Le 10 intercettazioni che meritavano (10-8)

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Ci hanno fatto indignare, ci hanno fatto ridere, ci hanno fatto sognare: poche cose ci hanno tenuto compagnia in questi anni come le intercettazioni. D'estate soprattutto – cosa sarebbe stata l'estate scorsa senza la D'Addario? l'agosto 2005 senza i furbetti del quartierino? Ambientali o telefoniche, le intercettazioni ci hanno fatto sentire un po' detective, un po' voyeur, un po' cittadini responsabili che s'informano sui difetti dei loro potenti, un po' sceneggiatori italiani che prendono appunti per una fiction ma poi gettono la spugna: tanto alla fine la realtà ci batte sempre.
È stato bello, bisogna dirlo. Berlusconi non era così terribile, finché potevamo dargli un'occhiata sotto i pantaloni. Ma ormai è tutto finito. Mentre aderiamo a tutte le proteste e le raccolte di firme del caso, noi della redazione di Leonardo abbiamo pensato di fare una classifica delle dieci intercettazioni che hanno lasciato il segno. Un modo per rileggerle o riascoltarle e magari scoprire che poche cose, giornalisticamente parlando, invecchiano bene come una buona intercettazione. Gli editoriali sbiadiscono, la cronaca stinge, ma quel che disse Berlusconi a Saccà è ancora lì, come scolpito nel marmo.

10. Abbiamo una banca!
Se la ricordano tutti così. In realtà secondo il Giornale, che pubblicò l'intercettazione nel gennaio 2006, Fassino disse a Consorte (Unipol): “E allora siamo padroni di una banca?”, per poi correggersi immediatamente: «Siete voi i padroni della banca, io non c’entro niente».
Ecco, dovessi spiegare il fascino delle intercettazioni, farei questo esempio: rubano l'anima. Per esempio, in questo lasciarsi andare (“siamo padroni!”) e rettificarsi subito (no, anzi, "siete voi i padroni", io no) c'è tutto Pietro Fassino, in tutto il suo contorcimento interiore. Lui magari voleva soltanto festeggiare con un po' di familiarità, ma poi il suo superego gesuita si ricorda che festeggiare è da sfacciati, e cerca di rimediare con una genuflessione non richiesta ("siete voi i padroni"); e intanto lascia ai paranoici (noi) l'impressione di saperne un po' di più: intuiva che lo stessero spiando? Violante si azzardò a dire che Fassino aveva usato il noi in senso dialettale, pare che i piemontesi lo facciano (noi al posto del tu? Violante? Ci prendiamo per fessi?)
È una delle intercettazioni meno sexy in assoluto; in compenso è una delle poche che forse ha davvero fatto Storia. Era la campagna elettorale del 2006; sembrava che il governo Berlusconi fosse agli sgoccioli, invece all'ultimo momento la Casa delle Libertà pareggiò con Prodi. Si parlò molto in quei mesi della sinistra uguale alla destra, che trescava con finanziarie e cooperative e addirittura pretendeva di possedere banche. Un temino sull'argomento lo scrissero tutti gli opinionisti di sinistra, penso di averlo fatto persino io. Qualche mese fa un manager milanese, Favata, ha confessato di aver consegnato personalmente l'intercettazione a Berlusconi, alla vigilia del Natale '05, ricavandone in cambio una promessa di “eterna gratitudine”, peraltro non onorata. A distanza di cinque anni Berlusconi continua a vincere le elezioni, Favata è sul lastrico, Fassino è stato completamente scagionato (Consorte no), e Bossi dichiara candidamente ai giornali che la Lega deve avere una banca. Qual è il trucco? Che in Italia puoi dichiarare ufficialmente qualsiasi cazzata. Diventa uno scandalo solo se la dici in un'intercettazione.

9. I furbetti del quartierino
L'espressione idiomatica più usata nel 2005/06, al punto da meritarsi una pagina di wikipedia. Dove si scopre la curiosa inversione semantica: il “furbetto del quartierino” per eccellenza è l'immobiliarista Stefano Ricucci, ma l'espressione (perfetta e ridondante il giusto per descrivere il provincialismo gretto dei nostri imprenditori) la coniò lui, al telefono, parlando delle manovre ostili di certe banche estere. L'espressione gli si è poi ritorta contro.
Io, lo confesso, ho un ricordo assai vago di tutta la faccenda. Era estate e ci stavamo perdendo da qualche parte in Normandia, ogni tanto riuscivamo a metter le mani su qualche vecchia copia della Repubblica, di quelle stampate in bianco e nero in un inchiostro che ci restava tra le mani. Ci stendevamo sulla spiaggia e leggevamo i dialoghi stentati dei potenti, e non li invidiavamo. Le uniche cose che ricordo un po' sono le affettuosità di Ricucci ad Anna Falchi, e di Gnutti alla sua Ferrari nuova. (A quei tempi anche l'intrusione nell'intimità di un palazzinaro ci sembrava qualcosa di rivoluzionario: a riascoltarle oggi, dopo aver sentito i consigli di Berlusconi a una entraineuse, le storielle dei furbetti ci farebbero tenerezza).

8. Imballati o sfusi, frega niente
Ma chi l'ha detto poi che servono i vip per appassionarsi a un'intercettazione. Quelle di Biutiful cauntri sono anonime e iperrealiste (forse a loro devono qualcosa gli sceneggiatori di Gomorra). L'audio è ottimo, la caratterizzazione dei personaggi impeccabile, l'accento perfetto, forse i dialoghi sono un po' telefonati, ma è il paradosso delle intercettazioni: se dovessimo scriverlo noi, un dialogo tra due imprenditori del nord che buttano tonnellate di veleno in una discarica illegale, non ce ne usciremmo con frasi stereotipate ed eloquenti del tipo “è stato fatto un accordo per non spaventare la popolazione, bisogna andare con i piedi di piombo”. Ma questi signori non stanno fingendo: stanno veramente avvelenando l'Italia, e quando parlano si permettono tutti gli stereotipi e che vogliono. “Però quello te lo tieni per te dopo il 16... se no vanno tutti i comunisti con bandiera rossa davanti”.

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