Save me from tomorrow!

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Fire fu la prima fanzine su cui misi le mani, forse l'unica. Era l'organo del fan club italiano degli U2, che però non uscivano con un disco nuovo ogni tre mesi, maledetti. Per cui Fire doveva rassegnarsi a parlare anche d'altro: film di Wim Wenders e band di area celtica, Waterboys o In Tua Nua.

Su un numero di Fire, in terza di copertina, fu pubblicato il testo di Ship of Fools dei World Party. Mi sembrò subito meraviglioso, un salmo, una piccola apocalisse, e non avevo ancora sentito la musica. Ma poi miracolosamente quell'estate Ship of Fools sbarcò su Videomusic, che mi serbava dell'affetto. A nessun altro per chilometri e chilometri parevano interessare i World Party, che in pratica erano un progetto solista del tastierista gallese dei Waterboys. Nessuno voleva sentire fosche profezie di sventura con arrangiamenti retrò che non erano ancora tornati di moda.


Però per me, vedete, Ship of Fools epitomizzava tutto quello che mi stava succedendo attorno e non si chiamavano ancora “Anni Ottanta”, perché ci eravamo dentro e non avevamo la minima idea di quando sarebbero finiti. Secondo Fukuyama anche mai. Ecco, quegli Anni-non-ancora-Ottanta si riconoscevano dal ritornello, che era “you're going to pay tomorrow”. Potevamo accomodarci, spendere e spandere, avremmo pagato con calma in seguito. Ma dopo quel ritornello nella canzone ce n'era un altro, più dolente, e mi sembrava di sentire la mia stessa voce mentre Wallinger lo cantava: Save me from tomorrow! Io non c'entro! Non è colpa mia! Non voglio salpare con la nave dei folli! Ma non c'era niente da fare, avevamo già tagliato gli ormeggi da un pezzo.
Dopo quel disco Wallinger si concentrò su una sconosciuta cantante irlandese che aveva il vezzo di esibirsi calva, Sinead Qualcosa. Ma nel giro di pochi mesi comunque ascoltare rock celtico smise di essere trendy, e io passai ad altre cose che francamente adesso non so. I World Party ricomparvero sul mio radar tantissimi anni dopo con un altro pezzo struggente e fuori moda, Is it like today. Poi basta, per quel che ne sapevo Wallinger poteva anche aver preso una pompa di benzina fuori Cardiff.

Scopro invece che ha fatto di tutto, compreso le colonne sonore di Giovani Carini e Disoccupati e Ragazze a Beverly Hills. E che She's the one, l'insulsa ballatona di Robbie Williams pattinatore, è un pezzo dei World Party. Dannata internet. Preferivo non saperle, queste cose, e immaginarti seduto sul molo, a guardarci mentre naufraghiamo, senza fretta. 

E invece, per tutti questi anni, anche tu, nascosto nella stiva.
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de guribus

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Dietro di te vedo i milioni

Ma io non mi vergogno mai di quel che scrivo? Spesso. Molto. Non mi cancello per pura pigrizia. Mesi fa per esempio scrissi una sciocchezza su Giovanni Lindo Ferretti, che è stata ingiustamente apprezzata da parecchi. Non saprei dire se mi fosse mai capitato di scrivere qualcosa di altrettanto fazioso e impreciso (probabilmente sì). Nel pezzo mi abbandonavo ad affermazioni incontrollabili, come ad esempio: “Nessun campanaro è mai stato fatto santo”. Ci hanno messo pochi giorni a sbugiardarmi, ovviamente.
Ma soprattutto devo rimangiarmi un’affermazione. Ho scritto: “quello è stonato”. Be’, ma che ne sapevo? Devo rimangiarmela perché sabato sono stato trascinato a un suo concerto, in una sala municipale persa da qualche parte nella nebbia piemontese. Ferretti salmodiava accompagnato da un violinista, un bandoleon e un altro cantante, con qualche ottava in più di lui. Io temevo di stramazzare dopo pochi minuti, e invece sono riuscito a stare sveglio per i tre quarti. Intorno a me il pubblico seduto apprezzava, applaudiva e adorava. Senza essere il grande cantante che non ha mai preteso di essere, Ferretti ha dimostrato un carisma impressionante, e non ha steccato mai. Ma quand'è che invece lo avevo sentito steccare, Ferretti? Mi sono reso conto solo allora che quella era la prima volta che lo vedevo cantare dal vivo. Sul serio. Un reggiano. Mai stato a un suo concerto. Per evitarlo tutti questi anni devo averci messo dell’impegno, eppure giuro di non essermene mai accorto. Insomma, io sono uno che tiene un blog e sputacchia le sue sentenze su cantanti che non ha mai ascoltato dal vivo in vita sua. Non mi vergogno mai? Talvolta.

C’è questa polemica sulle sue vecchie canzoni. L’ho letta spesso, anche nei miei commenti: se ha cambiato idea va bene, ma non dovrebbe più cantare le sue vecchie canzoni. Il problema è che forse lui non ha cambiato idea. Ieri come oggi continua a cantare la decadenza del corpo umano e di quanto siano invece fighi i corpi incontaminati dei cavalli. Queste scemenze idilliache, o se preferite apocalittiche, erano già dominanti in Linea Gotica (e forse prima), e se non ve ne siete accorti è per il frastuono di tutte quelle chitarre. Sarà un bravo cantante, ma è da più di dieci anni che si atteggia a guru anti-moderno, e a me i guru non piacciono. È una cosa che mi porto dietro da lontano.

I meno giovani ricorderanno di quando Bono perse la testa, e da ragazzaccio di Dublino s’improvvisò predicatore alle masse? Più o meno ai tempi di Rattle and Hum – io divorziai dagli U2 in quel momento. Adesso andiamo d’accordo, più o meno da quando il gran cantante ha scoperto una cosa che si chiama autoironia. Ma posso risalire ancora più lontano. Voi lo avete mai visto Tommy? È un film pazzesco. Una di quelle cose che può piacere a Valido.

Con ordine. Tommy in principio era un fantastico disco degli Who, scritto da Pete Townshend in un periodo in cui il giovane chitarrista era effettivamente seguace di questo o quel guru. Tommy è un ragazzo sordo, muto e cieco, che dopo vari abusi diventa campione di flipper, guarisce dalle sue infermità e diventa un profeta. La storia era sconclusionata e incomprensibile, ma la musica era potente. Si passavano serate a guardare la puntina del giradischi e ad ascoltare questo disco oscuro e abbagliante, che parlava di violenze sui minori e viaggi acidi. E verso la metà, e alla fine, c’era un inno fantastico:

Listening to you I get the music.
Gazing at you I get the heat.
Following you I climb the mountain.
I get excitement at your feet!
Right behind you I see the millions.
On you I see the glory.
From you I get opinions.
From you I get the story.

…ma non è che si sapessero bene le parole, a quei tempi. Però era esaltante.
Qualche anno dopo Ken Russel trasformò la storia in un film che definire visionario è riduttivo (oltre che banale). In questo film viene reso evidente qualcosa che nel disco non era affatto chiaro: Tommy è uno psicopatico. Per guarire i suoi adepti dal logorio della vita moderna, vuole renderli sordi, muti e ciechi, com’era lui. È guarito dalla sordità e dalla cecità soltanto per regalarla agli altri. Come dice questo critico, John Demetry: "Tommy's liberation becomes a means of mass exploitation".

Per me il Tommy di Russel è quasi una parodia di quello di Townshend, anche se canta più o meno le stesse canzoni. Tutto l’entusiasmo ingenuo, la pura fede del disco del 1969, nel 1975 è diventata una truffa, un sogno acido, una sagra pop. Cos’era successo? I guru di cinque anni prima avevano perso tutto il loro appeal. E l’inno finale di Tommy, nella versione sottotitolata in italiano, suonava sinistro: aveva un che di nazista.
Ascoltando te, io ricevo la musica,
guardando te, io traggo il calore.
Seguendo te, io scalo la montagna,
ai tuoi piedi io provo eccitazione.
Dietro di te, io vedo i milioni;
su di te, io vedo la Gloria.
Da te, io prendo le mie opinioni;
da te, io imparo la Storia.

Il bello è che a tutt’oggi non riesco ad ascoltare quella canzone senza provare un desiderio struggente di scalare una montagna dietro un qualsivoglia leader, persino Lindo andrebbe bene, traendo eccitazione e lezioni di Storia dal suo tallone. Ogni volta che mi chiedo “ma come hanno fatto milioni di tedeschi a seguire uno psicopatico”, mi basta pensare a quel coro di Tommy. Probabilmente loro usavano materiale più professionale, Wagner & co., ma Tommy basta e avanza per farsi un’idea. “Dietro di te, io vedo i milioni…” Millionen stehen hinter mir, si diceva un tempo. Milioni di persone eccitate ai tuoi piedi, disposte a non guardare, e a non sentire. Forse in ogni cantante un po’ esaltato c’è un führer in potenza. Forse in ogni pubblico estatico c'è il brodo di cultura delle prossime SS. Poco male, basta saperlo. Se io l’ho capito guardando Tommy, c’è una speranza davvero per tutti.

[Ps: di Tommy vorrei salvare due versi magnifici. Uno dice “When I see your smile, I can face brave weather”. (“Quando vedo il tuo sorriso, so che posso affrontare il cattivo tempo”). L’altro andrebbe scritto a grandi caratteri su tutte le case del Regno, e recita: “La libertà ha il sapore della realtà”. In inglese è molto meglio: “Freedom tastes of reality”. Ci si mette molti anni a capirlo, ma è vero. Townshend c’è arrivato presto – forse il suo guru non era così male, dopo tutto].
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- 2025

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It was twenty years ago, today
Sgt. Pepper taught his band to play
They've been going in and out of style…


A-aid, 2025

Caro Leonardo,
Ieri finalmente Taddei è riuscito ad accedere da solo a qualche contenuto Supernet. E ha avuto una brutta sorpresa, ovviam.
"Non chiedevo molto. È il Quattro Luglio e volevo vedere una parata. Ma in quel corridoio fottuto…"
"Ssst! Siamo in Facoltà, Taddei".
"Scusa. Dicevo che sono finito in una specie di corridoio digitale e sentivo che gli altri utenti fottuti mi spingevano in una direzione diversa".
"Te l'ho detto, è quasi impossibile connettersi con gli usastri. Vanno troppo veloci per noi. Mentre provavi sei stato assorbito da una corrente di utenti della zona mediterranea".
"Ma se io volevo andare da un'altra parte…"
"Te l'ho spiegato varie volte. È come una strada supertrafficata, te le ricordi le strade supertrafficate?"
"Sì, bei tempi".
"Ecco. Fa conto di essere nei vecchi tempi, all'ora di punta, e di dover svoltare a sinistra senza semaforo. Non ci riesci. Devi seguire la corrente".
"Su Internet non era così".

Su Internet qua, su Internet là… che palle, Taddei. "Internet non c'è più, va bene? Devi imparare a guidare nel vero traffico, adesso".
"Ma insomma, guarda dove sono andato a sbattere. Un concerto benefico in Africa. Voglio dire, è possibile che stiano andando tutti a un fottuto concerto?"
"Direi di sì. È l'A-Aid di Dakar, l'evento musicale del ventennio".
"Allora lasciatelo dire, è stato un ventennio di merda. Valeva proprio la pena di svegliarsi per vedere gli U2 coi capelli bianchi che leccano il culo sul palco al tirannello africano di turno…"
"No. No. Ti stai sbagliando. Gli U2 si sono sciolti una dozzina di anni fa, per motivi di salute, e…"
"Ok, chiedo scusa, c'è solo Bono sul palco con una buzzica da un quintale, che stringe le mani a un dittatore".
"Da capo. Reset. Controlzèta. Intanto quello non è un dittatore, è il grande Baaba Maal".
"Un santone?"
"No, un mito della musica africana…"
"E allora perché sta discutendo con Bono da dieci minuti? Non possono iniziare il loro fottuto duetto e amen?"
"…e non ci sarà nessun duetto, perché quello non è Bono, ma Paul Hewson, il Presidente dell'Unione Bizantina".
"Ah".
"… e prima che me lo chiedi, sì, Paul Hewson una volta si faceva chiamare Bono e cantava negli U2; adesso invece non canta più".
"Perché si è dato alla politica?"
"No, piuttosto viceversa: si è dato alla politica perché in seguito a un'overdose di aerosol ha perso l'ultimo residuo di corde vocali. Anche adesso è solo in grado di bisbigliare grazie a un laringofono digitale. Immagino che stia cercando di ringraziare Maal per aver organizzato questo bel concerto, vent'anni dopo il Live Aid".
"Vent'anni? Non credo. Al massimo quaranta".
"Hai ragione anche tu. Ce n'è stato uno nel 1985 e uno nel 2005, ma probabilm tu eri già in coma".
"Mi sono risparmiato almeno una fiera dell'ipocrisia. Io mi chiedo con che faccia continuino a chiedere soldi alla gente. Non sono bastati quarant'anni per capire che la beneficenza non serve?"
"Taddei, per favore…"
"Possibile? Non hanno occhi per vedere che più li aiutiamo peggio è?"
"Taddei, abbassa la voce".
"Cos'è, hai paura? Guarda che qui intorno gli studenti mi rispettano, non te ne sei accorto? Finalmente qualcuno che parla politically uncorrect, senza troncare tutti i fottuti avverbi. Finalmente qualcuno che ha il coraggio di dire che se vogliamo realmente aiutare l'Africa…"
"Taddei, non è un concerto per aiutare l'Africa".
"E allora perché lo fanno a Dakar?"
"Lo fanno là perché là c'è una borghesia giovane e rampante che può permettersi di pagare il biglietto. Il concerto serve ad aiutare le popolazioni europee colpite dalla carestia di questo inverno".
"Gli europei?"
"Sì, e non è escluso che una parte dei proventi non finisca anche nelle casse del Teopop, per cui te ne prego, non essere troppo uncorrect in pubblico, se non ti spiace".
"E quindi in Africa se la passano bene?"
"Sì, ma non ti preoccupare, non è stato grazie a Bono o Geldof. Su quello hai ragione: la beneficenza non ha portato a grossi mutamenti strutturali. È stato il libero mercato".
"Il Libero Mercato!"
"Già!"
"Lo vedi che avevamo ragione!"
"Voi chi?"
"Noi che… noi che difendevamo il Libero Mercato!"
"Sssst!"
"E allora perché sssst?"
"Perché il libero mercato, dopo aver sospinto tutte i popoli del mondo allo sfruttamento indiscriminato delle risorse, ha provocato l'erosione dei poli, che ha trasformato l'Europa in una palude e ha messo in ginocchio il settore più protetto dell'economia occidentale".
"L'agricoltura".
"Già. Perché l'Europa agricola era una grande pianura, mentre l'Africa…"
"È il continente degli altipiani".
"Gli africani producevano già molto più del loro fabbisogno. Ma finché l'Europa sosteneva i suoi contadini e i suoi consumatori, gli africani erano condannati a fare la fame in mezzo alle piantagioni di caffè e di banane. Finché il Libero Mercato non ha distrutto il nostro ecosistema. Adesso sono liberi di coltivare quello che gli piace, commerciarlo tra loro e arricchirsi. E poi ci sono i metalli preziosi, gli idrocarburi…"
"Il continente più ricco del mondo".
"Potenzialm, sì. Se i cinesi e gli indiani non lo invadono prima. È per qsto che organizzano concerti benefici per gli amici europei. Sperano di rilevare l'arsenale militare bizantino, che è ancora il più forte del mondo. E magari riescono anche a infilare qualche aiuto per noi".
"Ma noi non abbiamo avuto la carestia".
"Dipende dai punti di vista".
"Senti, io mi sto facendo una cultura, qui. E so che tutti qsti studenti lavorano nel riso part-time. Da Bologna in su è tutta una risaia. Abbiamo riso da vendere".
"Non ce lo compra nessuno. E non si vive di solo riso, Taddei".
"E vendiamolo agli africani, no? Scambiamolo con la frutta, col caffè! O costa troppo per loro?"
"Costa troppo poco. Loro devono proteggere il loro prodotto interno".
"Ma che razza di stronzi… fanno i concertini benefici e non ci comprano il riso?"
"Taddei, lo so che è uno choc culturale, ma prima o poi devi accettarlo: gli africani sono intelligenti come noi".
"Qsto lo so, ma…"
"E quindi altrettanto stronzi. Hanno tutto l'interesse a lasciarci nel nostro sottosviluppo. Possono farci la carità ogni tanto, foraggiare i nostri dirigenti più o meno corrotti, qsto sì. Ma se volessero incentivare davvero la nostra economia, finirebbero per mettere in crisi la propria. E qsto va contro le leggi del Libero Mercato".
"Il Libero Mercato".
"Sempre lui. E adesso, per favore, zitto. C'è Youssou N'Dour sul palco. E qllo… qllo dev'essere El Hadji Faye!"
"E allora?"
"E allora? E allora vuol dire che sono riusciti a riunire la formazione originale dell'Étoile de Dakar, qlla del 1977! Dopo 45 anni! Pensa!"
"Ma cantano in inglese".
"Ah, sì, la canzone è un tributo ai Beatles. È commovente, no?"
"Commovente? Cosa?"
"Che un gruppo di senegalesi si ricordi ancora dei Beatles, nel 2025. Non lo trovi commovente?"
"No".

So may I introduce to you,
the act you've know for all these years,
Sgt. Pepper's Lonely Heart's Club Band


"Non vorrei mai venire ad abitare in una casa più piccola della mia".
(Paul Hewson, negli anni Novanta, a chi gli proponeva di candidarsi alla Casa Bianca).
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Quale mente insana, in quale condizione di stress psicofisico, ha partorito la pur lodevole iniziativa musicale nota nel mondo come Pavarotti & Friends?
La redazione di Leonardo tentò di fornire una risposta due anni fa.

Prendetela con le molle. Del resto noi, snob come siamo, abbiamo smesso di presenziare da molti anni, e andiamo in giro dicendo che le edizioni migliori restano quelle dei primi anni Ottanta. A quei tempi la diretta tv non c’era, il Maestro era già celebre ma meno pingue, e la Carlucci ancora studiava dizione. Ma erano anni di fermento per la musica, e in piazza Novi Sad non passavano i dinosauri imbalsamati d’oggi, bensì i nomi più in vista del nuovo pop internazionale. Come possiamo dimenticarci il primo duetto con George Michael?

George: And I never gonna dance again
Guilty feet they've got no rhytm
Though it's easy to pretend
I know you're not a fool
I should have known better than to cheat a friend
And waste a chance that I've been given
So I never gonna dance again
The way I dance with you

Luciano: Oimé, e non danzerò mai più
Nell'orma dei passi colposi
Finger già facile fu
Ma con te giammai!
Con te persi un amico che il fato mi dié
E nel pensier io mi torturo
So I never gonna dance again
Come danzai con te

E quello con Serge Gaisburg? Qui Luciano prendeva il posto di Jane Birkin o Brigitte Bardot, riuscendo nell’impossibile impresa di non far rimpiangere né l’una né l’altra:

Pavarotti: Deh! Ché t'amo, io t'amo, oh se t'amo!

Gainsbourg: Moi non plus

Pavarotti: O mio divino!

Gainsbourg: L'amour physique est sans issue

Pavarotti: Tu vai, tu vai e tu vieni
Tra le mie reni
Tu vieni e tu vai
Tra le mie reni
E poi… ti ritrai

Gainsbourg: Je vais, je vais et je viens
Entre tes reins
Je vais et je viens
Et je me retiens…

Pavarotti: No… adesso… vien! (Acuto)


Il primo incontro con Bono… era l’84, mi pare, e il ragazzo aveva ancora quell’aria da scaricatore dei docks di Dublino con l’hobby del rock. Forse fu proprio l’accorata interpretazione del Maestro a conferire a Domenica, trista domenica lo status di inno internazionale.

Pavarotti: Non posso credere alle nuove
Né chiuder gli occhi miei e fingermi altrove
Ahi, quanto / dureremo in questo pianto?
Ahi quanto/ ahi qua… a … a… a… nto

Bono: Tonight we can be as one,
tonight, tonight

Insieme: Domenica trista, domenica trista.


Notevole anche la Non ti (scordare di me) in coppia con Jim Kerr. Ma le vere scintille, Pavarotti le provocava a contatto col pop elettronico. Ricordate la voce del Tenore impastarsi a meraviglia col falsetto di Jimmy Sommerville in Tell me why? (Io e te insieme pugnam pel nostro amor…). La sua versione di Just can’t get enough dei Depeche Mode mantiene a distanza di anni tutta la sua carica vitalistica e trasgressiva:

Luciano: Ognor ti penso, e cresce in me il desio
Dave: And I just can’t get enough, I just can’t get enough
Luciano: Soltanto in te trova conforto il pensier mio
Dave: And I just can’t get enough, I just can’t get enough
Luciano: D’amor io brucio, siccome pira ardente
E bruciando pur non ne ho bastante – mai.


Qualche concessione al passato il Maestro doveva pur farla. Memorabile la sua versione di Light my fire, supportata dai tre Doors superstiti:

Sai ch’io non sarei sincero
Sai ch’io sarei ben bugiardo
Se or io ti dicessi, invero
Che non possiam salir più in alto

Orsù amor appicca il foco
Orsù amor appicca il foco
Di quella pira orrendo… foco!.


Passato e moderno. Sulla passerella i fantasmi dei Doors lasciavano lo spazio ai Clash all’apice della fama:

Diletta mia, mi devi dir
Debbo partirmene o restar?
S’io vado, vi saranno guai?
S’io resto, un doppio amante avrai?
Deh dimmi, mia diletta, inver:
debb’io partirmene o restar?.


E i Police:

Pavarotti: Ogni tuo sospir
Ogni tuo pensier
Ogni tuo piacer, ogni tuo voler
Io ti scruterò

Sting: Every single day
Every word you say
Every game you play
Every night you stay

I'll be watching you

Pavarotti: Che, non lo sai?
Ti posseggo, ormai,
e reclamo inver
ogni tuo pensier.



Purtroppo tutto quello che ci resta di quegli anni felici sono un pugno di ricordi. Niente registrazioni, mp3, foto, niente. Dobbiamo affidarci alla nostra memoria, lacunosa e non sempre degna di fiducia. Ma saremmo grati se qualcuno ci volesse segnalare altri duetti storici del Maestro. A maggior gloria sua e dei suoi amici, la cittadinanza riconoscente.
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Lo so, che è soltanto rock'n'roll
(ma mi piaaaaaaaace!)


Siamo qui, stiamo sudando i primi caldi dell'estate, siamo alle prese con un lavoro che non ci attira o con uno studio che ci deprime. La radio ci consola (o gli mp3), ma mentre ci facciamo cullare dalle note ci prende l'antico rimpianto: cosa ci facciamo qui? Alle prese con uno squallido futuro che non abbiamo mai desiderato? Noi che volevamo fare le rockstar, cantare su un palcoscenico davanti a decine di migliaia di persone (paganti)! Come abbiamo fatto a perderci per strada in questo modo?

Lo stesso pensiero, parecchi anni fa, colse Luciano impreparato. Era la prima di un'opera… importa dire quale? La solita, il tenore voleva farsi il soprano e il basso non era d'accordo. Per l'appunto basso e soprano stavano duettando, e dietro la quinta Luciano paziente aspettava, sudando l'impossibile. (Maledetti abiti di scena).
Da lì s'intravedeva la platea. I soliti visoni, le solite cariatidi sbadiglianti, fierissime di assistere a un evento culturale di quella portata (figurarsi, con quello che avevano pagato). Che noia. Che brutto mondo. Come ho fatto a finire qui? Io volevo fare la rockstar!
Il pensiero, appena appena formulato, lo stupì. Era stato proprio lui a pensarlo? Possibile? Lui era un grande artista, acclamato in tutto il mondo… eppure… sempre in giro per questi teatri, tutti uguali… con questa musica e questi abiti ridicoli… questo Ottocento protratto all'eternità… Tutto perché sono nato in provincia, lì studiare bel canto era il non-plus-ultra, ma fossi cresciuto a New York, a Londra… anche solo a Liverpool… gliela facevo vedere io, gliela facevo…
Ma era troppo tardi. Una volta impostata, la voce non si cambia più. È come un cerone che non riesci più a levarti di dosso, ti penetra sotto la pelle, diventa parte di te. Luciano non era ancora all'apice della fama, ma ci stava arrivando. Il suo manager gli aveva consigliato di ingrassare un po' ("il tenore pingue gode di maggior visibilità, lo capisci o no?")… Troppo tardi per i concerti da stadio…
"In scena!" Luciano si riscosse. Toccava a lui. Ma mentre si accingeva a stringere il soprano tra le braccia, ebbe il tempo per fare a sé stesso un solenne giuramento: Ingrasserò, e quando sarò il più grosso tenore del mondo organizzerò un concerto nella piazza più grande della mia città, e tutte le rockstar del mondo faranno a gara a cantare con me!

È da anni che non vado più al Pavarotti & Friends. Forse ho ricordi troppo belli, che non voglio inquinare. Ero piccolissimo, sarà stato l''84, o l''85. Per ottenere i biglietti, io e mia nonna avevamo piantato una grana con la mamma, che alla fine aveva acconsentito ad accompagnarci.
Lo spettacolo fu memorabile. Sin d'allora, P. sapeva stupire il mondo. Ricordo un'incredibile medley Vincerò / We are the champions con Freddy Mercury. Una fantastica Stairway to heaven con Robert Plant: il ritornello, in cui P. cantava "Mi meravigliaaaa!", faceva venire i brividi. Una spiritosissima versione di I love to love con Tina Charles:

Tina Charles: Oh, I love to love,
But my baby just loves to dance


Pavarotti: Amo l'amor
Ma il mio diletto ama sol danzar


Coro: get get get get down. Get get get get down,
Get get get get get get get, oooh!
(Acuto)

Ricordo anche un grande duetto con George Michael, che però allora non potevo sopportare (odiavo le ragazzine). Ma che versi ispirati…

George: And I never gonna dance again
Guilty feet they've got no rhytm
Though it's easy to pretend
I know you're not a fool
I should have known better than to cheat a friend
And waste a chance that I've been given
So I never gonna dance again
The way I dance with you


Luciano: Oimé, e non danzero mai più
Nell'orma dei passi colposi
Finger già facile fu
Ma con te giammai!
Con te persi un amico che il fato mi dié
E nel pensier io mi torturo
So I never gonna dance again
Come danzai con te


Ma il numero che è rimasto scolpito nella mia memoria è quello con il grande Serge Gainsbourg. Certo, all'epoca non potevo neanche immaginare chi fosse, e certo mia madre e mia nonna non me l'avevano spiegato: eppure il fascino di quell'uomo magro, brutto, scavato, pallido, a fianco del tenore pingue e bronzeo… si guardano negli occhi, si sorridono, intonano un canto d'amore immortale…

Pavarotti: Deh! Ché t'amo, io t'amo, oh se t'amo!

Gainsbourg: Moi non plus

Pavarotti: O mio divino!

Gainsbourg: L'amour physique est sans issue

Pavarotti: Tu vai, tu vai e tu vieni
Tra le mie reni
Tu vieni e tu vai
Tra le mie reni
E poi… ti ritrai


Gainsbourg: Je vais, je vais et je viens
Entre tes reins
Je vais et je viens
Et je me retiens…


Pavarotti: No… adesso… vien! (Acuto)


Dolci ricordi. Ma è tempo di mettersi a sgobbare. Ho deciso che diventerò il più grande cliccatore del mondo, e quando lo sarò diventato, comprerò piazzale Novi Sad e ci farò un concerto tutti gli anni, duettando con chi mi pare. Che anche se stecco qualche volta, chi verrà mai a rimproverarmi? È per beneficienza… è solo rock'n'roll.
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