Sanremo e il Grande Sonno

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Probabilmente non è Sanremo, sono io. Sanremo c'è sempre: a volte un po' meglio, più spesso peggio. Quest'anno non lo sopporto – e allora non guardarlo! Infatti non lo sto guardando – e allora come fai a dire che non lo sopporti? Il punto è proprio questo: quest'anno Sanremo mi aveva stancato una settimana prima che cominciasse. Succedeva nell'era di Pippo Baudo, quando comunque l'eventualità di restare a casa a guardarsi vecchi cantanti stonare brutte canzoni era fuori discussione. Negli ultimi anni, viceversa, avevo cominciato a registrare una specie di simpatia per la Kermesse, uno dei rari momenti in cui comunque ci trovavamo tutti davanti al televisore, compresi i giovani che non sanno da che parte si accende ma recuperavano i clippini su Youtube o altrove. Sanremo come l'unico ponte rimasto tra le generazioni – uno stringersi a coorte intorno a un ponte che in passato avevo sempre trovato architettonicamente discutibile e lo sarebbe tuttora, ma non c'è più scelta e non si tratta nemmeno di scegliere: si tratta di stare assieme, le canzoni servono anche a questo. Tutto giusto, e forse il motivo per cui Sanremo sta andando abbastanza bene è che la Rai lo ha capito. 

Ma non lo sopporto più lo stesso.

Questo Sanremo che passa il tempo a celebrare sé stesso in quanto Sanremo, prodotto e presentato da gente che passa il tempo a spiegare quant'è brava a produrre e presentare questo Sanremo che poi appena provi a guardarne un frammento, beh, com'è? Come vuoi che sia, è bruttino. La solita valanga di roba improvvisata lì per cinque ore perché, ce lo eravamo già spiegato qualche anno fa, siccome Sanremo è l'unica cosa che vedono tutti, l'idea è di concentrarci tutto quello che dovremmo sentire la necessità di guardare: Morandi, ma anche Albano e Ranieri! E la Ferragni, ma allora anche la Egonu! e la Costituzione? Ma allora anche la giornata del Ricordo, e Zelensky? Ma allora anche le donne iraniane, e il comico irriverente anche se è già l'una, e poi ah già quella trentina di canzoni in concorso. Questa idea che dobbiamo guardarci tutto per cinque ore al giorno per cinque giorni alla settimana e gratis, e soprattutto che questa mostruosità sia per la Rai assolutamente normale – ci scherzano persino sopra, cioè questa cosa che la gente abbia mediamente la sveglia alle sette del mattino li diverte! – del resto parliamo di gente che non trova più nulla di strano nell'arrivare all'una di notte con uno spettacolo per pensionati come Ballando con le stelle. Date un'occhiata alle conferenze stampa, che se togliete il tempo che passano i dirigenti a spiegare quanto sono bravi e quanto stanno battendo record su record (e a criticare chi osa non crederci) si riducono a una manciata di minuti. Stamattina il direttore di rete, mi pare, l'ha proprio spiegato: cioè questi numeri ce li dà la sezione marketing, capite, sono professionisti, come fate  a non fidarvi della sezione marketing? La sensazione è che Amadeus & co. si siano impegnati in questi anni non tanto a fare uno spettacolo piacevole (forse era impossibile) quanto a costruire un castello di dati che dimostri, dati alla mano, che Sanremo piace così com'è, del resto lo share all'una e mezzo è inoppugnabile. Almeno quando floppava ci si domandava cos'era andato storto: adesso è impossibile, adesso va tutto sempre bene, anzi ogni edizione va meglio dell'altra, è una cosa incredibile, infatti per esempio io non ci credo.



Credo che sia il risultato ormai paradossale della deriva della tv generalista, quello che succede se nell'algoritmo ti dimentichi di inserire la considerazione che gli spettatori li preferiresti svegli. Se l'algoritmo non lo sa, infallibilmente preferirà contenuti che li facciano addormentare all'istante, così non cambiano canale. Certo, dall'altra parte dovrebbero esserci esseri umani in grado di notare il problema, non tanto i dirigenti quanto gli inserzionisti. Ma finché saranno contenti di farsi pigliare per fondelli da un'azienda che allunga il brodo fino alle due del mattino, non credo che ci sarà nessuna speranza di avere uno show interessante e non quella valanga informe che è. Certo, a questo punto forse pagherei qualcosa se quando i dirigenti si vantano dello share ottenuto all'una d'un mercoledì, o addirittura quello di Fiorello alle due e mezza, qualcuno prendesse la parola e gli dicesse Ma share di cosa, che a quell'ora non fanno neanche più i film zozzi su Sky; share di cosa, dici che il 60% ha visto Fiorello? Cioè quattro su dieci erano svegli alle due e non guardavano Fiorello? Cioè quanto deve stargli sulle palle Fiorello a tutta 'sta gente, e a proposito cosa guardano? Il monoscopio su retecapri?



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C'è stato negli ultimi anni, tra la gestione Baglioni e quella Amadeus, un momento in cui davvero Sanremo è tornato rilevante da un punto di vista culturale? O ce lo siamo sognati, e se sì, cosa ci ha fatto sognare?
Senza dubbio le canzonette hanno retto meglio di altre cose l'urto generazionale – insomma tra un cinquantenne e un teenager di oggi cosa altro può esserci in comune? Se hanno un device comune non è la tv; al massimo uno smartphone e usano app diverse. Su queste app le canzoni passano, altri contenuti no. Queste canzoni sono per lo più in lingua italiana, al punto che persino i giovani che preferirebbero ascoltare cose incomprensibili, ascoltano canzoni di cantanti italiani specializzati in cose incomprensibili. L'inglese non solo ha perso completamente quel fascino di lingua preclusa alle vecchie generazioni, ma non è più un'etichetta di qualità: di artisti in lingua inglese in classifica ce n'è sempre meno, e d'altro canto perché dovrebbero andarci? Parlo per me: gennaio è tradizionalmente il mese in cui recupero le uscite dell'anno precedente: in giro escono un po' di classifiche e di bilanci e quindi per un attimo ho la sensazione di orientarmi. In linea di massima continuo ad ascoltare cose anglosassoni, e malgrado la mia idiosincrasia per il rap, quest'anno sono perlopiù cose parlate. Musicalmente, non riesco a notare differenze tra quello che si ascoltava dieci anni fa – ma neanche quindici. La differenza la fanno i testi. Il risultato è che una barriera linguistica che nel 2000 praticamente non avvertivamo più – l'inglese delle canzoni ormai era per noi una seconda lingua – nel 2020 è tornato a essere una muraglia come ai tempi dei nostri nonni, e la Musica Italiana si è ritrovata, senza nemmeno averlo cercato più di tanto, padrona a casa sua. È normale che di questo fenomeno Sanremo cerchi di attribuirsi il merito: ma tutto quello che ha fatto per recuperare la sua centralità è stato resistere anche negli anni in cui i discografici ci mandavano gli scarti di magazzino. Per il resto anche i musicisti oggi stentano a trovare un modello di business: i dischi non vendono più, lo streaming è diventato cruciale per la compilazione delle classifiche, ma non crea tutti questi utili e non li divide equamente. Insomma siamo ancora in crisi, ma a questo punto lo siamo sempre stati e poi tutto sommato i momenti di crisi sono quelli in cui di solito ci si inventa qualcosa di nuovo. Ecco, se devo essere sincero quel qualcosa di nuovo non lo sto vedendo, non lo sto ascoltando – ma forse non ho neanche voglia di drizzare le antenne, e poi magari si tratterà di qualcosa per me incomprensibile o inascoltabile. E mi starebbe pure bene, se oltre a essere inascoltabile fosse finalmente qualcosa di diverso.   
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