Tunisi blindata

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Tunisi, dopo la Primavera Araba - Corruzione, corruzione e ancora corruzione.
Se chiedete a un tunisino se la rivolta di gennaio sia scoppiata per il pane o per la democrazia, vi risponderà che a rendere insostenibile il regime di Ben alì è stata la piaga di una corruzione diffusa elevata a sistema di governo. e a tesserne le trame investendo tutti i settori della vita pubblica, spiegherà, non era tanto il dittatore quanto la moglie Leila trabelsi che aveva lottizzato l’intero paese tra una decina di famiglie mafiose che imponevano tangenti e governavano più dello stesso governo. «eravamo arrivati al punto», spiega un giovane laureato che durante le sommosse ha inchiodato il suo certificato di laurea a mo’ di protesta sul portone del palazzo di governo «che chi voleva lavorare doveva pagare percentuali fisse. Era un ladrocinio istituzionalizzato».

Oggi Tunisi è più libera di tre mesi fa. Ma sono stati tre mesi di lotte continue. Dopo che il movimento chiamato Casbah 1 ha cacciato il dittatore e l’odiata consorte, pagando un duro tributo di sangue, le famiglie mafiose e i ministri del governo di Ben alì hanno tentato in più occasioni di riciclarsi e di mantenere il potere politico ed economico. Ma la Casbah non ha abbandonato le piazze della rivolta, riuscendo a far dimettere uno dopo l’altro tutti o quasi i membri del vecchio governo. «Thank you facebook», si legge sui muri della capitale. Così Casbah 2 ringrazia il social network che durante gli scontri di febbraio ha consentito ai rivoltosi di passarsi informazioni e di tenere i contatti in un paese in cui la stampa è strutturalmente asservita al potere.
Oggi, tre mesi dopo la rivolta di gennaio, Tunisi sta ancora cercando la strada della democrazia. il governo di transizione è praticamente inesistente. scioperi continui paralizzano le poste e i trasporti, e la macchina statale. L’immondizia che ormai ostruisce le entrate alle caratteristiche viuzze, e i cui miasmi coprono l’odore di spezie, testimonia lo sciopero pressoché continuo degli spazzini. Le piazze della rivolta sono circondate da lunghe trincee di filo spinato e dai blindati dell’esercito. esercito che comunque viene salutato come liberatore, in quanto al momento della ribellione ha rifiutato di sparare sulla folla, come invece hanno fatto i pretoriani di Ben alì e la polizia, contribuendo di fatto alla caduta del dittatore. il centro storico di tunisi due minuti dopo il coprifuoco pare nuclearizzato. anche il coloratissimo mercato di medina dopo il tramonto si trasforma in un deserto da cui conviene girare al largo. e neppure di giornoil quartiere è tranquillo. È in atto una vera guerriglia tra vecchi commercianti e nuovi ambulanti che provengono da fuori città. i turisti sono oramai un ricordo passato. nelle aree popolari della città, nei quartieri universitari, qua e là si formano gruppi spontanei che poi danno vita ad approssimativi cortei che si concludono con violenti scontri.
In questa caotica situazione, gli islamici, partigiani del 26 aprile, latitanti per tutto il corso della rivoluzione, stanno alzando la cresta e si intrufolano nei cortei dei sindacati e degli studenti e, dall’interno, spintonano via le donne e chiedono la proibizione dei liquori. Molti bar di Tunisi hanno già messo al bando birra e vino. Gli islamici cancellano le scritte delle ragazze dell’università femminista - non femminile- di Tunisi. «Le donne tunisine sono libere e libere resteranno».
«Sono una netta minoranza - spiega una ragazza - ma hanno soldi e potere. a parole chiedono la libertà di culto e presentano la faccia pulita, ma tra loro parlano di istituire la legge islamica».
Portano la barba - li chiamano “i barbuti” - indossano il turbante che qui nessuno porta, sventolano le bandiere dell’arabia saudita che li foraggia generosamente. spendono e spandono in beneficenza, specie nelle aree più povere. in puro stile Hamas, rischiando di fare il pieno di voti alle prossime elezioni quando si dovrà decidere quale tra i 52 partiti nati dopo la caduta di Ben alì dovrà governare quello che rimane della tunisia. Chi ha fatto la rivone il prima possibile, ma gli islamici pretendono una proroga di tre mesi e hanno trovato sponda nei comunisti che sperano di avere più tempo per organizzarsi. La Casbah 3, che domina oggi la piazza non è altro che il prodotto di questa confusa anche se non insolita alleanza tra marxisti e islamici. Votare e farlo subito è quanto continuano a chiedere quelli che la rivoluzione l’hanno fatta. Lasciare altri 3 mesi, di cui uno di ramadan, agli integralisti potrebbe voler dire cancellare anche l’ultima scritta che ricorda che le donne della tunisia sono libere e libre resteranno. allora non potranno neppure più dire «Thank you facebook».
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