L'Isis è tra noi. E non vuole che andiamo in gita
25-11-2015, 02:44Islam, Oriana Fallaci, scuola, terrorismoPermalink
First We Take Torpignattara...
Cari operatori locali del terrore: politici, opinionisti e semplici reporter a caccia di segni che l'Isis sta arrivando, è qui, non farà prigionieri; care quinte colonne della Jihad prossima ventura, che posso dirvi? Potreste persino aver ragione.
In effetti non c'è motivo di pensare che gli errori commessi in Belgio o in Francia, in materia di immigrazione o integrazione, non siano stati ripetuti anche da noi; e che nell'hinterland di qualche città italiana non esista un ghetto come Molenbeek, dove gli integralisti possono nascondersi e fare proselitismo indisturbati. L'ipotesi è plausibile, non si può liquidare con un'alzata di spalle. Una Molenbeek italiana magari c'è.
A questo punto però dovreste mostrarcela.
Perché se tutto quello che riuscite a trovare è Torpignattara; e anche per dipingere Torpignattara come un ghetto islamico siete costretti a sforbiciare vecchi spezzoni d'interviste, ecco, no. Topignattara sicuramente non è il paradiso, ma altrettanto sicuramente non è il quartiere marocchino di Molenbeek. Se la minaccia islamica in Italia esiste, perché vi riducete a inventarvela? I vostri dossier dovrebbero essere gonfi di fatti, di soprusi, prevaricazioni documentate, musulmani che minacciano salumieri, donne costrette a velarsi, ecc. È da vent'anni e più che ci state raccontando di un'invasione islamica dell'Italia, come minimo a questo punto dovrebbero essere riusciti a imporre la Sharia almeno in una circoscrizione, un isolato, un ballatoio. Voi dovreste essere là, e documentare la cosa con tutta la Rabbia e tutto l'Orgoglio di cui siete sicuramente capaci. E invece.
E invece l'altro giorno un giornalista come Filippo Facci, non esattamente un becero qualunque, si ritrova a scrivere una cosa del genere:
(Non so se vi rendete conto. Durante un consiglio di classe decidono di bloccare una gita probabilmente per mancanza di adesioni. Nel corridoio qualcuno mormora che è colpa dei genitori musulmani. La scuola finisce sui giornali. Claudio Magris sul Corriere vuole licenziare gli "insegnanti responsabili"! Cioè se tu blocchi una gita scolastica perché un po' di genitori non se la sente di pagare, Claudio Magris chiede al Corriere che tu sia licenziato, e il Ministero ti manda gli ispettori. Ma questo non è cavarsela a buon mercato? Forse si dovrebbe fare di più, magari iniziare a tagliare qualche parte del corpo al professore che non riesce a organizzare una visita d'istruzione. Non possiamo mica rischiare che vinca l'Isis).
Facci comunque non si preoccupa soltanto per le visite d'istruzione. Mali tempi incorrono:
Facci non fa che ripetere lo stesso schema che dall'11 settembre hanno ripetuto tutti gli operatori locali del terrore: siccome la Minaccia Islamica tarda un po' a manifestarsi, se la fabbricano in casa con quel che passa il convento. A Sarcazzo sull'Oglio un crocefisso è caduto da una parete e nessuno l'ha raccolto; nel comune di Massaveneta si sono rotti i coglioni di fare il presepe; la tal classe non va in gita: tutti segni che Maometto sta vincendo. In fondo l'Isis, quando proclama su Youtube di essere a poche miglia nautiche da Roma, non sta facendo la stessa cosa? Arrendetevi, abbiamo conquistato un quartiere di Tripoli, stiamo arrivando.
La grande maestra di questi professionisti del panico è stata ovviamente lei, Oriana Fallaci. Tre anni dopo aver vomitato tutta la sua Rabbia e il suo Orgoglio, pubblicò un testo che si presentava sin dal titolo come un'assai più ponderata riflessione sul tema Quei bastardi fottuti ci fanno il culo, tiriamo fuori le palle, Cristo! Il volume, il secondo della trilogia, si intitolava appunto La forza della ragione.
Adesso ve li faccio io degli esempi concreti. Io abito in un piccolo centro dove non ci sono moschee. Ufficialmente. Se parli coi ragazzi ce ne sono cinque o sei. Almeno fino a qualche anno fa il principale problema di sicurezza era la tensione tra arabi e pachistani - presso la stazione autocorriere ci fu una rissa memorabile. A una decina di chilometri da casa mia, qualche anno fa una madre musulmana difese sua figlia con la vita - e fu uccisa dal marito. Di cose successe più vicino a me non posso parlare; dico solo che ogni volta che sento un giornalista o un opinionista montare a neve un caso come quello della scuola di Firenze, mi sento preso in giro. Solo con le madrase clandestine ci sarebbe di che riempire un libro non ridicolo, e tutto quello che riuscite a trovare voi cazzari anti-islamici è una classe che non va in gita. Non fate senso solo come giornalisti, incapaci di notare quel che succede appena un po' oltre la punta delle vostre scarpe: fate pure pena come quinte colonne del terrore, bravi solo a spaventarvi a vicenda. L'Italia potrebbe anche diventare più pericolosa del Belgio, non lo so e non lo escludo; ma so che nel caso sarete gli ultimi ad accorgervene.
Cari operatori locali del terrore: politici, opinionisti e semplici reporter a caccia di segni che l'Isis sta arrivando, è qui, non farà prigionieri; care quinte colonne della Jihad prossima ventura, che posso dirvi? Potreste persino aver ragione.
In effetti non c'è motivo di pensare che gli errori commessi in Belgio o in Francia, in materia di immigrazione o integrazione, non siano stati ripetuti anche da noi; e che nell'hinterland di qualche città italiana non esista un ghetto come Molenbeek, dove gli integralisti possono nascondersi e fare proselitismo indisturbati. L'ipotesi è plausibile, non si può liquidare con un'alzata di spalle. Una Molenbeek italiana magari c'è.
A questo punto però dovreste mostrarcela.
Perché se tutto quello che riuscite a trovare è Torpignattara; e anche per dipingere Torpignattara come un ghetto islamico siete costretti a sforbiciare vecchi spezzoni d'interviste, ecco, no. Topignattara sicuramente non è il paradiso, ma altrettanto sicuramente non è il quartiere marocchino di Molenbeek. Se la minaccia islamica in Italia esiste, perché vi riducete a inventarvela? I vostri dossier dovrebbero essere gonfi di fatti, di soprusi, prevaricazioni documentate, musulmani che minacciano salumieri, donne costrette a velarsi, ecc. È da vent'anni e più che ci state raccontando di un'invasione islamica dell'Italia, come minimo a questo punto dovrebbero essere riusciti a imporre la Sharia almeno in una circoscrizione, un isolato, un ballatoio. Voi dovreste essere là, e documentare la cosa con tutta la Rabbia e tutto l'Orgoglio di cui siete sicuramente capaci. E invece.
E invece l'altro giorno un giornalista come Filippo Facci, non esattamente un becero qualunque, si ritrova a scrivere una cosa del genere:
Non voglio leggere che una gita scolastica è stata annullata perché prevedeva la visita a un Cristo dipinto da Chagall: voglio che gli insegnanti responsabili vengano sanzionati, o, addirittura, come ha scritto Claudio Magris sempre sul Corriere, licenziati.La Grande Minaccia Islamica 2015: una gita scolastica annullata. Peccato che non sia semplicemente vero: che la notizia di una classe che rinuncia alla gita per non offendere gli alunni musulmani fosse già stata smentita dal preside della scuola nel momento in cui Facci si sedeva a scrivere il suo laico grido d'allarme. Poco importa: in mancanza di niente gli operatori locali del terrore hanno deciso che il segno dell'Apocalisse musulmana è questo: un consiglio di classe che blocca una gita per mancanza di adesioni (una cosa che è sempre successa, anche quando i genitori che non volevano pagare non erano ancora musulmani ma semplicemente poveri). Ne sta parlando la Meloni in tv proprio adesso a Porta a Porta, in palese cattiva fede. Nel frattempo il Miur ha mandato gli ispettori in quella scuola, al cui dirigente va tutta la mia solidarietà.
(Non so se vi rendete conto. Durante un consiglio di classe decidono di bloccare una gita probabilmente per mancanza di adesioni. Nel corridoio qualcuno mormora che è colpa dei genitori musulmani. La scuola finisce sui giornali. Claudio Magris sul Corriere vuole licenziare gli "insegnanti responsabili"! Cioè se tu blocchi una gita scolastica perché un po' di genitori non se la sente di pagare, Claudio Magris chiede al Corriere che tu sia licenziato, e il Ministero ti manda gli ispettori. Ma questo non è cavarsela a buon mercato? Forse si dovrebbe fare di più, magari iniziare a tagliare qualche parte del corpo al professore che non riesce a organizzare una visita d'istruzione. Non possiamo mica rischiare che vinca l'Isis).
Facci comunque non si preoccupa soltanto per le visite d'istruzione. Mali tempi incorrono:
Non voglio che la scuola pubblica elimini dai testi scolastici le parole «maiale» e «carne di maiale» (più tutti i derivati) per non offendere musulmani ed ebrei:A me questa è sfuggita: qualcuno ha proposto di togliere "maiale" e "ciccioli frolli" dai testi scolastici? Che io sappia a musulmani ed ebrei è fatto divieto di mangiarne, non di sentirne parlare o di leggere la parola su un libro. Insomma questa è una cosa che è successa davvero o un'esagerazione? E che bisogno c'è di esagerare, se in giro per l'Italia vige davvero la Sharia? Ma fateci degli esempi concreti.
Facci non fa che ripetere lo stesso schema che dall'11 settembre hanno ripetuto tutti gli operatori locali del terrore: siccome la Minaccia Islamica tarda un po' a manifestarsi, se la fabbricano in casa con quel che passa il convento. A Sarcazzo sull'Oglio un crocefisso è caduto da una parete e nessuno l'ha raccolto; nel comune di Massaveneta si sono rotti i coglioni di fare il presepe; la tal classe non va in gita: tutti segni che Maometto sta vincendo. In fondo l'Isis, quando proclama su Youtube di essere a poche miglia nautiche da Roma, non sta facendo la stessa cosa? Arrendetevi, abbiamo conquistato un quartiere di Tripoli, stiamo arrivando.
La grande maestra di questi professionisti del panico è stata ovviamente lei, Oriana Fallaci. Tre anni dopo aver vomitato tutta la sua Rabbia e il suo Orgoglio, pubblicò un testo che si presentava sin dal titolo come un'assai più ponderata riflessione sul tema Quei bastardi fottuti ci fanno il culo, tiriamo fuori le palle, Cristo! Il volume, il secondo della trilogia, si intitolava appunto La forza della ragione.
"Stavolta non mi appello alla rabbia, all'orgoglio, alla passione. Mi appello alla Ragione".In questo testo tanto ragionato, la Fallaci spiegava ai suoi lettori che lo Stato in quel momento (2004!) stava giungendo a una specie di concordato con le comunità islamiche operanti nel Paese. Cito da Cathopedia:
Le bozze d'intesa tra Stato italiano e comunità islamiche prevederebbero inoltre: il riconoscimento del venerdì come giorno di festa (per i soli musulmani, insieme alla domenica); la possibilità di interrompere il lavoro per recitare la preghiera rituale quattro volte al giorno; l'esenzione dal lavoro per gli islamici in occasione delle loro feste e per poter effettuare il pellegrinaggio a La Mecca; la possibilità per le donne di avere sui documenti d'identità la foto con il velo; la facoltà di usufruire del contributo dell’otto per mille; il riconoscimento della validità del matrimonio islamico con relativa facoltà da parte del marito di ripudiare la moglie o praticare la poligamia (attualmente punita dal Codice penale); l'obbligo per ogni mensa aziendale, scolastica, ospedaliera, carceraria di distribuire cibi islamici; il permesso di praticare la sepoltura dei cadaveri secondo il rito islamico (cioè il cadavere avvolto solo da un lenzuolo e sepolto a fior di terra, in contrasto con le nostre norme igienico sanitarie)...Sono passati undici anni: qualcuno sa che fine hanno fatto quelle "bozze d'intesa"? Nel caso, potrebbe anche ragguagliarmi su quali "comunità islamiche" stessero facendo pressione sul governo Berlusconi per depenalizzare la poligamia? Ci sono tracce di queste bozze, da qualche parte, onde verificare se davvero qualcuno aveva intenzione di seppellire cadaveri avvolti in un lenzuolo a fior di terra? Perché tutte queste cose le scriveva la Fallaci, e la Fallaci ci stava parlando con la Forza della Ragione.
Adesso ve li faccio io degli esempi concreti. Io abito in un piccolo centro dove non ci sono moschee. Ufficialmente. Se parli coi ragazzi ce ne sono cinque o sei. Almeno fino a qualche anno fa il principale problema di sicurezza era la tensione tra arabi e pachistani - presso la stazione autocorriere ci fu una rissa memorabile. A una decina di chilometri da casa mia, qualche anno fa una madre musulmana difese sua figlia con la vita - e fu uccisa dal marito. Di cose successe più vicino a me non posso parlare; dico solo che ogni volta che sento un giornalista o un opinionista montare a neve un caso come quello della scuola di Firenze, mi sento preso in giro. Solo con le madrase clandestine ci sarebbe di che riempire un libro non ridicolo, e tutto quello che riuscite a trovare voi cazzari anti-islamici è una classe che non va in gita. Non fate senso solo come giornalisti, incapaci di notare quel che succede appena un po' oltre la punta delle vostre scarpe: fate pure pena come quinte colonne del terrore, bravi solo a spaventarvi a vicenda. L'Italia potrebbe anche diventare più pericolosa del Belgio, non lo so e non lo escludo; ma so che nel caso sarete gli ultimi ad accorgervene.
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A Houellebecq dell'Islam non è che freghi un granché
22-11-2015, 10:20Francia, giornalisti, Islam, Oriana FallaciPermalink
E così, orfani della Fallaci, alla disperata ricerca di un intellettuale-non-intellettuale che raccogliesse lo stendardo della guerra all’Islam e all’Eurabia, al Corriere si sono buttati su Houellebecq. Gli hanno chiesto un pezzo in esclusiva, l’hanno avuto. Probabilmente si aspettavano un tonante attacco alla Sharia, si sono ritrovati un fervorino contro François Hollande. Speravano in una chiamata alle armi anti-jihad, si ritrovano una specie di grillino che blatera di referendum e “democrazia diretta” - contro l’integralismo islamico? La democrazia diretta? Ci sta prendendo in giro? Scrive anche LOL - no, dev’essere il traduttore, i francesi non scrivono LOL.
Il fatto è che intorno a Houellebecq, in questo triste 2015, è cresciuto un equivoco che - non ci fossero tutte queste stragi in sottofondo - sarebbe persino divertente. Quando in febbraio la promozione della sua ultima fatica, Sottomissione, fu interrotta dalla strage di Charlie Hebdo, alcuni cominciarono a fantasticare di un Houellebecq autore di un libro finalmente, francamente anti-islamico: qualche frecciatina qua e là nei suoi romanzi l’aveva lanciata, e ora stava per darci dentro come soltanto un outsider come la Fallaci aveva saputo fare. Il libro vendette un sacco e poi non è che se ne parlò più tanto (in generale è interessante notare il contraccolpo emotivo seguito agli attentati di gennaio; per due settimane ci siamo preoccupati molto e poi ci siamo quasi dimenticati del problema, fino al 13 novembre). Di suo Houellebecq ci ha messo l’ormai distintiva trasandatezza stilistica, e una trama che non sembra concepita per catturare l’attenzione del lettore (le vicissitudini di uno studioso di Huysmans alla soglia della terza età, reggimi le palpebre). Insomma un sacco di gente che lo aveva comprato sperando nei nuovi Versetti Satanici col 150% di antislamismo in più magari aveva staccato a pagina venti.
Chi invece aveva avuto pazienza di proseguire, si era trovato davanti a una vera propria resa dell’uomo occidentale: per Houellebecq è tutto finito, forse già da un secolo: non resta che vendersi ai migliori offerenti (i sauditi?), i quali magari avranno la compiacenza di assumere qualche intellettuale e provvedere alla qualità dei suoi pasti, e soprattutto a che scopi regolarmente. Forza Islam purché magnam. Il tutto sviluppato su premesse che sì, riprendono alcune note problematiche della società francese (banlieues in rivolta, la crescita del Front National, la crisi di credibilità dei partiti istituzionali), però senza immaginazione, con una certa stanchezza che è ormai il marchio della fabbrica letteraria Houellebecq, la verve di un vecchietto in pantofole che mangia un pasto precotto davanti ai talk show e si domanda: ma i barbari, quando arrivano? Chissà se loro almeno sanno cucinare. Però al Corriere servirebbe una Fallaci e questo nelle foto fuma e fa le smorfie, perché non dovrebbe sbroccare alla Fallaci? Ci crede anche lui nel tramonto dell’Occidente, no? Sì, ma lui è della generazione successiva - e coi venerati padri degli anni Sessanta ha un conto in sospeso - è quasi più corretto dire che lui nel tramonto ci spera, lo auspica, in altri romanzi si domandava come accelerarlo. Per immaginarselo anti-islamico bisogna veramente evitare di leggerlo, e conferirgli l’ambito status di feticcio, quell’oggetto che in una libreria non sfigura, ma serve sostanzialmente a evitare che i volumi veri caschino di sotto.
Chi invece ha qualche familiarità con Houellebecq, nella paginetta concessa al Corriere ritroverà quasi tutto quello che ultimamente preme all’autore di Sottomissione. Niente Islam - più che giusto, alla fine l’Islam per H è poco più di una fantasticheria erotica. Si comincia con una negazione: i francesi non possono veramente essere angosciati dal terrorismo. Ai tempi degli attentati degli Hezbollah negli anni ‘80, forse, ma adesso no. “Ci si abitua, anche agli attentati”. In controtendenza con l’allarmismo che i media spargono per inerzia, Houellebecq insiste a descrivere una Francia blasé, apatica che di fronte all’attentato più grave dal dopoguerra sbadiglia e cambia canale.
Può persino darsi che H abbia inquadrato un dato di realtà che sfugge agli osservatori professionisti, tutti in disperata ricerca di emozioni un tanto al chilo; ma al di là di quanto assomigli alla Francia reale, la sua è soprattutto simile alla Francia descritta nel romanzo, dove, costretto a prevedere una fase di guerra civile tra identitari e musulmani francesi, H la liquida nel modo più sbrigativo, quasi nascondendola sotto il tappeto - al punto di immaginare che nel 2022 Hollande sia in grado di impedire ai testimoni degli scontri di filmarli e trasmetterli in tv e addirittura su Internet.
In fondo diventiamo un po’ tutti apocalittici quando invecchiamo, è un normale tratto narcisistico; anche la Fallaci, più che l’antropologo-geo-politica in cui l’hanno trasformata, era una giornalista malata che intuiva che dopo di lei sarebbe venuto il diluvio. Houellebecq a dire il vero non è ancora così estremo, ha ancora consigli concreti da fornire, proposte in grado di incidere sulla realtà, speranze insomma. Peccato che (e anche qui, immaginiamoci lo sbigottimento dei lettori del Corriere), queste proposte non abbiano niente a che vedere con l’Islam. A Houellebecq l’Islam non frega più di tanto - in certi punti del libro ha il sospetto che sarebbe un modo efficace per scoparsi delle quindicenni, e che anche a quest'ultime la prospettiva non dovrebbe dispiacere, - i mariti le riempiranno di regali, avranno “la possibilità di restare bambine praticamente per tutta la vita”. Quindicenni a parte, quel che preme davvero a Houellebecq è la fine del semipresidenzialismo francese, l’introduzione della “democrazia diretta”. La democrazia diretta.
La democrazia diretta? Cioè, Houellebecq è un grillino?
In un certo senso (continua)
Il fatto è che intorno a Houellebecq, in questo triste 2015, è cresciuto un equivoco che - non ci fossero tutte queste stragi in sottofondo - sarebbe persino divertente. Quando in febbraio la promozione della sua ultima fatica, Sottomissione, fu interrotta dalla strage di Charlie Hebdo, alcuni cominciarono a fantasticare di un Houellebecq autore di un libro finalmente, francamente anti-islamico: qualche frecciatina qua e là nei suoi romanzi l’aveva lanciata, e ora stava per darci dentro come soltanto un outsider come la Fallaci aveva saputo fare. Il libro vendette un sacco e poi non è che se ne parlò più tanto (in generale è interessante notare il contraccolpo emotivo seguito agli attentati di gennaio; per due settimane ci siamo preoccupati molto e poi ci siamo quasi dimenticati del problema, fino al 13 novembre). Di suo Houellebecq ci ha messo l’ormai distintiva trasandatezza stilistica, e una trama che non sembra concepita per catturare l’attenzione del lettore (le vicissitudini di uno studioso di Huysmans alla soglia della terza età, reggimi le palpebre). Insomma un sacco di gente che lo aveva comprato sperando nei nuovi Versetti Satanici col 150% di antislamismo in più magari aveva staccato a pagina venti.
Chi invece aveva avuto pazienza di proseguire, si era trovato davanti a una vera propria resa dell’uomo occidentale: per Houellebecq è tutto finito, forse già da un secolo: non resta che vendersi ai migliori offerenti (i sauditi?), i quali magari avranno la compiacenza di assumere qualche intellettuale e provvedere alla qualità dei suoi pasti, e soprattutto a che scopi regolarmente. Forza Islam purché magnam. Il tutto sviluppato su premesse che sì, riprendono alcune note problematiche della società francese (banlieues in rivolta, la crescita del Front National, la crisi di credibilità dei partiti istituzionali), però senza immaginazione, con una certa stanchezza che è ormai il marchio della fabbrica letteraria Houellebecq, la verve di un vecchietto in pantofole che mangia un pasto precotto davanti ai talk show e si domanda: ma i barbari, quando arrivano? Chissà se loro almeno sanno cucinare. Però al Corriere servirebbe una Fallaci e questo nelle foto fuma e fa le smorfie, perché non dovrebbe sbroccare alla Fallaci? Ci crede anche lui nel tramonto dell’Occidente, no? Sì, ma lui è della generazione successiva - e coi venerati padri degli anni Sessanta ha un conto in sospeso - è quasi più corretto dire che lui nel tramonto ci spera, lo auspica, in altri romanzi si domandava come accelerarlo. Per immaginarselo anti-islamico bisogna veramente evitare di leggerlo, e conferirgli l’ambito status di feticcio, quell’oggetto che in una libreria non sfigura, ma serve sostanzialmente a evitare che i volumi veri caschino di sotto.
Chi invece ha qualche familiarità con Houellebecq, nella paginetta concessa al Corriere ritroverà quasi tutto quello che ultimamente preme all’autore di Sottomissione. Niente Islam - più che giusto, alla fine l’Islam per H è poco più di una fantasticheria erotica. Si comincia con una negazione: i francesi non possono veramente essere angosciati dal terrorismo. Ai tempi degli attentati degli Hezbollah negli anni ‘80, forse, ma adesso no. “Ci si abitua, anche agli attentati”. In controtendenza con l’allarmismo che i media spargono per inerzia, Houellebecq insiste a descrivere una Francia blasé, apatica che di fronte all’attentato più grave dal dopoguerra sbadiglia e cambia canale.
Può persino darsi che H abbia inquadrato un dato di realtà che sfugge agli osservatori professionisti, tutti in disperata ricerca di emozioni un tanto al chilo; ma al di là di quanto assomigli alla Francia reale, la sua è soprattutto simile alla Francia descritta nel romanzo, dove, costretto a prevedere una fase di guerra civile tra identitari e musulmani francesi, H la liquida nel modo più sbrigativo, quasi nascondendola sotto il tappeto - al punto di immaginare che nel 2022 Hollande sia in grado di impedire ai testimoni degli scontri di filmarli e trasmetterli in tv e addirittura su Internet.
"In questi giorni ho provato: niente sulla CNN e nemmeno su YouTube, ma me l'aspettavo. A volte su RuTube si trova qualcosa, riprese di gente che filma con il cellulare; ma è molto casuale, e comunque non ho trovato niente neanche lì".Da cui il dubbio: Houellebecq sta esprimendo il suo timore per una deriva totalitaria della società dell’informazione-spettacolo, per cui dopo esserci abituati a scambiare la realtà con Youtube basterà controllare Youtube per darci a bere qualsiasi cosa - o non sta semplicemente proiettando la sua apatia, il suo malessere sulla Francia intera, per cui tutti devono disinteressarsi ai fatti di sangue perché se ne disinteressa lui? Il suo personaggio, un asociale che attraversa i più grandi sconvolgimenti sociali e religiosi degli ultimi due secoli senza capirci nulla, unicamente guidato dall’istinto all’approvvigionamento di cibo e sesso; uno che fallisce ogni tentativo di conversione perché per convertirsi bisognerebbe essere già stati qualcosa, prima - è davvero il francese medio come lo immagina Houellebecq, o è Houellebecq come ce lo immaginiamo noi suoi abituali lettori? Sottomissione è un libro che parla della decadenza della Francia o della depressione cronica del suo autore?
"Non capisco perché abbiano deciso il blackout totale; non capisco a cosa miri il governo".
"Questa, secondo me, è l'unica cosa chiara: hanno davvero paura che il Fronte nazionale vinca le elezioni. E qualsiasi immagine di violenze urbane significa voti in più per il Fronte nazionale".
In fondo diventiamo un po’ tutti apocalittici quando invecchiamo, è un normale tratto narcisistico; anche la Fallaci, più che l’antropologo-geo-politica in cui l’hanno trasformata, era una giornalista malata che intuiva che dopo di lei sarebbe venuto il diluvio. Houellebecq a dire il vero non è ancora così estremo, ha ancora consigli concreti da fornire, proposte in grado di incidere sulla realtà, speranze insomma. Peccato che (e anche qui, immaginiamoci lo sbigottimento dei lettori del Corriere), queste proposte non abbiano niente a che vedere con l’Islam. A Houellebecq l’Islam non frega più di tanto - in certi punti del libro ha il sospetto che sarebbe un modo efficace per scoparsi delle quindicenni, e che anche a quest'ultime la prospettiva non dovrebbe dispiacere, - i mariti le riempiranno di regali, avranno “la possibilità di restare bambine praticamente per tutta la vita”. Quindicenni a parte, quel che preme davvero a Houellebecq è la fine del semipresidenzialismo francese, l’introduzione della “democrazia diretta”. La democrazia diretta.
La democrazia diretta? Cioè, Houellebecq è un grillino?
In un certo senso (continua)
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La Bovary sarai tu!
13-09-2011, 15:23Francia, leggere, Oriana Fallaci, traffici di sensoPermalink
Traffico di senso: la parola bovarismo
Io ho sempre pensato che un giorno avrei avuto una casa, non grande, magari non bella, ma con una libreria interessante. Finché un giorno ho capito che non sarebbe successo mai, per più di un motivo. Non ho così tanti libri, in fondo, e quelli che ho non sono così decorativi. Invecchiano senza diventare nobili; non restituiscono l'immagine di una persona studiosa, piuttosto di uno che ha frequentato troppe edicole e bancarelle e non si vergognava a portarsi a casa un newton compton rosso fuoco (del resto quel Tutto Dante a 9900 lire non era un affare?) Non riescono nemmeno a restare in ordine, non capisco bene il perché; non li consulto quasi mai (sto quasi sempre su internet). Ma sono i miei libri, mi assomigliano. Non è che mi piacciano tanto, però non riuscirei a disfarmene nemmeno volendo. Li ho messi in una stanza a parte, quando vengono ospiti chiudiamo la porta. Perché vi racconto questa cosa.
Perché l'altro giorno ho letto questo pezzo del Corriere, in cui si cercava di ammucchiare nei confronti di Nicla Tarantini tutto il disprezzo possibile (si capisce che il giornalista si è recato a Bari apposta e ha condotto indagini estese), e il risultato è condensato appunto in quel titolo: "Brillanti e niente libri". Il massimo dell'ignominia, per un giornalista del Corriere (ma poteva essere la Repubblica, la Stampa, e tanti altri) è non avere una libreria in casa. Il che non è nemmeno sicuro, non è che Goffredo Buccini sia stato in casa di Nicla e abbia verificato l'arredamento. Ha solo raccolto le chiacchiere di amiche e conoscenti, e di una in particolare. Notate come la presenta:
E' "spiritosa" perché sa istituire il rapporto Tarantini:libri=io:suora. E' (probabilmente) "meno ignorante" perché intuisce la vacuità di una vita senza mezza libreria in casa. E va bene. Non è che io voglia fare lo snob al contrario, anche a me capita di entrare in case d'altri ed elaborare pregiudizi in base ai libri che vedo e al modo in cui sono accatastati. Una libreria non rende certo una persona colta o intelligente; però aiuta. La cosa veramente curiosa è che due paragrafi più su Buccini aveva definito la parabola dei Tarantini una "piccola storia di bovarismo del Terzo Millennio". Il che potrebbe anche starci, in fondo questi due trentacinquenni "perfino più immaturi della loro età", come li definiva Lavitola, qualcosa in comune con Emma Bovary ce l'hanno: il consumo compulsivo di beni voluttuari, l'esigenza di vivere al di sopra delle proprie possibilità (la difficoltà anche a capire quali siano effettivamente, queste possibilità).
Il bovarismo, però, come lo aveva isolato Flaubert, si verificava in presenza di determinati agenti patogeni: i libri. Emma, mi par di ricordare, ne leggeva troppi. Nicla (forse) neanche uno. Anche il bovarismo, insomma, non è più quello di una volta, e in realtà è proprio questo che m'interessa: notare come le parole cambiano continuamente di significato, ogni volta che le usiamo: e sì che le usiamo proprio perché vorremmo far forza su un bagaglio di nozioni date per scontate, un retroterra culturale solido, qualcosa dove metter radice, una bella libreria immobile, lucchettata: niente da fare. Le parole ci cambiano in mano, afferriamo un martello e ci troviamo in mano un cacciavite che c pone dei problemi: perché pensavate di usarmi come un martello? Cosa vi faceva pensare che io potessi pestare un chiodo? Cosa vuol dire oggi la parola "bovarismo"? Non lo so, probabilmente Buccini ha una sua idea che non è la mia. Ma non è così interessante. Quello che è interessante è cosa dice la parola "bovarismo" di noi che pretendiamo di usarla oggi.
Ci dice che siamo molto diversi da Flaubert, al punto che non lo capiamo quasi più. Lo si capisce anche solo dal modo in cui trattiamo i libri: ne apriamo molti meno, ma nel frattempo abbiamo sviluppato un'enorme fede in loro. La loro sola presenza, la semplice ostensione dei libri in una teca, avrebbe il potere di salvare la nostra vita, riscattarla sia dalla banalità della provincia, sia dai luccicori dei "coca-party". Se uno legge libri, se uno possiede librerie o perlomeno nota la loro assenza in un salotto, è "meno ignorante".
Ai tempi di Flaubert probabilmente non era così. I libri erano oggetti perfino pericolosi, che potevano portare alla perdizione: da assumere con prescrizione medica. Lo stesso Flaubert, se ricordo bene, a momenti ci crepava, sulla Tentazione di Sant'Antonio: e Madame Bovary lo scrisse anche per disintossicarsi, scegliendo la storia più banale e terra-terra, meno letteraria che riuscisse a trovare.
Tanti anni fa, ormai è quasi una vita precedente, visitai la casa di Balzac, che in realtà non era nemmeno la casa di Balzac, perché quel formidabile cialtrone riusciva a mettere il suo nome (falso) su tantissime cose che non possedeva: era una casa di amici e ammiratori in cui lui poteva arrivare quando voleva, entrare nella sua stanzetta e mettersi a letto e/o scrivere. Tra le incisioni alle pareti ne ricordo una che mostrava "il lettore" (dunque il cliente-tipo di Balzac). Voi subito immaginate un signore distinto che seduto su una poltrona aggrotta la fronte, magari per tener fermo il monocolo. Perché siete uomini del XXI sec., per voi leggere è cosa da nobili, e che nobilita. Invece "il lettore" dei tempi di Balzac è un vecchietto spiritato che siede a tavola col piatto pieno di cibo freddo (non riesce a staccare gli occhi dalla pagina) e che si versa il vino fuori dal bicchiere. Un poveretto, il "lettore". Totalmente succube di un'ossessione-compulsione che è simile a quella che noi lamentiamo nei ragazzini con playstation. Il "lettore" era un malato, un tossicodipendente. La lettura non lo nobilitava: lo estraniava dalla società. Naturalmente lo stesso Balzac si sarebbe ribellato a una tesi del genere, e avrebbe sostenuto che c'erano libri e libri: immondi feuilletons e accurati ""études philosophiques". Oggi no: oggi qualsiasi libro è comunque meglio di qualsiasi altro impiego del tempo libero: basta aprire un libro, qualsiasi libro, per sembrare più intelligente di qualcun altro che nello stesso momento sta guardando la tv, o videogiocando, o cercando prove della propria esistenza su un social network, o cicalando su un cellulare. L'unica cosa vagamente paragonabile sono i film, ma qui conserviamo ancora qualche distinguo sul contenuto: la frase "in casa ha tanti dvd" in sé non vuol dir niente, resta da stabilire se siano Tarkovskij o Neri Parenti. Invece la libreria è indizio di cultura a prescindere. La persona che ha fatto una soffiata sui Tarantini, magari a casa ne ha una piena di Moccia o Fabio Volo; ma sono libri - parallelepipedi di fogli di carta rilegati su un lato, e quindi comunque la rendono "meno ignorante". Magari, per dire, ha tutti i pamphlet antislamici di Oriana Fallaci...
A proposito. Il giorno dopo lo stesso quotidiano, il Corriere, è uscito con una buffa versione "da collezione" per il decennale dell'11 settembre, il giorno che secondo loro ha cambiato tutto. Il che tra l'altro è sempre più discutibile: a distanza di dieci anni non c'è una sola notizia importante, in questi giorni (crisi europea, fine del berlusconismo, guerra in Libia, incidenti nucleari, riscaldamento globale) che sia facilmente riconducibile con un rapporto di effetto-causa agli attentati di dieci anni fa. Probabilmente se Mohammed Atta se ne fosse rimasto a casa oggi i nostri telegiornali ci racconterebbero le stesse cose. Però è ugualmente vero che per il Corriere dieci anni fa è cambiato tutto. E' stato il momento in cui i suoi lettori, un tempo maggioranza silenziosa, hanno tirato fuori dagli scantinati il loro razzismo fino a quel momento muto e un po' vergognoso, e hanno cominciato a vantarsene, a trovarlo giusto e interessante, sacrosanto addirittura, e a sfoggiarlo addirittura su una mensola in bell'evidenza, sotto forma di cartonato di Oriana Fallaci. La vecchietta, si è poi saputo (ma si poteva benissimo intuire), non era più molto padrona di sé, ma De Bortoli e RCS non si posero evidentemente il problema, spremendo il limone fino all'ultima goccia (acida). Una cosa del genere non sarebbe stata possibile fino al 10/9/01: dopo sì. Quindi, effettivamente, l'11 settembre ha cambiato qualcosa. Nelle nostre librerie, perlomeno. Che ci assomigliano. E a me non è che piacciano tanto. Agli ospiti non le mostrerei.
Io ho sempre pensato che un giorno avrei avuto una casa, non grande, magari non bella, ma con una libreria interessante. Finché un giorno ho capito che non sarebbe successo mai, per più di un motivo. Non ho così tanti libri, in fondo, e quelli che ho non sono così decorativi. Invecchiano senza diventare nobili; non restituiscono l'immagine di una persona studiosa, piuttosto di uno che ha frequentato troppe edicole e bancarelle e non si vergognava a portarsi a casa un newton compton rosso fuoco (del resto quel Tutto Dante a 9900 lire non era un affare?) Non riescono nemmeno a restare in ordine, non capisco bene il perché; non li consulto quasi mai (sto quasi sempre su internet). Ma sono i miei libri, mi assomigliano. Non è che mi piacciano tanto, però non riuscirei a disfarmene nemmeno volendo. Li ho messi in una stanza a parte, quando vengono ospiti chiudiamo la porta. Perché vi racconto questa cosa.
Perché l'altro giorno ho letto questo pezzo del Corriere, in cui si cercava di ammucchiare nei confronti di Nicla Tarantini tutto il disprezzo possibile (si capisce che il giornalista si è recato a Bari apposta e ha condotto indagini estese), e il risultato è condensato appunto in quel titolo: "Brillanti e niente libri". Il massimo dell'ignominia, per un giornalista del Corriere (ma poteva essere la Repubblica, la Stampa, e tanti altri) è non avere una libreria in casa. Il che non è nemmeno sicuro, non è che Goffredo Buccini sia stato in casa di Nicla e abbia verificato l'arredamento. Ha solo raccolto le chiacchiere di amiche e conoscenti, e di una in particolare. Notate come la presenta:
«Però manco mezza libreria: loro stavano ai libri come io sto a una suora», ridacchia una delle fate della scuderia, la più spiritosa e, probabilmente, la meno ignorante.
E' "spiritosa" perché sa istituire il rapporto Tarantini:libri=io:suora. E' (probabilmente) "meno ignorante" perché intuisce la vacuità di una vita senza mezza libreria in casa. E va bene. Non è che io voglia fare lo snob al contrario, anche a me capita di entrare in case d'altri ed elaborare pregiudizi in base ai libri che vedo e al modo in cui sono accatastati. Una libreria non rende certo una persona colta o intelligente; però aiuta. La cosa veramente curiosa è che due paragrafi più su Buccini aveva definito la parabola dei Tarantini una "piccola storia di bovarismo del Terzo Millennio". Il che potrebbe anche starci, in fondo questi due trentacinquenni "perfino più immaturi della loro età", come li definiva Lavitola, qualcosa in comune con Emma Bovary ce l'hanno: il consumo compulsivo di beni voluttuari, l'esigenza di vivere al di sopra delle proprie possibilità (la difficoltà anche a capire quali siano effettivamente, queste possibilità).
Il bovarismo, però, come lo aveva isolato Flaubert, si verificava in presenza di determinati agenti patogeni: i libri. Emma, mi par di ricordare, ne leggeva troppi. Nicla (forse) neanche uno. Anche il bovarismo, insomma, non è più quello di una volta, e in realtà è proprio questo che m'interessa: notare come le parole cambiano continuamente di significato, ogni volta che le usiamo: e sì che le usiamo proprio perché vorremmo far forza su un bagaglio di nozioni date per scontate, un retroterra culturale solido, qualcosa dove metter radice, una bella libreria immobile, lucchettata: niente da fare. Le parole ci cambiano in mano, afferriamo un martello e ci troviamo in mano un cacciavite che c pone dei problemi: perché pensavate di usarmi come un martello? Cosa vi faceva pensare che io potessi pestare un chiodo? Cosa vuol dire oggi la parola "bovarismo"? Non lo so, probabilmente Buccini ha una sua idea che non è la mia. Ma non è così interessante. Quello che è interessante è cosa dice la parola "bovarismo" di noi che pretendiamo di usarla oggi.
Ci dice che siamo molto diversi da Flaubert, al punto che non lo capiamo quasi più. Lo si capisce anche solo dal modo in cui trattiamo i libri: ne apriamo molti meno, ma nel frattempo abbiamo sviluppato un'enorme fede in loro. La loro sola presenza, la semplice ostensione dei libri in una teca, avrebbe il potere di salvare la nostra vita, riscattarla sia dalla banalità della provincia, sia dai luccicori dei "coca-party". Se uno legge libri, se uno possiede librerie o perlomeno nota la loro assenza in un salotto, è "meno ignorante".
Ai tempi di Flaubert probabilmente non era così. I libri erano oggetti perfino pericolosi, che potevano portare alla perdizione: da assumere con prescrizione medica. Lo stesso Flaubert, se ricordo bene, a momenti ci crepava, sulla Tentazione di Sant'Antonio: e Madame Bovary lo scrisse anche per disintossicarsi, scegliendo la storia più banale e terra-terra, meno letteraria che riuscisse a trovare.
Tanti anni fa, ormai è quasi una vita precedente, visitai la casa di Balzac, che in realtà non era nemmeno la casa di Balzac, perché quel formidabile cialtrone riusciva a mettere il suo nome (falso) su tantissime cose che non possedeva: era una casa di amici e ammiratori in cui lui poteva arrivare quando voleva, entrare nella sua stanzetta e mettersi a letto e/o scrivere. Tra le incisioni alle pareti ne ricordo una che mostrava "il lettore" (dunque il cliente-tipo di Balzac). Voi subito immaginate un signore distinto che seduto su una poltrona aggrotta la fronte, magari per tener fermo il monocolo. Perché siete uomini del XXI sec., per voi leggere è cosa da nobili, e che nobilita. Invece "il lettore" dei tempi di Balzac è un vecchietto spiritato che siede a tavola col piatto pieno di cibo freddo (non riesce a staccare gli occhi dalla pagina) e che si versa il vino fuori dal bicchiere. Un poveretto, il "lettore". Totalmente succube di un'ossessione-compulsione che è simile a quella che noi lamentiamo nei ragazzini con playstation. Il "lettore" era un malato, un tossicodipendente. La lettura non lo nobilitava: lo estraniava dalla società. Naturalmente lo stesso Balzac si sarebbe ribellato a una tesi del genere, e avrebbe sostenuto che c'erano libri e libri: immondi feuilletons e accurati ""études philosophiques". Oggi no: oggi qualsiasi libro è comunque meglio di qualsiasi altro impiego del tempo libero: basta aprire un libro, qualsiasi libro, per sembrare più intelligente di qualcun altro che nello stesso momento sta guardando la tv, o videogiocando, o cercando prove della propria esistenza su un social network, o cicalando su un cellulare. L'unica cosa vagamente paragonabile sono i film, ma qui conserviamo ancora qualche distinguo sul contenuto: la frase "in casa ha tanti dvd" in sé non vuol dir niente, resta da stabilire se siano Tarkovskij o Neri Parenti. Invece la libreria è indizio di cultura a prescindere. La persona che ha fatto una soffiata sui Tarantini, magari a casa ne ha una piena di Moccia o Fabio Volo; ma sono libri - parallelepipedi di fogli di carta rilegati su un lato, e quindi comunque la rendono "meno ignorante". Magari, per dire, ha tutti i pamphlet antislamici di Oriana Fallaci...
A proposito. Il giorno dopo lo stesso quotidiano, il Corriere, è uscito con una buffa versione "da collezione" per il decennale dell'11 settembre, il giorno che secondo loro ha cambiato tutto. Il che tra l'altro è sempre più discutibile: a distanza di dieci anni non c'è una sola notizia importante, in questi giorni (crisi europea, fine del berlusconismo, guerra in Libia, incidenti nucleari, riscaldamento globale) che sia facilmente riconducibile con un rapporto di effetto-causa agli attentati di dieci anni fa. Probabilmente se Mohammed Atta se ne fosse rimasto a casa oggi i nostri telegiornali ci racconterebbero le stesse cose. Però è ugualmente vero che per il Corriere dieci anni fa è cambiato tutto. E' stato il momento in cui i suoi lettori, un tempo maggioranza silenziosa, hanno tirato fuori dagli scantinati il loro razzismo fino a quel momento muto e un po' vergognoso, e hanno cominciato a vantarsene, a trovarlo giusto e interessante, sacrosanto addirittura, e a sfoggiarlo addirittura su una mensola in bell'evidenza, sotto forma di cartonato di Oriana Fallaci. La vecchietta, si è poi saputo (ma si poteva benissimo intuire), non era più molto padrona di sé, ma De Bortoli e RCS non si posero evidentemente il problema, spremendo il limone fino all'ultima goccia (acida). Una cosa del genere non sarebbe stata possibile fino al 10/9/01: dopo sì. Quindi, effettivamente, l'11 settembre ha cambiato qualcosa. Nelle nostre librerie, perlomeno. Che ci assomigliano. E a me non è che piacciano tanto. Agli ospiti non le mostrerei.
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Riposa in prrrrr
29-07-2008, 18:2111/9, giornalisti, italianistica, Oriana FallaciPermalinkQuel figlio mai nato
Sul romanzo postumo di Oriana Fallaci, Un cappello pieno di ciliege (ciliege senza la “i”, tarate il vostro correttore automatico), io ho un forte pregiudizio, che nemmeno ho intenzione di verificare.
Perché parliamoci chiaro: se alla mia età non ho ancora letto le Upanishad e i Miserabili, non credo che troverò il tempo per il cappello pieno di ciliege. No, quello che farò qui è incartarvi il pregiudizio fatto e finito. Una cosa discutibile e persino un po’ vigliacca, la pisciatina sull’inedito illustre; ma su un blog si può fare.
Dicevamo, il cappello pieno di ciliege. Una gran palla, secondo me. Per i lettori non lo so, ma per lei di certo. Perché scusate, mica stiamo parlando di uno di quegli stitici letterati del Novecento, perennemente in preda a crampi e blocchi, quelli da cento paginette a decade; questa è Oriana Fallaci, una che quando trovava la storia giusta (e la trovava spesso), ti buttava giù un paginone centrale prima di colazione, una che la sua Olivetti Lettera 32 la pestava con undici dita alla volta, la faceva cantare come un Kalashnikov, tatatatatà ding! Tatatatà ding! Ding! Ding! Ding!
Almeno fino al 1991.
Era appena uscito Insciallah, un poema epico lungimirante (NIE quando ancora Genna guardava i cartoni), che mentre tutti fissavano con aria attonita le rovine del Muro, indicava nel Medio Oriente il nuovo sanguinoso fronte tra mondo libero e barbarie. Passa qualche mese e un certo Saddam Hussein le dà clamorosamente ragione invadendo il Kuwait, in quello che agli osservatori internazionali appariva ancora un inspiegabile capriccio. La guerra è imminente e la prima reporter d’Italia (e del mondo) non si fa aspettare… ma poi nelle retrovie succede qualcosa.
Questa guerra non si vede. La Fallaci ha passato una vita a guardare e a raccontare, ma stavolta no. Stavolta non si vede e non si capisce niente. Luci verdi su sfondo scuro, ed è tutto. La prima guerra del Golfo fu uno choc per molti vecchi reporter, ma per la decana Oriana dev’essere stata la percezione della fine. Analogica in un mondo digitale. Improvvisamente sei un vecchio disco polveroso e comunque il giradischi lo abbiamo lasciato in casa dei nonni.
Ma credete che abbia strepitato, sputato fuoco contro i nuovi media e i giornalisti embedded? No, quella volta reagì in un modo curiosamente freddo. Si ritirò a New York a scrivere un romanzone storico. Lo chiamava "il-mio-bambino", sì, vabbè – un bambino, per quanto piantagrane, massimo in nove mesi si scodella. Questo in dieci anni non ha voluto venir fuori. Oh, ma stiamo parlando di Oriana Fallaci, settanta battute al minuto! Voi come ve lo spiegate? Per me, semplicemente, si annoiava. Il Settecento, l’Ottocento, le guerre in costume, le ciliegie… una palla. Il suo bambino. Quante volte avrà voluto raschiarlo via, quel bambino mai nato e già promesso agli editori. “Oriana, come va?” Eh, come va, mica posso dirti che non sto combinando un cazzo. “Sto lavorando a quel romanzo, sai… ma è una cosa lunga”. “Ah, sarà sicuramente un capolavoro”. Certo, certo, come no.
In mezzo a tutto questo, ti diagnosticano pure il cancro… l’“alieno”, come amavi chiamarlo. Sicché tra un bambino che non vuole saperne di nascere, e un alieno che ti vuole morta, non devi aver passato degli anni molto belli, a New York. Fino a quel mattino di settembre in cui, come tutti sanno, il Medio Oriente si rifece vivo alla finestra.
E tu c’eri. Di nuovo in mezzo alla notizia. In mezzo alla realtà. Altro che Sette e Ottocento. 11 settembre 2001, e la prima reporter del mondo c’è. Come devi esserti sentita? Piena di rabbia e di orgoglio, lo sappiamo; ma in mezzo a tutta questa rabbia e orgoglio, come ti devi essere sentita, Ms Fallaci?
Secondo me ti sentivi bene. Come dopo un’operazione alle cataratte, ti sbendano e rivedi il mondo con occhi nuovi, con gli occhi vecchi, con gli occhi tuoi. Che emozione, rinascere a settant’anni. Fissi la finestra per un’ora, telefoni a qualcuno, qualcuno ti telefona, e fumi come una ciminiera; ma prima o poi ti volti verso l’olivetti lettera 32. E lo vedi. Il tuo bambino mai nato, deforme e rompipalle. Ma che se ne vada a fottere nel cestino! Foglio nuovo, vita nuova.
Poi un giorno sei morta, e adesso eccolo qui, il tuo bambino mai nato. Bello, brutto, chi lo sa. Io credo che non ti piacesse, e che piuttosto di finirlo avresti fatto scoppiare la Terza Guerra Mondiale. Riposa in pace. Un giorno voglio andare a sussurrarlo sulla tua tomba. Solo per tendere l’orecchio e sentire che dallo sdegno ti rivolti. Vecchia stronza, beh, sì – un po’ mi manchi.
Oriana lavora da anni a un' opera molto importante e attesa in tutto il mondo, fra pile di documenti, in un disordine solo apparente, con fervore guerresco. Le avevo chiesto di scrivere quello che aveva visto, provato, sentito dopo quel martedì e Oriana ha raccolto su alcuni fogli emozioni, pensieri. (Ferruccio de Bortoli, corruttore di vecchiette, Corsera, 29/9/2001)
Sul romanzo postumo di Oriana Fallaci, Un cappello pieno di ciliege (ciliege senza la “i”, tarate il vostro correttore automatico), io ho un forte pregiudizio, che nemmeno ho intenzione di verificare.
Perché parliamoci chiaro: se alla mia età non ho ancora letto le Upanishad e i Miserabili, non credo che troverò il tempo per il cappello pieno di ciliege. No, quello che farò qui è incartarvi il pregiudizio fatto e finito. Una cosa discutibile e persino un po’ vigliacca, la pisciatina sull’inedito illustre; ma su un blog si può fare.
Dicevamo, il cappello pieno di ciliege. Una gran palla, secondo me. Per i lettori non lo so, ma per lei di certo. Perché scusate, mica stiamo parlando di uno di quegli stitici letterati del Novecento, perennemente in preda a crampi e blocchi, quelli da cento paginette a decade; questa è Oriana Fallaci, una che quando trovava la storia giusta (e la trovava spesso), ti buttava giù un paginone centrale prima di colazione, una che la sua Olivetti Lettera 32 la pestava con undici dita alla volta, la faceva cantare come un Kalashnikov, tatatatatà ding! Tatatatà ding! Ding! Ding! Ding!
Almeno fino al 1991.
Era appena uscito Insciallah, un poema epico lungimirante (NIE quando ancora Genna guardava i cartoni), che mentre tutti fissavano con aria attonita le rovine del Muro, indicava nel Medio Oriente il nuovo sanguinoso fronte tra mondo libero e barbarie. Passa qualche mese e un certo Saddam Hussein le dà clamorosamente ragione invadendo il Kuwait, in quello che agli osservatori internazionali appariva ancora un inspiegabile capriccio. La guerra è imminente e la prima reporter d’Italia (e del mondo) non si fa aspettare… ma poi nelle retrovie succede qualcosa.
Questa guerra non si vede. La Fallaci ha passato una vita a guardare e a raccontare, ma stavolta no. Stavolta non si vede e non si capisce niente. Luci verdi su sfondo scuro, ed è tutto. La prima guerra del Golfo fu uno choc per molti vecchi reporter, ma per la decana Oriana dev’essere stata la percezione della fine. Analogica in un mondo digitale. Improvvisamente sei un vecchio disco polveroso e comunque il giradischi lo abbiamo lasciato in casa dei nonni.
Ma credete che abbia strepitato, sputato fuoco contro i nuovi media e i giornalisti embedded? No, quella volta reagì in un modo curiosamente freddo. Si ritirò a New York a scrivere un romanzone storico. Lo chiamava "il-mio-bambino", sì, vabbè – un bambino, per quanto piantagrane, massimo in nove mesi si scodella. Questo in dieci anni non ha voluto venir fuori. Oh, ma stiamo parlando di Oriana Fallaci, settanta battute al minuto! Voi come ve lo spiegate? Per me, semplicemente, si annoiava. Il Settecento, l’Ottocento, le guerre in costume, le ciliegie… una palla. Il suo bambino. Quante volte avrà voluto raschiarlo via, quel bambino mai nato e già promesso agli editori. “Oriana, come va?” Eh, come va, mica posso dirti che non sto combinando un cazzo. “Sto lavorando a quel romanzo, sai… ma è una cosa lunga”. “Ah, sarà sicuramente un capolavoro”. Certo, certo, come no.
In mezzo a tutto questo, ti diagnosticano pure il cancro… l’“alieno”, come amavi chiamarlo. Sicché tra un bambino che non vuole saperne di nascere, e un alieno che ti vuole morta, non devi aver passato degli anni molto belli, a New York. Fino a quel mattino di settembre in cui, come tutti sanno, il Medio Oriente si rifece vivo alla finestra.
E tu c’eri. Di nuovo in mezzo alla notizia. In mezzo alla realtà. Altro che Sette e Ottocento. 11 settembre 2001, e la prima reporter del mondo c’è. Come devi esserti sentita? Piena di rabbia e di orgoglio, lo sappiamo; ma in mezzo a tutta questa rabbia e orgoglio, come ti devi essere sentita, Ms Fallaci?
Secondo me ti sentivi bene. Come dopo un’operazione alle cataratte, ti sbendano e rivedi il mondo con occhi nuovi, con gli occhi vecchi, con gli occhi tuoi. Che emozione, rinascere a settant’anni. Fissi la finestra per un’ora, telefoni a qualcuno, qualcuno ti telefona, e fumi come una ciminiera; ma prima o poi ti volti verso l’olivetti lettera 32. E lo vedi. Il tuo bambino mai nato, deforme e rompipalle. Ma che se ne vada a fottere nel cestino! Foglio nuovo, vita nuova.
Decisamente i palestinesi di Gaza non avevano molti motivi per gridar vittoria, col senno del poi lo sappiamo. Ma tu, invece. Che gran momento è stato per te. Da eremita volontaria, scrittrice quasi fuori catalogo, a salvatrice dell’Occidente. Hai venduto odio cartonato ai cinque continenti, ma più che per soldi credo che tu l’abbia fatto per dimostrare che eri viva, come l’occidente quando non sa che problema risolvere e bombarda a casaccio. L’hai fatto perché non volevi finire come una vecchia scrittrice coi crampi, e soprattutto non volevi morire di cancro, come una fumatrice qualsiasi: tu volevi la fatwa, l’hai chiesta in tutti i modi, hai fatto in modo di meritartela... e se quei barbogi dei mullah non te l’hanno concessa è solo perché sono veramente stronzi. Ma nessuno la meritava più di te, insomma, chi è questo Rushdie al tuo confronto?
“Mi chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio. Perché ho saputo che anche in Italia alcuni gioiscono come l' altra sera alla Tv gioivano i palestinesi di Gaza. «Vittoria! Vittoria!». Uomini, donne, bambini”.
Poi un giorno sei morta, e adesso eccolo qui, il tuo bambino mai nato. Bello, brutto, chi lo sa. Io credo che non ti piacesse, e che piuttosto di finirlo avresti fatto scoppiare la Terza Guerra Mondiale. Riposa in pace. Un giorno voglio andare a sussurrarlo sulla tua tomba. Solo per tendere l’orecchio e sentire che dallo sdegno ti rivolti. Vecchia stronza, beh, sì – un po’ mi manchi.
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- io respiro, e tu?
19-09-2006, 02:32coccodrilli, giornalisti, Oriana FallaciPermalinkCristo! Io non nego a nessuno il diritto di avere paura. Chi non ha paura della guerra è un cretino. E chi vuol far credere di non avere paura alla guerra, l’ho scritto mille volte, è insieme un cretino e un bugiardo. Ma nella Vita e nella Storia vi sono casi in cui non è lecito aver paura. Casi in cui aver paura è immorale e incivile. E quelli che, per debolezza o mancanza di coraggio o abitudine a tenere il piede in due staffe si sottraggono a questa tragedia, a me sembrano masochisti.
Branco di smidollati, addio.
Oriana Fallaci, negli uomini, apprezzava soprattutto il coraggio. Lo ha detto lei, in un'intervista che stanotte non trovo.
Tra tante cose che ha scritto, questa mi sembra essenziale: perché riassume molto bene quello che OF pensava di me che scrivo, di te che leggi, insomma di noi occidentali di oggi, che intorno ai discorsi di OF amavamo disputarci. Che la detestassimo, o che l'ammirassimo alla follia, una cosa è certa: lei, da parte sua, ci disprezzava.
E più della Rabbia, più dell’Orgoglio, forse quello che ci pungolava di più era questo enorme, massiccio Disprezzo, per una generazione di... mah, come ci chiamava, lei? Smidollati? Forse avrebbe usato un’altra parola, più anglo-vernacolare (Cazzo, strafottuti bastardi), ma ci siamo capiti. Oriana Fallaci negli uomini apprezzava soprattutto il coraggio, e il coraggio negli uomini d’oggi hai un bel cercarlo, non lo trovi. Effetti collaterali di una troppo lunga pace: così OF s’era ridotta a cercare il fiore selvatico del coraggio in esotici teatri di guerra, il Vietnam, la Grecia, il Libano. Laggiù gli uomini erano ancora uomini, e le donne pure. Ma da un po’ di tempo persino la guerra aveva perso il suo fascino. Nel suo bel coccodrillo Bernardo Valli ricorda la delusione della prima campagna del Golfo, quando Oriana si era trovata davanti la nuova guerra chirurgica, asettica, senza teatro e senza coraggio. La fine della generazione epica dei reporter di guerra, temerari e tutti d’un pezzo. La fine degli uomini. A quel punto, per Oriana, non restava che chiudersi nel suo studio e disprezzarci tutti quanti.
Questo disprezzo, diciamo la verità, è abbastanza fondato. Vogliamo riepilogare cos’è stata, Oriana Fallaci, dall’11 settembre in poi? La Cassandra dell’Occidente? La barda del conflitto di civiltà? Per me OF è stata, soprattutto, la resa del neo-fascismo occidentale. Cerco di spiegarmi.
Il vecchio fascismo, quello del 1919, all’inizio era ben poca cosa. Un giornalista impetuoso e uno spettro da agitare. Lo spettro era il comunismo, la rivoluzione bolscevica; il giornalista Mussolini: e all’inizio ebbe vita grama. Trombato alle elezioni, persino incarcerato. Ma alla lunga la spuntò. La fortuna ha qualche riguardo per i coraggiosi.
Il nuovo fascismo, nel 2001, aveva tutte le carte in regola per risorgere alla grande. Dopo decenni di riflusso, aveva finalmente trovato lo spettro giusto da agitare: l’Islam. Non restava che trovare l’Uomo. E in teoria sul mercato gli Uomini non mancavano; di aspiranti neo-mussolini e neo-hitler, coi loro nuovi Mein Kampf, ce n’erano parecchi. Ma all’atto pratico, tutto quello che ci siamo trovati è stata questa Vecchia Zia Rimbecillita, con la sua Rabbia, il suo Orgoglio, la sua personale Apocalisse. Se il neofascismo era tutto qui, possiamo tirare il fiato (ma attenti alle prossime generazioni).
La tempistica è impressionante. L’11 settembre un gruppetto di terroristi dirotta quattro aerei devastando World Trade Center e Pentagono; l’Occidente (smidollato) ammutolisce.
Due settimane dopo, in una provincia dell’Impero, un leader populista azzarda un paio di affermazioni da conflitto di civiltà. Si chiama Silvio Berlusconi, esalta la "superiorità" della "civiltà occidentale" su quella dei Paesi musulmani e afferma che l'Occidente è destinato a continuare ad "occidentalizzare e a conquistare i popoli". A quel punto il neofascismo poteva aver trovato il suo primo piccolo duce…
…Sennonché, nel giro di poche ore, SB si rimangia tutto. Non lo voleva dire. È stato frainteso. Non l’ha mai detto. Negli anni successivi, Berlusconi diventerà un timidissimo sostenitore della Guerra al Terrore di Bush, e più volte insisterà sulla necessità del dialogo ad oltranza con l’Islam. Perché a fare la guerra vera all’Islam ci vuole il coraggio, e il coraggio uno non se lo può dare. Per 5 anni Berlusconi si limiterà a presiedere il governo smidollato di un Paese di smidollati. La sua carriera di neoduce è già finita alla fine del settembre 2001.
Ai primi d’ottobre dello stesso anno, il Corriere della Sera aveva pubblicato La rabbia e l’orgoglio. L’operazione è subito chiara: c’è in Italia un ventre molle che non ne può più del politically correct, che odia l’Islam (ma soprattutto lo teme), che ha apprezzato le uscite neofasciste di Berlusconi ed è rimasto deluso dalla sua pronta smentita; una moltitudine di lettori che non hanno ancora il coraggio di affermare a voce alta che i musulmani sono cattivi e puzzano. Aspettano qualcuno che li sdogani, ma non c'è? Non c’è un solo giornalista in Italia che abbia il coraggio per cavalcare quest’onda d’odio, come Mussolini cavalcò l’incubo rosso nel 1920? Parrebbe di no. Siamo un popolo di smidollati, che leggono giornali scritti da smidollati. Per trovare un editorialista disposto a dichiarare il conflitto di civiltà, il Corriere si riduce a bussare all’attico di Manhattan, alla Vecchia Zia.
E la Vecchia Zia si sobbarca. Non per denaro, sarebbe sciocco anche solo pensarlo. Lo fa perché ci vuole coraggio, e coraggio la Zia ne ha avuto da vendere, fino alla fine. Alla sua età, poi, forse anch’io tra un cancro e una fatwa punterei sulla fatwa. Ma non faccio testo, sono un pacifista e i pacifisti, si sa, sono smidollati in partenza.
Sarebbe piuttosto il caso di notare, a Zia morta, quanto siano smidollati i suoi presunti fiancheggiatori - per i quali a dire il vero non ha mai avuto molte parole gentili. A partire da Bush, che prima lancia una Guerra Infinita e poi la finanzia col contagocce, trasformandola in un Vietnam a bassa intensità, senza gloria né infamia. Per continuare con i vari leader europei sempre con la scusa pronta: Berlusconi ieri, Ratzinger oggi – e sembra di sentirla dalla tomba, la Vecchia Zia atea, “Santità, tiri fuori le palle!”. Per proseguire coi Direttori e gli Editori, che alle spalle della Vecchia Zia hanno lucrato non poco, e oggi con un giro di parole sono già pronti ad accodarsi al governo nuovo, smidollato come quello vecchio. E per finire con le piccole Oriane Fallaci in trentaduesimo che nei forum e nei blog continuano a rovesciare improperi contro i pacifisti smidollati che non capiscono la necessità di una Guerra all’Islam – un popolo di guerrafondai che in 5 anni non ha mai pensato seriamente alla possibilità di arruolarsi: come se mancassero le trincee. Smidollati della peggio razza. Gente che amava Oriana, senza meritarsela. Non credo che lei li abbia mai veramente ricambiati.
Del resto chi se ne frega, adesso non c’è più. Magari è da qualche parte a intervistare uomini coraggiosi. Gente con le palle. Mohammed Atta, Al Zarqawi, tipi così. Nemici, certo. OF ha sempre intervistato i suoi nemici, gliele ha sempre cantate chiare. Mica come noialtri smidollati, che giorno per giorno, un respiro dietro l'altro, ci rassegniamo a vivere.
Branco di smidollati, addio.
Oriana Fallaci, negli uomini, apprezzava soprattutto il coraggio. Lo ha detto lei, in un'intervista che stanotte non trovo.
Tra tante cose che ha scritto, questa mi sembra essenziale: perché riassume molto bene quello che OF pensava di me che scrivo, di te che leggi, insomma di noi occidentali di oggi, che intorno ai discorsi di OF amavamo disputarci. Che la detestassimo, o che l'ammirassimo alla follia, una cosa è certa: lei, da parte sua, ci disprezzava.
E più della Rabbia, più dell’Orgoglio, forse quello che ci pungolava di più era questo enorme, massiccio Disprezzo, per una generazione di... mah, come ci chiamava, lei? Smidollati? Forse avrebbe usato un’altra parola, più anglo-vernacolare (Cazzo, strafottuti bastardi), ma ci siamo capiti. Oriana Fallaci negli uomini apprezzava soprattutto il coraggio, e il coraggio negli uomini d’oggi hai un bel cercarlo, non lo trovi. Effetti collaterali di una troppo lunga pace: così OF s’era ridotta a cercare il fiore selvatico del coraggio in esotici teatri di guerra, il Vietnam, la Grecia, il Libano. Laggiù gli uomini erano ancora uomini, e le donne pure. Ma da un po’ di tempo persino la guerra aveva perso il suo fascino. Nel suo bel coccodrillo Bernardo Valli ricorda la delusione della prima campagna del Golfo, quando Oriana si era trovata davanti la nuova guerra chirurgica, asettica, senza teatro e senza coraggio. La fine della generazione epica dei reporter di guerra, temerari e tutti d’un pezzo. La fine degli uomini. A quel punto, per Oriana, non restava che chiudersi nel suo studio e disprezzarci tutti quanti.
Questo disprezzo, diciamo la verità, è abbastanza fondato. Vogliamo riepilogare cos’è stata, Oriana Fallaci, dall’11 settembre in poi? La Cassandra dell’Occidente? La barda del conflitto di civiltà? Per me OF è stata, soprattutto, la resa del neo-fascismo occidentale. Cerco di spiegarmi.
Il vecchio fascismo, quello del 1919, all’inizio era ben poca cosa. Un giornalista impetuoso e uno spettro da agitare. Lo spettro era il comunismo, la rivoluzione bolscevica; il giornalista Mussolini: e all’inizio ebbe vita grama. Trombato alle elezioni, persino incarcerato. Ma alla lunga la spuntò. La fortuna ha qualche riguardo per i coraggiosi.
Il nuovo fascismo, nel 2001, aveva tutte le carte in regola per risorgere alla grande. Dopo decenni di riflusso, aveva finalmente trovato lo spettro giusto da agitare: l’Islam. Non restava che trovare l’Uomo. E in teoria sul mercato gli Uomini non mancavano; di aspiranti neo-mussolini e neo-hitler, coi loro nuovi Mein Kampf, ce n’erano parecchi. Ma all’atto pratico, tutto quello che ci siamo trovati è stata questa Vecchia Zia Rimbecillita, con la sua Rabbia, il suo Orgoglio, la sua personale Apocalisse. Se il neofascismo era tutto qui, possiamo tirare il fiato (ma attenti alle prossime generazioni).
La tempistica è impressionante. L’11 settembre un gruppetto di terroristi dirotta quattro aerei devastando World Trade Center e Pentagono; l’Occidente (smidollato) ammutolisce.
Due settimane dopo, in una provincia dell’Impero, un leader populista azzarda un paio di affermazioni da conflitto di civiltà. Si chiama Silvio Berlusconi, esalta la "superiorità" della "civiltà occidentale" su quella dei Paesi musulmani e afferma che l'Occidente è destinato a continuare ad "occidentalizzare e a conquistare i popoli". A quel punto il neofascismo poteva aver trovato il suo primo piccolo duce…
…Sennonché, nel giro di poche ore, SB si rimangia tutto. Non lo voleva dire. È stato frainteso. Non l’ha mai detto. Negli anni successivi, Berlusconi diventerà un timidissimo sostenitore della Guerra al Terrore di Bush, e più volte insisterà sulla necessità del dialogo ad oltranza con l’Islam. Perché a fare la guerra vera all’Islam ci vuole il coraggio, e il coraggio uno non se lo può dare. Per 5 anni Berlusconi si limiterà a presiedere il governo smidollato di un Paese di smidollati. La sua carriera di neoduce è già finita alla fine del settembre 2001.
Ai primi d’ottobre dello stesso anno, il Corriere della Sera aveva pubblicato La rabbia e l’orgoglio. L’operazione è subito chiara: c’è in Italia un ventre molle che non ne può più del politically correct, che odia l’Islam (ma soprattutto lo teme), che ha apprezzato le uscite neofasciste di Berlusconi ed è rimasto deluso dalla sua pronta smentita; una moltitudine di lettori che non hanno ancora il coraggio di affermare a voce alta che i musulmani sono cattivi e puzzano. Aspettano qualcuno che li sdogani, ma non c'è? Non c’è un solo giornalista in Italia che abbia il coraggio per cavalcare quest’onda d’odio, come Mussolini cavalcò l’incubo rosso nel 1920? Parrebbe di no. Siamo un popolo di smidollati, che leggono giornali scritti da smidollati. Per trovare un editorialista disposto a dichiarare il conflitto di civiltà, il Corriere si riduce a bussare all’attico di Manhattan, alla Vecchia Zia.
E la Vecchia Zia si sobbarca. Non per denaro, sarebbe sciocco anche solo pensarlo. Lo fa perché ci vuole coraggio, e coraggio la Zia ne ha avuto da vendere, fino alla fine. Alla sua età, poi, forse anch’io tra un cancro e una fatwa punterei sulla fatwa. Ma non faccio testo, sono un pacifista e i pacifisti, si sa, sono smidollati in partenza.
Sarebbe piuttosto il caso di notare, a Zia morta, quanto siano smidollati i suoi presunti fiancheggiatori - per i quali a dire il vero non ha mai avuto molte parole gentili. A partire da Bush, che prima lancia una Guerra Infinita e poi la finanzia col contagocce, trasformandola in un Vietnam a bassa intensità, senza gloria né infamia. Per continuare con i vari leader europei sempre con la scusa pronta: Berlusconi ieri, Ratzinger oggi – e sembra di sentirla dalla tomba, la Vecchia Zia atea, “Santità, tiri fuori le palle!”. Per proseguire coi Direttori e gli Editori, che alle spalle della Vecchia Zia hanno lucrato non poco, e oggi con un giro di parole sono già pronti ad accodarsi al governo nuovo, smidollato come quello vecchio. E per finire con le piccole Oriane Fallaci in trentaduesimo che nei forum e nei blog continuano a rovesciare improperi contro i pacifisti smidollati che non capiscono la necessità di una Guerra all’Islam – un popolo di guerrafondai che in 5 anni non ha mai pensato seriamente alla possibilità di arruolarsi: come se mancassero le trincee. Smidollati della peggio razza. Gente che amava Oriana, senza meritarsela. Non credo che lei li abbia mai veramente ricambiati.
Del resto chi se ne frega, adesso non c’è più. Magari è da qualche parte a intervistare uomini coraggiosi. Gente con le palle. Mohammed Atta, Al Zarqawi, tipi così. Nemici, certo. OF ha sempre intervistato i suoi nemici, gliele ha sempre cantate chiare. Mica come noialtri smidollati, che giorno per giorno, un respiro dietro l'altro, ci rassegniamo a vivere.
I'm breathing ... Are you breathing too? ...It's nice, isn't it? It isn't difficult to keep alive, friends - just done make trouble - or if you must make trouble, make the sort of trouble that's expected. Well, I don't need to tell you that. Good night. If we should bump into one another, recognize me.
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dura essere martiri in città
23-02-2006, 15:33Islam, Oriana Fallaci, vignette satanichePermalinkè dura essere martiri in città.
"Guardi, è una vergogna. Una vergogna".
"Eh già".
"Cioè, ma mi chiedo, cosa deve fare una povera signora?"
"Cosa deve fare?"
"Ha scritto l'articolo, e loro niente. Il libro, e niente. Il secondo libro..."
"Il cofanetto..."
"Niente-niente-niente. Ma cos'è?"
"E' mancanza di rispetto, ecco cos'è".
"E poi è razzismo. Un indiano, dico, un indiano, uno che suo nonno ancora s'inginocchiava davanti alle vacche, lui sì. Ma lei no. E poi non dite che ci rispettano, a noi occidentali".
"Ah, beh, no",
"Se non è mancanza di rispetto questa, cosa?"
"Ah, non lo so, guardi".
"Che io capisco tutto. Anche la libertà d'espressione. Viva la libertà d'espressione".
"Viva!"
"Ma la libertà d'espressione senza nessuno che s'incazza e brucia le ambasciate per quel che dici o scrivi o disegni, è una fregatura. Ecco cos'è".
"Da volere i soldi indietro".
"E dire che è una persona semplice, modesta. Si contenterebbe di poco".
"Del tipo?".
"Ma non so. Una fatwa. Anche piccola".
"Magari un po' di chiasso in strada, cassonetti bruciati e macchine, cose così".
"Eh, ci starebbe".
"Un attentato?".
"Beh, perché no? Fanno degli attentati per cose molto più cretine, dopotutto. Ma il fatto è che sono senza pietà".
"Senza pietà".
"Neanche un po' di pietà per un'anziana signora molto malata che vorrebbe andarsene col botto".
"Come una martire".
"Una martire, sì. E sì che loro dovrebbero capirla, questa cosa del martirio. C'è nella loro cultura, o no? Io sapevo che c'era, nella loro cultura. E invece..."
"Invece niente".
"Niente, niente, niente di niente. E insomma una signora cosa deve fare? Cosa deve fare per farsi notare?"
"Guardi, è una vergogna. Una vergogna".
"Eh già".
"Cioè, ma mi chiedo, cosa deve fare una povera signora?"
"Cosa deve fare?"
"Ha scritto l'articolo, e loro niente. Il libro, e niente. Il secondo libro..."
"Il cofanetto..."
"Niente-niente-niente. Ma cos'è?"
"E' mancanza di rispetto, ecco cos'è".
"E poi è razzismo. Un indiano, dico, un indiano, uno che suo nonno ancora s'inginocchiava davanti alle vacche, lui sì. Ma lei no. E poi non dite che ci rispettano, a noi occidentali".
"Ah, beh, no",
"Se non è mancanza di rispetto questa, cosa?"
"Ah, non lo so, guardi".
"Che io capisco tutto. Anche la libertà d'espressione. Viva la libertà d'espressione".
"Viva!"
"Ma la libertà d'espressione senza nessuno che s'incazza e brucia le ambasciate per quel che dici o scrivi o disegni, è una fregatura. Ecco cos'è".
"Da volere i soldi indietro".
"E dire che è una persona semplice, modesta. Si contenterebbe di poco".
"Del tipo?".
"Ma non so. Una fatwa. Anche piccola".
"Magari un po' di chiasso in strada, cassonetti bruciati e macchine, cose così".
"Eh, ci starebbe".
"Un attentato?".
"Beh, perché no? Fanno degli attentati per cose molto più cretine, dopotutto. Ma il fatto è che sono senza pietà".
"Senza pietà".
"Neanche un po' di pietà per un'anziana signora molto malata che vorrebbe andarsene col botto".
"Come una martire".
"Una martire, sì. E sì che loro dovrebbero capirla, questa cosa del martirio. C'è nella loro cultura, o no? Io sapevo che c'era, nella loro cultura. E invece..."
"Invece niente".
"Niente, niente, niente di niente. E insomma una signora cosa deve fare? Cosa deve fare per farsi notare?"
La Fallaci ha spiegato di voler raffigurare Maometto "con le sue nove mogli, fra cui la bambina che sposò a 70 anni, le sedici concubine e una cammella col burqa. La matita, per ora, si è infranta sulla figura della cammella, ma il prossimo tentativo probabilmente andrà meglio".
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- libertà, quanti crimini in tuo nome
06-02-2006, 03:05Islam, medio oriente, Oriana Fallaci, religioni, terrorismo, vignette satanichePermalinkIl Male esiste. Ma anche la Stupidità non scherza.
Il fanatismo islamico esiste. E peggiora, di anno in anno. Non credo di dare a nessuno una notizia.
Ma tocca scriverlo lo stesso, perché altrimenti sembra di voler minimizzare il problema. No. È proprio che mi pongo il problema, proprio come se lo pone la Fallaci (anche se lei guadagna di più). Il fanatismo islamico esiste e fa proseliti. Ogni anno. E se intendiamo continuare a pubblicare vignette che mostrano il volto di Maometto, quest'anno magari ne farà parecchi di più. Naturalmente abbiamo il diritto di farlo. Ma a chi conviene esattamente? A noi o ai terroristi?
Com'è fatta la società araba? In cima, ci sarà bene una crosta sottile di laici. In profondità, alcuni nuclei tossici di integralismo religioso. Tutto il resto è un'amalgama di persone più o meno ligie all'Islam e ai suoi Cinque Pilastri.
I nuclei tossici più o meno li conosciamo. Ormai siamo dei veri esperti di integralismo: ci sono i film, i libri, e tutto. Ma l'amalgama, cos'è? L'arabo-massa, chi è? Ne sappiamo poco.
Cerchiamo almeno di raffigurarcelo. Diamogli un nome. Omar (È il più facile da scrivere).
Chi è Omar?
È il mio alter-ego sull'altra sponda del mediterraneo. Cos'ho io che lui non ha? Parecchie cose. Malgrado i soldi a pioggia arrivati (non dappertutto) col petrolio, Omar è più povero di me e non ha una vera rappresentanza politica. Dunque è arrabbiato. Se ha accesso a un satellite, ha la possibilità di vedere che dall'altra parte del mediterraneo c'è un mondo più ricco e democratico. È possibile che sia anche invidioso. Nei fatti, molti coetanei di Omar si sottomettono a esperienze umilianti e costose pur di approdare nei nostri Paesi: segno che l'Occidente è ancora un modello ammirato. Ma se Omar vuole restare? Non possono andare via tutti.
Fino a vent'anni fa, chi restava poteva coltivare la speranza che il Maghreb e il Medio Oriente raggiungessero lo stesso tenore di vita dell'Occidente. Poi quella speranza si è spenta (proprio quando cominciavano ad arrivare i primi canotti da noi). Non è stato un perfido mullah a spegnerla. I perfidi mullah si sono semplicemente inseriti nelle crepe di una disperazione. Quelli che negli anni Sessanta erano i Paesi in via di Sviluppo, sono rimasti bloccati sulla via dello Sviluppo. L'integralismo è ricominciato dalla constatazione – rabbiosa – che i cancelli d'oro del benessere occidentale erano chiusi. Da cui la necessità di ripiegare su un'altra via, un'altra speranza: l'Islam. Proprio mentre la nostra società si secolarizzava definitivamente, quella araba si è irrigidita.
Naturalmente possiamo esecrare questa involuzione. Ma la religione non è il problema: la religione è un sintomo del problema. Nelle nostre società le fedi – tutt'altro che in crisi – sono funzionali a uno scopo preciso: la gestione della sofferenza. Più le cose vanno male, e più esse si ritrovano a raccogliere vittime degli ingranaggi sociali arrugginiti, dando loro uno scopo di vita. Non funziona così soltanto nei Paesi arabi.
L'Islam, nei suoi fondamentali, è una religione semplice e astratta. Esiste un solo Dio, e non è raffigurabile. Perché è, irrimediabilmente, 'altro' dall'uomo. Maometto, il fondatore, temeva l'idolatria annidata in figure e statuette. Adorare una figura di Dio non è adorare Dio. Se lascio liberi i miei fedeli di costruirsi delle immagini, come possono essere sicuri che i loro figli non adoreranno soltanto le immagini? Non è una sciocchezza, questa. Pensiamo soltanto al nostro culto dei santi, con le statue che vanno in giro e fanno i miracoli. Pensate al culto della Madonna, che a seconda della statua cambia denominazione e facoltà miracolosa (Madonna del Rosario, del Carmelo, di Lourdes, Immacolata Concezione… proprio come le dee pagane: Venere Victrix, Venere Felix…) Per l'Islam (ma anche per Lutero) quella è tutta paccottiglia da idolatri. Certo, i musulmani non vengono a dircelo in faccia. Che io sappia non pubblicano vignette sulla stupidità dei cattolici idolatri. Magari ne avrebbero il diritto. Ma non lo fanno.
L'idea della non raffigurabilità non è un'invenzione islamica. Già il Dio degli Ebrei non amava essere visto, e nemmeno pronunciato. Persino i cristiani non erano tutti d'accordo sulla libertà di raffigurazione: un secolo dopo Maometto, gli imperatori bizantini (cristiani) ordinarono la distruzione di icone e bassorilievi (cristiani).
Ma in Occidente la raffigurazione ha vinto. Ha vinto perché il Dio dei cristiani è un'entità molto più umana: ha fatto l'uomo a sua immagine, e poi si è incarnato in lui. Tutto questo ha portato non solo ad alcune degenerazioni, ma anche alla nascita di una cultura squisitamente figurativa. Per molti secoli in Italia Cristo ha dovuto esprimersi in figure – visto che i fedeli non sapevano leggere (o forse non imparavano a leggere perché tanto c'erano le figure?) Ci sono stati i misteri medievali, in cui gli attori impersonavano le figure della Bibbia (e spesso il risultato doveva risultare parodico, che lo volessero o no). C'è stata la pittura, che a partire da Giotto ha inserito Cristo e i Santi in cornici sempre più realistiche. C'è chi dice che lo stesso realismo ottocentesco e novecentesco abbia una radice nelle rappresentazioni figurate che dal medioevo in poi sono diventate sempre meno divine e sempre più umane.
Nel frattempo, sotto il mediterraneo, l'Islam produceva una cultura figurativa totalmente diversa. Per i musulmani la mediazione tra Dio e l'uomo non avveniva mediante l'immagine, ma la parola: mentre noi sviluppavamo il realismo figurativo, loro perfezionavano la calligrafia e l'arte astratta. Col tempo, il divieto di raffigurare Dio si è esteso anche al suo profeta, Maometto. Ciò non significa che non esistano, già dai primi secoli, raffigurazioni del profeta con volto e barba (via Griso); ma sono rimaste minoritarie (del resto anche noi avevamo quadri che ritraevano gli apostoli intorno alla Madonna morta: poi un Papa ha dichiarato che la Madonna era immediatamente volata in cielo al trapasso, e quei quadri non li abbiamo fatti più).
Tutta questa digressione perché continuo a sentire e leggere persone che non riescono a capire la pietra dello scandalo: in fondo, dicono, sono solo una dozzina di vignette, né molto cattive, né molto divertenti. Ma il problema non è che alcuni ritratti del profeta potrebbero risultare razzisti e, sì, antisemiti. Non è nemmeno la battuta. Il problema è la raffigurazione. Raffigurare Maometto non è come raffigurare Cristo: da una parte ci sono duemila anni di raffigurazioni, dall'altra mille anni di divieti. È così difficile da capire, la differenza? Possiamo rifiutare di capirla. Ne abbiamo il diritto. Possiamo continuare a pontificare di cose che non sappiamo. Ma ci facciamo una bella figura?
Torniamo a Omar. Abbiamo detto che non è un integralista. È probabile che covi un amore/odio per l'occidente. L'Islam è la sua cultura, e l'Islam proibisce la raffigurazione del volto di un profeta. Può darsi che la sharia contempli divieti molto odiosi; ma questo, francamente, non lo è. È un punto d'onore teologico. Ciò che fa l'Islam una religione diversa dalle altre è l'enfasi sul monoteismo.
Quest'arabo-massa, per quanto possa sembrarci strano, si sente minacciato. Proprio come noi, che dall'11 settembre ci sentiamo assediati dall'Islam. Nel 2001 gli anglo-americani (che dai tempi del Kuwait hanno basi in Arabia Saudita) hanno invaso l'Afganistan; due anni dopo l'Iraq. Ora c'è la crisi in Iran. Per non parlare della questione palestinese, che in molti regimi è usata come valvola di sfogo sociale: si organizzano parate antisioniste per prevenire spontanee manifestazioni antigovernative. Non voglio entrare nell'annoso dibattito su chi abbia iniziato, se noi o loro. Di sicuro non abbiamo iniziato io o Omar. Ma cosa importa? A questo punto anche io e Omar ci sentiamo in guerra. E nessuno di noi è convinto di vincerla. Io vedo attentati in tutto il mondo civilizzato, e Omar vede gli arabi sconfitti sul campo.
Ed ecco che arriva questa brutta storia delle vignette.
Omar non è un integralista. Quindi dovrebbe capirci. Capire che quello che per lui è un grave affronto alla religione, i danesi lo hanno fatto senza malizia, in omaggio al loro dogma (altrettanto religioso) che dice Libertà di Espressione a Ogni Costo. Dovrebbe tollerare le nostre idiosincrasie, Omar; la nostra necessità insopprimibile di dire cacca a Gesù e piscia a Maometto, come se fosse davvero satira, come se fosse almeno divertente.
Certo, se fosse gentile, educato, rispettoso delle culture diverse dalla sua, Omar dovrebbe reagire in questo modo.
Però tutta questa è solo melassa politically correct. Perché mai Omar dovrebbe essere gentile e rispettoso? È più povero di me. È meno educato di me. Non posso chiedergli un ragionamento più complesso di quello che faccio io. E se io sono così sciocco da pensare che la pubblicazione di una dozzina di volti di Maometto sia un momento fondamentale per la tutela della libertà d'espressione in Occidente, perché lui dovrebbe essere più furbo di me? Se io mi metto a dire "Tutto sommato ha ragione la Fallaci", perché lui non dovrebbe nel frattempo articolare un "Tutto sommato ha ragione Bin Laden"?
Il resto lo fanno i gruppi organizzati. Nel caso della Palestina, è evidente il desiderio di Hamas di mostrare i muscoli. Ma è possibile che in certi casi siano stati arabi qualunque, come Omar, a scendere in strada e riagganciare gli integralisti. Del resto queste sono solo congetture. Come si comportino davvero gli arabi, non lo so (Lia ne sa di più).
Credo però che non possano essere molto più furbi di noi. E noi, in questa banale storia di provocazione antislamica (a quasi vent'anni dalla fatwa a Rushdie: come se certe cose non le sapessimo), siamo stati molto stupidi. Poi, naturalmente, esiste l'integralismo, il fondamentalismo, esiste l'Odio, esiste il Male. Ma per favore, teniamo in debito conto anche la Stupidità.
Il fanatismo islamico esiste. E peggiora, di anno in anno. Non credo di dare a nessuno una notizia.
Ma tocca scriverlo lo stesso, perché altrimenti sembra di voler minimizzare il problema. No. È proprio che mi pongo il problema, proprio come se lo pone la Fallaci (anche se lei guadagna di più). Il fanatismo islamico esiste e fa proseliti. Ogni anno. E se intendiamo continuare a pubblicare vignette che mostrano il volto di Maometto, quest'anno magari ne farà parecchi di più. Naturalmente abbiamo il diritto di farlo. Ma a chi conviene esattamente? A noi o ai terroristi?
Com'è fatta la società araba? In cima, ci sarà bene una crosta sottile di laici. In profondità, alcuni nuclei tossici di integralismo religioso. Tutto il resto è un'amalgama di persone più o meno ligie all'Islam e ai suoi Cinque Pilastri.
I nuclei tossici più o meno li conosciamo. Ormai siamo dei veri esperti di integralismo: ci sono i film, i libri, e tutto. Ma l'amalgama, cos'è? L'arabo-massa, chi è? Ne sappiamo poco.
Cerchiamo almeno di raffigurarcelo. Diamogli un nome. Omar (È il più facile da scrivere).
Chi è Omar?
È il mio alter-ego sull'altra sponda del mediterraneo. Cos'ho io che lui non ha? Parecchie cose. Malgrado i soldi a pioggia arrivati (non dappertutto) col petrolio, Omar è più povero di me e non ha una vera rappresentanza politica. Dunque è arrabbiato. Se ha accesso a un satellite, ha la possibilità di vedere che dall'altra parte del mediterraneo c'è un mondo più ricco e democratico. È possibile che sia anche invidioso. Nei fatti, molti coetanei di Omar si sottomettono a esperienze umilianti e costose pur di approdare nei nostri Paesi: segno che l'Occidente è ancora un modello ammirato. Ma se Omar vuole restare? Non possono andare via tutti.
Fino a vent'anni fa, chi restava poteva coltivare la speranza che il Maghreb e il Medio Oriente raggiungessero lo stesso tenore di vita dell'Occidente. Poi quella speranza si è spenta (proprio quando cominciavano ad arrivare i primi canotti da noi). Non è stato un perfido mullah a spegnerla. I perfidi mullah si sono semplicemente inseriti nelle crepe di una disperazione. Quelli che negli anni Sessanta erano i Paesi in via di Sviluppo, sono rimasti bloccati sulla via dello Sviluppo. L'integralismo è ricominciato dalla constatazione – rabbiosa – che i cancelli d'oro del benessere occidentale erano chiusi. Da cui la necessità di ripiegare su un'altra via, un'altra speranza: l'Islam. Proprio mentre la nostra società si secolarizzava definitivamente, quella araba si è irrigidita.
Naturalmente possiamo esecrare questa involuzione. Ma la religione non è il problema: la religione è un sintomo del problema. Nelle nostre società le fedi – tutt'altro che in crisi – sono funzionali a uno scopo preciso: la gestione della sofferenza. Più le cose vanno male, e più esse si ritrovano a raccogliere vittime degli ingranaggi sociali arrugginiti, dando loro uno scopo di vita. Non funziona così soltanto nei Paesi arabi.
L'Islam, nei suoi fondamentali, è una religione semplice e astratta. Esiste un solo Dio, e non è raffigurabile. Perché è, irrimediabilmente, 'altro' dall'uomo. Maometto, il fondatore, temeva l'idolatria annidata in figure e statuette. Adorare una figura di Dio non è adorare Dio. Se lascio liberi i miei fedeli di costruirsi delle immagini, come possono essere sicuri che i loro figli non adoreranno soltanto le immagini? Non è una sciocchezza, questa. Pensiamo soltanto al nostro culto dei santi, con le statue che vanno in giro e fanno i miracoli. Pensate al culto della Madonna, che a seconda della statua cambia denominazione e facoltà miracolosa (Madonna del Rosario, del Carmelo, di Lourdes, Immacolata Concezione… proprio come le dee pagane: Venere Victrix, Venere Felix…) Per l'Islam (ma anche per Lutero) quella è tutta paccottiglia da idolatri. Certo, i musulmani non vengono a dircelo in faccia. Che io sappia non pubblicano vignette sulla stupidità dei cattolici idolatri. Magari ne avrebbero il diritto. Ma non lo fanno.
L'idea della non raffigurabilità non è un'invenzione islamica. Già il Dio degli Ebrei non amava essere visto, e nemmeno pronunciato. Persino i cristiani non erano tutti d'accordo sulla libertà di raffigurazione: un secolo dopo Maometto, gli imperatori bizantini (cristiani) ordinarono la distruzione di icone e bassorilievi (cristiani).
Ma in Occidente la raffigurazione ha vinto. Ha vinto perché il Dio dei cristiani è un'entità molto più umana: ha fatto l'uomo a sua immagine, e poi si è incarnato in lui. Tutto questo ha portato non solo ad alcune degenerazioni, ma anche alla nascita di una cultura squisitamente figurativa. Per molti secoli in Italia Cristo ha dovuto esprimersi in figure – visto che i fedeli non sapevano leggere (o forse non imparavano a leggere perché tanto c'erano le figure?) Ci sono stati i misteri medievali, in cui gli attori impersonavano le figure della Bibbia (e spesso il risultato doveva risultare parodico, che lo volessero o no). C'è stata la pittura, che a partire da Giotto ha inserito Cristo e i Santi in cornici sempre più realistiche. C'è chi dice che lo stesso realismo ottocentesco e novecentesco abbia una radice nelle rappresentazioni figurate che dal medioevo in poi sono diventate sempre meno divine e sempre più umane.
Nel frattempo, sotto il mediterraneo, l'Islam produceva una cultura figurativa totalmente diversa. Per i musulmani la mediazione tra Dio e l'uomo non avveniva mediante l'immagine, ma la parola: mentre noi sviluppavamo il realismo figurativo, loro perfezionavano la calligrafia e l'arte astratta. Col tempo, il divieto di raffigurare Dio si è esteso anche al suo profeta, Maometto. Ciò non significa che non esistano, già dai primi secoli, raffigurazioni del profeta con volto e barba (via Griso); ma sono rimaste minoritarie (del resto anche noi avevamo quadri che ritraevano gli apostoli intorno alla Madonna morta: poi un Papa ha dichiarato che la Madonna era immediatamente volata in cielo al trapasso, e quei quadri non li abbiamo fatti più).
Tutta questa digressione perché continuo a sentire e leggere persone che non riescono a capire la pietra dello scandalo: in fondo, dicono, sono solo una dozzina di vignette, né molto cattive, né molto divertenti. Ma il problema non è che alcuni ritratti del profeta potrebbero risultare razzisti e, sì, antisemiti. Non è nemmeno la battuta. Il problema è la raffigurazione. Raffigurare Maometto non è come raffigurare Cristo: da una parte ci sono duemila anni di raffigurazioni, dall'altra mille anni di divieti. È così difficile da capire, la differenza? Possiamo rifiutare di capirla. Ne abbiamo il diritto. Possiamo continuare a pontificare di cose che non sappiamo. Ma ci facciamo una bella figura?
Torniamo a Omar. Abbiamo detto che non è un integralista. È probabile che covi un amore/odio per l'occidente. L'Islam è la sua cultura, e l'Islam proibisce la raffigurazione del volto di un profeta. Può darsi che la sharia contempli divieti molto odiosi; ma questo, francamente, non lo è. È un punto d'onore teologico. Ciò che fa l'Islam una religione diversa dalle altre è l'enfasi sul monoteismo.
Quest'arabo-massa, per quanto possa sembrarci strano, si sente minacciato. Proprio come noi, che dall'11 settembre ci sentiamo assediati dall'Islam. Nel 2001 gli anglo-americani (che dai tempi del Kuwait hanno basi in Arabia Saudita) hanno invaso l'Afganistan; due anni dopo l'Iraq. Ora c'è la crisi in Iran. Per non parlare della questione palestinese, che in molti regimi è usata come valvola di sfogo sociale: si organizzano parate antisioniste per prevenire spontanee manifestazioni antigovernative. Non voglio entrare nell'annoso dibattito su chi abbia iniziato, se noi o loro. Di sicuro non abbiamo iniziato io o Omar. Ma cosa importa? A questo punto anche io e Omar ci sentiamo in guerra. E nessuno di noi è convinto di vincerla. Io vedo attentati in tutto il mondo civilizzato, e Omar vede gli arabi sconfitti sul campo.
Ed ecco che arriva questa brutta storia delle vignette.
Omar non è un integralista. Quindi dovrebbe capirci. Capire che quello che per lui è un grave affronto alla religione, i danesi lo hanno fatto senza malizia, in omaggio al loro dogma (altrettanto religioso) che dice Libertà di Espressione a Ogni Costo. Dovrebbe tollerare le nostre idiosincrasie, Omar; la nostra necessità insopprimibile di dire cacca a Gesù e piscia a Maometto, come se fosse davvero satira, come se fosse almeno divertente.
Certo, se fosse gentile, educato, rispettoso delle culture diverse dalla sua, Omar dovrebbe reagire in questo modo.
Però tutta questa è solo melassa politically correct. Perché mai Omar dovrebbe essere gentile e rispettoso? È più povero di me. È meno educato di me. Non posso chiedergli un ragionamento più complesso di quello che faccio io. E se io sono così sciocco da pensare che la pubblicazione di una dozzina di volti di Maometto sia un momento fondamentale per la tutela della libertà d'espressione in Occidente, perché lui dovrebbe essere più furbo di me? Se io mi metto a dire "Tutto sommato ha ragione la Fallaci", perché lui non dovrebbe nel frattempo articolare un "Tutto sommato ha ragione Bin Laden"?
Il resto lo fanno i gruppi organizzati. Nel caso della Palestina, è evidente il desiderio di Hamas di mostrare i muscoli. Ma è possibile che in certi casi siano stati arabi qualunque, come Omar, a scendere in strada e riagganciare gli integralisti. Del resto queste sono solo congetture. Come si comportino davvero gli arabi, non lo so (Lia ne sa di più).
Credo però che non possano essere molto più furbi di noi. E noi, in questa banale storia di provocazione antislamica (a quasi vent'anni dalla fatwa a Rushdie: come se certe cose non le sapessimo), siamo stati molto stupidi. Poi, naturalmente, esiste l'integralismo, il fondamentalismo, esiste l'Odio, esiste il Male. Ma per favore, teniamo in debito conto anche la Stupidità.
Comments (28)
- 2025
21-06-2005, 12:072025, coop-landia, giornalisti, Oriana Fallaci, pubblicità, TeopopPermalinkKamikaze d'Occidente
Quando è giugno inoltrato, e al Progetto Duemila si guasta l'ultimo condizionatore, restiamo soli io e la mia Bismoglie al rezzo dei ventilatori, senz'altra alternativa che socializzare.
"Mac, qsto spot però spiegamelo".
"Qsta? È uno campagna Coop del giugno di vent'anni fa: una cliente raccatta un camice e si spaccia per inserviente del supermercato. Lo spirito del 2005".
"Lo spirito del 2005 era spacciarsi per inservienti? Eravate messi così male?"
"Ci sentivamo impoveriti ed avevamo un bisogno disperato di appartenere a una qualsiasi istituzione".
"Un supermercato?".
"L'incarnazione più bonaria del Potere. Niente politica, niente esercito, solo un Marchio. Garanzia, però, di qualità. Come sai il motto del Teopop…"
"…Fu preso da quello della Coop, lo so. «Il Teopop sei tu / chi può darti di più». Non so se valga la pena ricordarlo agli utenti".
"Perché no? Lo spot mostra già quella concezione bonaria del potere, quella retorica partecipativa che lanciò il Teopop come rivoluzione su misura per pensionate e commessi. Poche ciance, mettiti un camice e datti da fare, che ce n'è di lavoro qui! La vecchina col camice fu il nostro Zio Sam".
"Chi è Zio Sam?"
"Lascia perdere, va".
"Parlando d'altro, non mi hai ancora spiegato come ne sei venuto fuori, l'altro giorno".
"No?"
"Eravamo rimasti a quando hai scoperto di avere la classe piena di fallaciani…"
"…che ce l'avevano con me perché pensavano che l'Apocalisse fosse solo un libro della Fallaci, così praticam io stavo abusando di un sacro nome che…"
"Mac?"
"Assunta?"
"Ti-faccio-una-domanda-e-non-devi-alzar-la-voce, ok? Siamo sul luogo di lavoro"
"Non sai cos'è l'Apocalisse".
"Certo che lo so, è un libro della Bibbia. Qllo che parla di quel che succede adesso, gli usastri che fuggono su Marte e tutto il resto".
"Marte è solo una teoria. Ma allora cos'è che non sai?"
"Insomma, qsta Fallaci…"
"Non conosci la Fallaci?"
"Ti avevo chiesto di non alzar la voce!"
"Ah, ma… Fallaci è l'ispiratrice dei fallaciani, no?"
"Sì, tante grazie".
"Si tratta di una famosa giornalista italiana che, quando seppe di essere afflitta da un morbo incurabile, decise che avrebbe messo a profitto il poco tempo a disposizione, e si adoperò in tutti i modi per farsi lanciare una fatwa internazionale. Stile Rushdie, hai presente".
"Lo scrittore indiano perseguitato dagli islamici perché aveva scritto…".
"Una manciata di paragrafi irrispettosi sul Profeta. Per essere sicura, qsta giornalista scrisse ben più di una manciata di lenzuoli editoriali in cui offendeva il Profeta, la sua barba, l'Islam e chiunq le capitasse a tiro. Era appena stato l'undici settembre, ed eravamo tutti molto sensibili su qsti argomenti… in pratica, voleva morire col botto e diventare un martire dell'Occidente. Ché è meglio di farsi venire le piaghe da decubito in una clinica privata, se ci pensi".
"E la gente come reagì?"
"Ah, fu un grande successo mondiale. Ristampe, traduzioni, aggiornamenti…"
"Ma la fatwa?"
"Ecco, qllo resta un mistero. Nessun Imam o Mullah si decise a promulgarla. Passavano gli anni, lei continuava a berciare, e loro niente. Da chiedersi cos'è che avesse fatto di male, per esser snobbata così. Ormai aveva esaurito gli insulti, ma la fatwa ancora non arrivava".
"E poi? Com'è finita?"
"Non si sa bene. Secondo alcuni è volata su Marte… o comunq in cielo… durante la Rapture. Perché viveva a Manhattan, sai, e da lì sono decollati in parecchi. Secondo altri è stata effettivam martirizzata da un Commando islamico. In ogni caso, i suoi testi hanno dato vita a una setta, qlla dei fallaciani, appunto".
"Ma tu, alla fine, come l'hai spuntata?"
"Non te l'ho ancora detto? Mi ha salvato Taddei, sai, il tipo congelato".
"Il clandestino di San Lazzaro? Era lì?"
"Viene lì tutti i giorni, a farsi un corso accelerato di Supernet… è entrato pensando che la lezione fosse finita, proprio nel momento in cui stavano per saltarmi al collo".
"Non ti sarebbero saltati al collo, è solo un'impressione".
"Senti, ne avevo almeno quattro che mi abbaiavano intorno, voglio proprio vedere tu, se…"
"E lui cosa ha fatto? Ha sollevato la cattedra e gliel'ha scagliata addosso? O altre cose da supereroe?"
"Macché, ha cacciato un urlo e lanciato un'occhiataccia, tutto qui".
"Tutto qui. E loro si sono placati. Una cosa molto istintiva. È come se riconoscessero un loro superiore".
"Ci sa fare coi ragazzini".
"Ho scoperto che è un mezzo idolo della facoltà. C'è chi sostiene che abbia già sventato due attentati libici in piazza".
"Attentati libici in facoltà?"
"La gente è pazza, sai".
"Mac, io vorrei che mi spiegassi una volta per tutte chi è Taddei e perché è così importante per te. E per Damaso":
"Ecco, era da un po' che non mi saltavi fuori con Damaso. Te l'ho già detto, Damaso mi aveva assunto per fargli un corso aggiornato di civiltà, poi lui è scappato… ora l'ho ritrovato, non mi resta che ritrovare anche Damaso, e intascare…"
"Trovarlo? Quindi non sai che lo hanno trasferito?"
"Sì? Dove".
"Non lo so di preciso, ho solo sentito… Appennino reggiano, credo".
"Brrr. Ospedale di Bismantova?"
"No, niente ospedale. Hanno scoperto che non aveva una laurea vera in psicologia".
"Qsto si sapeva già. È solo caduto in disgrazia".
"Ma neanche una laurea in medicina. Salta fuori che è un veterinario".
"Tipico".
"Come sarebbe a dire tipico?"
"Tipico Teopop: se c'è un camice in giro che non sta usando nessuno, mettitelo tu. Che c'è un sacco di lavoro da fare".
"Certe volte, sai non ti capisco".
"È perché sono vecchio, Sunta".
"No, secondo me eri fuori già ai vecchi tempi".
"E tu che ne sai, dei vecchi tempi?"
"Me li faccio raccontare".
Quando è giugno inoltrato, e al Progetto Duemila si guasta l'ultimo condizionatore, restiamo soli io e la mia Bismoglie al rezzo dei ventilatori, senz'altra alternativa che socializzare.
"Mac, qsto spot però spiegamelo".
"Qsta? È uno campagna Coop del giugno di vent'anni fa: una cliente raccatta un camice e si spaccia per inserviente del supermercato. Lo spirito del 2005".
"Lo spirito del 2005 era spacciarsi per inservienti? Eravate messi così male?"
"Ci sentivamo impoveriti ed avevamo un bisogno disperato di appartenere a una qualsiasi istituzione".
"Un supermercato?".
"L'incarnazione più bonaria del Potere. Niente politica, niente esercito, solo un Marchio. Garanzia, però, di qualità. Come sai il motto del Teopop…"
"…Fu preso da quello della Coop, lo so. «Il Teopop sei tu / chi può darti di più». Non so se valga la pena ricordarlo agli utenti".
"Perché no? Lo spot mostra già quella concezione bonaria del potere, quella retorica partecipativa che lanciò il Teopop come rivoluzione su misura per pensionate e commessi. Poche ciance, mettiti un camice e datti da fare, che ce n'è di lavoro qui! La vecchina col camice fu il nostro Zio Sam".
"Chi è Zio Sam?"
"Lascia perdere, va".
"Parlando d'altro, non mi hai ancora spiegato come ne sei venuto fuori, l'altro giorno".
"No?"
"Eravamo rimasti a quando hai scoperto di avere la classe piena di fallaciani…"
"…che ce l'avevano con me perché pensavano che l'Apocalisse fosse solo un libro della Fallaci, così praticam io stavo abusando di un sacro nome che…"
"Mac?"
"Assunta?"
"Ti-faccio-una-domanda-e-non-devi-alzar-la-voce, ok? Siamo sul luogo di lavoro"
"Non sai cos'è l'Apocalisse".
"Certo che lo so, è un libro della Bibbia. Qllo che parla di quel che succede adesso, gli usastri che fuggono su Marte e tutto il resto".
"Marte è solo una teoria. Ma allora cos'è che non sai?"
"Insomma, qsta Fallaci…"
"Non conosci la Fallaci?"
"Ti avevo chiesto di non alzar la voce!"
"Ah, ma… Fallaci è l'ispiratrice dei fallaciani, no?"
"Sì, tante grazie".
"Si tratta di una famosa giornalista italiana che, quando seppe di essere afflitta da un morbo incurabile, decise che avrebbe messo a profitto il poco tempo a disposizione, e si adoperò in tutti i modi per farsi lanciare una fatwa internazionale. Stile Rushdie, hai presente".
"Lo scrittore indiano perseguitato dagli islamici perché aveva scritto…".
"Una manciata di paragrafi irrispettosi sul Profeta. Per essere sicura, qsta giornalista scrisse ben più di una manciata di lenzuoli editoriali in cui offendeva il Profeta, la sua barba, l'Islam e chiunq le capitasse a tiro. Era appena stato l'undici settembre, ed eravamo tutti molto sensibili su qsti argomenti… in pratica, voleva morire col botto e diventare un martire dell'Occidente. Ché è meglio di farsi venire le piaghe da decubito in una clinica privata, se ci pensi".
"E la gente come reagì?"
"Ah, fu un grande successo mondiale. Ristampe, traduzioni, aggiornamenti…"
"Ma la fatwa?"
"Ecco, qllo resta un mistero. Nessun Imam o Mullah si decise a promulgarla. Passavano gli anni, lei continuava a berciare, e loro niente. Da chiedersi cos'è che avesse fatto di male, per esser snobbata così. Ormai aveva esaurito gli insulti, ma la fatwa ancora non arrivava".
"E poi? Com'è finita?"
"Non si sa bene. Secondo alcuni è volata su Marte… o comunq in cielo… durante la Rapture. Perché viveva a Manhattan, sai, e da lì sono decollati in parecchi. Secondo altri è stata effettivam martirizzata da un Commando islamico. In ogni caso, i suoi testi hanno dato vita a una setta, qlla dei fallaciani, appunto".
"Ma tu, alla fine, come l'hai spuntata?"
"Non te l'ho ancora detto? Mi ha salvato Taddei, sai, il tipo congelato".
"Il clandestino di San Lazzaro? Era lì?"
"Viene lì tutti i giorni, a farsi un corso accelerato di Supernet… è entrato pensando che la lezione fosse finita, proprio nel momento in cui stavano per saltarmi al collo".
"Non ti sarebbero saltati al collo, è solo un'impressione".
"Senti, ne avevo almeno quattro che mi abbaiavano intorno, voglio proprio vedere tu, se…"
"E lui cosa ha fatto? Ha sollevato la cattedra e gliel'ha scagliata addosso? O altre cose da supereroe?"
"Macché, ha cacciato un urlo e lanciato un'occhiataccia, tutto qui".
"Tutto qui. E loro si sono placati. Una cosa molto istintiva. È come se riconoscessero un loro superiore".
"Ci sa fare coi ragazzini".
"Ho scoperto che è un mezzo idolo della facoltà. C'è chi sostiene che abbia già sventato due attentati libici in piazza".
"Attentati libici in facoltà?"
"La gente è pazza, sai".
"Mac, io vorrei che mi spiegassi una volta per tutte chi è Taddei e perché è così importante per te. E per Damaso":
"Ecco, era da un po' che non mi saltavi fuori con Damaso. Te l'ho già detto, Damaso mi aveva assunto per fargli un corso aggiornato di civiltà, poi lui è scappato… ora l'ho ritrovato, non mi resta che ritrovare anche Damaso, e intascare…"
"Trovarlo? Quindi non sai che lo hanno trasferito?"
"Sì? Dove".
"Non lo so di preciso, ho solo sentito… Appennino reggiano, credo".
"Brrr. Ospedale di Bismantova?"
"No, niente ospedale. Hanno scoperto che non aveva una laurea vera in psicologia".
"Qsto si sapeva già. È solo caduto in disgrazia".
"Ma neanche una laurea in medicina. Salta fuori che è un veterinario".
"Tipico".
"Come sarebbe a dire tipico?"
"Tipico Teopop: se c'è un camice in giro che non sta usando nessuno, mettitelo tu. Che c'è un sacco di lavoro da fare".
"Certe volte, sai non ti capisco".
"È perché sono vecchio, Sunta".
"No, secondo me eri fuori già ai vecchi tempi".
"E tu che ne sai, dei vecchi tempi?"
"Me li faccio raccontare".
11-02-2003, 03:25Dante, futurismi, guerra, italianistica, maestri di vita, neoconi, Oriana FallaciPermalink
Maestri di vita (6) – Giovanni Papini: Amiamo la guerra
Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell’anime per la ripulitura della terra.
Non è solo per fare il bastan contrario – o forse sì – ma il fatto è che ultimamente sono un po’ stanco di sentire gente che odia la guerra. Specie quelli molto più idealisti, realisti, intelligenti e informati di me, che odiano la guerra più di me ma sono convinti che a questo punto sia necessaria, per poter arrivare più rapidi alla pace.
Ecco, dopo mesi e mesi di discorsi su quanto sia brutta e ineluttabile la guerra, mi vien voglia di andare a cercare quel pezzo in cui un giornalista italiano dichiarava francamente e senza vergogna di amarla, questa benedetta guerra. Ma chi era? E dove scriveva? E quand’è che l’abbiamo letto? Come facciamo a ricordarcelo così bene?
Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sudore nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre. […]
È finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria. I fratelli son sempre buoni ad ammazzare i fratelli! I civili son pronti a tornar selvaggi, gli uomini non rinnegano le madri belve.
Il giornalista si chiama Giovanni Papini (Firenze 1881-1957). Scriveva su una piccola rivista fiorentina, “Lacerba”, da lui fondata nel 1913 e sotterrata nel 1915, che ebbe un certo successo. A volte viene considerato un futurista: in realtà Papini e Marinetti non sono mai andati molto d’accordo, ma pescavano nello stesso bacino di malumori che sarebbe poi fermentato nelle trincee della Grande Guerra, dando luogo a quel singolare fenomeno politico italiano, il fascismo.
Però Marinetti, che di solito viene ricordato per aver scritto “Guerra, sola igiene del mondo”, non sarebbe mai stato capace di scrivere righe asciutte e feroci come queste:
C’è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutare la vita.
Non è un caso che in quasi tutte le antologie di letteratura italiana per la scuola superiore ci sia una foto di Marinetti, ma questa pagina di Papini. Volendo dare un esempio di letteratura francamente, schiettamente bellicista, i compilatori delle nostre antologie scolastiche (tutti comunisti, com’è noto) finiscono invariabilmente per ritagliare questo editoriale di Lacerba, datato primo ottobre 1914. E questo il motivo per cui ce la ricordiamo bene: in mezzo a tante letture soporifere, Papini ha uno stile che ti dà la sveglia. Senti qui:
Non si rinfaccino […] le lacrime delle mamme. A cosa possono servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere. E quando furono ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere.
Ah, se sentisse il Ministro Martino…
E chissà che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto il figliolo prima che i manifesti lo chiamassero al campo. Lasciamole piangere: dopo pianto si sta meglio.
Papini di recente è finito anche al cinema, in una brevissima scena di Un viaggio chiamato amore: è in un caffè di Firenze con dei sottufficiali di passaggio, che declama un suo articolo. Indovinate quale.
C’è una linea fiorentina che forse non risale fino a Dante Alighieri, ma sicuramente a Machiavelli: una scia brillante di scrittori che non sempre (anzi, quasi mai) diventano classici della letteratura, ma conoscono un buon successo presso i loro contemporanei. Perché? Per due motivi. Primo: cercano di scrivere come parlano, un lusso che fino a poco tempo fa solo un fiorentino poteva permettersi. Secondo: dicono cose enormi, micidiali. Machiavelli scriveva saggi su come ammazzare gli avversari politici, con tanto di esempi documentati. Papini spiega che la guerra ha tutta una serie di ricadute positive in vari settori, l’agricoltura, per esempio:
I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai più di prima senz’altra spesa di concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s’ammucchiano i fanti tedeschi e che grosse patate si caveranno in Galizia quest’altro anno!
Nel Novecento Papini è il primo interprete di questa scia. Dopo di lui la fiaccola passa a Maccari e a qualche altro strapaesano, ma c’è meno gusto a fare i gradassi quando il gradasso in capo è a Palazzo Chigi. Finché, dopo la seconda guerra la fiaccola viene afferrata da Montanelli, che la impugna con sicurezza, ma la normalizza, la imborghesisce. Ed essa languisce con lui.
Quando Montanelli muore (nell’estate del 2001), l’Italia resta senza il suo grillo parlante toscano, per alcuni mesi. Finché l’undici settembre, in un attico di New York un’anziana signora di Firenze perde la testa, scrivendo torrenti di insulti. Il Corriere della Sera glieli pubblica, senza cambiare una virgola. E gli italiani impazziscono, si rubano il Corriere dalle mani, corrono in copisteria per fotocopiarlo. Gli italiani hanno un bisogno disperato di toscanacci maldicenti.
E il fuoco degli scorridori e il dirutamento dei mortai fanno piazza pulita fra le vecchie case e le vecchie cose. Quei villaggi sudici che i soldatacci incendiarono saranno rifatti più belli e più igienici.
È fin troppo evidente quanto abbiamo perso nel passaggio da Papini alla Fallaci. Senza bisogno di scrivere Cazzo e Fottiti, come il peggio scrittore pulp, Papini resta oggi molto più osceno di quanto non sia mai riuscita a essere la povera signora. A proposito, io della Rabbia e dell’Orgoglio già non ricordo più niente. Mentre questo Amiamo la guerra, veramente, non me lo levo dalla testa.
È scritto bene, diciamolo. Papini è uno dei pochi scrittori italiani che sia veramente riuscito a campare con quello che scriveva. Ma ogni settimana doveva inventarsene una più grossa. Noi ricordiamo solo “Amiamo la guerra”, ma da un numero all’altro Papini doveva consigliare di chiudere le scuole, abolire il senato, picchiare le donne, i bambini e i cani. E quando i futuristi vennero da Milano a fargli i complimenti, lui per un po’ se li tenne cari, poi non ci fu niente da fare: si mise a insultare anche i futuristi. Doveva farlo: era il suo mestiere. Aveva moglie e figlie, tante figlie da mantenere.
Era un polemista, ma non uno qualsiasi: era l’inventore della moderna polemica giornalistica: stringata, ma linguacciuta, razionale ma vendicativa. Oggi ne abbiamo fin sopra i capelli, ma negli anni Dieci c’era solo lui; i suoi colleghi erano rimasti alla retorica dell’Ottocento. E ogni settimana lui li tirava giù, metodicamente, a colpi di temperino. I suoi lazzi e insulti a quel tempo erano un nuovo stile di giornalismo: oggi li chiameremmo satira. Perché, in fin dei conti, avete creduto che Papini parlasse sul serio?
E rimarrano anche troppe cattedrali gotiche e troppe chiese e troppe biblioteche e troppi castelli per gli abbrutimenti e i rapimenti e i rompimenti dei professori. Dopo il passo dei barbari nasce un’arte nuova fra le rovine e ogni guerra di sterminio mette capo a una moda diversa.
Può darsi che Papini si sentisse un po’ barbaro. Della sua famiglia era stato il primo a studiare, e l’ultimo a patire la fame. Aveva la foga rabbiosa tipica degli autodidatti: il suo libro di critica filosofica (una specie di Simulator, appena un po’ più serio) si chiamava Stroncature.
Ma non era uno stupido. Ce n’erano tanti, come lui, che scrivevano o dipingevano roboanti odi alla guerra: Marinetti, Boccioni, Soffici, Carrà… Finirono tutti al fronte, e dal fronte all’ospedale, e chi tornò a casa (Boccioni non tornò) scrisse poi cose molto più tranquille.
Papini – che probabilmente vedeva un po’ più lontano – preferì saltare un passaggio, e a guerra appena scoppiata si convertì al cattolicesimo, senza passare dal fronte. Evitando così un inutile perdita di tempo (e di sangue).
Ora che lo sappiamo, proviamo a rileggere “Amiamo la guerra”. Curioso: a differenza di tutti i suoi colleghi interventisti, Papini non s’immagina mai di dover combattere la sua amata guerra. Il suo è il più smaccato “armiamoci e partite”. Che la facciano gli altri, la guerra igenica: che si tolgano pure di mezzo.
Chi odia l’umanità – e come non si può non odiarla anche compiangendola? – si trova in questi giorni nel suo centro di felicità. La guerra, colla sua ferocia, nello stesso tempo giustifica l’odio e lo consola. “Avevo ragione di non stimare gli uomini, e perciò sono contento che ne spariscano parecchi”.
E veniamo a noi. Dicevo che ultimamente sono un po’ stanco di sentire persone molto più idealiste, realiste, intelligenti e informate di me, che odiano la guerra più di me, ma sono convinti che sia necessaria. E mi viene da dire: signori, se proprio ne siete convinti, andateci. E levatevi un po’ dai coglioni.
Ma credo che loro scuoterebbero la testa, scettici: “non siamo noi che dobbiamo andarci, sciocco, noi saremmo d’intralcio. Lasciamo lavorare chi conosce il mestiere”.
Senza dubbio. Però, permettete: io non m’intendo di geopolitica, ma non volendo combattere, e non essendo tagliato per farlo, non oserei chiamare qualcun altro a far la guerra in vece mia. Non si fa. Non è fine. Chi è in grado di combattere combatta, chi non ne è capace stia zitto e attento. Tutti questi applausi d’incoraggiamento sono indecenti.Tanto si sa che voi resterete a casa, davanti alle vostre confortevoli finestre sul mondo. Sempre pronti a convertirvi al dio di turno, a seconda della convenienza.
E allora ditelo, che sotto sotto la guerra vi piace (purché la facciano gli altri): fa un sacco di spazio, e concima i terreni. E l’economia riparte. Coraggio. Ditelo. Non mi farete più schifo di quanto non mi facciate già. Non mi piace la retorica dei buoni sentimenti, preferisco la schiettezza di chi scrive come parla e parlando dice quello che pensa. La schiettezza di Giovanni Papini:
Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerrà e spaventosa – e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.
Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell’anime per la ripulitura della terra.
Non è solo per fare il bastan contrario – o forse sì – ma il fatto è che ultimamente sono un po’ stanco di sentire gente che odia la guerra. Specie quelli molto più idealisti, realisti, intelligenti e informati di me, che odiano la guerra più di me ma sono convinti che a questo punto sia necessaria, per poter arrivare più rapidi alla pace.
Ecco, dopo mesi e mesi di discorsi su quanto sia brutta e ineluttabile la guerra, mi vien voglia di andare a cercare quel pezzo in cui un giornalista italiano dichiarava francamente e senza vergogna di amarla, questa benedetta guerra. Ma chi era? E dove scriveva? E quand’è che l’abbiamo letto? Come facciamo a ricordarcelo così bene?
Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sudore nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre. […]
È finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria. I fratelli son sempre buoni ad ammazzare i fratelli! I civili son pronti a tornar selvaggi, gli uomini non rinnegano le madri belve.
Il giornalista si chiama Giovanni Papini (Firenze 1881-1957). Scriveva su una piccola rivista fiorentina, “Lacerba”, da lui fondata nel 1913 e sotterrata nel 1915, che ebbe un certo successo. A volte viene considerato un futurista: in realtà Papini e Marinetti non sono mai andati molto d’accordo, ma pescavano nello stesso bacino di malumori che sarebbe poi fermentato nelle trincee della Grande Guerra, dando luogo a quel singolare fenomeno politico italiano, il fascismo.
Però Marinetti, che di solito viene ricordato per aver scritto “Guerra, sola igiene del mondo”, non sarebbe mai stato capace di scrivere righe asciutte e feroci come queste:
C’è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutare la vita.
Non è un caso che in quasi tutte le antologie di letteratura italiana per la scuola superiore ci sia una foto di Marinetti, ma questa pagina di Papini. Volendo dare un esempio di letteratura francamente, schiettamente bellicista, i compilatori delle nostre antologie scolastiche (tutti comunisti, com’è noto) finiscono invariabilmente per ritagliare questo editoriale di Lacerba, datato primo ottobre 1914. E questo il motivo per cui ce la ricordiamo bene: in mezzo a tante letture soporifere, Papini ha uno stile che ti dà la sveglia. Senti qui:
Non si rinfaccino […] le lacrime delle mamme. A cosa possono servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere. E quando furono ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere.
Ah, se sentisse il Ministro Martino…
E chissà che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto il figliolo prima che i manifesti lo chiamassero al campo. Lasciamole piangere: dopo pianto si sta meglio.
Papini di recente è finito anche al cinema, in una brevissima scena di Un viaggio chiamato amore: è in un caffè di Firenze con dei sottufficiali di passaggio, che declama un suo articolo. Indovinate quale.
C’è una linea fiorentina che forse non risale fino a Dante Alighieri, ma sicuramente a Machiavelli: una scia brillante di scrittori che non sempre (anzi, quasi mai) diventano classici della letteratura, ma conoscono un buon successo presso i loro contemporanei. Perché? Per due motivi. Primo: cercano di scrivere come parlano, un lusso che fino a poco tempo fa solo un fiorentino poteva permettersi. Secondo: dicono cose enormi, micidiali. Machiavelli scriveva saggi su come ammazzare gli avversari politici, con tanto di esempi documentati. Papini spiega che la guerra ha tutta una serie di ricadute positive in vari settori, l’agricoltura, per esempio:
I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai più di prima senz’altra spesa di concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s’ammucchiano i fanti tedeschi e che grosse patate si caveranno in Galizia quest’altro anno!
Nel Novecento Papini è il primo interprete di questa scia. Dopo di lui la fiaccola passa a Maccari e a qualche altro strapaesano, ma c’è meno gusto a fare i gradassi quando il gradasso in capo è a Palazzo Chigi. Finché, dopo la seconda guerra la fiaccola viene afferrata da Montanelli, che la impugna con sicurezza, ma la normalizza, la imborghesisce. Ed essa languisce con lui.
Quando Montanelli muore (nell’estate del 2001), l’Italia resta senza il suo grillo parlante toscano, per alcuni mesi. Finché l’undici settembre, in un attico di New York un’anziana signora di Firenze perde la testa, scrivendo torrenti di insulti. Il Corriere della Sera glieli pubblica, senza cambiare una virgola. E gli italiani impazziscono, si rubano il Corriere dalle mani, corrono in copisteria per fotocopiarlo. Gli italiani hanno un bisogno disperato di toscanacci maldicenti.
E il fuoco degli scorridori e il dirutamento dei mortai fanno piazza pulita fra le vecchie case e le vecchie cose. Quei villaggi sudici che i soldatacci incendiarono saranno rifatti più belli e più igienici.
È fin troppo evidente quanto abbiamo perso nel passaggio da Papini alla Fallaci. Senza bisogno di scrivere Cazzo e Fottiti, come il peggio scrittore pulp, Papini resta oggi molto più osceno di quanto non sia mai riuscita a essere la povera signora. A proposito, io della Rabbia e dell’Orgoglio già non ricordo più niente. Mentre questo Amiamo la guerra, veramente, non me lo levo dalla testa.
È scritto bene, diciamolo. Papini è uno dei pochi scrittori italiani che sia veramente riuscito a campare con quello che scriveva. Ma ogni settimana doveva inventarsene una più grossa. Noi ricordiamo solo “Amiamo la guerra”, ma da un numero all’altro Papini doveva consigliare di chiudere le scuole, abolire il senato, picchiare le donne, i bambini e i cani. E quando i futuristi vennero da Milano a fargli i complimenti, lui per un po’ se li tenne cari, poi non ci fu niente da fare: si mise a insultare anche i futuristi. Doveva farlo: era il suo mestiere. Aveva moglie e figlie, tante figlie da mantenere.
Era un polemista, ma non uno qualsiasi: era l’inventore della moderna polemica giornalistica: stringata, ma linguacciuta, razionale ma vendicativa. Oggi ne abbiamo fin sopra i capelli, ma negli anni Dieci c’era solo lui; i suoi colleghi erano rimasti alla retorica dell’Ottocento. E ogni settimana lui li tirava giù, metodicamente, a colpi di temperino. I suoi lazzi e insulti a quel tempo erano un nuovo stile di giornalismo: oggi li chiameremmo satira. Perché, in fin dei conti, avete creduto che Papini parlasse sul serio?
E rimarrano anche troppe cattedrali gotiche e troppe chiese e troppe biblioteche e troppi castelli per gli abbrutimenti e i rapimenti e i rompimenti dei professori. Dopo il passo dei barbari nasce un’arte nuova fra le rovine e ogni guerra di sterminio mette capo a una moda diversa.
Può darsi che Papini si sentisse un po’ barbaro. Della sua famiglia era stato il primo a studiare, e l’ultimo a patire la fame. Aveva la foga rabbiosa tipica degli autodidatti: il suo libro di critica filosofica (una specie di Simulator, appena un po’ più serio) si chiamava Stroncature.
Ma non era uno stupido. Ce n’erano tanti, come lui, che scrivevano o dipingevano roboanti odi alla guerra: Marinetti, Boccioni, Soffici, Carrà… Finirono tutti al fronte, e dal fronte all’ospedale, e chi tornò a casa (Boccioni non tornò) scrisse poi cose molto più tranquille.
Papini – che probabilmente vedeva un po’ più lontano – preferì saltare un passaggio, e a guerra appena scoppiata si convertì al cattolicesimo, senza passare dal fronte. Evitando così un inutile perdita di tempo (e di sangue).
Ora che lo sappiamo, proviamo a rileggere “Amiamo la guerra”. Curioso: a differenza di tutti i suoi colleghi interventisti, Papini non s’immagina mai di dover combattere la sua amata guerra. Il suo è il più smaccato “armiamoci e partite”. Che la facciano gli altri, la guerra igenica: che si tolgano pure di mezzo.
Chi odia l’umanità – e come non si può non odiarla anche compiangendola? – si trova in questi giorni nel suo centro di felicità. La guerra, colla sua ferocia, nello stesso tempo giustifica l’odio e lo consola. “Avevo ragione di non stimare gli uomini, e perciò sono contento che ne spariscano parecchi”.
E veniamo a noi. Dicevo che ultimamente sono un po’ stanco di sentire persone molto più idealiste, realiste, intelligenti e informate di me, che odiano la guerra più di me, ma sono convinti che sia necessaria. E mi viene da dire: signori, se proprio ne siete convinti, andateci. E levatevi un po’ dai coglioni.
Ma credo che loro scuoterebbero la testa, scettici: “non siamo noi che dobbiamo andarci, sciocco, noi saremmo d’intralcio. Lasciamo lavorare chi conosce il mestiere”.
Senza dubbio. Però, permettete: io non m’intendo di geopolitica, ma non volendo combattere, e non essendo tagliato per farlo, non oserei chiamare qualcun altro a far la guerra in vece mia. Non si fa. Non è fine. Chi è in grado di combattere combatta, chi non ne è capace stia zitto e attento. Tutti questi applausi d’incoraggiamento sono indecenti.Tanto si sa che voi resterete a casa, davanti alle vostre confortevoli finestre sul mondo. Sempre pronti a convertirvi al dio di turno, a seconda della convenienza.
E allora ditelo, che sotto sotto la guerra vi piace (purché la facciano gli altri): fa un sacco di spazio, e concima i terreni. E l’economia riparte. Coraggio. Ditelo. Non mi farete più schifo di quanto non mi facciate già. Non mi piace la retorica dei buoni sentimenti, preferisco la schiettezza di chi scrive come parla e parlando dice quello che pensa. La schiettezza di Giovanni Papini:
Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerrà e spaventosa – e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.
19-11-2002, 01:22attivismo, giornalisti, manifestaiolismi, Oriana FallaciPermalink
Arrivo tardi, finisco tardi e non ringrazio mai per il link.
(E parlo male delle anziane signore malate)
È incredibile (e un po' cafonesco), ma devo ancora trovare il tempo per ringraziare i bloggatori-giornalisti che mi hanno lincato e citato la settimana scorsa: Pino Scaccia (ha anche pubblicato un mio intervento antipatico sulla tv) e Claudio Sabelli Fioretti.
Per entrambi, i blog sono la novità di Firenze – grazie per l'attenzione, purtroppo il mio non è più una novità da un pezzo… ma è vero che il blog sembra il genere letterario più adatto per descrivere un corteo, un grande 'evento' in cui non succede nulla, o meglio, succedono tante piccolissime cose. Se ne parlava anche l'altra sera a polaroid. Tutto molto bello, finché non se ne occupa la procura di Cosenza, eh Bruno?
Per fortuna che ci sono anche blog che parlano d'altro. Di lavoro, per esempio. Molti bloggatori interessanti scrivono del proprio lavoro (molti altri scrivono blog invece di lavorare). Ne segnalo uno giovane, fresco, il cui titolo è tutto un programma: ilderatizzatore. Il pezzo sui topi che urlano nei sogni merita davvero. Ah, e poi è un mio amico.
Questo però è anche un blog di servizio, e stasera vi propone un breve riassunto dell'ultimo intervento della Fallaci su Panorama (niente link, se mi beccano che cito frasi virgolettate m'arriva una denuncia per appropriazione indebita di frasi sotto copyright). Così vi risparmiate la vista e la bile. Invece a me mette di buon umore, la Fallaci. Mi auguro di arrivare a metà dei suoi anni con metà delle sue energie. E dunque:
1. Firenze l'ha salvata lei. Poteva starsene tranquilla a NY a correggere la Rabbia e l'Orgoglio, e invece ha passato l'estate ad avvisare Berlusconi, Pisanu, Fassino, il prefetto, tutti: o, guardate che a novembre c'è il forum.
2. A Firenze è andata a spasso tutto il tempo, ma nessuno l'ha vista perché lei usciva da una porticina sul retro, e i giornalisti l'aspettavano davanti. Grulli, però, 'sti giornalisti.
3. Quello che più l'è piaciuto, che le ha dato "più sollievo", è stato Lo spettacolo di Firenze con le saracinesche abbassate, le strade e le piazze vuote, le persiane chiuse. Tante persiane chiuse [...] Non era uno spettacolo allegro, no: a me sembrava di riveder la Firenze del 1944. Quella occupata dai tedeschi e martoriata dai bombardamenti. E a guardarla mi si stringeva il cuore. Però era anche la Firenze che nell'articolo avevo chiesto ai fiorentini di offrire al mondo per protestare contro la violenza morale che stava subendo. Una Firenze offesa ferita tradita eppure orgogliosa. E consolata pensavo: «Mi hanno ascoltato, perbacco, mi hanno ascoltato... ».
4. La Guzzanti non dovrebbe scherzare sui suoi cancri. Qui c'è un qui pro quo. La Guzzanti non ha scherzato su nessun cancro, al massimo ne ha tirato uno di rimando a un idiota che gliel'aveva augurato. Fuor di polemica, lo so perché c'ero. Tutto qui.
5. Il nuovo idolo dei no global è b i n l a d e n, nel corteo era pieno di bandiere con "b i n L a d e n che sembrava Che Guevara e Che Guevara che sembrava B i n L a d e n". Già letta sulla Padania in settimana, però.
6. Comunque è tutto un complotto di Cofferati, che ha scatenato i ferrigni portuali di Livorno contro il Rambo dei disobbedienti. E a proposito dei disobbedienti, "ma chi glieli dà i soldi per comprarsi quelle costosissime tute e la guerresca attrezzatura che le accompagna?". Oh, finalmente qualcuno che pone l'originale problema dei soldi: chi paga le griffatissime tute bianche?
"Ehm... ma sono tute da lavoro... la gommapiuma si compra in cartoleria... e poi è da un anno che non le usano più..."
"Osi insinuare che Lei non c'era e non ha visto coi suoi occhi, e che per tenerla calma magari hanno continuato a proiettarle sulle persiane chiuse i filmati di Genova?"
"N-no, certo".
7. Anche i temibili "attak olandesi", a vederli bene, "sembravano goliardi in vacanza". Certo che sono imprevedibili, 'sti attack, attak, come c.... si chiamano. Un giorno sono tedeschi (se lo dice il Ministro Frattini!), il giorno dopo fiamminghi, immagino che a quest'ora stiano battendo bandiera lussemburghese. Una cosa è sicura, è brutta gente. Finirà che a Cosenza apriranno un fascicolo sul celebre attaccatutto - certe sigle non si usano mai per caso...
8. Verso il finale, mi sembra che accusi Dario Fo più o meno di aver torturato suo padre, ma forse ero stanco io.
E ora basta, "non voglio più dire altro", come dice lei. Lei però riesce a dirlo dopo un'intervista di trentamila battute. E resta seria. Beh.
C'è tanto da imparare.
(E parlo male delle anziane signore malate)
È incredibile (e un po' cafonesco), ma devo ancora trovare il tempo per ringraziare i bloggatori-giornalisti che mi hanno lincato e citato la settimana scorsa: Pino Scaccia (ha anche pubblicato un mio intervento antipatico sulla tv) e Claudio Sabelli Fioretti.
Per entrambi, i blog sono la novità di Firenze – grazie per l'attenzione, purtroppo il mio non è più una novità da un pezzo… ma è vero che il blog sembra il genere letterario più adatto per descrivere un corteo, un grande 'evento' in cui non succede nulla, o meglio, succedono tante piccolissime cose. Se ne parlava anche l'altra sera a polaroid. Tutto molto bello, finché non se ne occupa la procura di Cosenza, eh Bruno?
Per fortuna che ci sono anche blog che parlano d'altro. Di lavoro, per esempio. Molti bloggatori interessanti scrivono del proprio lavoro (molti altri scrivono blog invece di lavorare). Ne segnalo uno giovane, fresco, il cui titolo è tutto un programma: ilderatizzatore. Il pezzo sui topi che urlano nei sogni merita davvero. Ah, e poi è un mio amico.
Questo però è anche un blog di servizio, e stasera vi propone un breve riassunto dell'ultimo intervento della Fallaci su Panorama (niente link, se mi beccano che cito frasi virgolettate m'arriva una denuncia per appropriazione indebita di frasi sotto copyright). Così vi risparmiate la vista e la bile. Invece a me mette di buon umore, la Fallaci. Mi auguro di arrivare a metà dei suoi anni con metà delle sue energie. E dunque:
1. Firenze l'ha salvata lei. Poteva starsene tranquilla a NY a correggere la Rabbia e l'Orgoglio, e invece ha passato l'estate ad avvisare Berlusconi, Pisanu, Fassino, il prefetto, tutti: o, guardate che a novembre c'è il forum.
2. A Firenze è andata a spasso tutto il tempo, ma nessuno l'ha vista perché lei usciva da una porticina sul retro, e i giornalisti l'aspettavano davanti. Grulli, però, 'sti giornalisti.
3. Quello che più l'è piaciuto, che le ha dato "più sollievo", è stato Lo spettacolo di Firenze con le saracinesche abbassate, le strade e le piazze vuote, le persiane chiuse. Tante persiane chiuse [...] Non era uno spettacolo allegro, no: a me sembrava di riveder la Firenze del 1944. Quella occupata dai tedeschi e martoriata dai bombardamenti. E a guardarla mi si stringeva il cuore. Però era anche la Firenze che nell'articolo avevo chiesto ai fiorentini di offrire al mondo per protestare contro la violenza morale che stava subendo. Una Firenze offesa ferita tradita eppure orgogliosa. E consolata pensavo: «Mi hanno ascoltato, perbacco, mi hanno ascoltato... ».
4. La Guzzanti non dovrebbe scherzare sui suoi cancri. Qui c'è un qui pro quo. La Guzzanti non ha scherzato su nessun cancro, al massimo ne ha tirato uno di rimando a un idiota che gliel'aveva augurato. Fuor di polemica, lo so perché c'ero. Tutto qui.
5. Il nuovo idolo dei no global è b i n l a d e n, nel corteo era pieno di bandiere con "b i n L a d e n che sembrava Che Guevara e Che Guevara che sembrava B i n L a d e n". Già letta sulla Padania in settimana, però.
6. Comunque è tutto un complotto di Cofferati, che ha scatenato i ferrigni portuali di Livorno contro il Rambo dei disobbedienti. E a proposito dei disobbedienti, "ma chi glieli dà i soldi per comprarsi quelle costosissime tute e la guerresca attrezzatura che le accompagna?". Oh, finalmente qualcuno che pone l'originale problema dei soldi: chi paga le griffatissime tute bianche?
"Ehm... ma sono tute da lavoro... la gommapiuma si compra in cartoleria... e poi è da un anno che non le usano più..."
"Osi insinuare che Lei non c'era e non ha visto coi suoi occhi, e che per tenerla calma magari hanno continuato a proiettarle sulle persiane chiuse i filmati di Genova?"
"N-no, certo".
7. Anche i temibili "attak olandesi", a vederli bene, "sembravano goliardi in vacanza". Certo che sono imprevedibili, 'sti attack, attak, come c.... si chiamano. Un giorno sono tedeschi (se lo dice il Ministro Frattini!), il giorno dopo fiamminghi, immagino che a quest'ora stiano battendo bandiera lussemburghese. Una cosa è sicura, è brutta gente. Finirà che a Cosenza apriranno un fascicolo sul celebre attaccatutto - certe sigle non si usano mai per caso...
8. Verso il finale, mi sembra che accusi Dario Fo più o meno di aver torturato suo padre, ma forse ero stanco io.
E ora basta, "non voglio più dire altro", come dice lei. Lei però riesce a dirlo dopo un'intervista di trentamila battute. E resta seria. Beh.
C'è tanto da imparare.
12-11-2002, 01:33attivismo, Forum Mondiali, giornalisti, manifestaiolismi, Oriana FallaciPermalink
Senza pudori, credo che stavolta abbiamo vinto (solo una battaglia, naturalmente).
E per dimostrarlo, mi comporterò da vincente. Di quelli veri, che non sfottono l'avversario sconfitto, anzi riconoscono le sue ragioni, e i propri torti. Ora, lo so, ci vuole impegno a riconoscere delle ragioni a una Fallaci o a un Socci che accusa Agnoletto di connivenza con Pol Pot; d'altro canto, ci vuole della fantasia a biasimare il sindaco che apre la città a seicentomila pacifici dimostranti. Ma io non mi tiro indietro, come ben sa Madame.
Comincerò attestando la mia solidarietà al vecchio Scajola. Solo perché se n'è andato, ora tutti fingono che le cose siano migliorate d'un colpo. Per la verità dopo Genova ci sono state parecchie altre manifestazioni a rischio, tra le quali ricordo Roma un anno fa e Genova quest'estate. Tutte finite bene, e Scajola stava al Viminale. Non cambio idea sulle sue (ir)responsabilità, ma gli do ragione quando dice che Genova ha insegnato qualcosa a tutti. (Per esempio, l'equazione "+ divise in giro, + casini nelle strade", veramente poco intuitiva, ma ormai suffragata dai fatti).
E ammetto che se fossi stato al posto del sindaco di Firenze, non so se avrei avuto altrettanta fiducia nelle sorti della manifestazione. Perché è vero, c'era stata Roma in novembre e poi Genova in luglio, ma il Forum Europeo era un'altra cosa. Oltre i confini (che Schengen non ha affatto cancellato) il Movimento è molto diverso, ma noi italiani siamo forse troppo attaccati alle nostre locali grettezze per accorgercene. È più corpuscolare, più marginale, naturalmente più radicale: non a caso ha eletto l'Italia sua patria d'adozione, malgrado le Diaz e Bolzaneto. Sa di poter contare, in Italia, su amministrazioni amiche, masse critiche in corteo e, se le cose si mettono male, infermieri e avvocati gratis. Ci vorrà ancora un po' di tempo prima di vedere una marea di seicentomila dimostranti invadere pacificamente le strade di Parigi o Berlino per il corteo di un Forum.
Agnoletto e Casarini, nel bene e nel male, sono ormai diventati comparse nel teatrino tv italiano; ma il movimento europeo è un terreno per lo più sconosciuto. Le varie sigle straniere suonano sempre minacciose (curioso come "Resistance" faccia molta più paura di "Resistenza"). Chi garantisce per tutta questa gente? Come si fa a separare gli anarcoinsurrezionalisti dagli anarcoragionevoli? Le famose informative dei servizi dovrebbero servire a questo; purtroppo dai tempi degli aeroplanini e del sangue infetto sono destituite di qualsiasi credibilità e non hanno altra utilità che quella di fornire spunti per i titoli di Libero e Giornale, o all'on. Frattini, che martedì 29 ottobre riferiva al parlamento (segnalato sulle news di repubblica):
C'è gente dei movimenti anarchici, ci sono gli attac tedeschi ed i globalize che abbiamo visto all'opera a Genova nel 2001. Il governo - rileva Frattini - non poteva non informare il Parlamento.
Voglio sperare in un crampo dello stenografo di Repubblica, perché queste sono parole troppo goffe e imprecise per appartenere davvero al ministro per la Funzione pubblica con delega ai servizi segreti. I "Globalize" magari saranno quelli di "Globalize Resistance" (che a Genova non hanno combinato un bel niente, tra l'altro); quanto ad Attac Deutschland, potrebbe persino sporgere querela contro il ministro del CDC…CDD… DCU… non mi ricordo il nome del partito… d'altro canto perché mai un tizio che ha un blog dovrebbe essere più preciso di un Ministro della Repubblica?
La vera notizia non è che i soliti noglobbal italiani si siano comportati bene. Questo, anzi, succede ormai con una certa stucchevole regolarità. Ma che i manifestanti europei abbiano, spero definitivamente, rinunciato a certe tattiche che si erano rivelate controproducenti, che abbiano insomma sepolto la spranga: questa è la novità importante. Fino a pochi mesi fa l'argomento di molti casseur europei era il seguente: un bancomat rotto fa più rumore di cento botteghe equo-solidali aperte. (E infatti, per fare un esempio, Ferrara avrebbe dato qualcosa per poter mettere un bancomat rotto in prima pagina lunedì, ma fino a l'altro ieri non conosceva il concetto di commercio equo e solidale). È un argomento diabolico, perché convincente, ma del tutto integrato alla società dello spettacolo e dell'auditel. Sono felice che sia stato superato dalla stragrande maggioranza degli attivisti europei – ma fino a sabato non ne potevo essere sicuro. Complimenti al sindaco, per la sua fiducia. Ma se fosse stata malriposta?
E soprattutto, devo ringraziare chi ha permesso al Forum di attirare l'attenzione della grande maggioranza degli italiani, e guardate che non era facile. A gente come Socci, Zeffirelli, ma soprattutto alla Fallaci. Dobbiamo avere l'onestà intellettuale di ammetterlo: senza di lei gran parte dei reporter e dei commentatori starebbe ancora in Molise a spremere lacrime e sangue da quella povera gente. Di questi tempi, con tutte le manifestazioni che si fanno, il Forum sarebbe scivolato fin troppo liscio nel rumore di fondo. È stata lei a creare l'evento, più di qualsiasi teppista o casseur. Credo che molta gente abbia preso il biglietto per Firenze dopo aver letto il suo pezzo – del resto lo stesso Agnoletto, con la sua faccia da medico della mutua, accostato a Pol Pot assume una statura epica.
Bene così? Sono risultato abbastanza vincente? Abbastanza convincente? Lo so, faccio quel che posso. Avrei ancora qualche cosa da dire ma… un'altra volta. Segnalo un ultimo blog, Mim*mina, che ha fatto un'ottima cronaca delle giornate di Firenze. Grazie per l'attenzione – che non sempre mi merito – e alla prossima.
E per dimostrarlo, mi comporterò da vincente. Di quelli veri, che non sfottono l'avversario sconfitto, anzi riconoscono le sue ragioni, e i propri torti. Ora, lo so, ci vuole impegno a riconoscere delle ragioni a una Fallaci o a un Socci che accusa Agnoletto di connivenza con Pol Pot; d'altro canto, ci vuole della fantasia a biasimare il sindaco che apre la città a seicentomila pacifici dimostranti. Ma io non mi tiro indietro, come ben sa Madame.
Comincerò attestando la mia solidarietà al vecchio Scajola. Solo perché se n'è andato, ora tutti fingono che le cose siano migliorate d'un colpo. Per la verità dopo Genova ci sono state parecchie altre manifestazioni a rischio, tra le quali ricordo Roma un anno fa e Genova quest'estate. Tutte finite bene, e Scajola stava al Viminale. Non cambio idea sulle sue (ir)responsabilità, ma gli do ragione quando dice che Genova ha insegnato qualcosa a tutti. (Per esempio, l'equazione "+ divise in giro, + casini nelle strade", veramente poco intuitiva, ma ormai suffragata dai fatti).
E ammetto che se fossi stato al posto del sindaco di Firenze, non so se avrei avuto altrettanta fiducia nelle sorti della manifestazione. Perché è vero, c'era stata Roma in novembre e poi Genova in luglio, ma il Forum Europeo era un'altra cosa. Oltre i confini (che Schengen non ha affatto cancellato) il Movimento è molto diverso, ma noi italiani siamo forse troppo attaccati alle nostre locali grettezze per accorgercene. È più corpuscolare, più marginale, naturalmente più radicale: non a caso ha eletto l'Italia sua patria d'adozione, malgrado le Diaz e Bolzaneto. Sa di poter contare, in Italia, su amministrazioni amiche, masse critiche in corteo e, se le cose si mettono male, infermieri e avvocati gratis. Ci vorrà ancora un po' di tempo prima di vedere una marea di seicentomila dimostranti invadere pacificamente le strade di Parigi o Berlino per il corteo di un Forum.
Agnoletto e Casarini, nel bene e nel male, sono ormai diventati comparse nel teatrino tv italiano; ma il movimento europeo è un terreno per lo più sconosciuto. Le varie sigle straniere suonano sempre minacciose (curioso come "Resistance" faccia molta più paura di "Resistenza"). Chi garantisce per tutta questa gente? Come si fa a separare gli anarcoinsurrezionalisti dagli anarcoragionevoli? Le famose informative dei servizi dovrebbero servire a questo; purtroppo dai tempi degli aeroplanini e del sangue infetto sono destituite di qualsiasi credibilità e non hanno altra utilità che quella di fornire spunti per i titoli di Libero e Giornale, o all'on. Frattini, che martedì 29 ottobre riferiva al parlamento (segnalato sulle news di repubblica):
C'è gente dei movimenti anarchici, ci sono gli attac tedeschi ed i globalize che abbiamo visto all'opera a Genova nel 2001. Il governo - rileva Frattini - non poteva non informare il Parlamento.
Voglio sperare in un crampo dello stenografo di Repubblica, perché queste sono parole troppo goffe e imprecise per appartenere davvero al ministro per la Funzione pubblica con delega ai servizi segreti. I "Globalize" magari saranno quelli di "Globalize Resistance" (che a Genova non hanno combinato un bel niente, tra l'altro); quanto ad Attac Deutschland, potrebbe persino sporgere querela contro il ministro del CDC…CDD… DCU… non mi ricordo il nome del partito… d'altro canto perché mai un tizio che ha un blog dovrebbe essere più preciso di un Ministro della Repubblica?
La vera notizia non è che i soliti noglobbal italiani si siano comportati bene. Questo, anzi, succede ormai con una certa stucchevole regolarità. Ma che i manifestanti europei abbiano, spero definitivamente, rinunciato a certe tattiche che si erano rivelate controproducenti, che abbiano insomma sepolto la spranga: questa è la novità importante. Fino a pochi mesi fa l'argomento di molti casseur europei era il seguente: un bancomat rotto fa più rumore di cento botteghe equo-solidali aperte. (E infatti, per fare un esempio, Ferrara avrebbe dato qualcosa per poter mettere un bancomat rotto in prima pagina lunedì, ma fino a l'altro ieri non conosceva il concetto di commercio equo e solidale). È un argomento diabolico, perché convincente, ma del tutto integrato alla società dello spettacolo e dell'auditel. Sono felice che sia stato superato dalla stragrande maggioranza degli attivisti europei – ma fino a sabato non ne potevo essere sicuro. Complimenti al sindaco, per la sua fiducia. Ma se fosse stata malriposta?
E soprattutto, devo ringraziare chi ha permesso al Forum di attirare l'attenzione della grande maggioranza degli italiani, e guardate che non era facile. A gente come Socci, Zeffirelli, ma soprattutto alla Fallaci. Dobbiamo avere l'onestà intellettuale di ammetterlo: senza di lei gran parte dei reporter e dei commentatori starebbe ancora in Molise a spremere lacrime e sangue da quella povera gente. Di questi tempi, con tutte le manifestazioni che si fanno, il Forum sarebbe scivolato fin troppo liscio nel rumore di fondo. È stata lei a creare l'evento, più di qualsiasi teppista o casseur. Credo che molta gente abbia preso il biglietto per Firenze dopo aver letto il suo pezzo – del resto lo stesso Agnoletto, con la sua faccia da medico della mutua, accostato a Pol Pot assume una statura epica.
Bene così? Sono risultato abbastanza vincente? Abbastanza convincente? Lo so, faccio quel che posso. Avrei ancora qualche cosa da dire ma… un'altra volta. Segnalo un ultimo blog, Mim*mina, che ha fatto un'ottima cronaca delle giornate di Firenze. Grazie per l'attenzione – che non sempre mi merito – e alla prossima.
06-11-2002, 18:00attivismo, Forum Mondiali, manifestaiolismi, Oriana FallaciPermalink
“Se dipendesse dal Movimento il futuro dell’umanità, aiuto!"
Luca Casarini
Ai lettori:
questa settimana siete in tanti, e non mi è chiaro il perché: ma sospetto che abbia qualcosa a che vedere con Firenze.
Mi preme dunque avvertirvi che, causa lavoro, a Firenze io ci andrò solo venerdì sera, e non sono certo il blog più qualificato per fornirvi notizie fresche. Madame arriverà un po' prima, e spero si porti il portatile con sé. E mi aspetto molto anche dalla sana curiosità della Pizia.
Non avranno problemi di connessione i blog fiorentini e toscani. Ce ne sono tre o quattro davvero buoni, che del Forum hanno già parlato negli scorsi giorni: Franco, Giornale di Cantiere , Samuele Venturi e Qqg. Quest'ultimo avverte: "abito a duecento metri dall'ESF". Peerò. In bocca al lupo.
A un livello superiore, non credo che sia più necessario lincarvi Indymedia (ma facciamolo).
Passando al giornalismo ufficiale, troverete fin troppi aggiornamenti sullo speciale di Vita e su Mir. E per ora, basta.
(Lincare è come fotocopiare: una droga sostitutiva della lettura. Al quarto anno di università non leggi più, fotocopi. Al quarto anno di internet cominci a lincare siti che non leggi, così almeno li leggeranno gli altri. Ma sto cercando di smettere, o almeno calare la dose).
Magari però voi venite qui perché vi aspettate qualcosa d'altro... Eh, sì, a dare link sono buoni tutti, ma quel certo non so che, quello stile leonardo, quel tipo di post buffo che sa un po' di lacrimogeno...
Ancora una volta, mi dispiace deludervi, ma non sono in vena. Sarà l'età, sarà la prevedibilità.
Per esempio, avrei voluto dare dell'idiota a Urbani, che vuole vietare i cortei nelle città d'arte, vale a dire (lui probabilmente non lo sa) il 95% delle città italiane. Ma ci ha già pensato Bruno.
Volevo dire che Casarini, ehm, ha un po' rotto, sarebbe ora che si facesse da parte. Ma ci ha già pensato Casarini, in un intervista, ahimé, al Foglio (via Wittgenstein).
Volevo fare una riflessione su quanto è cambiato il mondo a 16 mesi da Genova, ma ci ha già pensato Riccardo Orioles su Gnu Economy.
Volevo fare un po' di disinformazione, spararla grossa, minacciare di fare uno scarabocchio sulla Primavera di Botticelli, ma ci ha già pensato un deficiente su GQ, la rivista delle tette per la classe dirigente.
Volevo dirne quattro al Riformista, sempre più anni '80, ma... che palle. Volevo dirne quattro alla Fallaci, ma.... pietà. Anche la Fallaci è una creatura del buon dio.
O no? Sulla prima pagina web del Corriere c'è il menu seguente: Video -Forum -Fallaci -Audio. La Fallaci ormai non è più un essere umano, è un link, è un dispositivo di livore: se schiaccio "video" scarico un video, se schiaccio "Fallaci" scarico l'ennesima scenata invereconda.
Vediamo cos'abbiamo oggi... ecco, per lei io sono un falso rivoluzionaro, un figlio di papà (ancora!), una falsa colomba, amo Bin Laden mentre Saddam Hussein, chissà perché, lo rispetto soltanto. Bene. Per il Riformista sono soltanto un protezionista, un conservatore bi-millenarista che... che piacerebbe a Bossi. Beh, è bello sapere che piaccio almeno a qualcuno.
Tutti costoro sembrano avere idee molto chiare su me, su voi. Sarebbero onestamente stupiti, e forse terrorizzati, se scoprisserto cos'è veramente il FSE: per prima cosa, una grande confusione di lingue e di idee. Dove magari c'è anche qualche protezionista e qualche amante di Ben Laden, insieme con tutto e il contrario di tutto. Dove nessuno, per dirla proprio con Casarini, ha la ricetta per salvare il mondo. Dove tutti, però, per dirla con la Pizia, sono piuttosto curiosi. E questo è già qualcosa.
Il Movimento non salverà l'umanità, ma ha restituito la curiosità a un bel po' di individui, compreso il sottoscritto. Si trattasse solo di questo, varrebbe già la pena del biglietto.
Luca Casarini
Ai lettori:
questa settimana siete in tanti, e non mi è chiaro il perché: ma sospetto che abbia qualcosa a che vedere con Firenze.
Mi preme dunque avvertirvi che, causa lavoro, a Firenze io ci andrò solo venerdì sera, e non sono certo il blog più qualificato per fornirvi notizie fresche. Madame arriverà un po' prima, e spero si porti il portatile con sé. E mi aspetto molto anche dalla sana curiosità della Pizia.
Non avranno problemi di connessione i blog fiorentini e toscani. Ce ne sono tre o quattro davvero buoni, che del Forum hanno già parlato negli scorsi giorni: Franco, Giornale di Cantiere , Samuele Venturi e Qqg. Quest'ultimo avverte: "abito a duecento metri dall'ESF". Peerò. In bocca al lupo.
A un livello superiore, non credo che sia più necessario lincarvi Indymedia (ma facciamolo).
Passando al giornalismo ufficiale, troverete fin troppi aggiornamenti sullo speciale di Vita e su Mir. E per ora, basta.
(Lincare è come fotocopiare: una droga sostitutiva della lettura. Al quarto anno di università non leggi più, fotocopi. Al quarto anno di internet cominci a lincare siti che non leggi, così almeno li leggeranno gli altri. Ma sto cercando di smettere, o almeno calare la dose).
Magari però voi venite qui perché vi aspettate qualcosa d'altro... Eh, sì, a dare link sono buoni tutti, ma quel certo non so che, quello stile leonardo, quel tipo di post buffo che sa un po' di lacrimogeno...
Ancora una volta, mi dispiace deludervi, ma non sono in vena. Sarà l'età, sarà la prevedibilità.
Per esempio, avrei voluto dare dell'idiota a Urbani, che vuole vietare i cortei nelle città d'arte, vale a dire (lui probabilmente non lo sa) il 95% delle città italiane. Ma ci ha già pensato Bruno.
Volevo dire che Casarini, ehm, ha un po' rotto, sarebbe ora che si facesse da parte. Ma ci ha già pensato Casarini, in un intervista, ahimé, al Foglio (via Wittgenstein).
Volevo fare una riflessione su quanto è cambiato il mondo a 16 mesi da Genova, ma ci ha già pensato Riccardo Orioles su Gnu Economy.
Volevo fare un po' di disinformazione, spararla grossa, minacciare di fare uno scarabocchio sulla Primavera di Botticelli, ma ci ha già pensato un deficiente su GQ, la rivista delle tette per la classe dirigente.
Volevo dirne quattro al Riformista, sempre più anni '80, ma... che palle. Volevo dirne quattro alla Fallaci, ma.... pietà. Anche la Fallaci è una creatura del buon dio.
O no? Sulla prima pagina web del Corriere c'è il menu seguente: Video -Forum -Fallaci -Audio. La Fallaci ormai non è più un essere umano, è un link, è un dispositivo di livore: se schiaccio "video" scarico un video, se schiaccio "Fallaci" scarico l'ennesima scenata invereconda.
Vediamo cos'abbiamo oggi... ecco, per lei io sono un falso rivoluzionaro, un figlio di papà (ancora!), una falsa colomba, amo Bin Laden mentre Saddam Hussein, chissà perché, lo rispetto soltanto. Bene. Per il Riformista sono soltanto un protezionista, un conservatore bi-millenarista che... che piacerebbe a Bossi. Beh, è bello sapere che piaccio almeno a qualcuno.
Tutti costoro sembrano avere idee molto chiare su me, su voi. Sarebbero onestamente stupiti, e forse terrorizzati, se scoprisserto cos'è veramente il FSE: per prima cosa, una grande confusione di lingue e di idee. Dove magari c'è anche qualche protezionista e qualche amante di Ben Laden, insieme con tutto e il contrario di tutto. Dove nessuno, per dirla proprio con Casarini, ha la ricetta per salvare il mondo. Dove tutti, però, per dirla con la Pizia, sono piuttosto curiosi. E questo è già qualcosa.
Il Movimento non salverà l'umanità, ma ha restituito la curiosità a un bel po' di individui, compreso il sottoscritto. Si trattasse solo di questo, varrebbe già la pena del biglietto.
15-04-2002, 02:21contare i morti, Israele-Palestina, medio oriente, Oriana FallaciPermalink
L'equazione Kissinger
Come si contano i morti? Non è una domanda da poco. Di solito una vittima pesa più del suo assassino, e un bambino vale sempre più di un adulto. Le convenzioni internazionali (per quel che valgono) prevedono poi che un civile valga più di un militare. Tutto questo ha un valore molto relativo nella Terra Santa, la terra dei paradossi. È più grave l'assassinio di un civile o un militare? Merita più pietà una ragazzina di leva che muore in un agguato, o un 'civile' colono di Hebron o di Gaza che fa tirassegno sulle case dei dirimpettai palestinesi? In ogni caso i palestinesi non hanno il diritto di avere un esercito, quindi o sono tutti civili o tutti terroristi.
Come si contano i morti? Evocata, la Fallaci sostiene che qualcuno "fa la tara" alle vittime degli attentati. È un'accusa grave, ma a chi è rivolta? Può citare un episodio? Ha in mente qualcuno?
La tara sui morti. Nella sua brutalità, quest'espressione mi ha colpito. Ho pensato alla fortuna di essere italiano: da noi la questura fa la tara solo ai manifestanti. E poi ho pensato a Kissinger, e a questa frase di un'intervista di 15 giorni fa, sulla Repubblica (copyright Cnn). L'ex segretario di Stato americano biasimava l'ossessione di Sharon per Arafat:
Credo che gli israeliani così facendo stiano distogliendo l'attenzione dagli attacchi suicidi, che hanno ucciso l'equivalente di 2500 americani in tre giorni, fatte le debite proporzioni.
Eh?
Sulla Questione Palestinese c'è molta letteratura. Decine di personaggi – esperti o no, coinvolti o no, di parte o meno – che ogni giorno dispensano la loro opinione. Nel frastuono generale capita di cogliere ogni tanto una frase al volo, che non si dimentica, tanto è enorme. Cosa vuol dire che in tre giorni i terroristi palestinesi hanno ucciso "l'equivalente di 2500 americani"? Quali sarebbero "le debite proporzioni"? Kissinger non le spiega. Le dà per scontate.
Ora io, senza voler passare per nessun motivo al mondo come sostenitore di Hamas, mi sento di negare con fermezza che in Israele o nei Territori Occupati ci siano mai state 2500 vittime di attentati in tre giorni. Non sono nemmeno sicuro che i palestinesi abbiano ucciso 2500 israeliani dall'inizio dell'Intifada, per cui "la debita proporzione" di Kissinger la trovo tutt'altro che scontata. Per l'americano Kissinger, insomma, un morto israeliano vale molti morti americani. Ma quanti, esattamente? E perché? Qual è la "debita proporzione"?
Ci ho pensato un po' su, e ho costruito la seguente teoria: Kissinger, da bravo americano, ragiona in termini di percentuali. E cioè: per lui tutti i popoli sono uguali (e questo gli fa onore), e valgono, diciamo, cento. Ora, fingiamo che esista un piccolo popolo di sole cento persone. Mettiamo che io ne uccida uno, perché mi sta antipatico. Vengo catturato in flagrante e processato per omicidio. Fin qui tutto bene. Ma interviene il premio Nobel per la pace Henry Kissinger e dice: un momento. Quest'uomo non ha ucciso un altro uomo. Ha ucciso l'uno per cento della popolazione di questo Stato. È come se avesse ucciso l'uno per cento della popolazione degli Stati Uniti. Vale a dire (gli americani sono 250 milioni) due milioni e mezzo di americani. Di conseguenza chiedo che venga processato per genocidio, come minimo.
Credo che in quei giorni si potessero contare una cinquantina di vittime degli attentati. Una cifra spaventosa. Che diviene ancor più spaventosa a contarla con l'unità di misura kissingeriana, il "cittadino americano". Ho fatto dei calcoli. Per ottenere una cifra di "2500 americani" Kissinger deve aver moltiplicato le vittime degli attentati (50) per la popolazione degli USA (250 milioni) e diviso il tutto per la popolazione d'Israele (5 milioni). Il risultato è impeccabile, da un punto di vista matematico, ma è delirante. Devo aver delirato anch'io, mentre lo ricostruivo. Armeggiavo con la penna su un foglio e mi dicevo, dio mio, ma sto davvero moltiplicando morti e vivi in questo modo? Milioni di morti e migliaia di vivi? Perché Sono pazzo? No, sto cercando di capire il modo in cui Kissinger conta i morti. Un perfezionamento dell'"occhio per occhio" biblico (si, Miss Fallaci, sta scritto nella Bibbia, non nel Corano): un occhio israeliano secondo lui vale 50 occhi americani. Ma se n'è reso conto qualcuno? L'intervistatore della CNN? Il traduttore di Repubblica? Un lettore? Ci ha fatto caso qualcuno? Nessun americano si è sentito di protestare? Questo qui si spaccia per esperto di geopolitica e fa calcoli del genere, magari con un foglio e una matita, come me. Li faceva anche quando lavorava per la Casa Bianca? E adesso per chi lavora?
A questo punto, perché dover sempre ragionare in termini di americani? Prendiamo i cinesi. Sono più o meno un miliardo. Mi aspetto di sentir dire qualche esperto di geopolitica (al di sopra delle parti, beninteso), che i terroristi hanno ucciso l'equivalente di diecimila cinesi, "facendo le debite proporzioni". Oppure prendiamo il principato di Monaco. Trentamila abitanti. Sconsiglio di torcere un capello a chiunque di loro. Equivarrebbe a torcere un capello a ottomila cittadini USA, in base all'equazione Kissinger (un altro motivo per tenersi caro Pavarotti).
E i palestinesi? Come la mettiamo coi morti palestinesi?
La mettiamo male, perché non si sa quanti siano. Per esempio, a Jenin gli israeliani sostengono di averne seppellito solo "qualche decina", ed erano "tutti armati". Per i palestinesi sono molti di più: forse cinquecento. Ma facciamo la tara anche alle vittime di Jenin, che essendo armate sono senz'altro terroristi (mentre i coloni che girano armati per il centro di Hebron sono pacifici cittadini). Mettiamo che "qualche decina" siano 50: quanto valgono, in base all'equazione Kissinger, cinquanta morti palestinesi?
Se si calcola tre milioni di palestinesi nei Territori (approssimazione per eccesso, ma ragionevole, se ce n'è un milione e duecentomila solo nella striscia di Gaza), la debita proporzione dà 4166,6 periodico (controllate anche voi). Facciamo quattromila. L'equivalente di quattromila cittadini americani è morto e sepolto a Jenin. Quasi le Twin Towers. Nota: abbiamo i dati forniti dall'esercito israeliano, che non è tenuto a dire la verità (sarebbe piuttosto stupefacente che la dicesse). Ma anche così l'equazione Kissinger darebbe ragione ad Arafat. A meno che non sia applicabile ai morti palestinesi, ma solo agli israeliani. Quindi anche la matematica non sarebbe uguale per tutti? Questo Mr. Kissinger, sospettato di crimini contro l'umanità, non lo dice.
Insomma, hai voglia a fare la tara. I morti palestinesi sono più di quelli israeliani. E se i civili contano di più, anche i civili morti palestinesi sono più dei civili israeliani. Per una ragazzina israeliana morta in discoteca possono esserci due o tre ragazzini palestinesi che forse avrebbero preferito esserci anche loro, in discoteca, ma non ce ne sono nei Territori. Se decidiamo che ogni vita umana ha il medesimo valore (idea familiare in quella regione, da duemila anni almeno), piangeremo sia per gli israeliani che per i palestinesi, ma per questi ultimi dovremo piangere più tempo. Se diciamo che lo Stato d'Israele è minacciato, dobbiamo anche dire che è minacciata l'esistenza stessa del popolo palestinese. E trarre la conseguenza: da che parte stiamo? Perché è ipocrita, in questa colossale disparità di mezzi, dirsi imparziali: è solo un modo lambiccato e tipicamente italiano di infilarsi sul carro dei vincitori, quali che siano. (Israele vince? Ed ecco un'affollata schiera di opinionisti sentire l'improvviso bisogno di riconoscere a Israele il diritto all'esistenza. Purtroppo Israele questo diritto se lo è preso anni fa, senza chiedere opinioni alla crema del giornalismo italiano). Io non sono imparziale. Io sto coi perdenti. Le ragioni dei vincitori non m'interessano. Tanto i vincitori hanno i mezzi sufficienti a farsi sentire. I perdenti invece hanno bisogno di aiuto. Non dico che i loro morti valgono di più – non faccio equazioni, io, non sono un esperto di geopolitica e non lavorerò mai per la Casa Bianca. Dico solo che i loro morti sono di più. Vediamo chi smentisce questo.
Come si contano i morti? Non è una domanda da poco. Di solito una vittima pesa più del suo assassino, e un bambino vale sempre più di un adulto. Le convenzioni internazionali (per quel che valgono) prevedono poi che un civile valga più di un militare. Tutto questo ha un valore molto relativo nella Terra Santa, la terra dei paradossi. È più grave l'assassinio di un civile o un militare? Merita più pietà una ragazzina di leva che muore in un agguato, o un 'civile' colono di Hebron o di Gaza che fa tirassegno sulle case dei dirimpettai palestinesi? In ogni caso i palestinesi non hanno il diritto di avere un esercito, quindi o sono tutti civili o tutti terroristi.
Come si contano i morti? Evocata, la Fallaci sostiene che qualcuno "fa la tara" alle vittime degli attentati. È un'accusa grave, ma a chi è rivolta? Può citare un episodio? Ha in mente qualcuno?
La tara sui morti. Nella sua brutalità, quest'espressione mi ha colpito. Ho pensato alla fortuna di essere italiano: da noi la questura fa la tara solo ai manifestanti. E poi ho pensato a Kissinger, e a questa frase di un'intervista di 15 giorni fa, sulla Repubblica (copyright Cnn). L'ex segretario di Stato americano biasimava l'ossessione di Sharon per Arafat:
Credo che gli israeliani così facendo stiano distogliendo l'attenzione dagli attacchi suicidi, che hanno ucciso l'equivalente di 2500 americani in tre giorni, fatte le debite proporzioni.
Eh?
Sulla Questione Palestinese c'è molta letteratura. Decine di personaggi – esperti o no, coinvolti o no, di parte o meno – che ogni giorno dispensano la loro opinione. Nel frastuono generale capita di cogliere ogni tanto una frase al volo, che non si dimentica, tanto è enorme. Cosa vuol dire che in tre giorni i terroristi palestinesi hanno ucciso "l'equivalente di 2500 americani"? Quali sarebbero "le debite proporzioni"? Kissinger non le spiega. Le dà per scontate.
Ora io, senza voler passare per nessun motivo al mondo come sostenitore di Hamas, mi sento di negare con fermezza che in Israele o nei Territori Occupati ci siano mai state 2500 vittime di attentati in tre giorni. Non sono nemmeno sicuro che i palestinesi abbiano ucciso 2500 israeliani dall'inizio dell'Intifada, per cui "la debita proporzione" di Kissinger la trovo tutt'altro che scontata. Per l'americano Kissinger, insomma, un morto israeliano vale molti morti americani. Ma quanti, esattamente? E perché? Qual è la "debita proporzione"?
Ci ho pensato un po' su, e ho costruito la seguente teoria: Kissinger, da bravo americano, ragiona in termini di percentuali. E cioè: per lui tutti i popoli sono uguali (e questo gli fa onore), e valgono, diciamo, cento. Ora, fingiamo che esista un piccolo popolo di sole cento persone. Mettiamo che io ne uccida uno, perché mi sta antipatico. Vengo catturato in flagrante e processato per omicidio. Fin qui tutto bene. Ma interviene il premio Nobel per la pace Henry Kissinger e dice: un momento. Quest'uomo non ha ucciso un altro uomo. Ha ucciso l'uno per cento della popolazione di questo Stato. È come se avesse ucciso l'uno per cento della popolazione degli Stati Uniti. Vale a dire (gli americani sono 250 milioni) due milioni e mezzo di americani. Di conseguenza chiedo che venga processato per genocidio, come minimo.
Credo che in quei giorni si potessero contare una cinquantina di vittime degli attentati. Una cifra spaventosa. Che diviene ancor più spaventosa a contarla con l'unità di misura kissingeriana, il "cittadino americano". Ho fatto dei calcoli. Per ottenere una cifra di "2500 americani" Kissinger deve aver moltiplicato le vittime degli attentati (50) per la popolazione degli USA (250 milioni) e diviso il tutto per la popolazione d'Israele (5 milioni). Il risultato è impeccabile, da un punto di vista matematico, ma è delirante. Devo aver delirato anch'io, mentre lo ricostruivo. Armeggiavo con la penna su un foglio e mi dicevo, dio mio, ma sto davvero moltiplicando morti e vivi in questo modo? Milioni di morti e migliaia di vivi? Perché Sono pazzo? No, sto cercando di capire il modo in cui Kissinger conta i morti. Un perfezionamento dell'"occhio per occhio" biblico (si, Miss Fallaci, sta scritto nella Bibbia, non nel Corano): un occhio israeliano secondo lui vale 50 occhi americani. Ma se n'è reso conto qualcuno? L'intervistatore della CNN? Il traduttore di Repubblica? Un lettore? Ci ha fatto caso qualcuno? Nessun americano si è sentito di protestare? Questo qui si spaccia per esperto di geopolitica e fa calcoli del genere, magari con un foglio e una matita, come me. Li faceva anche quando lavorava per la Casa Bianca? E adesso per chi lavora?
A questo punto, perché dover sempre ragionare in termini di americani? Prendiamo i cinesi. Sono più o meno un miliardo. Mi aspetto di sentir dire qualche esperto di geopolitica (al di sopra delle parti, beninteso), che i terroristi hanno ucciso l'equivalente di diecimila cinesi, "facendo le debite proporzioni". Oppure prendiamo il principato di Monaco. Trentamila abitanti. Sconsiglio di torcere un capello a chiunque di loro. Equivarrebbe a torcere un capello a ottomila cittadini USA, in base all'equazione Kissinger (un altro motivo per tenersi caro Pavarotti).
E i palestinesi? Come la mettiamo coi morti palestinesi?
La mettiamo male, perché non si sa quanti siano. Per esempio, a Jenin gli israeliani sostengono di averne seppellito solo "qualche decina", ed erano "tutti armati". Per i palestinesi sono molti di più: forse cinquecento. Ma facciamo la tara anche alle vittime di Jenin, che essendo armate sono senz'altro terroristi (mentre i coloni che girano armati per il centro di Hebron sono pacifici cittadini). Mettiamo che "qualche decina" siano 50: quanto valgono, in base all'equazione Kissinger, cinquanta morti palestinesi?
Se si calcola tre milioni di palestinesi nei Territori (approssimazione per eccesso, ma ragionevole, se ce n'è un milione e duecentomila solo nella striscia di Gaza), la debita proporzione dà 4166,6 periodico (controllate anche voi). Facciamo quattromila. L'equivalente di quattromila cittadini americani è morto e sepolto a Jenin. Quasi le Twin Towers. Nota: abbiamo i dati forniti dall'esercito israeliano, che non è tenuto a dire la verità (sarebbe piuttosto stupefacente che la dicesse). Ma anche così l'equazione Kissinger darebbe ragione ad Arafat. A meno che non sia applicabile ai morti palestinesi, ma solo agli israeliani. Quindi anche la matematica non sarebbe uguale per tutti? Questo Mr. Kissinger, sospettato di crimini contro l'umanità, non lo dice.
Insomma, hai voglia a fare la tara. I morti palestinesi sono più di quelli israeliani. E se i civili contano di più, anche i civili morti palestinesi sono più dei civili israeliani. Per una ragazzina israeliana morta in discoteca possono esserci due o tre ragazzini palestinesi che forse avrebbero preferito esserci anche loro, in discoteca, ma non ce ne sono nei Territori. Se decidiamo che ogni vita umana ha il medesimo valore (idea familiare in quella regione, da duemila anni almeno), piangeremo sia per gli israeliani che per i palestinesi, ma per questi ultimi dovremo piangere più tempo. Se diciamo che lo Stato d'Israele è minacciato, dobbiamo anche dire che è minacciata l'esistenza stessa del popolo palestinese. E trarre la conseguenza: da che parte stiamo? Perché è ipocrita, in questa colossale disparità di mezzi, dirsi imparziali: è solo un modo lambiccato e tipicamente italiano di infilarsi sul carro dei vincitori, quali che siano. (Israele vince? Ed ecco un'affollata schiera di opinionisti sentire l'improvviso bisogno di riconoscere a Israele il diritto all'esistenza. Purtroppo Israele questo diritto se lo è preso anni fa, senza chiedere opinioni alla crema del giornalismo italiano). Io non sono imparziale. Io sto coi perdenti. Le ragioni dei vincitori non m'interessano. Tanto i vincitori hanno i mezzi sufficienti a farsi sentire. I perdenti invece hanno bisogno di aiuto. Non dico che i loro morti valgono di più – non faccio equazioni, io, non sono un esperto di geopolitica e non lavorerò mai per la Casa Bianca. Dico solo che i loro morti sono di più. Vediamo chi smentisce questo.
Comments (2)
04-10-2001, 17:0011/9, cultura, giornalisti, Oriana Fallaci, scontro di civiltàPermalink
Ancora Fallaci.
Mi dispiace infierire su un'anziana signora, ma sono fatto così (è la mia "cultura").
Allora cambiai sistema. Chiamai un simpatico poliziotto che dirige l'ufficio-sicurezza e gli dissi: «Caro poliziotto, io non sono un politico. Quando dico di fare una cosa, la faccio. Inoltre conosco la guerra e di certe cose me ne intendo. Se entro domani non levate la fottuta tenda, io la brucio. Giuro sul mio onore che la brucio, che neanche un reggimento di carabinieri riuscirebbe a impedirmelo, e per questo voglio essere arrestata. Portata in galera con le manette. Così finisco su tutti i giornali». Bè, essendo più intelligente degli altri, nel giro di poche ore lui la levò. Al posto della tenda rimase soltanto un'immensa e disgustosa macchia di sudiciume.
Gli italiani, questi sanguinari:
basta che qualche centinaio di somali occupa Piazza del Duomo a Firenze per tre mesi, ed ecco che una simpatica vecchietta si trasforma in minacciosa stragista piromane (e anche un po' mitomane).
Voglio dire, se i palestinesi dovessero reagire tutti così – è da cinquant'anni che gli occupano piazze, strade, campi, tutto…
…Ecco: vedi? Ho scritto un'altra volta «perdio»…
Non è mica grave. Si può anche cancellare. (È quella freccetta in alto a destra, vedi?)
…Con tutto il mio laicismo, tutto il mio ateismo, son così intrisa di cultura cattolica che essa fa addirittura parte del mio modo d'esprimermi. Oddio, mioddio, graziaddio, perdio, Gesù mio, Dio mio, Madonna mia, Cristo qui, Cristo là. Mi vengon così spontanee, queste parole, che non m'accorgo nemmeno di pronunciarle o di scriverle. E vuoi che te la dica tutta?
Sebbene al cattolicesimo non abbia mai perdonato le infamie che m'ha imposto per secoli incominciando dall'Inquisizione che m'ha pure bruciato la nonna, povera nonna, sebbene coi preti io non ci vada proprio d'accordo e delle loro preghiere non sappia proprio che farne, la musica delle campane mi piace tanto. Mi accarezza il cuore. Mi piacciono pure quei Cristi e quelle Madonne e quei Santi dipinti o scolpiti. Infatti ho la mania delle icone. Mi piacciono pure i monasteri e i conventi. Mi danno un senso di pace, a volte invidio chi ci sta. ..
Una nonna bruciata sul rogo? Quanti anni fa, esattamente, signora?
È proprio vero: la nostra cosiddetta civiltà, la nostra cosiddetta 'cultura', è costruita in buona parte da cose che non conosciamo affatto.
La Fallaci non ha mai letto il Corano. Ma neanche la Bibbia, un testo molto più sanguinario (che pure dovrebbe piacerle, con tutto quel sangue e quelle battaglie…) Posta davanti all'effigie di una Madonna o di un Santo, Oriana avrebbe grosse difficoltà a riconoscere il Santo, o a spiegare cosa rappresentino quelle stelline intorno al capo della Madonna. Ma siccome da bambina ha sentito picchiare le campane; siccome in qualche gita fuori porta è passata davanti a un monastero o un convento, ecco improvvisamente che la signora Fallaci si scopre 'intrisa' di cultura cattolica.
Secondo me, quella delle 'culture' che si respirano da bambini, senza bisogno di leggere una parola o di mandare a memoria un precetto, è una stronzata. Pura e semplice. (Più di 'culture', sarebbe il caso di chiamarle 'ignoranze').
I suoi nonni, Illustre Signor Arafat, non ci hanno lasciato che qualche bella moschea e un libro col quale da millequattrocento anni mi rompono le scatole più di quanto i cristiani me le rompano con la Bibbia e gli ebrei con la Torah. E ora vediamo quali sono i pregi che distinguono questo Corano…
È così, signora? Allora lei ha 1400 anni? Tutto sommato li porta bene.
Ma allora come la mettiamo con la storia dell'Occhio-per-Occhio-Dente-per-Dente?[…]
Anche questo sta nel Corano.
Sicura? Secondo me sta nella Bibbia. Può darsi che stia in tutti e due. Ma che figure, signora, che figure che ci fa fare…
I buoni musulmani il Corano lo conoscono per forza (questo getta una strana luce sugli "studenti" Talebani, molti dei quali sarebbero analfabeti). Anche i cristiani dovrebbero, anche se la Chiesa cattolica non ha mai insistito molto sulla lettura delle Scritture. Se vuole partire alle crociate, è meglio che la signora si documenti un po'. Scoprirebbe che il Corano impone rispetto per cristiani ed ebrei.
L'affetto di Oriana per le immaginette, per le suorine, per la sua cappelletta privata che ogni tanto va a spolverare, per quanto toccante, non fa di lei una zelante cristiana. Sconsigliamole di giocare, come un'apprendista streghina, allo "scontro di civiltà": queste supposte civiltà ormai sono spettri, ma quando si destano sono ancora pericolosi.
Se vuole convertirsi, immagino che sappia già a che portone di convento bussare (là magari le insegneranno un po' di educazione, a tenere la testa bassa, ad amare i poveri, a non nominare il nome di Dio invano).
Se invece vuole restare quello che è, una fiera laica con tante idee spregiudicate, sia laica fino in fondo. Quei volti "distorti, cattivi", che le guastano il panorama di Firenze non sono dei musulmani: sono dei poveri. Non vengono in Italia per distruggerle "la Torre di Pisa o di Giotto", ma perché qui ci sono soldi. E perché sono poveri, malgrado abbiano più petrolio di noi? Domanda interessante. È colpa del Corano? No, non credo. È più probabilmente responsabilità di classi dirigenti corrotte e strategie geopolitiche spregiudicate. I Talebani, oltre a essere fanatici religiosi, sono raffinatori e commercianti di droga, un bene di consumo soprattutto in occidente. I Talebani hanno guadagnato il potere in Afghanistan anche grazie all'appoggio degli "iuessei". Questi sono fatti. Si leggono sui giornali. Quelli seri.
Mi dispiace infierire su un'anziana signora, ma sono fatto così (è la mia "cultura").
Allora cambiai sistema. Chiamai un simpatico poliziotto che dirige l'ufficio-sicurezza e gli dissi: «Caro poliziotto, io non sono un politico. Quando dico di fare una cosa, la faccio. Inoltre conosco la guerra e di certe cose me ne intendo. Se entro domani non levate la fottuta tenda, io la brucio. Giuro sul mio onore che la brucio, che neanche un reggimento di carabinieri riuscirebbe a impedirmelo, e per questo voglio essere arrestata. Portata in galera con le manette. Così finisco su tutti i giornali». Bè, essendo più intelligente degli altri, nel giro di poche ore lui la levò. Al posto della tenda rimase soltanto un'immensa e disgustosa macchia di sudiciume.
Gli italiani, questi sanguinari:
basta che qualche centinaio di somali occupa Piazza del Duomo a Firenze per tre mesi, ed ecco che una simpatica vecchietta si trasforma in minacciosa stragista piromane (e anche un po' mitomane).
Voglio dire, se i palestinesi dovessero reagire tutti così – è da cinquant'anni che gli occupano piazze, strade, campi, tutto…
…Ecco: vedi? Ho scritto un'altra volta «perdio»…
Non è mica grave. Si può anche cancellare. (È quella freccetta in alto a destra, vedi?)
…Con tutto il mio laicismo, tutto il mio ateismo, son così intrisa di cultura cattolica che essa fa addirittura parte del mio modo d'esprimermi. Oddio, mioddio, graziaddio, perdio, Gesù mio, Dio mio, Madonna mia, Cristo qui, Cristo là. Mi vengon così spontanee, queste parole, che non m'accorgo nemmeno di pronunciarle o di scriverle. E vuoi che te la dica tutta?
Sebbene al cattolicesimo non abbia mai perdonato le infamie che m'ha imposto per secoli incominciando dall'Inquisizione che m'ha pure bruciato la nonna, povera nonna, sebbene coi preti io non ci vada proprio d'accordo e delle loro preghiere non sappia proprio che farne, la musica delle campane mi piace tanto. Mi accarezza il cuore. Mi piacciono pure quei Cristi e quelle Madonne e quei Santi dipinti o scolpiti. Infatti ho la mania delle icone. Mi piacciono pure i monasteri e i conventi. Mi danno un senso di pace, a volte invidio chi ci sta. ..
Una nonna bruciata sul rogo? Quanti anni fa, esattamente, signora?
È proprio vero: la nostra cosiddetta civiltà, la nostra cosiddetta 'cultura', è costruita in buona parte da cose che non conosciamo affatto.
La Fallaci non ha mai letto il Corano. Ma neanche la Bibbia, un testo molto più sanguinario (che pure dovrebbe piacerle, con tutto quel sangue e quelle battaglie…) Posta davanti all'effigie di una Madonna o di un Santo, Oriana avrebbe grosse difficoltà a riconoscere il Santo, o a spiegare cosa rappresentino quelle stelline intorno al capo della Madonna. Ma siccome da bambina ha sentito picchiare le campane; siccome in qualche gita fuori porta è passata davanti a un monastero o un convento, ecco improvvisamente che la signora Fallaci si scopre 'intrisa' di cultura cattolica.
Secondo me, quella delle 'culture' che si respirano da bambini, senza bisogno di leggere una parola o di mandare a memoria un precetto, è una stronzata. Pura e semplice. (Più di 'culture', sarebbe il caso di chiamarle 'ignoranze').
I suoi nonni, Illustre Signor Arafat, non ci hanno lasciato che qualche bella moschea e un libro col quale da millequattrocento anni mi rompono le scatole più di quanto i cristiani me le rompano con la Bibbia e gli ebrei con la Torah. E ora vediamo quali sono i pregi che distinguono questo Corano…
È così, signora? Allora lei ha 1400 anni? Tutto sommato li porta bene.
Ma allora come la mettiamo con la storia dell'Occhio-per-Occhio-Dente-per-Dente?[…]
Anche questo sta nel Corano.
Sicura? Secondo me sta nella Bibbia. Può darsi che stia in tutti e due. Ma che figure, signora, che figure che ci fa fare…
I buoni musulmani il Corano lo conoscono per forza (questo getta una strana luce sugli "studenti" Talebani, molti dei quali sarebbero analfabeti). Anche i cristiani dovrebbero, anche se la Chiesa cattolica non ha mai insistito molto sulla lettura delle Scritture. Se vuole partire alle crociate, è meglio che la signora si documenti un po'. Scoprirebbe che il Corano impone rispetto per cristiani ed ebrei.
L'affetto di Oriana per le immaginette, per le suorine, per la sua cappelletta privata che ogni tanto va a spolverare, per quanto toccante, non fa di lei una zelante cristiana. Sconsigliamole di giocare, come un'apprendista streghina, allo "scontro di civiltà": queste supposte civiltà ormai sono spettri, ma quando si destano sono ancora pericolosi.
Se vuole convertirsi, immagino che sappia già a che portone di convento bussare (là magari le insegneranno un po' di educazione, a tenere la testa bassa, ad amare i poveri, a non nominare il nome di Dio invano).
Se invece vuole restare quello che è, una fiera laica con tante idee spregiudicate, sia laica fino in fondo. Quei volti "distorti, cattivi", che le guastano il panorama di Firenze non sono dei musulmani: sono dei poveri. Non vengono in Italia per distruggerle "la Torre di Pisa o di Giotto", ma perché qui ci sono soldi. E perché sono poveri, malgrado abbiano più petrolio di noi? Domanda interessante. È colpa del Corano? No, non credo. È più probabilmente responsabilità di classi dirigenti corrotte e strategie geopolitiche spregiudicate. I Talebani, oltre a essere fanatici religiosi, sono raffinatori e commercianti di droga, un bene di consumo soprattutto in occidente. I Talebani hanno guadagnato il potere in Afghanistan anche grazie all'appoggio degli "iuessei". Questi sono fatti. Si leggono sui giornali. Quelli seri.
03-10-2001, 17:4811/9, Berlusconi, giornalisti, Oriana Fallaci, scontro di civiltàPermalink
La civiltà dei brontoloni (e i suoi amici)
Va bene, se ne avessimo mai avuto il dubbio ora lo sappiamo: viviamo in un Paese di irresponsabili.
Siamo la sesta o la settima potenza mondiale, siamo membri NATO e mandiamo i nostri rappresentati alle cene del G8. Siamo anche un plausibile obiettivo del più forsennato terrorismo islamico. Ci si aspetterebbe dai nostri rappresentanti, dai nostri intellettuali, un invito all'unità e alla calma. Parole rassicuranti, che magari non rassicurano nessuno, ma sono necessarie in momenti come questi.
E invece no. Il nostro Presidente del Consiglio coglie l'occasione per lanciare la guerra delle civiltà, e nel frattempo si adopera per far votare in Parlamento una normativa sulle rogatorie internazionali che è come un invito a tutti i terroristi del mondo a venire a riciclare denaro in Italia.
Certo, la stessa normativa annulla probabilmente le prove di qualche processo che vede imputato lo stesso Presidente o alcuni suoi colleghi di Partito e Azienda – ma questa è solo una "singolare coincidenza", no?
Tutto questo in una settimana in cui il Parlamento, forse, dovrebbe esser chiuso (non si legifera la settimana prima di un referendum).
E gli italiani? Il 'popolo'? Una volta si chiamava 'maggioranza silenziosa'. Una maggioranza vagamente brontolona, che oggi può sfogarsi ad alta voce sul sito di Forza Italia: dobbiamo vergognarci di essere occidentali? (Vedi anche qui).
Di questa maggioranza (che non sempre brilla per dialettica e competenze) Berlusconi è corso a farsi scudo dopo aver gettato il sasso. "In fondo", dice lui, "ho detto quello che pensano tutti". E la maggioranza, in coro: "finalmente Uno che ha il coraggio di dire quello che pensiamo tutti".
Finiti i tempi in cui ci aspettavamo dai nostri rappresentanti democratici qualche cosa in più. Li volevamo più preparati di noi, più saggi, più preparati… in una parola: più responsabili.
Berlusconi no. Lui è proprio come noi: se siamo irresponsabili, perché lui dovrebbe essere da meno? Se tutti noi cerchiamo di fare i furbi coi nostri risparmi, perché non dovrebbe averlo fatto anche lui? Se un magrebino che spaccia fumo sotto casa nostra ci dà fastidio, perché non dovrebbe infastidire anche lui? Siamo nella più perfetta democrazia.
Che altro fa la maggioranza brontolona, insofferente, irresponsabile? Va in copisteria a fotocopiarsi l'articolo fiume di Oriana Fallaci, dove finalmente un intellettuale italiano ha il coraggio di dire a chiare parole Quello Che Tutti Pensano: che i musulmani sono sporchi, incivili e puzzolenti. Tutti, da Arafat al mio vicino di casa.
Ce ne ha messo, il Corriere, per trovare un intellettuale disposto a un'operazione di questo genere. Ha dovuto rianimare un'ex corrispondente di guerra piuttosto rintronata dagli anni e in evidente – e imbarazzante – stato confusionale. Le ha dato tutto lo spazio che ha ritenuto giusto con un'operazione sfacciata, cinica, alla Ciprì & Maresco: l'idiota in prima pagina. Non ci ha risparmiato gli insulti, le reiterazioni che qualsiasi editor avrebbe soppresso, per il bene nostro e suo. No.
Vergogna, signori del Corriere. Se avete fiutato l'aria e volete arruolarvi alla nuova Crociata, fate pure: non siete più irresponsabili di tanti. Ma fatelo a viso aperto, con le vostre armate ordinarie: non c'è un Panebianco, un Sartori disposto a dire a chiare parole quanto schifo ci fa l'Islam? Dovete mettere in piazza un'anziana signora con tutti i suoi problemi? Vergogna.
Io personalmente ho la mia teoria sulla parola civiltà: le civiltà non esistono. Di sicuro non oggi, e chi ne parla è un ignorante. Nei prossimi giorni cercherò di dimostrarlo (virus permettendo).
Però c'è un altro uso della parola: 'civiltà': è anche l'arte di stare al mondo, in maniera educata e responsabile. Di questa educazione e di questa civiltà ci sono ben poche tracce negli ultimi discorsi di Berlusconi, ancor meno nei deliri della signora Fallaci, nessuno nell'atteggiamento del direttore del Corriere, che ha mandato la povera signora a schiantarsi sull'opinione pubblica come un kamikaze. Veramente, veramente incivile.
Va bene, se ne avessimo mai avuto il dubbio ora lo sappiamo: viviamo in un Paese di irresponsabili.
Siamo la sesta o la settima potenza mondiale, siamo membri NATO e mandiamo i nostri rappresentati alle cene del G8. Siamo anche un plausibile obiettivo del più forsennato terrorismo islamico. Ci si aspetterebbe dai nostri rappresentanti, dai nostri intellettuali, un invito all'unità e alla calma. Parole rassicuranti, che magari non rassicurano nessuno, ma sono necessarie in momenti come questi.
E invece no. Il nostro Presidente del Consiglio coglie l'occasione per lanciare la guerra delle civiltà, e nel frattempo si adopera per far votare in Parlamento una normativa sulle rogatorie internazionali che è come un invito a tutti i terroristi del mondo a venire a riciclare denaro in Italia.
Certo, la stessa normativa annulla probabilmente le prove di qualche processo che vede imputato lo stesso Presidente o alcuni suoi colleghi di Partito e Azienda – ma questa è solo una "singolare coincidenza", no?
Tutto questo in una settimana in cui il Parlamento, forse, dovrebbe esser chiuso (non si legifera la settimana prima di un referendum).
E gli italiani? Il 'popolo'? Una volta si chiamava 'maggioranza silenziosa'. Una maggioranza vagamente brontolona, che oggi può sfogarsi ad alta voce sul sito di Forza Italia: dobbiamo vergognarci di essere occidentali? (Vedi anche qui).
Di questa maggioranza (che non sempre brilla per dialettica e competenze) Berlusconi è corso a farsi scudo dopo aver gettato il sasso. "In fondo", dice lui, "ho detto quello che pensano tutti". E la maggioranza, in coro: "finalmente Uno che ha il coraggio di dire quello che pensiamo tutti".
Finiti i tempi in cui ci aspettavamo dai nostri rappresentanti democratici qualche cosa in più. Li volevamo più preparati di noi, più saggi, più preparati… in una parola: più responsabili.
Berlusconi no. Lui è proprio come noi: se siamo irresponsabili, perché lui dovrebbe essere da meno? Se tutti noi cerchiamo di fare i furbi coi nostri risparmi, perché non dovrebbe averlo fatto anche lui? Se un magrebino che spaccia fumo sotto casa nostra ci dà fastidio, perché non dovrebbe infastidire anche lui? Siamo nella più perfetta democrazia.
Che altro fa la maggioranza brontolona, insofferente, irresponsabile? Va in copisteria a fotocopiarsi l'articolo fiume di Oriana Fallaci, dove finalmente un intellettuale italiano ha il coraggio di dire a chiare parole Quello Che Tutti Pensano: che i musulmani sono sporchi, incivili e puzzolenti. Tutti, da Arafat al mio vicino di casa.
Ce ne ha messo, il Corriere, per trovare un intellettuale disposto a un'operazione di questo genere. Ha dovuto rianimare un'ex corrispondente di guerra piuttosto rintronata dagli anni e in evidente – e imbarazzante – stato confusionale. Le ha dato tutto lo spazio che ha ritenuto giusto con un'operazione sfacciata, cinica, alla Ciprì & Maresco: l'idiota in prima pagina. Non ci ha risparmiato gli insulti, le reiterazioni che qualsiasi editor avrebbe soppresso, per il bene nostro e suo. No.
Vergogna, signori del Corriere. Se avete fiutato l'aria e volete arruolarvi alla nuova Crociata, fate pure: non siete più irresponsabili di tanti. Ma fatelo a viso aperto, con le vostre armate ordinarie: non c'è un Panebianco, un Sartori disposto a dire a chiare parole quanto schifo ci fa l'Islam? Dovete mettere in piazza un'anziana signora con tutti i suoi problemi? Vergogna.
Io personalmente ho la mia teoria sulla parola civiltà: le civiltà non esistono. Di sicuro non oggi, e chi ne parla è un ignorante. Nei prossimi giorni cercherò di dimostrarlo (virus permettendo).
Però c'è un altro uso della parola: 'civiltà': è anche l'arte di stare al mondo, in maniera educata e responsabile. Di questa educazione e di questa civiltà ci sono ben poche tracce negli ultimi discorsi di Berlusconi, ancor meno nei deliri della signora Fallaci, nessuno nell'atteggiamento del direttore del Corriere, che ha mandato la povera signora a schiantarsi sull'opinione pubblica come un kamikaze. Veramente, veramente incivile.