Camminare Raccontando - La frontiera di sabbia e di sangue
A cura dell'associazione Ya Basta Edi Bese

È passata del tutto inosservata, nei media italiani, la notizia risalente alla fine di marzo, di 250 profughi abbandonati dai trafficanti nel deserto del Niger, a nord della città di Agadez, e salvati dagli operatori dell’agenzia Onu per le migrazioni. Si trattava per lo più di uomini e donne provenienti dalla Nigeria, dal Ghana e dal Burkina Faso. Tra loro c’era anche un bambino. Secondo le fonti dell’Agenzia intergovernativa per le migrazioni, i profughi erano stati abbandonati senza cibo o né acqua, e sarebbero morti entri pochi giorni se i militari francesi di stanza a Madama non avessero segnalato la loro presenza agli operatori dell’Onu.
Questa che i media mainstream hanno frettolosamente catalogato come una “non notizia” altro non è che una ulteriore conferma di tre notizie che dovrebbero invece essere sottolineate con il pennarello rosso. La prima è che la rotta migratoria che arriva in Libia dal Niger, passando per le città di Agadez e Dirkou, per poi attraversare il deserto del Ténéré  e sconfinare il Libia per il distretto di Murzuch, è oramai la più battuta dai migranti provenienti dai Paesi dell’Africa sub sahariana e dall’Africa equatoriale. La seconda notizia è che su questa rotta si muore. La terza è che all’Europa non gliene importa assolutamente nulla, pure se le sue responsabilità di queste morti sono evidenti. 
Il deserto del Sahara è diventato oggi la frontiera esternalizzata più sanguinosa di quella che è stata chiamata la Fortezza Europa. Ancora più del Mediterraneo o del fronte greco turco. È stata l’Europa, nel 2015, ad imporre al Governo nigerino di varare una legge che ha dichiarato lo stato di emergenza in tutti i territori a nord di Agadez, vietando la libera circolazione. 
Ricordiamo ai nostri ascoltatori che Agadez si trova pressapoco al centro del territorio della repubblica del Niger. La città è tradizionalmente la porta del Sahara, sospesa tra il grande mare di sabbia a nord e le verdi foreste equatoriali a sud. Agadez era una sosta imprescindibile per le  carovane tuareg che si preparavano ad attraversare il grande deserto per portare uomini e merci a nord, sino ai porti mediterranei. Prima della dissoluzione della Libia, in questa che è chiamata la “capitale dei tuareg” facevano tappa le migliaia di lavoratori stagionali provenienti dai Paesi del Golfo di Guinea e diretti nei campi di lavoro libici, a raccogliere datteri o a far manovalanza nei pozzi petroliferi. Dopo la caduta di Gheddafi e le guerre per il controllo delle risorse minerarie dei Paesi del Golfo, questa rotta migratoria è diventata a senso unico. Le strade sterrate di Agadez sono percorse da quasi tutti i profughi in fuga da guerre a fame, provenienti dal Congo, del Burkina, della Nigeria, del Mali e che sognano di raggiungere l’Europa. 
Il Niger, ricordiamolo, fa parte della Comunità economica dell’Africa occidentale. Una sorta di Unione Europea africana che ha una moneta unica, il franco CFA e garantisce la libera circolazione dei suoi cittadini in tutti gli Stati dell’Unione. Ma la legge del 2015, espressamente imposta dall’Europa con l’obiettivo di contrastare l’immigrazione irregolare, ha cambiato tutte le carte in tavola sino a far saltare il banco. Tutti coloro, non nigerini, che oggi si trovano ad Agadez o a nord della città sono considerati migranti irregolari, passibili di arresto. L’intera area è stata pesantemente militarizzata con mezzi e materiali forniti dalla Comunità Europea. La Francia in particolare, ha investito molte risorse e ha impegnato anche un numeroso contingente militare. Nella sola Madama, a rafforzare la guarnigione di 500 soldati nigerini, ci sono 200 militari francesi. 
Come era lecito attendersi, tutta questo dispiegamento di forze, assolutamente inutile se si tiene conto che l’area da sorvegliare è vasta come l’intera Italia, non ha ottenuto altro risultato se non quello di trasformare l’immigrazione in un proficuo business per affidarlo completamente nelle mani della criminalità organizzata. Che poi è la stessa criminalità che, barcamenandosi tra politica, integralismo e terrorismo, contribuisce a destabilizzare l’intera fascia dei Paesi subasahariani. 
Agadez, oggi, ha perso qualsiasi attrattiva turistica. Alberghi e altre strutture ricettive sono andate in fallimento. Sul grande minareto di sabbia, nessun viaggiatore disturba più la nutrita colonia di pipistrelli che lo hanno eletto a dimora. Nei campi agricoli che assorbivano l’ultima acqua del deserto, non cresce più nulla, perché l’area è interdetta alla manodopera stagionale proveniente dal sud. Ai tuareg che svolgevano onestamente il loro lavoro di carovanieri è vietato salire a nord sui loro dromedari. I rari giornalisti che  raggiungono la città, dopo un viaggio infernale da Niamey, sono sorvegliati a vista da militari e polizia e gli è espressamente vietato uscire da Agadez. I migranti vengono fermati e tradotti nel grande centro gestito dall’Unhcr, che sorge a circa dieci chilometri dalla città. Lunghi capannoni di lamiera in mezzo al niente del deserto dove affrontano una attesa che non di rado dura tre o quattro anni per ottenere nella maggioranza dei casi una risposta negativa e un rimpatrio forzato. 
Ma tutto questa non ferma il traffico di esseri umani. Basta recarsi nella periferia della città per vedere i migranti che consegnare i loro ultimi risparmi nella mani dei trafficanti e stiparsi come animali destinati al macello nei grandi pick up che salgono a nord. La polizia non interviene mai. Non saranno neppure un fastidio per la lontana Europa. Il loro destino si fermerà nel deserto, dove saranno abbandonati senza acqua né cibo con la sola inutile promessa che un altro camion verrà a raccoglierli. I 250 migranti salvati a Madama sono solo stati più fortunati degli altri. Perché il deserto del Ténéré è un cimitero. Basta salire a nord, senza neppure allontanarsi troppo dalle piste più battute, per imbattersi in ossa di uomini, donne e bambini sparse sulla sabbia. L’Europa non lo vuole sapere, ma lo sanno tutti i tuareg di Agadez. E lo sa anche la polizia nigerina e lo sanno i militari che pattugliano inutilmente questa assurda frontiera costruita all’interno di uno stesso Paese dove sta crescendo l’integralismo islamico e gli attentati sono sempre più frequenti. E lo sanno anche i migranti. Lo sanno bene che in quel deserto li attende una morte quasi certa. “Ma in fondo - ti spiegano - cosa abbiamo da perdere?”