Un Cossiga per tutte le stagioni

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17 agosto 2010 - ci lascia Francesco Cossiga, il ragazzo terribile della politica italiana.

Guardando un po' più da vicino la traiettoria di Cossiga, si ha l'impressione che il secondo dopoguerra italiano sia un frattale. Cossiga lo contiene tutto in piccolo: la DC di sinistra, la strategia della tensione, il pentapartito, la crisi degli anni '90 e la nascita di un nuovo linguaggio politico che è poi lo stesso che oggi trovi in bocca a qualsiasi coglione si ritrovi a scrivere su beppegrillo.it. Cossiga è passato per tutte le svolte della storia d'Italia: in alcune occasioni le ha anticipate, di modo che ai suoi contemporanei sembrava che facesse strani slalom a vuoto come un mezzo scemo. 

La storia di come ha preso a picconate non soltanto la politica, ma soprattutto il linguaggio politico, è affascinante ma oggi è domenica 17 agosto e non ho voglia di scriverla: incollo un vecchissimo pezzo di Alberto Sobrero e buonanotte. 

Da quasi due anni il 'fenomeno Cossiga' è osservato sotto diverse angolazioni: politica, partitica, etnologica, dietrologica, psichiatrica... Poco si è detto del suo modo di parlare, o meglio di comunicare. Strano, visto che si tratta di un Grande Comunicatore. E tuttavia, un'occhiata al suo comportamento linguistico offre chiavi di lettura interessanti.

Tanto per cominciare, consente una sistemazione "storica" del personaggio. Com'erano i primi messaggi del Presidente Cossiga? Una noia mortale. Scorro qualche appunto preso al messaggio del Capodanno 1987 e trovo: massima austerità formale, immobilità solenne, dizione ben scandita e controllata, attenuazione delle caratteristiche sarde del parlato. Il discorso è costituito da una lunga esortazione seguita da un frammento di lezione universitaria, con i suoi bravi distinguo, i termini tecnici al posto giusto, e un gioco fine di argomentazioni e contro-argomentazioni. Argomento: la responsabilità. Taglio: tipico dell'uomo di potere. Il discorso non tratta della responsabilità di amministratori e politici (già allora la carne al fuoco non sarebbe mancata), ma del cittadino qualunque, perché "alla gestione della cosa pubblica nessun cittadino è estraneo". Il tono generale è predicatorio: i verbi dovere, occorrere, impegnarsi ricorrono ben 29 volte in 15 minuti, senza contare i verbi al futuro con valore imperativo. La lingua, infine, offre tutti i suoi strumenti per innalzare una cortina di fumo davanti al messaggio. Cossiga si rivela abilissimo nell'esprimere i concetti semplici in modo difficile: ad esempio, per dire che bisogna dare fiducia allo Stato come garante della sicurezza dei cittadini dice che bisogna avere "consapevolezza che soltanto lo Stato, nelle sue articolazioni democratiche, e non l'assenza dello Stato, la carenza dello Stato, può garantire il quadro di riferimento, di sicurezza nel quale la società e i singoli soggetti possono esprimere ogni giorno la loro peculiare vitalità e la loro personale responsabilità".

Il messaggio del Capodanno 1987 è un po' il simbolo di quello che possiamo chiamare il Cossiga I, il cui regno dura circa 5 anni. Anni iniziati con Capodanni tutti uguali: prosa paludata e surreale, discrezione e ufficialità. Noia. Quei discorsi allusivi destinati al Palazzo e dintorni Poi svolta. Il I gennaio 1991 il Presidente, nel bel mezzo del solito discorso auspicante e rassicurante, lascia il discorso ufficiale e apre una parentesi di veemente, appassionata, quasi rabbiosa difesa di Gladio, un'invettiva un po' cifrata destinata al Palazzo ma esibita davanti a milioni di telespettatori. È nato il Cossiga II, quello dei messaggi mandati a nuora perché suocera intenda, delle minacce a uomini e partiti, quello che sostituisce l'imparzialità con lo schieramento aperto, che esalta gli amici e offende i nemici.
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