Nessuno è necessario (nemmeno Pascasio)

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26 aprile: San Pascasio Radberto, abate dimissionario di Corbie (790-860). 

Corbie qualche secolo dopo. 

San Pascasio un giorno si stancò di far l'abate. Si dimise, e lasciò il monastero benedettino di Corbie che lui stesso aveva fondato. Probabilmente fu a causa di Carlo il Calvo, re dei Franchi occidentali, che a questo punto aveva più di un motivo per non essere contento di quello che succedeva a Corbie. Era il monastero dove aveva deciso di rinchiudere un suo cugino omonimo: orbene, questo Carlo era scomparso, a Corbie nessuno l'aveva più visto, e l'abate Pascasio in tutto questo? L'abate Pascasio era uno dei più grandi intellettuali del secolo IX e preferiva discutere di eucarestia e mariologia in elaborati carteggi con gli abati suoi pari, invece di tener d'occhio i monaci coatti. Il Carlo che si era dato alla macchia era figlio di Pipino d'Aquitania, un nome che non vi dice niente perché a scuola vi hanno insegnato che Ludovico il Pio aveva diviso l'Impero in tre parti per tre figli: Lotario, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico. Ma indovinate: le cose sono un po' più complesse, Ludovico si sposò due volte ed ebbe quattro figli maschi (più altri illegittimi, perché per quanto Pio non disdegnava le concubine). Pipino d'Aquitania era addirittura il secondogenito e aveva regnato in Aquitania; ma una serie di liti con fratelli e fratellastri ne avevano di molto ridotto il regno a favore, appunto, del più giovane Carlo il Calvo. Il figlio che avrebbe dovuto restare confinato a Corbie aveva qualche titolo per rivendicare i territori del padre, e in effetti sappiamo che una volta scappato tentò davvero di organizzare una rivolta, che però non ebbe successo. Poi ci fu il caso di Ivo, un altro monaco di buona famiglia, che al contrario del Carlo fuggitivo, a Corbie voleva restarci: e quando Pascasio lo cacciò per indegnità, andò a lamentarsi dal re, che gli diede ragione: fu la goccia che ne fece traboccare la pazienza. Pascasio convocò i suoi monaci e li informò che l'indegno era lui, e per qualche tempo si ritirò in un altro monastero (St.-Riquier), dove finalmente poté dedicare il suo tempo agli amati studi, difendere la tesi della verginità di Maria post-partum e dimostrare la presenza della carne di Cristo nell'eucarestia: non i due argomenti che mi avvicinano di più a San Pascasio. Ma ho voluto lo stesso scrivere di lui: perché?

Chissà se capita a volte anche a voi, di mettervi a scrivere qualcosa e di scoprire, dopo qualche minuto/ora, che è una cosa che avete scritto già. Ad esempio, questo pezzo comincia così: San Pascasio un giorno si stancò. Sono sicuro di avere già scritto qualcosa del genere. Magari non proprio le esatte parole: sicuramente non il nome del santo (auguri a tutti i Pascasio). Ma qualcosa vorrà pur dire, se tra migliaia di santi mi capita sempre più spesso di pescare quelli che si stancano. Quelli che abbandonano ruoli di responsabilità nelle abbazie, o non vogliono essere eletti vescovi, e non dev'essere sempre stata una manifestazione di falsa modestia: la storia della Chiesa è davvero molto ricca di personaggi così. Chissà se c'entra per qualcosa il fatto che si tratti di una grande gerarchia affidata per secoli a secondogeniti e terzogeniti. Gente che in famiglia non era stata abituata a comandare. Non è il caso di San Pascasio, che era stato trovato neonato sui gradini del monastero femminile di Soissons. Non è nemmeno il mio caso, eppure mi ci ritrovo sempre più spesso. Come dico ai miei colleghi, quando si comincia a parlare di pensione, io non credo di poterci arrivare sui miei piedi: non dico che la mia professione sia tra le più faticose, e allo stesso tempo non posso immaginare di fare le stesse cose che facci adesso tra quindici anni: o mi succede qualcosa (a tanti miei colleghi con qualche anno in più sta succedendo qualcosa), o devo cominciare in un qualche modo a tirare i remi in barca. Rifiutare gli incarichi nuovi (questo è facile), rinunciare a quelli che ho già (molto meno facile), convocare i colleghi e spiegare che non sono capace di fare quello che sto facendo, anche se magari non è del tutto vero: ma comunque tra qualche anno lo sarà. In fin dei conti nessuno è necessario, no?

Oggi seppelliscono papa Francesco, probabilmente il pontefice migliore che potevo attendermi in questi anni così complicati. Pure non posso impedirmi di pensare che avrebbe potuto avere una vita un po' più lunga e serena se invece di lavorare fino all'ultimo giorno della sua vita, avesse abdicato per tempo, come coraggiosamente fece il suo predecessore che tanto meno mi era simpatico. Perché non l'ha fatto? Come tutte le scelte che pertengono alla coscienza di un individuo, non lo sapremo veramente mai (può darsi non lo sapesse nemmeno lui). Credo che l'umana vanità di regnare fino alla fine di un Giubileo abbia giocato un ruolo molto relativo; inoltre Francesco non sembrava condividere l'attesa messianica di un Giovanni Paolo II. Può persino darsi che la manfrina dei sedevacantisti abbia suggerito alla Curia di evitare un ulteriore papa emerito, e questo sarebbe l'unico risultato che hanno ottenuto quei fanatici repellenti: costringere un brav'uomo, anziano e malato a lavorare fino alla morte. Ma nell'occasione ho scoperto che molti, non sono tra i cattolici, sono ancora molto legati all'idea wojtyliana del papa che deve restare papa a oltranza, fino all'ultimo respiro; e che il gesto coraggioso di Ratzinger (il più importante del suo papato, secondo me) non è stato affatto recepito. Eppure davvero nessuno è necessario, nemmeno il papa, anzi lui dovrebbe essere uno dei più sostituibili: non è un Profeta in stretto contatto con Dio; è un vicario, un facente funzione, non capisco che problema c'è se a un certo punto rimette il suo incarico e si ritira anche lui in un monastero più tranquillo. Il clero cattolico, a cui tanti addebitano la responsabilità di millenni di società patriarcale, è un'organizzazione che per sopravvivere ha dovuto stemperare la sua componente patriarcale al punto da rinunciare al primo orgoglio del maschio, che è la prole (o forse la virilità: in ogni caso il clero ha rinunciato a entrambe). È una gerarchia di anziani, ma a questo punto le possibilità che un papa anziano possa trascorrere mesi o anni in situazioni in cui non è più in grado di intendere e volere sono sempre più alte.

Di Pascasio, che le monache avevano battezzato Radberto, si racconta che da giovane "condusse una vita dissoluta" finché non rimase "disgustato dai piaceri mondani", e non decise di entrare in un monastero e assumere il nome latino di Pascasio, più adatto a intestare i trattati di teologia. Non si capisce però con quali fondi Radberto possa avere condotto quella vita dissoluta che in effetti è un topos di tante vite di santi e governanti – tutti però nobili o comunque di famiglia abbastanza facoltosa da potersi garantire di vivere un po' di rendita , laddove Radberto era un trovatello. Chi ha infilato il topos nell'agiografia di San Pascasio non si è posto il problema. Gli interessava evitare l'impressione che Radberto/Pascasio non avesse mai conosciuto, del mondo, altro che una manciata di chiostri: una giovinezza dissoluta rende sempre il santo un po' più interessante. E magari voleva suggerirci che i suoi problemi con Ivo, anche lui monaco gaudente e riottoso, siano i tipici problemi del padre che riconosce nei vizi del figlio i suoi: quelli con cui sta lottando da una vita, e magari proprio quando sembra vittorioso, ecco che li ritrova in una versione più giovane di sé stesso, a dimostrargli che una vita sola non basta. 

Magari un giorno qualcuno si metterà a leggere questo blog, che un minimo di valore come testimonianza storica lo avrà, no? Voglio dire, vent'anni di paginette qualche cosa l'avranno trattenuta. Questa persona non scoprirà molto di me, di quello che mi è successo per interi anni di vita. Non ne ho parlato mai molto e a un certo punto ho proprio smesso. Avrà lo stesso una forte sensazione di conoscermi, perché anche se ho scritto di Beatles o di San Pascasio, tutto quello che ho scritto in un qualche modo mi somiglia: e in particolare questi frati e monaci recalcitranti, che non vorrebbero più sorvegliare né giudicare, non perché sia faticoso (a volte è faticoso): ma perché non sono bravi, sul serio, non era il loro mestiere, non avrebbero mai dovuto nemmeno cominciare.

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