Meglio un giorno da pecorella
06-02-2021, 20:20fascismo, memoria del 900, Renzi, tvPermalinkLo so che ci sono tante cose più importanti e interessanti, ma ieri sera, provato dagli scrutini, sono restato su una poltrona e ho visto un po' del Cantante mascherato; quanto basta per scoprire Alessandra Mussolini sotto la maschera della pecorella. Ecco, per me questa piccola cosa è abbastanza interessante.
Mi ha fatto venire in mente un tweet o qualcos'altro di un americano o di un inglese, non mi ricordo più, che qualche mese fa scoprì tutto scandalizzato che la sopradetta Alessandra Mussolini, nipote di tanto nonno, invece di vivere per sempre marchiata dall'indelebile infamia, partecipava alla versione italiana di Dancing with the Stars (Ballando con le stelle). Anche in quel periodo c'erano tante cose più importanti o interessanti per cui anche se avevo voglia di rispondergli non l'ho fatto.
Però ripensandoci avrei dovuto, qualcuno avrebbe dovuto rispondergli, ehi Mister, Sir, qual è il problema? Con tutti quelli che abbiamo, una Mussolini che balla è interessante? È vero, a differenza di voi imperialisti abbiamo avuto un dittatore certificato. Non c'è dubbio, è successo, e molti di noi hanno ancora un grosso problema ad accettarlo; resta fermo però il principio che le colpe del padre non ricadono sul figlio (tantomeno sul nipote). Quindi la signora Mussolini non solo ha fatto la ballerina, e l'attrice, ma è stata pure eletta in parlamento: ne aveva il diritto, si è candidata, e qualcuno aveva il diritto di votarla. Però alla fine non ha funzionato, e adesso fa l'ospite televisiva. Il che dovrebbe essere avvilente, ma per chi? Lei si diverte, la gente è moderatamente contenta di riconoscere una faccia nota, il cognome così terribile si associa un po' meno agli orrori del Novecento e un po' più alle copertine dei rotocalchi, e questo in qualche modo dovremmo sentirlo ingiusto. Per me è il contrario, e forse è una delle particolarità italiane che esporterei. La tv come camera di compensazione per i rampolli di famiglie celebri per il motivo sbagliato.
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Remembering China’s last emperor, Puyi, 50 years after his death |
Ho sempre trovato incredibile il modo in cui i comunisti cinesi trattarono l'ultimo imperatore, quel Pu Yi che pure si era macchiato di un tradimento e aveva permesso orrori che fanno impallidire quelli del nostro Mussolini e del nostro Savoia. Come sa anche solo chi ha visto il film di Bertolucci, quando i comunisti riuscirono a farsi consegnare Pu Yi dai sovietici, lo trasformarono in un... giardiniere. Non fu un trattamento indolore: dovette passare per un campo di rieducazione. Ma l'idea era potente: prendere l'ultimo erede di una dinastia, e di una storia millenaria, e trasformarlo in un cittadino qualunque. Una cosa del genere noi non potremmo farla – è ingiusto anche solo sognarla – però qualche buona idea a volte ci viene, ad esempio prendere il nipote di un re esiliato, o la nipote di un dittatore ancora rimpianto da molti italiani e trasformarli in celebrità sospese tra mainstream e trash. Per loro è sempre meglio che lavorare; per chi rimpiange i fasti dei nonni è un'offesa alla memoria, per noi che guardiamo è un modo per confiscare loro un'eredità che non hanno richiesto e che non meritano, nel bene e nel male.
Quindi, o popoli: avete figli di dittatori da gestire, o eredi a un trono che non c'è più, e vi sembra ingiusto fucilarli? Mandateli in tv a ballare e cantare, in Italia facciamo così e secondo me funziona. Non fate il contrario, come gli americani, non mandate i personaggi televisivi in politica: quello sì che è pericoloso. (Allo stesso Trump, forse sarebbe bastato offrire di nuovo una stagione di The Apprentice e magari avrebbe acconsentito a lasciare la Casa Bianca con meno strascichi).
(E ora che ci penso, quando ci lamentiamo di Renzi che continua a far politica, dobbiamo ammettere che lui a un certo punto ci aveva anche provato, a passare alla televisione; e non era una idea così sbagliata: dopo che aver vissuto per anni in quel trip egotico che è la politica ad alto livello, circondato e riverito da lacchè, quale altra cosa puoi fare, che ti produca una soddisfazione lontanamente paragonabile? La tv generalista funziona, ha salvato Giulio Ferrara, Claudio Martelli, chissà quanti altri. Avrebbe potuto salvare anche lui, e lui ci ha provato, non dite di no. Ha fatto quel documentario... l'avete guardato? Sì, lo so. È tv generalista, bisogna essere molto stanchi o disperati. Tra un po' bisognerà pagare qualcuno per guardarla).
(Ho chiesto in classe: avete visto il Cantante Mascherato? Nessuno. E li capisco, però comincio ad aver paura).
(Ma insomma quando qualcuno si mette a dire che Renzi è un sagace politico, ricordate un attimo che si è dovuto rimettere a far politica perché neanche in tv funzionava. Cioè la politica come camera di compensazione della camera di compensazione).
I venti pezzi più letti in vent'anni
25-01-2021, 18:15anniversari, autoreferenziali, blogPermalinkIl titolo è più fuorviante del solito: dei primi dieci anni (che pure furono i più ruggenti) non ho dati seri. Non è che non controllassi il contatore cinque o sei volte al giorno, eh? Ma non salvavo i resoconti, mi vergognavo. Poi verso il 2010 Blogger ha cominciato a tenere i conti da solo: prima con Google Analytics, poi (già nel 2011) con un contatore interno, che è quello che mi piace di più perché mostra una certa preferenza per il mio periodo più tardo – ci sono addirittura due pezzi dell'anno scorso, ciò mi fa sentire meno rincoglionito. Ecco quindi la sua top20, dalla prima alla ventesima posizione.













Compio vent'anni e non so cosa mettermi
23-01-2021, 01:56anniversari, autoreferenziali, blogPermalinkRidendo e scherzando, questa simpatica pagina web sta per compiere vent'anni. Di blog così antichi in Italia non ne sono rimasti molti (sì, questo è un blog, storia vecchia). In effetti mi piacerebbe poter dire che sono rimasto solo io; se non sono mai stato il più interessante e senz'altro il più remunerativo, mi sarebbe sempre piaciuto mantenere almeno questo primato. E invece niente da fare: i blog classe '01 sono ormai tutti nel cimitero dell'internet Archive, tranne il mio e quello di Luca Di Ciacco che ha iniziato venti giorni prima di me. Luca senti ma ormai anche tu hai un'età, una professione stimolante, scrivi i libri, ma chi te lo fa fare di continuare a tenere aperto quel diario on line come un ragazzino, insomma datti un contegno dai. No scherzo ciao Luca, cento di questi giorni.
A parte questa simpatica gag che credo di avere usato già qualche altra volta, non ho molto da dire su questo incredibile anniversario che mi fa sentire ancor più vecchio di quanto già io non mi. Sarebbe bello per una volta lasciar parlare le immagini, ma il problema è che il blog non le ha. Questo ricordo di averlo notato molto presto, perché in quel periodo scrivevo su qualche rivistina e la differenza mi saltava agli occhi. Non c'è nulla che si aggrappa alla memoria come la grafica di una vecchia rivista che nel frattempo ha fatto quattro restyling ed è irriconoscibile. Ecco coi blog non è così; ogni volta che cambi la grafica, anche i vecchi pezzi vengono riformattati con quella nuova. Succede qualcosa di simile ai nostri ricordi, credo; è quello che li rende così poco attendibili rispetto ai documenti tangibili, le foto e le vecchie riviste. Se avessi almeno salvato qualche screenshot, ma no, niente, mi vergognavo a pensare che ne sarebbe valsa la pena. Da un punto di vista meramente estetico no, non valeva la pena.
"Un sito veramente qualsiasi" (2001)
Questo invece è il layout post-SellsOut, e direi che la carrellata potrebbe anche finire; c'è stata qualche correzione qui e là ma non è più cambiato molto. È addirittura più simile a quello iniziale: tra 2001 e 2015 sembra che abbia solo imparato a scrivere "Leonardo" in minuscolo. Evidentemente a me il blog piace così. Chiedo scusa a chi no, ma probabilmente non siete più qui da un pezzo.
In occasione dell'insediamento
21-01-2021, 03:25Americana, tv, TwitterPermalinkNon resta che sperare in Di Maio (rendetevi conto)
19-01-2021, 03:035Stelle, come diventare leghisti, crisi? che crisi?, epidemia 2020, governo Conte, RenziPermalinkProbabilmente sì.
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Uno sguardo ardito e fiero che rincorre l'Aldilà |
Non so neanche per chi voterò – no, stavolta è peggio: stavolta non m'interessa. Parto da una constatazione: il partito in cui bene o male mi riconosco (più male che bene) è sempre stato il PD. L'ho votato da quando esiste – 2008 – e non ha mai vinto le elezioni. Anzi, ha sempre perso. Nonostante questo ha governato il Paese quasi per un decennio. Sul serio.
È rientrato nelle stanze dei bottoni col governo Monti (2011), il che ha portato la segreteria Bersani al disastro delle elezioni del 2013. Disastro che non gli ha impedito di mantenere il ruolo di primo partito nella maggioranza che ha sostenuto il governo Letta, il governo Renzi (2014) e il governo Gentiloni (2016). Al termine della legislatura, intaccato da una scissione a sinistra e consegnato dalle primarie a un leader ormai percepito come fallimentare, è sceso alle elezioni del '17 per la prima volta sotto il 20%, una batosta insopportabile per il partito che deteneva l'eredità morale dei due grandi partiti di massa del secondo Novecento. Ciononostante, e malgrado una seconda scissione, non gli è riuscito di stare lontano dal governo che per quindici mesi, gli unici quindici mesi in tutto il decennio 2011-2020 in cui il PD non ha dato alcun contributo al governo del Paese. Sono stati anche i quindici mesi più inquietanti della nostra storia recente, e il solo spettro di un secondo avvento di Salvini dovrebbe terrorizzarmi e spingermi a sostenere qualsiasi alternativa, un monocolore Di Maio, un governo tecnico Pippo Baudo. Ma ecco, ci credo davvero? A Salvini interessa così tanto governare? Mi pare che quanto gli interessi lo dimostrò ampiamente nell'estate del '19. E per quanto si sia attribuita la sua scelta alla tipica ebrezza del Papeete, è abbastanza plausibile che in quel caso Salvini abbia fatto una delle scelte più lucide e razionali della sua vita, ovvero mollare ogni responsabilità quando era ancora giovane e credibile, e in grado di riprendere l'unico mestiere che ha fatto in tutta la sua vita: l'oppositore da fiera, da agitarmi davanti ogni volta che non ho tanta voglia di votare l'ordine e la responsabilità.
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Rispettoso, lusinghiero, il giudizio che si dà |
Con questo non voglio dire che il sovranismo non sia ancora un pericolo concreto, ma tutti gli avvenimenti importanti del 2020 lo hanno oggettivamente ridimensionato: la Brexit non è un paradiso in terra, la pandemia non è che la prima emergenza planetaria che dimostrerà nei prossimi anni quanto siano anacronistiche e scomode le frontiere europee. Forse siamo in quella fase della partita in cui il pezzo più importante è già stato mangiato (magari era Trump) e il resto del gioco è un dettaglio. Anzi è possibile che i sovranisti in Italia e in Europa abbiano appena iniziato a formare quel partito di massa che nei prossimi anni si opporrà al partito della responsabilità e della pianificazione emergenziale; la massa c'è e non chiede ai suoi leader che parole di speranza, o al limite teorie del complotto immaginose e interessanti.
Questa cosa Salvini la sa, Meloni la sa, e forse entrambi nel loro segreto tremano di fronte all'enorme responsabilità di guidare un popolo nel deserto. Perché di questo si tratta: di governare no, governare nei prossimi anni sarà complicato e faticoso. Il massimo contributo che possono dare è impugnare la fiaccola del sovranismo, tener buona la loro gente al calore di una speranza di rivoluzione che non si realizzerà mai – più o meno quel che fecero i quadri del PCI nel secondo dopoguerra, con qualche regione in più da gestire, che poi son carriere, affari, butta via. Governare però no: poi bisognerebbe una volta buona spiegare agli elettori se si esce dall'Euro o si resta dentro, se si è con Putin o con Biden, coi novax o coi nocovid, tutte partite ormai decise anche se i tavoli sono ancora ufficialmente aperti. Governare si è già capito che non vogliono e non possono. Quindi governeranno gli altri. Cioè?
Il PD?
Ma cos'è il PD ormai?
Pensate a quanti pezzi ha perso lungo il percorso – era il partito dell'area Prodi, per prima cosa mandò all'aria l'ultimo governo Prodi. Lo fondò Veltroni, uno dei risultati più concreti che raggiunse fu la fine politica di Veltroni (un risultato molto importante, sottolineo, anche dal punto di vista letterario, cinematografico, musicale). Era il partito di Bersani, che ci ha messo anche un po' ad andarsene; poi è stato il partito di Renzi, schizzato fuori pure lui. Al termine di tutte queste scremature, quel che rimane è un partito tranquillo, senza personalità di spicco; verrebbe da dire senza personalità e basta. Lo dirige un amministratore di regione, nel suo tempo libero: in questo periodo non deve averne molto. Si dà per scontato che sia composto da personaggi responsabili, e si chiude un occhio quando si mostrano non molto più avveduti degli altri. È insomma il partito adatto a quel tipo di maggioranza silenziosa che si forma alla fine della crisi, quando la gente è stanca di avventure: come gli elettori della Democrazia Cristiana dal 1948 al 1988. Può darsi che la situazione sia simile: che dopo aver provato Berlusconi, e Renzi, e Grillo, cominci a subentrare una certa stanchezza, una voglia di affidarsi non tanto all'uomo forte e neanche all'uomo competente, ma almeno tranquillo, in grado di dimostrare un minimo di serietà o almeno di simularla. Cosa che riesce più semplice se all'opposizione si rinchiudono in quel castello telematico di illusioni che Facebook, Amazon e Google stanno cominciando a smantellare, non un attimo prima di vedere come andava a finire Trump. Insomma i giochi sono abbastanza fatti, ognuno ha il suo ruolo, chi rimane fuori? Ah giusto.
I Cinque Stelle.
Ecco, vorrei dire che i Cinque Stelle sono la mia unica vera speranza, ma senza essere frainteso. Come amministratori sono stati disastrosi (ho in mente il mio ministro in particolare), né ci si poteva aspettare qualcosa di diverso da un partito che dell'incompetenza si faceva bandiera. Bisogna dire che la pandemia ha messo in crisi molto più la loro piattaforma che quella dei sovranisti. Erano il rifugio dei NoVax, ora la gente fa carte false per vaccinarsi: ma non è solo quello. Dovevano mandare a casa i politici (e l'hanno fatto), e ora si trovano al loro posto, costretti loro malgrado a fare politica. Non si può dire che ci stiano riuscendo: sinceramente, non si può. Ma alcuni a questo punto potrebbero farcela, e questa è l'unico margine di speranza che in questo momento riesco a intravedere. Da Salvini e Meloni so cosa aspettarmi: tanto fumo sovranista e postfascista che gli adepti inaleranno voluttuosamente, nella speranza che dia più torpore che nervosismo; dal gruppo Mediaset so cosa aspettarmi, anche oltre l'estinzione fisica del suo fondatore (un supporto mediatico ai sovranisti fin tanto che si tratta di tenerli incollati al televisore durante le pubblicità di dentiere e pannoloni, che si eclisserà parzialmente nei momenti di crisi, proprio come la Fox è mancata a Trump nel vero momento del bisogno). Dal PD so cosa aspettarmi: tanta pacata affettazione di competenza, sostenuta da quotidiani autorevoli che non legge più nessuno, stampati da industriali che in Italia non producono più quasi niente, ormai se ci spiegano come stare al mondo è davvero per uno stimolo disinteressato, un capriccio. Da Renzi so cosa aspettarmi: cercherà di attirare l'attenzione su di sé, prestandosi a maneggi vari senza nemmeno accorgersene, insomma era partito Kennedy ed è finito Pannella. Dalla sinistra extraparlamentare, in cui ideologicamente pure mi riconosco, so cosa aspettarmi: tante velleità, e mi dispiace.
Da Di Maio, ecco, no. Non so veramente cosa farà, non so chi lo voterà e che motivi troverà per farlo. Di Maio (e i suoi compari) sono l'unica variabile che può cambiare davvero la situazione. Possono tentare di ricorrere Salvini sui terreni del sovranismo e perfezionare qualche nuova variante complottista: ma non è soltanto una strada perdente, è l'imitazione di una strada perdente. Oppure possono restare dove non avrebbero dovuto e voluto trovarsi: al governo, e crescere, alla ricerca di una via credibile tra populismo e democrazia. Questa via credibile, prima della pandemia non esisteva: ora la situazione è parecchio cambiata e nei prossimi anni cambierà ancora di più. Insomma dipende quasi tutto da loro, sono il vero ago della bilancia e sono dei maledetti incapaci – ma non sarebbero arrivati lì se non lo fossero stati – e proprio perché maledettamente incapaci, hanno enormi margini di miglioramento. Dopotutto it can't get much worse.
Mi accorgo che questo discorso – tirato in lungo apposta per allontanare il più possibile dei lettori dalla avvilente conclusione – sembra il tentativo disperato di vedere un bicchiere mezzo vuoto dove da un pezzo non c'è più non dico l'acqua, ma il bicchiere stesso; oppure il gesto disperato di chi trovandosi in un tunnel completamente buio, si strizzasse gli occhi per procurarsi qualche fotopsia e dirsi ecco, lo sapevo che c'è una luce in fondo. Scusate, questa crisi mi trova davvero nell'umore meno adatto.
Muccioli, il nostro Tiger King
06-01-2021, 12:09animali, drogarsi, Ottanta, tvPermalinkIn effetti una parte non trascurabile delle cinque ore l'ho trascorsa a domandarmi dov'ero negli anni in cui Vincenzo Muccioli compariva onnipresente in tv, e il dibattito sulle sostanze era un dibattito su San Patrignano. Quante volte devo aver cambiato canale per riuscire a non vederlo quasi mai, quanta attenzione devo avere messo a scansarlo? Non vivevo nella stessa regione, non avevo attraversato (a testa bassa e in linea retta) le stesse piazze devastate dall'eroina? Da qui il sospetto che il successo di Muccioli sia stato anche il risultato di tante affannate rimozioni come la mia: un po' prima che i film di Romero diventassero mainstream, noi i zombie in strada li avevamo visti e in alcuni di loro avevamo riconosciuto fisionomie di amici e parenti. Per non vedere più quelle scene, per il privilegio di distogliere lo sguardo avremmo fatto carte false a chiunque, ed è letteralmente così: Muccioli era un signor chiunque, un figlio di albergatori romagnoli con un podere che aveva riconvertito ad allevamento di cani. Tra tanti dettagli che non conoscevo, è stato per me quello illuminante: San Patrignano è fungata senza che nessuno la immaginasse (compreso il suo fondatore, che da un certo momento in poi appare in balia degli eventi, ma probabilmente lo era da sempre). È il frutto spontaneo di quel fenomeno enorme e rimosso che fu l'invasione dell'eroina: le piazze d'Italia si riempirono all'improvviso di scoppiati, e gli scoppiati, chi li conosce lo sa, se dopo un po' si mettono in cerca di un cane.
Cosa cerchi nel cane l'eroinomane non è chiaro, non so se esistano studi; forse un'ancora di salvezza – un cane ti impone un minimo di disciplina – di certo un po' di protezione, di affetto da una bestia ben disposta a barattarlo per una scodella, e forse un segreto senso di affinità: il cane ha bisogno dell'uomo come l'uomo ha bisogno dell'ero. Magari esagero i miei ricordi di universitario in Piazza Verdi, dove gli scoppiati hanno mantenuto un presidio (ormai un parco a tema storico); eppure, di tutti i posti in cui avrebbe potuto nascere, la comunità di recupero dall'eroina più grande d'Europa spuntò proprio nel possedimento di un allevatore di cani. Senza nessuna competenza specifica (anzi qualche opinione scientificamente già discutibile nel 1978), senza competenze terapeutiche e ovviamente senza metadone, Muccioli in un primo momento probabilmente si avvalse di un repertorio da imbonitore di provincia: lo spiritismo, le stimmate, l'agopuntura. E già questo bastò a conquistare almeno un paio di esponenti del ceto imprenditoriale milanese: per dire che l'incultura che ha portato una parte non trascurabile del sistema Paese a dare credito a fantasiosi ignoranti come Bossi e Grillo non è accidentale, e non ha radici soltanto proletarie, anzi.Ma ciò che aveva ipnotizzato un paio di Moratti non sarebbe bastato a tener buoni centinaia di tossicodipendenti: se Mucciolì ci riuscì non fu col raggio cristico o imponendo mani sanguinanti. L'incantesimo che funzionò probabilmente era più semplice e profondo: Muccioli li guardava negli occhi, li abbracciava, li accarezzava, li amava, e quando facevano i capricci li metteva alla catena. In sostanza Muccioli non aveva mai smesso di allevare dei cani – tant'è che quando cominciarono ad arrivare i soldi veri, piuttosto che in terapeuti competenti preferì investirli in bovini e cavalli. Dal suo punto di vista era tutto logico e conseguente: le bestie amano stare in compagnia. Peccato che fosse il punto di vista di un allevatore e non di un terapeuta, ma appunto, peccato per chi? C'è molta gente tuttora pronta a giurare che il metodo Muccioli funzionasse meglio di qualsiasi altro, in questi giorni li avrete sentiti scodinzolare. Il più grottesco è ancora una volta Red Ronnie, che senza che nessuno glielo chiedesse lo ha messo in chiaro: io sono un animale, non chiedetemi una spiegazione razionale. La grandezza di Muccioli non si può spiegare a parole, è qualcosa che si fiuta, o magari una di quelle note a bassissima frequenza.
Quel che Muccioli aveva capito delle dipendenze era in effetti abbastanza difficile da verbalizzare: forse che a chi si appende una scimmia al collo è inutile liberare il collo, andrà a cercarsi un'altra scimmia: che i tossicodipendenti sono tossici, ma soprattutto dipendenti. Se gli togli l'eroina devi proporre alla svelta un altro collare, una comunità, uno scopo: Muccioli questa cosa era convinto di poterla fornire, e molti non aspettavano che di lasciarsi convincere. I cani poi si sa che sotto millenni di istinto servile covano ancora una mentalità di branco: poche cose sanno fare bene come tenere in ordine un gregge. Per Muccioli era normale pensare di poter delegare ai vecchi ex tossici la gestione dei nuovi: questo poi implicava una crescita quasi esponenziale della struttura, il che del resto avrebbe dimostrano nient'altro che il successo dell'impresa; certo, servivano agganci a livello anche politico, il che trasformò rapidamente Muccioli da allevatore a lobbista, mentre la comunità continuava a crescere rapida e spontanea, grazie alla sollecitudine di tanti amici dell'uomo ansiosi di far bene e meritare l'affetto del padrone. Ogni tanto succedeva un guaio: tutto sommato pochi, per un branco ormai autogestito.
Così SanPa alla fine mi ha ricordato l'altra docufiction che si impose durante il primo lockdown, Tiger King: in fondo si tratta sempre di allevatori un po' mitomani attirati in un circuito che li acclama ma in realtà pretende da loro il lavoro sporco: se i turisti vogliono foto coi tigrotti, chi si preoccuperà di gestirli quando crescono e farli scomparire quando diventano troppi? E noi che volevamo vivere le nostre piazze come turisti, negli anni di Muccioli, alla fine cosa pretendevamo da lui: che prendesse centinaia di zombie e li guarisse con la bacchetta magica? Non l'aveva e lo sapevamo. Ci contentavamo che ce li tenesse lontani, con recinti e catene se necessario. Che abbia tolto la scimmia a centinaia di ragazzi è innegabile: che fosse l'unico, o il più bravo, discutibile: ma sarebbe disonesto pretendere da lui una consapevolezza che non poteva avere. Lui voleva allevare animali, la società gli aveva mandato i tossici, lui si era arrangiato. C'era chi negli stessi anni finanziava la ricerca sulle dipendenze, chi mandava avanti i Sert, chi tentava strade alternative non necessariamente più efficaci, ma meno violente: i Moratti preferirono finanziare un allevatore. Rai e Mediaset elessero un allevatore a esperto dell'argomento. I politici si fecero dettare la legge sulle tossicodipendenze da un allevatore. È andata così, e ce lo stavamo dimenticando. SanPa ce l'ha fatto ricordare: meno male.
Non Dea Madre, ma madre di Dio
01-01-2021, 19:24feste, Il Post, madonne, santiPermalink1 gennaio – Maria, madre di Dio
Non avevamo distrutte tutte da millenni? Non avevamo dichiarato ufficialmente i loro adoratori dei malati di mente ("dementes") già a Tessalonica nel 380? In un certo senso sì. Eppure... date un'occhiata alle bandiere in giro per il mediterraneo. Sono tutte di origine settecentesca, illuminista, razionale, vero? In Europa dodici stelle, nei Paesi arabi la mezzaluna (anche se quest'ultima viene spesso associata alla religione islamica, la sua presenza sugli stemmi ottomani diventa sistematica nel Settecento). E se vi dicessi che rimandano entrambe alla stessa divinità, e che questa divinità ha meno in comune con Cristo o Allah che con qualche antica Madre? Probabilmente esagererei. Mettiamola così: con certe divinità il cristianesimo è dovuto venire a patti. Non è cosa di cui andare fieri, e in effetti su questo genere di compromessi i teologi preferirebbero tacere, o almeno spostare la discussione su un campo più astratto.
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Forse la più antica raffigurazione che ci sia arrivata del simbolo della luna crescente associato con una stella (più probabilmente il sole), in un sigillo di epoca neosumera (2000 avanti Cristo). |
È quel che succede per esempio nel 428, quando Nestorio, patriarca di Costantinopoli, solleva l'obiezione: come possiamo chiamare Maria "Madre di Dio" (Theotókos)? Come può un essere umano a essere genitore di una divinità? Non è che l'obiezione non avesse un senso. Nestorio non aveva problemi ad accettare che Gesù fosse sia uomo che Dio; ma non accettava che Maria potesse essere considerata madre di entrambi. In quel grembo vengono ad annodarsi tutte le contraddizioni di una religione ormai egemone ma ancora in fase di assestamento dottrinale: il problema trinitario (se Dio è uno solo, può Maria essere madre del suo creatore?), quello cristologico (in che senso Gesù è sia Dio sia uomo?), quello mariano: come raccontiamo ai fedeli questa cosa che Dio ha reso gravida una ragazza, in modo che non ricordi assolutamente quei vecchi miti bavosi sugli Dei che vanno in giro a molestare giovani e giovincelle? Meglio insistere sulla verginità della ragazza in questione, non solo prima ma addirittura dopo: certo, ne soffre un po' la verosimiglianza, ma è il prezzo da pagare per allontanare l'idea che Dio-Padre sia un padre di carne che feconda come fanno gli altri padri. A questo punto è chiaro che Maria non può essere una donna qualsiasi, ma Madre di Dio? Nestorio preferiva chiamarla "madre di Cristo" (Christotokos). Ai suoi oppositori la cosa sembrava sospetta, per motivi forse non sempre confessabili. Perché per quanto gli avversari di Nestorio si siano affannati a trasformare la questione in un complesso meccanismo neoplatonico comprensibile soltanto agli addetti ai lavori, il sospetto è che dietro a questo complesso paravento si celasse una realtà molto più terra-terra: "Madre di Dio" era un compromesso, un modo per dire e non dire "Dea madre".
Nel giro di una generazione la piccola Bisanzio era diventata la Nuova Roma immaginata da Costantino: una metropoli fungata sul Corno d'Oro. I nuovi abitanti, accorsi da ogni parte dall'impero non avevano tradizioni in comune. La città, in quanto rifondata da Costantino dopo la conversione, non poteva nemmeno vantare martiri importanti. Ma al di là del Bosforo il paganesimo continuava a pulsare, in quel subcontinente che aveva sempre opposto la sua massa critica al razionalismo ellenico: l'Asia Minore, o Anatolia.
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Efeso, Turchia: il sito si trova in quello che un tempo era l'estuario del fiume Kestros. Comprende insediamenti ellenici e romani. A Efeso fu costruito il tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del mondo antico, di cui oggi rimane ben poco.[/caption] |
Buona parte della manovalanza che aveva costruito la città e ci era rimasta ad abitare veniva là, e non avrebbe rinnegato così presto Artemide, la grande Madre degli Efesini, cinta di innumerevoli mammelle (secondo alcuni sono testicoli di toro: insomma simboli di fecondità, irrimediabilmente pagani). I discendenti degli antichi bizantini non avrebbero dimenticato volentieri Ecate, antica protettrice della città, che durante l'assedio del 340 aC, spuntando dalle nuvole con la sua luna crescente aveva protetto la città dall'incursione notturna di Filippo il Macedone. A Nestorio non si poteva rispondere così: e però il concilio che si riunì nel 431 per sconfessare le sue idee fu convocato da Costantino proprio a Efeso, di tutte le città disponibili. I seguaci di Nestorio si rifugiarono oltre il confine orientale dell'impero, riuscendo a imporre le proprie idee (più estreme di quelle del loro patriarca) sulla Chiesa persiana. La Nuova Roma, sempre più conosciuta come Costantinopoli, si consacrò alla Madre di Dio. Nessuna reliquia era venerata come il Maphorion, il manto della vergine (ma i costantinopolitani conservavano anche qualche goccio del suo latte materno). Le basiliche più importanti non furono dedicate a martiri in carne e ossa, come nella Roma occidentale, ma a concetti personificati e di sesso femminile: la "Santa Pace" (Sant'Irene) e soprattutto la Sapienza di Dio: Santa Sofia.
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L'interno della basilica di Santa Sofia, il 2 luglio 2020 (Chris McGrath/Getty Images) |
Il fatto che questa Quasi Divinità femminile non somigliasse molto alla Maria di Nazareth storica tratteggiata nei vangeli era stato superato includendo nel Nuovo Testamento un testo ben poco simile agli altri: l'Apocalisse attribuita a San Giovanni. La "donna rivestita del sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo", che "grida per le doglie e il travaglio del parto", destinata a partorire "un figlio maschio, il quale deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro" è un'immagine di maternità regale che ci è possibile ritrovare anche a due millenni di distanza, e non soltanto nelle raffigurazioni mariane. Lo Pseudo-Giovanni del resto scriveva nel mediterraneo già globalizzato del secondo secolo, mescolando simboli già rimasticati. Una donna abbinata alla luna non poteva che rammentare una dea lunare, non una in particolare ma un po' tutte: Artemide (luna crescente), Selene (luna piena), Ecate (luna calante, anch'essa di origine anatolica e spesso raffigurata una e triplice: celeste, terrestre e marina). La posizione della luna sotto i piedi lascia immaginare che la Donna abbia sostituito la stella del mattino in un simbolo già frequente sulle monete persiane e anatoliche. Lo Pseudo-Giovanni aggiunge però sul suo capo dodici stelle, chiaro riferimento alle dodici tribù del popolo d'Israele. Si incontrano così nella sua visione tre immagini che avrebbero proseguito i loro percorsi fino ad arrivare alla contemporaneità: la mezzaluna protettrice di Bisanzio, rivendicata dai conquistatori ottomani, sulle bandiere moderne delle nazioni musulmane; le dodici stelle, sulla bandiera del Consiglio d'Europa (e poi dell'UE). Persino la Donna del cielo è stata sventolata almeno una volta su una bandiera, durante la rivoluzione messicana. Ma in generale preferisce riapparire nelle visioni mistiche, soprattutto da Lourdes in poi. Buon anno a tutti (ma soprattutto a tutte).
Una cosa imbarazzante sul mio vaccinismo
30-12-2020, 21:11autoreferenziali, Beppe Grillo, epidemia 2020, malattiaPermalinkOvviamente si parla molto di vaccini, ovviamente ognuno ha opinioni molto nette e le squadre a questo punto sono fatte già da un po', ad esempio io non posso che essere un vaccinista. E in effetti da che io mi ricordi mi sono sempre vaccinato, e ho sempre ostentato con fierezza la cicatrice dell'antivaiolo (sì, sono così vecchio). Appena ho avuto prole sono subito corso a vaccinarla, non contentandomi delle dosi obbligatorie ma aggiungendo anche le facoltative perché alla fine una meningite non è uno scherzo.
Negli anni nulla sembra avere scalfito la mia fede nei vaccini: nemmeno un ciclo di sottocutanee che da ragazzino mi gonfiavano l'avambraccio in stile Popeye e che evidentemente non mi hanno protetto dalle crisi allergiche (o se l'hanno fatto beh, evidentemente ero molto allergico prima). Avendo avuto l'opportunità, nella vita, di studiacchiare un po', so che l'obbligo vaccinale è sempre stato un problema eminentente politico, sin dai tempi in cui i rivoluzionari lo introducevano e i restauratori lo abolivano. So persino che la diffidenza nei confronti del vaccino non è una novità postmoderna, ma ha una lunga storia (qui dettagliata mirabilmente da Erik Boni).
Sono abbastanza sicuro che i vaccini oggi funzionino, ma anche se non ne fossi sicuro sarei vaccinista lo stesso, tanto l'opzione vaccinista si adatta alle mie idee politiche. Quel che mi piace veramente dei vaccini non è nemmeno che siano un'alternativa a basso costo ai farmaci, ma il modo in cui mettono spalle al muro i liberali libertari e tutto il loro supposto libertinismo. Il fatto che il vaccino funzioni soltanto se lo fanno tutti costringe la massa a farsi gregge e getta onta su chi non vuole starci. Niente salvezza individuale: o ce la facciamo tutti, o non ce la fa nessuno. Oltre a debellare il Covid, abbiamo l'opportunità di stroncare finalmente il calvinismo, che tanti più danni ha fatto all'umanità e all'ambiente. Il fatto che l'obbligo vaccinale incontri le resistenze di molti supposti populisti non mi scandalizza affatto, anzi mi dà l'opportunità di riconoscere in controluce l'individualismo che coprono con le patacche dell'ideologia del momento. Le fake news che si inventano (i microchip, il 5G, la trasformazione dell'individuo in un automa) non sono che rigurgiti del loro inconscio e li osservo da distanza con un certo piacere mentre sussurro verrete assimilati. La resistenza è inutile. Insomma sono un vaccinista, ben fiero d'esserlo, e lo sono sempre stato, da che io mi ricordi.
Perché mi ricordo male.
Potrei dire che a questo serve avere un blog, ma a chi? Ce l'ho soltanto io un blog da vent'anni, un album in cui invece di fotoritratti imbarazzanti ci sono tutte le idee che ho avuto, talvolta un po' più imbarazzanti. Ed ecco, se vado a cercare cosa pensavo dell'obbligo vaccinale nel mio lungo passato, tutta questa foga vaccinista non risulta. Di vaccini non ho quasi mai scritto – del resto non è mica obbligatorio avere un'opinione su tutto, nevvero? Evidentemente sui vaccini non l'avevo. Poi a un certo punto è successo qualcosa, non soltanto a me – è stato come se il dibattito pubblico si fosse all'improvviso polarizzato, costringendomi a scegliere tra due sole opzioni: proVax o noVax. Il blog mi consente anche di capire più o meno quand'è successa questa cosa: nel 2014. Pochissimo tempo fa, tutto sommato. L'evento scatenante: la procura di Trani stava indagando su due casi in cui l'antimorbillo aveva causato autismo e diabete, almeno secondo i genitori denuncianti. Ma in controluce, nel 2014 ciò che mi spaventava veramente era il grillismo. Per quanto io possa raccontarmi una storia più lunga e complessa, il momento in cui sono diventato vaccinista è il momento in cui ho visto un partito noVax vincere le elezioni. Mi domando a quanti sia successa la stessa cosa, e se in tanti casi come questi la nostra legittima curiosità per le idee più estreme (il complottismo a base di microchip e 5G) non ci faccia perdere la bussola: è persino probabile che Grillo e il suo movimento abbiano contribuito a ingrandire molto più le fila dei vaccinisti che quelle dei noVax, semplicemente polarizzando un grande centro moderato che fino a quel momento sulla questione non aveva idee precise, e forse senza Grillo non le avrebbe mai avute (lo stesso Grillo in seguito mostrò di aver capito questa cosa, mantenendo sull'argomento una posizione abbastanza moderata).
Che prima del 2013/14 io facessi parte di un centro moderato senza idee precise lo dimostra almeno un pezzo del 2008 in cui dei vaccini si parla soltanto soltanto di striscio: l'obiettivo polemico era il sensazionalismo dei telegiornali, che al tempo mi sembrava sempre più schizofrenico, diviso com'era dalle necessità di allertare lo spettatore e di offrirgli una rassicurazione immediata. Non so nemmeno di che virus si parlasse ai tempi: forse l'aviaria. Chissà come avrei reagito se fosse diventata pandemica davvero. Chissà come l'avremmo presa tutti, al tempo, senza servizi streaming e coi social network ancora in stato embrionale. Suppongo che avrei bloggato un sacco. Meglio così.
Veniamo alle buone notizie. E' da un po' che vi parliamo della nuova influenza, ebbene, pare che non ci sia nulla da temere, infatti l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato che si tratterà di un'ORRIBILE PANDEMIA. Moriranno appena MIGLIAIA DI PERSONE VACCINIAMOCI TUTTI SUBITO, VACCINIAMOCI PRESTO COSA FAI LI' VECCHIETTO, CORRI A VACCINARTI. Insomma, l'allarme è praticamente PANDEMIA! rientrato. PANDEMIA! Basta così, i nostri 40 secondi di pilloline ve li abbiamo fatti vedere, speriamo sia passato un PANDEMIA! messaggio rassicurante.
La Messa che non era a Mezzanotte
24-12-2020, 10:36Chiesa, non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo, ponteficiPermalink(Questo è un pezzo per il Post. La prima parte l'avevo già scritta qui qualche mese fa, la seconda su The Vision qualche anno fa, del resto è Natale, anzi buon Natale a tutti!)
Nel 1576 i milanesi non fecero la messa di Natale. Eppure la peste sembrava non colpire forte come due mesi prima: certo il conteggio dei contagiati e dei morti doveva essere più difficile di adesso, ma a metà dicembre il Tribunale di Sanità aveva la netta sensazione che i numeri stessero calando. Insomma il lockdown imposto a fine ottobre sembrava aver funzionato. Ciononostante i membri del Tribunale – che dopo la fuga delle autorità spagnole erano di fatto i reggitori della città – decisero che non era il caso di abbassare la guardia, e comunicarono la decisione all'arcivescovo. La quarantena sarebbe proseguita "fin che si vedesse ben nettata tutta la Città da peste, con consenso pure del Cardinale". Il vescovo era il cardinale Carlo Borromeo, uno dei protagonisti della Controriforma. Non proprio un personaggio conciliante: in tante altre situazioni lo ritroviamo ai ferri corti con le autorità civili e municipali, eppure in questo caso le cronache non riportano nessuna esitazione da parte sua. Lasciò solo scritto che gli dispiaceva che i cristiani "ancora fussero impediti di andare alle Chiese", e diede istruzioni affinché i sacerdoti mantenessero un corretto distanziamento mentre visitavano le case dei loro parrocchiani per impartire (dall'esterno) la benedizione, ma anche per monitorare la situazione del contagio e verificare quelle situazioni di disagio economico al quale il Cardinale spesso provvedeva attingendo dal suo patrimonio.

Qualche anno fa, proprio sul Post, mi è capitato di scrivere un pezzo abbastanza ingiusto su Carlo Borromeo, in cui rimpallavo l'accusa di avere veramente meritato che la "peste di San Carlo" prendesse il suo nome, a causa di quelle processioni che avrebbero contribuito a diffondere il morbo. Le cose come sempre sono più complesse: è vero, Borromeo ritenne giusto organizzare alcune processioni (cedendo forse a una pressione popolare), ma nell'occasione prese precauzioni che a distanza di quattro secoli facciamo fatica a prendere noi. La processione che portò il Sacro Chiodo in giro per la città il 5 ottobre era composta di soli uomini: donne e minori di 15 anni, che risultavano maggiormente soggetti al contagio, erano già in lockdown domiciliare. Tra un partecipante e l'altro, un distanziamento di tre metri, che considerati i modi spicci dei birri del tempo era probabilmente rispettato (noi oggi a più di un metro di distanza non riusciamo a stare, neanche in coda in farmacia).
Altre direttive del Borromeo ai suoi sottoposti fanno intuire che una rudimentale scienza epidemiologica esistesse già, anche in mancanza di microscopi e del concetto di virus: del resto la peste era pandemica in Europa da tre secoli, in mezzo a tanti errori i nostri antenati qualcosa l'avevano imparato: qualcosa a cui alcuni di noi ancora non si rassegnano. Carlo visitava i malati come il suo ruolo imponeva, ma si portava una lunga bacchetta per tenerli a distanza: tra una visita e l'altra faceva bollire i vestiti. Altri strumenti, in un mondo senza distillati, erano la spugna d'aceto e le candele su cui passare le mani dopo aver distribuito l'eucarestia: sempre comunque su un piattino d'argento, e fuori dalla chiesa. Carlo era tutto tranne un cardinale illuminato: qualche anno prima pur di bruciare una donna rea di stregoneria aveva avuto un contenzioso con l'Inquisizione, che chiedeva almeno un processo. Persino Carlo sapeva quand'era ora di chiudere le chiese, e che oltre a sperare in Dio bisognava stare in casa il più possibile. Il lockdown sarebbe durato fino a febbraio. Tutto sommato un successo, se si confronta per esempio il numero pur ingente di vittime (17000) con quello per esempio di Venezia (70000).
La peste di Carlo mi è tornata in mente in questi giorni, ovviamente, man mano che su social e quotidiani cominciava a comparire il nuovo episodio del Complotto contro il Natale. Si tratta di un format ormai caratteristico della stagione, sostanzialmente mutuato dagli USA, dove ha un nome più aggressivo (War on Christmas). Ma la sostanza è sempre quella: appena le radio cominciano a programmare i brani natalizi, e i negozi a illuminarsi di addobbi, ecco che scopriamo che c'è qualche cattivo in giro che ha intenzione di rubarci il Natale. Esatto, è la trama del Grinch. Nel ruolo che fu di Jim Carrey si alternano i fanatici del politically correct che vorrebbero togliere "Christmas" dalle cartoline d'auguri perché contiene "Christ", o nella versione italiana un fantomatico consorzio di genitori islamici che impedirebbe alle scuole italiane di allestire il presepe. La cosa era talmente rituale che vi ha trovato posto persino un imam che sul più bello ogni anno dichiara ai media che i musulmani non hanno niente contro il presepe. Perché il bello della guerra contro il Natale è che alla fine il Natale vince sempre, come si conviene del resto alla festa del Sole Vincitore. I suoi nemici – il grinch, il krampus, l'imam – non servono che a ribadirne i trionfi. Era insomma inevitabile che il ruolo del grinch quest'anno spettasse all'entità che ci ha rovinato anche il resto dell'anno: il Covid19.
Il problema è che a differenza delle altre minacce, il Covid ha il grossissimo inconveniente di esistere davvero. Così trovarsi a pranzo coi parenti quest'anno sarà davvero più difficile, il che risulta alla maggior parte di noi meno tollerabile di quanto cinema e letteratura sull'argomento lasciassero pensare. E la messa non si celebrerà più a mezzanotte, il che ha destato lo scandalo di molti ferventi giornalisti d'area conservatrice – ignari probabilmente che al Vaticano quella messa la celebrano alle 22 da anni, e che ad anticipare la funzione religiosa è stato proprio il papa più compianto dai tradizionalisti, Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger – probabilmente temeva che gli cadesse una palpebra in diretta tv, del resto chi l'ha detto che Gesù sia nato alle 0:00? (se è per questo, non c'è molto consenso nemmeno sulla data).
La Messa di mezzanotte è uno dei tanti elementi di una tradizione che crediamo immutabile e che invece si modifica continuamente: come i dolci da forno tipici, che arrivano nella maggior parte delle tavole italiane soltanto nel dopoguerra, o l'iconografia di Babbo Natale che deve tantissimo alle campagne pubblicitarie di una nota bibita gassata. L'idea che nei secoli scorsi gli italiani celebrassero la nascita di Gesù nel cuore della notte è smentita da un fatto semplice: fino a metà dell'Ottocento i campanili italiani suonavano la mezzanotte mezz'ora dopo il tramonto.
A scuola il virus c'è, non rompete
18-12-2020, 11:15epidemia 2020, scuolaPermalinkLa scorsa settimana mi è capitato di aprire un portone della mia scuola e di ritrovarmi all'improvviso investito da un flusso di studenti che aspettava di uscire – evidentemente nell'imminenza della campanella si erano premuti contro l'ingresso, come bollicine di uno spumante molto agitato. Il giorno dopo uno studente di quella classe è risultato positivo: due giorni dopo la classe è rimasta a casa, in attesa di tampone. Quando dico "classe" intendo ovviamente il gruppo degli studenti: gli insegnanti non sono rimasti a casa, e stanno tuttora facendo lezioni in altre classi (tra cui una che due giorni dopo è stata chiusa per lo stesso motivo). Però la scuola è sicura, eh? Si saranno senz'altro contagiati a casa, al limite nel parchetto.
Dopo tre mesi di scuola in presenza con la mascherina, credo di avere il diritto di esprimere una certa stanchezza: non certo delle lezioni – valgono comunque la pena – ma del sovrappiù di stress che la situazione comporta. Io e i miei colleghi della scuola media lavoriamo con ragazzi potenzialmente contagiosi come gli adulti e i ragazzi più grandi, quelli che a scuola non ci vanno più. Noi continuiamo ad andarci e a chiedere ai nostri studenti, ogni giorno, di mantenere un distanziamento e una serie di precauzioni che anche i più ragionevoli non riescono più a capire (figuriamoci quelli che sputano sulla lavagna per cancellare): che senso avrebbe tenere un metro di distanza in corridoio, se poi fuori ormai la gente si abbraccia? Non siamo ormai fuori pericolo, non stanno diminuendo i morti – che poi tanto si sa sono soltanto vecchi e improduttivi? Tutto questo proprio nel momento in cui il virus colpisce esattamente le nostre scuole: la consegna è affermare che il contagio deve essere avvenuto fuori, perché la scuola è sicura.
Io posso anche capire che ci siano motivi sociali ed economici per cui è meglio che la scuola media resti aperta – anche se questo significa maggiori rischi per me e per i miei famigliari. Capisco questi motivi, li rispetto: credo che la scuola sia il luogo educativo per eccellenza, indispensabile a una società che voglia veramente dirsi equa e democratica, e allo stesso tempo so benissimo che si tratta anche di un indispensabile parcheggio per i minorenni e non mi ha mai dato fastidio concepirla in questo modo (ho anch'io minorenni da parcheggiare). Posso persino capire l'ipocrisia, è tutta una vita che capisco l'ipocrisia, per cui non solo ci tocca tenere aperto tutte le mattine un hub del virus, ma dobbiamo anche cercare di non spaventare genitori e colleghi, dobbiamo anche raccontare e raccontarci che la scuola non è un luogo così rischioso, mica come gli autobus. Quel che mi domando è fino a che punto questa ipocrisia sia necessaria e oltre quale livello non diventi controproducente: perché se dici alla gente che la scuola è un luogo sicuro, poi non puoi lamentarti che la gente ti creda e abbassi le mascherine sotto la punta del naso – tanto è un luogo sicuro, no? No, maledizione, quella è una storia che raccontiamo a tua madre per farla dormire tranquilla, e anche lei probabilmente ci crede giusto quanto basta a prender sonno, non un grammo di più, onde per cui sii bravo e indossa quella maschera come è giusto indossarla in un luogo chiuso in cui i virus si comportano esattamente come in ogni altro luogo chiuso al mondo.
Non c'è nessun campo di forze antivirus a scuola, anche se in un qualche modo abbiamo deciso di fingere che c'è. Magari lo avete letto sul giornale, ecco, appunto: il solo fatto che lo abbiate letto su un giornale italiano ormai dovrebbe farvi rizzare le antenne. L'altro giorno sull'homepage del Corriere c'erano ben due titoli che dicevano che la scuola è sicura – si vede che un titolo solo non ci avrebbe confortato abbastanza. Ne ho cliccato uno soltanto, portava a un breve intervento di un esperto che è una delle cose più contorte che ho letto in vita mia: sia per i dati portati a sostegno della sua tesi, sia per il modo in cui ha scelto di esprimersi.
Il dubbio è venuto a molti. La riapertura delle scuole ha contribuito a diffondere il virus? Naturalmente il dubbio non va inteso nel senso che l’ambiente scolastico sia particolarmente adatto al contagio, nonostante la media di oltre 20 studenti per classe e nonostante le promiscuità, le scarse difese, le disattenzioni, le inadeguatezze strutturali dei plessi scolastici.
Si può anzi ritenere, dopo gli sforzi fatti la scorsa estate dal ministero, dai direttori didattici e da tutto il personale, che l’ambiente scolastico resti non più rischioso di altri.
Io la persona che ha scritto questa cosa me lo immagino con la pistola puntata alla tempia, come lo speaker russo dell'Aereo più pazzo del mondo sempre più pazzo. Grazie agli sforzi fatti dal ministero, l'ambiente scolastico non è diventato persino più rischioso... Ci sta sfottendo, è così? Non escludo che la sintassi involuta non celi un messaggio in codice, e che leggendo soltanto alcune iniziali sia possibile ricostruire le coordinate della cella in cui lo hanno rinchiuso, nutrendolo con dati statistici a caso. Lo "studio" che riporta è risibile, per quel poco che è dato di capire: si trattava di dimostrare che non c'è correlazione tra incidenza di studenti sulla popolazione regionale e numero di contagi. Una sciocchezza del genere, di fronte a un virus che ha colpito le regioni in modo molto diseguale, e che nella maggior parte dei contagiati in età scolare non lascia tracce (il che non significa, ripetiamolo per l'ennesima volta, che non possano avere contagiato altre persone). Una cosa così imbarazzante sull'homepage di quello che dovrebbe essere il più prestigioso organo d'informazione italiano, per fortuna che basta scrollare un po' sotto e si arriva alle foto di Beatrice Borromeo e Carolina coi capelli bianchi! Nel frattempo escono paper, niente che possa interessare ai giornalisti italiani: qui per esempio c'è uno studio sulle scuole di Reggio Emilia, vi traduco le conclusioni: La trasmissione del virus all'interno delle scuole è avvenuta in un numero non irrilevante di casi, in particolare nella fascia di età dai 10 ai 18 anni, ovvero alle scuole medie inferiori e superiori. Il che tra l'altro non stupisce: lo sappiamo già da un po' che dai 10-12 anni poi i ragazzi sono potenzialmente contagiosi tanto quanto gli adulti.
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Questo invece è stato pubblicato su Science, ma cosa vuoi poi che ne sappiano. |
Lo sanno benissimo anche ministri e presidenti di regione, che le scuole superiori le hanno chiuse abbastanza presto: e che anche nelle medie inferiori, appena si registra uno studente positivo, chiudono la classe intera in attesa di tampone – se davvero la scuola fosse protetta da questo misterioso campo di forza, non ce ne sarebbe bisogno. Il motivo per cui le medie restano aperte ha più a vedere con l'ordine pubblico che con le evidenze epidemiologiche. È lo stesso motivo per cui ci è stato consentito di rilassarci un po' quest'estate (il che ha consentito a tanta gente di mantenere una tenuta psicologica) e addirittura di andare per negozi a Natale, benché questo comporti un aumento sicuro dei contagi e dei morti.
Questa cosa io l'ho capita: mi piacerebbe però che la capisse più gente. Che gli insegnanti, che in questa fase stanno rischiando un po' di più di altri professionisti, si potessero almeno risparmiare il consueto tiro al piccione, gli strali di chi non si capacita del fatto che quest'anno si facciano i ponti come in qualsiasi altro anno scolastico, di chi sta già proponendo di tenerci a scuola fino a luglio e tutte le altre sciocchezze che a fine 2020 sono persino meno divertenti del solito. Per cinque-sei mattine a settimana vi teniamo i figli, li costringiamo a tenere una mascherina e cerchiamo di evitare che si ammucchino e si azzuffino, il che risulta difficile persino alla maggior parte di voi genitori. Almeno non rompete i coglioni, grazie, e buone Feste.