L'uomo che comprò la lotta libera

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Foxcatcher (Bennett Miller, 2014)


Tutto quello che puoi vedere fino all'orizzonte è del signor Du Pont. Filantropo, filatelista, ornitologo. Al tempo in cui nostri antenati morivano per la loro libertà, i suoi antenati facevano affari coi cannoni, e ora tutto questa terra è sua, ed è suo tutto ciò che ci cammina sopra e che ci vola. Gli uccelli da catalogare, i cavalli della madre da detestare, i trenini giocattolo, i fucili automatici, i lottatori da allenare e le medaglie che vinceranno. Nessuno può dire di no al signor Du Pont. Finanzia la polizia di stato e il comitato olimpico. Ma quel che desidera davvero, nessuno lo ha ancora capito.

Foxcatcher arriva nelle sale qualche settimana dopo Whiplash. È difficile immaginare due film più diversi sugli stessi argomenti: eppure il Mark Schultz intepretato da Channing Tatum sembra animato dalla stessa ambizione divorante e fine a sé stessa del batterista di Chazelle. Anche sulla sua strada c'è il maestro sbagliato. Ma gli allievi e i maestri di Whiplash sono musicisti iperattivi e sopra le righe; i lottatori di Miller lottano per prima cosa contro un muro di impassibilità che li isola dal mondo. Mark guarda in basso, prende tempo, cerca la risposta giusta, ha sempre paura di sbagliare. Il suo sport consiste nell'afferrare a mani nude un altro uomo e tenerlo a terra finché un arbitro non fischia, eppure anche quegli avversari è come se Mark non li toccasse davvero. Non sono che un'estensione di sé stesso, la conseguenza tangibile dei suoi sforzi: se si è ben allenato vanno giù a comando, se ha sbagliato tutto lo afferrano e lo portano via con sé. Come il protagonista di Whipash, Mark non ha amici. Ha però un fratello lottatore e allenatore (Mark Ruffalo) dalla cui stretta non riesce a liberarsi, un mentore inquietante che pagherà la sua amicizia a peso d'oro, e un unico vero nemico, che prende a pugni allo specchio fino a infrangerlo.

Tra i ritmi sincopati di Chazelle e quelli rallentati di Miller ognuno sceglierà secondo il suo gusto... (continua su +eventi) Se il primo film mi ha tenuto, come si dice, inchiodato per un'ora e mezza, il secondo è stato una delle esperienze più angosciose degli ultimi anni, al punto da farmi desiderare più volte di alzarmi e prendere qualche minuto di pausa, non perché non fosse un bel film - ma per stemperare il senso di tragedia ineluttabile che grava sui personaggi senza abbandonarli per 120 minuti. Capote in confronto era una commedia: in quel caso l'istrionismo di Philip Seymour Hoffman ti faceva tirare il fiato. Stavolta non c'è requie: il lottatore frustrato e il milionario paranoico che cerca di adottarlo sono due corde tese che potrebbero spezzarsi in qualsiasi momento. Ci si sente a disagio come quando ti invitava a casa il compagno di classe ricco ma senza amici, vorresti trovarlo simpatico - ti converrebbe anche - ma c'è qualcosa che suona terribilmente stonato e tapparsi le orecchie non serve a niente.

Ai tre attori della sua tragedia, Miller chiede qualcosa di molto particolare: devono recitare male, o meglio interpretare personaggi che non riescono a reggere la parte. L'irriconoscibile Steve Carell è un milionario che non riesce a indossare gli abiti eroici che si è fabbricato. Ciondola per il set con l'aria di un'aquila smarrita, ti aspetti che si tolga la maschera da un momento all'altro. Channing Tatum sa di essere di fronte all'occasione della vita: film drammatici su atleti dal collo taurino non è che se ne producano tutti gli anni. E però il suo ruolo è proprio quello di un atleta che di fronte all'occasione della vita è terrorizzato dalla possibilità di fallire. Entrambi, per quanto notevoli, vengono surclassati da Mark Ruffalo. Il suo Dave Schultz, fratello e allenatore di Mark, è l'unico soffio d'aria fresca che tira per tutto il film. Qualsiasi cosa che fa tradisce dolcezza, compreso afferrarti da dietro la schiena e mandarti al tappeto. Ma anche a Dave tocca recitare una parte, a un certo punto - e proprio davanti alla cinepresa Dave si blocca, non ce la fa.

Come tutti i biopic degli ultimi anniFoxcatcher pretende di raccontare una storia vera ma non riesce a raccontarla giusta. Tra le varie forzature, degna di nota è quella scena semibuia in cui si lascia intendere qualcosa di più di una tensione omoerotica tra Mark e il milionario suo ospite. Al Mark vero quella scena non è andata giù, tanto da ispirargli una serie di tweet molto ingiuriosi nei confronti del regista - poi cancellati. È in effetti una scena che sembra congegnata più per far discutere che per farci capire cosa sta succedendo tra i due.

Foxcatcher è al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo alle 20:00 e alle 22:45. Portatevi qualcosa di caldo.
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