La stima del terremoto

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Sarebbe poi interessante capire - visto che di terremoti ne avremo sempre, che tocca abituarsi non solo ai rischi, ma anche alle chiacchiere che seguono - sarebbe interessante capire come nasce quest'ossessione per la magnitudo come misurazione assoluta. Il famoso 7.1 che ci fece sobbalzare anche se a casa nostra non ballava nemmeno il lampadario, abbiamo scoperto, fu un errore: se qualche ente internazionale davvero lo divulgò, è riuscito nel frattempo a farlo sparire. La foga con cui i giornalisti lo ripresero è perdonabile: quando un dato è già disponibile in Rete, non ha molto senso pensare di filtrarlo; se non lo pubblichi tu lo farà qualcun altro, e comunque ci sarà tempo per aggiustare. Salvo che il pubblico questa cosa non la capisce.

Il fatto che il terremoto non si presenti immediatamente con un numero preciso - magari anche un decimale che aiuta a dare un tono, salve mi presento sono una scossa del Sei Punto Cinque - è percepito come un disturbo nel normale ordine di cose: un chilo di pane è un chilo di pane, una macchina che va a cento all'ora dopo un'ora ha fatto cento km., perché un terremoto non dovrebbe essere altrettanto preciso e quantificabile? In fondo è solo un evento tellurico che avviene a km di profondità in un sottosuolo inesplorato, sprigionante megatoni di energia. Perché due sismografi a distanze diverse non dovrebbero dare immediatamente la stessa misurazione precisa? Dove si rinota la fiducia del tutto magica che il cittadino ripone nella scienza: non sa come funziona ma pretende che funzioni con precisione immediata, e se non è così si ritiene defraudato. Se gli racconti che in certi casi assomiglia più a Ballando con le stelle, ci sono vari misuratori e poi si fa la media, ci rimane malissimo.

Mi domando se non sia una responsabilità della scuola (cioè mi domando se non sia colpa mia). Quando aiutiamo i ragazzi a misurare le cose, quanto insistiamo sul fatto che la misurazione, qualsiasi misurazione, è comunque soggetta a un errore? Che le misure non esistono a priori in una dimensione iperuranica, ma che sono una forma di comunicazione, e quindi sempre in parte una bugia? Che non c'è modo di conoscere davvero la circonferenza partendo da un raggio, che un chilo di pane non è davvero un chilo preciso - e cos'è un chilo poi? Che il prodotto interno lordo si misura in dollari e i dollari ogni giorno valgono una quantità di euro diversa? Che insomma ogni misura è complicata, interessante ma complicata?

O li abituiamo a domande facili, e a dubitare di chi non ha la risposta secca? "Quant'era forte l'ultima scossa?"
"Eh, beh, dipende da tanti fattori: la profondità, la durata, la magnitudo - ce ne sono diverse - la densità degli insediamenti, la robustezza degli edifici..."
"La fai troppo lunga, mi stai senz'altro nascondendo qualcosa".
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C'è qualcuno stupido sull'internet: che fare? (Appunti di ecologia dell'informazione disintermediata)

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Premessa cretina: molto prima che entrasse internet nelle nostre già stupide vite, avevo avuto occasione di notare come l'umanità si potesse dividere in due davanti a una buccia di banana: quelli che ridono se il passante cade e picchia la testa, e quelli che si spaventano perché magari si è fatto male. Non è una questione di intelligenza, di cultura e forse nemmeno di empatia: è una questione di pochi decimi di secondo, c'è chi si mette a ridere e chi no.

Ieri cercavo di spiegare che, se da una parte capisco la necessità di sbugiardare immediatamente chi inquina la rete con notizie false, come la senatrice Blundo, dall'altra credo che un certo tipo di reazione tipica dei social - lo screenshot, la gogna, la proliferazione di parodie - finisce per essere ancora più inquinante. Quindi che fare?

Quando leggo qualcosa di falso o di stupido su internet (ad es. Renzi trucca i sismografi per non rimborsare i terremotati), io per quanto posso non reagisco ricopiando il contenuto o parodiandolo. Ricopiare una bugia o una sciocchezza è pericoloso; quanto alle parodie, rimando alla legge di Poe: non posso escludere che qualcuno ci caschi.

Del resto, cosa voglio davvero ottenere rispondendo a chi mi manda contenuti del genere? Se penso che si tratti di un cretino senza speranza, fargli il verso è come ridere di un disabile. Se invece credo che la speranza ci sia, che il tizio in questione possa cambiare idea, ottimo: ma di sicuro non gliela cambierò ridendogli in faccia o facendogli il verso. E dunque?

Dunque mi limito a reagire pubblicando quella che, in coscienza, credo che sia la verità: sismografi diversi danno risultati diversi, ogni misurazione di un terremoto presenta un inevitabile margine di errore, la stessa magnitudo che alla fine l'INGV assegna a una determinata scossa è un'astrazione, una media ponderata di misurazioni diverse; e non c'è nessuna legge che lega i rimborsi alla magnitudo delle scosse. Se cerco di spiegare tutte queste cose, nel modo più chiaro possibile (citando fonti degne di fede), forse non convincerò nessuno, ma almeno avrò evitato che qualcuno fraintenda quel che scrivo e capisca il contrario. Certo, sembrerò più noioso di chi incolla uno screenshot e lo addita agli amici in cerca di obiettivi per lo sberleffo quotidiano: è quello che ti succede quando diventi adulto e cerchi di vivere in modo responsabile, anche in questo posto particolare, la Rete. O forse non c'entra nemmeno l'età adulta, forse sei sempre stato uno di quelli che non si mette a ridere quando il prossimo tuo scivola sulla buccia di banana.

Scrivere su internet è un'operazione tutta particolare su cui non si è ancora ragionato abbastanza (e dire che ormai è abitudine quotidiana di milioni di persone). Non è come scrivere agli amici, non è come scrivere agli sconosciuti; è un po' l'una e l'altra cosa insieme nello stesso momento. Quando scriviamo pensiamo sempre a un determinato pubblico. Nel caso di un social network è facile che si tratti di amici o conoscenti; un blog ha i suoi lettori abituali. Allo stesso tempo, quando scriviamo speriamo di attirare lettori nuovi, lettori diversi (io, almeno, lo spero sempre). Questo mi impedisce di sviluppare un linguaggio per iniziati; di proseguire una narrazione senza riassumere, sempre, i precedenti; di dare per scontato qualsiasi contesto, qualsiasi premessa; e mi impedisce anche di scrivere parodie o, come si dice adesso, fake. Per quanto possano essere divertenti (ma il più delle volte non lo sono), le parodie sono rischiose. Le meglio riuscite sono proprio quelle che maggiormente rischiano di ingannare il lettore occasionale.

Ma io - questo è il punto - non voglio ingannarlo, non voglio prenderlo in giro, non voglio tenerlo fuori da quel che scrivo. Voglio attirarlo, voglio che si senta a casa sua anche se non è quasi mai d'accordo con gli altri (come in ogni casa che si rispetti). Voglio provare a convincerlo. E persino se fosse un cretino senza speranza, non mi divertirei a prenderlo in giro. Sul serio, non è che faccio finta. Sono proprio così noioso, non mi fanno ridere le barzellette sui disabili e potreste scivolare su una buccia di banana davanti a me, non ci troverei niente di buffo. Quando qualcuno cade vicino a me ho sempre paura che si sia fratturato qualcosa.
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Sei sicuro di essere più intelligente della senatrice complottista?

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Cara persona intelligente, che nel giorno della scossa più forte hai condiviso il tweet della senatrice 5stelle, arrabbiata con Renzi perché ritocca i dati dei sismografi per non rimborsare i terremotati. Lo hai ripostato anche otto ore dopo. Ci hai scherzato coi tuoi contatti. Ci hai scritto un pezzo sopra e lo hai pubblicato su un blog o su un quotidiano.

Dobbiamo parlare.

Perché lo fai? Perché ogni volta che vado su un social, invece di trovare subito cose interessanti, trovo strafalcioni ridicoli e bufale stantie, messe in giro da te o da altre persone come te, ugualmente intelligenti?

Un grafico altrettanto chiaro in italiano
ancora non si trova.
Potresti dirmi che lo fai per denunciare l'ignoranza altrui, tanto più grave quando appartiene a una persona investita di potere e responsabilità, come appunto una senatrice. E ci potrebbe anche stare. Probabilmente è stato anche grazie alla pronta reazione di chi le stava intorno che la senatrice ha modificato il tweet pochi minuti dopo - senza peratro rinunciare all'impianto complottista. Ai tempi del terremoto in Emilia - appena quattro anni fa - la stessa bufala circolò indisturbata per settimane. Adesso appena qualcuno la mette in circolo viene preso in giro universalmente. E però qualcosa non mi torna.

Il tweet originale sul complotto anti-magnitudo sarà resistito per quanto, mezz'ora? Ma dodici ore dopo la mia bacheca era ancora invasa dagli screenshot, dalle immagini prese al volo di quel tweet. Come se la cazzata in questione fosse davvero troppo bella per non essere diffusa, reclamizzata, amplificata. Cara persona intelligente.

Sei sicuro che sia una buona idea? Prendere una cazzata che è durata pochi minuti, clonarla e disseminarla ovunque puoi sui social e sulla rete in generale?

Ci provo con un esempio scolastico, che spero non complichi le cose: se vuoi insegnare a un bambino come si scrive "scuola", sulla lavagna devi scrivere esattamente: "scuola". Se sai che qualcuno scrive "squola", lo correggerai sul suo quaderno: ma non devi mai, mai scrivere sulla lavagna la parola con la q. Perché anche se la barri col gessetto rosso, anche se spieghi ad alta voce che è la grafia sbagliata, anche se passi mezz'ora a sottolineare il concetto, se quella q resta sulla lavagna c'è sempre il rischio che qualche alunno distratto non faccia caso al contesto, e creda che quella sia la grafia corretta. E in quella classe ci sono sicuramente degli alunni distratti.

E sui social la maggior parte degli utenti è distratta. Se tu segnali un tweet stupido ai tuoi amici o ai tuoi follower, sei davvero sicuro che tutti capiranno che è stupido? Stai sopravvalutando la loro attenzione, il loro interesse, forse anche la tua intelligenza. Che è poi il motivo - temo - per cui passi gran parte del tempo sui social a cercare i contenuti più cretini e a condividerli: lo stesso impulso che ci porta a guardare i reality o i talent. Sono pieni di coglioni che fanno errori che noi non faremmo. Ci fanno sentire intelligenti. Ma non è necessariamente così.

Sul serio: tra una senatrice che scrive una scemenza e tu che la twitti a ripetizione, chi dei due ha imparato qualcosa l'altro ieri? Almeno la senatrice lo ha cancellato: magari parte da una situazione di ignoranza più grave della tua, ma dimostra di potersi correggere. Domenica era ancora convinta che ci fosse un sistema di rimborso danni legato alla magnitudo registrata da un sismografo ufficiale, oggi no. Tu invece domenica credevi di essere più intelligente di lei e hai continuato a spammare le sue sciocchezze tutto il giorno: col probabile risultato di averle fatte leggere a qualche distratto che l'altro ieri non ci pensava, e adesso magari è convinto che Renzi vada in giro a truccare i sismografi. Cara persona intelligente.

Ma sei sicuro?
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Toccata e fuga

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Quando ero ancora piuttosto piccolo, dopo le cene dai nonni che ricordo lunghissime, me ne andavo a rovistare tra i vecchi fumetti - Oscar Mondadori ingialliti, con le vignette piccolissime, c'era roba fantastica lì dentro, c'era il primo libro italiano dei Peanuts (Il bambino a una dimensione con prefazione di Eco), c'era BC, c'era Bristow, c'era il Topolino di Gottfredson (La banda dei piombatori! Il mistero delle collane!), c'era la primissima e quasi illeggibilissima versione di Spirit, tanto erano piccola vignette, insomma c'era tutta l'educazione di cui avevo bisogno. E poi c'era, un po' sopra gli altri quasi a tenermelo lontano, un volume di storie strane, che mettevano paura. Erano fumetti tratti da racconti di Ray Bradbury, alcuni (seppi poi) famosissimi, altri introvabili, come questo. Quel volume è l'unico che ho sentito l'insopprimibile necessità di trovare su ebay, qualche anno fa, quando ero in cerca di storie di Halloween che facessero paura sul serio. Pubblico qui una di quelle che mi fecero più impressione - ci penso ogni volta che faccio le pulizie, in realtà non così spesso. Buon Halloween a tutti.













































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Cicogne, tornate al core business

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Cicogne in Missione (Storks, Nicholas Stoller e Doug Sweetland, 2016)

Come sapete, da un po' di tempo in qua le cicogne non portano più i bambini. Troppo rischioso, troppo coinvolgimento, insomma adesso preferiscono recapitare smartphone e altri beni di prima necessità. Gli affari vanno bene, tutti sono contenti, noi umani abbiamo trovato un sistema per fare bambini comunque, eppure... eppure forse si stava meglio prima.


Bastano pochissimi minuti per capire che gli autori di Storks hanno lavorato anche al meraviglioso Lego Movie. Le scenografie sono diverse (più convenzionali, purtroppo), i mattoncini hanno ceduto temporaneamente il posto a un mondo di fattorini pennuti, eppure l'atmosfera è la stessa: una grande azienda, un meccanismo grigio, omologante, perfettamente oliato dove basta che qualcuno non sia dove dovrebbe essere per scatenare un'esplosione caotica e vitale. Questo è probabilmente il miglior pregio di Storks: in una fase in cui ormai esce un buon film d'animazione alla settimana, e il rischio che si assomiglino tutti è inevitabile, la nuova divisione digitale della Warner quantomeno sta riuscendo a costruirsi un'identità.


Se non può rivaleggiare con la Pixar per qualità o per ambizione, almeno sta diventando un'anti-pixar dal punto di vista ideologico: se la compagnia di Monsters & co., e Inside Out ha sempre celebrato l'importanza del lavoro di gruppo, anche nella versione più corporativa e aziendale, Lego e Storks cercano di suggerirci che le ditte sono la morte dell'individualità e della fantasia. Giusta o sbagliata che sia, almeno è un'idea: alla Universal con Pets si sono contentati di prendere vecchie idee Pixar e rimetterle assieme senza aggiungerci niente, e il botteghino sta dando ragione a loro. Ma Storks è un film più interessante. Sfortunatamente, l'altro punto in comune con Lego è l'ipercinesi (continua su +eventi!)


Cicogne, umani e altri personaggi non stanno fermi un attimo, hanno continuamente cose da dirsi ed emozioni da manifestare nel modo più teatrale possibile. Sembrano tutti isterici; ogni snodo della trama parte da un loro gesto impulsivo. La cosa curiosa è che il film sembra proprio voler criticare questo approccio iperattivo alla vita moderna, eppure nella coppia di agenti immobiliari che vivono con l'auricolare (e non hanno tempo di avere un secondogenito) sembra di riconoscere gli sceneggiatori: non hanno mai tempo, devono condensare intere vite in flashback di pochi secondi, far girare i loro protagonisti per il mondo in un battito di ciglia. Cicogne in missione è un film divertente, che strizza l'occhio soprattutto ai giovani genitori, ma come in Lego rischia di disorientare proprio il vero pubblico di riferimento, i bambini. Oggi è ai Portici di Fossano alle 18:30; al Multisala di Bra alle 17:30.
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Un lavoro altamente qualificato

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C'era una volta Nizzoli, un mio studente che a quest'ora ormai si sarà laureato, ciao Nizzoli! Guida piano. Nizzoli era sempre distratto, come a tutti capita. Per mantenere un po' di concentrazione, doveva fare qualcosa con le mani: pasticciare con la gommapane, tamburellare, nocchini ai compagni, disegnare esoscheletri di foggia giapponese, e in mezzo a tutta questa attività ogni tanto la voce del prof veniva a turbargli la concentrazione, come la punta di un aeroplanino di carta lanciato dall'altra parte dell'aula, Nizzoli, ma che fai? Nizzoli, di cosa stavamo parlando?
"Prof..."
"Nizzoli, ma mi spieghi che ci stai a fare qui tu".
"Della deriva dei continenti!"
"Bel tentativo, è stato un'ora fa, siamo al complemento di specificazione".
"..."
"Nizzoli, ci vai mai al McDonald's?"
"Certoprof!"
"Mangiate là o portate a casa?"
"Dipende".
"Nizzoli ma hai presente la ragazza che prende ordini al mcdrive, quella che parla a tuo padre al citofono?"
"Ci vado con mio nonno".
"Bravo nonno. Hai presente quella che gli dice: Cosa desidera e poi prende l'ordinazione, poi dice di andare a pagare venti metri più in là, dove c'è lei in carne e ossa con l'auricolare, ce l'hai presente?"
"Prof ho capito adesso starò attento".
"Troppo tardi Nizzoli. Hai presente il momento in cui questa ragazza, avrà sì e no vent'anni, sta dando il resto a tuo nonno, e nel frattempo parla all'auricolare, sta dicendo Cosa desidera a quelli nella macchina dietro di voi?"
"Ah, ecco perché".
"Vedi che te l'eri chiesto".
"Cioè mi sembrava strano che continuasse a chiederlo a mio nonno".
"Infatti no, non lo sta più chiedendo a tuo nonno. A tuo nonno sta dando il resto, e non sbaglia di un centesimo; e poi gli passa i panini e l'happy meal da maschi, non schermirti, lo so che prendi ancora l'happy meal".
"Cosa vuol dire schermirti?"
"E intanto sta parlando al citofono con la macchina successiva, e sta prendendo gli ordini, ti rendi conto? Capisci quanta concentrazione ci vuole?"
"Prof ma non si stava parlando di deriva dei complementi o cosa?"
"Nizzoli, capisci quanto impegno, quanta concentrazione ci vuole anche solo per fare un lavoro così umile come la cassiera del mcdrive? E ti rendi conto del mio dramma di insegnante, che nemmeno posso dirti studia sodo se non vuoi finire cassiere in un mcdrive?, che c'è gente lì dentro che secondo me mi dà la paga in quoziente d'intelligenza? Nizzoli, ci sei?"
"Scusi prof ma è appena entrata una vespa".

Addio Nizzoli ovunque tu sia - a volte ci passo da un mcdrive, ma non ti ci incontro mai. Non abbastanza qualificato, suppongo.
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Cosa fare col razzismo (o schiacciarlo o svezzarlo)

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Non ci siamo svegliati razzisti una mattina: il razzismo è una possibilità che forse ci portiamo dentro da un passato rinnegato un po' in fretta. È un cucciolo che è stato svezzato e coccolato da una precisa parte politica, per scopi chiari e chiaramente ignobili. Ci sono responsabilità evidenti: testate giornalistiche, programmi televisivi, interi gruppi editoriali hanno deciso di spacciare un determinato tipo di prodotto che creava consenso, vendeva giornali (neanche tantissimi), produceva odio. Certo, c'è la libertà di parola (non quella di propaganda razzista); certo, nel mondo libero ogni messaggio trova la sua nicchia. Siamo uomini di mondo, sappiamo come vanno le cose, le orazioni indignate contro i penultimi che alzano le barricate contro gli ultimi suonano fastidiose e ipocrite. Non ci siamo svegliati razzisti una mattina e non è coi bei discorsi che si può pensare che ci sveglieremo meno razzisti domani. C'è un lavoro da fare. Avrà un costo. E chi ha fatto i suoi soldi seminando odio, ora dovrebbe restituire. È tutto qui.

In Italia abbiamo, tra gli altri, un problema. Non è forse il più grave ma a mio parere è uno dei primi nodi della matassa: una volta sciolto scopriremmo che la situazione è molto più semplice. In Italia, in luogo della tradizionale contrapposizione tra una sinistra progressista e una destra conservatrice, abbiamo avuto una strana psico-dialettica tra una destra che inseguiva il Principio del Piacere e una sinistra che periodicamente rammentava il Principio di Realtà. Berlusconi è stato il simbolo e l'alfiere di una destra irresponsabile, che abbassava le tasse e inseguiva sogni di grandezza: il centrosinistra di Amato o Prodi si faceva vivo ogni tanto, un periodico bagno di realtà che serviva a recuperare un po' di conti, e a preparare l'ennesimo viaggio nei beati mondi della fantasia e dei ponti sugli stretti. L'invenzione di un'Italia ostaggio della malavita straniera, un'Italia terrorizzata prima dagli albanesi e poi dai rumeni e in seguito dai jihadisti, nasce nei laboratori del consenso berlusconiano e leghista. Certo, trova un terreno fertile. Un paese in recessione, colpito fatalmente dalla concorrenza dei più agguerriti tra i paesi emergenti, è il terreno più adatto a un certo tipo di predicazione xenofoba. E ciò non toglie che questa predicazione ci sia stata: che qualcuno abbia deciso di investire tempo, risorse, palinsesti televisivi.

Una macchina dell'odio che ormai procede in automatico, nel senso che ormai in cabina di regia non c'è più bisogno di nessuno e infatti non c'è nessuno: i berlusconiani si contentano di cavalcare l'antirenzismo; quanto alla Lega di Salvini, ormai è un movimento più teatrale che politico, in cerca più di visibilità che di potere autentico. La destra insomma resta a bearsi della sua irresponsabilità, inventandosi nemici immaginari e producendo tossine che respiriamo tutti. E la sinistra? La sinistra governa, si barcamena, cerca di recepire le direttive comunitarie sull'accoglienza dei profughi senza offendere i buoni cittadini razzisti che alzano le comprensibili barricate; la sinistra si sobbarca, si fa criticare, ma spera in qualche modo di poter vincere il referendum, e poi le elezioni, farsi firmare un contratto a tempo determinato fino al 2023 che le consentirà di? Di continuare a barcamenarsi mentre fascisti, grillini, leghisti ed ex berlusconiani continueranno beatamente a soffiare su qualsiasi brace di rivolta. In questo Renzi è veramente l'erede dello spirito di servizio dell'Ulivo prodiano e poi veltroniano: questa idea che solo un centrosinistra responsabile possa farsi carico dei problemi, e ottenere l'investitura popolare in forza delle proprie energie positive. La gente dovrebbe votarci perché siamo quelli buoni.

Si dice che a Gorino e altrove personaggi pittoreschi come Naomo hanno potuto ritagliarsi il loro spazio a causa della sparizione dei corpi intermedi. Vero, ma dunque che si fa? Perché un Naomo non si guarisce a discorsi, e nemmeno con una notte in cella per istigazione all'odio razziale. Un'altra possibilità - molto rischiosa, me ne rendo conto - sarebbe dargli in mano la situazione: fallo tu il corpo intermedio. Prova tu a gestire l'accoglienza dei rifugiati nella provincia di Ferrara. Va' tu a spiegare ad alcuni albergatori che si devono tenere quelli che l'ostello di Gorino non vuole. Come si sta facendo coi grillini a Roma, in fin dei conti. Credo che a quel punto si volatizzerebbe. I parolai prosperano dove il conflitto è bloccato.

E quindi siamo sempre lì. Piuttosto che a governare senza avere il 50% del Paese, il centrosinistra dovrebbe cercare di smontare il centrodestra; di metterlo di fronte alle sue (non)responsabilità. Di dividerlo, come in fondo ha fatto cooptando Alfano e poi con Verdini. È una possibilità. Oppure dovrebbe schiacciarlo, ma sul serio, come non è mai stato schiacciato Berlusconi anche quando seminava odio da emittenti nazionali che occupavano illegalmente l'etere tv. Renzi non sta facendo nessuna delle due cose. Vuole governare da solo, vuole mano libera, vuole che ci fidiamo di lui e che lo giudichiamo dopo cinque anni. E magari dopo cinque anni lui sarà stanco del giocattolo: ma noi saremo ancora qui, in un Italia dove si consente a Libero, al Giornale, di stampare immondizia xenofoba tutti i giorni: a Del Debbio di raccontare l'invasione dei profughi; e ai leghisti di giocare impuniti alle barricate.
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È "difficile" giudicare trenta razzisti, Matteo Renzi?

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Al referendum voterò No e non credo neanche sia necessario spiegare il perché - lo faccio da due anni, ormai. Quel che invece sto cercando di fare è purificare le ragioni del mio No: dimostrare, almeno a me stesso, che a farmi votare No sono considerazioni serie, previsioni ponderate, e non un'epidermica insofferenza per Matteo Renzi.

Faccio fatica.

La Repubblica
Un po' senz'altro per colpa mia - ma anche Renzi da parte sua potrebbe applicarsi di più. Quello che gli si chiedeva, di fronte a un fatto banale e inquietante insieme, come la rivolta di Gorino, è una posizione netta, magari anche sbrigativa perché cosa sono dodici o venti posti letto di fronte a un'emergenza nazionale, continentale, mondiale? Non sono niente finché non diventano un simbolo.

Prima che succedesse questa cosa, Renzi avrebbe pur potuto passare davanti alle telecamere e dire: signori, raccontiamoci poche palle. Io forse posso comprendere la "stanchezza" degli italiani di fronte a un'emergenza che non finisce mai, ma nella fattispecie non quella degli abitanti di Gorino, che di profughi non ne hanno mai visti. Se non ne vogliono dodici, qualcun altro comune del ferrarese se ne dovrà sobbarcare: qualche altro onesto cittadino padano dovrà pagare per la "stanchezza" immaginaria dei pescatori di Gorino che lo Stato sovvenziona già così lautamente. Spero di essermi spiegato e che non ci sia bisogno dell'aiuto delle forze dell'ordine per smontare i gazebo e le altre cianfrusaglie che bloccano il traffico a dispetto del codice stradale. E però.

E però Matteo Renzi è in campagna referendaria; è appeso a uno stelo di consensi che ondeggia a ogni refe di vento, e quindi gli è toccato dire che è difficile giudicare la 'stanchezza' di un paesino dove non c'è mai stato un profugo-uno. Ridursi a cercare i voti di Naomo, d'accordo, a un politico può succedere anche questo: ma almeno finirà? Perché la speranza dei renziani è che tutta questa manfrina un bel giorno finirà e Renzi regnerà incontrastato. Quando?

Mettiamo che vincesse al referendum: sarebbe un bel ripulisti per il Pd (ci potrebbe anche essere una scissione) e anche a centrodestra ci sarebbero contraccolpi notevoli, magari positivi per le piccole compagini di Alfano e Verdini. Ma Renzi continuerebbe a essere il capo di un governo di coalizione che continuerebbe a dipendere da Alfano e Verdini. Fino alle elezioni, che lo stesso Renzi non credo vorrebbe disputare prima del 2018 - a questo punto non si sa bene con che sistema elettorale, ma diamo per scontato che dopo una debacle referendaria la sinistra Pd non riesca più a ottenere nulla e si vada con un sistema non troppo dissimile dall'italicum com'è oggi.

Mettiamo che scoppi un'altra Gorino - o altre dieci, cento, mille Gorino. Renzi continuerà a capire la "stanchezza" di chiunque. Non è che abbia molte alternative: o vince o va casa. E non è davvero detto che vinca. Nei tempi lunghi, peraltro, perdiamo tutti.
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Il poeta e il suo poliziotto

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Neruda (Pablo Larraín, 2016).

Posso scrivere i versi più tristi questa notte. Posso scrivere: io l'amai, e a volte ella mi amò. Si chiamava Rivoluzione, Classe Operaia o Comunismo; lei mi amava, ma a volte io ero al bordello. La notte è stellata e lei non è con me: questo è tutto. Ma la poesia dura altre venti righe. Lontano, qualcuno canta, lontano la mia anima non si dà pace di averla perduta. E blà e blà e blà, posso andare avanti tutta la notte, questa notte.

Ma di giorno si suda (cit.)
La storia si può raccontare in tanti modi, stavolta Larraín la spia da una finestra. Dall'altra parte c'è il mostro sacro della cultura cilena, il poeta intoccabile, c'è Pablo Neruda travestito da beduino che intona i suoi versi vacui per i suoi ospiti borghesi progressisti. Larraín disprezzerebbe la loro ipocrisia, se non sapesse che stanno per essere spazzati via da un regime non molto meno ipocrita.
La storia sta per bussare alla porta, Neruda sta per scoprire quanto costa militare in un partito comunista clandestino. Larraín guarda dalla finestra. Nessuno lo ha invitato. Dal nulla prende forma un personaggio da giallo Mondadori: è Gael García Bernal con un cappello da detective. Figlio del bordello e del primo poliziotto di Santiago.



Prima di andarsene a Hollywood, Pablo Larraín ha voluto mostrarci una volta ancora una pagina di storia del suo Cile. Prima di andare a girare un film su Jacqueline Kennedy, Larraín ha voluto ricordarci quanto può essere inaffidabile un narratore (continua su +eventi!)

Neruda è un'operazione sofisticata - la scomposizione di un personaggio storico ancora ingombrante - che nasconde, neanche tanto bene, un desiderio di ingenuità disarmante: dichiararsi figlio di Pablo Neruda, invece che di genitori che collaborarono col suo probabile assassino, Augusto Pinochet. Troppo contemporaneo, troppo sgamato per ridurre il Poeta alla sua statua: per non vederne i difetti, la pancia, le occhiaie, l'infedeltà e quella vanità senza la quale forse non si diventa eroi: dalla sua postazione di spione immaginario, Larraín vede tutto ma vuole bene a Neruda lo stesso, come si vuole bene al padre anche quando torna tardi a casa e puzza di whisky e di donnacce.
Il tempo è stato abbastanza ingiusto con Pablo Neruda. Il sentimentalismo dei suoi versi giovanili, dopo avergli procurato tanta fama in vita gli si è demoniacamente ritorto contro, e adesso non c'è incarto di cioccolatino che non gli sia attribuito on line - lui e Borges si disputano il dubbio merito di aver scritto "amore significa non dover mai dire mi dispiace". Col suo gioco di specchi, senz'altro un po' macchinoso, Larraín gli rende un'anima senza scolpirne un monumento. Neruda è al Monviso di Cuneo lunedì e martedì alle 21.
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Matteo Renzi, l'uomo del Vaffanbagno

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Io credo che se cinque anni fa avessimo chiesto ai sostenitori del neonato Movimento Cinque Stelle "che cosa vuoi davvero"? pochissimi avrebbero risposto "Beppe Grillo al governo". Nemmeno Beppe Grillo avrebbe detto una cosa del genere.

Molti avrebbero risposto, invece: "chiudere Equitalia": e Grillo tra loro.

Il Post
E quindi oggi chi deve festeggiare: Matteo Renzi che governa e si prende la responsabilità di politiche non sempre popolari, o Beppe Grillo che senza sporcarsi le mani ottiene quello che Beppe Grillo per primo ha desiderato e formalizzato in una richiesta? Equitalia è solo un nome; alcuni debiti restano, altri Renzi li condona per motivi elettorali che non scandalizzano nessuno. Ma "chiudiamo Equitalia" era uno slogan, e chi l'ha coniato ha evidentemente conquistato l'egemonia nel dibattito politico.

Perché perder tempo a governare quando puoi ispirare l'azione di governo a distanza, da un blog, e tirare pure un po' di soldi coi banner? Grillo dice: abbasso la casta! e Renzi s'ingegna a ridurre i parlamentari. Grillo tuona contro le auto blu, Renzi le requisisce e le mette all'asta su eBay. Grillo richiama l'attenzione sul fatto che molta gente è costretta a pagare gli interessi sui debiti, e Renzi provvede. Grillo ottiene quello che domandava e Renzi forse vincerà il referendum che gli preme tanto: ma con che faccia viene a proporsi come alternativa all'antipolitica? Perché non dovremmo considerarlo, piuttosto, un grillino dal volto umano? Uno che dal movimento del Vaffanculo ha preso due o tre istanze che funzionavano, le ha moderate aggiungendo qualche spezia progressista o liberale, e con questo polpettone prova a vincere, anche lui, un po' di elezioni?

Certo, "Bye bye Equitalia" suona molto meno truce di "Chiudiamola". In parrocchia, da bambini, non volendo offendere troppo il nostro interlocutore (e non sapendo ancora molto di sodomia), a volte dicevamo "vaffanbagno". Matteo Renzi è un po' così, uno che cerca di combattere il Vaffanculo col Vaffanbagno. Magari funziona.
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