Oimè, e non danzerò mai più

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Con o senza P

Quando di anni non ne avevo ancora venti, e di lirica non capivo assolutamente nulla, uscivo tuttavia con un soprano: così un giorno varcai la soglia mai prima osata di un negozio di classica, perché volevo regalarle una versione in CD dell’opera che stava studiando (che dolce) e speravo anche di cavarmela con poco (che fesso). Il nome dell’opera non me lo ricordo; ricordo invece la risposta del negoziante.

“Con Pavarotti o senza?”
“Eh?”
“La vuole con Pavarotti o senza?”
“Mah, non so, faccia un po’ lei”.

L’ignoranza mia plateale dovette muovere a pietà l’esercente, che mi spiegò l’arcano: in quel negozio, forse in tutti i negozi di Modena, i cd di classica si vendevano così: con-Pavarotti o senza-Pavarotti. Fu così che nella mia fantasia il più illustre concittadino venne per sempre assimilato a quello che nelle gelaterie è il dispenser di panna montata: “mi fa una Turandot?” “Ci vuole sopra un Pavarotti?” “Se è fresco sì, grazie!”, oppure “No, mi scusi, non lo digerisco”. Evidentemente P o si amava o si odiava, con un sentimento di pari intensità. Pavarotti come il Mac? No, piuttosto come Windows: popolare, un po’ troppo costoso, ed estremamente compatibile, anche se troppo spesso con esiti catastrofici. Pavarotti lo puoi montare anche su Zucchero o sugli U2, ma per quale motivo al mondo dovresti poi ascoltare una schifezza del genere? Mah, forse per l’amore dei bambini poveri. E va bene. Io però non ci sono mai andato, al Pavarotti&Friends, anche se una volta la Feffe aveva misteriosamente trovato dei biglietti e ci eravamo messi d’accordo per portare davanti alle telecamere uno striscione contro… contro… mah, l’Afganistan, forse… poi qualcuno tirò un pacco, non mi ricordo.

Non ricordo neanche se quel giorno, nel negozio, alla fine scelsi l’opera con- o senza-Luciano. Non che abbia importanza, il soprano mi lasciò di lì a poco per un poeta di neo-neoavanguardia. Senza dubbio anche a causa del trauma che ne conseguì, di lirica a trent’anni suonati continuo a non saperne nulla, e non crediate non me ne vergogni. Il mio orecchio, per altri aspetti così sensibile, di fronte a quella roba si pianta, non scevera un baritono da un basso, per lui Mozart o Verdi pari sono. Una sola cosa riesce a fare: distinguere il gusto Pavarotti dal no-Pavarotti. Quale dei due gusti sia poi preferibile non saprei dire, ma so che la mia sordità selettiva è condivisa da milioni di persone del mondo. Per quelli come noi, che dell’ignoranza ancora non van fieri, poter identificare almeno una voce è occasione di orgoglio e gratitudine: senti, senti, questo è senz’altro lui. Non che sia granché, appunto, è panna montata: ma è dolce, buona, democratica. Senti, senti il do di petto, senti.

Però adesso basta, per favore. Se in tv attaccano un altro Nessun dorma, ci viene il diabete.

Pavarotti ha riportato l’opera lirica tra la gente. Chissà poi se la gente se la meritava, in tutti i sensi. Secondo me a un certo punto si era semplicemente stancato di far la scimmia ammaestrata per un pubblico di cariatidi in visone. Proprio come me, come te, come chiunque, lui aveva un solo sogno: fare la rockstar. Ragazze nei camerini, poker, corse al trotto, il piazzale di Novi Sad come la sua Las Vegas personale. Mi viene sempre in mente di una vecchia intervista da New York, in un periodo in cui teneva le prime pagine del mondo semplicemente steccando ogni tanto (le registrazioni delle sue stecche devono valere parecchio, come i francobolli sbagliati):

“Ha letto il Critico-tale? L’ha stroncata, dice che a questo punto preferisce andare a un concerto di Tina Turner”.
“Beh, in effetti anch’io”.

Prima o poi i melomani dovevano uscirci, dal loro Ottocento paludato. Bisogna ringraziare Pavarotti perché ha ricordato a tutti che il melodramma, prima di ogni cosa, è una baracconata kitsch, il padre nobile e ubriacone del musical di Broadway, una cosa tutto sommato divertente: che se non diverte, probabilmente non è nemmeno buono. Come i quadri di Covili da cui sembra uscito, che prima di piacere ai critici piacciono ai bambini. Come il gelato, che prima di ogni cosa è dolce: hanno provato a farli salati, ma il popolo lo vuole dolce. E poi sì, a volte ha gusti assurdi il popolo: c’è chi chiede la panna sopra l’ananas, ma in fondo è un suo diritto.

Una delle cose meno comprese che ho fatto con questo blog è il gioco a inventare edizioni immaginarie di Pavarotti & Friends: 2001 e 2003. Si fa così: si prende una qualsiasi canzone pop, si traduce in italiano ottocentesco, e poi si immagina Pavarotti che la canta. Se siete nella doccia, potete anche interpretarlo. Forse sono l’unico al mondo a cui queste cose fanno a ridere, in ogni caso ecco a voi il duetto con George Michael

George: And I never gonna dance again
Guilty feet they've got no rhytm
Though it's easy to pretend
I know you're not a fool
I should have known better than to cheat a friend
And waste a chance that I've been given
So I never gonna dance again
The way I dance with you


Luciano: Oimé, e non danzerò mai più
Nell'orma dei passi colposi
Finger già facile fu
Ma con te giammai!
Con te persi l’amico che il fato mi dié
E nel pensier io mi torturo
So I never gonna dance again
Com’io danzai con te

E con Bono (non escludo l’abbiano fatto davvero):

Luciano: Non posso credere alle nuove
Né chiuder gli occhi miei e fingermi altrove
Ahi, quanto / dureremo in questo pianto?
Ahi quanto/ ahi qua… a … a… a… nto…
Bono: Tonight we can be as one,
tonight, tonight
Insieme: Domenica trista, domenica trista.

Con i Depeche Mode:

Luciano: Ognor ti penso, e cresce in me il desio
Dave: And I just can’t get enough, I just can’t get enough
Luciano: Soltanto in te trova conforto il pensier mio
Dave: And I just can’t get enough, I just can’t get enough

Con i tre Doors superstiti (e Morrison, all’inferno, stride i denti):

Sai ch’io non sarei sincero
Sai ch’io sarei ben bugiardo
Se or io ti dicessi, invero
Che non possiam salir più in alto

Orsù amor appicca il foco
Orsù amor appicca il foco
Di quella pira orrendo… foco!.

Adesso provate a indovinare voi:

Diletta mia, mi devi dir
Debbo partirmene o restar?
S’io vado, vi saranno guai?
S’io resto, un doppio amante avrai?
Deh dimmi, mia diletta, inver:
debb’io partirmene o restar?

Ok, era facile. E questa?

Ogni tuo sospir
Ogni tuo pensier
Ogni tuo piacer, ogni tuo voler
Io ti scruterò.

Che, non lo sai?
Ti posseggo, ormai,
e reclamo inver
ogni tuo pensier.

Finale col botto: Luciano e Serge Gainsburg si guardano negli occhi, l’orchestra parte, ed è un trionfo:

Pavarotti: Deh! Ché t'amo, io t'amo, oh se t'amo!
Gainsbourg: Moi non plus
Pavarotti: O mio divino!
Gainsbourg: L'amour physique est sans issue
Pavarotti: Tu vai, tu vai e tu vieni
Tra le mie reni
Tu vieni e tu vai
Tra le mie reni
E poi… ti ritrai
Gainsbourg: Je vais, je vais et je viens
Entre tes reins
Je vais et je viens
Et je me retiens…
Pavarotti: No… adesso… vien! (Acuto)

Nel paradiso dei musicisti oggi c'è una nuvola transennata, a forma di Modena, dove i morti illustri fan la fila per duettare col maestro: Tupac, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Syd Barrett, Natalino Otto... Lui stringe le mani e canta qualsiasi cosa, che oggi è la sua festa. Intorno è tutto uno sbandare di angeli che si tappan le orecchie con le ali. Ma tu vai così, Maestro, fregatene. Rock and roll.
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