La barella accanto
22-01-2023, 22:28santiPermalink23 gennaio – Beata Benedetta Bianchi Porro (Forlì 1936 – Sirmione 1964), sofferente
Questa vorrebbe essere una pagina divertente, ma ridere dei santi non è quasi mai giusto. Al limite si può sorridere su quelli antichi, ormai ridotti a leggende – anche se sotto tutte le leggende c'è quasi sempre qualcuno che ha sofferto davvero. Quanto ai più recenti, ridere sembra proprio la cosa più sbagliata da fare, ed ecco la mia confessione: leggendo una biografia di Benedetta Bianchi Porro mi è successo, mi sono messo a ridere.
È stato solo un istante, ma non ne vado fiero. Probabilmente si trattava di una risata nervosa, perché la storia della vita di Benedetta Bianchi Porro è straziante – lo stesso Dickens avrebbe avuto qualche esitazione a concentrare tante sfighe su un solo personaggio letterario. Infatti BBP non è un personaggio: è esistita davvero, e ha sofferto davvero, più di quanto ritengo che una persona possa soffrire. Ancora neonata contrae la poliomielite, che le deforma la schiena e le lascia una gamba più corta dell'altra. Però ne guarisce, il che forse le infonde quella fiducia nella scienza che la spinge dopo il liceo a iscriversi a medicina – anche se a partire dai 13 anni ha cominciato a perdere l'udito. A 20 anni invece un'ulcera della cornea le indebolisce sensibilmente la vista. È il dopoguerra, una disabile che vuole laurearsi e diventare medica non può contare sulla sensibilità degli insegnanti, alcuni dei quali a quanto pare la trattano in modo sprezzante. Benedetta insiste, e studiando arriva ad autodiagnosticarsi il morbo di Recklinghausen. È una neurofibromatosi, una malattia rara con possibili complicanze oculistiche, ortopediche, neurologiche: tutto combacia col quadro sintomatologico di Benedetta (e gli specialisti lo confermeranno). È curabile? Benedetta ci prova – i giornalisti di oggi direbbero che "combatte" – ma a ogni operazione chirurgica la situazione sembra peggiorare e nel 1959 Benedetta, dopo un intervento al midollo, rimane paralizzata.
A questo punto Benedetta è a letto, quasi completamente sorda, quasi completamente cieca, quasi completamente immobile. Le biografie ci dicono che pensa sempre più a Gesù e la cosa non sorprende. Ce n'è una in particolare che ci informa di un primo viaggio a Lourdes, ed è da questa che riporto la seguente frase:
"Nel 1962 la portano a Lourdes, alla ricerca di un miracolo. Che avviene, ma per la malata coricata sulla barella accanto".
Ecco, ripeto, non ne vado fiero, ma a questo punto mi sono messo a ridere.
È stata una risata breve e nervosa, perché alla fine cosa c'è da ridere in una ragazza di 26 anni, deformata da una malattia contratta alla nascita, che nella sua breve vita ha fatto in tempo ad acquisire abbastanza conoscenza da capire di dover morire di lì a poco, ma non rapidamente: diventando giorno dopo giorno sempre più sorda, sempre più cieca, sempre più rigida: cosa c'è da ridere se un giorno si ritrova su una barella a Lourdes, a pregare senza poter muovere nemmeno le labbra, e se il miracolo le passa di fianco? Benedetta ha creduto nella medicina, e la medicina le ha solo spiegato di cosa soffriva e quanto ancora avrebbe sofferto; ha creduto in Dio, ma Dio guarisce un po' a casaccio, a quanto pare. Ho riso di tutto questo perché sono un essere umano e come tale cerco di trovare il senso al dolore, e più cerco e meno lo trovo, così a volte ne rido. Due anni dopo Benedetta ha smesso di soffrire, circondata dall'affetto di persone che nella sua sofferenza trovavano una specie di speranza. Nel 1986, una madre che ha letto da qualche parte la stessa storia che ho letto io, le dedica una novena di preghiera perché ha un figlio in coma: il ragazzo si sveglia, tanta sofferenza per un attimo sembra avere un senso. Benedetta Bianchi Porro è stata beatificata nel 2019.
Dante è un reazionario (e non l'abbiamo mai preso sul serio)
16-01-2023, 08:20Dante, italianisticaPermalinkÈ così strano che qualcuno definisca Dante come un pensatore di destra, conservatore se non proprio reazionario? Spero proprio di no, insomma Dante reazionario lo scrisse Edoardo Sanguineti, poeta sperimentale, dantista di prim'ordine e veterocomunista orgoglioso. Ma insomma basta dare un'occhiata a quello che scrive – e non sempre solo a come lo scrive. Il Dante della Commedia e della Monarchia è un uomo che nel mezzo del cammino della sua vita ha maturato una profonda diffidenza per la civiltà comunale in cui è cresciuto, e che cerca una soluzione in un ritorno all'ordine cosmico e politico. L'idea che ci fosse un qualche ordine cosmico-politico a cui tornare era di destra anche nel dibattito del 1300, Dante non è soltanto reazionario rispetto a noi (capirai): Dante è reazionario anche rispetto a gran parte dei suoi contemporanei, che vivono in un mondo molto più dinamico di quello a cui Dante guarda con nostalgia.
È così strano che se un sacco di gente se la prenda, se definisci Dante di destra? Purtroppo no: c'è questa concezione che siccome la poesia di Dante è un patrimonio culturale inestimabile, dovrebbe far parte di un canone condiviso e imparziale: i grandi scrittori non sarebbero di sinistra o di destra, sarebbero oltre. Balzac monarchico? Non va detto, lo vogliamo leggere anche noi democratici. Tolstoj pacifista? Ehm, bisogna contestualizzare. Ma contestualizzare cosa. Questa concezione, abbastanza sciocca quale che sia lo scrittore a cui è riferita, lo è particolarmente nel caso di uno scrittore come Dante, il cui capolavoro è la versione più elaborata mai concepita di una lista dei buoni (in Paradiso) e dei cattivi (all'Inferno). No, Dante non trovava tutti simpatici e non è previsto che sia simpatico a tutti.
È così strano che a sinistra qualcuno insorga e cerchi motivi per appropriarsi di Dante? No, anche perché le nuove generazioni hanno un'intransigenza che a volte un poco spaventa, e si domandano seriamente se si possa guardare un quadro di Caravaggio per via che ha ucciso una persona. Con Dante la questione è più spinosa: anche ammesso che non abbia ucciso nessuno (in battaglia ci è andato) quello che ci allontana da lui non è qualche dettaglio della vita extra-artistica, ma è proprio l'ideologia portante del suo capolavoro. Insomma bisogna fare qualcosa prima che il monumento davanti a Santa Croce finisca imbrattato e gli studenti chiedano la rimozione della Commedia dai programmi finché non sarà ammesso in Paradiso Brunetto Latini o qualsiasi altro rappresentante della comunità LGBT+. La cultura in fondo è battaglia culturale, lotta per l'egemonia.
Ma bisogna essere bravi. Da qualche parte ieri ho letto che Dante è di sinistra perché... perché è un migrante: è un anacronismo che non mi convince, certo, lo so, da che pulpito parlo. Per quel che mi riguarda, il modo migliore di trovare interessante Dante 'da sinistra' mi è sempre sembrato quello di concentrarmi sui significanti – non su cosa dice, ma su come lo dice. Più che perder tempo a cercare un Dante femminista perché fa parlare le donne (sì, ma perlopiù angelicate), io continuo a preferire il Dante auerbachiano, il Dante della realtà rappresentata: quello sì che è rivoluzionario, inconsapevolmente progressista e all'avanguardia tuttora. Non importa quanto desiderasse tornare all'Impero feudale: Alighieri quando mostra Ugolino che si morde le mani sta fondando il realismo moderno. Questo è il modo in cui mi approprio di Dante io. Anche se.
Anche se forse me la sto raccontando. Ce la stiamo tutti raccontando da secoli, un colossale equivoco che se Dante potesse guardarci dalla cornice dei Superbi, ne resterebbe sbalordito: dopo essersi fatto il giro dell'universo che si è fatto, e dopo essersi industriato a renderlo interessante, intellegibile, verisimile... noi come abbiamo reagito? Abbiamo preso sul serio i suoi serissimi ammonimenti? No, l'abbiamo preso per un poeta. Il che sarà pur vero, insomma è scritto in endecasillabi e con un'ispirazione poetica innegabile – ma quella era la semplice veste con cui un letterato manda in giro le sue idee.
Questo per me rimane il punto irrisolto, anche se considerata la quantità di studi dantistici che ci sono al mondo suppongo che da qualche parte qualcuno ci abbia già scritto più di un saggio, anzi biblioteche intere di saggi sull'argomento: perché non abbiamo mai davvero preso sul serio Dante? Perché sin dall'inizio non abbiamo creduto davvero che fosse stato all'inferno, e poi nel purgatorio, e poi in cielo? E abbiamo creduto a libri assai meno ispirati. Quanto a realismo, la Commedia batte tranquillamente qualsiasi libro della Bibbia, eppure la Bibbia per molti è ancora verità, qualcosa in cui credere. Alla Commedia non credevano nemmeno i primi lettori di Dante. Non è veramente strana questa cosa? Un visionario che descrive minuziosamente l'oltremondo con un realismo e un'attenzione alla continuity che poi non abbiamo più visto per secoli, mettendo all'inferno tutti quelli che non gli garbano (compresi diversi papi), come ha fatto a passare per poeta e non per profeta (e quindi per eretico)?
Dante si è salvato perché più che profezia sembrava letteratura: ma che differenza c'è? E soprattutto, non è che abbiamo inventato la categoria di letteratura proprio a partire da Dante, forse proprio per salvarlo concentrandoci sui significanti, perché se avessimo dovuto prendere sul serio i significati... c'era da bruciarlo subito?
Invadiamo la Finlandia?
11-01-2023, 19:02scuolaPermalinkL'ennesimo articolo su quanto sia figace la scuola finlandese in cui invece di scaldare la stessa sedia il bambino finlandese ne scalda tre diverse al giorno e in mezzo è libero di esprimersi, correre, arrampicarsi sugli spigoli degli schedari, suicidarsi, l'ennesimo articolo, dicevo, è stata la goccia che ha travasato la mia pazienza e ora mi dichiaro vinto: è chiaro che la scuola finlandese è talmente superiore che non ha neanche senso pensare di ricopiarla. E allora?
Una modesta proposta: invadiamo la Finlandia, subito. Ovviamente in modo pacifico: tutti in gita scolastica immediatamente (tanto è spazio Schengen, ci metteranno un po' ad accorgersene). Entriamo con un primo contingente diciamo di cinque milioni di studenti italiani (nel senso che provengono dall'Italia, ma ovviamente anche arabofoni, pakistanofoni, sinofoni, xilofoni): ci iscriviamo tutti alle loro scuole immerse nel verde e pretendiamo di essere subito trattati come studenti finlandesi, nel puro spirito di Maastricht. Nel giro di un paio di settimane avremmo raddoppiato la popolazione di quel fortunato Paese, e forse saremo diventati tutti studenti e professori migliori. Oppure la Meravigliosa Scuola Finlandese sarà tornata quell'edificio banale in cui se parli senza alzare la mano può alzarsi un frustino. Oppure... potremmo trovare una media ragionevole tra i due sistemi, perché no?
(Qualche anno fa un giornale intervistò il sindaco di Helsinki, credo che fosse a Roma in vacanza. Gli chiesero un consiglio su come rendere Roma una città più vivibile, almeno per quanto riguarda il traffico. Lui magari dovette improvvisare, insomma scrissero che aveva proposto di allargare i marciapiedi. Helsinki fa seicentomila abitanti. Roma un po' di più. Questo non significa che non possa avere senso, in generale, allargare qualche marciapiede. Ma è ridicolo farselo dire dal sindaco di Helsinki).
La scuola italiana ha tanti problemi, e non c'è niente di male a volerne parlare. In questa grande discussione, il genitore finlandese deluso dalla proposta educativa siracusana non dovrebbe avere più voce in capitolo di te, di me, di chiunque altro. Se la sua storia fa notizia, se diventa la discussione del giorno, è per il modo in cui riesce a intercettare pubblici diversi. Alla stampa neoliberale – ma a loro non piace essere chiamati così, e allora in attesa di trovare una definizione che a loro piaccia possiamo chiamarli servi dei padroni, che ne dite? Non fosse che come padroni lasciano un po' a desiderare, diciamo padroncini, ecco: ai giornalisti che servono i padroncini, qualsiasi notizia che screditi la scuola pubblica italiana è una buona notizia. Se poi si riesce a evocare le scuole in mezzo alla taiga, tanto meglio: non perché si intenda finanziare la scuola pubblica italiana allo stesso modo in cui i contribuenti finlandesi finanziano la loro, capiamoci bene: quel che importa è far passare l'idea che esista uno standard europeo a cui la scuola pubblica italiana non potrà mai uniformarsi: e ben venga qualsiasi rilevazione internazionale o nazionale che sembri dire una cosa del genere (anche quando l'Invalsi non lo dice davvero, non importa: i padroncini vogliono leggerlo, i maggiordomi l'hanno già pronto nel cassetto). Più si insiste sul concetto che la scuola pubblica è roba da poveri, più si crea mercato per qualche scuola in qualche bosco privato: un business promettente che per qualche disgraziato motivo in Italia non è ancora decollato. Ma la direzione è quella, e tutti i modelli alternativi che vengono proposti (scuole steineriane, montessoriane, magari tra un po' anche scuole finlandesi) alla fine puntano in quella direzione: l'importante è che siano private. E se i genitori non le vogliono pagare tanto? Beh, chiederemo allo Stato i buoni scuola. Questo è il motivo per cui il genitore finlandese che si lamenta piace a Stampa, Repubblica, eccetera. Certo, se fossero soltanto loro a parlarne, non ce ne saremmo nemmeno più accorti.
Il lamento del genitore finlandese invece piace anche a una specie di sinistra – ho un po' di pudore a usare la parola – insomma un'area sedicente progressista che nell'ideale iperboreo di una scuola in mezzo al bosco vede un Altro Mondo Possibile. In fondo che male c'è a pensare a una scuola dove invece di ruotare gli insegnanti, ruotino gli studenti da una classe all'altra? Nessun male, è un'idea interessante, ma significa aumentare sensibilmente il numero di insegnanti per studente, insomma servono soldi e in certe scuole, non chiedetemi come lo so, non ce n'è più per pagare la carta. Non dico i supplenti brevi (abbiamo avuto molte assenze per malattia quest'anno, chissà perché): la carta. Chi continua a fantasticare di modelli finlandesi e scandinavi come di qualcosa di replicabile in Italia sobbolle in quel brodo culturale che rifiuta ogni attrito con gli aspetti quantitativi della realtà, per cui poi quando c'è un'epidemia ci si domanda cosa aspetta lo Stato o il Comune a raddoppiare gli autobus – ma perché non triplicarli, o fornire un taxi a ogni cittadino? Quando poi si va al governo, questo approccio si smorza completamente di fronte alla rude evidenza della ragioneria di Stato (quella davanti alla quale aa Meloni ha calato le penne e rialzato le accise): oppure, se sopravvive, produce mostruosità come i banchi a rotelle. Esatto: il massimo di Finlandia che poteva darvi un governo italiano è stato un acquisto massiccio di banchi a rotelle, che un loro senso innovativo ce l'avrebbero (peccato che calarono nelle scuole italiane proprio nel momento in cui ogni innovazione era resa impossibile dalla pandemia). Certo, bisognava anche cambiare la mentalità degli insegnanti: come? Corsi d'aggiornamento intensivi? Prepensionarli tutti e assumerne di giovani, magari direttamente dalla Fennoscandia? Chiedo, non so. Nel frattempo il governo der merito ci ha informato che siccome ci sarà un calo demografico, ci taglieranno un po' di risorse. Siamo sempre la stessa scuola pubblica che non si è mai rimessa dai tagli drastici della gestione Tremonti-Moratti, ormai vent'anni fa. Sinceramente non riesco a capire cosa si possa tagliare ancora senza che interi settori smettano di funzionare. Probabilmente, mentre lo dico, qualche settore sta smettendo di funzionare: una segreteria qua e là impazzisce, una scuola dell'infanzia perde l'unica professionalità rimasta, una classe non riesce più a permettersi l'intervento di un esperto o di uno psicologo, e così via. Stiamo morendo dissanguati e dobbiamo pure ascoltare le favole sulle scuole modello finlandesi.
Le scuole finlandesi non sono necessariamente un modello. Diversi anni fa si trovarono in cima a una graduatoria statistica, ma nel frattempo avevano deciso di sperimentare modelli diversi e da allora la loro posizione nelle stesse graduatorie è sempre scesa. Questo non significa che non si possa imparare qualcosa anche da loro, del resto appena possibile ci proviamo. Ma si tratta di un piccolo popolo (meno di cinque milioni di abitanti), in un grande territorio fuori dalle grandi rotte migratorie. Paragonare la loro scuola alla nostra implica paragonare la loro società alla nostra: paragonare la loro società alla nostra non ha molto senso, è un'operazione che denuncia da sola la propria artificiosità, come quando Pietro Ichino voleva portare in Italia la flexsecurity danese, e nessuno riusciva a chiedergli: ma perché di tanti posti proprio la Danimarca? È davvero un modello di successo? Nessuno lo sa davvero; ma il bello dell'Europa è che ci sono tanti Paesi, piccoli, grandi, è una specie di campionario di dati statistici dove puoi selezionare quelli che ti piacciono di più e ignorare tutti gli altri. Ad esempio, se vuoi convincere i lavoratori italiani che essere più licenziabili è un vantaggio, tu scarichi il foglio elettronico più grosso che c'è e incroci i dati finché non trovi l'economia più sviluppata con la licenziabilità più alta: vicino all'incrocio sta la Danimarca, ed ecco che la Danimarca diventa improvvisamente un modello di welfare state, perlomeno nei tre mesi che servono ad abolire l'articolo 18: poi improvvisamente a nessuno frega più nulla della Danimarca, dei suoi ammortizzatori sociali e della sua rigidità fiscale; credo nemmeno a Ichino. Il sistema educativo finlandese è rimasto coinvolto in un equivoco del genere. Chi c'è stato ne parla come di una cosa interessante, con luci e ombre.
Non si tratta comunque di qualcosa che si possa replicare nel settore pubblico italiano. Neanche se lo finanziassimo a dovere – e al contrario, lo stiamo dismettendo – neanche se la piantassimo di buttar via soldi per salvare squadre di calcio che continuano a perderne, piattaforme digitali per la promozione di contenuti artistici che basterebbe mettere su Raiplay o Youtube, presidi di militari che fingono di fare la guardia alle piazze imbracciando armi che non potrebbero usare – anche se usassimo quelle risorse per costruire scuole nuove e metterci dentro insegnanti migliori, non otterremmo la scuola finlandese. Neanche quella francese. Questo perché banalmente siamo una nazione meno ricca della Francia. I neolib – scusate, i maggiordomi dei padroni lo sanno benissimo: se insistono sulla Finlandia è solo per reclamizzare un modello privato che stenta a prendere piede. Tutti gli altri, per favore, dovrebbero smettere di credere alle favole e cominciare a dare un'occhiata ai numeri.
Alla fine è la solita storia del Ponte sullo Stretto – questa cosa banale per cui lo stretto di Messina è lungo tre km, e una tecnologia per fare una campata lunga 3 km ancora non esiste. Se lo dici, non sei un nemico dei siciliani o del progresso: sei semplicemente uno che conosce questa informazione. Non è che il ponte non lo costruiscono a causa del tuo scetticismo, il ponte non hanno la minima intenzione di farlo. Ne parlano un po', aspettano le reazioni degli scettici e poi si nascondono dicendo ecco, lo vedete? In Italia è impossibile cambiare le cose, per via di questa mentalità. No bimbi, in Italia è possibilissimo cambiare le cose. Serve però il contributo di tutti – a partire dai padroncini. Bisogna scegliere di investire risorse serie nel settore educativo, ovvero il contrario di quello che avete scelto di fare, perché avete scelto di farlo, negli ultimi trent'anni. Non servono discorsi – cioè alla fine possono servire anche i discorsi, e anche i modelli, e anche un po' di banale senso di inferiorità nei confronti dei popoli nordici. Tutto può servire, però la cosa che serve di più sono i soldi. Se davvero accettate di metterci i soldi, la scuola può cambiare, la società può cambiare. Persino lo Stretto, che pure per molti millenni continuerà a essere lungo 3 km, prima o poi potrà essere scavalcato da un ponte: se finanzi la ricerca. (Per favore non cominciate a dire che tra Copenaghen e la Svezia un ponte c'è già. Il Baltico è un mare molto meno profondo, queste cose si imparano a scuola).
Il papa che non volle essere grande
07-01-2023, 13:34Chiesa, coccodrilli, omofobie, ponteficiPermalinkArrivando a tomba già chiusa, non credo di avere molto di originale da dire su Joseph Ratzinger. In questi giorni mi tengo in allenamento scrivendo piccole agiografie, ed è anche un modo per ricordarsi com'è vacua la gloria degli uomini: trovi un papa del secondo secolo, leggi che è famoso per aver contrastato quell'eresia o quell'eresiarca, poi controlli bene e scopri che l'eresia è del secolo successivo e l'eresiarca non è mai passato da Roma, insomma è difficile trovare qualcosa di interessante da dire per tutti i papi.
Forse tra qualche secolo chi parla di Benedetto XVI si troverà nella stessa difficoltà? Non credo, e però già in questi giorni ho visto molti agiografi improvvisati isolare due episodi particolarmente equivoci: il solito discorso di Ratisbona e la solita cacciata dalla Sapienza. Per questa gente insomma è il Papa che fu criticato per aver parlato male di Maometto (ma non è vero) e perché voleva fare un discorso all'università: e non è vero neanche questo. Sono già leggende, e proprio per questo funzionano; un comunicatore professionista le poteva già liquidare al tempo come mosse false, ma in seguito avrebbe dovuto ammettere che avevano funzionato meglio di tante mosse escogitate a tavolino. Non c'è un tratto che renda riconoscibile la nuova destra conservatrice meglio del vittimismo, e in entrambi i casi, senza volerlo e magari senza capirlo, Benedetto XVI riuscì ad accreditarsi come vittima di una modernità tritatrice di valori tradizionali.
Poco importa che lo stesso tradizionalismo di Ratzinger sia tutto sommato una cosa nuova (se non proprio posticcia): non solo Ratzinger nel suo periodo cosiddetto progressista fu uno dei teologi animatori del Concilio Vaticano II, ma anche la sua successiva virata a destra era possibile soltanto nello spazio aperto dalla Chiesa postconciliare – tutti questi nuovi tradizionalisti antigender non hanno letteralmente idea di quanto siano comunque moderni rispetto alle posizioni della Chiesa preconciliare, e di quanto poco ci avrebbe messo un Pio XII a scomunicarli tutti al minimo segno di dissidenza. Chi sta sulla frontiera disperato per l'arrivo dei barbari di solito ignora di essere barbaro di padre, di madre, a volte pure di nonna.
L'idea che Benedetto XVI volesse imprimere una sterzata conservatrice alla Chiesa la può concepire solo l'ingenuo che non ha letto abbastanza wikipedia da sapere che Ratzinger era stato il braccio destro di Giovanni Paolo II per gran parte del papato di quest'ultimo (era il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che neanche troppo tempo prima si chiamava ancora Santa Inquisizione); la sua elezione fu immediatamente interpretata dai vaticanisti competenti nel segno della continuità – prova ne è che Benedetto mantenne l'anticomunismo radicale del predecessore anche se nel frattempo il comunismo aveva smesso di costituire una minaccia: del resto non è che puoi cambiare idea a ottant'anni, non è per questo che ti nominano papa.
La svolta a destra fu soprattutto percepibile nei simboli: il ritorno dell'ermellino rosso, le famose scarpette di Prada (che non erano di Prada, neanche esse), perfino la scelta di un nome così tradizionale che nel 2005 era uno choc – per la maggior parte dei cristiani viventi era uno choc che potesse sussistere un papa diverso da Giovanni Paolo. La stessa apertura ai lefebvriani, che a mio irrilevante parere non la meritavano, ma che in effetti impediva loro di giocare lo stesso gioco vittimista che i vedovi di Ratzinger stanno giocando in questi giorni. La messa in latino, molto auspicata da gente che il latino non lo capisce ma tanto a messa non ci va (in linea di massima il vedovo ratzingeriano è uno che in una parrocchia media italiana non ci passa neanche a Pasqua e Natale). Tutte sciocchezze, viste da lontano: addobbi barocchi per chi non riesce a vedere la trama, ora qualche malizioso potrebbe far notare che stucchi e addobbi sono esattamente la specialità del Vaticano. Ma il Novecento ci aveva abituato a pontificati più interessanti e lo stesso Ratzinger, alla fine, non passerà alla storia per aver subito questa narrazione di pontefice conservatore perseguitato dalla modernità: il suo contributo più interessante è proprio quello più innovativo.
La cosa più importante che ha fatto Benedetto XVI è avere rinunciato a essere Benedetto XVI: è anche la maggior rottura rispetto al papa precedente, alla visione escatonica di Giovanni Paolo II, il papa che non voleva rinunciare al suo ruolo prima di morire e che fino a un certo punto non credeva di dover morire. Non tutti i papi possono essere grandi papi, ma immagino che ci voglia una certa umiltà e autoconsapevolezza per accettare che non è capitato a te: questa umiltà e autoconsapevolezza, Joseph Ratzinger è riuscito a conservarla sul soglio papale oltre gli ottant'anni. Per questo sarà ricordato, più che per il cappellone rosso e le babbucce.
Per il resto, il suo pontificato dimostra quanto è difficile riuscire a conservare la Chiesa cattolica nella modernità tanto quanto il pontificato successivo dimostra quant'è difficile innovarla. La modernità è un cambio di paradigma che rende normali cose prima impensabili, ma soprattutto considera scandalose cose prima praticabili e praticate. Da grande inquisitore, il cardinale Ratzinger aveva potuto osservare da un punto di vista privilegiato questo cambio di consapevolezza che dagli anni Ottanta in poi ha reso migliaia di ecclesiastici, prima irreprensibili, passibili colpevoli di abusi nei confronti di bambini e adolescenti. Cosa poteva fare?
Fino a un certo punto, credo finché gli è stato possibile, Ratzinger ha taciuto: perché concedere anche solo un caso significava ammettere indirettamente di averne insabbiate altre migliaia. A un certo punto questa strategia non era più praticabile: Ratzinger è stato probabilmente l'uomo che lo ha capito e che ha messo, nel frangente, la proverbiale "faccia". Non era ancora stato eletto, anzi l'ammissione di una certa "sporcizia" nella Chiesa può essere stato il momento in cui ha fatto capire ai cardinali di essere in grado di prestarsi, quasi ottantenne, a un ruolo di capro espiatorio che avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque altro (compreso Bergoglio, che a quanto pare nel 2005 implorò i colleghi di non eleggerlo).
Ratzinger accettò questo fardello, lo portò su di sé per otto anni in cui furono scoperchiati diversi scandali, e per tutto questo tempo reagì in un modo che personalmente trovo molto discutibile, ma allo stesso tempo non credo che esistessero altri modi per un papa di reagire: scaricando la colpa sulla modernità. Ovvero, se preti e suore toccavano i ragazzini e le ragazzine loro affidati, la colpa era della modernità che aveva portato un vento di lussuria anche nei collegi e nei conventi. Quando? Più o meno a partire dagli anni Sessanta, e quindi dallo stesso Concilio Vaticano II. Prima, niente lussuria, niente abusi.
Chi in questi giorni voglia opporsi alla figura di Ratzinger come grande intellettuale può fermarsi su questo punto, perché per difendere l'idea che gli abusi del clero siano più un problema di modernità che di clero bisogna bendarsi più e più volte; ignorare tutti gli studi che dimostrano statisticamente quel che poi è abbastanza ovvio, cioè come i colpevoli di abusi svolgano professioni o attività a diretto contatto coi minori, ma anche mettere di nuovo a tacere voci che nella Chiesa denunciano il problema da un millennio, a partire almeno dal famoso Liber Gomorrhianus di San Pier Damiani. Il papa che ai tempi recepì le critiche di Pier Damiani con una certa moderazione fu accusato da talune malelingue di essere lui stesso un sodomita; il Ratzinger che di fronte a scandali sistemici continuava a mantenere l'idea che i collegi traboccassero di purezza e santità fino all'arrivo dei juke-box e delle minigonne, ecco lui stesso senza accorgersene non riusciva a non ispirare l'idea di essere il padrino di un'enorme confraternita millenaria di sodomiti in incognito, decisi a mantenere il segreto sul vero motivo per cui da secoli non vogliono cedere il controllo delle scuole. L'ermellino rosso, appunto, e le babbucce, e quello sguardo malizioso da cattivo del film...
E d'altro canto cosa avrebbe dovuto fare Ratzinger? Voi cosa avreste fatto al suo posto, sul suo Soglio? Annunciare urbi et orbi va bene, scusate, fino a trent'anni fa fustigare i cattivi studenti non era un reato, e anche abusarne un po' era considerato un peccato, sì, ma non così grave: tanto che chi sin da giovane sentiva questa inclinazione (magari dopo essere stato abusato a sua volta in un collegio) si orientava facilmente verso una carriera ecclesiastica? Come dire che ogni cultura è relativa, quel che era morboso oggi non lo è più, quello che ieri non lo era oggi invece lo è, ecco questo relativismo è difficile da accettare persino per i woke multicolore di oggi, immaginate quanto può esserlo per un papa.
Nemmeno Francesco, che è così tanto più simpatico, può uscire al balcone e dire va bene, ogni istituzione culturale preposta all'insegnamento dei giovani ha avuto nei millenni la sua percentuale di abusatori, è un problema noto sin dalla Grecia classica ma per molto tempo non è stato IL problema, è chiaro che se sovrapponete le categorie di adesso con quello che abbiamo fatto per secoli possiamo risultare un'istituzione internazionale che garantiva ai pedofili copertura e contatti, ma è un po' come paragonare Cortés a Hitler... ah ma voi volete anche paragonare anche Cortés a Hitler? Insomma così relativisti non siete neanche voi.
La modernità non è il superamento dei paradigmi; è essa stessa un paradigma e forse col tempo avrà anche la sua Chiesa: ma non può essere quella cattolica che lotta per restare rilevante in Europa (e soprattutto in America e Africa, dove il relativismo è un avversario molto relativo: quello prioritario non è nemmeno l'Islam, ma il protestantesimo e in generale il turbocalvinismo di gente come Bolsonaro).
(E contro il turbocapitalismo di gente come Bolsonaro, io se c'è da difendere i cattolici, con tutti i loro enormi difetti, non credo che mi tirerò indietro).
Edoardo il Confessore
05-01-2023, 02:22santiPermalink5 gennaio: Edoardo il Confessore (1002-1066), re d'Inghilterra
Per chi è già re, la via per la santità è relativamente semplice: fondare un ricco monastero – nel caso di Edoardo, l'abbazia di Westminster – può essere determinante. Non solo i monaci continueranno a ricordarsi di te nelle loro preghiere, ma avranno tutto l'interesse a difendere la tua figura storica e a garantire sulla tua vita e i tuoi miracoli. Poi ci sono i parenti, tanto disposti a onorare la tua memoria da morto quanto diffidavano della tua figura da vivo: alcuni davvero non vedono l'ora che tu te ne vada in paradiso.
Edoardo non è il primo santo in famiglia: già uno zio omonimo veniva venerato come "martire" perché era stato fatto uccidere dalla matrigna nel 978. Il termine "confessore" nel medioevo veniva appioppato ai santi che pur difendendo la fede ("confessando") non ne morivano di morte violenta, evento tutt'altro che infrequente nel mestiere di monarca. Erano, tanto per cambiare, tempi complicati, che vedevano l'Inghilterra sospesa tra due centri di potere: Danimarca e Normandia. Edoardo è figlio di Etelredo II detto il Malconsigliato, che aveva rinunciato a invadere la Normandia per sposare Emma, sorella del duca di Normandia e soprannominata "la gemma dei Normanni", si presume per l'avvenente bellezza. A Emma sarebbe capitato di sposare due re, generarne altri due, e fare da matrigna da altri due ancora. L'inizio della carriera di regina però non fu promettente: i Danesi invadono l'Inghilterra ed Etelredo, piuttosto di combattere, decide di scappare con tutta la famiglia dal cognato normanno. Non sappiamo se fu questa scelta a valergli il soprannome di Malconsigliato: fatto sta che Edoardo, undicenne, ne avrebbe trascorsi altri venticinque in questa specie di esilio, che a guardarlo dal nostro punto di vista tanto esilio non era, visto che almeno la madre doveva trovarsi più a suo agio da quella parte della Manica. Lo stesso Edoardo fa carriera e forse per qualche tempo diventa tutor del figlio del duca, il piccolo Guglielmo che poi conosceremo come il Conquistatore. Nel 1016 a Emma, rimasta vedova, viene proposto di sposare un nuovo re d'Inghilterra: Canuto I, il figlio dell'invasore danese che aveva fatto scappare il primo marito. Come dire di no? Ma Canuto è anche re di Danimarca, anzi fa già abbastanza fatica a regnare laggiù su alleati vichinghi piuttosto irrequieti, e l'Inghilterra resta in balia delle famiglie rivali. Quando anche Canuto muore, nel 1035, Edoardo e il fratello Alfredo provano a sbarcare nell'isola, ma non hanno fortuna: Alfredo in particolare viene catturato dal conte del Wessex che lo fa accecare per renderlo inadatto al trono: Alfredo muore poco dopo a causa delle ferite. Edoardo è già scappato in Normandia. La fortuna gira in suo favore nel 1041, quando l'Inghilterra ormai è controllata da Canuto II, figlio di Emma e Canuto. Il fratellastro di Edoardo regna sull'isola col pugno di ferro, ma non ha eredi e rischia di venire travolto da una congiura di palazzo o una rivolta popolare o entrambe le cose: propone quindi a Edoardo di co-regnare con lui. A Edoardo basta poco per essere amato dai nuovi sudditi: tanto per cominciare non è danese come gli ultimi conquistatori, né ha dovuto alzare le tasse per combatterli o per rimettere in riga qualche nobile riottoso.
Canuto muore l'anno dopo in Danimarca durante un matrimonio di parenti, forse per un ictus (a 24 anni!): Edoardo, che pare non fosse un cattivo combattente, si ritrova re incontrastato di tutta l'Inghilterra senza avere vinto una sola battaglia e capisce forse nell'occasione che le guerre, meno si combattono, meglio è. Ovviamente non riuscì a farne del tutto a meno, ma riuscì a ridurle al minimo, addirittura sposando la figlia di uno dei suoi peggiori nemici, il conte del Wessex che aveva accecato e ucciso suo fratello. L'unione non lasciò figli, il che permise poi ai monaci di Westminster di ricamare la leggenda di un matrimonio 'bianco' contratto per necessità politica ma non consumato. Ma persino la mancanza di un erede diretto, che in una monarchia è spesso visto come indizio di fragilità, Edoardo riuscì forse a trasformarla in un vantaggio, se davvero promise a Guglielmo di Normandia di succedergli al trono. L'alleanza coi Normanni, in una fase in cui i Vichinghi erano presi dalle loro beghe, lo rese così sicuro in politica estera da consentirgli di smantellare del tutto la flotta che suo padre aveva istituito per difendersi dalle incursioni danesi (e che decisamente non aveva funzionato). Alla sicurezza nel Mare del Nord avrebbero provveduto i Cinque Porti, cinque municipalità affacciate sul mare a cui Edoardo offrì in cambio speciali privilegi. Anche grazie a questa decisione riuscì ad abolire le tasse per il mantenimento dell'esercito.
Dai documenti che ci restano, non risulta che Edoardo fosse particolarmente munifico nei confronti della Chiesa: la decisione di istituire un'abbazia a Westminster viene ricondotta a un voto che Guglielmo avrebbe fatto durante la sua giovinezza in Normandia, di recarsi in pellegrinaggio a Roma se mai un giorno fosse riuscito a tornare nella natia Inghilterra. Nell'isola, come si è visto, c'era tornato; dopo di che aveva scoperto di non avere poi tutta questa voglia di lasciarla di nuovo: né poteva fidarsi troppo di nobili e parenti. Sarebbe stato un papa (non è chiaro quale, anche a Roma erano tempi turbolenti) a suggerirgli di destinare il budget previsto per il viaggio all'erezione di una chiesa che sarebbe diventata il pantheon dei re inglesi. Quando fu eretta era la prima costruzione in stile romanico dell'isola (due secoli dopo fu completamente rifatta alla moda gotica). Edoardo fece appena in tempo a presenziare alla sua consacrazione: morì in quel 1066 così importante per la storia della sua nazione. Alla sua morte il trono fu reclamato sia da Guglielmo di Normandia (figlio dello zio), sia da Aroldo, figlio del suocero conte di Wessex (sempre quello che aveva accecato il fratello di Edoardo). Come sia andata a finire lo sapete perché lo avete letto sui libri di storia, e anche nel caso non sapeste leggere è più o meno tutto disegnato sugli arazzi di Bayeux. Guglielmo, benché molto diverso dallo zio per temperamento e per politica, fu probabilmente il primo a capire quanto fosse importante insistere sulla santità del re di cui si professava erede. Edoardo era una figura di re pacifico e autorevole, nato in Inghilterra, cacciato da invasori malvagi che per lungo tempo gli avevano impedito di tornarvi: tutto quello che Guglielmo non era, ma che gli inglesi avrebbero desiderato. Canonizzato nel secolo successivo, per qualche tempo fu considerato il protettore dell'Isola, finché i cavalieri di ritorno dalle Crociate non imposero la figura più guerresca di San Giorgio. È ancora il protettore dei matrimoni difficili, dei monarchi in generale e in particolare della famiglia reale inglese, che sembra averne spesso bisogno.
Va bene, ora mi alzo
27-12-2022, 20:00autoreferenziali, sogniPermalinkMi chiedi perché vado a letto tardi, ebbene:
l'altra sera, appena coricato, ho sentito che mi dondolava un dente. Ho provato a smuoverlo un po', e a quel punto dondolava ancora di più, sembrava implorarmi che lo staccassi e l'ho fatto, con due dita l'ho staccato dalla gengiva senza sentire dolore, anzi con una netta sensazione di sollievo, ma queste cose mi capitano soltanto nei sogni, e quindi ho pensato che stavo dormendo.
D'altro canto, quando nel sogno ci si rende conto di sognare, di solito si sveglia: io invece no, restavo lì con questo sassolino bianco in mano e mi sono detto va bene, va bene, non è grave, ora mi alzo, vado in bagno, e se nel tragitto non mi sveglio significa che sono davvero sveglio.
Alzandomi di scatto, ho un po' sbandato al buio e ho urtato lo stipite della porta: la mia spalla ha avvertito il colpo, come non mi sarebbe successo in un sogno. Però poi sono arrivato in bagno, nella penombra ho cercato nello specchio l'ombra del mio volto, ma quando ho provato ad accendere la luce il pulsante non funzionava, la luce non si accendeva: ecco, mi sono detto, avevo ragione, sto sognando, e ora mi sveglierò.
Ma non mi svegliavo.
Così c'è stato questo momento lunghissimo, in cui non vedevo più né lo specchio né il bagno, ma buio soltanto e la consapevolezza di non essere lì, ma di non essere nemmeno altrove, in un nulla che sarebbe durato per un attimo o per sempre, troppo consapevole per annullarmi nel sonno profondo, ma non abbastanza da svegliarmi, senza occhi per vedere, senza bocca per urlare, mando impulsi ma è tutto staccato, muovi le gambe le gambe non si muovono, muovi le mani, muovi qualcosa, niente, sto respirando? speriamo di sì. Mi batte ancora il cuore?
Alla fine qualche impulso ha funzionato, e mi sono svegliato.
Tutto ok, ma a quel punto dovevo riaddormentarmi.
Mi chiedi perché vado a letto tardi: non c'è un vero motivo.
Il figlio di Dio e i suoi antenati
23-12-2022, 12:50Cristo, santiPermalink24 dicembre: Santi antenati di Gesù
La vigilia del Natale, il martirologio romano celebra gli antenati di Gesù, un concetto abbastanza problematico dal momento che Gesù è considerato, già alla fine del primo secolo, il figlio diretto di Dio. Nozione difficile da conciliare col fatto che le Scritture conservino non una, ma ben due liste di antenati di Gesù: non solo, ma le due liste (una nel vangelo di Matteo, l'altra in Luca) non coincidono.
Matteo all'inizio del suo Vangelo provvede una lista che va in ordine cronologico da Abramo a Giuseppe, "lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo" (ma una variante antica recita proprio "Giuseppe generò Gesù"). Matteo, ex ragioniere col pallino dell'ordine, si ingegna a far tornare i conti anche con gli antenati, che devono essere un numero multiplo di sette: 14 antenati da Abramo a re Davide, 14 antenati da Davide alla deportazione di Babilonia che per qualche motivo è esclusa dal conteggio, 14 dal ritorno da Babilonia a Gesù. I conti in realtà non tornano (qualche nome si è forse perso in traduzione), ma quel che importa davvero è che la figura di Gesù viene solidamente conficcata nel "tronco di Iesse", il capostipite della dinastia dei re di Israele e di Giuda, che Matteo aveva trovato nell'Antico Testamento, anche se forse nella versione che consultava mancava qualche nome. Questo secondo la promessa solenne che Dio aveva fatto a Davide, figlio di Iesse: il tuo trono sarà stabile per sempre. Gesù quindi è davvero il re dei Giudei, il Messia promesso dai profeti.
Questa catena di discendenti e promesse da mantenere è oggettivamente difficile da conciliare col fatto che pochi versetti dopo Giuseppe appaia un semplice padre putativo, messo dall'angelo davanti a un fatto compiuto: la sua fidanzata è già incinta a causa dello Spirito Santo. Secoli di commentatori hanno rilevato che comunque da un punto di vista legale Giuseppe, riconoscendo il Messia, ne diventa il padre a tutti gli effetti; rimane nel lettore una sensazione di compromesso, come se Matteo volesse tenere il piede in due scarpe: ai cristiani garantisce l'eccezionalità di Gesù, figlio di Dio; agli ebrei ribadisce che si tratta del Messia di stirpe davidica.
Matteo è così scrupoloso da riportare anche quattro antenate donne (Tamar, Raab, Rut, Betsabea): ha suscitato molte discussioni il fatto che tutte e quattro siano personaggi irregolari, per le origini o per il comportamento (Raab è una prostituta, Tamar si finge tale per necessità, Rut non è ebrea di nascita, Betsabea è sedotta da Davide quando è già moglie di un suo generale). Matteo forse voleva ricordarci che la grazia di Dio può emendare qualsiasi peccato o difetto? Più probabilmente Matteo inserisce queste quattro donne perché sono le uniche che trova nelle Scritture, dove in effetti le donne irreprensibili non lasciano quasi traccia.
La lista di Luca è molto diversa, al punto che non si può escludere che abbia una funzione polemica nei confronti di quella stilata da Matteo – ammesso che Luca la conoscesse. È una lista a ritroso, parte da Gesù, "figlio, come si credeva, di Giuseppe" (quel "come si credeva" mette tutto un po' tra parentesi) e risale di generazione in generazione ben oltre Abramo, fino al primo uomo Adamo, "figlio di Dio", segno che per Luca Gesù, molto più che il Messia ebraico, è il redentore dell'umanità intera. Luca non nega la discendenza da Davide, ma la sua insofferenza per i signori e i nobili lo porta a strapparlo dal ramo del di lui primogenito Salomone, e includerlo invece tra gli eredi di un oscuro fratello di Salomone, Nathan. Da lì in poi quella di Luca è una lista di uomini di cui nulla sappiamo tranne il nome, con qualche occasionale sprazzo di luce (Zorobabele, il leader dei rimpatriati dall'esilio a Babilonia, che compariva anche nella lista di Matteo). Proprio per questo suona in qualche modo più vera, come se Luca l'avesse ripresa da qualche famigliare che sapeva recitarla a memoria: un altro indizio di verosimiglianza è la presenza di nomi ripetuti (tra cui lo stesso "Gesù"), che esistono in tutte le famiglie del mondo tranne in quella descritta nella lista di Matteo.
Per gli altri due evangelisti omologati, il problema degli antenati di Gesù proprio non si pone. Marco (forse il più antico) comincia col battesimo di Gesù, già adulto, nel Giordano, quasi a confermare la tesi degli adozionisti, che credevano che Gesù fosse nato uomo e fosse diventato figlio di Dio in un secondo momento: col battesimo, appunto. Per Giovanni (senz'altro il più tardo), Gesù è il Verbo di Dio fatto carne: un concetto abbastanza complesso, più neoplatonico che cristiano, ma di fronte al quale l'esistenza di antenati "nella carne" è taciuta come fanno sempre i filosofi coi dettagli che non si adattano alle loro formulazioni. Nei secoli successivi, il successo della visione giovannea creerà qualche imbarazzo ai lettori cristiani dei vangeli: insomma, Gesù è figlio diretto di Dio o è erede della stirpe di Davide? Ogni tentativo di conciliare le due idee si denunciava in quanto macchinoso. Per qualche tempo serpeggiò anche l'idea che Gesù fosse erede di Davide da parte di madre: il che non si può escludere a priori, ma sia Luca sia Matteo mostrano una tradizione patrilineare.
(Buon Natale e buone feste a tutti: nel 2023 mi troverete tutti i giorni sulla pagina fb del Catalogo dei Santi ribelli, e un po' più spesso anche qui, spero).
L'ultimo blogger discuteva col nulla
13-12-2022, 23:47autoreferenziali, blog, futurismi, intelligenza artificiale, scioperiPermalinkCiao! Sì, so cosa è un blogger. Un blogger è una persona che scrive su un blog, ovvero un sito web dove vengono pubblicati contenuti in forma di articoli o post. I blogger scrivono su una varietà di argomenti, dalla moda alla cucina, dalle tecnologie alla politica, e condividono le loro opinioni e la loro esperienza con i lettori del loro blog.
Aa faccia daa destra sociale
02-12-2022, 12:59governo MeloniPermalinkCredo che bisogna essere grati aa Meloni, e ai suoi beccai sociali, non di molte cose ma almeno per la chiarezza che stanno portando nel discorso politico, inquinato da anni di sciocchezze trasversali. Per chi ha sempre creduto – e io ci ho creduto abbastanza sempre – che la politica sia un confronto continuo tra le classi sociali, dagli anni Novanta in poi seguire quella italiana era assai frustrante: anche quando si riusciva a riconoscere una destra da una sinistra, sembrava che ignorassero la loro funzione e s'ingegnassero di parlare a tutti e difendere gli interessi di tutto, come due canali televisivi generalisti. Erano dalla parte degli imprenditori ma anche con i ceti più umili ma anche con gli impiegati e gli insegnanti, ci mancherebbe, e i pensionati, e i giovani, qualcuno doveva pur pensare ai giovani e in effetti ci pensavano tutti, era proprio un chiodo fisso. Finché a un certo punto non sono arrivati i grillini, il terzo canale: ma anche loro all'inizio non si capiva bene a chi si rivolgessero; anche loro agli imprenditori vessati (specie medi, piccoli, nani), anche loro alla povera gente oberata dalle tasse, anche loro agli insegnanti che corsero in gran numero a votarli, e così via.
Ecco, l'impressione è che all'apparire di questa crisi, che forse è più sistemica del solito, le cose si siano chiarite, se non proprio irrigidite: e così abbiamo avuto finalmente un partito che ha vinto le elezioni promettendo di togliere a qualcuno (il reddito di cittadinanza) e dare a qualcun altro (la flat tax e l'abolizione del tetto al contante): lo ha promesso, ha vinto le elezioni, lo ha fatto. Tutto molto chiaro, e gli ultimi trent'anni di pubblicistica sulla destra sociale possiamo anche usarli per scaldarci nelle fredde notti d'inverno. Non mi ricordo più ma credo che persino aa Meloni ai tempi di An venisse da quella corrente lì, quella dello Stato forte che protegge i deboli, ecco: se qualcuno nutriva ancora un dubbio, adesso può toglierlo da dove lo nutriva. Ci sono classi sociali e ambiti professionali che hanno effettivamente vinto le elezioni: ci sono artigiani che potranno tornare ai vecchi livelli di nero, camorristi che potranno riciclare con più facilità, scuole private che riusciranno a salvarsi anche stavolta. E c'è gente che si sta ammalando, più dell'anno scorso in questi giorni, perché aa Meloni & co. hanno deciso che l'emergenza è finita e probabilmente questa idea di togliere un bel po' di anziani e deboli dai conti dell'Inps non dispiace; ci sono ospedali pieni e scuole pubbliche da smantellare col pretesto del calo demografico ed è giusto così: chi vuole sanità e istruzione pubbliche ha perso le elezioni: magari la prossima volta si porrà veramente il problema di vincerle, con programmi chiari che parlino a classi sociali un po' più nettamente definite che in passato.
(Certo, rimane il dubbio che questo irrigidimento sia avvenuto all'improvviso, rendendo definitive posizioni quasi aleatorie: ad esempio forse qualcuno ricorda ancora quando il M5S era il partito dei novax: poi gli è capitato di trovarsi al governo durante il covid e adesso, decisamente, non è più il partito dei novax. Ma se al governo nello stesso momento ci fossero stati Salvini o aa Meloni, e avrebbero potuto benissimo esserci, forse oggi Conte sarebbe un novax e la destra meloniana sarebbe per il distanziamento e le mascherine. Allo stesso modo il motivo per cui, oscillando tra populismo e sovranismo, a un certo punto aa Meloni si è trovata dalla parte della piccola media impresa e i grillini dalla parte dei percettori di reddito è quasi casuale: se il pendolo si fosse fermato qualche mese prima o dopo, forse oggi avremmo una Meloni populista e un Conte ancora alleato di un Salvini sovranista, o il contrario. Ma questo al limite cosa prova? Che i politici oscillano, e le classi sociali restano. I politici sono sul mercato, vanno dove trovano la nicchia o vedono uno spazio per crescere).
(In mezzo a tutto questo, i più miopi restano quelli che le classi proprio non le vedono: il terzo polo che in realtà è il quarto o il quinto, i personaggi in cerca d'autore che ci vivono, i giornali in cerca di lettore che ancora ci scommettono, l'ex grande industria che ci spende dei soldi, tutto un ambiente che per qualche motivo ancora non ha il coraggio di dirsi di destra e di tentare seriamente quella opa ostile di cui fantastica dai tempi di Montezemolo).
Sei solo un 1/8*10^-9 di umanità
15-11-2022, 23:21autoreferenziali, poesia, Svuotando i solaiPermalink– Capita a volte che ti credi importante,
un tipo bravo, bello, interessante...
e via di seguito, fino ad ammettere che
il mondo non possa proprio fare a meno di te.
Tu così astuto, geniale, brillante,
così originale, esuberante,
ti credi insostituibile – ma in realtà
sei solo un cinque sei sette ottomiliardesimo di umanità
Coro: sei solo un ottomiliardesimo di umanità,
quindi non sopravvalutare la tua individualità!
Sei solo un ottomiliardesimo di umanità,
quindi non sopravvalutare la tua individualità.
– Capita a volte che tu creda che gli altri
siano qui solo per ammirarti,
per ascoltarti e capirti ed ammettere che
non avrebbero senso più senza di te.
Tu così lucido, attento, profondo,
sulle tue spalle reggeresti il mondo:
ma fai sul serio il mondo ti schiaccerà
come un cinque sei sette ottomiliardesimo di umanità.
Coro: sei solo un ottomiliardesimo di umanità, ecc.
– Capita a volte che ti credi un inetto,
un tipo stupido, ridicolo, gretto,
e via di seguito, fino ad ammettere che
il mondo ruota benissimo anche senza di te.
Tu così goffo, mediocre, meschino,
ti senti troppo, troppo piccolino,
un vero zero, anzi meno: una nullità
ma sei un un cinque sei sette ottomiliardesimo di umanità!
Coro: sei solo un ottomiliardesimo di umanità,
quindi non sottovalutare la tua individualità!
Sei solo un ottomiliardesimo di umanità,
quindi non sottovalutare la tua individualità.
– Capita a volte che tu creda che gli altri
sian così astuti, geniali, brillanti,
così sicuri e precisi, e tu già pensi che
abbiano molto, ma molto più senso di te.
Ma se farai il calcolo matematico
scoprirai che è tutto molto meno drammatico,
perché ognuno di noi, quanto vale? Si sa:
quanto un cinque sei sette ottomiliardesimo di umanità!
Coro: sei solo un ottomiliardesimo di umanità,
quindi non sottovalutare, ecc.
[Ok, questa è molto molto vecchia, quanto vecchia? È così vecchia che non fa neanche più vergogna, neanche più pietà, ma soprattutto: è così vecchia che eravamo appena diventati cinque miliardi. Oggi siamo otto. Questa piccola nozione è la cosa più enorme che so, è qualcosa che non è successo mai nella storia dell'uomo ed è successo durante la mia storia di uomo e non c'è giorno che io non ci pensi, sto passando la vita a cercare di capirlo, di convincermi che sono una formica sempre più piccola e di accettare il senso di questo. Almeno trent'anni che ci provo, con risultati discutibili – ma nessuno ci aveva mai provato, prima di noi].