievali reclusi che un migliaio d'anni prima di Sade si dilettavano in racconti di vergini scuoiate, vergini accecate coi tizzoni, vergini dai seni mozzati, vergini squartate e così via. Cecilia, tra le altre cose, viene decapitata per tre volte, ovvero per tre volte il boia ci prova e tzoong! la lama rimbalza, ma no, non è con trucchi del genere che si resiste sul calendario. Accade però che l'antifona della Messa in suo onore reciti: “Mentre gli strumenti venivano scaldati (candentibus organis), la vergine Cecilia in cuor suo pregava per il Signore soltanto, dicendo: fa' sì o Signore che il mio cuore e il mio corpo restino immacolati affinché io non sia confusa". Dal contesto dovremmo capire che “gli strumenti” (organis) che venivano scaldati sono quelli di tortura. Però si sa cosa succede ai testi delle canzoni, a furia di cantarle: perdono il loro senso. Così a un certo punto qualche pittore comincia a raffigurare Cecilia accanto a un organo. Nelle versioni più recenti, infatti, lo stesso inno non dice più candentibus organis (“strumenti incandescenti”), ma “cantantibus organis”: organi che suonano. E anche Cecilia in fondo “decantabat”, che può significare “recitava le preghiere”, ma più tardi anche “cantava”, insomma a un certo punto (fine medioevo?) la scena sadica di gusto tardoantico si trasforma in un provino musicale, gli organi suonano e Cecilia canta, oh Lord show me the way. Da lì a patrona della musica il passo è breve; se ti ritraggono sempre con una tastiera nei pressi, insomma, un motivo ci sarà. Saprai suonarla, o no? O almeno saprai cantare. È un po' come la storia del maiale di Sant'Antonio Abate, che nei vecchi dipinti raffigurava il demonio tentatore nel deserto, ma in seguito è diventato sempre più un pacioso maialino padano, e alla fine il Santo si è ritrovato patrono degli animali da fattoria, che per un eremita del deserto egiziano è il colmo.
E Santa Cecilia? Di sicuro non ha mai neppure ascoltato un organo in vita sua. Magari era persino stonata, chi lo sa? Questo spiegherebbe alcune cose, ad esempio la sfiga dei musicisti. Tenete conto che nel paradiso cattolico ci sono delle autorità assolute in campo musicale: San Gregorio Magno (che ha dato almeno il nome al “canto gregoriano”, non so se mi spiego), Sant'Ambrogio, Sant'Alfonso de' Liguori, e ne dimentico senz'altro di importantissimi. Poi c'è questa Cecilia di cui non si sa quasi niente, fino al giorno in cui si scopre che l'hanno fatta patrona di tutta la musica, per un errore di trascrizione. E lei magari di musica non si era mai interessata, magari non sa distinguere un bemolle da un bequadro, magari voleva fare, che ne so, la parrucchiera; ma vallo a spiegare ai devoti. E ai pezzi grossi aureolati che hanno inventato il canto modale, oh, l'avranno senz'altro presa bene. Improvvisamente da Santa di serie B si ritrova sotto le luci della ribalta, destinataria di tutte le preghiere e lamentazioni di ogni musicista dell'occidente. Una cacofonia che farebbe impazzire un santo, ecco, appunto.
Spacco tutto, basta. |
Il dramma del compositore: la Musica è una santa capricciosa che certi giorni c'è, poi se ne va, poi torna ("Jubilation! She loves me again!"), ci fai l'amore per un pomeriggio, poi ti lavi la faccia e ti rendi conto che quella canzone che pensavi di aver concepito non è tua, è già di qualcun altro. È sempre stata di qualcun altro. Cecilia, perché ci spezzi il cuore così? Non potresti regalarci a tutti una melodia diversa? Perché ci hai dato solo sette note – dodici coi tasti neri? ("E che ne so io, deficienti, io non vi ho dato niente! io volevo fare la parrucchiera!")
Forse aveva capito tutto Raffaello Sanzio, ritraendola mentre spacca tutti gli strumenti che si trova davanti, con gli occhi volti al cielo e cinquecento anni di anticipo su qualsiasi Pete Townshend. Viole, clarini, organi, basta! Gli storici dell'arte spiegano che nelle orecchie sta ascoltando l'unica vera musica, che è quella celeste; Guido Reni apprezzerà quegli occhi al cielo e ne farà il marchio di fabbrica dell'Estasi seicentesca, ma noi sappiamo la verità: Cecilia spacca tutto perché non ne può più, Cecilia vuole silenzio!
Nel 1599, durante i soliti lavori per il solito giubileo, un cardinale rinviene il suo corpo, “perfettamente conservato” come si dice in questi casi: poi di solito uno non fa in tempo ad andare a controllare di persona che il corpo si è già deteriorato. A quel punto il cardinale decide di sostituirlo con una copia in scala 1:1 in marmo della salma, una statua iper-realista, che riproduca i resti di Cecilia esattamente nella posizione in cui erano stati ritrovati. Siamo a fine Cinquecento: le pose studiate e artificiali del manierismo stanno per cedere il passo alle pose teatrali ed eloquenti del barocco. Nel bel mezzo di tutto questo il giovane Stefano Maderno scolpisce Santa Cecilia, che è semplicemente una ragazza distesa che non respira più, e soprattutto non ti guarda. Le mani rilassate ti dicono che è morta, il volto a terra ti dice che riposa. Sul collo una cicatrice incredibile, il capo è avvolto in un velo, ma l'orecchio spunta fuori. Cecilia ci ascolta, non può farne a meno: ma non significa che quel che ascolta le stia piacendo. Cecilia forse vorrebbe solo dormire.
La mano non più invisibile
04-10-2010, 18:23arti contemporanee, arti figurative, ho una teoriaPermalinkAi milanesi, stranamente, piace (alla Moratti per prima). Ma è davvero così strano? E, a proposito: chi sta mostrando il dito a chi? (Scopritelo sull'Unita.it!) (E commentatelo qui!)
Croce e delizia
04-11-2009, 19:31arti figurative, Cristo, preti parlanti, scuolaPermalinkIo un crocefisso l'ho già tolto.
Due settimane fa, nell'intervallo. Stavo dando un'occhiata ai traffici loschi in zona distributore di merendine, quando vengono in due a dirmi che in Seconda è caduto Gesù. Mi reco immediatamente sul luogo del misfatto e interrogo i testimoni oculari. Chi è stato? Silenzio. Proiettili, elastici, palline di carta? Negano tutti, del resto non mi pare l'abbiano mai considerato un bersaglio; hanno una certa soggezione. Forse una vibrazione del pavimento, qualcuno che saltella o che va a sbattere contro la parete, una porta chiusa di scatto: sia come sia, sembra caduto da solo. Ne traggo auspici non buoni.
Ma in quanto insegnante ostento razionalità e pragmatismo. Do un'occhiata al Cristo in questione: è caduto per l'ultima volta. Frattura completa del polso sinistro, il destro era già partito mesi fa. O anni fa. Anche il chiodino sotto i piedi è sparito da molto. A questo punto mi spiace, ma finché qualcuno (chi?) non stanzia nuovi fondi, il crocefisso se ne resta nel cassetto in fondo.
Oggi l'ho rivisto in corridoio, però a grandezza naturale. Sanguinava copioso. Subito ho pensato a una rissa in IIC, poi mi sono accorto della corona di spine e della croce che portava in spalla, quindi, insomma, era Lui.
“Domine, quo vadis?”
“E non parlare latino, che tu sappia io ho mai saputo il latino?”
“No, che io sappia no”.
“Mi dà anche un po' ai nervi”.
“In effetti è comprensibile. Ma insomma, Signore, dove vai?”
“Dove vado, dove vuoi che vada. A farmi crocifiggere un'altra volta, vado”.
“Ma no, dai, Maestro...”
“...visto che la prima non è bastata”.
“Non te la prendere, ti prego. A scuola succede, le cose cadono, si rompono... ho dovuto metterti nel cassetto, ma ti giuro che...”
“Ma non ce l'ho con te, cosa c'entri te. Sei anche tu un povero cristo”.
“Grazie, Maestro”.
“Ce l'ho con i farisei, per prima cosa”.
“Aaah, i farisei”.
“Hai capito, no?”
“Beh, magari un aiutino...”
“Quelli che mi hanno preso per un simbolo della cultura, della tradizione. Una bandierina, praticamente. Aho', ma stiamo a scherzare?”
“Però anche la tradizione ha la sua importanza...”
“Cioè secondo voi io mi sono fatto inchiodare mani e piedi per rappresentare una tradizione? Cioè, siamo a questo? Babbo Natale, la Befana e Cristo in Croce? Magari vi aspettate che vi porti anche i regali?”
“Ma no, non dico questo, però...”
“Però niente. Li vedi questi chiodi qua? Li vedi?”
“Ehm, sì”.
“Sono autentici, va bene? Non sono un simbolo, sono una rappresentazione realistica. Duemila anni fa i ribelli li uccidevano così. Li esponevano su un trespolo finché non morivano soffocati. Perché fossero da esempio. Tutto molto razionale, ma anche molto teatrale, ma anche violentissimo, Dio Me! Io rappresento questo, va bene? Rappresento un supplizio capitale! Rappresento la crudeltà dell'uomo e la ribellione dell'uomo! Rappresento la Morte! Rappresento il...”
“Ehm, Maestro... forse sarebbe meglio abbassare un po' la voce”.
“Il Martirio!”
“Ssssssssssssh!”
“Cos'è, hai paura?”
“Maestro, in effetti sì. Siamo nel 2009, è pieno di bambini musulmani qui, e quella parola...”
“Quella parola è italiana, ha radici nel latino che ti piace tanto, è il fondamento della tua cosiddetta tradizione, sepolcro imbiancato che non sei altro”.
“Sì, sì, Maestro, è vero... d'altronde...”
“D'altronde?”
“Non puoi negare che suoni po', come dire... scandalosa”.
“E che m'interessa a me? Guarda che io non sono mica un santone indiano peace and love! Io non sono venuto a portare la pace, ma la spada”.
“Matteo Dieci Trentaquattro”.
“Appunto. Io sono lo Scandalo! Sono pornografia, non so se è chiaro! Un uomo trafitto da chiodi che grida dai vostri muri, che chiama al combattimento per la salvezza! Io sono questo, mica l'albero di Natale”.
“Ecco, Maestro, in effetti, se mi ci fai pensare, sì. Tu sei molto scandaloso. Molto più di quanto io quotidianamente possa sopportare”.
“Tuo problema, non mio”.
“Però succede un po' come con tutti gli spettacoli disgustosi... all'inizio non riesci a guardarli, ma se ti abitui a darci un'occhiata tutti i giorni, dopo un po' non ci fai più caso... diventi parte di uno sfondo familiare”.
“Ah, dici che è così? Va bene, allora toglietemi immediatamente”.
“Ma poi i Vescovi...”
“Tiratemi fuori solo ogni tanto, quando i fedeli meno se lo aspettano. Io non voglio passare sullo sfondo, io voglio spaventarvi”.
“Se la metti così...”
“E aggiungo una cosa. È proprio sulla mia consistenza di carne e sangue e ossa e chiodi che è fondato il realismo europeo, è chiaro? Se avete avuto Giotto Caravaggio e Mapplethorpe lo dovete solo a me! Esclusivamente a me!”
“Adesso, Mapplethorpe...”
“Adesso niente. Rileggiti Auerbach. Che se era per gli ebrei o per Maometto, con le loro menate filosofiche sulla non rappresentabilità del divino, a quest'ora eravate ancora lì a eccitarvi sui triangoli e gli ottagoni. Dario Argento deve tutto a me. Che dico. Tinto Brass...”
“Piano, Gesù, piano!”
“E adesso salta fuori che sono solo una tradizione. Il mandolino è una tradizione. La pizza è una tradizione. Appendete i mandolini e non rompete, io sono Gesù Cristo morto in croce, non ci credi?, vuoi toccare?”
“No, no, no, mi fido”.
“No, ma guarda, tocca”.
“Maestro, sul serio, io...”
“No, tu adesso tocchi. Il cristianesimo si tocca, va bene? Non è una menata filosofica: è carne e sangue, pane e vino. E i farisei lo sai che fine fanno. Finiscono in vomito”.
“Apocalisse Tre Quindici”.
“Precisamente. E poi ce l'ho anche coi Sadducei”.
“I sadducei”.
“Hai capito, no?”
“Ehm”.
“Ma perché perdo tempo con te. Matteo Ventidue Ventitré”.
“Quelli che non credono nella resurrezione”.
“Ecco. Non ci vogliono credere? Va bene. Che problema c'è? Nessun problema. Voi non ci credete, io non vi risorgo. Non esisto nemmeno, per voi. Facciamo che sono un pezzo di legno”.
“Quindi?”
“Quindi cos'è questa storia che mi denunciate a Strasburgo? Cosa posso aver fatto, se sono un pezzo di legno?”
“Dunque, se ho ben capito la sentenza, la tua presenza sul muro, in quanto pezzo di legno... impedirebbe ai loro figli di crescere secondo i principi dei genitori”.
“Vabbè, siamo alle comiche. Ma che principi hanno questi genitori, si può sapere?”
“Beh, presumo che si tratti dell'illuminismo, del razionalismo...”
“Non conosco, ma dev'essere un pensiero molto debole, se si cancella appena fissi un pezzo di legno. Cos'è, sono un totem, adesso? Se mi fissi ti faccio dimenticare la lezione? Mi volto un attimo e mi tornate all'età della pietra?”
“Maestro, ci vuole tolleranza...”
“Ma tolleranza di che. È come quelli che si sbattezzano. In teoria non credono nel battesimo. In pratica però hanno paura di restare segnati per sempre da uno schizzo d'acqua. Va bene, allora a questo punto chiamiamo Wanna Marchi che vi fa le carte e vi vende i numeri del lotto, a proposito, di che segno sei?”
“Maestro, ci vuole rispetto...”.
“Che poi, spiegami. Il genitore ha il diritto che il figlio sia educato secondo i suoi principi? Non suona un po' totalitario? E quindi ti cresci un piccolo a tua immagine e somiglianza, che creda solamente nelle cose in cui credi in te, e poi la prima volta che lo lasci libero nel mondo, lui vede due legnetti appesi al muro che non corrispondono al suo sistema di credenze e va in confusione? Corte dei diritti dell'uomo, intervieni immediatamente! Il pezzetto di legno sta fissando il mio bambino! Ma come li tirate su questi ragazzi?”
“Facciamo quel che possiamo”.
“Il mondo è pieno di cose. Per dire, ci sono i semafori e non sempre segnano verde. I bambini lo devono sapere. Ci sono persone nel parco che offrono caramelle e non sono tutti buoni. Poi ci sono i pezzetti di legno e non tutti corrispondono alle cose a cui crede mamma o papà. Vogliamo abolirli a scuola? E quando li incontreranno nella vita, come si comporteranno?”
“Quindi Maestro, in conclusione, dobbiamo riappenderti o no?”
“Ma fate quel che vi pare, tanto comunque sia non avete capito. Mi sembra tutto così poco serio. Il fariseo che mi pianta come una bandierina, il sadduceo che vede la bandierina e si sente leso nei suoi diritti umani, è l'umanità? Sembra un pollaio. Non ci sono cose più serie? A scuola, poi. Che io nelle scuole ci vado, lo so quali sono i veri problemi”.
“Eh, immagino”.
“No, non puoi neanche immaginare, fidati. Sai quante non sono a norma? Sai quante non rispettano la 626? Sai quanto costerebbe metterle tutte in sicurezza?”
“Ecco, Maestro, questi sono effettivamente problemi seri...”
“Sai che mancano i sostegni? I corsi di recupero? Sai che la scuola assomiglia sempre meno un luogo educativo e sempre più a una casa di detenzione? Parliamo di questo!”
“No, Maestro, appunto. Proprio perché sono problemi seri, è meglio non parlarne”.
“E perché?”
“Perché, perché... perché a parlarne non si risolvono, e allora ci si deprime soltanto. Siamo in crisi, tutti vorrebbero scuole più belle, ma votano il primo che gli promette una tassa in meno, quindi...”
“Vi consolate chiacchierando di bandierine”.
“Sì. I problemi veri sono deprimenti. I problemi identitari invece, come dire, sono sexy. Tutti possono dire la loro senza impegno... ieri le bandierine, domani i dialetti...”
“Oggi i Cristi in croce...”
“Maestro, sì. Ma non devi prendertela”.
“No, no, non me la prendo. Adesso però vado. Mi aspettano in sala mensa”.
And When The Saints...
03-07-2009, 16:01arti figurative, religioni, santiPermalinkFratello, io non vengo a giudicarti. Chi sono io per? L'ultima pecora del gregge, quella che si perde per nottate intere.
Solo voglio capirti. Fratello, tu credi nella Resurrezione dei morti, nella vita nel mondo che verrà? Domanda retorica, sei un frate francescano, per forza ci credi. E quindi sai che non è questione di filosofia, qui. La Resurrezione sarà un evento materiale, un evento fisico. Ci risveglieremo dalla morte e i nostri occhi vedranno il Signore. I nostri occhi, non degli occhi nuovi, proprio quelli che abbiamo adesso. Tu ci credi, Fratello? Ah, beh, vorrei anche vedere. Se non credessi in questi, che sono articoli di Fede della nostra santa madre Chiesa, non avresti certo fatto i voti di Castità, Obbedienza e... e... il terzo non mi viene, mannaggia a me.
Allora a questo punto, Fratello, vorrei chiederti: ma te l'immagini la scena?
Il Santo sbatte gli occhi, si guarda intorno e... non è uno scherzo, o lo è solo fino a un certo punto, perché se ci credi, sai che succederà davvero. I suoi occhi guarderanno il Signore, ma sono occhi fisici e guardandosi intorno noteranno anche quella specie di Fort Knox dove l'avete collocato. Ci avete pensato bene?
Cosa penserà? Ma che, m'hanno messo nel museo? Ma con quest'oro qui ci venivano cinque ospedali, ci venivano. Ma chi è stato che ha fatto 'sta roba, ma possibile che li fraticelli miei non gli abbiano detto niente?
Ora si sa che il Sant'uomo aveva, come dire, un certo caratterino. E anche il caratterino risorgerà con i Suoi occhi, la Sua barba, le Sue mani, e i Santi piedi con cui comincerà a pigliarvi a calci in culo appena vi trova, nel nuovo mondo che verrà, e secondo me vi trova presto. E comincia subito. E potrebbe continuare in eterno.
Come, dici che non ci saranno calci in culo nel Regno dei Cieli? Ma se per questo secondo me non c'è nemmeno il cielo fondo dorato, che senso avrebbe? Abbaglia tutto e non si distingue bene niente.
Ora io te l'ho detto, fratello, poi fa' te.
non è un pranzo di gala, ma quasi
12-08-2007, 01:54arti figurative, blog, giornalistiPermalinkAdesso sono a Rotterdam, in un albergo a 4 stelle che su booking.com non costava quasi nulla, e questa mi sembra che sia la risposta migliore sia per Pierangelo Buttafuoco che per Elton John.
Sì, perché rileggendo Mantellini ho scoperto che se fosse per il grande pianista e la giovane promessa del giornalismo italiano internet si potrebbe anche chiudere domani, ed effettivamente non fa una grinza. Perché se domani e dopodomani internet resta aperta, non solo nessuno sentirà più la discutibile esigenza di comprarsi il Foglio o l’ennesimo Greatest Hits, ma va a finire che in vacanza Elton o Buttafuoco si ritrovano nello stesso albergo dove sto io, pagando il triplo; e tutto perché non riescono a usare nemmeno un sito come booking com, che non è neanche internet 2.0, al limite sarà 1.5 o boh, non è che me ne intenda tanto neanche io. Posso capire la loro stizza. Però non c’è niente da fare.
Basta chiudere gli occhi e immaginare: dove sarei io, oggi, senza internet? In coda sull'adriatica, presumibilmente.
Questo non è un pezzo in difesa di internet o dei blog, non c’è più niente da difendere. Non c’è neanche da dire “abbiamo vinto”, perché in effetti non c’era niente da vincere, nemmeno una bambolina. C’è stata una rivoluzione e c’eravamo noi, fine. Magari ve l’aspettavate più drammatica, la rivoluzione. O più divertente. Ma le rivoluzioni sono fenomeni imprevisti, per definizione. Non sai mai cosa potrà accadere, finché accade.
Il modo migliore di entrare in Olanda è passare dal Belgio, una vera anticamera. A un certo punto non sono più francesi, ma continuano a parlare francese e a decorare le chiese. A Gand smettono di parlare francese, ma hanno ancora chiese molto decorate. A Breda cominciano a farti pagare il biglietto, poi quando entri ti viene da chiedere i soldi indietro, perché non c’è niente! I protestanti hanno dato il bianco su tutto, maledetti! Il custode stringe le spalle: “Questo non è un edificio di culto, è un museo. La chiesa cattolica è in un altro quartiere”.
In Francia nel 1789 decapitarono le statue. Non esistevano più Santi, non esistevano più eroi, basta: rivoluzione. Potete immaginare qualcosa di più rivoluzionario di segar via la testa alla statua di un Santo che è rimasto lì per mille anni? Ma in Olanda c’erano arrivati già nel Cinquecento: via tutte le immagini dalle chiese, e impariamo a leggere. La cosa interessante è che i pittori a quel punto si convertirono tutti al mercato laico, buttandosi sul realismo più sfrenato, e fecero il botto. È curioso perché con l’Islam, che era ugualmente iconoclasta, non successe la stessa cosa. Lì invece i pittori si diedero all’astrattismo, e divennero decoratori e inventori di geometrie incredibilmente raffinate. Per dire che nessuno sa, esattamente, dove può portare una rivoluzione. Lo stesso comandamento (“Non ti farai effigi del tuo Dio!”) può portare un artista islamico a dipingere solo arabeschi e un artista fiammingo a dipingere quarti di bue.
La Riforma l’ha fatta Gutenberg. Se possiamo stampare Bibbie a ripetizione, se diamo una Bibbia a tutti i contadini, non avranno più bisogno di venire in chiesa a imparare la Genesi sui muri, è chiaro? Ma non è la fine della pittura, anzi, il contadino che studia l’alfabeto e legge la Bibbia prima o poi metterà da parte qualche soldo per appendere un quadro al muro. Nel quadro cosa vorrà vedere? Un quarto di bue, un paesaggio, un ritratto di papà, oppure anche l’interno della chiesa più grande della città. Ecco, questo è curioso: una specialità dei pittori fiamminghi, dopo la Riforma, erano gli interni delle chiese. Interni vuoti, perché le chiese non avevano più immagini. Invece la chiesa vuota, la chiesa bianca, era un’immagine apprezzata. Le rivoluzioni non cancellano necessariamente il passato, ma lo pervertono. Lo trasformano in qualcosa di diverso. Un secondo dopo la rivoluzione la chiesa non è già più chiesa, è solo un museo. Così strano, così inutile, così bello da vedere. Lo si può dire anche di Buttafuoco, presumo.
Sono per la calma e mi piacciono gli odori, i sapori, vedere e toccare quel che mi serve. Tutte queste diavolerie impoveriscono i sensi.
Io non dico che Buttafuoco scomparirà, lui e il suo giornalino piuttosto inutile. Buttafuoco è già qualcosa di diverso da quello che si crede d’essere (un giornalista). Se al giorno d’oggi qualcuno ha bisogno veramente di un’informazione, Buttafuoco è nell’ultimo posto dove la cercherà. Il giornalino in cui scrive è già un post-giornalino, che cerca di fare qualcosa d’altro perché al ritmo dell’informazione, sui giornali, non si riesce più a fare. Si fa opinione. Come a dire: si fa concorrenza ai blogger. Senza avere gli alibi dei blogger, la leggerezza dei blogger, e allo stesso tempo la ferrea dinamica dei blogger che si controllano a vicenda. Può funzionare? Può funzionare in qualche provincia remota e dimenticata dalla rivoluzione, come il centro Italia.
Nel resto del mondo l’informazione viaggia su internet, i giornalisti di opinione si trasformano in blogger senza grandi patemi, e Buttafuoco resta appeso al bianco muro di Google, come ritratto di giornalista quaquaraquà che nel 2007 sosteneva di consultare solo “archivi cartacei dei giornali”. Seh, come no. Mi sembra di vederlo, Pierangelo, che si stira al mattino con calma, sella il mulo, attacca il biroccio, e si reca in città per consultare l'archivio cartaceo del quotidiano. Mi sembra di sentire i rumori (cloppete cloppete), gli odori (ah, quegli stronzi di mulo calpestati di fresco), i sapori. Che odori, che sapori, che cosa pittoresca è l'Italia, vista da Rotterdam.
- gesticolando, come un coglione
13-03-2006, 10:24arti figurative, lotta di classe, parlare ai sordiPermalinkQuando insegnavo la Storia ai sordi – il che è impossibile, specie se nessuno ti ha mai spiegato come si fa – ho iniziato a inventarmi alcuni gesti, di cui ora non mi libero più. Trasformare un concetto in un gesto è una cosa che il non-sordo non dovrebbe fare (specie davanti ai non-sordi) perché ti fa sembrare un folle.
Per esempio, quando io inizio a parlare di "impoverimento" (che già di per sé non è un soggetto sexy), la mano destra se ne va per conto suo, e pinocchiescamente inizia a fare il segno della forbice (quello con l'indice e il medio, avete presente) non rapidamente come a dire "taglia taglia", ma lentamente: una forbice lenta e inesorabile che… si chiude? No, si apre. Perché l'impoverimento (cercavo di spiegare) è una forbice che si apre lentamente: chi è povero diventa più povero, chi è ricco diventa più ricco. Perché? Non so il perché.
Tutta la mia mezza vita si configura come un tentativo di spiegare ai sordi cose che nemmeno io so bene, ma quando dalla metafora si passa ai fatti (quando ti trovi davanti gente che è sorda per davvero) senti quanto sia ruvida la realtà, e poco accogliente.
Congedandomi dal mondo dei sordi mi è rimasta questa idea: che molti miei pensieri, in realtà, siano solo gesticolazioni; tentativi di esprimersi in un alfabeto che non so. È tragico perché io credo di avere qualcosa da dire, ma in realtà ho solo un gesto da ripetere. La forbice. La forbice. La forbice. La volete capire o no? Niente, loro guardano la mano.
Ieri ho visto questo bel documentario di Riccardo Iacona, sulle case di Milano; e ho sentito quel vecchio tremito alla mano destra. La forbice. Avete visto cosa fanno a Milano? Sgomberano i locatari da 600 euro al mese, e ristrutturano in residence da 1000 euro al mese. Non c'è mica tanto, in fondo, tra i 600 e i 1000: ci sono due lame di forbice che si stanno aprendo lentamente tra noi. Mi sembra di gesticolare, quando scrivo queste cose. Insomma, c'è un modo intelligente e snob per spiegarlo? Chi sta sotto i 600, è povero e lo diventerà sempre di più; chi può permettersi i 1000, d'ora in poi è ricco e avrà altri problemi. State in mezzo? Non potrete restarci per molto. No, non vi sto chiedendo di scegliere, non è una scelta che spetti a voi.
Lo so, lo so, dividere la gente in poveri e ricchi, nel 2006, è pazzesco (io poi conosco gente su entrambe le sponde: e con molti ci eravamo lasciati da buoni amici). Ci sarà senz'altro una teoria economica che spiega tutto questo sotto forma di cicli di sviluppo e recessione. Io non ho mai studiato economia – è solo colpa mia. Dove avevo la testa? Io ho studiato (per esempio) storia dell'Arte. Ho imparato che verso la fine del Duecento in Italia impazzava il gotico: è uno stile maestoso ma leggero, promosso dalla classe borghese che si sta facendo avanti. I commerci sono buoni, i soldi girano, ogni Comune vuole avere la sua bella chiesa con le guglie. Persino i pittori cominciano a interessarsi alla gente: cancellano i fondi oro e piazzano i poveri e i ricchi sullo stesso sfondo urbano, qualcosa che sembra già una prospettiva. Va di moda San Francesco, il ragazzo ricco e viziato che pianta tutto e si fa povero: una scelta ancora praticabile, nel Duecento. Poveri e ricchi stavano ancora sotto lo stesso cielo, parlavano la stessa lingua, in fondo prendevano la stessa pioggia e pativano lo stesso caldo.
In seguito accadono alcune cose, ma non è chiaro quale sia la decisiva. Forse la peste, forse le guerre, è un concorso di cause o una serie di sfighe di respiro europeo, fatto sta che nel giro di cinquant'anni cambia tutto. La popolazione si dimezza, molti tornano in campagna, i poveri che girano per le strade smettono di essere considerati creature del buon Dio che hanno fatto forse la scelta giusta. E i pittori lo sentono. Si rimettono a fare santi ieratici per le cappelle private delle famiglie bene. Se non possono proprio reintrodurre il fondo oro, si mettono a lavorare sulle aureole o sui vestiti: i personaggi che vanno per la maggiore sono i Re Magi, perfetti manichini per opere di haute couture.
La cosa interessante, è che se per raccontare la Storia non avessimo che i pittori, potremmo pensare che nel primo Quattrocento la gente stesse meglio che un secolo prima: i quadri erano più colorati, i vestiti più sofisticati, i santi più eleganti. Il fatto è che si era aperta la forbice, e gli artisti sanno sempre con chi stare: con chi paga le commesse (non è mica una scelta, non spetta a loro scegliere). La stessa cosa accade oggi, e accadrà domani. Se di quest'epoca che viviamo dovesse sopravvivere solo la moda, il design d'interni, la sagoma delle auto sportive… ehi, c'è il rischio serio di passare alla Storia come un'epoca d'oro. Oro. Oro dappertutto. Quando iniziate a vedere lo sfondo oro nelle foto, è ora di preoccuparsi.
La cosa peggiore è che questo sfondo oro io comincio a vederlo anche in rivendicazioni che mi sembrano giuste e importanti. Per dire, l'intero programma della Rosa nel Pugno mi sembra sbalzato nell'oro. Il matrimonio ai gay, ad esempio, certe sere mi sembra un gradino importante verso la parità totale; qualcosa che non ha precedenti nel passato dell'uomo. E poi il mattino dopo mi appare una rivendicazione di lusso, quando abbiamo quartieri dove la gente non paga più l'affitto e ha iniziato a spararsi a pallini. La forbice si è aperta, e forse non è mai stata così aperta. Poveri e ricchi non parlano neanche più la stessa lingua. Non hanno la stessa legge, non parliamo poi dell'assistenza sociale. Sono due mondi e non comunicano. E l'arte – e la letteratura – sanno sempre da che parte stare.
È una scelta obbligata. Da una parte c'è il denaro, c'è il gusto, c'è il linguaggio. Dall'altra parte è solo un branco di scimmie che piange, ride, gesticola.
Alle donne piace Klimt
Klimt, Gustav: pittore austriaco, ma che dico, mitteleuropeo. Fu uno degli artefici della Secessione, (secessione da cosa? Non si sa). Nei suoi quadri i dettagli anatomici delle figure si confondono con i motivi ornamentali dei lenzuoli e della carta da parati, creando un gradevole effetto patchwork. Alle donne piace un sacco. Ma perché?
Una sera io e il mio amico Ivo, non mi ricordo cosa avessimo bevuto, ma ci eravamo immaginati di essere agenti di un corpo speciale in cui vestiti tutti di nero con gli occhiali scuri si andava a bussare alla porta delle signorine dai 22 ai 30 anni:
Toc toc.
“Ma chi è a quest’ora?”
“Siamo il Corpo Speciale per la tutela del gusto, veniamo a requisire i suoi poster di Klimt”.
“Ma… ma io non ho poster di Klimt!”
“Hai sentito? Dice che non ha poster di Klimt! E magari non ha nemmeno una cartolina di Schiele”.
“Beh, una sì, ma piccola…”
“Appunto. Tu, Ivo, parti dalla camera. Io darà un’occhiata al soggiorno…”
“Come sarebbe a dire? Lei non può fare questo!”
“In base alla nuova normativa (srotolo un codicillo scritto in caratteri incomprensibili) posso farlo, sì. Mi dispiace… (Alzo appena appena i miei occhiali scuri lasciando filtrare il ghiaccio dei miei occhi) nulla di personale”.
“Ma non capisco perché…”
Arriva Ivo dal corridoio, con un quadretto in mano: “Ho trovato lo Schiele, e qui c’è anche una Lempicka.
“Peerò! È la terza questa settimana”.
Io la Lempicka posso anche capirla, perché i suoi quadri sono molto colorati e assomigliano a cartelloni pubblicitari (del Campari). Ma Schiele e Klimt? Grandi artisti, indubbiamente. Ma perché sono gli artisti più presenti nelle camere da letto femminili? Perché in tutte le cartolerie rispettabili ci trovi almeno due o tre Klimt e nessun Tiziano? Non è una questione di armonia, perché non sono pittori armoniosi, anzi. Un motivo ci dev’essere. Quando avrò capito questo motivo, avrò capito le donne.
Forse ha a che fare con le tette. Le tette piacciono a tutti, uomini e donne, perché tutti siamo stati allattati, o comunque ne soffriamo una cocente nostalgia. Ma appena scesi dal grembo materno le nostre strade si biforcano. Per i maschietti la tetta diventa un traguardo lontano, un frutto glorioso da conquistare con anni di ricerche, appostamenti, lotte. Così la tetta diventa racconto, e come tutti i racconti perde gradatamente contatto con la realtà, tracima nel favoloso. I maschietti sognano tette enormi ma leggere, morbide ma sode, che sfidano le leggi della fisica e che non sono mai state viste sulla terra, prima dell’avvento della chirurgia plastica. I maschietti attaccano alle pareti calendari di donne mostruose, campionesse mondiali di circonferenza, fenomeni da guinness dei primati (ma anche un po’ da baraccone).
Con le donne il discorso cambia. Con le tette ci devono convivere, e non dev’essere una convivenza facile. Come si può continuare a trovare piacevole qualcosa che si ha continuamente sotto gli occhi?
Le donne riescono a farlo. Le donne non hanno passione per i record, e forse non amano nemmeno troppo i racconti, ma riescono a trovare la bellezza nel quotidiano: nella linea di un abito, o nel motivo della carta da parati. Così alle pareti ci attaccano Klimt, quello che dipinge donne nude come se fossero motivi ornamentali.
Ma questa è semiologia da cialtroni, centounismo d’accatto, e sessista per di più. Perché mai dovrei ostinarmi a capire le donne? Cosa significa capirle? Non sono che un uomo, che pensa per racconti, e ha davanti sempre un record da battere. Per me "capire" significa "dominare", non è vero?
“Che bella casa che hai!”
“Ti piace?”
“Sì, è molto… è molto… elegante, ecco”.
“Perché ti guardi intorno in quel modo?”
“In che modo?”
“È come se stessi cercando qualcosa”.
“N-no, è solo che…”
“È come se tu stessi cercando se ho dei poster di Klimt alle pareti”.
“Come hai fatto a capirlo?”
“Non ho poster di Klimt alle pareti. A me piace il Cinquecento italiano”.
“Davvero! Anche a me, moltissimo. Eppure a dirlo in giro sembra banale”.
“È sempre il solito problema. Dici Cinquecento e tutti pensano alla Gioconda…”.
“…o alla Cappella Sistina…”
“Mai nessuno che si fermi a guardare un Parmigianino”.
“Non dirmi che ti piace il Parmigianino!”
“Moltissimo”.
“E Pontormo?”
“Adoro Pontormo”.
“Sul serio… E magari hai un debole anche per il Correggio…”
“È chiaro, no? Ma perché fai quella faccia?”
“No, è che… di solito alle ragazze piace Klimt, ma tu… tu sei diversa”.
“Senti, vuoi venire di là?”
“Eh? Di là dove?”
“Dove secondo te? Siamo in un bilocale… Ti voglio mostrare una cosa”.
“Ma io… non so”.
“Dai, facciamo in un minuto”.
“Dici?”
“M’interessa il tuo parere”.
“Se insisti”.
Lei apre la porta di camera sua e accende la luce.
Urlo.
Sulla testiera del letto c’è un puzzle ravensburger 1000 con i due puttini di Raffaello.
Fuggo via strappandomi ciocche di capelli ed emettendo latrati sconnessi.
“Peccato”, dice lei. “Sembrava così sensibile...”