Il grande Giovane

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(Questo pezzo è un esperimento: l'unica fonte è wikipedia).

Cossiga – può esser difficile ricordarselo proprio oggi – è stato per molto tempo un giovane. Nel senso molto relativo che la parola “giovane” poteva avere nell'ambiente stagnante della prima repubblica, Cossiga è stato addirittura il “più” giovane. Laureato a 20 anni, deputato d'assalto a trenta (leader dei “giovani turchi” sassaresi), sottosegretario alla difesa a 38 (record), ministro degli Interni a 48 (record), presidente del Senato a 55 (record), Capo di Stato a 56 (record imbattuto). Fino a ieri era ancora il più giovane tra i Presidenti della Repubblica in vita: più giovane di Scalfaro, Ciampi, Napolitano. Giovani, volete far politica? Seguite Cossiga: laureatevi presto e buttatevi nella mischia. Sceglietevi comunque un partito importante; se non vi piace del tutto scalatelo comunque: potrete sempre picconarlo una volta in cima.

È possibile isolare questo elemento “giovane” nella carriera politica di Francesco Cossiga? Si parla molto tra noi di come sarebbe migliore l'Italia se la governassero i 40-50enni piuttosto che i 70-80enni: Cossiga è un esempio a favore o contro? In che modo la sua (relativa) “giovinezza” può aver cambiato le cose? È difficile da dire, anche perché Cossiga più che un politico è stato un uomo delle istituzioni: non scriveva disegni di legge, ma riformava i servizi segreti. Gli si può riconoscere una certa irruenza, uno stile spiccio nella gestione dell'ordine pubblico: mandare mezzi blindati contro gli studenti è, in un certo senso, una cosa 'da giovani' (il vecchio Giolitti non lo avrebbe fatto). Nella sua lunga carriera però Cossiga è stato anche l'esatto contrario: un notaio attentissimo al rispetto del dettaglio, della norma più desueta e obsoleta. O non c'è qualcosa di giovanile anche in questo? Tra le varie onoreficenze che collezionava, c'era il grado di Capitano di Fregata. Quando il parlamento lo elesse Presidente nessuno se ne ricordava, tranne lui: che deviò il corteo presidenziale per chiedere il consenso allo Stato Maggiore della Marina Militare. Si presentò in divisa da Capitano di Fregata, appunto. La passione per le uniformi, le cariche, le battaglie... se tutto questo non è sufficiente a definire Cossiga un nerd, ecco l'arma segreta: era un radioamatore. Quando salì al Quirinale si portò il baracchino con sé. Persino nei tre anni del “presidente notaio” (1985-1988), quando nessuno avrebbe potuto immaginare che ragazzaccio sguaiato covava in lui, Cossiga si dimostrò in qualche misura giovanile: pose fine a una delle più lunghe crisi del pentapartito nominando a Palazzo Chigi, nel 1987, Giovanni Goria. È ancora il più giovane Presidente del Consiglio.

Invecchiando, Cossiga ha mantenuto i tratti dell'enfant terrible; anche se davanti a certi sbalzi di umore diventava più facile pensare a una psicosi maniaco-depressiva. Le istituzioni erano tutto per lui; allo stesso tempo, fare il presidente durante il semestre bianco era una palla; si dimise due mesi prima.

Chi comincia giovane ha più tempo per re-inventarsi. Di Cossiga ne abbiamo avuti tanti, e diversi tra loro. Io ne riesco a isolare quattro, ma chi lo conosce meglio senz'altro ne conosce molti di più. Abbiamo il Cossiga Giovane Turco, spericolato innovatore della sinistra DC; il Kossiga boia, mandante di assassini di Stato; il Presidente Notaio, che nelle vignette di allora occhieggiava da una fessura delle finestre del Quirinale; e dopo il Muro di Berlino, il Picconatore. Questi quattro mi sembrano più che sufficienti a rendere conto della complessità del tipo; il Cossiga post-Quirinale mi sembra ancora un sequel del Picconatore, sempre più stemperato col passare degli anni. I quattro Cossiga sono anche autosufficienti, nel senso che ognuno si comporta in maniera indipendente dall'altro: studiando le mosse del Giovane Turco non si capisce come sia potuto diventare Kossiga; allo stesso tempo non è facile capire come il Kossiga dalle maniere forti sia diventato, nella prima parte del suo settennato, il presidente più opaco della storia della Repubblica. Quanto al picconatore, ciarliero e imprudente, rappresenta una negazione di tutte e tre le identità precedenti. Potrei concludere definendo Cossiga come il David Bowie della politica italiana, ma forse chi legge qui ormai ricorda Bowie meno di Cossiga (è un cantante inglese di qualche anno fa, che sul palco cambiava spesso identità).

Del cadere in piedi. Cossiga è il ministro degli Interni che non riesce a liberare Aldo Moro. Si dimette. Un anno dopo è nominato Presidente del Consiglio. Il PCI del cugino Berlinguer porta in parlamento l'accusa di aver rivelato al senatore Carlo Donat Cattin che il figlio Marco era indagato per terrorismo. Il caso è archiviato; Cossiga si dimette nel 1980. Tre anni dopo lo nominano Presidente del Senato. Vent'anni dopo Cossiga ammette parzialmente la circostanza: rivelando di averne parlato col cugino Berlinguer, aspettandosi un sostegno. Berlinguer invece lo accusò in Parlamento. Vatti a fidare dei cugini comunisti.

Dopo il 1989 Cossiga ha ripreso a fare 'politica', conquistando spesso le prime pagine con dichiarazioni fantasiose e sboccate che cambiarono il lessico della politica italiana. A distanza di anni diventa difficile capire quale fosse il suo progetto, se ne aveva uno. Sbaglierò, non sono un cossigologo, ma non mi sembra di avere mai sentito un parere di Cossiga sull'economia, sul lavoro, sui diritti civili. Cossiga aveva sempre qualcosa da dire su magistrati, sui colleghi politici: non suggeriva campagne politiche, quanto alchimie parlamentari. Un satrapo di palazzo, convinto che l'Italia si potesse salvare modificando una maggioranza in parlamento o un comma in una legge. Mettiamola così: fino al 1989 era un atlantista convinto, disposto a chiudere un occhio e a volte entrambi pur di mantenere lo status quo in uno degli Stati strategicamente più importanti per la Nato. Al crollo del muro capisce subito (con una prontezza che stupisce tutti) che quel progetto è finito: l'Italia non è più un fronte, ma sta scivolando nelle retrovie. Dal suo osservatorio privilegiato nota che gli americani sono sempre più insofferenti nei confronti della Dc; ostili alla costituzione dell'ennesimo governo Andreotti (filopalestinese?) Ne trae le conseguenze e inizia a tirare bordate alla Dc. Voleva forse creare le premesse per ripristinare l'alternanza di governo? Andreotti però reagisce aprendo al giudice Casson gli archivi del caso Gladio. Il PCI-PDS di Occhetto scopre di essere stato sotto tiro per tutto il dopoguerra (non doveva essere una gran scoperta) e chiede al parlamento l'impeachment. Cossiga, che cannoneggiava a centrodestra, si ritrova bersaglio della sinistra. A quel punto il piccone presidenziale comincia a roteare a 360°: l'uomo forse ricorda che nelle vite passate è stato il depositario di segreti ben più indecenti. Ha infiltrato i movimenti studenteschi; ha lasciato che ammazzassero Moro: di tutto questo erano informati quando lo nominarono al Quirinale: e ora osavano accusarlo per una faccenda risibile come Gladio? Pivelli, avrà pensato. Giudici ragazzini.

In realtà, visto da lontano, il Cossiga post-Quirinale non ha mai fatto mancare il suo sostegno al centro-sinistra. D'Alema è uno dei pochi politici che in questi anni Cossiga abbia stimato davvero: anche lui non proprio popolare, ma ben ferrato nelle logiche di palazzo. Nel 1998 è stato il primo presidente del Consiglio ex comunista, e lo è stato grazie al voto del Senatore a vita Cossiga, dopo che Bertinotti aveva ritirato il sostegno al Prodi I. Otto anni più tardi Cossiga è stato altrettanto decisivo a salvare (o meglio: a protrarre l'agonia) del Prodi II, il governo che si teneva a galla coi voti dei senatori a vita. Insomma, Cossiga non ha mai negato il suo aiuto a quella parte politica: la parte di quelli che nei salotti magari indulgevano alle battute sul Kossiga-Boia, ma tiravano un sospiro di sollievo quando gli autonomi venivano sgomberati da Bologna; quelli che lo mettevano in stato d'accusa in parlamento, ma poi nello stesso parlamento mendicavano il suo voto. Cossiga li ha sempre sostenuti, magari disprezzandoli. Forse avrebbe fatto lo stesso col centrodestra (di fatto ha votato la fiducia all'ultimo governo), se il centrodestra avesse mai avuto bisogno di lui.

Cossiga lascia quattro lettere indirizzate alle quattro cariche. Il sogno di tutti noi è che esse contengano la soluzione di almeno uno dei cento misteri d'Italia: uno tra i tanti scheletri che Cossiga è riuscito a contenere tutta la vita nell'armadio. Potrebbe anche essere, l'uomo amava i coup de theatre. Però chi ama veramente il teatro non resiste all'idea di assistervi: Cossiga ha avuto molti anni per raccontare le sue verità. In certi casi lo ha fatto, nel modo più teatrale possibile: affermando di avere “ucciso Moro”, o raccontando al Resto del Carlino come si gestiscono i movimenti di piazza (“infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri”).

Con tutte le sue manie e le sue depressioni, Cossiga ha mantenuto un forte senso di appartenenza nei confronti dello Stato, delle forze dell'ordine, di tutte quelle cose organizzate che fanno la Storia, e che continuano anche dopo di lui. Posso sbagliarmi, ma per chi vive al servizio di queste cose la morte assume un senso relativo: quello che non poteva proprio dire da vivo, non credo possa rivelarlo da morto. Quel che invece può fare da morto è continuare a depistare, magari suggerendo altre illazioni sull'attentato di Bologna (quella famosa pista palestinese basata sull'idea che l'OLP spostasse gli esplosivi sui treni di linea, e non uno straccio di prova), o qualche altra chicca inedita su Ustica o sulle BR. Insomma io non mi fido di lui neanche da morto. Tanto più che da oggi tra i depositari di quei segreti c'è Silvio Berlusconi.
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Vabbe', ma di morte lenta

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"Cosa volete, il morto?"

L'altro sera ho letto una scritta sul muro di un bagno: "agisci da prepotente e pensa da vittima". Ecco, credo che gli ideologi del Blocco Studentesco siano maturati in cessi simili.
Vuoi andare in testa al corteo ma non ti fanno passare? Agisci da prepotente: cìnghiali! Vedrai che se ne vanno.
Loro non se ne vanno? Chiamano i fratelli grandi e vi fanno un mazzo tanto? Pensa da vittima: ce l'hanno tutti con te perché sei fuori dal coro. E tu dal coro hai fermamente intenzione di star fuori! Almeno finché non te lo fanno dirigere.
Rai3 possiede un video che vi sputtana? Pensa da vittima: quelli vogliono fare le liste di proscrizione! Vogliono consegnare i vostri nomi e cognomi a quelli cattivi coi caschi che poi ci ammazzano. Agisci da prepotente: tutti in massa in via Teulada, dimostrazione di forza. Quando non c'è nessuno, perché altrimenti rischia di non venir bene, come dimostrazione di forza. 
Il risultato di questa tattica è interessante: più guai fanno, e più ci sono video con la loro faccia all'attenzione di giornalisti e magistratura. Più sono esposti, e più reagiscono. Più reagiscono e più sono esposti. In pratica si stanno spingendo a testa bassa in una tonnara di denunce.Va bene, sono ragazzini. Ma chi li spinge da dietro è un criminale - e non è Cossiga. Comunque non è nemmeno l'ultimo arrivato. 
Come finirà? Sarebbe bello che finisse in niente; purtroppo l'esperienza dice che questo tipo di cose finisce quando qualcuno si fa male davvero. Qualcuno chi? Chiunque può farsi male: un giovane di destra, uno di sinistra, un passante apolitico, un poliziotto o un carabiniere (magari uno giovane giovane e inesperto come quelli che furono lasciati in prima linea a Genova) La domanda che conclude il video del Blocco si può leggere in vari modi: Volete un morto? Se proprio v'interessa, ve lo procuriamo: ragazzini da mandare al macello se ne trovano agli angoli di strada. Voi guadagnate un pretesto per tirare un sipario sulla protesta studentesca, e il Blocco ci guadagna quel martire di cui ha un gran bisogno (mica possono continuare a riciclare il rogo di Primavalle, roba da Pleistocene).
A una tattica così suicida, come si reagisce? La prima regola è quella di sempre: non reagire alle provocazioni, mai, per nessun motivo. Se proprio vogliono un Caduto, se lo devono procurare da soli, cinghiamattandosi a morte.
La seconda regola ce la mostra il vecchio pazzo Cossiga, nostro Re Lear: parlare, parlare al vento. Può essere paranoia, o anche solo scaramanzia, ma se parlando di queste cose possiamo anche solo ridurre di un millesimo la possibilità che accadano, facciamolo. In tutti gli spazi dove possiamo dire qualcosa, diciamolo. Per esempio, se mi viene il sospetto che il governo mandi avanti i ragazzini fascisti nella speranza che un giorno o l'altro uno di loro faccia la fine di Placanica, pardon, la fine che doveva fare Placanica, io qui lo scrivo. Se poi non succede, sarò il primo a esserne felice. 
La terza regola: riderci sopra. Vogliono fare i martiri? Sommergiamoli di pernacchie. Coi ragazzini di solito funziona.

(E giu le mani dai Motörhead, pagliacci)
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...and Bigger Mouth strikes back

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E poi ci vorrebbe una carrozzina in cima a una scalinata

Cossiga non poteva assolutamente consentire che Berlusconi avesse detto la cazzata della settimana.

"l'ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio un vecchio, una donna o un bambino, rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita".

"Io aspetterei ancora un po' - continua Cossiga - e solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di 'Bella ciao', devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell'ordine contro i manifestanti".
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