Il consulente che cambiò l'Italia (per sapere com'è andata CLICCA QUI!!!)

Permalink
Non solo in Italia nessuno muore stronzo, ma alcuni hanno anche la dubbia fortuna di morire geniali e visionari. E sì che la traiettoria di Gianroberto Casaleggio - imprenditore, consulente, fondatore di un partito che dal nulla è arrivato quasi al 30% - non avrebbe bisogno di abbellimenti, ma si vede che non basta mai. Bisogna immaginarlo come un burattinaio di Grillo o del Movimento tutto, un leader distante, esoterico - non scherzo, qualcuno ha veramente usato la parola. Qualche anno fa, probabilmente mentre cercava di impacchettare un po' di fuffa a qualche azienda, la Casaleggio produsse quel video famoso in cui si prevedeva la Terza Guerra Mondiale e la Gaia prossima ventura nel 2054. Il video non era niente di straordinario (la qualità non essendo mai stata una priorità delle produzioni Casaleggio), ma a un certo punto diventò virale.

In mancanza d'altro - il tizio parlava poco e anche i suoi libri alla fine non è che chiarissero un granché - gli osservatori esterni del Movimento decisero che il video su Gaia rappresentava la vera ideologia segreta del suo fondatore, come se ci riflettete è giusto che sia: se hai un piano segreto e non vuoi renderla nota fuori dal tuo cerchio magico, tu subito corri a pubblicarla su Youtube. Ogni volta che ha potuto, Casaleggio stesso ha ribadito che quel video non era cosa da prendere sul serio - non più sul serio di qualsiasi presentazione che un consulente confeziona alle aziende - ma eravamo tutti troppo furbi per cascarci. Anche ieri ne hanno riparlato in tanti, su giornali radio e tv, e Casaleggio è diventato il visionario teorizzatore di Gaia. Questa è la cosa che da sempre mi spaventa: non la morte, ma il modo in cui dopo la morte di noi non sopravvive un senso complessivo di quello che siamo, di quello che abbiamo cercato di fare - ma più spesso la prima cazzata che c'è venuta in mente in un giorno qualsiasi per impressionare una tavolata di persone.

Così com'è difficile capire un Bossi o un Grillo (persino un Renzi) senza dare un'occhiata al territorio, a quei bar in cui la sanno tutti lunga e te la spiegano in due parole, ex chitarristi sbandati, padroncini o figli di, può essere abbastanza complicato comprendere Casaleggio se non hai mai assistito allo spettacolo d'arte varia dei consulenti per le aziende. Quando parliamo di C. come di un grande innovatore digitale, in sostanza stiamo provando a rivendere il pacco che è riuscito a rifilarci. Alla fine della fiera faceva dei siti - neanche molto belli, considerato che erano già gli anni in cui i blog si cominciavano a dichiarare morti. Nessuno che io sappia ha mai trovato particolarmente innovativo il blog di Antonio Di Pietro: certo, faceva notizia che ne avesse uno. Quello di Grillo sembrò sin dall'inizio un pasticcio piuttosto pesante: però era Beppe Grillo. Bastava il suo nome a portare on line milioni di utenti mai visti prima, la blogosfera italiana diventò un piccolo villaggio alla periferia del centro commerciale beppegrillo.it. Nel frattempo gli early adopters passavano ai social network, e Casaleggio nemmeno ci faceva caso. Come innovatore digitale era straordinariamente lento di riflessi, spesso ancorato a software o piattaforme già vecchie nel momento in cui le adottava (Movable Type, i MeetUp). Come nota Mantellini, la stessa concezione casaleggiana della Rete sembrava uscita dai cibernetici anni Novanta: "uno strano riciclo di miti, sogni luccicanti e intuizioni sull’universo digitale presi pari pari dall’interpretazione libertaria americana del nuovo contesto digitale di un decennio prima. Temi che nel frattempo, oltreoceano e nei circoli culturali europei, erano già stati opportunamente accantonati e considerati impraticabili praticamente da chiunque, il più spettacolare dei quali, quello del governo diretto dei cittadini attraverso gli strumenti digitali, è ancora oggi, nonostante le molte smentite pratiche, il punto centrale dell’ideologia del M5S".

Una volta buttai lì che i grillini erano i nuovi futuristi; poi non ho avuto più tempo o voglia di spiegare. (Bisogna anche dire che io ho studiato più il futurismo che qualsiasi altra cosa, e quindi lo trovo anche nella struttura delle latifoglie). Ciò che il timido consulente e Marinetti avevano in comune, non è solo la sensazione di trovarsi sul promontorio dei secoli, ma anche la segreta consapevolezza di non aver la minima idea di quel che sta succedendo. Marinetti non ha gli sponsor e la fama di un D'Annunzio, ci avrebbe messo un po' prima di salire davvero su un aeroplano...  però intanto sente tutti parlare di aeroplani, aeroplani, aeroplani, e lui si mette a scriverci un poema sopra. Non ne sa un granché, in sostanza lo tratta come un grande uccellaccio cavalcabile, ma qualcosa l'azzecca. Poi prevede una guerra, che funziona sempre. Non ha una cultura scientifica, ritaglia e incolla qualsiasi scemenza pseudoscientifica trovi sui giornali: si convince facilmente che la radioattività rinnovi il vigore sessuale perché ne parlano "gli scienziati" in una breve sul Corriere.

Casaleggio si ritrova a fare consulting in quel favoloso decennio in cui tutti parlano di internet e non ci naviga ancora nessuno. Lui ci prova. Non inventa niente, il più delle volte arriva tardi: il suo colpo migliore è stato conquistare Beppe Grillo e la sua massa critica di seguaci. Quanto alla politica: a un certo punto ci siamo tutti convinti che Casaleggio fosse la Mente, perché dei due intestatari del partito era quello che parlava poco. Senz'altro la sua idea di rifiutare qualsiasi alleanza o compromissione ha pagato. Ma non era poi un'idea così raffinata, soprattutto se si aveva la possibilità di osservare da un punto di vista privilegiato il livello di impreparazione degli eletti m5s nel 2013. Quando poi si passa alla parte pratica, con le epurazioni e i direttori C ha dimostrato ampiamente di voler gestire il movimento come un'azienda - non dissimilmente da quello che faceva Berlusconi (e lo stesso Renzi ha un concetto simile e nasce in un simile brodo culturale, anche se si è fatto le ossa nell'amministrazione locale). Il che ci riporta a quel bar non necessariamente padano in cui tutti hanno un'idea geniale per mettere a posto le cose. C'era il chitarrista sbandato, il figlio del bancario che non si sapeva esattamente dove avesse preso i soldi, e ogni tanto magari si fermava a prendere il cappuccino il consulente in impermeabile. Chiacchiere simili, timbri diversi, ma se fai caso alla nota dominante, vedi che non varia di molto. Ce l'hanno tutti con chi non ha voglia di lavorare, con gli stranieri che ci levano il lavoro, la burocrazia, i sindacati. Scattano tutti in modo automatico ogni volta che un partito anche solo vagamente di sinistra sembra poter vincere le elezioni.

Mussolini diventò un personaggio scrivendo e dirigendo un giornale, e poi tentò di dirigerla come un giornale ("un’idea al giorno, dei concorsi, delle sensazioni, un abile e insistente orientamento del lettore verso alcuni aspetti della vita sociale, smisuratamente ingranditi, una deformazione sistematica della comprensione del lettore"). Berlusconi era un piazzista televisivo: vinse le elezioni vendendo il suo personaggio televisivo di miliardario che-risolve-i-problemi, e poi tentò di gestire l'Italia come un palinsesto. Casaleggio e Grillo inventarono un blog - niente che non esistesse già: un'idea al giorno, delle sensazioni, un orientamento del lettore neanche tanto abile, clickbaiting senza pudore. Se avessero vinto le elezioni, avrebbero gestito l'Italia come un blog. Un po' mi dispiace non averli visti di fronte al cimento, ma non è detta l'ultima parola, anzi.
Comments (6)

Sul referendum, una posizione netta.

Permalink
Questi referendum non saranno utilissimi, ma almeno ci danno l'occasione di riparlare di quella che per noi del mestiere è una ferita sempre aperta. La vediamo sui giornali, in tv, su tutti i muri, e ci domandiamo: è giusto prendersela così tanto, è giusto soffrire per qualcosa che tra una generazione forse non interesserà più a nessuno?



Lo so che non ci si dovrebbe sempre atteggiare a esperti; che l'inerzia trionfa sempre nel medio-lungo termine; che è giusto che la maggioranza decida, anche quando non ha ancora gli strumenti - è un ottimo modo per forzarla a farseli, questi benedetti strumenti - e tuttavia alla fine dei dibattiti, c'è un'opinione a cui non mi sento di rinunciare: un paletto che devo piantare. Passi tutto il resto, ma questo no. Trivellate, smantellate, astenetevi o votate, ma c'è una cosa che voglio che sappiate.

"Sì" si scrive con l'accento.



(Anche maiuscolo, SÌ).
Comments (12)

Il trapassato non trapasserà

Permalink
La scorsa settimana uno scrittore italiano su un giornale italiano ha scritto un pezzo sui bei tempi andati, perlopiù analogici - e fin qua, mi rendo conto, siamo al cane-morde-uomo. I dischi di vinile che s'impolveravano e gracchiavano, le fotografie stampate che ingiallivano, i vecchi album che facevano la muffa in cantina: tutti questi oggetti scomodi pare che fossero i supporti migliori per fissare i ricordi, perché... perché poi andarli a cercare è faticoso, mentre ora è tutto a portata di clic, il passato non è più difficile come una volta, la nostalgia non è più quella di una volta. Per tacere delle merendine (la Girella indubbiamente non contiene più il cacao che ci colava dalle mani nel 1985, ma credo che in quel caso si trattasse di salvare una generazione dal diabete).

Immagino che un pezzo del genere esca almeno una volta alla settimana, su almeno un quotidiano. Giornalisti e scrittori si danno il turno. Gli odori che non torneranno, le mezze stagioni che scompaiono, ne parlava già Leopardi nello Zibaldone (non scherzo, ne parlava davvero citando a sua volta un autore del Seicento, per dire quanto sia topico il problema delle mezze stagioni nell'elaborazione degli intellettuali italiani).

Mi metto a parlarne perché, oltre alle solite foto ingiallite e ai soliti dischi che, siamo onesti, se non eri un maniaco della pulizia dopo un po' li avevi tutti segnati e impolverati e suonavano di merda, lo scrittore ha inserito tra le belle cianfrusaglie del tempo che fu anche un tempo verbale. Oddio, neanche questa sarebbe una novità. Il presente congiuntivo era dato moribondo dalla Stampa già nel maggio del 1968 - e come altre cose dichiarate morte in quel periodo, gode ancora di buona salute. Anche il passato remoto, con tutte quelle radici irregolari che lo rendono tanto ostico, più in Valpadana che altrove, in un qualche modo l'ha scampata. No: forse la notizia è qui. La scorsa settimana Roberto Cotroneo, sentendosi probabilmente obbligato in quanto scrittore italiano a lamentarsi del tempo che passa, ha deciso di piangere le sorti del trapassato remoto.

Lui invece sta benissimo e vi saluta.

Pare infatti che non usiamo più il trapassato remoto, e che ciò sia un male, perché... perché ci aiutava a depositare i ricordi in cantina, dove prendevano quel necessario odore di muffa che oggi la civiltà digitale non consente più, non capisce più. "Il trapassato remoto si usa per azioni concluse che non hanno alcuna rilevanza con il presente e con l’attualità. Oggi invece tutto ha rilevanza con l’attualità, e nulla si conclude". Sarà. Dando per scontata l'apocalisse digitale, mi resta la curiosità di sapere se è vero. C'è sul serio una flessione nell'uso del trapassato remoto? Esistono studi al riguardo? Se qualcuno ne sa qualcosa, lo prego, mi contatti. Nel frattempo non posso evitare di chiedermelo: se anche sparisse del tutto, il trapassato remoto, sarebbe un male? Preso di per sé, è un tempo verbale molto brutto. Diciamo che mette insieme le cose meno gradevoli degli altri tempi passati: il remoto è asciutto ("fu!") ma irregolarissimo, la croce di ogni corso di italiano per stranieri. I passati composti, per contro, sono belli regolari, ma lunghi, noiosi ("aveva fatto"). Ecco, il trap remoto, essendo un composto del passato remoto, è irregolare come quest'ultimo, e noioso come ogni verbo composto ("ebbe fatto"). Forse se scompare c'è un motivo. Ma sul serio scompare?

Non è inverosimile. Non perché sia brutto. Magari si potesse fare senza le cose brutte. Metti il trapassato prossimo. Non è che sia molto più bello del trap remoto: ebbene, va alla grande. Nei temi dei miei ragazzi noto sempre più questa cosa. Quando scrivono al passato si imbrogliano sempre. Vorrebbero usare il passato remoto, che è così svelto ed espressivo, ma hanno sempre paura di sbagliarlo. Allora saltano al presente, con un effetto cinematografico che nove volte su dieci provoca l'apparizione di vigorosi segni rossi sul foglio "Il pirata mi chiamò e mi dice di far presto"), oppure... al trap prossimo "Il pirata mi chiamò e mi aveva detto di far presto"). Che è persino più orribile. Ma l'idea è più o meno quella: mi serve un passato veramente passato, un passato che mi faccia sentire che il tempo è davvero... passato. La muffa, la polvere, quel tipo di cose. Anche i ragazzini sentono di averne bisogno.

Il trap remoto però è accessibile solo a chi sa già coniugare il passato remoto. Non solo, ma di tutti i passati dell'indicativo è quello che può essere impiegato in meno situazioni: solo in una proposizione subordinata temporale. Come tutti i trapassati, il trap remoto è qualcosa di più di un passato: serve a creare un minuscolo flashback in una frase che è già al passato. Se per esempio sto scrivendo "andai al supermercato", per aggiungere a questa frase un'altra frase (subordinata) situata in un momento anteriore, posso usare il trap remoto: "dopo che ebbi ricevuto la tua lista della spesa". In questo senso si dice che il trap remoto, come il trap prossimo, esprime l'anteriorità, ovvero il concetto di passato nel passato. Ma nella frase ci dev'essere già una frase al passato, perché io possa andare ancora più indietro con una subordinata al trapassato.


Ecco: uno dei motivi per cui il trap remoto potrebbe scomparire è che tendiamo a subordinare sempre meno. Questa sì, è una tendenza generale che si può riscontrare nei quotidiani e soprattutto nei libri. Come tutte le lingue, l'italiano scritto è diventato più cinematografico: frasi brevi e incalzanti, separate tra loro. I nessi temporali, o di causa-effetto, vengono lasciati all'interpretazione del lettore. Là dove un autore di primo Novecento avrebbe scritto, ad esempio, "la marchesa uscì solo alle cinque, dopo che ebbe ricevuto il biglietto", il suo collega dei primi Duemila preferirà: "la marchesa ricevette il biglietto verso le cinque. Subito dopo uscì". Nel primo caso abbiamo un'organizzazione sintattica, ricalcata sulle forme del latino; nel secondo abbiamo il montaggio cinematografico di due scene. Addirittura abbiamo sempre più esempi di narrazione al presente ("La marchesa riceve il biglietto ed esce"). È chiaro che un'evoluzione di questo tipo condanna il trap remoto, ma anche tante altre cose più interessanti.

È curioso invece che Cotroneo accusi velatamente la rivoluzione digitale di averci tolto il (dubbio) piacere del trap remoto: la tendenza a semplificare e abolire la sintassi è molto più antica. È già impugnata da scrittori e artisti nel Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), l'anno di massima espansione della nascente industria cinematografica in Italia. Una coincidenza? Forse se tendiamo ad abolire i trapassati, e la sintassi in genere, è perché anche i nostri ricordi sono diventati sempre più cinematografici. Non li organizziamo più in un discorso orale o scritto, ma li riviviamo davanti ai nostri occhi come un film (È questa tra l'altro la speranza che porta Zeno Cosini a frequentare il suo analista: strappare al passato non un senso ma delle "immagini": "Vedere la mia infanzia!").

Un altra peculiarità del trap remoto è il suo aspetto (lo so, è così interessante che ne volete ancora, ebbene, prosegue sul Post!)

Un altra peculiarità del trap remoto è il suo aspetto (l’aspetto è la categoria grammaticale che definisce la durata delle azioni espresse dai verbi). Alle elementari gli insegnanti tagliano corto e ti spiegano che il passato remoto serve a parlare di cose antiche: Cesare passò il Rubicone. In realtà quel che rende il remoto così efficace non è il fatto che sia “remoto”, ma che esprima azioni concentrate in un solo momento. Cesare era in marcia, magari era anche un po’ indeciso, finché un giorno sciolse gli indugi e passò: un momento prima era in Gallia, il momento dopo era in guerra col Senato. Anche Dio, quando crea la luce, non ci mette tutto questo tempo, sentite? La luce fu. Come accendere una lampadina. I latini lo chiamavano, più opportunamente, perfectum, a cui si contrapponeva l’imperfetto, che invece serve a esprimere azioni che hanno una durata nel tempo: Cesare esitava, poi passò.

L’aspetto non è una cosa tanto esotica: sentiamo tutti la differenza tra “quel giorno ti scrissi” e “ti scrivevo tutti i giorni”. La prima è un’azione momentanea o puntuale, cioè concentrata in un momento, in un punto sulla retta del tempo. La seconda è un’azione durativa o ciclica: per disegnarla sulla stessa retta mi serve un segmento continuo o tratteggiato.




E il trap remoto? In certe vecchie grammatiche è ancora chiamato Piuccheperfetto: eredita dal passato remoto la stessa funzione puntuale. La marchesa uscì dopo che ebbe ricevuto la lettera: ricevere la lettera è un’azione compiuta, che avviene in un solo momento. La marchesa, che aveva ricevuto la posta, uscì alle cinque: sentite che mi è bastato usare un trap prossimo invece che un trap remoto per suggerire che l’azione di ricevere la posta non sia per niente eccezionale, anzi faccia probabilmente parte di una liturgia quotidiana? I trapassati sono brutti, non lo nega nessuno: se qualcuno smette di usarli c’è da rallegrarsi, visto che spesso li usava male. Però in certe situazioni servono proprio loro, e portano una sfumatura di senso che altri tempi verbali non riescono a portare. (Quando Cesare ebbe passato il Rubicone, la guerra civile fu inevitabile). Altrimenti sarebbero già scomparsi; e non li rimpiangeremmo nemmeno più.

Quindi, insomma, alla fine la notizia dov’è? Il trapassato remoto sta scomparendo? Può darsi; diciamo che è l’effetto collaterale di una tendenza molto più importante (e secolare): la semplificazione della sintassi. Nello stesso secolo il numero di lettori in lingua italiana è sensibilmente aumentato, e quindi questo tipo di semplificazione potremmo anche considerarla un prezzo da pagare per avere più lettori. La lingua italiana nell’Ottocento era un club riservato, oggi è un centro commerciale: è chiaro che ci comportiamo tutti in modo diverso. È anche ovvio che qualcuno senta la nostalgia di quel club, magari perché convinto che l’avrebbero fatto entrare. Allora la notizia potrebbe essere: uno scrittore italiano, che sa benissimo come si usa il trap remoto, a cosa serve e perché si usa poco, decide di dare del fenomeno una spiegazione del tutto a-scientifica, apocalittica: coniugare il trap sarebbe un modo "di pensare la storia". Non di esprimere un’azione dall’aspetto compiuto e momentaneo in una proposizione subordinata temporale anteriore a una principale al passato remoto, ma "di capire il tempo".

Mettiamola così: se domani il Corriere pubblicasse un articolo di un muratore, un elogio alle belle carriole che furono, e mi spiegasse che la carriola non era un modo (abbastanza scomodo) di spostare materiali pesanti in un cantiere, ma uno stile di vita, un modo di “capire il peso”, di “pensare la muratura”, ecco, io un po’ mi sentirei preso in giro. Ma sull’offesa prevarrebbe una divertita incredulità: cioè sul serio vuoi prendermi in giro così? Dove sono le belle carriole d’antan? I trapassati remoti? Sul serio non ti rimane nient’altro? I dagherrotipi, i balocchi di latta in fil di ferro, le mulattiere così romanticamente polverose e propedeutiche agli incidenti stradali, il caffè di cicoria… sul serio la bottega delle brutte cose del bel tempo che fu ha esaurito il magazzino, al punto che quand’è il tuo turno di scrivere l’editoriale nostalgico ti rifila una carabattola come il trapassato remoto? Ecco, magari la notizia è qui.
Comments (6)

Anche in Bosnia può andar peggio

Permalink
 Perfect Day (Fernando León de Aranoa, 2015).

Da qualche parte in Europa ci sono i Balcani; da qualche parte nei Balcani c'è la Bosnia; da qualche parte in Bosnia c'è un pozzo d'acqua buona; da qualche giorno nel pozzo c'è un cadavere. Per toglierlo serve una corda, ma corde non ce n'è più. Ci fai tante cose con le corde: puoi legare gli animali o impiccare i cristiani. O i musulmani. Da qualche parte in Bosnia c'è una missione umanitaria, che si arrabatta come può. Sotto ogni carcassa di vacca può esserci una mina. Dietro ogni angolo, un posto di blocco. La guerra è finita, in teoria. La pace è molto in là da arrivare. I paesi sono rottami, la gente ride per un niente e si ammazza per un saluto, per un pallone. Se ti fermi a pensarci non ne esci più. Meglio scherzarci sopra e concentrarsi sul prossimo posto di blocco, sulla prossima carcassa, sul prossimo pozzo. Quel che deve andare a puttane c'è già andato; quel che ancora può salvarsi, magari si aggiusterà da sé.

Perfect Day meriterebbe di essere visto anche se non fosse il piccolo film perfetto che è, per quel pezzo della nostra storia che ci rimette davanti, dopo anni passati anche a cercare di dimenticarcelo: la Bosnia. Piccola come l'Emilia e la Toscana, alle stesse latitudini, ad appena qualche centinaio di km. Per quarant'anni un mistero sulle cartine politiche che avevamo a scuola - se ne sentiva parlare solo per l'attentato a Sarajevo - e poi all'improvviso l'inferno: il fratello che uccide il fratello, i cetnici, gli ustascia, i mujaheddin. Noi cresciuti a pane ed euromissili, convinti che la guerra fosse solo una cosa fredda, globale, assoluta, ce la siamo trovata davanti così piccola, tossica e incomprensibile, come una muffa che ci prende la cantina e non la cacci più via. Non avevamo mai sentito parlare di stupri etnici, di enclavi, di nazionalismo serbo. Ma stava succedendo a pochi passi e bastava prendere un furgone per andare a controllare nelle retrovie, che faccia familiare avesse l'orrore. Perfect Day ci riporta in quei giorni e riesce per un attimo a recuperare quel romanticismo fuori tempo che negli anni Novanta conservavano le ONG, prima dello scandalo della missione Arcobaleno.

Sarebbe insomma un film da vedere anche se fosse un noioso e tragico affresco sull'assurdità di una guerra contemporanea eccetera. Tanto meglio se invece di affliggerci o ricattarci, León de Aranoa prende una strada del tutto laterale e minata, e la butta in commedia... (continua su +eventi!) Riuscire a far coesistere dialoghi divertenti e dramma dei Balcani era una sfida quasi impossibile che in un qualche modo il film si porta a casa. Merito anche di un cast affiatato: Benicio del Toro, operatore umanitario che ne ha viste troppe e racconta a tutti che vuole andare a casa; Tim Robbins, il collega fuori di testa che guida per le mulattiere minate con lo stereo a palla; Mélanie Thierry alla prima missione, che deve imparare a guardare i cadaveri; Olga Kurylenko, boss in trasferta (ammirabile anche il modo in cui la regia riesce a gestire la sua ingombrante bellezza); Fedja Stukan, flemmatico interprete. Non sono in Bosnia per scherzare, ma qui se non si scherza si diventa matti. La guerra è dappertutto e in nessun luogo: nessuno sparerà un solo colpo, ma la morte è a ogni svolta di strada, a ogni portone. Ogni faccia che vedi ti sembra di conoscerla, e hanno tutti i loro motivi per ucciderti. Siamo in Bosnia: che altro ancora potrebbe andare storto? Perfect Day è al Lux di Busca, giovedì 7 e venerdì 8 aprile alle ore 21.


Comments (4)

Perché Renzi si ostina con l'inglese? (Because yes, he can).

Permalink
The Crimson
Ogni volta che a Renzi capita di trovarsi in un Paese anglosassone e di tenere un 'discorso' in inglese, provo sensazioni contrastanti.

Da una parte abbiamo una persona che ci rappresenta e che non parla inglese molto bene - anche se bisogna ammettere che è migliorato. Dall'altra abbiamo una specie di riflesso condizionato dell'antirenzismo più superficiale, così prevedibile che è lecito domandarsi se lo stesso Renzi non lo stia prevenendo e provocando. Quanti minuti ci vogliono perché compaia il video coi sottotitoli buffi, che avrà ovviamente quelle migliaia di visualizzazioni che il video ufficiale sull'Unità non otterrà mai? (Ma poi saranno davvero così buffi i sottotitoli?)

Nel frattempo qualcuno fa notare che a indignarsi per l'inglese di Renzi sono solo gli italiani. Gli anglosassoni non lo trovano particolarmente buffo, o meglio, all'inglese esotico dei capi di Stato sono abbastanza abituati. Da più di cinquant'anni hanno avuto la possibilità di ascoltare gli accenti strani, ma comunque degni, dei rappresentanti di tutte le nazioni del Commonwealth. Si è probabilmente sviluppata nello spettatore una condiscendenza dal vago sapore coloniale - ed è questo, forse, a infastidirmi: è vero, mentre noi lo critichiamo per la pronuncia ancora parecchio ruspante, magari gli americani in sala pensano: però si è impegnato. Sì appunto: però si è impegnato (poverino) non è quello che dovrebbero pensare del capo del nostro governo. Non dovrebbero sentirlo parlare come un pizzaiolo in un telefilm degli anni Settanta. È addirittura migliorato. Non aveva niente di meglio da fare in questi mesi, che prendere ripetizioni? Visto che non è comunque un buon accento, perché non parla nella sua lingua che in teoria dovrebbe amare e difendere, e non si fa tradurre da un professionista (ne abbiamo di bravissimi che ci farebbero fare un'ottima figura)?

Sui social se ne parla, si litiga, è in gioco qualcosa di più del renzismo: la nozione che più ci tormenta, la Provincialità. Sei più provinciale se parli inglese come Renzi e (soprattutto) non te ne vergogni, anzi lo sfoggi fiero in situazioni istituzionali? o sei più provinciale se ne critichi la pronuncia, quando tutti sanno che non sei più fluent di lui - e poi diciamocelo che questa ossessione per la pronuncia è roba da falliti che si tappano in casa nel week-end per guardarsi le serie coi sottotitoli. Nel frattempo c'è un padroncino che col suo inglese da dispense in edicola si è preso governo e parlamento, e loro.. come si dice rosica in inglese?


Flash-back  Antefatto

Fu mi pare un'olgettina, durante un'udienza del processo, a spiegare che il programma di alcune "cene eleganti" prevedeva la proiezione di un film, ovviamente, su Berlusconi - un documentario che esibiva, qualora sussistessero dubbi, i motivi per cui il padrone di casa era così figo. Mi sembra di ricordare che il climax di questo documentario fosse il discorso tenuto da B al Congresso degli USA nel 2006, poco prima di quelle elezioni che avrebbe dovuto perdere e che invece miracolosamente pareggiò. L'inglese di B. era ovviamente terribile, ma non così tragico, considerata la sua età - B ha quella di certi miei professori universitari che benché coltissimi non si facevano mai sfuggire una parola in inglese a lezione, consapevoli del fatto che i loro studenti li avrebbero considerati ridicoli. Ecco: questa consapevolezza del ridicolo è il tratto distintivo di un ceto medio riflessivo, discretamente istruito, a cui B. e Renzi sono rimasti fieramente estranei.

Quel discorso a un Congresso abbastanza svogliato, B. lo volle fortissimamente, e lo preparò con una cura insolita in quegli anni, in cui passava più tempo a palazzo Grazioli che a palazzo Chigi e cominciava a dare l'impressione di fottersene. Probabilmente sì, se ne fotteva già alla grande, ma allo spot elettorale nel Campidoglio americano ci teneva in un modo particolare. Il discorso non era affatto male (conteneva addirittura una critica al Conflitto di Civiltà) e finiva con una trombonata epica, il ricordo probabilmente inventato da sana pianta di un cimitero di guerra angloamericano visitato da bambino, col padre che gli dà la mano e gli spiega che lì ci sono le persone morte per la sua libertà, e l'improvviso crescendo, "I have NEVER FORGOTTEN, and I NEVER WILL", e boom, giù applausi. Ecco, per dire, Renzi si impegna, ma non a questi livelli, per ora (è un male? è un bene?)

Già allora il pubblico si divise tra quelli che ah ah ah, ma sentilo, non sa parlare, e quelli che no, anzi, ci ha fatto anche una bella figura. La verità non sta neanche in mezzo: fu entrambe le cose, un capolavoro Kitsch. Il discorso aveva senso solo se pronunciato in un inglese stentato - però non troppo stentato, come il saggio di fine anno di un bambino. Ma perché lo aveva fatto, perché si era chiuso in casa con un discorso scritto, con lo sforzo che poteva essere alla sua età impararselo a memoria? Era davvero così importante ricevere i complimenti di qualche lobby italoamericana, di un già azzoppatissimo George W. Bush? Già allora il sospetto è che B. non vivesse l'episodio come una mossa elettorale, semmai l'opposto: non si fanno i discorsi al Congresso per vincere le elezioni, ma i discorsi al Congresso sono quelle cose straordinarie che ti capitano se nella vita ce l'hai fatta, se hai vinto le elezioni! Cinque anni dopo mostrava ancora il filmino alle squinzie, guardate che roba mi è capitata di fare, solo a me è capitata. E Renzi?

Perché parla in inglese Renzi? A dissuaderlo dall'impresa, oltre al buonsenso, dovrebbe concorrere la percezione dei propri limiti, e il rispetto per le istituzioni e per i cittadini che rappresenta. Su un piattino della bilancia c'è tutto questo; sull'altro c'è quella fantastica faccia di gomma che fa quel che gli pare perché è divertente. Sa che il suo inglese fa schifo, sa che i gufi e i rosiconi guferanno e rosicheranno, e se la gode: con tanta autoindulgente autoironia che è l'orribile arma che la nostra generazione ha messo a punto e lascerà ai posteri; doveva essere un'arma protettiva e invece quanti danni ci ha fatto, quanti ancora ne farà. Ma soprattutto il suo inglese semplificato e paratattico è un alibi perfetto per nascondere la superficialità dei suoi contenuti; uno statista con un senso più alto delle istituzioni si contenterebbe di parlare in italiano e farsi tradurre - ma a quel punto dovrebbe anche sforzarsi di avere cose profonde da dire. Se insistiamo a guardare i sottotitoli, ci perdiamo il punto: cosa sta dicendo?

Nei giorni precedenti il suo arrivo ad Harvard, un professore italiano che vive là lo ha definito non un semplice semplificatore, ma un "disneyficatore". Lasciando stare Disney - le cui capacità di persuasione mi sono sempre sembrate assai superiori - è chiaro che "semplificatore" non funziona: è quasi un complimento. Un buon comunicatore è per forza di cose un semplificatore. Renzi ci tiene moltissimo a passare per entrambe le cose, specie in questo momento in cui forse qualche sondaggio referendario non gli è piaciuto. Chiacchiera con tutti, fa tanta comunicazione disintermediata - ha anche convocato una direzione del Pd, la situazione ormai a lui più congeniale (quando era in minoranza neanche si faceva vedere). Può andarci in camicia sbottonata e umiliare le sue vittime designate, quei rappresentanti della minoranza che alla fine gli votano qualsiasi cosa e hanno soltanto da obiettargli 'fa' più piano', 'non essere arrogante'. Nei minuti successivi di solito qualche renziano di non primissimo pelo sta già descrivendo la sua erezione su Facebook. Renzi non è un semplificatore, Renzi non è che abbia un materiale complesso da semplificare. Renzi ha avuto sempre idee molto semplici (chiudiamo il senato! aboliamo province! premio di maggioranza a chi arriva primo! assassinio stradale!) e le sta spingendo a pugni. Semplificarle più di così non si può. Se potesse, credo che sceglierebbe di esprimersi sempre nel suo inglese personale. Niente sintassi, tanti monosillabi, e anche la battuta più scema riprende smalto - e vuoi mettere il gusto di vedere i tuoi sottoposti che ti fanno comunque i complimenti. If you're not a woman you can go to Casablanca. Lo dici in italiano e sei in un film di Pierino. Lo dici in inglese, eccoti ad Harvard.
Comments (6)

El negher di Sicilia

Permalink

San Benedetto il moro, francescano nero lombardo di Sicilia (1526-1589)

Brut negher, torna all'infer'n. Immaginatevi la scena: una squadra di braccianti ha circondato un pastore, un ragazzino che porta due buoi al pascolo. Lo prendono in giro perché è scuro di pelle. Molto scuro. Figlio di schiavi dell'Africa nera, forse etiopi. Lui li guarda preoccupato ma cerca di tenere basso lo sguardo, non vuole grane. Se gli ammazzano i buoi è rovinato. E forse è a quello che puntano. Una parola sbagliata, uno sguardo di traverso, e un coltello si fa presto a tirar fuori...

Il ritratto (anonimo) più credibile.
Per fortuna arriva il frate. Non è neanche un frate vero e proprio, è Girolamo Lanza, un giovane di San Frau che si è messo in testa di fare il francescano per i fatti suoi; ha donato la sua eredità e si è trovato un eremo poco lontano, a Santa Domenica. E insomma arriva fra Girolamo e domanda: che succede, perché tormentate questo ragazzo? Vi ho visto, sapete. Lui non vi ha fatto niente. È un tipo a posto, secondo me ne sentirete parlare. I braccianti si ritirano di buon ordine: fra Girolamo sarà anche un mezzo matto, ma il suo cognome in paese pesa ancora abbastanza. L'eremita resta solo col pastore. Magari gli chiede: "Ma di chi sono questi buoi?"

"Della mia famiglia".

"Ma tuo padre non è Cristoforo, che ha preso il cognome di Manasseri dal padrone che lo ha liberato? Quando mai hanno avuto animali i vecchi schiavi dei Manasseri?"

"Li ho comprati io".

"Due buoi? Con che soldi?"

"Avevo dei risparmi".

"E che volevano quei braccianti? Che ti dicevano?"

"Non ascoltavo".

Nella mia testa ovviamente non potevano che dargli del negher-de-merda. Perché a Benedetto non era capitato di nascere soltanto in Sicilia, dove la sua carnagione era già abbastanza eccezionale da creare, lo vedremo, forme di psicosi di massa; ma tra tutti i castelli e i villaggi di Sicilia, una serie di circostanze non chiarite avevano portato il padrone del padre a liberarlo a San Fratello, ridente cittadina della provincia messinese di lingua longobarda. Esatto, a San Frau (cattiva traduzione del latino Sanctus Filadelphus) gli abitanti parlavano un dialetto lumbàrd, come a Nicosia, a Sperlinga, a Piazza Armerina, ad Aidone (EN): e a differenza di Acquedolci, di Montalbano Elicona, e di Novara di Sicilia (ME), lo parlano ancora. Non si sa neanche esattamente quando abbiano iniziato - l'ipotesi è che queste zone siano state ripopolate dopo l'invasione normanna (1090), trapiantando in zona contadini e allevatori che provenivano da qualche anfratto non ben localizzato della valpadana occidentale, una zona tra Asti, Cuneo e Savona. Oggi insomma non li chiameremmo nemmeno lumbard: ma erano longobardi, o addirittura franzosi, per i siciliani del tempo, che non riuscivano a capire una parola. In mille anni poi la lingua è cambiata, a volte accettando a volte combattendo le parlate circostanti (trovate qualche esempio di sanfratellese nei romanzi di Vincenzo Consolo, Il sorriso dell'ignoto marinaio Lunaria: oppure qua potete trovate qualche poesia in gallo-italico siciliano, e verificare come quello di San Fratello sembri il meno siculo di tutti). Per dire non credo proprio che oggi si dica "negher" in sanfratellese: oggi no, ma nel Cinquecento magari sì.

"Senti, perché non ti disfai di questi buoi?"

"Ma sono miei".

"Rivendili. Potrai donare il ricavato ai poveri".

"I miei sono poveri".

"A maggior ragione".

"E poi che faccio?"

"Vieni con me".

"A fare il frate?"

"Molto meglio che fare il pastore. E poi cos'hai da perdere?"

"Due buoi!"

"Non ci crederà mai nessuno che sono tuoi".

"E perché non dovrebbero..."

"Perché sei un negher!"

(Lo sguardo di traverso che Benedetto era riuscito a risparmiarsi in mezzo ai braccianti, ora fra Girolamo se lo prende in pieno).

"Ti ho offeso? Scusa ma insomma, si vede da lontano. E un pastore negro qua non s'è mai visto. Ma se vieni con me, io posso farti diventare..."

"Un frate negro?"

"Un santo".

"Un santo negro?"

"E quelli vanno forte".

"I santi negri?"

"Fidati di me. Vendi quei buoi".

sao_beneditoAnche ad Aidone si parlava lombardo. Il santo patrono è Filippo apostolo: però la statua di Aidone è nera d'ebano "Ha occhi neri e acuti che fanno paura: e quando viene messo in movimento per il giro della città, desta un senso di sbalordimento e di raccapriccio". Il colore scuro testimonierebbe il transito del santo dal mondo dei morti. Altrove si venera un altro San Filippo, siriaco, molto efficace contro i demoni, talvolta definito "schiavo negro". Popolarissimo in tutta la Sicilia (e in particolare ad Agrigento) è San Calogero, sempre raffigurato nerissimo benché greco di Costantinopoli, al punto che in età moderna qualcuno ipotizzò un errore di traduzione: da Chalkhidonos (di Calcedonia, città sull'altra riva di Costantinopoli), a Karchidonos, cartaginese. Ma anche a Cartagine non nascono scuri così... poi ci sono le madonne nere, tipiche dell'iconografia bizantina e molto diffuse in Sicilia già prima dell'arrivo degli arabi. E poi a un certo punto arrivano i neri veri: Benedetto non è il solo. A Noto c'è il Beato Antonio l'Etiope, detto anche Catagerò d'Avola, eremita e guaritore, poi inquadrato nei francescani, e morto verso il 1550 (ma altri etiopi, tutti chiamati Antonio, risultano a Caltagirone e a Camerano. Notiamo en passant che "etiope" poteva semplicemente significare "nero ma cristiano": il modo più semplice di rendere credibile questa curiosa compresenza di tratti somatici non europei e fede cristiana era evocare il mitico Paese cristiano al di là delle terre islamiche). Lo stesso Antonio di Lisbona, che in Valpadana tutti chiamano Antonio da Padova e raffigurano con l'incarnato roseo di un bambino, era secondo alcuni testimoni piuttosto scuro di pelle. Insomma, essere neri in Europa non è mai stato facile, ma in certe carriere poteva rivelarsi un bizzarro vantaggio (continua sul Post, come ai vecchi tempi!)
Comments (1)

Liberate il fattone Rondolino

Permalink
Lo so che c'è senz'altro qualche problema più grave qua intorno, ma l'altro ieri sull'Unità Fabrizio Rondolino se l'è presa col presidente dell'Anpi, Carlo Smuraglia, a cui non piace la riforma Boschi. Secondo Rondolino è un incompetente, uno che non passerebbe un esame "non vogliamo dire di diritto costituzionale, ma di educazione civica alla scuola media". Peccato che non esista nessun esame del genere - non esiste neanche più l'educazione civica come materia - a ben vedere non esiste nemmeno più la scuola media - e vabbe', stiamo a temperare i temperini...

Ma perché sarebbe così incompetente il povero presidente dell'Anpi? Per esempio perché accusa l'Italicum di avere un premio di maggioranza, "come ogni altra legge elettorale al mondo" puntualizza Rondolino.

Come ogni altra legge elettorale al mondo.

Come ogni altra legge elettorale al mondo?

Aspetta, la sapevo diversa - cioè metti gli USA: loro mica ce l'hanno, un premio. E il Regno Unito? Neanche. La Francia? No, la Francia no. La Germania? Non risulta nemmeno lì. Rifammi controllare.

https://it.wikipedia.org/wiki/Premio_di_maggioranza

Insomma ci dev'essere un complotto di Wikipedia Italia per far sembrare Rondolino un completo incompetente. Fortuna che c'è anche la pagina inglese - andiamo a vedere.



No, niente da fare, è un complotto mondiale (tra l'altro si permettono di ricordare che l'inventore del premio si chiamava Mussolini, una vera caduta di stile).

Lo giuro, non sto pedinando Rondolino. Se ogni tanto gli inciampo addosso, è solo per una serie di complicate circostanze. Non lo seguo neanche più su twitter - mi deve aver bannato quella volta che aveva risolto un omicidio in Palestina. Invece io non devo aver mai tolto l'Unità dai follower, sicché dopo un anno di silenzio a un certo punto la mia timeline si è riempita di lanci renziani e devo dire che li scorro volentieri, per me è importante seguire campane diverse. Capisco più cose.

Per esempio a un certo punto ho capito che all'Unità, per fare un giornale finalmente nuovo, lontano dalle vecchie logiche e dai vecchi rancori, hanno chiamato Fabrizio Rondolino. E non l'hanno chiamato così, giusto per stare in contatto, ehi vecchio come va? Scrivici qualcosa ogni tanto, sì, sì, come no. No.

L'hanno messo alla catena, poveraccio.
Un pezzo al giorno gli fanno fare.
Ma lo sapete cosa vuol dire scrivere un pezzo al giorno? No che non lo sapete.
Pensate di avercela una cosa intelligente da dire, una sola, al giorno? Io per esempio non ce l'ho (controllate). Rondolino peraltro ha una rubrica dall'autoironicissimo titolo "il fattone quotidiano", che gli impone pure di doversi prima leggere il Fatto. Tutti i giorni. E poi scrivere una cosa. E ci credono in questa cosa: sembra che sia la rubrica che rilanciano di più. Rondolino che risponde per le rime al Fatto Quotidiano. Tutti i giorni.

Più o meno la mia idea di inferno.

Ora io non posso dire che mi stia simpatico, Rondolino: ma cosa abbia fatto per meritarsi tutto questo non riesco a capirlo. Non ne vedo nemmeno l'utilità - dedicare una rubrica di un quotidiano a un altro quotidiano, trasformare una firma riconosciuta in una specie di troll istituzionale, peraltro in un momento in cui anche il Fatto perde copie e visibilità (tante cose che pubblica, non fosse Rondolino a segnalarle, me le perderei). Secondo me state ammazzando un cavallo di razza. Non è mai stato il mio cavallo, ma a questo punto ho più pena per lui che rabbia per voi. Certo, ci son problemi più gravi.
Comments

Batman contro Superman non ha senso (neanche se li costringi)

Permalink
Batman v Superman: Dawn of Justice (Zack Snyder, 2016).

Due città si dividono la baia, e se nessuno è ancora riuscito a inquadrarle assieme, forse c'è un motivo.

A est c'è Zackopolis, terra solare di Dei olimpici o aspiranti tali. I templi sono più ottone che oro, se vogliamo proprio dirla tutta, ma l'aspirazione alla grandezza è genuina. C'è un'attesa messianica, un senso del divino e della meraviglia, quella nota di fascismo che gli americani sulle prime non riconoscono - addolcito da quella spezia camp, appesantito da qualche cedimento pacchiano che possiamo scambiare per ironia. Di film di supereroi ne trovi a ogni cantone, ma nessuno li inquadra come Zack. Nessuno ci crede davvero, hanno tutti paura di passare per ragazzini e ci scherzano su.

Come hai detto che si chiama tua madre?
Solo lui riesce a stare serio di fronte a creature di calzamaglia con o senza superpoteri, solo lui è credibile, perché solo lui ci crede. Di Batman ce ne sono stati tanti, e Ben Affleck non partiva avvantaggiato: ma Zack riesce a renderlo il più spaventoso di tutti. Superman è l'eroe più antico, il più ingenuo e il più difficile - è onnipotente, e allo stesso tempo troppo fragile: non regge la kryptonite né il ridicolo. Passa il tempo a salvare la fidanzata, ha una copertura ridicola e quegli stivali da imbecille, solo Snyder può trasfigurarlo in un Michele Arcangelo. Nessun altro avrebbe potuto confezionarci un film come Batman v Superman - e allora perché non l'ha confezionato meglio? La risposta forse è dall'altra parte della baia.

Ho fatto il militare in Israele,
cosa volete che m'impressioni Doomsday
A ovest c'è Nolan City, una terra oscura, che rimedia alla mancanza di grandezza aggrovigliandosi in mille arzigogoli. Qui la linea più breve tra una scena e l'altra è lo scarabocchio, e smarrirsi è obbligatorio. Da Nolan City arrivano gli sceneggiatori che hanno ritagliato due o tre tavole delle loro storie a fumetti preferite, rimontandole in un intreccio completamente diverso, e ingegnandosi a complicare ogni raccordo con lo scopo preciso di stordire lo spettatore. Batman v Superman non è un Film Fatto Male - non sarebbe così grave - è un film Fatto Male Apposta. Un pasticcio meticolosamente organizzato a tavolino, da professionisti consapevoli.

"Clark Kent e Bruce Wayne!
Come mi piace mettere in contatto le persone"
Sarebbe bastata una sottotrama in meno, una sequenza in meno, due spiegazioni in più, e BvS sarebbe stato un dignitoso film di supereroi come ce ne sono tanti. Ma a Nolan City non si ragiona così. A Nolan City si deve complicare tutto - perché una sottotrama sola se ne puoi infilare tre? Perché l'ordine cronologico, se puoi mescolare gli eventi come in un mazzo di carte? Tutto questo lo facevano i grandi scrittori prestati al fumetto che amavamo, e che avevano cose da dirci, e lo fanno anche gli sceneggiatori di Batman v Superman, che con quelle storie sono cresciuti e forse non le hanno nemmeno capite - si ricordano solo una gran confusione che era bellissima da sfogliare, e certe frasi icastiche che copiano di pacca. "Il mondo ha un senso solo se lo costringi ad averlo". Bella, in effetti.

Peccato che a Nolan City si faccia più o meno il contrario.. (continua su +eventi!) Come ai tempi del Joker di Nolan, c'è di nuovo un cattivo pazzo con un piano che non ha senso, a volte sembra calcolato al millimetro e a volte improvvisato sul set. Il film sembra riscritto dozzine di volte con dozzine di priorità diverse: facciamo un Superman realistico, che si misura con la contemporaneità: un po' di undici settembre (e persino l'attentato a Massoud, che riemerge come in un sogno) No, anzi, facciamo il Cavaliere Oscuro di Miller, anche se ai tempi Superman era Ronald Reagan e Batman piegava già verso i neonazi... Ho cambiato idea, facciamo un universo cinematico come la Marvel! Un cameo a Wonder Woman, un altro per Flash, via che si va... dite che è roba già vista? Ok, giochiamoci la carta di Doomsday. Ma sentite, e se il cattivo lo facessimo fare a Zuckerberg? Non a quello vero, no, all'attore... Oppure facciamo tutto, mettiamoci di tutto, e speriamo che qualcuno confonda la complicazione con la profondità. Con Nolan dopotutto funzionava.

E funziona anche stavolta. Il terzo miglior weekend di sempre negli USA - ok, a lunedì si era già sgonfiato di parecchio, ma al miliardo di $ ci arriverà. Ed è solo l'inizio, perché è talmente scombiccherato che i nerd, il nocciolo duro, dopo averne parlato male per un mese correrà a ordinare il dvd con le Scene Tagliate che dovrebbero Spiegare Tutto e invece probabilmente Faranno Ancora Più Casino. In questo stesso momento centinaia di blogger convinti di avere un senso critico stanno lavorando a un pezzo sui Cinquantasette Buchi di Trama di Batman v Superman (il Quarantaduesimo Ti Sconvolgerà!) Quella è gente che un film del genere se lo merita. Lo guarderanno e lo riguarderanno fino a sognarselo, finché non lo costringeranno ad avere un senso, come i predicatori con la Bibbia. Magari il cinema dovrebbe essere un'altra cosa - anche quello di intrattenimento, anche quello coi tizi in mantello che volano e tirano raggi laser. Una cosa meno seriosa, meno inutilmente complicata. Poi vai a vedere gli incassi, e... Batman v Superman è anche questa settimana al Cityplex di Alba (21:00), al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (19:50, 21:10, 22:45), al Vittoria di Bra (21:00), al Fiamma di Cuneo (21:00), al Multilanghe di Dogliani (21:05), ai Portici di Fossano (18:30, 21:15), al Cinecittà di Savigliano (21:30).
Comments (7)

Chi la sapeva lunga su Regeni

Permalink
Quando, ormai due mesi fa, il cadavere di Giulio Regeni fu ritrovato sul ciglio di una strada, con evidenti segni di tortura, apparve subito chiaro che il governo egiziano era in imbarazzo. Le varie ipotesi divulgate dagli inquirenti - un incidente stradale, una rapina, una "vendetta personale" - erano talmente goffe da apparire tentativi di depistaggio: e non c'è motivo di depistare se non si è in qualche modo implicati.

"Io so".
Eppure, anche in una situazione del genere, tra gli opinionisti italiani c'era chi la sapeva più lunga: chi ci spiegò subito che i responsabili del sequestro e del delitto andavano cercati altrove; non emissari del governo, e nemmeno elementi 'deviati', no: Regeni dovevano averlo ammazzato gli oppositori: i Fratelli Musulmani.

A distanza di quasi due mesi, alcuni di questi pareri molto competenti rischiano di sparire dalla prima pagina dei risultati di google. In un certo senso è un peccato, così li incollo qua sotto. Questo è un giornalista di lunga e provata esperienza, Toni Capuozzo, intervistato da Adriano Scianca il sei febbraio per Libero (Capuozzo, la verità sull'omicidio di Giulio: "Vi dico io chi può averlo ucciso"):

«La mia», spiega, «è una conclusione logica: il regime non aveva interesse a compiere questa uccisione [...] I dettagli dell' omicidio raccontano di un interrogatorio condotto con odio e volontà punitiva. Mi pare più probabile che alcuni gruppi organici ai Fratelli musulmani o comunque all'opposizione fondamentalista ad al-Sisi lo abbiano scambiato per una spia.
Giulio era un occidentale, frequentava l'università americana, faceva domande in giro: evidentemente qualcuno lo ha scambiato per ciò che non era e lo ha interrogato, torturandolo, affinché confessasse cose che in realtà non sapeva.
Poi l'ha lasciato in condizioni tali da imbarazzare il regime. Viceversa, anche il peggiore squadrone della morte al servizio di al-Sisi lo avrebbe fatto sparire senza lasciare tracce».

Due giorni dopo Ugo Volli su Informazione Corretta, dopo aver premesso - come Capuozzo - che non conosce molto il caso, ci spiega che il governo non può aver fatto uccidere un ricercatore italiano, semplicemente perché non gli conviene. Invece a chi conviene? Agli islamici. Hanno ucciso Arrigoni (che si fidava di loro) a Gaza, quindi possono aver ucciso Regeni. "Ed è chiaro che questa morte danneggia il governo egiziano, nemico degli islamisti che Regeni frequentava e di cui si fidava, come a suo tempo Arrigoni a Gaza, ben più di un normale attentato. La logica del “cui prodest” punterebbe dunque ai nemici di Al Sisi più che sul governo egiziano").

Nel frattempo emergono testimoni che parlano di poliziotti in borghese che seguivano Regeni; di persone entrate nella sua stanza in cerca di documenti; malgrado tutto questo, venti giorni dopo Angelo Panebianco è ancora convinto che sia stata la Fratellanza Musulmana. In questo caso vale la pena di notare il coraggio di Panebianco, che persiste nel suo "ragionamento" a dispetto delle perplessità dei lettori e delle convinzioni del New York Times, ma soprattutto dagli indizi che nel frattempo erano emersi a carico della "sicurezza egiziana". Insomma dove c'è un "ragionamento" di un editorialista autorevole, indizi e testimonianze di giornalisti sul campo devono cedere il passo.

Sette (inserto del Corriere) 26 febbraio 2016.

Sia Panebianco sia Volli che Capuozzo sembrano dare per scontato che in Egitto i Fratelli Musulmani abbiano ancora una specie di controllo del territorio simile a quello che la criminalità organizzata ha in certi quartieri italiani. Sembrano insomma ignorare la repressione degli ultimi due anni - 1200 condanne a morte soltanto nel 2014, tra cui la "Guida generale", Mohammed Badi'; ventimila arresti. Ciononostante per Panebianco gli islamisti penetrano ancora "nei diversi gangli della società". "Non è difficile ipotizzare che qualche infiltrazione ci sia stata anche negli apparati della sicurezza. Sarebbe strano, anzi, che ciò non fosse avvenuto".
Comments (6)

Saoirse va a Brooklyn

Permalink
Brooklyn (John Crowley, 2015).

I'll dye my petticoats, I'll dye them red 
and it's round the World I will beg for bread 
until my parents would wish me dead. 
La sfida che tutti aspettavamo è realtà. Batman e Superman si affronteranno, in una lotta senza esclusione di colpi anche se poi si scoprirà senz'altro che era un equivoco e uniranno le loro forze contro una minaccia comune che -
- no dai basta.
Eh?
- Basta film di supereroi, non se ne può più. 
Dici?
- Alla tua età poi. Sei patetico.
Ma ci vanno tutti...
- Tra l'altro pare sia un brutto film.
Capirai. Batman contro Superman, cosa pretendi?
- Pretendo della qualità, dello stile. Stasera andrai a vedere un bel film. 
Ma ho già visto i fratelli Coen la settimana scorsa...
- Questa settimana è uscito Brooklyn. Con Saoirse Ronan. 
Uh, che brava Saoirse. Di che parla il film?
- Di emigrati.
È un tema molto attuale!
- No, sono emigrati irlandesi negli USA, nel dopoguerra.
Sì, ma probabilmente l'autore ne approfitterà per mostrare i caratteri universali del dramma dell'emigrazione...
- No.
Ah no?
- È un film molto legato alla sua epoca. Ricostruzione filologica. Personaggi molto anni Cinquanta. Potrebbero essere i nonni. È la classica storia che ti raccontano i nonni.
Bene, quindi immagino che Saoirse all'inizio del film viva in Irlanda, in un contesto di povertà, di abbruttimento, dal quale non ci si può riscattare se non...
- In realtà sono tutti molto dignitosi.
Ah.
- Però lei è disoccupata e allora un prete le trova un visto e un lavoro a Brooklyn.
Un prete! Che ovviamente nasconde qualche vizioso segreto... magari è a capo di un racket, la tratta delle celtiche...
- No.
No?
- È una bravissima persona, attenta e riservata. La iscrive a un corso serale di contabilità. Le paga due anni di retta.

Anche i vostri nonni, almeno una sera,
non sapevano come abbracciarsi.
Ah.
- Deluso?
Beh, in effetti non è che possono sempre fare i cattivi, i preti.
- Non sarebbe realistico. 
Voglio dire, un prete o una suora malvagio/a ogni tanto ci sta proprio bene, ma alla lunga diventa un cliché.
- Invece un bravo prete un po' ti spiazza.
Già.
- Già.
E se andassi a vedere Batman?
- Non essere ridicolo. Andrai a vedere un film giustamente candidato all'oscar. Ed è piaciuto a tutti.
Tutti quelli che l'hanno visto.
- Certo.
Cioè magari non proprio tantissimi... ma quindi Saoirse arriva a Ellis Island e la ispezionano, la schedano, quarantena, magari le cambiano nome...
- No.
Ah no?
- Ha già i documenti a posto, saluta la guardia di frontiera ed è già in città.
Dove va a vivere? Sotto il ponte?
- In affitto da una signora.
Una megera che abusa di lei!
- No, una brava signora. Lei peraltro è una ragazza molto seria e diventa presto la sua inquilina preferita.
Ah, perché ce ne sono altre!
- Certo. Un po' meno serie.
E quindi invidie, macchinazioni, beffe crudeli, bullismo...
- No, anzi, è così adorabile che l'aiutano a truccarsi.
Ma insomma che lavoro fa?
- Commessa ai grandi magazzini.
Vessata dalla caporeparto!
- No, anche lei è una brava persona che le dà ottimi consigli. 
A che punto del film saremmo?
- Più o meno quaranta minuti.
E non è ancora successo niente.
- Come fai a dire che non è ancora successo niente? (continua su +eventi!)

- Come fai a dire che non è ancora successo niente? Ha attraversato l'oceano, ha cambiato casa e lavoro, e ora si strugge di solitudine...
Tenta il suicidio?
- No.
E allora come supera questa crisi?
- Incontra un ragazzo.
Un amore impossibile!
- No, anzi, sono tutti contenti che si mettano assieme. Anche se lui, beh...
Lui ha qualcosa che non va!
- È italiano.
Finalmente! E quindi l'incomprensione, il conflitto tra le comunità!
- Manco per niente.
Manco per niente?
- A casa di lui sono tutti molto gentili, appena il fratellino piccolo prova a dire qualcosa sui poliziotti irlandesi si becca una tirata d'orecchi.
E quindi insomma si fidanzano.
- Qualcosa di più.
Sesso? C'è una scena di sesso!
 - Sì, però... americana.
Cioè lo fanno vestiti.
- Naturalmente, e inoltra considera che a quel punto è passata un'ora e questi due tizi ormai li consideri davvero i tuoi nonni, sono goffi come dovevano essere i tuoi nonni da giovani, per cui quando iniziano a baciarsi, insomma...
Ti senti come se si baciassero i tuoi nonni.
- Proprio così.
Lo sai che in quell'altro film c'è anche Wonder Woman? Io non l'ho mai visto un film con Wonder Woman.
- Perché non hanno mai avuto il coraggio di farli, è un personaggio ridicolo.
Non è vero, ha una storia femminista interessantissima.
- Tu andrai a vedere un bel film sull'emigrazione irlandese, con Saoirse Ronan.
Non dico che non mi piacerebbe, e ho una sfrenata ammirazione per Saoirse, sin da quando era praticamente illegale nutrirla, però... di solito nei film le succedevano delle cose.
- Anche in questo film succedono cose.
Cose da film, intendo. Tipo che la uccidono, o la allevano come un'assassina... ma un film in cui emigra e si fidanza, insomma, dov'è il conflitto?
- Se hai pazienza c'è anche in questo film, il conflitto.
Oh bene, quanto bisogna aspettare?
- Un'oretta e un quarto.
Ma sant'iddio.
- È un film di una delicatezza straordinaria. 
Ah, ecco, è "delicato".
Hai qualcosa contro i film delicati?
È quella cosa che dici alla tua ragazza quando t'invita la prima volta e si scorda di salare la pasta... le dici che cucina "delicato".
Il romanticismo della working class, stretto tra i senso del pudore e la paura di morire zitelle. Saoirse si sarebbe anche meritata l'oscar.
E invece ha vinto quella chiusa in una stanza per sette anni.
- Sfortuna.
Scommetto che se chiudevamo Saoirse in una stanza per sette anni era ancora più brava.
- È probabile.
Cioè che razza di spreco è avere Saoirse a disposizione e non infliggerle qualche sfiga tremenda? Senti, non dirmi tutta la trama. Dimmi soltanto qual è la cosa peggiore che le capita in questo film.
- A un certo punto deve vomitare ma il bagno del transatlantico è bloccato, così...
Così?
- La fa in un secchio.
Caspita.
- Lo stesso secchio in cui aveva fatto i suoi bisogni. 
Ritiro tutto, dev'essere un film struggente.
- Vai a vederlo?
Mi leggo ancora cinque o sei stroncature di Superman, poi decido.
- Guarda che è un bel film, davvero. Fotografia straordinaria, un senso dell'inquadratura che...
Ti cala la palpebra mentre lo dici.
- E gli accenti sono fenomenali. L'inglese irish, l'italoamericano... un contrasto fantastico.
Al cinema lo fanno doppiato.
- Già, dimenticavo. 
Quanto dura?
- Cento minuti. 
Va bene, adesso ci penso. Dove lo danno?
- Al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo alle 20:10 e alle 22:35.
E poi?
- Basta.
Tutto qui?
- Quindi meglio affrettarsi, no?
Nel frattempo, Buona Pasqua a tutti.
Comments (6)
See Older Posts ...