A Castelnuovo il 16, non mancate
11-11-2021, 19:12autoreferenziali, segnalazioniPermalinkSignore e signori, ho l'onore di avvisarvi che martedì prossimo, 16 novembre, alle 21 presso l'Auditorium Bavieri di Castelnuovo Lennon-Rangoni avrò il piacere di presentare Getting Better, un libro che alcuni di voi forse già conoscono, dialogando con Roberto Menabue. E siccome si parlerà di Beatles, ci sarà anche qualcuno che ce li saprà suonare, ovvero Stefano Stecca Bertolani. A splendid time is guaranteed for all.
L'invenzione maledetta
02-11-2021, 11:38auto, deliri, dialoghiPermalink"Come probabilmente sapete, gli automobilisti hanno sempre qualche difficoltà a mettere in punto l'orologio dell'automobile".
"Già, in effetti è così".
"I comandi sono quasi sempre un po' troppo complessi, inoltre l'automobilista è concentrato sulla guida e così tende a rimandare".
"Vero".
"D'altro canto ormai tutte le automobili sono equipaggiate con bluetooth di serie che si collegano allo smartphone dell'automobilista – e lo smartphone come saprete si mette in punto da solo, prende l'ora da internet".
"Ora che ci penso è vero, lo smartphone si mette in punto..."
"Dunque la mia idea... ma non è che sia proprio una mia idea, cioè mi fa un po' strano che non sia già venuta a qualcun altro, anzi a tantissima gente, soprattutto ingegneri, beh... anche lei a questo punto l'avrà capita da solo, no?"
"Cosa dovrei aver capito?"
"L'idea che sono venuto a presentare, è una cosa proprio banalissima se uno ci pensa".
"E cioè?"
"Cioè non ci ha pensato?"
"No, ma la prego, non mi tenga sulle spine, qual è questa sua banalissima idea?"
"Beh, ecco... fare in modo che l'automobile metta in punto l'orologio con lo smartphone a cui si collega via bluetooth".
"Ah, però".
"Banale, eh? Però risparmierebbe tempo, fatica, distrazione... e non c'è nessuna tecnologia da aggiungere, abbiamo già tutto".
"Sì, sì, non male come idea".
"Continua a sembrarmi stranissimo che nessun altro ci abbia pensato".
"Eh ma sa, a volte sono proprio le cose semplici... le faremo sapere, comunque".
"Grazie per la sua attenzione".
"Si figuri, si figuri e mi raccomando, nel frattempo non ne parli con nessuno, segreto industriale".
"Wow. Grazie".
"Inoltre nei prossimi giorni non lasci la città".
"Davvero?"
"Proprio così. A presto".
[Esce il geniale inventore].
[L'ingegnere capo emette un lungo gelido sospiro, e poi prende il telefono]. "Sì, è appena uscito dal mio ufficio, sì, è proprio come temevamo, bisogna farlo sparire come tutti gli altri. No, non un incidente stradale, sarebbe il quinto in una settimana, inventatevi qualcos'altro".
Dieci anni in Paradiso
01-11-2021, 10:16anniversari, autoreferenziali, feste, Il Post, santiPermalink1° novembre – Tutti i Santi
A chi di voi legge abbastanza abitualmente il Post, può capitare ogni tanto di trovare in prima pagina un pezzo sul santo cattolico del giorno. Di solito li firmo io, e non parlano necessariamente del santo del giorno. A volte non è proprio il santo cattolico - a volte non è nemmeno un santo - a volte non parlano proprio di niente in particolare, ma insomma ormai sono una tradizione, da quand'è che sul Post escono questi pezzi? Da dieci anni. Auguri! Cioè in realtà il blog dedicato aprì dieci anni e quasi un mese fa (il primo pezzo era dedicato a Santa Teresina del Bambin Gesù), ma credo abbia più senso festeggiare nel giorno dedicato a tutti i Santi. Come passano in fretta dieci anni, ultimamente.
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Santi agiografati sul Post per secolo dopo Cristo. |
L'idea era molto più antica (ho degli appunti che risalgono al 2002) e ispirata, credeteci o no, all'oroscopo di Internazionale, sì quello di Bob Brezsny che in realtà credo di avere smesso di seguire proprio verso il 2002 quando ho capito, e mi ci è voluto pure un po', che non era ironico, che ci credeva davvero. Ma insomma il concetto era simile: decostruire una delle classiche rubriche da quotidiano, usarla come cavallo da Troia per scrivere tutto quello che mi andava. Ovviamente i santi non hanno l'appeal dell'oroscopo, ma non bisogna sottovalutare che ogni giorno è l'onomastico di qualcuno - certo, è un discorso che funziona finché si dedicano pezzi a Francesco o a Teresa, non ad Agabo o a Gwynllyw. In ogni caso il nome più gettonato fin qui è Giovanni: Giovanni Bosco, Giovanni Nepomuceno, Giovanni decollato, Giovanni da Copertino, Giovanni Paolo II, Giovanni Damasceno, Giovanni Evangelista e non dimentichiamo che anche Francesco d'Assisi in realtà si chiamava Giovanni (c'è anche un pezzo su Giovanni Lindo Ferretti, che però non è ancora esattamente un santo, anzi spero lo diventi il più tardi possibile). Tra i nomi femminili probabilmente vince Maria, non solo perché alla madre di Dio sono già stati dedicati nove pezzi, ma anche grazie a Maria Maddalena, Maria Goretti, Maria Egiziaca, Marguerite-Marie Alacoque e perché no? Jean-Marie Vianney.
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Provenienza geografica (se i confini fossero sempre stati quelli del 2021). |
Ho messo un link al primo pezzo ma è molto difficile che funzioni - come notano gli esperti, Internet come archivio è una frana. In particolare dopo due o tre anni il Post fece un restyling generale e non vorrei che sembrasse una critica, insomma lo so che sono cose inevitabili, ma i link più vecchi non funzionano più e alcuni pezzi sono visibili solo parzialmente, perché erano divisi in pagine. A volte penso che dovrei mettere a posto tutto, un pezzo alla volta. Altre volte penso che si farebbe prima a ripartire da capo. Ho cominciato entrambe le cose e mi sono interrotto entrambe le volte. Sul mio vecchio blog personale ho ricopiato quasi tutti i pezzi, ovviamente modificando le cose di cui mi vergognavo di più e a volte smontando e rimontando cose qua e là e ora il risultato è che in giro per il web ora ci sono due o tre versioni dello stesso pezzo. Una cosa molto medievale, tutto sommato.
Ho detto medievale? Quando ho cominciato ero convinto che avrei parlato soprattutto di Medioevo, ma a quanto pare non è stato così. Anche se la media di tutti i pezzi (inclusi quelli dedicati ai patriarchi e ai profeti della Bibbia, la cui datazione è abbastanza incerta) mi dà come risultato il 745 dC, i secoli più visitati in assoluto sono il primo (una ventina di pezzi è dedicata a personaggi del Nuovo Testamento) e il terzo, il secolo ruggente dei martiri. Il personaggio più antico sarebbe Isacco: quello più recente, sia per età che per canonizzazione, Giovanni Paolo II, non a caso soprannominato "Santo subito". Il secolo medievale più frequentato è il Duecento, grazie agli ordini mendicanti. C'è un altro picco più difficile da interpretare nel Cinquecento. La contemporaneità (Otto e Novecento) si difende bene: una ventina di santi su... a proposito, quanti santi abbiamo coperto fin qui?
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Santi per cittadinanza, un grafico che non ha moltissimo senso. |
Il conto è difficile. Occorre detrarre i pezzi in cui davvero il santo era un mero pretesto, e i casi in cui ho voluto trattare da santo un personaggio che non lo è, o un santo che la stessa Chiesa ha riconosciuto come mai esistito (Simonino). Ma è capitato anche il contrario, ovvero che uscisse sul Post un pezzo su una santa che ancora non lo era (Angela da Foligno) e qualche anno dopo lo è diventata. Al netto di ciò il conteggio dice 10243, a cui bisogna evidentemente detrarre le diecimila vergini che secondo la leggenda sarebbero state martirizzate con Sant'Orsola (ma è probabile che si tratti di un errore di traduzione). Se evitiamo di contare anche i 40 martiri di Sebastea e i 26 compagni di Paolo Miki (questi ultimi purtroppo furono crocefissi davvero in Giappone, non è una leggenda) si arriva al comunque ragguardevole totale di 178: a questo punto l'obiettivo di farne almeno 365 non sembra poi così lontano. Speriamo che i prossimi dieci anni non scorrano ancora più veloci. Abbiamo 60 martiri (più i 40 di Sebastea), 42 vergini, 35 vescovi, 113 eremiti, sette monaci (per lo più benedettini), sedici frati (con una netta preponderanza dei francescani), 19 religiose, soltanto quattro gesuiti, 13 personaggi dell'Antico Testamento tra cui sette profeti; 14 teologi, 5 apostoli; l'unica categoria che si può dire chiusa è quella degli evangelisti, quattro su quattro.
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Santi italiani per regione |
Da dove vengono i Santi di cui qui si è parlato? Qui il conto è complicato dal fatto che in duemila e più anni i confini sono cambiati e di molto, al punto che una delle nazioni più rappresentate sarebbe la Turchia: che però al tempo dei dieci santi in questione non si chiamava ancora così, dato che i turchi vivevano altrove. In ogni caso, se decidiamo di applicare arbitrariamente i confini di oggi a tutti i santi di tutte le epoche, scopriamo che un terzo del totale proviene dalla cosiddetta Italia. All'interno di quest'ultima, il Lazio è decisamente la regione più venerata, e in generale metà dei Santi proviene dal centro, tra Toscana e Abruzzo. La seconda nazione contemporanea, con un quinto del totale, sarebbe Israele, e non sorprende: al terzo la Francia, al quarto appunto la Turchia. Se invece proviamo ad assegnare a ogni santo la cittadinanza che gli sarebbe spettata alla nascita... entriamo in un ginepraio di questioni oziose; diciamo che prevale la nazionalità ebraica, da Isacco a San Pietro, sempre con un quinto del totale: al secondo posto l'Impero Romano classico, quello che crolla ufficialmente nel 476. Ma è un dato che non dice un granché. Più rilevante contare i santi per sesso: risulta che tre su quattro sono maschi, e se probabilmente sul calendario il rapporto è appena un po' meno sbilanciato in loro favore, mi sembra incredibile aver dedicato 42 pezzi a delle sante, insomma a delle donne: mai me ne sarei creduto capace. A proposito di sessi bisogna rilevare che anche in una categoria come quella dei santi, che non si segnala certo per fluidità, i casi di ambiguità sono meno infrequenti di quel che si potrebbe pensare: abbiamo almeno tre santi rivendicati come patroni dalla comunità LGBT (Sebastiano, Sergio e Bacco) oltre a tre crossdresser, se includiamo nella categoria oltre a Marina e Vitaliano anche Giovanna d'Arco, dato il peso che la scelta di vestire abiti maschili ebbe nella sua incriminazione.
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Non riapriamo l'annoso dibattito |
Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che hanno letto fin qui e scusarmi per tutte le volte che mi avete chiesto qualcosa e non vi ho risposto per ignavia o sbadataggine: prometto che d'ora in poi sarò più sollecito ecc. Ringrazio i redattori del Post, che mi hanno corretto tante cose, e il peraltro direttore che mi ha sempre lasciato libero di scrivere qualsiasi sciocchezza: un onore che ho ripagato scrivendone molte, e molte ancora spero di scriverne. Certo, lo sappiamo tutti, Brezsny è su un altro livello, ma si fa quel che si può. Alla prossima.
Il correttore automatico vi rassomiglierà
28-10-2021, 00:37telefoniaPermalinkIl suggerimento sul tasto di sinistra è già in loop. Tzara diceva che la poesia ottenuta estraendo parole a caso mi avrebbe somigliato, ma io sono uno statale, tutti questi pagamenti non li sollecito certo col telefono. A volte pensiamo che il nostro telefono ci ascolti, il che è possibile ma come tutti i pensieri paranoici nasconde un fondo di speranza: non siamo del tutto inutili, a Qualcuno interessiamo. Il suggerimento automatico mi suggerisce tutt'altro, probabilmente fa una media di gente della mia età e delle mie coordinate economiche e decide che il mio primo desiderio, la mia prima necessità è essere pagato. Puntualmente. Fuochino, dai. Proviamo il tasto al centro: e il suo lavoro è stato un problema di salute mentale che non può essere un problema di salute mentale che non può essere un problema di salute mentale che non può essere un problema di salute mentale.
Non ho dato del demente a nessuno di recente (o no?) Ok, è cominciato un altro anno scolastico, genitori nervosi, ci sta. Sotto il primo strato economico di necessità e desideri, la mia personalità sembra contenere una specie di corazza opaca, un riflesso condizionato che produce certificazioni di insanità mentale contro chiunque tenti di contrariarlo. L'ipotesi che il mio telefono mi stia rivelando un carotaggio del mio inconscio è seducente. Proviamo il terzo tasto.
per la nostra associazione per i bambini di una famiglia e non per il suo futuro per la salute e la pace per i bambini che ha portato al suo posto e a quanto pare ci ha colpito la nostra vita di cristo che è la chiesa della nostra amata chiesa e la sua misericordia e il loro spirito e la loro volontà per il santo di Gesù di dio di Gesù per il quale Gesù è un uomo e il nostro paese è stato un dono prezioso di noi stessi ai poveri del suo amore
Dopo "amore" succede qualcosa di inquietante che non ricordo di aver mai visto prima: il mio suggerimento di destra non mi suggerisce più nulla, fine, non c'è una parola che possa aggiungere qualcosa ad "amore". Il mio terzo tasto è un mistico cattolico, sono un po' perplesso, il mio telefono intuisce di me cose che ho fatto nella mia vita e che in questi mesi ho sofferto di vedere fermo su una controproposta di un movimento incentrato sul concetto di comunità nazionale della Cgil non mi preoccupi per il testosterone di questo mese corrente per cui non ho ricevuto il pagamento del mese corrente per cui non ho ricevuto il pagamento del mese corrente per cui non ho ricevuto il pagamento del mese corrente
Il tampone costa troppo, tutto qui
15-10-2021, 02:25economie, epidemia 2020PermalinkIl guaio è che si tratta di un problema sostanzialmente economico, ma di economia non si può più parlare. A un certo punto si è deciso che la gente non voleva sentir parlare di economia, forse si sarebbe sentita fregata a sentirsi parlare di economia, e quindi insomma niente: bisogna parlare di diritti, di doveri, di scienza e di etica e di privacy e di controllo e di rava e di fava, e nessuno vuole parlarti di economia. Per cui prima o poi c'è sempre qualcuno che fa una proposta assurda – raddoppiamo gli autobus? O gli edifici scolastici? Saniamo il debito pubblico tagliando 300 parlamentari e un po' di auto blu? Oppure sentite questa, potremmo pagare un tampone ogni 48 ore a chiunque volesse farlo, perché no? Non è una domanda retorica, se lo chiedono davvero: perché no.
Ora la risposta più semplice, ma anche la più rispettosa dell'interlocutore, dovrebbe essere una e una sola: perché non abbiamo le risorse – 600 milioni al mese, vuoi scherzare. Non possiamo raddoppiare gli autobus, non possiamo gonfiare le scuole così occupano più cubatura: e non possiamo pagare un tampone a tutti quelli che non vogliono vaccinarsi, perché dovremmo farlo ogni 48 ore e quindi lo capisci benissimo che sono veramente troppi tamponi. Anche perché, riflettici: magari adesso ti sembrano pochi, questi irriducibili no-vax, e quindi magari per quel po' di pace sociale tu qualche miliardino in tamponi lo bruceresti. Ma se sono pochi è proprio perché i tamponi se li devono pagare. Se li avessimo messi gratis, avremmo avuto milioni di vaccinati in meno e centinaia di milioni di tamponi in più da pagare, perché questa cosa l'hai capita, vero?
Che chi chiede il tampone "gratis", sottointende: me lo pagate voi?
E che questi tamponi, se tutto sommato sono ancora disponibili e non troppo costosi, lo si deve al fatto che il 75% delle popolazione ha preferito vaccinarsi?
Quindi sì, dall'economia è facile discendere all'etica. Il tamponista commette lo stesso errore di valutazione del famoso runner che l'anno scorso si domandava: che male faccio a correre da solo, chi posso infettare? Non puoi infettare nessuno, stellina, se corri da solo: ma solo finché sei solo perché tutti gli altri restano a casa. La tua libertà si fonda sul fatto che tutti gli altri rispettino la norma che tu non vuoi rispettare: a te sembra un diritto, a noi risulta un privilegio. Un anno dopo, c'è questa studentessa di Bologna che va in giro senza green pass a disturbare le lezioni, e può farlo abbastanza sicura di non ammalarsi, perché? Perché tutti gli altri in quelle aule il green pass ce l'hanno, il vaccino se lo sono fatto, o al limite un tampone. Pagandolo. Lo so che ti senti un lupo, ma puoi farlo proprio perché intorno hai un gregge che tu deridi mentre ti difende. Ecco, vedete quanto poco ci ho messo a passare dall'economia alla morale – almeno ci ho messo un po', almeno sono partito da lì.
Ma davvero c'è qualcuno in questi giorni sui giornali che invece di parlare di diritti, e doveri, e la privacy, e il controllo, e i portuali, e i fascisti e i sindacati e il Nuovo Ordine Mondiale – c'è qualcuno che la mette giù dura e pura in termini di costi e benefici? Quanto costa un vaccino? Quanto costa un tampone? Da quel che ho capito, e potrei sbagliarmi, con cinque o sei tamponi ci paghi mediamente una dose di vaccino. Con cinque o sei tamponi sei a posto per due settimane lavorative. Col vaccino sei a posto per sei mesi. E a quel punto, ne staremmo ancora a parlare?
Per esperienza, se provate a metterla in questi termini con una persona contraria al green pass, vedrete che il dibattito si blocca subito: anche l'interlocutore più addestrato a contrapporre a ogni argomento vaccinista un argomento antivaccinista, rimane perplesso davanti a una brutale analisi dei costi e dei benefici. Sembra davvero che nessuno gliene abbia parlato prima. Poi certo, qualche cosa replicherà. Cercherà, come è tipico del complottismo italiano dal Ventennio in giù, qualche tesoro nascosto. Potremmo prenderli ai politici, o alle banche. Tassare le rendite (per carità, ottima idea), non comprare quei famosi cacciabombardieri. E la caccia all'evasione fiscale, attività sacrosanta che però fa un po' strano sentire dalla bocca di qualcuno che pochi minuti fa voleva tamponarsi coi soldi delle tue tasse. Ma insomma l'economia è il terreno in cui le ipocrisie si svelano. Dovremmo avere meno paura di tirarla fuori – perché non lo facciamo? Ovviamente il pensiero corre subito al ritardo culturale italiano, alla scuola gentiliana, ecc.
Poi pensi a quello che hanno combinato gli inglesi con la Brexit e ti viene il dubbio che sia un problema più storico che geografico – abbiamo sempre più paura dei numeri, come dei messaggeri di sventura. Tipico di chi eredita debiti, e interessi sui medesimi.
Via i fascisti da casa mia
10-10-2021, 14:08PermalinkNon dico che l'assalto alla sede nazionale della Cgil non mi preoccupi, ma ammetto di sentirmi in quei momenti in cui la curiosità sovrasta la preoccupazione. Perché tutto questo non solo è abbastanza grave, ma è molto paradossale - insomma, da una parte abbiamo gli eredi di un movimento incentrato sul concetto di comunità nazionale, sull'obbedienza al partito e al governo, un movimento che costrinse tutti gli italiani a prendere una tessera per lavorare; e oggi gli eredi pelati e pompati di quel movimento protestano contro un governo che per difendere gli italiani obbliga all'uso del green pass: non solo, ma siccome nel green pass vedono la prevaricazione totalitaria, che 99 anni fa evidentemente andava bene e oggi no, con chi se la prendono? Con il sindacato che sin dall'inizio si è opposto al green pass. Davvero, se solo si potesse osservare tutto questo da una certa distanza - ma non c'è, non ce la possiamo permettere.
I risultati della vaccinazione in Italia sono stati spettacolari (è sufficiente confrontare l'Italia con un altro Paese europeo dove la campagna vaccinale sia andata purtroppo a rilento). Per ottenere questo risultato forse c'erano mezzi meno drastici del green pass, ma a me non sono venuti in mente. Non sono venuti in mente nemmeno alla Cgil, che è il mio sindacato, e che in questi mesi ho sofferto di vedere fermo su una controproposta (l'obbligo vaccinale) che mi sembrava, e mi sembra, irrealizzabile. Insomma tra no vax e Landini dovrei far fatica a capire non dico chi abbia qualche ragione, ma il minor torto; eppure vedi come la pratica vince sempre sulle idee? Mi basta vedere qualche testa rasata e qualche saluto romano e tutti i dubbi si dissipano: oggi, come 100 anni fa, la Camera del Lavoro è la mia casa, e chi l'attacca è un fascista e un porco. Non è una questione di idee (davvero: 100 anni fa dicevate di averle opposte), è qualcosa di più istintivo, forse di odori: potete gridare Libertà fin che volete, il puzzo rancido d'invidualismo becero e cieco di sente comunque forte e chiaro. Oggi non credete a un virus, domani non crederete alla crisi climatica e a qualsiasi altra cosa minacci i vostri miseri privilegi. Per salvarli correrete dietro a qualsiasi bandiera, canterete qualsiasi canzone, vi infiltrerete in qualsiasi corteo: ma riconoscervi resta abbastanza facile, e alla fine la realtà presenta sempre il conto.
Sergio e Bacco: santi, sposi e gay?
07-10-2021, 02:36Il Post, omofobie, santiPermalink7 ottobre: Santi Sergio e Bacco, martiri e patroni dei matrimoni gay
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Robert Lentz, 1994 Icona per il gay pride di Chicago |
Si sa che le torture delle storie di martiri si assomigliano un po' tutte, per via che gli agiografi si leggevano tra loro e si copiavano spesso. Di santi frustati e bastonati ce n'è tanti, ma di santi costretti a vestirsi da donna ci sono solo questi due graduati dell'esercito, la cui amicizia fraterna è spesso sottolineata nelle icone da un altro elemento inusuale: le due aureole appaiono intrecciate. Del resto è lo stesso Bacco, apparendo a Sergio la notte prima del martirio, a dare l'impressione di non poter salire in cielo senza di lui, tradendo una certa fretta che il sacrificio si completi. Insomma Sergio e Bacco – che in Oriente diventarono santi molto popolari dopo il quarto secolo – sembrano comportarsi come una coppia. Prima qualcuno avrebbe avanzato l'ipotesi: e se fossero quel tipo di coppia? E se questa fosse stata la loro vera colpa, taciuta dagli agiografi ma rivelata indirettamente dal bizzarro castigo escogitato dall'imperatore: la parata in vesti femminili, una parodia del matrimonio?
Santo Sergio (basilica di San Demetrio a Tessalonica) |
L'ipotesi di Boswell è stata più volte smontata, anche da studiosi che riconoscono il valore pionieristico delle sue ricerche: e però non è difficile capire perché sia stata abbracciata da molti militanti LGBT. Per Foucault, semplificando brutalmente, l'omosessualità come la intendiamo oggi è un costrutto sociale: esiste finché esiste la nostra società, che è tutt'altro che una società ideale. Per Boswell l'omosessualità è qualcosa di più vicino a un dato di natura: ne sono esistiti in qualsiasi società, e hanno sempre variamente cercato di ottenere un riconoscimento della loro condizione e delle loro relazioni. Per quanto labili siano le prove, la teoria ha il pregio di venire incontro alle aspirazioni di tanti desiderosi di conciliare la propria omosessualità con la fede cristiana; magari è solo una leggenda, ma non più di qualsiasi altra leggenda di santi: esiste perché qualcuno ne ha sentito il bisogno. Nel 1996 un pittore frate francescano (e gay), Robert Lentz, dipinse per il gay pride di Chicago un'icona dei Santi Sergio e Bacco che divenne immediatamente il pezzo più riprodotto del suo catalogo. I due santi di Lentz sono trentenni di aspetto atletico, com'è lecito del resto immaginare due ufficiali dell'esercito, ma molto diversi da quelli tramandati dall'iconografia bizantina, che invece ne sottolineava gli aspetti quasi femminei.
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Il Cameo "Rothschild": ritratto di Onorio e moglie e (in seguito) di Bacco e Sergio |
A un certo punto gli stessi bizantini potrebbero aver cambiato paradigma e avuto problemi a interpretare le loro vecchie icone (magari tra una crisi iconoclastica e l'altra): capita così che a Costantinopoli un cameo che in origine raffigurava probabilmente l'imperatore Onorio e sua moglie venga ridedicato a Bacco – la figura maschile – e a Sergio: a quest'ultimo tocca la figura in precedenza femminile, più piccola. Chi incise i nomi dei due santi sul cameo forse aveva ancora più difficoltà di noi a riconoscere la sessualità di un personaggio che, pur ornato di orecchini, sfoggiava capelli insolitamente corti: oppure non ebbe altra scelta, se voleva salvare il cameo doveva trasformarlo in un'immagine di santi, e una coppia di santi maschio e femmina non esisteva, non era prevista. E siccome molte storie di santi non nascono prima delle immagini, ma per spiegare le immagini (vedi San Nicola), non è escluso che l'episodio del mascheramento dei sue santi sia stato inventato da un agiografo proprio per spiegare come mai in un mosaico o in un affresco i due venivano raffigurati in uno stile che già nel V secolo poteva sembrare troppo femminile.
Sabato 2 ottobre assemblea sulla scuola a Modena (in presenza!)
27-09-2021, 20:06autoreferenziali, giornalisti, segnalazioniPermalinkDIG è questo incredibile festival internazionale del giornalismo investigativo che si fa a Modena dal 30 settembre (giovedì) fino a domenica tre ottobre, con reporter straordinari, non necessariamente Alberto Nerazzini ma tranquilli c'è anche lui che è uno dei fondatori. Tra le altre cose (il calendario è foltissimo, dateci un'occhiata) ci sarà un'Assemblea sulla scuola sabato 2 ottobre dalle 16:30 alle 19:00 con Christian Raimo, Federica Lucchesini, Cristiano Corsini, Paolo Landri, Vanessa Roghi (in collegamento) e... me.
No, io non sarò in collegamento, sono quello che dovrebbe rappresentare il territorio, se tutto va bene sarò in presenza. (Non so se altrove a parte a scuola si usi questa espressione "essere in presenza").
(Pensate come doveva suonare strana soltanto due anni fa, "essere in presenza").
Si parlerà di tutto ciò che c'entra con la scuola, cioè di tutto. Venite anche voi se potete; se siete indecisi continuate a guardare il programma che davvero, è notevolissimo: e date un'occhiata anche a questa pagina. Grazie e a presto.
La sinistra nel vicolo cieco dell'emergenza
25-09-2021, 10:49epidemia 2020, la sinistra perde anche per questo motivoPermalinkSe avessi il tempo, dopo un meditato preambolo, affronterei il convitato di pietra, quel busto di Michael Foucault a centrotavola che ci impedisce di vederci bene tra noi e ci intimorisce con la sua gravitas glabra. Su tante cose aveva non aveva torto; c'è tutto un discorso su come il Potere usa l'Emergenza che è ancora perfettamente valido; ma anche nel peggiore dei casi, davvero assumiamo per un istante l'ipotesi che questo virus sia stato liberato da un laboratorio per provocare un globale riassestamento totalitario della società, bene, adesso che si fa? Si nega che l'emergenza esista, che non provochi tot morti al giorno anche tra un'ondata epidemica e l'altra, si denunciano mascherine e green pass come marchi della Bestia? Alcuni si sono ridotti a questo. La maggior parte, voglio credere, no: e però le opzioni a disposizione non sono molte di più.
Siamo all'incrocio di due strade che conosciamo, e quindi potevamo immaginare che ci conducessero qui, davanti a un muro troppo alto. Da cinquant'anni abbiamo imparato a diffidare di chi proclama stati di emergenza, carestie guerre e pestilenze; ma è persino da più tempo che sappiamo che gli stili di vita imposti dall'industrializzazione e dalla globalizzazione non sono sostenibili a livello planetario, che insomma prima o poi emergenze ce ne saranno per forza, e saranno vere guerre carestie e pestilenze. Il potere le avrà provocate? Probabilmente. Cercherà di cavalcarle? Sicuramente. Questo le rende meno vere? No: e quindi eccoci qui, come doveva sentirsi il lettore sbigottito dell'Apocalisse di Giovanni mentre leggeva che al momento della Rivelazione ci saranno in giro tanti falsi profeti. Forse il Covid è un segno della fine, forse no ma la fine è comunque qui nei pressi, ha veramente molto senso domandarselo? Ammettiamo di nuovo per un attimo che si tratti di un falso allarme, niente più che un'influenza stagionale un po' più forte: lo sappiamo che stanno già arrivando allarmi autentici, rincari dell'energia e tutto quanto, e quando li recepiremo, reagiremo in un modo diverso? O ci saremo talmente incattiviti da rifiutare qualsiasi misura emergenziale come ora rifiutiamo il Green Pass? Stiamo semplicemente esprimendo la nostra diffidenza per il Potere (qualsiasi potere) o non siamo semplicemente nostalgici del vecchio mondo pre-lockdown? Perché la sinistra può permettersi tanti difetti, ma non la nostalgia per il passato: quello ci dispiace tanto ma è competenza della destra. D'accordo, è storicamente assodato che il potere crea problemi e poi si accredita come l'unico che riesce a risolverli. Preso atto che si comporta così, noi invece come ci comportiamo?
Pestiamo i piedi?
Ho in mente esempi – tutti antipatici – se avessi il tempo di scrivere un pezzo equilibrato vorrei riuscire a prenderli con le pinze, a spiegare nel modo più equanime possibile che non ci siamo, capisco l'intenzione, capisco tutto, ma non ci siamo, insomma c'è tutta una frangia importante della sinistra che si opponeva al Green Pass – e posso capirlo – chiedendo l'Obbligo Vaccinale – e non ci siamo. Si reagisce a un provvedimento di eccezione chiedendo un provvedimento ancora più eccezionale (e di quasi impossibile realizzazione pratica), insomma la si butta in caciara senza avere una minima idea di quello che si sta chiedendo, come le rane di quella vecchia favola. Dopodiché Zeus-Draghi cala dall'alto il Green Pass obbligatorio, e a questo punto qualcuno avrà capito che fosse una richiesta dei sindacati.
La sinistra dovrebbe raccogliere con coraggio le sfide della tecnologia e avrebbe potuto dare un'occhiata più da vicino al più grande esperimento didattico collettivo mai tentato in Italia, la didattica a distanza: tanto più interessante quanto completamente improvvisato dagli insegnanti, nel silenzio attonito di quasi tutta la filiera di consulenti didattici che per anni si erano accreditati presso il ministero come latori di chissaquali innovazioni: per lo più chiacchiere sulle competenze e test a crocette che nel momento del bisogno non ci sono serviti a nulla. La sinistra radicale invece ha deciso per lo più che la DaD era il male, che avrebbe senz'altro portato a suicidi e disperazione, e si è precipitata ad abbracciare qualsiasi ricerca la confortasse su questa opinione: non importa se i numeri erano un po' falsi o se il Corriere e il Ministero la pensavano esattamente allo stesso modo; c'è solo una scuola e dev'essere al 100% in presenza, perché noi l'abbiamo fatta così e ciò ci ha resi le persone perfette che siamo. Ma questa è esattamente nostalgia, e con la nostalgia la sinistra non dovrebbe avere molto a che fare.
La sinistra dovrebbe sorprendere gli avversari con una competenza tecnica superiore e un'abitudine inveterata a ragionare in termini di strutture, sovrastrutture e infrastrutture, perché è questo che ha sconfitto il nazismo, la capacità di smontare intere città industriali e ricostruirle in in Siberia: e invece continuo a leggere gente che si lamenta che non si sta usando la bacchetta magica per raddoppiare gli autobus e i treni, oh, niente da fare. Il giorno che per caso qualcuno vi facesse entrare nella stanza dei bottoni, provereste subito a raddoppiare i treni. Quando vi convincessero che tecnicamente non si può, cerchereste di raddoppiare gli autobus. Quando vi mostrassero il preventivo vi ridurreste a raddoppiare i banchi di scuola, magari con le rotelle, ecco, tutto questo è già successo: qualcuno come voi o comunque con un idealismo simile e la stessa carenza di senso pratico è già entrato nella stanza dei bottoni, e ora abbiamo spazi già limitati occupati da scorte di banchi inutili sia per il distanziamento sia per la DaD, e i comuni continuano a tagliare i servizi di trasporto perché nessuno ha pensato che i veri fondi dovessero arrivare a loro, nessuno sa più chi fa le cose quando e dove.
La sinistra dovrebbe essere fieramente operaista e riconoscere nel lavoro la trave portante su cui si fonda la società: e invece è successa questa cosa, per carità inevitabile, per cui la maggior parte degli esponenti della sinistra radicale sono rimasti ai margini delle filiere produttive, confinati in ghetti professionali meno confortevoli di quanto potrebbero apparire, insomma fanno lavori creativi ed è ormai da due anni che li sentiamo lamentarsi perché ad es. la gente non va più a teatro e ora pure alle presentazioni dei libri bisogna controllare il green pass – se avessi il tempo riuscirei ad articolare la cosa senza risultare offensivo ma insomma, secondo voi in una situazione del genere è davvero così strano che il potere ci tenga a tenere le fabbriche un po' più aperte dei teatri? Sì, secondo loro è strano, se ne lamentano, maledetta Confindustria. Se avessimo il contrario, chiuse le fabbriche e aperti i teatri, chissà quanti cassintegrati in fila ai botteghino. E lo capisco che per i lavoratori dello spettacolo è dura, sono solidale con le vostre rivendicazioni così come voi senz'altro sapete che mangiare, dormire sotto un tetto, mandare i figli a scuola sono attività che per forza vengono prima dello spettacolo, senza le quali comunque gli spettatori non avrebbero la possibilità di assistere a nessuno spettacolo. Questa cosa la capisce persino Confindustria – non può permettersi di non capirla. Noi possiamo permettercelo?La sinistra dovrebbe essere all'avanguardia nella competenza scientifica (avrebbe dovuto accorgersi del rischio pandemia quand'era ancora un rischio) e nell'elaborazione di scenari alternativi: dovrebbe continuamente chiedersi Che fare? e non dovrebbe vergognarsi di produrre risposte drastiche. Questo nella teoria. Nella pratica continua a intonare lamentazioni per il Povero Runner, un tic retorico che ti fa riconoscere la prosa di sinistra tanto quanto "Bill Gates", " idrossiclorochina" o "stella di David" ti fanno riconoscere da lontano il delirio complottardo. Il Runner che malgrado nella vita reale si sia già rimesso a correre in scarpette da un anno e mezzo, nei dibattiti in rete continua a scappare da folle inferocite affamate di capri espiatori, è ormai il personaggio di una Colonna Infame completamente immaginaria. Dato per scontato che il potere è alla costante ricerca di capri espiatori da additare, forse la reazione migliore non è inventarsi agnelli sacrificali per olocausti che per ora non si sono visti.
La sinistra dovrebbe cambiare il mondo, ma il mondo forse cambia troppo veloce e la sinistra potrebbe essersi accontentata di rappresentare questo cambiamento, di metterlo in scena in un determinato spazio temporaneamente liberato. Questo lo potrei capire: rappresentare è pur sempre meglio di niente. Ma attenzione a non rappresentare soltanto un 40-50enne che si strugge perché non può sfoggiare la sua tuta di lycra nel parco. Siamo tutti meglio di così. Tutti, anche il 40-50 enne in lycra è meglio di così, bisognerà illuminarlo in un modo diverso ma garantisco che è meglio di così.
La sinistra dovrebbe qua, la sinistra dovrebbe là. Quando l'Assemblea Nazionale votò la guerra contro l'Austria, i giacobini si opposero: per loro era relativamente facile indovinare che si trattava di un'emergenza ad hoc creata dalla corona di Francia per inceppare l'inesorabile ruota della rivoluzione. Quando i fatti diedero loro ragione, e si ritrovarono al potere, i giacobini non finsero che la guerra non esisteva: era stata una pessima idea, non l'avevano voluta, ma ormai si stava combattendo e andava vinta con tutti i mezzi possibili. Non importa quanto un'emergenza sia autoindotta da un sistema per perpetuarsi: una volta appurato che l'emergenza c'è, la sinistra non ha nessun diritto di nascondersi o fuggire nel privato o a teatro. Se avessi tempo cercherei di motivare tutto questo con serenità ed equilibrio. Evidentemente non ne ho.
Giona: ti sembra il caso di prendertela così?
20-09-2021, 17:54apocalittici e integrati, Bibbia, Il Post, santiPermalink21 settembre – Giona, profeta suo malgrado
La Bibbia, letterariamente parlandone, non è che sia questo capolavoro: ma quello che la rende più verosimile di tanti altri libri è l'incoerenza. Bel paradosso. Non c'è dubbio che Iliade e Odissea siano più armoniche – e se poi parliamo di coerenza narrativa, Il Signore degli anelli lascia piste a tutte e tre. Ma se in giro nessuno crede più all'esistenza di Achille o Ulisse, e nessuno ha mai per un attimo preso sul serio l'esistenza di Sauron, è proprio perché si vede benissimo che sono storie con un inizio, una fine, e quasi sempre una morale. La Bibbia, beh, non proprio. La Bibbia è evidentemente una raccolta di libri scritti da mani diversissime, rivisti da traduttori e compilatori che avevano idee talvolta opposte, e messi assieme da editori che avevano criteri ancora diversi, e a fare tutto questo potrebbe esserci voluto un millennio: per cui alla fine più che una storia è uno scrigno pieno di roba che per quanto stia lì da secoli lascia sempre questa impressione di materiale raccolto alla benemeglio da qualcuno che stava scappando da un incendio, un'alluvione, una scorreria dei Caldei. Se apri l'Iliade trovi sempre duelli e litigi; se apri la Bibbia puoi trovare a distanze di poche pagine teorie sulla creazione, pagine di censimenti, storiacce di donne e predoni, dibattiti sul senso della vita, poesie d'amore, cronache storiche, profeti preoccupati dalla corruzione dei costumi, e il Libro di Giona: il quale potrebbe essere anche solo una presa in giro.
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Dio parla con Giona, seduto fuori dalla città di Ninive, salterio armeno del XVII secolo, immagine di dominio pubblico |
"Libro" poi si fa per dire, sono tre o quattro paginette, ma è come se mettessero tra virgolette tutto il resto della Bibbia: e se fosse tutto uno scherzo, di Dio o di chi racconta? I cristiani lo piazzarono verso la fine dell'Antico Testamento, perché Giona sembra il profeta più vicino a una certa concezione di Gesù, e Gesù stesso a chi gli chiedeva un "segno" aveva accennato al "segno di Giona" (Matteo 12,40): così come il profeta era rimasto nel ventre di un pesce per tre giorni e tre notti, così dopo tre giorni Gesù sarebbe riemerso dal mondo dei morti. Nella Bibbia ebraica invece la storia di Giona appartiene al libro dei Profeti Minori, di cui Giona sembra però una parodia. Mentre tutti gli altri libri profetici contengono, non sorprende, profezie, quello di Giona sin dalla seconda riga dimostra al lettore che vuole essere qualcosa di diverso: un racconto. C'è da dire che l'ipotetico del lettore della Bibbia a questo punto di profezie dovrebbe averne lette centinaia, per cui dopo aver ammirato lo stile di Isaia, la verve di Geremia, la visionarietà di Ezechiele, potrebbe essere subentrata una certa stanchezza – alla fine si tratta perlopiù di ammonizioni nei confronti di uno o più popoli che non amano Dio come dovrebbero; minacce, lamenti, prefigurazioni di sventura, non è che non ci siano variazioni sul tema ma insomma la canzone è quella.
Il libro di Giona parte appunto da questa saturazione. È una specie di pausa riflessiva organizzata da qualcuno che potrebbe essere vissuto anche parecchio più tardi e che questi profeti li conosceva bene, forse li leggeva di mestiere. In Giona le profezie sono date per scontate, stanno in due righe: quello che interessa all'autore è il contesto: come si comporta il profeta che le deve enunciare, e il pubblico che le ascolta? O meglio: come ci aspettiamo che si comportino? Ipotizziamo che si comportassero in un modo diverso: cosa succederebbe? E se il profeta non avesse voglia di fare il profeta? E se il popolo, che per definizione non ascolta mai il profeta e non si pente dei propri peccati, decidesse invece di farlo? Il libro di Giona è questo: un piccolo grande What If, un esperimento mentale e narrativo. Sarà anche per questo che a differenza di tutti i cartigli profetici che lo circondano, ci suona più contemporaneo. Gli altri profeti si lamentano, minacciano, vaticinano: l'autore di Giona racconta una storia e sorride.
1,1 Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del Signore: «Alzati, va' a Ninive la grande città e in essa proclama che la loro malizia è salita fino a me». 1,2 Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore.
Vedete, bastano davvero i primi due versetti. Il primo sembra in tutto e per tutto il classico incipit del profeta minore: il Signore parla a un Tale figlio di un altro Tale e gli ordina di andare presso la tal città di peccatori, che sta per essere distrutta come Sodoma, Gerico, Babilonia... a questo punto lo sappiamo bene cosa succede alle città che continuano a dispiacere a Dio malgrado gli avvertimenti I nomi sono presi da altri libri della Bibbia, il che tradisce l'intento narrativo: un profeta di nome Giona è brevemente menzionato nel Secondo Libro dei Re (dovrebbe essere vissuto nel IX secolo aC), mentre Ninive era stata una capitale dell'impero Assiro. Il secondo versetto spiazza tutto l'impianto, perché stavolta il profeta in questione disobbedisce: Dio gli ha dato una missione, Giona preferisce di no. Fin qui i profeti hanno sempre detto di sì al Signore, però con dubbi e timori che ci autorizzano a pensare che dire di sì al Signore sia qualcosa di faticoso, di eroico: ma l'eroismo implica una libera scelta. Se chi dice di sì al Signore è un profeta, una persona eccezionale, ne consegue che non possiamo essere tutti eccezionali, e che dunque a un uomo non eccezionale dovrebbe essere concesso rifiutarsi a Dio. Perlomeno Giona decide di scappare; il che è buffo, dato che il Signore è dappertutto.
Ma perché Giona non vuole obbedire? Non è subito chiaro, il che ha alimentato interpretazioni molto diverse, compresa quella nazionalista: Giona non vorrebbe convertire i Niniviti perché sono nemici degli Ebrei, e non tollererebbe l'idea che Dio per mezzo suo dia loro una possibilità di redimersi. È un'idea di San Girolamo, che Martin Lutero riprende in chiave antisemita: Giona rappresenterebbe l'ebreo geloso del suo Dio e dell'esclusiva alleanza che ha stretto col suo popolo. E però da nessuna parte nel piccolo libro si legge che gli Assiri stessero attaccando Israele: certo, da altri libri sappiamo che è storicamente accaduto, del resto tutti gli altri popoli nella Bibbia ci stanno apposta per attaccare e opprimere Israele. Ma l'autore non spende una sola parola per accreditare questa interpretazione: Giona non sembra avere a cuore il suo popolo o qualcun altro a parte sé stesso. È un uomo solo a cui Dio affida una missione, e che non la vuole. Può l'uomo rifiutare questo a Dio? Esiste insomma il libero arbitrio? L'autore di Giona non sembra crederci troppo: il profeta riesce a imbarcarsi, ma la nave va incontro a una furiosa tempesta. I marinai capiscono subito che un Dio ce l'ha con loro, e per riconoscere quale tirano a sorte. Viene ovviamente estratto Giona, che capisce di non avere scampo e propone di essere buttato in mare. I marinai non accettano subito l'idea: ma siccome la tempesta non cessa, si rassegnano (non dopo aver pregato il Dio di Giona perché li perdoni, loro in fondo non fanno che quello che è richiesto dalla divinità o dall'autore del racconto). Il sacrificio funziona: il mare si calma, Giona va a fondo ma Dio manda un enorme pesce a inghiottirlo.
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Giona viene buttato a mare, Catacomba di Priscilla, foto di dominio pubblico |
Nel ventre del pesce Giona intona un canto di speranza che è il vertice lirico del libro: "Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce". Giona sembra avere imparato la lezione: una volta rigurgitato dal pesce sull'asciutto, riceve di nuovo dal Signore l'ordine di servizio e si reca ubbidiente a Ninive.
La città è un incubo kafkiano, troppo grande per essere vera: per percorrerla tutta servono tre giorni di cammino, insomma Los Angeles, e Giona deve attraversarla continuando ad annunciare il preavviso di Dio: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta". Quante possibilità ci sono che i Niniviti lo ascoltino? Se abbiamo già letto un po' di Profeti lo sappiamo: nessuna. La punizione è troppo solenne, i peccati evidentemente troppo gravi, la popolazione immensa, Giona è un uomo solo, e di malavoglia. Non possono salvarsi, è troppo tardi.
Ma se invece decidessero di ascoltare il Signore? Perché per la prima volta in tutto l'Antico Testamento, l'autore sceglie di percorrere questa via. I Niniviti si pentono tutti, dal primo all'ultimo e persino gli animali; lo stesso re smonta dal trono e si affretta a emanare un editto in cui impone a cittadini (e persino gli animali) di astenersi dal cibo, vestire di sacco ed espiare i gravi peccati che, tra l'altro, nessuno ha ancora spiegato quali siano, sono soltanto un mcGuffin per fare andare avanti la storia. Del resto, se Dio ha mandato Giona, significa appunto che voleva dare ai Niniviti un'ultima possibilità; se i Niniviti approfittano della possibilità, Dio non può che "pentirsi del male che aveva minacciato di far loro" e revocare la distruzione. Tutto è bene quel che finisce bene – salvo che Giona preferirebbe di no. È offeso a morte.
Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito. Pregò il Signore: "Signore, non era forse questo che dicevo quand'ero nel mio paese? Per ciò mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!"
Che senso ha una scenata del genere? Se lo domanda persino Dio: "Ti sembra giusto essere sdegnato così?" Una spiegazione è sempre quella nazionalista: i Niniviti sono nemici degli Israeliti e per averli salvati Giona si sente ora un traditore dei suoi... ma non convince. Forse Giona è scontento perché il libero arbitrio sembra andare in una sola direzione: Giona non era libero di sottrarsi alla missione, mentre i Niniviti sembrano liberi di sottrarsi col proprio pentimento a una catastrofe che Dio aveva già predisposto per loro. Oppure, semplicemente, a Giona l'idea di una catastrofe non dispiaceva. In effetti anche dopo il perdono di Dio, che cosa fa? Esattamente quello che ci aspetteremmo dal classico profeta di sventura: esce dalle mura e resta a una prudente distanza, a osservare se per caso non arriva un terremoto o un diluvio o un fulmine. E intanto chiede a Dio la morte.
Questa posa querula e accigliata è la definitiva presa in giro dell'atteggiamento convenzionale del profeta: l'autore di Giona li conosce bene e forse ha cominciato a domandarsi se sotto le loro barbe non covi una certa ipocrisia. È davvero così affranto, il profeta-tipo, di vedere il popolo andare in malora? Non ci sta provando gusto, perché questo lo rassicura del suo essere migliore? E questo compiacimento interiore, la sicurezza di avere ragione mentre il popolo sguazza nel torto, sarà cosa davvero gradita a Dio? Lo stesso Dio, da che parte dovrebbe stare: col profeta che si sente l'unico uomo giusto, o con un popolo peccatore che riconoscesse i suoi errori?
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Giona e la balena, di Pieter Lastman, riproduzione di dominio pubblico (non lo sta inghiottendo, lo sta rigurgitando). |
Dio ha salvato una città, anche grazie al lavoro di Giona: ma Giona avrebbe preferito di no. È stanco, ha la sensazione di avere lavorato molto senza ottenere quello che per un profeta è lecito attendersi: un bel disastro da contemplare sdegnato all'orizzonte. Fa anche un po' caldo, Giona cerca di ripararsi ma non c'è molta frasca nel deserto. Dio allora fa crescere per lui una pianta – non sappiamo di che specie, perché il suo nome, kikayon, compare solo qui in tutta la Bibbia. Spesso è tradotta come il ricino, ma non è così importante. L'importante è che questa pianta dà a Giona un po' di sollievo, addirittura di gioia. Allora Dio la uccide.
Sembra veramente che Dio se la prenda soltanto con Giona: tutti gli altri meritano il suo perdono, che siano marinai pagani o Niniviti peccatori. Solo Giona viene sempre tormentato, e quando ricomincia a lagnarsene, Dio ha la faccia tosta di chiederglielo: ma ti sembra il caso di lamentarti per una semplice pianta di ricino? Giona conferma di sì, che è sdegnato al punto di morirne: solo allora Dio gli svela di essere non essere che il protagonista di una parabola, un brontolone ideato apposta per servirGli su un piatto d'argento la risposta finale.
«Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: e io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?»
L'Antico Testamento sta per cedere il passo al Nuovo: il Dio che nei primi libri sembrava una presenza terribile, gelosa e vendicativa sembra diventato un altro, una persona talvolta imprevedibile ma di buon senso, disponibile a rivedere le sue decisioni, più affezionato ai peccatori che a chi fa loro tutto il tempo la morale. Ama persino gli animali, il Libro finisce con questa precisazione che sembra un'inezia e non lo è: anche loro si sono pentiti, anche loro meritano il perdono. Tutti lo meritano, persino Giona che dovrebbe scendere dal suo piedistallo e capire che Dio sta facendo per Ninive quello che ha fatto per lui quando era nel pesce: offrire una seconda possibilità. Se i primi autori della Bibbia avevano chiaramente un rapporto complesso con padri autoritari e bizzosi, si intuisce che i tempi sono cambiati, i padri si sono addolciti o comunque si sente in giro la necessità di padri buoni, misericordiosi, persino un po' ironici, padri che abbiano creato il mondo perché questo li rendeva felici, come l'ombra ci rende felici quando siamo nel deserto.
Non sappiamo se Giona abbia imparato la lezione: l'importante è che l'abbia intesa il lettore. Subito dopo comincia il Libro di Michea, un altro rotolo di furenti minacce per le genti di Samaria e Gerusalemme che non ascoltano la Parola del Signore. Insomma è stata solo una pausa di riflessione. Molto utile, per me almeno. Spero anche per voi.