E i modenesi si dissero: costruiamo una Banca che salga fino in cielo

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Il direzionale Manfredini (Alcatraz per gli amici) è la vera eredità che i modenesi lasciano al mondo. C'è tutto: la hubris dei banchieri, la visionarietà dei geometri, e poi la rivincita del territorio, che rammenta a tutti i bravi e onesti cittadini padani che palude eravamo, palude siamo, palude ritorneremo. Il tutto combinato assieme prende le forme di un castello imprendibile (e invendibile), la piramide dei nostri risparmi, il Mont Saint Michel delle nostre zanzare. Bisogna avvertire l'Unesco di questa cosa, bisogna portarci le classi in gita (in motoscafo ormai), bambini vedete qualcosa ci sopravvivrà: qualcosa di molto grosso, goffo e inutile.

(Qualcuno è entrato e le foto sono magnifiche).
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Tutti debunker a Martiropoli

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16 febbraio: San Maruta (IV-V sec.), vescovo di Mayferkqat, non so se mi sono spiegato.


Di Maruta, vescovo della città siriana di Mayferkqat, che fu inviato da Giovanni Crisostomo presso lo scià di Persia Yazdgard I acciocché ponesse termine alle persecuzioni sasanidi nei confronti dei cristiani, non ho tutto questo tempo di parlare. Accenno solo a quel simpatico aneddoto secondo il quale, siccome lo scià si stava affezionando a Maruta, che essendo non solo un sant'uomo ma anche medico aveva curato con un certo successo la sua emicrania, un giorno, nel tempio zoroastriano, durante la celebrazione, un uomo misterioso apparve allo scià dicendo: fate uscire dal tempio colui che presta credito a un sacerdote cristiano! Yazdgard ne sarebbe rimasto molto impressionato, perché i re orientali in queste leggende sono sempre impressionabilissimi: Maruta, invece, non fece una piega ma chiese di poter ispezionare il tempio e ci trovò una botola da cui evidentemente era comparso l'uomo misterioso. 

Guarito così dallo spavento, (e infuriato coi sacerdoti zoroastriani che pensavano di poterlo fare fesso) Yazdgard si sarebbe ancora più convinto della serietà di Maruta, e avrebbe avviato una politica di tolleranza religiosa e di alleanza coi Romani d'oriente che effettivamente risulta dalle cronache. Tutto grazie a una banale operazione di debunking, molto simile a quelle messe in atto dal profeta Daniele con Nabucodonsor. I nemici di Daniele sono i sacerdoti del dio Bal, quelli di Maruta sono gli zoroastriani, ma il succo è lo stesso: il profeta conquista la propria credibilità dimostrando che i prodigi degli altri dèi sono trucchetti messi in atto da un clero di imbroglioni.  

In effetti è molto più semplice dimostrare la falsità delle credenze altrui che la fondatezza delle proprie, e quindi non troverai mai tanti debunker come nei pressi di una istituzione religiosa: l'idea è che dopo averti dimostrato che tutto quello che sai è falso, non ti resterà che fidarti di loro. È una tecnica tipica dei truffatori di strada: prima fingono di sventare il trucco di un compare ai tuoi danni, e dopo avere conquistato la tua fiducia ti fottono. Maruta è a tutt'oggi considerato patrono della Persia, cioè dell'Iran: dai suoi viaggi tra Ctesifonte e Bisanzio riportò nella sua città tante reliquie che per un po' prese il nome di Martiropoli, però ora non ho molto tempo per raccontare la sua storia, scusate, ho visto il video di un tizio che dimostra come sia impossibile guadagnare migliaia di euro al giorno con le cripto, è tutto uno schema di Ponzi, mentre invece il suo sistema è molto più modesto, al massimo metti via qualche centinaia di euro al giorno, però bisogna darsi da fare, insomma ciao.

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Un Sanremo di destra (alla fine ce lo guarderemmo)

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Capite che un conto è perdere ancora, perdere male, contro avversari quasi improvvisati e impresentabili (Fontana in Lombardia!); ma ritrovarsi nella sconfitta a dover fare quadrato intorno a un presentatore tv che si fa chiamare Amadeus e la sua gestione di un festival della canzone, ecco, questo è molto più della semplice beffa che si accompagna al danno, e richiede un minimo di spiegazione. Sanremo come baluardo della sinistra, sul serio? Com'è potuto succedere, e in che modo possiamo evitarlo?

Loro sono proprio contro il coro, capite

Che quest'anno il nodo potesse arrivare al pettine alla fine era inevitabile. C'è un Italia che va decisamente a destra, e un immaginario che sembra prendere la deriva opposta. Così come aa Meloni sembra un filo più estrema di Salvini (ma sarà vero?), Rosa Chemical risulta più estrem😶 di Achille Lauro (e anche lì, forse è solo un effetto ottico). Lo struggimento degli opinionisti di destra sarebbe perfino comprensibile – se non dessero come sempre l'impressione di una serie di animaletti meccanici caricati a molla: insomma abbiamo vinto le elezioni, Sanremo dovrebbe avere registrato questa cosa, o no? cosa aspetta l'immaginario nazionale a farsi modellare dai tweet dei nostri sottosegretari aa curtura? La Rai poi è anche servizio pubblico, perché non s'inginocchia? Probabilmente s'inginocchierà, magari si stava semplicemente aspettando il momento giusto per lo spoil system. Si potrebbe persino ipotizzare che Sanremo sia stata la trappola in cui i dirigenti sono ingenuamente caduti mentre stavano a distillare lo share alle due del mattino. Da quello credevano dipendesse il loro destino, illusi!, e non dalla Minaccia Genderfluida. 


Adesso coraggio, diciamo l'indicibile: mettiamo che la Destra ormai invincibile riesca a plasmare Sanremo a sua immagine entro il febbraio 2024. Non diventerebbe di colpo uno spettacolo più interessante, qualcosa che varrebbe la pena di guardare anche solo per vedere come lo riducono? Stiamo parlando di Sanremo, il trash ha sempre fatto parte del gioco. Ma un Sanremo che invece della prevedibile concione di Benigni sulla Costituzione-che-il-mondo-ci-invidia cominciasse, che ne so, con un monologo di Brignano su quanto siamo er mejo der Mediterraneo sin dai tempi deji antichi Romani, e proseguisse con ospiti degni dell'occasione, ad esempio tra gli sportivi potrebbero chiamare Ivan Nemer che potrebbe leggere un temino (scritto da lui) in cui ricorda l'orribile persecuzione di cui è stato vittima per aver osato regalare una simpatica banana marcia a un compagno che si è offeso in modo ingiusto, dato che in Italia non siamo razzisti, altrimenti altro che in nazionale, a raccogliere i pomodori vi manderemmo, e zitti. E poi canzoni sovraniste – ma non troppo perché la Nato si potrebbe arrabbiare, quindi anche un po' atlantiste – ma non troppo perché la porta a Putin va lasciata aperta, Berlusconi ci tiene e non ha elettoralmente tutti i torti, canzoni contro l'Euro? No, quello ormai ce lo teniamo. Contro l'Unione Europea? Ma senza esagerare, insomma forse meglio prendere canzoni d'amore come nelle scorse edizioni: però rigorosamente non-fluido, tra l'altro qual è il contrario di fluido in amore? "Fisso", "immobile", "cristallizzato", vabbe' l'importante è che sia chiaro che la donna ama l'uomo e viceversa e sempre rigorosamente in un rapporto uno a uno, insomma torniamo a prima dello Zero (non l'anno, proprio il cantante Renato Zero, diciamo 1975).

(Insomma niente da fare, neanche l'apocalisse meloniana ci salverebbe dai Coma Cose).

Era da tanto che non leggevo killeraggio

Un Sanremo così lo metto per iscritto per renderlo ancora meno plausibile, ma lo è già parecchio: molto più semplice pensare che la destra continui a tenerselo così, magari limando qualche asperità e continuando a lamentarsene, che è una cosa che a destra piace molto, anche quando vince. Sanremo come riserva di un progressismo in via d'estinzione/assimilazione, dove anche istanze interessanti come l'antiproibizionismo o l'emancipazione sessuale vengono difese da fenomeni da baraccone che alla lunga si rivelano controproducenti – Fedez non sarà mai un leader credibile, mi sento di dire, e allo stesso tempo se penso che una volta Benigni era il tizio che cercava di tirare i pantaloni a Baudo e la gonna alla Carrà (contro il loro consenso), e adesso è quello a cui chiediamo il discorsone ufficiale per l'anniversario della Costituzione, beh, beh. Magari tra vent'anni al suo posto ci sarà Rosa Chemical, chi può dirlo. Mentre io per allora rischio di trovarmi in uno di quei posti in cui ti lasciano la tv accesa e non ti danno il telecomando, ammetto un po' di angoscia al pensiero.

Bello però quel "marito della Ferragni"

Può darsi che Sanremo stia diventando quel che per gli americani è Hollywood: cioè in un certo senso un grosso equivoco, la ridotta di un progressismo ormai più immaginario che reale. E però l'immaginario è importante e difenderlo ha un senso. 

(Ma se con l'immaginario occorre difendere Amadeus, no, mi dispiace, io passo) (e Fedez? passo) (Benigni? una volta o l'altra dovrò mettere per iscritto cosa mi ispira ormai Benigni: diciamo che più si sforza di convincermi che tutto è bellissimo e degno di ammirazione, più ho paura che dietro di lui ci stiano i kapò, i reticolati e la morte).

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Sanremo e il Grande Sonno

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Probabilmente non è Sanremo, sono io. Sanremo c'è sempre: a volte un po' meglio, più spesso peggio. Quest'anno non lo sopporto – e allora non guardarlo! Infatti non lo sto guardando – e allora come fai a dire che non lo sopporti? Il punto è proprio questo: quest'anno Sanremo mi aveva stancato una settimana prima che cominciasse. Succedeva nell'era di Pippo Baudo, quando comunque l'eventualità di restare a casa a guardarsi vecchi cantanti stonare brutte canzoni era fuori discussione. Negli ultimi anni, viceversa, avevo cominciato a registrare una specie di simpatia per la Kermesse, uno dei rari momenti in cui comunque ci trovavamo tutti davanti al televisore, compresi i giovani che non sanno da che parte si accende ma recuperavano i clippini su Youtube o altrove. Sanremo come l'unico ponte rimasto tra le generazioni – uno stringersi a coorte intorno a un ponte che in passato avevo sempre trovato architettonicamente discutibile e lo sarebbe tuttora, ma non c'è più scelta e non si tratta nemmeno di scegliere: si tratta di stare assieme, le canzoni servono anche a questo. Tutto giusto, e forse il motivo per cui Sanremo sta andando abbastanza bene è che la Rai lo ha capito. 

Ma non lo sopporto più lo stesso.

Questo Sanremo che passa il tempo a celebrare sé stesso in quanto Sanremo, prodotto e presentato da gente che passa il tempo a spiegare quant'è brava a produrre e presentare questo Sanremo che poi appena provi a guardarne un frammento, beh, com'è? Come vuoi che sia, è bruttino. La solita valanga di roba improvvisata lì per cinque ore perché, ce lo eravamo già spiegato qualche anno fa, siccome Sanremo è l'unica cosa che vedono tutti, l'idea è di concentrarci tutto quello che dovremmo sentire la necessità di guardare: Morandi, ma anche Albano e Ranieri! E la Ferragni, ma allora anche la Egonu! e la Costituzione? Ma allora anche la giornata del Ricordo, e Zelensky? Ma allora anche le donne iraniane, e il comico irriverente anche se è già l'una, e poi ah già quella trentina di canzoni in concorso. Questa idea che dobbiamo guardarci tutto per cinque ore al giorno per cinque giorni alla settimana e gratis, e soprattutto che questa mostruosità sia per la Rai assolutamente normale – ci scherzano persino sopra, cioè questa cosa che la gente abbia mediamente la sveglia alle sette del mattino li diverte! – del resto parliamo di gente che non trova più nulla di strano nell'arrivare all'una di notte con uno spettacolo per pensionati come Ballando con le stelle. Date un'occhiata alle conferenze stampa, che se togliete il tempo che passano i dirigenti a spiegare quanto sono bravi e quanto stanno battendo record su record (e a criticare chi osa non crederci) si riducono a una manciata di minuti. Stamattina il direttore di rete, mi pare, l'ha proprio spiegato: cioè questi numeri ce li dà la sezione marketing, capite, sono professionisti, come fate  a non fidarvi della sezione marketing? La sensazione è che Amadeus & co. si siano impegnati in questi anni non tanto a fare uno spettacolo piacevole (forse era impossibile) quanto a costruire un castello di dati che dimostri, dati alla mano, che Sanremo piace così com'è, del resto lo share all'una e mezzo è inoppugnabile. Almeno quando floppava ci si domandava cos'era andato storto: adesso è impossibile, adesso va tutto sempre bene, anzi ogni edizione va meglio dell'altra, è una cosa incredibile, infatti per esempio io non ci credo.



Credo che sia il risultato ormai paradossale della deriva della tv generalista, quello che succede se nell'algoritmo ti dimentichi di inserire la considerazione che gli spettatori li preferiresti svegli. Se l'algoritmo non lo sa, infallibilmente preferirà contenuti che li facciano addormentare all'istante, così non cambiano canale. Certo, dall'altra parte dovrebbero esserci esseri umani in grado di notare il problema, non tanto i dirigenti quanto gli inserzionisti. Ma finché saranno contenti di farsi pigliare per fondelli da un'azienda che allunga il brodo fino alle due del mattino, non credo che ci sarà nessuna speranza di avere uno show interessante e non quella valanga informe che è. Certo, a questo punto forse pagherei qualcosa se quando i dirigenti si vantano dello share ottenuto all'una d'un mercoledì, o addirittura quello di Fiorello alle due e mezza, qualcuno prendesse la parola e gli dicesse Ma share di cosa, che a quell'ora non fanno neanche più i film zozzi su Sky; share di cosa, dici che il 60% ha visto Fiorello? Cioè quattro su dieci erano svegli alle due e non guardavano Fiorello? Cioè quanto deve stargli sulle palle Fiorello a tutta 'sta gente, e a proposito cosa guardano? Il monoscopio su retecapri?



***

C'è stato negli ultimi anni, tra la gestione Baglioni e quella Amadeus, un momento in cui davvero Sanremo è tornato rilevante da un punto di vista culturale? O ce lo siamo sognati, e se sì, cosa ci ha fatto sognare?
Senza dubbio le canzonette hanno retto meglio di altre cose l'urto generazionale – insomma tra un cinquantenne e un teenager di oggi cosa altro può esserci in comune? Se hanno un device comune non è la tv; al massimo uno smartphone e usano app diverse. Su queste app le canzoni passano, altri contenuti no. Queste canzoni sono per lo più in lingua italiana, al punto che persino i giovani che preferirebbero ascoltare cose incomprensibili, ascoltano canzoni di cantanti italiani specializzati in cose incomprensibili. L'inglese non solo ha perso completamente quel fascino di lingua preclusa alle vecchie generazioni, ma non è più un'etichetta di qualità: di artisti in lingua inglese in classifica ce n'è sempre meno, e d'altro canto perché dovrebbero andarci? Parlo per me: gennaio è tradizionalmente il mese in cui recupero le uscite dell'anno precedente: in giro escono un po' di classifiche e di bilanci e quindi per un attimo ho la sensazione di orientarmi. In linea di massima continuo ad ascoltare cose anglosassoni, e malgrado la mia idiosincrasia per il rap, quest'anno sono perlopiù cose parlate. Musicalmente, non riesco a notare differenze tra quello che si ascoltava dieci anni fa – ma neanche quindici. La differenza la fanno i testi. Il risultato è che una barriera linguistica che nel 2000 praticamente non avvertivamo più – l'inglese delle canzoni ormai era per noi una seconda lingua – nel 2020 è tornato a essere una muraglia come ai tempi dei nostri nonni, e la Musica Italiana si è ritrovata, senza nemmeno averlo cercato più di tanto, padrona a casa sua. È normale che di questo fenomeno Sanremo cerchi di attribuirsi il merito: ma tutto quello che ha fatto per recuperare la sua centralità è stato resistere anche negli anni in cui i discografici ci mandavano gli scarti di magazzino. Per il resto anche i musicisti oggi stentano a trovare un modello di business: i dischi non vendono più, lo streaming è diventato cruciale per la compilazione delle classifiche, ma non crea tutti questi utili e non li divide equamente. Insomma siamo ancora in crisi, ma a questo punto lo siamo sempre stati e poi tutto sommato i momenti di crisi sono quelli in cui di solito ci si inventa qualcosa di nuovo. Ecco, se devo essere sincero quel qualcosa di nuovo non lo sto vedendo, non lo sto ascoltando – ma forse non ho neanche voglia di drizzare le antenne, e poi magari si tratterà di qualcosa per me incomprensibile o inascoltabile. E mi starebbe pure bene, se oltre a essere inascoltabile fosse finalmente qualcosa di diverso.   
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Un'africana in Veneto

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8 febbraio: Santa Giuseppina Bakhita (1869-1947)

Il rapporto tra santità e pelle nera è uno dei più bizzarri e forse meriterebbe di essere studiato meglio: in un continente in cui la nobiltà è associata (almeno a partire dall'Alto Medioevo) a carnagione chiara e capelli biondi, la santità assume attributi opposti molto più spesso di quanto sembrerebbe. Hanno la pelle scura le icone bizantine (forse perché annerite dal fumo delle candele); le statue di vescovi risalenti all'antichità, come Zeno a Verona. Hanno il colore del bronzo certe statue del monaco siciliano San Calogero, che quando vengono portate in processione brillano al sole e sembrano sudare; e proprio in Sicilia, nel basso medioevo nasce il fenomeno dei santi neri, frati di origine africana (a volte schiavi liberati) che vengono venerati in vita e dai quali la gente sembra che si aspetti i miracoli, finché a furia di insistere i miracoli non arrivano. Il caso di Giuseppina Bakhita è molto più recente, ma non così diverso: anche Giuseppina è diventata famosa senza averlo desiderato, semplicemente perché il colore della pelle richiamava l'attenzione di fedeli e curiosi ("Tuti i vole védarme: son propio na bestia rara!") In un mondo senza immagini fotografiche a colori, Giuseppina mostrava agli abitanti di Schio che sì, i neri esistevano: se poi apriva la bocca per parlare la sorpresa era doppia, perché Giuseppina parlava in dialetto veneto. 

Giuseppina deve la sua fama a un libro della canossiana laica Ida Zanolini, Storia meravigliosa: Giuseppina Bakhita, che negli anni Trenta ebbe un buon successo e fu una specie di italica Capanna dello Zio Tom; un racconto che ha senz'altro il pregio di mettere a fuoco gli orrori dello schiavismo, ma anche di confortare il lettore sul fatto che molti uomini bianchi lo avversino, in particolare gli illuminati esponenti della borghesia coloniale italiana. Come Callisto Legnani, console italiano a Khartoum, che comprava i bambini vittime della tratta per restituirle alle famiglie. Questa ragazzina che riscatta nel 1882, però, non può essere restituita perché non si ricorda nemmeno come si chiamava: il nuovo nome ("Fortunata"), glielo hanno dato i predoni. Potrebbe avere tredici anni. Probabilmente viene da un villaggio del Darfour: ricorda di avere avuto molti fratelli che forse sono stati fatti prigionieri anche loro; ha già cambiato padrone più volte; è stata al servizio di un generale turco che l'ha fatta tatuare; il tatuaggio successivamente è stato abraso e forse trattato col sale per creare una cicatrice permanente. Tutte queste cose le sappiamo dal libro della Zanolini: Giuseppina non ne parlava volentieri e a volte sosteneva che la storia era esagerata – può darsi che la Zanolini volesse condensare nel personaggio di Bakhita le sofferenze inflitte a più bambine, e documentate da altre fonti: così come può darsi che Bakhita avesse maturato una certa insofferenza per chi continuava a chiederle particolari riguardo i traumi della sua infanzia. 

La ragazza resta per due anni al servizio del console – i biografi si affrettano a precisare che non era più considerata una schiava, ma comunque era una minore che svolgeva mansioni di servitù. La differenza che Bakhita percepisce è che non viene più picchiata e tanto basta perché sia la stessa Bakhita a chiedere a Legnani di portarla con lei, quando lascia Khartoum nel 1884 durante la rivolta del Mahdi. Ai Legnani si aggrega durante il viaggio un'altra famiglia italiana, gli albergatori Michieli. Giunti a Genova, il console cede Bakhita ai Michieli, che hanno una figlia che si trova bene con lei. Sono i Michieli a portare Bakhita in Veneto (a Mirano): tre anni dopo, quando ripartono per l'Africa, lasciano la figlia in un collegio canossiano di Venezia. Bakhita resta con lei, in qualità di catecumena, perché non è nemmeno battezzata e di cristianesimo ancora non sa quasi nulla. Quando intorno al 1889 la signora Michieli torna a prendere la figlia, Bakhita prende l'unica vera decisione della sua vita: non vuole tornare in Africa, preferisce restare nel convento delle canossiane. La Michieli ricorre ai legali, così che a un tribunale tocca sancire che la schiavitù in Italia non esiste: Bakhita è libera di restare nel convento. 

Nel 1890 viene battezzata Giuseppina Margherita Fortunata: sei anni dopo prende i primi voti. Nel 1893 è trasferita nel convento di Schio dove passerà quasi tutto il resto di una vita tutto sommato abbastanza tranquilla, scandita dalle normali mansioni di una suora canossiana: in cucina, in sagrestia, anche in infermeria quando durante la Prima Guerra Mondiale il convento diventa un ospedale delle retrovie. La situazione cambia quando nel 1902 Giuseppina viene spostata in portineria, diventando il volto che le canossiane di Schio offrono al mondo esterno: è un volto sorridente, ma davvero inusuale, che richiama perfino scolaresche in visita d'istruzione. I concittadini la chiamano Madre Moreta e se non si aspettano da lei espliciti miracoli (una portinaia nera a Schio è già un piccolo miracolo), comunque in un qualche modo reclamano che un volto così diverso dal solito si carichi di un senso, renda testimonianza su un continente lontano che forse Giuseppina non ricordava volentieri.

Le canossiane decidono di scriverci un libro, che si ristampa varie volte e che più che a raccontare la sua lagrimevole storia serve a sensibilizzare il pubblico sulla necessità di sostenere le opere missionarie: una canossiana di ritorno dalla Cina la porta con sé in un tour di conferenze in tutt'Italia, che fanno il pieno di pubblico perché sul palco c'è anche la suora nera, che non parla molto (il dialetto veneto in effetti rovina un po' l'effetto esotico), ma insomma, è nera. Non una cosa che si vede tutti i giorni – e a differenza che al circo, alle conferenze missionarie non si paga il biglietto. Il gusto per l'esotico del resto è quello che porta migliaia di giovani volontari in Abissinia, dove a sentire le canzoni è pieno di faccette nere che non vedono l'ora di sorridere ai liberatori. Nel 1936 Giuseppina accompagna a Roma una delegazione di missionarie che prima di partire per Addis Abeba vanno a salutare Mussolini. Le faccette nere però, ora che sono suddite dell'impero, fanno meno tenerezza. Anzi occorre scongiurare che i soldati contraggano matrimoni misti: si è appena scoperto che l'italianità è una razza che va difesa dalle impurità. Può essere solo una coincidenza, ma proprio nel 1837 Giuseppina viene spostata dal convento di Schio e si ritrova in Lombardia, a Vimercate. Anche lì però viene collocata in portineria: si vede che era una portinaia veramente brava, o che alle canossiane non dispiaceva quel particolare tipo di attenzione che attirava. Nel 1939, malata, ottiene di tornare a Schio dove si spegne l'otto febbraio del 1947. 

Giuseppina è stata beatificata nel 1992. Non ha fondato conventi né scritto meditazioni; stava in portineria, sorrideva e nemmeno faceva i miracoli, almeno in vita. Quello necessario alla sua canonizzazione lo ha fatto a una signora brasiliana diabetica, a cui stavano per amputare le gambe. Chissà quante sante e quante beate avrà invocato: Bakhita ha funzionato, e così al termine di un processo abbastanza rapido è stata canonizzata da Giovanni Paolo II. Di sé stessa diceva: "Mi son on povero gnoco, come i gha fato a tegnerme in convento?"

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Carcere duro a chi ne vuol parlare

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(Una modesta proposta)

Io non ho un'opinione forte sul regime carcerario previsto dal 41bis – il pezzo potrebbe finire qui, in effetti. Non ho un'opinione nemmeno così debole, diciamo che è oscillante e che dipende molto da chi mi fa la domanda. In linea di massima posso dire che oscilli tra il punto di vista A ("È tortura") e il punto B ("abbiamo sconfitto Cosa Nostra, insomma è utile"). Su questa oscillazione traballa tutta la mia coscienza democratica, il dubbio di vivere in uno Stato che non sempre riesce a garantire i diritti fondamentali a tutti i suoi cittadini. Mi consolo pensando che almeno non oscillo mai verso il punto C ("Se lo meritano"): lo lascio volentieri aa Meloni e ai suoi garzoni, che in questo caso stanno mostrando tutta l'impreparazione che avevamo largamente previsto.

A tal proposito, la linea del(la) presidente mi sembra la più vittimista possibile, il che non sorprende di certo: l'attacco frontale al PD ricorda quasi una certa strategia bannoniana di demonizzazione dell'avversario, che a ben vedere non è che abbia molto giovato alle destre negli Usa e nel mondo. I bannoniani hanno provato a descrivere una moderata come la Clinton in una satanista: nel medio-termine però è la destra bannoniana che si è trasformata in una specie di setta dai comportamenti ingestibili (l'attacco al Campidoglio). Cercare di vendere al proprio pubblico il PD, un partito di mediocri amministratori, come il braccio politico dell'insurrezionalismo anarchico, è una mossa talmente bannoniana che lascia perplessi, insomma è uno schema che fin qui non ha funzionato: e però, e però io sto in Emilia, uno dei pochi posti in cui il PD esiste ancora, puoi vedere gli iscritti in giro per la strada e nemmeno per un istante puoi credere che siano bombaroli; nella maggior parte del territorio ormai è una sigla abbastanza esotica, per cui non è detto che la demonizzazione non funzioni, o che il PD non dovrebbe immediatamente reagire con una prontezza di riflessi che purtroppo non ha (non ha nemmeno un organo di stampa: scommette sulla benevolenza di una classe imprenditoriale che l'ha abbandonato da mò).

Tornando al 41bis, e in particolare al punto A ("è tortura"), ammetto che dipenda molto dal mio temperamento: benché io ami relativamente la solitudine, devo assolutamente trovarmi qualcosa da fare, altrimenti credo di poter impazzire in pochi minuti. Poche cose mi ispirano più orrore dell'isolamento carcerario, e in particolare il pensiero che i reclusi non possano nemmeno leggere mi risulta intollerabile. Non solo ingiusto: intollerabile. Così ho questa proposta: chiunque sostenga di avere un'opinione forte sul 41bis, che passi almeno due settimane in una stanza sempre illuminata, senza libri e materiale audiovisivo e insomma nella stessa condizione in cui vivono per anni i carcerati al 41bis. Quindici giorni, e poi se proprio volete condividere la vostra opinione, vi ascolteremo. 

Con questo non m'illudo di cambiare idea a gente che è pagata per avere la più trucida possibile – sparo un nome a caso: Mario Giordano. Probabilmente anche dopo due settimane di carcere duro continuerebbe a dire o scrivere cazzate: ma almeno per due settimane non dovremmo sentire le sue cazzate, un vantaggio collaterale vedete che c'è, e io mi accontenterei. E poi chissà, magari uno o due li troviamo, che hanno la testa meno dura del carcere. 

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San Gilberto di Limerick (oh!)

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 4 febbraio: San Gilberto vescovo di Limerick (XII secolo)

C'era a quei tempi un presule in Irlanda
che trovava la sua Chiesa esecranda,
con riti problematici
e diciamolo, scismatici,
scandalizzanti il presule d'Irlanda.

Quest'uomo, che chiamavano Gilberto,
affrontava i suoi avversari a volto aperto:
"L'unica Chiesa sana",
dicea, "è la gregoriana:
le altre sono eretiche, vi avverto".

Alla riforma di Papa Gregorio
si riferiva (credo sia notorio)
che uniformò la Chiesa:
ben meritoria impresa
in cui si cimentò Papa Gregorio.

Gilberto fu seguace suo e buon chierico,
ma poiché egli era vescovo a Limerick (oh!)
per lui ho scritto una sciocca
insensata filastrocca,
che è cosa invero indegna di un buon chierico.

Si fosse egli chiamato Arnolfo, o Ambrogio,
non dico che avrei scritto un buon elogio:
però ci avrei provato;
né è colpa del prelato
se Arnolfo non chiamavasi, né Ambrogio.

La colpa in parte cade su Edward Lear
che queste strofe scrisse a non finir:
"limerick" le chiamò,
perché io non lo so:
non credo lo sapesse neanche Lear.

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Brigida e il barile senza fine

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1° febbraio – Santa Brigida, badessa-vescovo, copatrona d’Irlanda


(2013) Appena dico “Santa Brigida”, vi sento già sbuffare: “Massì, lo sappiamo, patrona di Svezia e d’Europa: ebbe otto figli, fondò una settantina di monasteri e riempì otto volumi di visioni estatiche”. Tutto questo è vero e anche di più, ma si tratta di Brigitta di Uppland, 23 luglio. Il primo febbraio ricorre un’altra Santa Brigida, quella di Kildare (Irlanda). Perché l’Irlanda non è solo San Patrizio, sapete.

E sai cosa bevi

Brigida forse era figlia di un capotribù e di una schiava convertita da Patrizio, forse no; forse esisteva già sotto forma di Brighid, importante divinità celtica, a cui erano dedicate alcune fontane sacre che poi passarono in blocco al cristianesimo quando questo espugnò anche l’Irlanda e Brighid si rassegnò a vestire i panni da badessa, riuscendo però nella trattativa a spuntare qualcosina di più: un pallio. Siccome non siete dei lettori qualunque, ma siete i lettori della rubrica dei Santi sul Post, non c’è bisogno di spiegarvi cosa sia il pallio e quanto sia straordinario che Brigitta ne vestisse uno. Solo i vescovi portano il pallio, e i vescovi, di solito, anzi sempre, sono maschi. Invece Brigitta lo portava, e lo portarono tutte le badesse che si succedettero a lei nella guida del monastero di Kildare (che forse all’inizio ospitava monaci di ambo i sessi, ancorché segregati; ma il boss era una donna). La cosa andò avanti per 500 anni, al punto che qualcuno cominciò a chiedersi il perché, e nacquero divertenti spiegazioni: si narra ad esempio che Brigitta fosse stata ordinata badessa da un vescovo molto anziano, che forse aveva sbagliato formula e invece di chiamarla “badessa” l’aveva chiamata “vescovo”: ma un ordine sacerdotale è una cosa seria, indissolubile, come il matrimonio; se per dire un prete molto anziano e presbite ti sposa per errore con un’acquasantiera, tu e l’acquasantiera restate marito e moglie per l’eternità – oppure vi appellate alla Sacra Rota, che in un caso del genere non avrebbe molte difficoltà ad annullare il sacramento – ma nel caso di Brigida nessuno si era appellato e così la badessa avrebbe ottenuto la dignità di vescovo, unica donna al mondo, per lei e per le sue success… le sue successoress… buffo, in italiano non c’è una parola per le donne che succedono ad altre donne in un ruolo di responsabilità. Curiosa lacuna.

Brigida è simpatica. Faceva miracoli molto semplici e di sicura presa: ottenne lo spazio per un convento stendendo il suo velo su un campo. Il proprietario le aveva detto che le avrebbe dato solo la terra coperta dal suo velo ma Brigida riuscì ovviamente a dilatarlo fino ad ottenere un bel lotto fabbricabile. Non ebbe particolari visioni estatiche, e di monasteri ne fondò assai meno dell’omonima principessa di Svezia – ma nell’isola ancora si parla di quella volta che nel Meath “spillò birra da un solo barile per diciotto chiese, in quantità tale che bastò dal Giovedì Santo alla fine del tempo pasquale” (Breviario di Aberdeen). Perciò gli irlandesi la ricordano con una preghiera che dice:

I would like a great lake of beer
for the King of Kings.
I would like to be watching Heaven’s family
drinking it through all eternity.

(Vorrei un lago di birra
per il Re dei Re.
Vorrei guardare la famiglia celeste
che ne beve per l’eternità)

Questa visione del paradiso come un pub dove la famiglia degli angeli e dei santi trinca per l’eternità, la dobbiamo a Santa Brigida di Kildare, che Dio l’abbia in gloria. E quando il giorno verrà, che si apriranno le saracinesche del cielo, fa che sia Santa Brigida ad attenderci al bancone celeste. E se la Madonna vorrà offrirci il vino di Cana, noi le diremo: “Tuo figlio ci ha messo l’acqua”, ma solo per scherzo, e Brigida spinerà una scura anche per lei, e i protestanti sciacqueranno i bicchieri in cucina, dove sarà pianto e stridore di piatti in eterno nei secoli dei secoli, amen.
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La monaca antipatica

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30 gennaio: Santa Giacinta Marescotti (1585-1640), monaca antipatica

Se il destino dell'uomo è il suo carattere, non si può dire che Giacinta Marescotti partisse avvantaggiata. Ognuno ha la sua croce: può essere una malattia o una condizione sociale. In molti casi la santità coincide con l'eroica sopportazione di questa condizione. Giacinta era nobile e bella, ma una croce comunque l'aveva: meno visibile di altre, più imbarazzante da condividere, ma comunque nota a tutti i biografi che non possono fare a meno di rilevarla: Giacinta era insopportabile. 

"Mostravasi tanto ritrosa e acerba che da pochi era amata e da molti fuggita" (Francesco Maria de Amatis), "cupa, intrattabile, grave alla famiglia" (un'altra biografia citata da Alfredo Cattabiani). Sarebbe stato proprio questo carattere difficile ad alienarle la simpatia del padre nel momento fatale in cui il marchese Paolo Capizucchi fece capire che era interessato a imparentarsi coi Marescotti. Paolo a Giacinta piaceva, ma il padre decise che Capizucchi si sarebbe fidanzato con la sorellina Ortensia, mentre Giacinta sarebbe tornata dalle suore del convento di San Bernardino, dov'era andata a scuola (ma ci era resistita un anno appena). I biografi fanno balenare il sospetto che la decisione del padre dipendesse dal cattivo carattere di lei; tuttavia il suo nome secolare (Clarice, "di Chiara") tradiva già il proposito dei genitori di sbolognarla alle clarisse – proprio come la Gertrude di Manzoni, che era stata chiamata così perché il nome suonava adatto al chiostro. 

Nel chiostro Clarice ci entra a vent'anni, non come suora clarissa, ma come terziaria francescana: non prende dunque il voto di clausura, può ricevere visite, ma deve pur sempre vivere nel convento, seppure in un bilocale al piano nobile finemente arredato. La famiglia le passa 40 scudi l'anno, che in un convento di Viterbo sono più che sufficienti a fare una bella vita: ma che bella vita si può fare in un convento a Viterbo? Respinta dalla famiglia, isolata dal mondo, Giacinta non può nemmeno contare sulla solidarietà delle consorelle, che in effetti non sono sue consorelle. A questo punto della storia il romanziere farebbe irrompere un Egidio o qualche altra complicazione peccaminosa, ma a Giacinta non succede nemmeno questo, è come se nemmeno Satana la sopportasse. A trent'anni si ammala – è un brutto momento, nel giro di pochi mesi le erano morti la madre, un fratello e la cara sorella Ortensia.

Giacinta si mette a letto; un frate predicatore che sale per confessarla, Antonio Bianchetti, vede i bei mobili e se ne va sdegnato esclamando "Il Paradiso non è fatto per le persone superbe e vanitose". È uno choc, o se preferite, la vocazione: Giacinta decide di cambiare stile. Rinnega i bei mobili e i vestiti, sceglie una cella spoglia in cui si incatena a un letto di di assi di legno, ma non può rinnegare il suo carattere: insopportabile era prima e insopportabile resta. I suoi eroici atti di penitenza innervosiscono le clarisse, che la penitenza la fanno per tutta la vita e non sopportano la sua ansia di recuperare il tempo perduto, con gesti teatrali più adatti a una leggenda di santi che a un convento vero: una volta che per chiedere perdono si inginocchia per baciare il sandalo di una sorella, si prende un calcio in faccia.

Col tempo la situazione migliora – non è affatto chiaro il perché: d'altronde siamo stati quasi tutti ragazzini insopportabili, e poi a un certo punto cosa ci è successo? Niente di speciale, la vita ci ha preso a schiaffi, ma nemmeno tanti. Forse Giacinta comprende che la santità si può conquistare anche con le opere di bene, e che di bene con quei 40 scudi al mese se ne può fare parecchio. Fondamentale sembra essere stato l'incontro con Francesco Pacini, ex soldato di ventura (anche lui un carattere difficile) che racconta di essersi convertito grazie alle assidue preghiere di Giacinta. Pacini e la Marescotti fondano due confraternite dedite all'assistenza di poveri e malati, i Sacconi e gli Oblati di Maria. L'immagine di Giacinta migliora al punto che quando muore (a 53 anni) i concittadini vogliono a tutti i costi ritagliarne un lembo delle sue vesti per averne una reliquia, e le clarisse devono rivestirla tre volte. Insomma anche per gli antipatici c'è speranza – certo bisogna lavorarci molto, più coi fatti che con le parole.

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Il santo parricida e matricida

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29 gennaio: San Giuliano l'Ospedaliere, parricida e matricida

Vi è mai capitato, tornando a casa tardi ragazzini, di pensare: quelli adesso mi ammazzano, mi aspettano dietro la porta e me ne danno finché – per cui girate la chiave nel modo più lento possibile, come ladri nella casa dei vostri genitori, ma dietro la porta non c'è nessuno, nessuno nemmeno in cucina, nessuno in salotto a sonnecchiare davanti alla tv, nessuno da nessuna parte e questo non era mai successo, al punto che vi spaventate e aprite pure la porta di camera loro, dov'è giusto che fossero, ma non era giusto per voi trovarli lì. Questa cosa, se ci riflettete, non ha senso: che i vostri genitori dividano un letto e un'intesa sessuale non solo è giusto, ma è il motivo stesso per cui voi siete al mondo a domandarvi: perché? Perché ciò che mi ha dato la vita mi mette tanto a disagio? 

Masolino da Panicale

Al giovane Giuliano, nobile cacciatore, un cervo ormai braccato avrebbe detto: Come osi inseguirmi, tu che ucciderai il padre e la madre? Sconvolto, Giuliano avrebbe abbandonato i genitori e la terra d'origine, non si sa nemmeno quale (in alcune versioni Ath, oggi in Belgio), peregrinando per monti e per valli fino a far carriera alla corte di un principe che ne apprezzava le corti cavalleresche, sposare una vedova e intitolarsi il di lei castello. Un mattino molto presto, tornando stanco da un viaggio di lavoro, Giuliano entra nella sua camera e nella penombra trova nel letto una persona in più. Già sicuro di avere scoperto un tradimento della moglie, non perde tempo ad accendere una candela e ammazza a fil di spada i due dormienti. Il lettore a questo punto ha già capito, ma Giuliano no: immaginate il suo sbigottimento quando uscendo dal castello vede giungergli incontro la moglie tutta contenta: hai visto chi ti è venuto a trovare? I tuoi genitori che ti hanno cercato in lungo e in largo perché li avevi abbandonati senza spiegare il motivo! Siccome erano molto stanchi li ho accomodati nella nostra camera e me ne sono venuta alla prima messa del mattino... ma perché sei così pallido? Giuliano, devastato dal compiersi del suo destino, decide su due piedi di abbandonare ogni suo avere e mendicare per il mondo. La moglie, che almeno secondo Iacopo di Varazze conosceva la profezia e (chioso io) forse un po' si sentiva colpevole di non aver allestito la camera degli ospiti, decide di accompagnarlo. Nelle loro peregrinazioni arrivano a un grande fiume che secondo gli abitanti di Macerata è il Potenza, ma più facilmente l'autore aveva in mente i grandi fiumi tra Reno e Senna, dove fondano un ospedale per i pellegrini che arrivavano lì dopo un guado evidentemente molto difficile. Molti anni dopo, quando un pellegrino assiderato bussa alla porta, Giuliano non esita a ospitarlo nel suo letto malgrado mostri i sintomi della lebbra. Si tratta in realtà di un angelo ben camuffato che annuncia a Giuliano e consorte il perdono di dio: la coppia morirà pochi giorni dopo. Si direbbe che per tornare nella grazia di Dio, Giuliano, che non aveva tollerato i genitori nel proprio letto, abbia dovuto accogliere nello stesso letto la malattia più orribile alla vista, il disfacimento della pelle e della carne. Non aveva accettato chi gli aveva dato la vita, doveva accettare chi gli dava la morte. È una storia ben strana e non sappiamo chi l'ha inventata.

La paginetta su questo Santo che Iacopo di Varazze infila nella sua Legenda aurea, in mezzo alle biografie di altri vescovi e martiri recanti lo stesso nome, diventa così popolare da 'mangiarsi' gli altri Giuliani – compreso ad esempio il patrono di Macerata, che nei primi secoli era un omonimo martire istriano. È una leggenda spuntata all'improvviso nel tardo medioevo (non se ne trovano tracce prima del XIII secolo), che sicuramente ricorda il mito di Edipo, ma sposta l'attenzione dal tabù dell'incesto al senso di disagio che possiamo provare nel sorprendere i nostri genitori a letto assieme. Flaubert troverà la leggenda su una vetrata della Cattedrale di Rouen e ci scriverà quel capolavoro di novella. Giuliano è un santo troppo leggendario per risultare nel Martirologio romano: la più comprensiva Bibliotheca Sanctorum lo ricorda il 29 gennaio, riprendendo la tradizione attestata da Iacopo di Varazze; a Macerata festeggiano il 31 agosto, prima di tornare al lavoro.

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