Innamorarsi di venerdì (santo)
06-04-2012, 12:28cantautori, cinema, Cristo, italianistica, musica, Pasque, PetrarcaPermalinkPoterti smembrare coi denti e le mani6 aprile 2012 - Venerdì Santo. Passione e morte di Nostro Signore
sapere i tuoi occhi bevuti dai cani,
di morire in croce puoi essere grato
a un brav'uomo di nome Pilato...
![]() |
E per quattro secoli abbiamo preso lezioni d'amore da questo tizio |
Ben più della morte che oggi ti vuole,Il venerdì santo è uno di quei giorni che fa veramente la differenza tra chi è cristiano praticante e chi no. Il Natale lo festeggiano anche in Cina, ormai. Santi e profeti e parole di vita eterna ce li hanno un po' tutti, ma un Dio che muore in croce per i loro peccati ce l'hanno solo i cristiani, e ci tengono. Il palinsesto televisivo si adatta come può: un Jesus Christ Superstar qua, una Passion là - a proposito, quale dei due trovate più blasfemo? Io non ho dubbi, il super-dio di Mel Gibson che sopravvive a mazzate che stenderebbero un elefante mi sembra da scomunica. E invece ai tempi l'ufficio stampa lavorò molto bene, riuscirono in qualche modo a scrivere che il Papa lo aveva visto e gli era piaciuto. Wojtyla nel 2004 aveva un anno scarso da vivere ed è triste pensare che davvero abbia buttato via due ore per sorbirsi un film horror in latino ecclesiastico.
ti uccide il veleno di queste parole
le voci dei padri di quei neonati,
da Erode, per te, trucidati.
Nel lugubre scherno degli abiti nuovi
misurano a gocce il dolore che provi:
trent'anni hanno atteso col fegato in mano,
i rantoli d'un ciarlatano.
A proposito del latino, fu una trovata geniale: (continua sul Post...)Si muovono, curve, le vedove in testa,
per loro non è un pomeriggio di festa;
si serran le vesti sugli occhi e sul cuore,
ma filtra dai veli il dolore.
Fedeli umiliate da un credo inumano,
che le volle schiave già prima di Abramo,
con riconoscenza ora soffron la pena
di chi perdonò a Maddalena;
di chi con un gesto, soltanto fraterno,
una nuova indulgenza insegnò al Padreterno,
e guardano in alto, trafitte dal sole,
gli spasimi d'un redentore.
Comments
29-01-2004, 04:10come stare soli, Franzen, PetrarcaPermalink
Anche tu in Arcadia!
Io ho avuto un’infanzia abbastanza felice, e amici ne avevo e ci giocavo volentieri: però a volte preferivo starmene per i fatti miei. Ne stavo parlando proprio oggi, giù in bar, con Jonathan Franzen.
“Le persone non amano ammettere”, diceva, “di essere stati degli isolati sociali da bambini. Allora accade che quel senso di diversità venga trasportato in un mondo immaginario. Il quale, però, non può essere condiviso con quelli che ti stanno intorno – perché è immaginario. E così il dialogo più importante della tua vita si svolge con gli autori dei libri che leggi. Anche se non sono presenti, essi diventano la tua comunità”.
“Beh, beh”, ho fatto io, “adesso non esageriamo”.
“Ma il fatto di essere un bambino “socialmente isolato” non condanna autonomamente a diventare un adulto imbranato alle feste e con l’alito cattivo. In effetti, può rendere ipersocievoli. Solo che a un certo punto si comincia ad avvertire un tormentoso, quasi contrito bisogno di ritirarsi in disparte a leggere – di ricongiungersi a quella comunità”.
“Ah sì?”
“Tu sei un individuo socialmente isolato che vuole disperatamente comunicare con un essenziale mondo immaginario”.
Questo mi ha fatto venire un’idea.
“Senti, mi è venuta un’idea. Perché non andiamo a trovare Francesco, che sta qui nei pressi?”
Toc, toc
“È permesso?”
“Comites latentes
quos michi de cuntis simul omnia secula terris
transmittunt, lingua, ingenio belloque togaque
illustres; nec difficiles, quibus angulus unus
edibus inmodicis satis est, qui nulla recusent
imperia assidueque adsint et tedia numquam
ulla ferant, abeant iussi redeantque vocati”.
“Magari torniamo in un giorno che lavori in volgare, eh?”
Tutto sommato una buona giornata.
Testi di: Jonathatn Franzen, Come stare soli, Einaudi 2003, pagg. 77, 78; Francesco Petrarca, Epystole, I, 6; non è spocchia, è che proprio non ho il tempo fisico per tradurre. Un’altra volta.

Io ho avuto un’infanzia abbastanza felice, e amici ne avevo e ci giocavo volentieri: però a volte preferivo starmene per i fatti miei. Ne stavo parlando proprio oggi, giù in bar, con Jonathan Franzen.
“Le persone non amano ammettere”, diceva, “di essere stati degli isolati sociali da bambini. Allora accade che quel senso di diversità venga trasportato in un mondo immaginario. Il quale, però, non può essere condiviso con quelli che ti stanno intorno – perché è immaginario. E così il dialogo più importante della tua vita si svolge con gli autori dei libri che leggi. Anche se non sono presenti, essi diventano la tua comunità”.
“Beh, beh”, ho fatto io, “adesso non esageriamo”.
“Ma il fatto di essere un bambino “socialmente isolato” non condanna autonomamente a diventare un adulto imbranato alle feste e con l’alito cattivo. In effetti, può rendere ipersocievoli. Solo che a un certo punto si comincia ad avvertire un tormentoso, quasi contrito bisogno di ritirarsi in disparte a leggere – di ricongiungersi a quella comunità”.
“Ah sì?”
“Tu sei un individuo socialmente isolato che vuole disperatamente comunicare con un essenziale mondo immaginario”.
Questo mi ha fatto venire un’idea.
“Senti, mi è venuta un’idea. Perché non andiamo a trovare Francesco, che sta qui nei pressi?”
Toc, toc
“È permesso?”
“Comites latentes
quos michi de cuntis simul omnia secula terris
transmittunt, lingua, ingenio belloque togaque
illustres; nec difficiles, quibus angulus unus
edibus inmodicis satis est, qui nulla recusent
imperia assidueque adsint et tedia numquam
ulla ferant, abeant iussi redeantque vocati”.
“Magari torniamo in un giorno che lavori in volgare, eh?”
Tutto sommato una buona giornata.
Testi di: Jonathatn Franzen, Come stare soli, Einaudi 2003, pagg. 77, 78; Francesco Petrarca, Epystole, I, 6; non è spocchia, è che proprio non ho il tempo fisico per tradurre. Un’altra volta.