Ce ne vogliamo almeno andare dall'Afganistan?

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Ok, sembra proprio che quei diciotto miliardi in cacciabombardieri ci tocchi spenderli. Però non è vero che non si possa fare proprio nessun taglio. L'Afganistan, per esempio.
Loro a un certo punto se ne sono andati. Dovremmo esserne capaci anche noi. Sull'Unità (h1t#102), anzi, comunita.it, vi imploro non fate troppo caso alla foto del pirla.

Sarà una crisi di crescita: se non economica perlomeno morale. Diventeremo tutti un po’ più adulti, ci sta già succedendo. Per esempio, siamo già passati nel giro di poche settimane da popolo di Commissari Tecnici della Nazionale a popolo di Ministri dell’Economia: abbiamo tutti qualche rilievo da fare alla manovra Monti, abbiamo tutti critiche costruttive e competenti. Mi piace pensare che sia un progresso; un anno fa passavamo il tempo a chiacchierare delle Olgettine. Ora invece su Facebook scopriamo che il governo potrebbe far cassa semplicemente sospendendo l’acquisto di 131 cacciabombardieri per un totale di diciotto (o tredici) miliardi di euro: più o meno mezza manovra, quanto basta per rimettere in sicurezza i pensionati. A un certo punto l’appello è stato raccolto da Massimo Donadi, capogruppo alla Camera dell’IdV – a proposito, secondo me non è così che dovrebbe funzionare, la politica sui social network. Piuttosto il contrario: i leader politici dovrebbero cercare di servirsi dei social network per far conoscere e diffondere le proprie idee: invece in questo caso l’idea ce l’ha messa facebook, Donadi l’ha presa da lì ed è andata a diffonderla in parlamento. C’è da stupire che poi i conti non tornino?
Comunque è sempre meglio che parlare di Ruby Rubacuori: adesso sappiamo (anche grazie alla discussione che è nata in rete, soprattutto sul blog Noise From Amerika, a cui ha contribuito con molta franchezza lo stesso Donadi) che sì, quei 131 cacciabombardieri li compreremo davvero, e ci costeranno davvero almeno 13 miliardi… ma spalmati in un intervallo di tempo che va dal 2013 al 2026. Se anche decidessimo di annullare la commessa (i nostri Tornado sono comunque ormai mezzi obsoleti), il risparmio sarebbe dunque relativo. Il discorso a questo punto dovrebbe spostarsi sulla nostra spesa militare: ha un senso che una nazione senza nemici dichiarati, inserita stabilmente in un sistema di alleanze militari e politiche, continui ad armarsi così? Ma quanto si sta armando l’Italia? È veramente difficile da calcolare:però almeno se ne può parlare serenamente, ora che non siamo più distratti dalle scenette dell’ex ministro La Russa.
Io devo dire che sono un po’ in affanno: fino a due settimane fa bastava abbaiare un po’ contro Berlusconi e il pezzo era pronto. Invece adesso bisogna fare conti, interpretare tabelle, non credo di essere la persona adatta. Ho solo una modestissima proposta: non mi azzardo assolutamente a quantificare il risparmio che ne deriverebbe, ma per me varrebbe la pena in ogni caso. Quand’è che ce ne andiamo dall’Afganistan?
Siamo arrivati lì nel 2003, senza davvero volerlo (fu una delle decisioni meno popolari del secondo governo Berlusconi). La guerra, appena dichiarata finita e vinta dal commander in chief Bush, in realtà è proseguita a bassa intensità per tutti questi anni, più o meno come ai vecchi tempi delle “pacificazioni” coloniali. Abbiamo fatto il nostro dovere, abbiamo fugato col nostro atto di presenza la sensazione che l’occupazione dell’Afganistan fosse un gesto unilaterale del gigante americano ferito dall’11 settembre. Abbiamo avuto una quarantina di perdite. Ci siamo invischiati in una situazione tutt’altro che chiara: tra Pakistan e Nato in questi anni sono successe cose che soltanto gli storici della prossima generazione riusciranno a vedere con chiarezza. Magari nel frattempo avremo anche fatto qualcosa di buono, non lo so, non è di questo che si parla adesso. Ora dobbiamo semplicemente chiederci: vale la pena di restare?Possiamo davvero permetterci di aiutare gli afgani, mentre in Europa a chiedere aiuto siamo noi?
Alla conferenza internazionale sull’Afganistan, che si è appena tenuta a Bonn, il ministro Terzi ha riaffermato che nei prossimi dieci anni non lasceremo l’Asia centrale. Ridurremo soltanto il nostro contingente, che in questo momento ammonta a 4200 unità, man mano i reparti locali che addestriamo diventeranno operativi. Speriamo soltanto che non diventino operativi contro di noi (non sarebbe la prima volta). Terzi ci ha anche spiegato che negli ultimi dieci anni (in realtà un po’ meno) abbiamo “impegnato 570 milioni di dollari in cooperazione allo sviluppo e interventi umanitari”: forse il margine per risparmiare qualcosa c’è. Più che lamentarsi con Terzi, che nella democratizzazione dell’Afganistan mostra di crederci ancora seriamente, bisogna rivolgersi con franchezza ai leader del PD: nei primi mesi del nuovo anno si voterà, presumibilmente, il rifinanziamento della missione. In tutti questi anni il PD, sia quand’era al governo sia quando preferiva l’opposizione, ha sempre votato responsabilmente. Adesso si tratta semplicemente di individuare qual è la scelta più responsabile: continuare a sostenere il regime di Karzai, o salutare, ringraziare americani e altri alleati per la bella occasione che ci è stata offerta di aiutarli a salvare il mondo, e riportare i ragazzi a casa? http://leonardo.blogspot.com
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- le anime belle e

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Le anime stronze


L’Afganistan è importante.
Ma la nostra presenza in Afganistan, è davvero altrettanto importante? Così importante da mettere in crisi una coalizione, un governo, un parlamento?
Io sulla nostra presenza in Afganistan non ho opinioni. Ce ne sono a favore e contro, tutte legittime. Ma bisognerebbe riconoscere, schiettamente, che non sono opinioni pro o contro la salvezza dell’Afganistan. Si tratta, più semplicemente, di opinioni pro e contro il nostro atto di presenza militare-diplomatico in Afganistan. Il nostro contingente è quel che è: senza offendere i nostri militari, credo che gran parte degli afgani non si accorgerebbe di un loro eventuale ritiro. Questo non rende il ritiro più o meno giusto, ma dovrebbe servirci a ridimensionare il problema (e potrei capire chi mi dicesse che anche la sicurezza di una sola donna o di un solo bambino afgano possono giustificare il nostro atto di presenza).

Anche la coscienza è importante. Specie la coscienza dei parlamentari, che una volta eletti dal popolo, si trovano da soli con lei. È solo ad essa che devono rispondere: non all’elettore (a cui renderanno conto a fine legislatura), né ai capigruppo, capi di governo, Capi di Stato. E chi lo dice? La Costituzione – quella che abbiamo appena salvato, con soddisfazione generale. Sì, ma adesso ci toccherebbe rispettarla.

Io non credo di poter essere sospettato di intelligenza con le anime belle. Ho un lungo conto in sospeso con chi, intrappolato dalla sua coscienza, ha messo nella peste pure me – rifondaroli in primis. Ma. Guardiamoci un po’ intorno. Il Parlamento è fatto di due semicerchi, totale: un cerchio completo. La stragrande maggioranza di quel cerchio non ha nessun dubbio sull’utilità del nostro atto di presenza diplomatico-militare in Afganistan. E allora? Di cosa stiamo parlando? Perché un argomento su cui la stragrande maggioranza dei parlamentari pensa allo stesso modo diventa un problema? Perché da settimane i riflettori fanno l’occhio di bue sulla coscienza di qualche parlamentare di sinistra?

Non varrebbe la pena di zoomare un po’ anche su quel vasto semicerchio di parlamentari che in teoria sono preoccupati per la sorte dell’Afganistan, in teoria sono convinti assertori della presenza del nostro contingente, ma in pratica forse voteranno contro perché l’importante è mettere in difficoltà la maggioranza, il governo, l’Italia?
Dalmomento che, diciamolo, di fronte a questa eventualità (una crisi di governo al buio) la sorte di anche una sola donna, di un solo bambino afgano va a farsi fottere alla grande?
Ecco, la mia domanda è: ma non ce l’hanno una coscienza, anche questi qui? No? Solo la coscienza di tre-quattro senatori comunisti fa notizia?

Si parla tanto delle anime belle. Diamo a ognuno quello che è suo. Le anime belle non avrebbero tanto peso, se non steccassero rare in un bel concerto di anime stronze.
Comments (5)

Leonardo T wrote ...
senz'altro l'agenda di emergency non è un grande aiuto, ma la missione italiana non è che sia molto più determinante delle agente di emergency.
7/30/2006, 7:32:00 AM

Anonymous wrote ...
Io sinceramente ero pro il rifinansiamento e vedevo il mettersi di traverso dei pacifisti come uno strumentale uso de una parola "pacifismo" per farsi un po vedere e giustificare la propria presenza nel suddetto cerchio degli eletti (che fa molto druidi e pozioni magiche tralatro).

bhe lo sono ancora, mica basta comprare lagenda di emergency per dire che si aiuta lafghanistan. ora come ora lafghanistan non lo si aiuta ne con le truppe ne levandole ma disicuro non se aiuta litalia a fare i piagnoni propax o contro prod per partito preso.

se uno poi gli interessa capire cosè lafghanistan adesso,

http://www.abc.net.au/foreign/content/2006/s1690046.htm

buona visione.
7/30/2006, 7:19:00 AM

Anonymous wrote ...
Resta sempre il fatto che in Afganistan non sì è andati per motivi umanitari o di salvezza del popolo afgano......dell'afgano non è mai fregato nulla a nessuno se non come oggetto di conquista e lotta di potere internazionale (dalla fine dell'ottocento (vedi come riferimento letterario il Dr. Watson) in poi)
7/25/2006, 7:46:00 PM

Anonymous wrote ...
personalmente dei talebani non me ne frega niente: possono farci quel che vogliono (chessò: talebani alla julienne).
io ne farei solo un problema di efficcacia:
vuoi ottenere x e spendi y, conviene?
il tutto si complica se tu dici di voler ottenere x (ma in realtà vuoi ottenere w) e spendi y (ma solo perché non conti i morti z).
riterrei utile e opportuno un vero dibattito sulle missioni all'estero: quando e come farle. utile a questo proposito che si parli contemporaneamente dell'afghanistan, dell'irak e del confine israelo-libanese e di gaza!
a che servono i militari? quali le regole d'ingaggio?
perché si sa che i militari se presi a fucilate o se esposti a un'autobomba tendono a morire: indipendentemente se la bomba è sciita, sunnita, talebana o d'hezbollah o anche se la fucilata è americana...
d'altronde va considerato che gli americani non sanno proprio gestire i rapporti con i civili e gli incivili (quelli in galera)...
marcell_o
7/25/2006, 10:02:00 AM

caporale wrote ...
per come la vedo io la situazione è questa: i talebani sono quelli che hanno ospitato bin laden mentre organizzava l'attentato alle due torri. hanno cercato rogne, le hanno trovate. stop. levarsi di torno vorrebbe dire star dalla parte dei talebani e non ho votato a sinistra per aver un governo che sta - oggettivamente - dalla parte dei talebani.
la storia dell'iraq è diversa.
7/24/2006, 3:10:00 PM

- cambiare regime veicolo

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Mina Vagante 4x4

Interrompo il non imprescindibile sermone sui barbari perché è morto un altro italiano a Nassiriya, e quel che è peggio – è morto su un VM90. Ora.

Io non sono un esperto di cose militari, perciò posso sbagliare, e se sbaglierò correggetemi, ma sul VM90 mi pare di aver già letto qualcosa quando morirono i penultimi tre italiani, su Repubblica.

Se mi ricordo bene, il VM90 è un furgone blindato dell'Iveco, dall'apparenza molto solido, è in effetti lo è. Il suo problema è che è troppo solido.
La cabina non teme le raffiche, ma in Iraq non è questione di raffiche ai camion. Il problema sono le mine e le bombe. Mine e bombe esplodono sotto la cabina – l'unica superficie non blindata. E siccome la cabina è molto solida, invece di saltare in aria, rimane al suo posto e contiene l'esplosione.

Questo significa, se ho ben capito, che tutta l'energia dell'esplosione, invece di disperdersi in tutte le direzioni, si sfoga totalmente all'interno della cabina. Significa che chi sta dentro la cabina, prima di essere dilaniato, muore per choc termico, come è successo a Ciardelli, Lattanzio, De Trizio e Bogdan Hancu. Significa che il VM90, affettuosamente chiamato bacherozzo, è una trappola orrenda, e anche i ribelli iracheni stanno cominciando a farci caso (prima di oggi almeno altri 10 VM90 erano stati colpiti).

Da cui la domanda: se ci piacciono così tanto i nostri soldati, ché eravamo tutti davanti alla tv per la parata (meno i soliti idealisti pancabbestia comunisti terroristi pacifisti antisemiti traditori), perché lasciamo che vadano in giro con un mezzo così pericoloso? Va bene il virile sprezzo del pericolo, ma non c'è nulla di più sicuro?

Certo che c'è. A Nassiriya ci sono mezzi più sicuri, i Dardo e gli Ariete. Blindati anche sotto. E cingolati. Insomma, sono dei tank. Antica Babilonia ha i carri armati! Ma non glieli lasciano usare. Se ho ben capito, è una questione d'immagine. Se esci dalla base in tank, non sembra più una missione di pace. Bisogna salvare le apparenze, insomma.

Se ora interrompo i fatti miei per parlare, tra tutti i morti della guerra d'Iraq, di un morto italiano, è appunto per questo: che tra migliaia di morti assurdi io non sopporto che un altro venticinquenne crepi così, di choc termico, per salvare un'apparenza. Nessuna apparenza mi sembra così preziosa. A prescindere da qualsiasi dibattito sul perché siamo lì e quanto dobbiamo ancora restare, per l'amor di Dio, fategli tirare fuori quei tank. Sono militari, mica crocerossine! Con tutto il rispetto per quest'ultime. Come si fa a chiedere a qualcuno di morire per salvare un'immagine?

Come sia possibile, poi, che il sei giugno del duemilaesei un noglobbal-pancabbestia-comunista-terrorista-pacifista-antisemita-traditore si metta a chiedere a gran voce di tirare fuori i tank, mentre lo Stato Maggiore insiste con il maquillage da missione di pace e i VM90, è un problema da discutere in seguito con più calma. Personalmente credo che in Iraq sia stato commesso un grande peccato originale: abbiamo fatto organizzare una guerra agli idealisti. Peggio di un deficiente che blatera di armi di distruzione di massa o regime change, c'è solo un idealista che al regime change ci crede davvero. Questo tipo di deficienti, li abbiamo fatti commander in chief. E a pagare sono i professionisti – quelli che la guerra la saprebbero anche fare. Dovrebbero essere i primi ad incazzarsi (e non è detto che non si siano già incazzati).

Quello che abbiamo perso, in Iraq (oltre a migliaia di vite umane), è la distinzione netta tra idealismo e realismo. Una volta gli idealisti erano i pacifisti, con le loro utopie. Ancora adesso, il Presidente della Camera rischia di apparire puerile, con la sua spilletta arcobaleno alla parata. Come se la sfilata militare fosse uno spettacolo più serio. Come se giocare ai liberatori dell'Iraq fosse meno puerile. Come se mandare in giro VM90, autentiche mine vaganti 4x4, per le strade di Nassiriya fosse un gesto meno irresponsabile.

Andiamo pure avanti così. Continuiamo a credere alla nostra piccola guerra di liberazione, agli iracheni che prima o poi verranno ai balconi a lanciarci i fiori. Ecco, siamo al quarto anno, e ancora giriamo in VM90, in attesa di essere salutati a colpi di fiori. Quanti ragazzi, o uomini, quanti professionisti moriranno nel frattempo, non importa. Abbiamo una riserva illimitata di lacrime, bei discorsi e spari a salve.
Comments (10)

Anonymous wrote ...
Questo è almeno l'undicesimo Vm90 che cade in un'imboscata. Quand'è che smettiamo di fargli i complimenti e cerchiamo di prevenire le imboscate?

Se tra il punto A (Nassiryia) e il punto B (qualunque) procedi senza blindati, non puoi tutte le volte fare spallucce applaudire alla sagacia di chi ti tende l'agguato. Secondo me i fanti e gli alpini hanno smesso da un pezzo, di plaudere.

E' il caso di cambiare mentalità: gli ak47 saranno anche tanto diffusi, ma le mine pure. Gli agguati sono sistematici; evidentemente non ci si può spostare come se si avesse il controllo del territorio.
6/8/2006, 3:02:00 PM

Anonymous wrote ...
capisco la buona volontà, ma quello che scrivi non ha molto senso. prima dei 5 morti dentro al VM90 ne è morto uno ucciso da un kalashnikov, sporto da un elicottero: se invece di stare su un elicottero stava dentro un VM90 si salvava.

La verità è che l'unica protezione reale contro le armi è non essere presente al momento dello sparo.

Contro le mine a carica cava non esiste protezione. O meglio, esiste una protezione, su un solo veicolo usato dagli israeliani con il fondo a V e con corazza reattiva (vuol dire che a contatto con un proiettile esplode verso l'esterno), ma esiste una contromossa e cioè una modifica alla mina che lancia una premina che fa partre la reazione ecc.

L'unica legge delle protezioni è: più è pesante la protezione, più sei lento, più è facile prenderti. I Dardo e gli Ariete non trasportano truppe. Le affiancano, le difendono, sparano cannonate per abbattere i palazzi dove sono i cecchini, ma non portano 5 soldati da un punto A ad un punto B, cosa che fanno i veicoli della fanteria meccanizzata come gli VM90, proteggendo i trasportati da colpi di fucile d'assalto come gli Ak47 che è l'arma più diffusa nello scenario.

Hanno teso un'imboscata, predisponendo un'arma adatta al veicolo che volevano fare saltare, e sono riusciti. Bravi. Non c'era scampo.

Maffa
maffa.livejournal.com
6/7/2006, 11:34:00 PM

Leonardo T wrote ...
beh, anonimo, mi sembra di capire che sia un anticomunista di Bologna.

Non è che siamo obbligati a capire tutti, peraltro.
6/7/2006, 6:06:00 PM

Anonymous wrote ...
Sono d'accordo con te.
E aggiungo che esiste un mezzo assai più sicuro di quelli che hai elencato tu: il 446, autobus atac del comune di roma che al prezzo di un euro a biglietto (non poco) ti porta nei pressi dell'auditorium dove è possibile ascoltare apprezzabili spettacoli di musica contemporanea.
[Ste]
6/7/2006, 1:02:00 PM

Anonymous wrote ...
mi aiuti a capire l'autore di questo blog ?
bolognaanticomunista.blogspot.com
io non ce la faccio.
6/7/2006, 12:16:00 PM

AnelliDiFumo wrote ...
Bel post. Segnalato alle mie orde di anellidi.
6/7/2006, 2:10:00 AM

Anonymous wrote ...
A questo bisogna aggiungere anche i morti in Afganistan; Nell'utimo mese è stato versato più sangue in quella terra che non altrove.
6/6/2006, 12:03:00 PM

il Braccini wrote ...
"Peggio di un deficiente che blatera di armi di distruzione di massa o regime change, c'è solo un idealista che al regime change ci crede davvero"

no, la cosa peggio è un idealista al risparmio
6/6/2006, 11:19:00 AM

Anonymous wrote ...
Con tutto il rispetto per la tragedia avvenuta, per la famiglia del militare morto e per quelli che sono rimasti feriti, non riesco a struggermi per il nostro contingente in Iraq.
Alle ultime elezioni questi militari hanno votato in massa a destra, più o meno estrema. Sono a grande maggioranza amanti dell'uomo forte, gli piace essere comandati, vogliono società ordinate in cui il dissenso sia represso a manganellate (tipo Genova, per intenderci).
Poi restano vittime della propria limitatezza culturale e politica, del fatto di affidarsi a uomini forti che in realtà li usano come marionette.
Sono rispettoso della sofferenza e del dolore, però credo che si debba anche riconoscere il legame fra questi eventi tragici e la subcultura fascisteggiante degli ambienti militari, quella dell'obbedir tacendo.
Se questi "professionisti" non erano soddisfatti di come stavano andando le cose in Iraq, se ritenevano di non essere adeguatamente tutelati, perché due su tre hanno votato per il principale partito di governo? Avevano il voto per esprimere il proprio dissenso, nel segreto dell'urna: l'hanno fatto?
Poi, per carità, magari i ragazzi dell'evento in questione erano elettori di sinistra, e soprattutto il rispetto dovuto al dolore ha la meglio su tutto, e persone di destra e di sinistra meritano uguale rispetto nella morte e nella tragedia.
Se però parliamo di tutti gli altri, a me chi si fa irreggimentare in strutture dove il dissenso non è ammesso (ovvero le forze armate), ed è contento così, non sta simpatico proprio per niente. Non mi batterò perché gli si faccia usare i tank, ma solo per farli tornare in Italia. Subito.
6/6/2006, 9:49:00 AM

Anonymous wrote ...
"Personalmente credo che in Iraq sia stato commesso un grande peccato originale: abbiamo fatto organizzare una guerra agli idealisti."

Bhe ma tutti sostengono che non sia una guerra, bensì una missione di pace per esportare la democrazia. Peccato che esportare la democrazia a me suoni come piantare una palma dell'equador sull'appennino tosco-emiliano: semplicemente non funziona. La Demo-crazia, ossia potere del popolo, non può venire imposta dall'alto, ma deve nascere dal basso, dal desiderio della massa di non essere comandata, altrimenti è solo una oligarchia o pagliacciata che dir si voglia.
L'unica cosa che mi conforta è che il ritiro delle truppe è già programmato, peccato che ormai la frittata è stata fatta.
6/6/2006, 4:28:00 AM

- il tempo vola

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Tre anni di (piccola) guerra al Terrore


Piangere i propri morti è giustissimo; stupirsene, un po' meno. In Iraq muore molta gente, tutti i giorni (per la maggior parte iracheni): e noi italiani siamo in Iraq da tre anni. Ecco, questo dovrebbe stupirci di più: la nostra piccola guerra compirà tre anni in maggio (e tre anni fa, il primo maggio 2003, Bush proclamò che le ostilità erano cessate).

Tre anni sono tanti per una guerra, anche se piccola. Pensiamo alla nostra di liberazione, che tanto ci fa discutere: per alcuni è la Resistenza antifascista, protocostituzionale; per altri è una guerra civile, madre di tutte le nostre divisioni; in entrambi i casi resta il momento fondante della nostra coscienza di italiani. Ed è durata due anni scarsi: 8/9/1943 – 25/4/1945. Certo due anni devono esser lunghi, coi tedeschi in casa. Nei racconti dei vecchi, e nei film in bianco e nero, sembra una guerra interminabile. Per contro tre anni di italiani in Iraq, non so voi, ma a me sono volati. Saranno le tv a colori (ma ormai di Nassiryia non si vede più niente), saranno i blog. Sarà che l'Italia della Resistenza era un'Italia bambina, e ai bimbi basta un pomeriggio di gloria per costruirsi, anni dopo, il ricordo di mesi e mesi di felicità. Mentre Italia di oggi è vecchia, e ai vecchi il tempo vola. Sono tre anni che siamo a Nassiriya. Abbiamo risolto qualcosa? Quand'è che ce ne andiamo?

Se allarghiamo un po' il campo, dalla casella Iraq allo scacchiere mondiale, ci accorgiamo che l'11 settembre di quest'anno la Guerra al Terrore compie cinque anni. Sono tanti. Per me, una soglia psicologica: cinque anni duravano, di solito, le Guerre Mondiali. Quella al Terrore è a suo modo una Guerra Mondiale – si combatte in Afganistan, Medio Oriente, New York, Madrid, Londra – ma rischia di durare parecchio di più. Del resto ce lo aveva detto lo stesso Bush: "sarà una guerra lunga". Quanti anni ancora, due? Tre? Venti? Ci abitueremo all'idea di una guerra infinita di bassa intensità? Ci siamo già abituati (teniamo sempre conto che in tre anni la campagna in Iraq ha fatto meno morti italiani di un qualsiasi ponte di Pasquetta).

Ci siamo talmente abituati che l'idea non ci impensierisce. Quello che un po' ci spaventa è la prospettiva di un'escalation – la crisi con l'Iran. Ma anche in questo caso, forse ci sfugge la dimensione del problema. Nei discorsi di Bush e compagnia, Ahmadinejad è paragonato spesso a Hitler. Anche se è dura credere a Pierino ogni volta che grida al Führer al Führer, l'accostamento non è del tutto campato in aria. Quello che forse ci sfugge è che si tratta di una stima per difetto: Ahmadinejad è un avversario più temibile di quanto fosse Hitler nel 1940.

Non vi pare? Qualche cifra. Su quanti sudditi ariani poteva contare il folle tiranno tedesco? Cinquanta milioni? [Update: mi segnalano che invece erano settanta]. L'Iran ne fa settanta. Ma i tedeschi, per quanto bene organizzati, potevano contare soltanto su due alleati di rilievo in tutto il mondo, uno dei due neanche troppo affidabile. L'Iran avrebbe dalla sua parte la solidarietà di tutto il mondo sciita, e forse buona parte delle masse islamiche – se si tratta davvero di un conflitto di civiltà, e la civiltà in guerra è l'Islam, parliamo di un miliardo di avversari virtuali. Non sono probabilmente tutti disposti a immolarsi per i loro fratelli, ma sono tanti. Una guerra contro un miliardo di persone non è stata ancora combattuta. È una prima mondiale.

Su un piano Ahmadinejad sembra meno temibile di Hitler: il fattore tempo. Gli esperti dicono che non avrà uranio necessario ad una bomba per dieci anni almeno – Hitler probabilmente c'è andato più vicino. D'altro canto dieci anni passano in un lampo, nella Guerra al Terrore. Non è escluso che gli americani comincino ora a parlarne per abituarci all'idea – il training per rendere accettabile al pubblico l'invasione all'Iraq durò più di un anno, e fu estenuante.

Quello che alla fine stupisce – o perlomeno, dovrebbe stupire – è la sproporzione tra l'entità delle accuse e la mobilitazione. Nel dicembre del 1941 Roosevelt si rese conto definitivamente che l'Asse era una minaccia per il mondo intero e per l'America: tre anni e mezzo dopo Hitler si suicidava, Hiroshima e Nagasaki venivano distrutte. L'undici settembre 2001 Bush si è reso conto della necessità di una guerra mondiale al Terrore; sono passati quattro anni e mezzo, e il Terrore bene o male è ancora in sella. Certo, in Afganistan e in Iraq il regime sta cambiando.

Ma si tratta di un processo maledettamente lento – chi ha tutto questo tempo? E cosa impedisce Bush, Blair (ma persino Berlusconi, che nei giorni migliori si professava loro alleato) da accelerare i tempi? Un motivo per cui la Guerra al Terrore non finisce mai, è che gli angloamericani la combattono (almeno in Iraq) con un quarto del contingente necessario. Per tacere degli italiani e della loro collaborazione omeopatica (per pattugliare un pezzo di strada a Nassiriya tutti i cittadini italiani del mondo sono virtualmente esposti ad attacchi terroristici).

Si obietterà che una mobilitazione più massiccia rischierebbe di affossare le carriere politiche di Bush e Blair. Ma i due sono al culmine della loro carriera, ineleggibili ormai, nel momento in cui dovrebbero preoccuparsi più della loro gloria di statisti che delle preoccupazioni elettorali (proprio come Roosevelt nel 1941). Possibile che nessuno faccia loro notare l'incredibile discrepanza tra i proclami di Guerra al terrore e l'effettiva entità del sacrificio che hanno chiesto ai loro connazionali? Se la minaccia è così grave, se è paragonabile al nazismo, cosa trattiene il Comandante in capo da portare in Medio Oriente tutti gli uomini che servono, ripristinando se necessario la leva militare?

Vien fatto di pensar male. Forse la minaccia non è così grave. Oppure sì, è grave, ma fino a che punto Bush e Blair sono interessati a debellarla davvero? Il Terrore si combatte per sconfiggerlo, o non piuttosto per amministrarlo? Per me è una domanda retorica, da più di tre anni in qua. Ma voi siete liberi di rispondere come preferite.
Comments (13)

LaCuocaRossa wrote ...
L'incipit di questo post è:

Piangere i propri morti è giustissimo; stupirsene, un po' meno. In Iraq muore molta gente, tutti i giorni...

Ecco, è la stessa cosa che ho pensato io quando ho sentito dei morti di Nassyria...
Perchè definire assassinato chi è caduto in guerra???
Le parole sono importanti, come diceva il buon Nanni Moretti...
Se poi ci aspettiamo di fare la guerra e dall'altro alto devono stare ben fermi per farsi centrare in fronte senza accennare alla benchè minima reazione...
5/2/2006, 6:45:00 PM

Anonymous wrote ...
Che gli ebrei tedeschi fossero davvero pochi è una nozione così nota che le citazioni sono quasi inutili. Il massacro di massa fu quello degli ebrei polacchi.
5/1/2006, 11:33:00 PM

Anonymous wrote ...
Ecco una cifra ufficiale:
http://www.yale.edu/lawweb/avalon/anglo/angap03.htm#4
"According to the census of June 1933 the Jewish population of Germany totaled 499,682. By September 1939 the emigration of something over 200,000, Persecution and natural population decline had reduced the number to around 215,000."
Ci sarebbe semmai da meravigliarsi che, almeno dopo la Notte dei Cristalli, non se ne siano andati tutti. Il punto è che non tutti potevano: non avevano i mezzi, o parenti/amici già emigrati che potessero accoglierli, o Paesi che gli concedessero il visto.
Alcuni invece rifiutavano ostinatamente la realtà che avevano sotto gli occhi. Ricordo i diari da Berlino di William Shirer, quando cercava disperatametne di convincere degli ebrei che conosceva ad andarsene, perché lo vedeva anche lui che buttava male. Mavalà, gli rispondevano, siamo nati qui, siamo tedeschi come loro, cosa vuoi che ci facciano? Ci molesteranno un po', ma alla fine si calmeranno e ci lasceranno in pace.
5/1/2006, 10:32:00 AM

Anonymous wrote ...
E' che ho voglia di essere pedante coi pedanti, per cui:

http://www.ushmm.org/wlc/article.php?lang=en&ModuleId=10005468

"In January 1933 there were some 523,000 Jews in Germany, representing less than 1 percent of the country's total population. The Jewish population was predominantly urban and approximately one-third of German Jews lived in Berlin. The initial response to the Nazi takeover was a substantial wave of emigration (37,000-38,000), much of it to neighboring European countries (France, Belgium, the Netherlands, Denmark, Czechoslovakia, and Switzerland). Most of these refugees were later caught by the Nazis after their conquest of western Europe in May 1940.
[...]
The events of 1938 caused a dramatic increase in Jewish emigration. [...] Although finding a destination proved difficult, about 36,000 Jews left Germany and Austria in 1938 and 77,000 in 1939.
[...]
During 1938-1939, in an program known as the Kindertransport, the United Kingdom admitted 10,000 unaccompanied Jewish children on an emergency basis.
[...]
By September 1939, approximately 282,000 Jews had left Germany and 117,000 from annexed Austria. Of these, some 95,000 emigrated to the United States, 60,000 to Palestine".

Ah, questi Parazzi invadenti. Ma tornando al punto:
"At the end of 1939, about 202,000 Jews remained in Germany and 57,000 in annexed Austria, many of them elderly."

Infine, i tuoi amici di Wikipedia:
http://en.wikipedia.org/wiki/History_of_the_Jews_in_Germany
"As many as half of the 500,000 Jews in Germany in 1933 fled before the Holocaust."

Perché allora accanirsi se erano così pochi, erano lì da secoli, non rompevano il cazzo a nessuno (anzi, gente come Einstein in guerra poteva far maledettamente comodo) e maltrattandoli se ne stavano già andando? Eh, misteri della mente umana.
5/1/2006, 8:53:00 AM

Leonardo T wrote ...
non è che ho voglia di discutere, ma 200.000 mi sembrano piuttosto pochi.
4/30/2006, 11:49:00 PM

Anonymous wrote ...
Eh?
Leo, dai. Non leggono mica tutti i commenti fino all'undicesima generazione.
Se in cima al thread c'è una notizia falsa, devi dirlo in cima al thread.
(dove l'ho già letta, questa?)

Comunque, si parlava di ariani a disposizione di Hitler, al momento dell'entrata in guerra. E la cifra è appunto quella.
Gli ebrei tedeschi erano molti meno:
"Despite the emigration of approximately 300,000 German Jews in the years following the Nazi assumption of power, almost 200,000 Jews were still in Germany at the start of World War II."
http://www.ushmm.org/wlc/article.php?lang=en&ModuleId=10005469
Di questi, l'80% venne sterminato (come da link già forniti). Efficienza molto simile in Olanda (pochi scampati, 106.000 ammazzati), per collaborazionismo inconsapevole - e in alcuni casi consapevole, purtroppo. E' in Polonia che ne hanno ammazzati 3mln. (Poi tu continui tranquillamente a frequentare e linkare gente che blatera di 'genocidio' dei palestinesi, ma d'altra parte uno le compagnie se le sceglie)

La tecnologia in guerra conta eccome: i conquistadores erano una banda di predoni, ma avevano cavalli, acciaio e polvere da sparo; gli aztechi erano un impero - e piuttosto bellicoso - ma avevano le spade di ossidiana. Secondo te chi ha vinto?
Quanto alla guerra Iran-Iraq sì, le ondate umane erano piuttosto seccanti, ma niente che non si potesse fermare con del buon vecchio gas.
Infatti ora la preoccupazione non è mica che mandino i pasdaran a conquistare Bassora (dove dubito che persino Al Sadr li accoglierebbe a braccia aperte, a proposito di solidarietà inter-sciita), ma che si dotino appunto di armi nucleari.
4/29/2006, 3:44:00 PM

Anonymous wrote ...
Ma io voglio che la gente mi corregga, Griso: e a volte correggo gli altri.

Mi ero sbagliato sui cinquanta milioni e mo' correggo.

Però dal sito che hai lincato, risulta che 79,8 milioni sono i tedeschi dopo l'anschluss. Quindi direi che i tedeschi di germania erano 70 - cui andrebbero detratti almeno gli ebrei di Germania, non so quanti milioni (tre, quattro, cinque, onestamente non lo so). Davvero, pensavo che i tedeschi fossero molti meno.

(Tra l'altro la distinzione tra tedeschi e austriaci è questione di lana caprina; nei fatti molti austriaci erano più nazisti dei brandeburghesi).

Il discorso sulla superiorità industriale-militare è interessante perché, secondo me, sia le guerre mondiali che quelle che sono venute dopo, hanno dimostrato che il numero vince contro la superiorità industriale-militare. I tedeschi avevano i tank, ma i sovietici avevano i milioni. E nel conflitto Iran-Iraq: gli iracheni avevano armamenti più avanzati (comprati dagli angloamericani, dagli italiani, ecc.), gli iraniani rispondevano con le ondate umane.
4/29/2006, 12:08:00 PM

Anonymous wrote ...
Scusa rigodot, ma io sono appunto entrato nel merito delle cifre: ma forse sono le cifre ad essere scioccamente superflue.
(Sui quattro gatti non so, chiedi al titolare)
4/29/2006, 7:35:00 AM

Anonymous wrote ...
"Qualche cifra. Su quanti sudditi ariani poteva contare il folle tiranno tedesco? Cinquanta milioni? L'Iran ne fa settanta."
A parte che le cifre andrebbero contestualizzate (50mln nel '39 'pesavano' molto più di 70mln oggi, con una popolazione mondiale moltiplicata).
A parte che le guerre - come si rese conto presto l'alleato inaffidabile (in realtà una palla al piede: spesso la Wehrmacht dovette intervenire a salvargli le chiappe, come quando s'inventò di spezzare le reni alla Grecia) - non si vincono solo coi milioni di baionette.
La cifra è sballata. Il Reich nel '39 contava quasi 80mln di sudditi ariani: http://www.tacitus.nu/historical-atlas/population/germany.htm
di cui una settantina nei confini del '37, più oltre 7mln di 'tedeschi etnici': http://en.wikipedia.org/wiki/World_War_II_casualties#endnote_Germany1
Non ho capito bene se l'Austria (7mln di abitanti) vada contata o no, ma visto che parli di ariani presumo di sì.
Ma soprattutto: si trattava della principale potenza industriale-militare del continente, cosa che non si può certo dire dell'Iran.

A questo punto, usassi i metodi che usi tu quando vai a commentare in giro:
http://www.rolliblog.net/archives/2006/04/28/compagni_torturati_anzi_no.html#65658
pretenderei rettifiche e quant'altro.
La Regola Uno, per me, è: non fare agli altri quello che non vuoi che facciano a te (che è una regola piuttosto cristiana, oltretutto).
4/28/2006, 10:20:00 PM

Anonymous wrote ...
Forse conviene leggere le osservazioni di Chomsky contenute in un articolo per znet:
http://www.zmag.org/Italy/chomsky-guerralterrorismo.htm

L'articolo è lunghetto, mi permetto di trascrivere qui sotto la parte più pertinente.

Silvano


********
[...]il terrorismo è senza dubbio un problema. Mitigare e por fine alla minaccia sarebbe un'alta priorità. Purtroppo non lo è. Tutto questo è troppo facile da dimostrare e sembra che le conseguenze siano serie.

L'invasione dell'Iraq è forse l'esempio più chiaro della bassa priorità assegnata da USA e Gran Bretagna alla minaccia terroristica. I dirigenti di Washington erano stati avvisati, anche dalla loro stessa intelligence, del fatto che con molta probabilità l'invasione avrebbe aumentato il rischio terroristico. Il National Intelligence Council un anno fa ha riferito che “l'Iraq e altri possibili conflitti in futuro potrebbero essere offrire reclutamento, campi d'addestramento, nuove competenze tecniche e linguistiche a una nuova classe di terroristi di 'professione', per i quali la violenza politica diverrebbe un fine in sé”, in grado di estendersi ovunque per difendere le regioni islamiche dall'attacco di “invasori infedeli”, in una rete globalizzata di “gruppi terroristi islamici”, con l'Iraq , ora a seguito dell'invasione, in sostituzione dei campi d'addestramento afgani per questa rete più estesa. Un rapporto governativo ad alto livello sulla “guerra al terrorismo”, due anni dopo l'invasione, è incentrato su come affrontare la crescita di una nuova generazione di terroristi, addestrati in Iraq nel corso degli ultimi due anni. Alti funzionari di governo rivolgono sempre più la loro attenzione ad anticipare quella che vien chiamata “il riflusso” di centinaia o migliaia di jihadisti addestrati in Iraq nei loro paesi di provenienza, dappertutto in Medio Oriente e in Europa Occidentale. Un ex alto funzionario dell'amministrazione Bush ha detto: “E' un nuovo pezzo di una nuova equazione. Se non si sa chi sono in Iraq, come si farà a localizzarli ad Istanbul o a Londra?” (Washington Post)

A maggio dello scorso anno la CIA ha riferito che, secondo quanto dichiarato da dirigenti USA al New York Times, “per i militanti islamici l'Iraq è diventato un polo d'attrazione magnetica, simile all'Afghanistan occupato dai sovietici vent'anni fa o la Bosnia negli anni 1990”. La CIA concludeva che l'“Iraq può dimostrarsi un campo d'addestramento di estremisti islamici ancor più efficace di quanto non lo sia stato l'Afghanistan all'epoca della nascita di Al Qaeda, perché funziona come un vero e proprio laboratorio mondiale per il terrorismo urbano”. Poco dopo gli attentati di Londra dello scorso Luglio, Chatam House ha pubblicato uno studio, che concludeva che “non c'è 'nessun dubbio' che l'invasione dell'Iraq ha 'dato slancio alla rete di Al-Qaeda' nella propaganda, nel reclutamento e nel finanziamento', fornendo al contempo un'area di addestramento ideali per i terroristi”; e che “il Regno Unito è a grave rischio perché è stretto alleato degli Stati Uniti e è 'a rimorchio' della politica americana” in Iraq e in Afghanistan. Ci sono ampie prove che dimostrano che – come ho detto sopra – l'invasione aumenta il rischio terroristico e la proliferazione nucleare. Naturalmente, ciò non dimostra che i nostri strateghi preferiscano queste conseguenze. Piuttosto: non si preoccupano molto di questa priorità in confronto a priorità molto più alte che sono ignorate solamente da coloro, che preferiscono quella che gli studiosi di diritti umani talvolta chiamano “ignoranza intenzionale”.

Lo ripeto ancora. E' facilissimo trovare un modo di ridurre la minaccia terrorista: basta smettere di comportarsi in modo tale da accrescere prevedibilmente la minaccia. Benché fossero stati previsti l'aumento della minaccia terroristica e la proliferazione, l'invasione li ha accresciuti in maniera imprevista. Si dice comunemente che dopo un'esauriente ricerca in Iraq non sia stata trovata nessun'arma di distruzione di massa. Questo, comunque, non è esatto. In Iraq ci sono stati depositi di armi di distruzione di massa: precisamente di quelle prodotte negli anni 1980, grazie all'aiuto fornito, fra gli altri, dagli USA e dalla Gran Bretagna. Questi siti sono stati messi in sicurezza dagli ispettori dell'ONU, che hanno disarmato le armi. Ma gli ispettori sono stati mandati via dagli invasori e i siti sono stati lasciati sguarniti. Tuttavia gli ispettori hanno continuato a portare avanti la loro missione attraverso le immagini satellitari. In più di 100 siti hanno scoperto un massiccio sofisticato saccheggio di queste installazioni, fra cui l'equipaggiamento per produrre propellente solido e liquido per missili, biotossine e altri materiali utilizzabili per armi chimiche e biologiche, e equipaggiamento di alta precisione utilizzabile per la fabbricazione di parti di bombe chimiche e nucleari e di missili. Un giornalista giordano ha appreso da funzionari di dogana, responsabili del confine giordano-irakeno, che dopo la vittoria delle forze di USA e Gran Bretagna su un camion su ogni otto, che entra in Giordania per destinazione sconosciuta, sono stati scoperti materiali radioattivi.

Non ci sono parole per definire l'ironia della situazione. La giustificazione ufficiale per l'invasione di USA e Gran Bretagna era di prevenire l'uso di armi di distruzione di massa, che non esistevano. L'invasione ha fornito ai terroristi, messi in moto dagli USA e dai loro alleati, i mezzi per sviluppare armi di distruzione di massa: per la precisione, l'equipaggiamento, che avevano fornito a Saddam, infischiandosene degli orrendi crimini, che più tardi avrebbero invocato per stimolare il sostegno all'invasione. È come se l'Iran ora fabbricasse armi nucleare usando materiali fissili, forniti dagli USA all'Iran all'epoca dello scià, cosa che per altro potrebbe accadere davvero. Negli anni 1990 i programmi per recuperare e mettere in sicurezza tali materiali hanno avuto un notevole successo, ma come la guerra al terrorismo, anche questi programmi sono caduti vittima delle priorità dell'amministrazione Bush, dal momento che ha dedicato la sua energia e le sue risorse per invadere l'Iraq. [...]
4/28/2006, 9:19:00 PM

Anonymous wrote ...
Forse il numero di soldati dispiegati risponde ad esigenze precise di budget.
Magari è poreferibile che qualche poveraccio salti in aria ogni tanto piuttosto che mandarne il quantitativo necessario a chiudere la guerra in fretta.
4/28/2006, 4:27:00 PM

Anonymous wrote ...
essì, anche io ho trascritto un'interrogazione alla Camera sulle vere ragioni per cui saremmo in Iraq...

ciao, finalmente ti leggo! Ha ragione Gaspar, scrivi proprio bene. Stavamo seduti al tavolo di fronte l'altro ieri.
4/28/2006, 11:55:00 AM

Anonymous wrote ...
è una domanda retorica, in effetti, però manca un passaggio:
il terrore si contribuisce a crearlo, poi lo si combatte per amministrarlo, che un nemico alle porte vien sempre utile in casa.
4/28/2006, 11:43:00 AM

- la guerra tiepida

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Piccoli petulanti pizzaioli

1. Un vecchio e un bambino si presero per mano, e andarono in un prato pieno di croci...
Belle queste croci bianche, disse il figlio.
Sono soldati che attraversarono l'oceano per difendere la nostra libertà, rispose il padre.
Come te, rispose il figlio?
No, figliolo, è diverso. Io ho attraversato i monti e mi sono imboscato in Isvizzera.
Ma papà, perché non sei rimasto anche tu a difendere la nostra libertà?, incalzò il figlio.
Per chi mi hai preso, per un comunista?, replicò sdegnato il padre.
Il figlio non chiese più niente.

2. È probabile che sui cimiteri del distretto elettorale di Ceppaloni sia imbattibile. Ma per il resto Mastella è una frana, non dovrebbero farlo parlare. Di cimiteri militari del Commonwealth è punteggiata la penisola. Ce n'è uno a Udine, uno a Bologna (bastava leggere 2025...), uno a Milano, dove non è troppo inverosimile che un giorno Luigi Berlusconi accompagnasse il figlioletto. E non importa che molti dei caduti a Bologna, ad esempio, fossero in realtà indiani o pachistani (abilissimi a strisciare nelle macchie dell'Appennino e accoltellare il tedesco in silenzio): sono pur sempre "soldati che attraversarono l'oceano per difendere la nostra libertà". Berlusconi è un bugiardo professionista, lo sappiamo. Sbugiardarlo richiede come minimo altrettanta professionalità.

3. I politici italiani che hanno avuto l'onore di parlare al Congresso americano sono stati: De Gasperi, Andreotti, Craxi e Berlusconi. Come dire che dopo il povero Alcide buonanima, gli americani non hanno più azzeccato un solo politico italiano di riferimento. Abbiamo avuto, nell'ordine: un colluso con la mafia; un corrotto morto latitante; un parolaio inconsistente. A questo punto tanto vale mandargli Panariello, tanto che importanza ha: era mattina e non l'ha visto nessuno (quando Aznar o Blair sono saliti in Campidoglio, c'era la diretta anche negli USA).

4. Sulla pronunciation, cerchiamo di essere equi. Pur senza quel magnifico "But no, but no" sfoggiato mi pare con Rasmussen, B. è comunque stato imbarazzante. Una lingua la sai parlare o non la sai parlare: se non la sai ti fai tradurre, come immagino faccia Chirac, e non credo che nessuno lo prenda per un provinciale. Sentire il mio rappresentante che parla di Europa e libertà nell'Assemblea più potente del mondo con l'accento di un pizzaiolo di Toronto m'intristisce, oggettivamente; m'intristirebbe anche se fosse Prodi (ma è B).
Detto questo, devo riconoscere che per essere un sixty-something, Berlusconi non se la cava neanche male. Insomma, non conosco nessun sessantenne italiano con una pronuncia migliore della sua. Allora forse il problema non è della pronuncia, ma dell'età. Già. Dovremmo eleggere rappresentanti più giovani (peccato che siano più fessi, in media).

5. Il discorso in sé era talmente vago che quasi quasi lo sottoscrivo in toto (a parte l'aperture a Putin, ovvio). Il fatto è che per quanto guitto, B. è sempre un po' ragionevole degli opinion-leader al suo seguito: al Congresso ha fatto presente che in breve ci saranno al mondo 6 miliardi di poveri e 2 miliardi di privilegiati. Naturalmente la ricetta proposta (il libero mercato) è una patacca: però almeno mette a fuoco la questione, negando esplicitamente il conflitto di civiltà. (A volte mi chiedo se questo spaventoso conflitto di civiltà contro il quale io polemizzo continuamente – e non solo io – non sia alla fine un mostro marginale, confinato su qualche blog e giornalino di opinione più o meno presentabile. Una comoda sponda per argomenti che comunque rimbalzano subito da un'altra parte).

6. L'atlantismo di Berlusconi è un grosso bluff, che nessuno gli vede per pietà. Quando si è trattato di mettere nero su bianco il proprio sostegno agli Usa, B. ha nicchiato per mesi. Al vertice delle Azzorre non c'eravamo: c'era il Portogallo (ospite), la Spagna, il Regno Unito; c'erano ovviamente gli USA; ma B. no.
Come dice Ciampi, il contingente italiano è arrivato in Iraq solo "a guerra finita" e "su invito dell'Onu", ecc. ecc.. Un malizioso potrebbe dire: siamo arrivati a guerra vinta (vecchia consuetudine italiana) e a pozzi aperti. In ogni caso, la presenza italiana è minuscola, e non ci fa onore: come m'imbarazza il pizzaiolo di Toronto al Congresso, così mi sento disturbato dall'idea che con soli tremila uomini noi ci riteniamo in diritto di mantenere un'opzione dell'Eni sui pozzi petroliferi di Nassiryia. È possibile non vedere la sproporzione enorme tra quello che abbiamo fatto noi e quello che hanno fatto gli angloamericani? Loro hanno, insomma, invaso tutto il Paese, esportato la democrazia in massa. Noi abbiamo addestrato un po' di poliziotti…

7. Eppure anche la nostra omeopatica presenza in Iraq, col tempo è diventata strategica. Dopo il ritiro spagnolo ci bastano tremila uomini per essere forse il terzo contingente in Iraq (di sicuro il secondo europeo). Perciò, anche se siamo in pochi (e abbiamo pretese forse esagerate), gli angloamericani hanno effettivamente bisogno di noi per evitare che l'Iraq sembri una nazione occupata militarmente da una sola potenza nemica. L'altra faccia della medaglia, è che ci bastano tremila uomini per esporre tutta l'Italia a ritorsioni terroristiche. Ora, pur essendo pavido di carattere, e lesto al panico, credo che al Terrore occorra reagire con fermezza. Ma non capisco che senso abbia esporsi al Terrore solo col piedino. Tanto il Terrore è Terrore, per definizione fanatico e integralista: se ha deciso di colpirci, ci colpirà. Ma allora tanto valeva spendersi di più, fare la guerra sul serio. Oppure non fare nulla, e non esporsi neppure. Quello che non sopporto è la guerra tiepida, tutta questa ipocrisia governativa "sì, siamo con gli americani, però non abbiamo partecipato alla guerra, però siamo loro alleati, però non combattiamo ma educhiamo la polizia, ecc.". Come se Al Zarqawi e compagnia s'interessassero dei dettagli. Se davvero avevamo paura di Al Zarqawi, ce ne stavamo a casa. E se non abbiamo paura di lui, dovremmo combatterlo a fronte alta.

8. In questi giorni sono molto impegnato e l'idea anche solo di scaricare e sfogliare l'enciclopedia programmatica dell'Unione mi butta giù. Da qualche parte nelle 200 pagine ci sarà anche l'exit strategy dall'Iraq. Immagino che abbia tempi più brevi di quella prevista da Berlusconi. Se fosse così mi sembrerebbe giusto: l'elettorato di riferimento dell'Unione non ha mai voluto la guerra. In realtà nessun elettorato la voleva, tranne forse quello di Capezzone. A proposito di Capezzone, anche il suo film sulla "Comunità delle democrazie" dovrebbe essere sospeso dalle sale diciamo fino al 9 aprile: non perché non sia immaginifico e ben girato, ma perché rischia di farci perdere voti, e i voti sono molto importanti, vero?
Quando parliamo di ritirarci dall'Iraq, diamo per scontato che l'Italia sia in Iraq. Non è proprio così. 2-3000 militari italiani da un Paese di 25 milioni di abitanti occupato da 140.000 militari USA non sono davvero una gran cosa. Ognuno può avere la sua opinione sulla Guerra in Iraq, ma non c'è dubbio che il nostro aiuto agli americani sia già oggi piuttosto esiguo. E interessato, per di più.
Capisco le ragioni di chi dice che non si può abbandonare l'Iraq nel caos. Nei fatti l'Iraq è nel caos: sciiti e sunniti continueranno a scontrarsi per anni. 3000 italiani, però, non cambiano di molto la situazione.
3000 italiani sono importanti come moneta di scambio tra Berlusconi e Bush (io mantengo formalmente la presenza italiana nella coalizione dei volonterosi, e tu mi fai una marchetta elettorale). 3000 italiani sono importanti perché ci espongono agli attacchi terroristici. 3000 italiani, secondo me, possono andarsene anche domani, e l'Iraq resterà il problema che era prima. Certo, gli USA avranno perso un altro piccolo petulante alleato.
Secondo me se ne faranno una ragione.
Comments (8)

Ricambi Originali wrote ...
Sull'americanismo di silvio, vorrei chiedergli perche' non ha parlato di Guantanamo, al Congresso, cosi' come ha fatto qualche settimana fa in Italia.
3/7/2006, 3:43:00 PM

Anonymous wrote ...
Hai naturalmente ragione, (tranne sull'imperatore: non era Gengis, ma Kubilai). Né io né il Griso ignoravamo l'origine orientale del termine "kamikaze". Io l'ho adoperato polemicamente per cercare di dimostrare che l'uso di martiri in operazioni militari non è una prerogativa della cultura o della religione islamica).
3/6/2006, 10:50:00 AM

lapiccolacuoca wrote ...
avendo letto molti post e molti commenti (in particolare quello del 10 febbario) vorrei fare un'errata corrige
kamikaze è di chiara matrice giapponese
significa vento degli dei, a seguito dell'uragano che spazzò via le navi di Gengis Khan andate per invadere il Giappone. Poi con la seconda guerra mondiale questa metafora divenne fatto e ne conseguì che molti giovani aviatori giapponesi si buttassero sulle navi americane affinché le stesse affondassero e non invadessero il Giappone. Come poi invece accadde. Poi che molti non abbiamo ancora capito che kamikaze non abbia a che vedere molto con il martirio bensì con la il recondito significato di resistenza benché sconfitti.
lapiccolacuoca
3/4/2006, 6:13:00 PM

Leonardo T wrote ...
Antonio, grazie. Faccio sempre errori cretini.

Salvatore, il problema è che il programma del centrodx letto a voce alta prende due minuti, quello del centrosx tre giorni.
3/3/2006, 4:27:00 PM

Anonymous wrote ...
Ti è scappata via una cifra, 25-26 milioni di abitanti :) Quanto al discorso voglio sperare che nell'offerta speciale della PBS fosse compresa una visitina negli States e la redazione di un'orazione ineccepibile e che toccasse tutte le corde giusto per un uditorio di colà (http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=478, tra gli ultimi post c'è anche la sua opinione sulla comparsata al congresso)

ciao
3/3/2006, 3:01:00 PM

Anonymous wrote ...
in effetti, i testi in inglese gleli scrive quello là, quello che suona le sue canzoni napoletane, come si chiama.

No, in realtà volevo dire che questo articolo è ben notevole.
3/3/2006, 11:13:00 AM

Anonymous wrote ...
Berlusconi è molto portato per le lingue. Quando l'ho sentito cantare in napoletano sono rimasto ammirato dalla pronuncia. Molto meglio dell'inglese, comunque
3/3/2006, 10:08:00 AM

Anonymous wrote ...
Ciao Leo,

hai ragione sulla professionalità della bugia di Silvio e sull'altrettanta necessaria professionalità per sbugiardarlo.

Per quanto riguarda però la faccenda dei cimiteri qualche osservazione in più va fatta.

Come dicevo anch'io da un' altra parte, esistono in tutt'Italia molti cimiteri del Commonwealth come sono esistiti dopo la guerra molti cimiteri americani provvisori (se non sbaglio uno anche vicino Modena).

Però Silvio nella sua storia volente o nolente è stato un po' più preciso.

Ha parlato di un luogo dove riposavano "molti giovani valorosi soldati, giovani che avevano attraversato l’Oceano", ha parlato di croci, ha parlato "del supremo sacrificio con cui quei soldati americani avevano difeso la sua libertà", ha parlato di se stesso come di un giovane che si era appena diplomato (e non già all'università che finirà nel 1961).

Possiamo quindi concludere che il cimitero di Silvio doveva essere abbastanza grande, con delle croci, con sepolti soldati americani e che la visita è avvenuta negli anni 1955-56.

Tutto questo restringe il campo con molta probabilità al solo cimitero di Nettuno.

Comunque concordo che ci son faccende più importanti.

Come sempre (e come sai) com molta stima.
3/3/2006, 9:41:00 AM

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Forza Occidente
(alè alè)

Non bisogna crederlo stupido, non lo è. Ha un’intelligenza pratica, intuitiva, brillante: ma anche grossolana, priva di quelle finezze che si apprezzano negli uomini di mondo. La parola esatta dovrebbe essere “furbacchione”, o “furbastro”: abbastanza furbo da essersi preso più volte gioco di tanti più astuti e sottili di lui. Ma anche abbastanza grossolano da farci cascare le braccia, ogni volta che dichiara qualcosa. Di chi sto parlando? Ma del Capo, no? Se n’è stato in silenzio per tutta la guerra, e appena ha visto Baghdad libera, eccolo qui: pronto a dire che la guerra in Iraq l’ha vinta lui e l’ha persa il Centrosinistra.

Ecco allora che insieme ai "rallegramenti" per quella che il premier definisce "la fine della guerra", e alla rivendicazione di una "posizione filoamericana risultata vincente", il capo del governo spende molte parole per polemizzare con il centrosinistra, colpevole, a suo parere, di "non aver manifestato la nostra stessa allegrezza, perché evidentemente non ha apprezzato compiutamente il senso della liberazione di un popolo".

Vogliamo dire una piccola verità? A parte l’indubbio merito di essere stato zitto quando c’era da tacere, e avere festeggiato quando c’era da festeggiare, il filoamericano Berlusconi non ha fatto un bel niente per l’America. Più che un alleato, è stato un tifoso. Il suo sostegno alla coalizione ha avuto l’importanza che può avere, durante Milan-Nocerina, un signore calvo sulla sessantina con una sciarpa rossonera sul quarto anello di San Siro. Questo spiega anche gli sfottò al centrosinistra, che hanno il senso del gesto dell’ombrello che si mostra ai tifosi avversari: io rido, tu piangi, tiè.

E se la coalizione avesse perso? Impossibile. Ma se avesse perso in termini di immagine, logorandosi in una guerra lunga e ancora più sanguinosa? Allora l’anziano signore avrebbe riposto con fare circospetto la sua sciarpina nella borsa, e sarebbe uscito dallo stadio senza farsi notare. E tu chiamalo scemo. Per non sapere leggere e scrivere, Berlusconi ha capito perfettamente come funziona la diplomazia.

Così le settimane della guerra, e quelle che l'hanno preceduta, dimostrano che "la sinistra è in una crisi profonda", e che, "se ci fosse un Blair nella sinistra italiana, dovrebbe battere un colpo".

Ecco un lapsus interessante. Tony Blair non è soltanto il leader della sinistra inglese (ammesso che lo sia ancora); è anche, e soprattutto, il capo dell’esecutivo del Regno Unito. Lamentandosi della mancanza di un Blair italiano, Berlusconi non si rende conto (o finge di non rendersi conto) che quel Blair poteva benissimo farlo lui. Se era così persuaso della necessità di un’invasione cruentissima, perché non se n’è fatto promotore in Italia, come Blair a Londra? Perché se n’è stato sulle sue, mentre Blair, Bush e perfino Aznar confabulavano alle Azzorre? Già, perché? Perché è un furbastro, il nostro grande capo. Sa benissimo di essere il Presidente non di una nazione di guerrieri della libertà, ma di sessantenni come lui, a cui si può chiedere al massimo di sfoggiare la sciarpina coi colori dell’Occidente. Ha dato un occhio ai sondaggi, ha contato i giorni dalle elezioni, e ha pensato: col cavolo che mi metto nei guai per venti milioni di arabi che neanche so dove stanno sull’atlante. Son mica un petroliere, io, io vendo emozioni. La guerra mi piace giusto giusto alle sette di sera su Retequattro. (Anche perché, mentre a sinistra si discettava di guerra lunga, breve, media, ecc., lui era già in giro in campagna elettorale).

In questi giorni si sono viste casacche di ogni colore in Golfo. Perfino tedeschi e (mi pare) francesi, tanto polemici nei confronti dell’invasione, hanno reso qualche servizio nelle retrovie. L’Italia, niente. L’Italia suonava la trombetta dagli spalti. In un certo senso Berlusconi è stato l’unico vero governante pacifista. Di un pacifismo autentico, viscerale, antieroico: il pacifismo dell’otto settembre: tutti a casa, che la mamma sta in pensiero.

Purtroppo c’è un purtroppo: non sempre si può restare sul quarto anello: presto o tardi questi noiosi alleati chiedono il conto, in termini di “contingenti di pace”. L’Afganistan ce l’ha insegnato, ormai si è rassegnato anche il Ministro Martino, l’idolo di tutte le mamme e le nonne d’Italia: inutile cercare di sottrarsi.

Tornando all'Iraq, il presidente del Consiglio spiega che c'è la disponibilità del governo, "dopo un voto del Parlamento", a fornire un contingente di pace, perché "da tempo sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna, ci hanno rivolto la richiesta di inviare soldati dopo la guerra"; ma sulla richiesta alleata di inviare i Carabinieri, di cui si parla da ieri, non si sbilancia: "Sono famosi per il loro operato, ma è presto per dire quale Corpo sarà mandato in Iraq".

Non so se è una mia suggestione, ma mi sembra di leggere tra le righe il piccolo fastidio di doversi decidere a mandare in giro carabinieri o altri, a rischio che qualcuno inciampi in un fucile carico, o venga ucciso in un agguato, o venga sorpreso a torturare nativi, o qualsiasi altra cosa per cui le nostre forze armate sono conosciute nel mondo.
[Probabilmente fanno anche bellissime cose, i nostri militari, ma è sempre il peggio a fare notizia].

E qui finisce la speranza (ridicola speranza) di un Presidente pacifista, che pur plaudendo alla lodevole iniziativa di Iraqi Freedom, se ne stava in disparte e ci teneva al riparo dai venti di guerra. Berlusconi non sa, o finge di non sapere, che la differenza tra “guerra” e “pacificazione” è puramente nominale: dicesi “guerra” quella sotto i riflettori di tutto il mondo, con un sacco di giornalisti rompicoglioni che attizzano i sensori dei carri armati intelligenti. La “guerra” finisce con la presa della capitale, una chiassata in piazza e qualche pittoresco saccheggio. Dopodiché le truppe scelte e la maggior parte dei giornalisti se ne va (svelti, che c’è la Siria in cartellone), e ha inizio la “pacificazione”, che dura anni e anni e miete vittime su vittime, senza che nessuno si prenda più la briga di contarle.

(Per maggiori dettagli sulla “pacificazione”, consiglio di consultare WarNews alla voce Afganistan. Così, già che ci siamo, possiamo anche renderci conto in che inferno abbiamo mandato i nostri cari Alpini, in missione di pace).
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naso da pugile piace alle ragazze

Tra i vari effetti negativi che ha indubbiamente il tenere un blog (sindrome di Celentano, stress da contatore, paranoia da referrer, cazzeggio compulsivo…), ce n’è uno positivo, e cioè: scrivere in pubblico ti costringe a fare i conti coi tuoi limiti. E questo è importante.
Se guardo dietro di me, vedo un signorino che si credeva assai informato e intelligente, appena un anno fa. Oggi non sono più così sicuro sul mio grado di intelligenza o di informazione. Mi accorgo sempre più che vado avanti per istinto. E mi accorgo anche che va benissimo così.

Un anno fa avevo teorie da spiegare al mondo. Oggi va grassa se mi riesce di metter su un pezzo divertente ogni tanto. Nel frattempo le cose diventano sempre più intricate e incomprensibili. Siccome non posso bermele tutte (da Bush che si strozza con un salatino ai complotti delle toghe rosse alla gloriosa missione italiana in Afghanistan, a Berlusconi grande mediatore europeo), non mi resta che andare a naso, e pazienza se a volte lo sbatterò contro il muro. Che poi la verginità l’ho persa molti anni fa, e non la rimpiango neanche.

Così, a naso, direi che Borrelli ha ragione a protestare e Taormina deve aver imparato da certi suoi clienti l’arte della minaccia. Così, a naso direi che, piuttosto che per un banale match di football, è più facile strozzarsi davanti a un rapporto sullo scandalo Enron. Così, a naso, direi che i Dieci Piccoli Italiani in Afghanistan ci stanno coprendo di ridicolo, e che a questo punto gli italiani dovrebbero farsi tutti pacifisti gandhiani per un semplice questione di decoro. Così, a naso direi che l’articolo 18 è una trincea più simbolica che reale, una specie di Linea Rossa, perché tanto i nuovi imprenditori aprono una ditta nuova ogni dieci dipendenti.

Così, a naso, direi che Israele sta vivendo un incubo dal quale lui solo può decidere di svegliarsi. Dopo mesi di blocchi in tutti i territori, come può un 'martire di Al Aqsa' entrare in un locale di Tel Aviv e fare fuoco? E allora a che serve tenere sotto sequestro tutto il popolo palestinese? Togliere i blocchi. Riprendere il dialogo con Arafat. L’incubo non finirà, ci saranno ancora morti inutili, il tunnel della pace è lungo e stretto, ma ha una via di uscita. Il tunnel dell’odio è cieco.

Queste cose io le dico a naso. E magari dico un sacco di cazzate, e i posteri rideranno di me (tanto sarò morto). Oppure io stesso riderò di me, quando tra qualche anno, dopo aver studiato con attenzione ogni questione, concluderò che Berlusconi, Bush e Sharon sono stati tre formidabili statisti, e io ero il solito giovane accecato dalle ideologie. A quel punto, però, spero che mi offriranno qualcosa, una sottosegreteria, una rubrica sul Foglio, una striscia in tv, perché nessuno si converte gratis, neanche San Paolo.

Nel frattempo, io, a naso, decido volta per volta da che parte stare, e se mi sbaglio, tanto peggio per me. E tanto meglio per chi sta dall’altra parte. Quelli li posso anche capire.
Faccio più fatica a capire, invece, quelli che si tirano fuori da gioco, come se non li riguardasse. Come se fossero i giudici – non alla maniera di Borrelli, no, infatti loro giudicano anche Borrelli, che “dovrebbe fare il suo mestiere”.

Gli italiani sono fatti così. Hanno una soglia d’indignazione molto bassa, che scatta subito, dopodiché può succedere qualsiasi porcheria, loro ormai sono indignati. E a quel punto non c’è più niente da fare. Un po’ come i cani, che se gli punti il dito loro guardano il dito, il meccanismo indignatore scatta sempre di fronte al messaggero piuttosto che al messaggio. Non scandalizza che esista una rete pedofila in Italia, scandalizza che Gad Lerner ne parli in prima serata. Non scandalizza che Berlusconi cambi legge per salvare i suoi amici inquisiti: scandalizzano i magistrati che denunciano la situazione.

Voi, che finché non si processa (e si condanna, evidentemente) un D’Alema o un Rutelli non ha senso processare Berlusconi. Così, per par condicio. Quanto siete garantisti. Quanto siete equilibrati. Voi il naso di sicuro non ve lo rompete da nessuna parte. Lo tenete ben alto a fiutare da che parte tira il vento, e così, impalati sull’attenti, ci fate anche la figura di uomini tutti d’un pezzo. Beh, che posso dire, bravi. Qualcosa però ve lo perdete. Che cosa esattamente non lo so, però qualcosa. Il naso da pugile, forse. A certe ragazze piace.
Comments (1)

Anonymous wrote ...
Un pezzo un po' slegato che mette assieme dieci opinioni che avevo su dieci problemi diversi con l'anniversario di un anno di blog (già allora me la menavo con gli anniversari).

In controluce un'autocritica: avevo iniziato un anno prima coi massimi sistemi, e ora scrivevo temini sull'argomento d'attualità del giorno.

Ma forse era giusto così: il blog mi avrebbe aiutato a riprendere il mio (piccolo) posto nel mondo, a rimettere in società una serie di pensieri fissi e mobili che per alcuni anni erano girati a vuoto.

In generale so di essere diventato una persona più tranquilla da quando scrivo qui: non passo più serate a difendere un'idea, so che c'è un posto dove posso sfogarmi finché voglio.
1/28/2007, 7:31:00 PM